L'encefalite equina West Nile: una malattia emergente in Italia
di C. Macchi
Malattia vescicolare del suino in Lombardia: aggiornamento
di G. Zanardi, A. Berlinzani
Piano regionale alimenti 1999: alcune considerazioni
di M. Astuti, F. Castoldi
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L'Encefalite equina West Nile: una malattia emergente in Italia
Le encefaliti equine
Sotto questo nome sono comprese varie malattie caratterizzate da un quadro sintomatologico similare,
prettamente a carico del sistema nervoso centrale, con un indice di mortalità da moderata ad elevata.
Prendendo spunto dalla recente epidemia di encefalite West Nile che ha interessato alcuni cavalli in Toscana,
ci proponiamo di rivedere in sintesi quanto a tutt'oggi conosciuto sia riguardo a questo virus che agli altri
arbovirus ad esso correlati. Ci auguriamo che ciò possa servire ad approfondire la conoscenza di una malattia
che sta destando preoccupazione crescente nei Paesi del Bacino Mediterraneo.
Eziologia e patogenesi
Le encefaliti equine sono causate da arbovirus. Si tratta di virus a RNA aventi quali ospiti intermedi
artropodi ematofagi, in particolare zanzare e zecche. Molti di essi sono patogeni per l'uomo. Gli arbovirus
responsabili di encefaliti equine appartengono a due famiglie: Togaviridae e Flaviviridae. I primi sono
responsabili delle tre encefaliti più diffuse nelle Americhe: l’encefalite equina dell’Est (EEE), l’encefalite
equina dell’Ovest (WEE) e l’encefalite equina venezuelana (VEE). Tra i flavivirus invece si annoverano il
virus dell'encefalite giapponese (JE), la Louping ill e le encefaliti della Murray Valley e del West Nile (WN).
Tutti questi virus presentano caratteristiche epidemiologiche similari, che verranno esposte di seguito.
Il ciclo biologico
I vertebrati che possono essere infettati dal virus si distinguono in ospiti di mantenimento o serbatoio e ospiti
accidentali. I primi sono quelli che giocano il ruolo primario nel mantenimento del virus in natura. Essi in
genere non sviluppano malattia, ma presentano titoli anticorpali e livelli di viremia tali da poter infettare altri
insetti succhiatori. Comprendono numerose specie, particolarmente (ma non solo) uccelli, roditori e
insettivori. Gli ospiti accidentali invece si infettano sporadicamente e in genere non sviluppano elevata
viremia, per cui sono inefficaci nel mantenere il ciclo del virus. Possono o meno mostrare sintomi. L'uomo
appartiene a questa categoria; in genere è un ospite terminale. Possono infine esistere ospiti di collegamento,
i quali agiscono come intermediari tra gli ospiti di mantenimento e l'uomo, potendo amplificare l'infezione,
come avviene per i suini nel caso dell'encefalite giapponese. I vettori invertebrati sono rappresentati
principalmente da zanzare, pappataci e zecche. In genere i virus che replicano nelle zanzare non lo fanno
nelle zecche, e viceversa. Tuttavia insetti succhiatori diversi possono fungere da vettori meccanici. Nelle
zecche è stata dimostrata la trasmissione transovarica. Dopo essersi replicato, durante un periodo detto di
incubazione intrinseca (10-14 giorni), il virus si annida nelle ghiandole salivari dell'ospite, da cui viene
trasmesso ad un ospite vertebrato mediante la puntura. Il vettore rimane infettante per tutta la vita e non
mostra sintomi legati all'infezione. Durante i mesi invernali, a causa dell'irrigidimento delle temperature, il
numero di vettori cala drasticamente. Per questo motivo, le infezioni da arbovirus tendono ad essere
epidemiche e stagionali.
La malattia nell'uomo
La maggior parte delle infezioni da arbovirus decorre in modo asintomatico nell'uomo. Ad esempio, si stima
che in un'epidemia di JE il rapporto tra individui ammalati e portatori sani sia compreso tra 1:300 e 1:1000.
Quando presente, la malattia ha andamento bifasico: la prima fase è associata alla viremia, la seconda alla
localizzazione del virus in organi quali fegato e cervello. La sintomatologia osservata varia da una forma
acuta che interessa il SNC, con meningite asettica, encefalite ed encefalomielite, a forme simil-influenzali, a
febbri emorragiche con patologie a carico dei sistemi cardiovascolare, epatico e renale. Il periodo di
incubazione varia da 3 a 21 giorni. Nei casi non letali, l'immunità derivante persiste per tutta la vita. Nella
diagnosi di infezione si ricercano gli anticorpi mediante inibizione dell'emagglutinazione, fissazione del
complemento e sieroneutralizzazione.
1. Encefaliti da Togaviridae
La EEE è stata osservata nell'est degli USA e del Canada, dove la malattia negli equini e nell'uomo era
associata a focolai nei volatili domestici. Il virus della EEE è stato isolato anche in vari Paesi dell'America
Centrale e Meridionale. Il virus della WEE è ubiquitario nelle Americhe, ma la malattia clinica è stata
osservata solo nelle regioni occidentali degli USA e del Canada, in Messico e Sud America. Sintomi
neurologici legati alla WEE e alla EEE sono stati osservati nei vitelli e, sperimentalmente, nei suini. La VEE
è presente nelle stesse zone nella sua forma apatogena, mentre focolai di malattia in equini e uomo si sono
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verificati solo nella parte settentrionale del Sud America negli ultimi 60 anni. Tra il 1962 e il 1964, ad
esempio, Venezuela e Colombia conobbero una gravissima epidemia di VEE: vennero segnalati 30.000 casi
umani, di cui 300 ad esito letale, ed un numero indefinito di infezioni negli equini. Le tre encefaliti da
Togaviridae vengono trasmesse da zanzare appartenenti a generi diversi, mentre altri artropodi
probabilmente hanno un'importanza epidemiologica limitata. I principali serbatoi di questi virus sono i
volatili selvatici e, nel caso della VEE, anche i roditori della foresta. I più importanti amplificatori della VEE
durante un'epidemia sono però i cavalli, che possono addirittura infettare altri cavalli mediante contatto o
aerosol (diversamente da quanto accade per le altre encefaliti). Le epidemie da VEE, EEE e WEE
interessano prevalentemente cavalli al pascolo, in zone ricche di zanzare e avvengono per lo più durante i
tardi mesi estivi. I sintomi clinici compaiono circa 5 giorni dopo l'infezione e comprendono febbre, difficoltà
visive, andamento barcollante e scoordinato, sbadigliamento e digrignamento dei denti. La morte
sopraggiunge in genere 2-3 giorni più tardi. La mortalità varia dal 20-50% (WEE) al 90% (EEE). All'esame
anatomo-patologico non si osservano lesioni specifiche. Microscopicamente si osservano invece emorragie e
degenerazione dei neuroni in varie parti del SNC. È possibile inoltre la presenza di gliosi e la formazione di
manicotti perivascolari. La diagnosi si basa su sintomatologia, anamnesi e stagionalità della condizione,
nonché sul riscontro di lesioni tipiche. La conferma viene fatta mediante sieroneutralizzazione, inibizione
dell'emoagglutinazione o fissazione del complemento su sieri acuti e convalescenti. La diagnosi differenziale
comprende epatoencefalopatia, rabbia, mieloencefalite potozoaria, encefalite elmintica e
leucoencefalomalacia. Non esistono agenti antivirali specifici per il trattamento. Sono possibili terapie di
supporto nei casi lievi. La profilassi deve essere mirata ai vettori, mediante operazioni di disinfestazione e
l'applicazione di insetticidi sui cavalli. Esistono vaccini mono-, bi- e trivalenti, che vanno somministrati un
mese prima dell'inizio della stagione delle zanzare.
2. Encefaliti da Flaviviridae
Il virus della JE è disseminato in tutto il lontano Oriente. Determina aborti nelle scrofe, in assenza di altri
sintomi. Negli equini infetti la mortalità oscilla intorno al 5%. Di recente (01/99) è stata segnalata
un'epidemia in Cambogia, che avrebbe determinato la morte di circa 600 persone, per lo più bambini. La
notizia attende ancora conferma ufficiale da parte della OMS. Altri focolai di encefalite giapponese
nell'uomo sono stati riportati in vari Paesi nel corso del 1998, particolarmente in Nepal, India e Malesia, in
persone che lavoravano a contatto con suini. In Australia sono stati riconosciuti 5 casi umani nel 1998,
corrispondenti al primo isolamento del virus JE sulla terraferma australiana. In questo Paese un organismo di
epidemio-sorveglianza, la CDI (Communicable Diseases Intelligence) ha segnalato un aumento allarmante di
infezioni da arbovirus nell'ultimo decennio. Un altro esempio di tale situazione è la comparsa dell'encefalite
Murray Valley in una zona da cui era assente da 20 anni.
Encefalite West Nile
Il virus del West Nile (WNV) è stato isolato in vari Paesi del Bacino mediterraneo, dell’India e del continente
africano. L'andamento della malattia è endemico nel delta del Nilo, dove sono colpiti prevalentemente i
bambini, mentre gli adulti risultano immuni. In Israele i focolai si presentano invece in forma epidemica, e la
sintomatologia si osserva in tutte le fasce di età. In Sudafrica si osserva una situazione intermedia, nel senso
che l’encefalite WN compare qui sporadicamente, sotto forma di brevi, frequenti epidemie. L'ultima
epidemia osservata in Europa, e la prima di tali dimensioni, risale al 1996, in Romania, dove il virus è stato
responsabile di malattia in più di 350 persone, rivelandosi letale in 17 casi. Tra gli animali, solo l'equino
manifesta sintomatologia clinica, mentre casi di infezione sono stati osservati in numerose specie di uccelli e
mammiferi selvatici. Gli uccelli sono considerati il principale vettore vertebrato del virus e le migrazioni
sono la modalità più probabile di dispersione virale. Nel 1998 è stato compiuto uno studio in Israele allo
scopo di determinare il ruolo epidemiologico della cicogna bianca (Ciconia ciconia) nella diffusione del
virus. In questo Paese infatti le cicogne migrano ogni autunno verso il sud in stormi di centinaia di migliaia.
Sieri di cicogne catturate presentavano anticorpi neutralizzanti nei confronti del WNV.
Contemporaneamente, anticorpi neutralizzanti sono stati isolati nel siero di 18/24 equini con sintomatologia
nervosa. Nell'arco dello stesso anno non sono invece stati segnalati casi umani di WN in Israele. Il vettore
biologico invertebrato è rappresentato da zanzare del genere Culex e meno frequentemente da zanzare di
generi diversi (Aedes, Anopheles, Mansonia) e da numerosi altri artropodi. Sebbene gli uccelli costituiscano
il principale serbatoio del virus, elevati titoli viremici sono stati osservati anche nel lemure del Madagascar.
In questo Paese, il virus WN è endemico ed è stato isolato anche dall'uomo, dal pappagallo e dall'airone
bianco (Casmerodius albus). L’uomo e gli altri mammiferi costituiscono ospiti accidentali, nei quali la
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viremia è bassa e di breve durata. Nell'uomo, la WN è responsabile di malattia clinica in una bassa
percentuale degli individui infetti (0,2-0,3%). I sintomi, quando presenti, variano da febbre a linfadenopatia,
rash ed emicrania a meningite, encefalite, meningoencefalite, coma e morte. Negli individui giovani la
malattia decorre per lo più in forma sub-clinica o lieve. Gli unici fattori di rischio finora associati alla
malattia sono età e ipertensione. Non esiste vaccino. L’epidemia osservata in Romania nell’estate del ’96 ha
coinvolto almeno 393 persone, risultate sieropositive al virus. Di queste, 352 hanno mostrato sintomatologia
acuta a carico del SNC. Diciassette pazienti, tutti di età superiore ai 50 anni, sono morti. In un altro studio,
eseguito su 200 sieri umani provenienti da casi sospetti, 168 sono risultati positivi al WNV. Tra le persone
sierologicamente positive, il 32% mostrava sintomi di meningite, il 45% di meningoencefalite e il 21% di
encefalite. La sieroprevalenza complessiva nella popolazione era pari al 4,1%. Il principale vettore era la
zanzara Culex pipiens, da cui sono stati isolati anticorpi specifici. Questi sono stati isolati anche dal 41% dei
volatili domestici. In Sudafrica è stata recentemente condotta un'indagine sierologica su 377 cani. Di questi,
il 37% ha mostrato la presenza di anticorpi neutralizzanti nei confronti del virus del WN. L'unica alterazione
osservata in seguito all'infezione di tre cani con il virus WN, è stata una lieve miopatia ricorrente manifestata
da due di essi. In tutti i cani sono stati rilevati anticorpi, mentre solo uno ha mostrato viremia a basso titolo.
Ciò rende improbabile il ruolo epidemiologico del cane nel mantenimento del virus in natura.
L’encefalite West Nile in Italia
Fino al 1998, nessun caso clinico o sierologicamente confermato di West Nile era mai stato segnalato sul
territorio nazionale. Tuttavia, il sospetto che un Flavivirus West Nile-simile circolasse in Italia era stato
sollevato in passato dal riscontro di positività sierologiche in pazienti umani e in capi ovini. Il fatto però che
gli anticorpi isolati non fossero mai neutralizzanti avevano portato gli esperti a formulare l’ipotesi che si
trattasse di un virus simile ma distinto dal WNV. I tentativi di isolamento del virus da potenziali vettori
invertebrati hanno invariabilmente dato esito negativo. Risale al mese di settembre 1998 la prima
comunicazione ufficiale di encefalite da West Nile in alcuni equini allevati in Toscana. L’epidemia avrebbe
avuto inizio già nel mese di agosto, secondo testimonianze di casi WN-simili, non denunciati ufficialmente;
l’ultimo caso risale al mese di ottobre. I focolai hanno coinvolto varie province toscane (Tabella 1) e,
secondo alcune voci non confermate, anche regioni limitrofe (Emilia Romagna e Lazio).
Tabella 1. Focolai di encefalite equina WN in Toscana (agosto - ottobre 1998)
provincia
n° focolai
n° equini colpiti
n° equini morti
n° equini guariti
Pisa - Firenze
4
7
2
5
Lucca
2
3
1
2
Pistoia
3
4
3
1
totale
9
14
6
8
Le scuderie interessate erano localizzate in terreni attigui o vicini ai paduli di Fucecchio (FI e PT) e Bientina
(LU e PI). La malattia esordiva con atassia, per poi degenerare in paraplegia, tetraplegia, paralisi flaccida al
labbro inferiore, coma e morte (quasi sempre per eutanasia, su richiesta dei proprietari). In genere non si
riscontrava febbre. Risultavano colpiti prevalentemente soggetti di sesso femminile, stressati da intensa
attività sportiva o debilitati per altri motivi (parassitosi). (Va comunque notato l’esiguo numero di animali da
cui provengono tali osservazioni). I soggetti guariti hanno riacquistato, in tempi più o meno lunghi, le
normali funzioni sia statiche che dinamiche. Ad indirizzare verso una diagnosi presuntiva di Flavivirosi
furono in primo luogo le indagini istologiche effettuate presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa.
Successivamente, l’IZS di Teramo diagnosticò l’encefalomielite WN in seguito al riscontro di positività
sierologiche basate sul test della fissazione del complemento (CFT) effettuato su materiale prelevato ai
soggetti ammalati. Tale diagnosi fu poi confermata dall’isolamento del WNV da cellule nervose di uno dei
cavalli colpiti da parte dell’Istituto Pasteur di Parigi e dalla successiva tipizzazione del virus. Il 20 Settembre
la Regione Toscana, con propria ordinanza, instaurò un cordone sanitario che interessava i territori di 20
Comuni delle province interessate (PI, LU, PT, FI). Venne imposto il divieto di spostamento di equini sia in
uscita che
in entrata, permettendo invece l'attraversamento senza fermata dell'area di protezione e gli spostamenti dei
soggetti al suo interno. Furono eseguite accurate disinfestazioni delle scuderie dove si erano verificati i
decessi ed in seguito anche degli altri impianti. Il cordone sanitario fu revocato il 19 Novembre ’98, quando
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ormai, a stagione fredda inoltrata, si considerava estinto il focolaio. Nel corso dell’epidemia l'IZS di Teramo
procedette al prelievo e successivo esame sierologico di campioni di sangue da un numero statisticamente
significativo di equini presenti nelle scuderie interessate dai decessi nell'ambito dei 20 comuni compresi
nella zona di protezione. I risultati delle analisi sono riportati nella Tabella 2.
Tabella 2. Indagine sierologica (CFT) effettuata su cavalli presenti nella zona di protezione per l'encefalite
WN
n° campioni esaminati
n° campioni negativi
n° campioni positivi
171
110 (64,33%)
61 (35,67%)
Per i soggetti reattivi, i titoli erano in gran parte compresi tra 1:64 e 1:16. I prelievi furono ripetuti a distanza
di 20 giorni sui medesimi soggetti. I risultati delle analisi mostrarono un netto calo dei titoli anticorpali, scesi
a valori compresi tra 1:4 e 1:8.
Dato l’irrigidimento delle temperature, al tempo della diagnosi non fu più possibile effettuare indagini su
artropodi al fine di isolare il virus e identificare i vettori. Tali indagini verranno dunque svolte nel corso della
prossima stagione primaverile-estiva. Nel corso dell’epidemia non si verificò alcun caso umano e non
furono effettuate indagini sierologiche su persone che, per il loro lavoro, condividevano con i cavalli il
rischio delle punture da zanzare. Nel mese di dicembre 1998, il Centro di Referenza per gli arbovirus e le
febbri emorragiche dell’Istituto Pasteur di Parigi concluse la tipizzazione del virus isolato dal focolaio. Il
ceppo isolato mostrò un’identità nucelotidica pari al 99,2% con un ceppo senegalese isolato nel 1993 da una
zanzara (Culex neavei). Tale riscontro indica una correlazione con i virus isolati in Francia (1965), Algeria
(1968) e Marocco (1996) e suggerisce l’ipotesi di una introduzione di virus da parte di uccelli migratori che
attraversano il Mediterraneo. Numerosi quesiti rimangono dunque ancora aperti, sia riguardo al focolaio in
questione che all’epidemiologia dell’encefalite West Nile. Ad esempio, sussistono evidenti differenze
epidemiologiche tra l’epidemia italiana e quella che interessò la Romania nel 1996, particolarmente per
quanto riguarda i casi di encefalite umana. Vi è chi sospetta una nuova insorgenza del virus nel bacino
mediterraneo, non escludendo il fatto che la sua presenza non venga appropriatamente diagnosticata. Questo,
in effetti, non sarebbe il primo caso di comparsa o recrudescenza di un'infezione da arbovirus. A livello
generale, si ritiene infatti che questi costituiscano un chiaro esempio di come fattori ecologici quali la
manipolazione dell'ambiente o un suo naturale cambiamento possano determinare una proliferazione virale
inaspettata. In modo particolare, esaminando i vettori invertebrati degli arbovirus, si considerano fattori di
rischio principalmente i seguenti:
- movimenti umani, con l'introduzione di persone e animali domestici in zone habitat degli artropodi;
- deforestazione;
- sistemi di irrigazione che non tengano conto del controllo degli insetti;
- urbanizzazione incontrollata, con riproduzione degli artropodi in pozze d'acqua urbane;
- aumento delle distanze di trasporto, con la possibilità di esportare i vettori a zone lontane;
- cambiamento delle traiettorie delle migrazione determinato dalla costruzione di nuove riserve d'acqua.
Per quanto riguarda l’epidemia toscana, le ipotesi biologicamente plausibili dovranno essere vagliate,
possibilmente attraverso ulteriori studi epidemiologici ed entomologici. Sarà comunque necessario attendere
la nuova stagione calda, con la ricomparsa dei possibili vettori invertebrati, per eseguire tali
approfondimenti.
La bibliografia dell’articolo è disponibile presso l’autore. Per le informazioni riguardanti la situazione nazionale si
ringrazia la Drssa. Loredana Nicoletti, Responsabile del Centro di collaborazione dell’OMS per Riferimento e ricerca
sugli arbovirus e sulle febbri emorragiche virali, ISS, Roma. Per quanto riguarda il focolaio toscano di WN, la maggior
parte delle informazioni sono state cortesemente fornite dal Dr. Mario Giannessi, veterinario di Sanità Animale presso
la ASL 3 di Pistoia Zona Val di Nievole, che ringraziamo sentitamente.
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Malattia Vescicolare del Suino in Lombardia : aggiornamento
La situazione epidemiologica aggiornata al 09/02/1999 della malattia vescicolare del suino (MVS) in
Lombardia è sintetizzata nella tabella 1 e nelle figure 1 e 2.
Tabella 1. Cronologia e correlazioni epidemiologiche nei focolai di MVS in Lombardia (aggiornata al
09/02/1999)
correlazione epidemiologica
focolaio
n°
data
presunta
infezione
data
al focolaio
mediante operazione
conferma
n°
1
(10/98)
metà
novembre
1998
31/10/1998
2 (11/98)
acquisto suini infetti
località
tipologia
allevamento
Volta
Mantovana
MN
ingrasso
n°
n° suini
suini
abbattuti
censiti
12695
12695
riproduzione a
10122
ciclo aperto
10122
2
(11/98)
prima sett.
03/11/1998
ottobre 1998
3
(12/98)
ultima sett.
04/11/1998
ottobre 1998
2 (11/98)
acquisto suini infetti
Lonato BS
ingrasso
7352
7352
4
(14/98)
metà ottobre
10/11/1998
1998
2 (11/98)
acquisto suini infetti
Offanengo
CR
riproduzione
misto (vendita
magroni)
2014
2014
4 (14/98)
movimentazione di
carcasse da focolaio
4 (14/98)
Offanengo
CR
riproduzione
misto (acquisto 2524
magroni)
2524
Soncino CR
riproduzione a
ciclo chiuso
6546
6546
FOCOLAIO PRIMARIO
Soresina CR
5
(16/98)
inizio
novembre
1998
6
(17/98)
inizio
novembre
1998
20/11/1998
4 (14/98)
movimentazione di
persone da focolaio 4
(14/98) prima della
notifica di focolaio
7
(19/98)
inizio
novembre
1998
25/11/1998
6 (17/98)
situato nelle vicinanze
del focolaio 6 (17/98)
Soncino CR
ingrasso
560
560
antecedente
al 1°
01/12/1998
novembre
1998
6 (17/98)
situato nelle vicinanze
del focolaio 6 (17/98)
Soncino CR
riproduzione a
ciclo chiuso
735
735
6 (17/98)
situato nelle vicinanze
del focolaio 6 (17/98)
Soncino CR
riproduzione a
ciclo aperto
1153 1153
8
9
inizio
novembre
1998
20/11/1998
02/12/1998
10
inizio ottobre
FOCOLAIO PRIMARIO (rilevato Grumello del
10/12/1998
(21/98)
1998
nell'ambito del piano MVS 1998)
Monte BG
11
(23/98)
prima del 7
novembre
1998
12
(1/99)
ottobre 1998 08/01/1999
13
(3/99)
ottobre 1998
07/12/1998 10 (21/98)
25/01/1999
13 (3/99)
riproduzione
misto
2358
2358
movimentazione di
persone e di suini
Bolgare BG
riproduzione
misto
214
214
acquisto suini infetti
Quinzano
d'Oglio BS
ingrasso
2561
2561
Bassano
riproduzione a
Bresciano BS ciclo aperto
3722
3722
2952
2952
FOCOLAIO PRIMARIO
14
febbraio
1999
13 (3/99)
acquisto di suini infetti
Pomponesco
MN
ingrasso
15
febbraio
1999
13 (3/99)
acquisto di suini infetti Viadana MN
ingrasso
16
febbraio
1999
13 (3/99)
acquisto di suini infetti
Pegognaga
MN
ingrasso
circa
2000
17
febbraio
1999
all.
Bassano
acquisto di suini infetti
Bresciano
BS*
Roverbella
MN
ingrasso
6486
850
850
* si tratta di un allevamento a ciclo aperto risultato sieropositivo al piano straordinario MVS 1999, in assenza di
isolamento virale
Come si può notare, il numero complessivo dei focolai in Lombardia è salito a 17, di cui i piu recenti datati
all'inizio di febbraio 1999. Le attività di sierosorveglianza e di indagini epidemiologiche attuate negli ultimi
due mesi (dicembre 1998 e gennaio 1999) hanno evidenziato, rispetto all'ultimo aggiornamento (vedi
6
"L'Osservatorio" n. 2/98) 8 ulteriori focolai di MVS, di cui 2 in provincia di Bergamo nei comuni di
Grumello del Monte e di Bolgare, 2 in provincia di Brescia nei comuni di Quinzano d'Oglio e di Bassano
Bresciano e 4 in provincia di Mantova nei comuni di Viadana, Pomponesco, Pegognaga e Roverbella. Nella
provincia di Bergamo sono coinvolti 2 allevamenti da riproduzione a ciclo misto tra loro correlati per
movimentazione di persone. Piu precisamente, il focolaio primario di Grumello del Monte (n. 21/98) c stato
evidenziato in seguito a sieropositività riscontrata nell'ambito del piano di sorveglianza MVS 1998, cui è
seguito l'isolamento virale a distanza di un mese, mentre nel focolaio secondario di Bolgare (n. 23/98) è stata
riscontrata la sola sieropositività. In ambedue gli allevamenti non si è riscontrata sintomatologia riferibile a
MVS. Nella provincia di Brescia, sono interessati un allevamento da ingrasso e un allevamento da
riproduzione a ciclo aperto, per i quali è stata accertata la sieropositività nel corso dei controlli sierologici
previsti dal piano straordinario di eradicazione e sorveglianza della MVS a livello regionale, cui è seguito
l'isolamento dell'enterovirus. L'indagine epidemiologica ha permesso di individuare come focolaio primario
(n. 3/99) l'allevamento a ciclo aperto situato a Bassano Bresciano, che ha venduto una partita di suini infetti a
fine ottobre 1998 all'allevamento da ingrasso sito a Quinzano d'Oglio (n. 1/99); peraltro, solo in quest'ultimo
si sono potute rilevare lesioni riferibili a MVS, piu precisamente a livello del cercine coronarico con distacco
degli unghielli parziale o completo. Un ulteriore focolaio secondario (n. 4/99) epidemiologicamente correlato
per introduzione di suini infetti provenienti dal focolaio n. 3/99 è stato segnalato nella regione Emilia
Romagna, in un allevamento da ingrasso in provincia di Reggio Emilia. Nella provincia di Mantova, altri 3
focolai secondari (nei comuni di Pegognaga, Viadana e Pomponesco) in allevamenti da ingrasso sono
risultati epidemiologicamente correlati al focolaio primario n. 3/99 di Bassano Bresciano (BS) per
introduzione di suini infetti. Nei focolai di Viadana e Pomponesco è stato isolato l'enterovirus, mentre quello
di Pegognaga è risultato negativo; in tutti questi casi non si sono rilevate lesioni riferibili a MVS. L'ulteriore
focolaio relativo a un allevamento da ingrasso nel comune di Roverbella, in cui sono presenti lesioni recenti
riferibili a MVS, è correlato alla introduzione di suini infetti provenienti da un altro allevamento da
riproduzione a ciclo aperto ubicato nel comune di Bassano Bresciano (BS), risultato sieropositivo nell'ambito
del piano straordinario regionale di eradicazione e sorveglianza per MVS, ma nel quale non si è evidenziata
la presenza di enterovirus, né sintomatologia riferibile a MVS. I servizi veterinari delle ASL stanno
eseguendo in maniera prioritaria sugli allevamenti considerati piu a rischio, vale a dire quelli da riproduzione
a ciclo aperto, i campionamenti previsti dal piano straordinario di eradicazione e sorveglianza della MVS
emanato a fine novembre 1998 dal Servizio Veterinario della Regione Lombardia, al fine di avere una
fotografia tempestiva circa la diffusione della malattia. Le ipotesi sulla origine e sulle correlazioni tra i
focolai primari di recente riscontro nelle province di Bergamo (n. 21/98) e di Brescia (n. 3/99) con quello
nella provincia di Cremona (n. 11/98) sono diverse, ma difficilmente documentabili; l'unica evidenza
comune a tutti i focolai è il contatto con un trasportatore autorizzato di animali, il cui raggio d'azione peraltro
copre buona parte del territorio regionale. E' da sottolineare che la data presunta di presenza della malattia in
questi nuovi focolai, sulla base dei risultati sierologici e delle indagini epidemiologiche, risulterebbe
temporalmente contestuale se non antecedente al focolaio primario di Soresina (CR), a suo tempo
individuato tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre 1998. A tutt'oggi , tutti i focolai di MVS verificatisi in
Lombardia nel 1998/99 sono stati estinti. Per quanto concerne gli 11 focolai di MVS verificatisi nel 1998 si
sono concluse le operazioni di campionamento relative al controllo sierologico degli allevamenti presenti
nelle zone di protezione e di sorveglianza, l'ultima delle quali è stata revocata a fine gennaio 1999. In totale
sono state controllate 562 aziende suinicole con oltre 30.000 campioni di sangue prelevati ed esaminati.
Attualmente, sono ancora in corso i campionamenti nelle zone di protezione e di sorveglianza istituite a
seguito dei 2 focolai nella provincia di Brescia e dei 4 nella provincia di Mantova. A conclusione di questa
sintetica panoramica sulla MVS, si può affermare che, dai dati epidemiologici complessivi a disposizione, la
tipologia di allevamento da riproduzione a ciclo aperto è quella "a rischio" di infezione e diffusione della
malattia, mentre la tipologia dell'ingrasso presente in Lombardia rappresenta un punto terminale
dell'infezione, ancorchè importante come "spia" della presenza di infezione sul territorio. Non a caso il
focolaio primario (n. 3/99) di Bassano Bresciano (BS) è stato individuato tramite il "tracing back" effettuato
a partire dall'allevamento da ingrasso di Quinzano d'Oglio (n. 1/99). Un'altra evidenza su cui meditare è che
la scoperta dell'epidemia è coincisa con l'autodenuncia del proprietario dell'allevamento da ingrasso sede del
focolaio secondario n. 10/98, ma primario in ordine cronologico. Purtroppo, la preoccupazione dei Servizi
Veterinari regionali all'inizio dell'epidemia, esplicitata nella tempestiva redazione ed applicazione del
programma straordinario di eradicazione della MVS, ha trovato riscontro nella situazione sanitaria fino ad
ora evidenziata sul territorio e che sta comportando un duro lavoro per tutti i veterinari direttamente coinvolti
in una emergenza sempre piu "di routine".
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Figura 1. Focolai di MVS nelle province di Mantova,
Cremona, Brescia, Bergamo al 09/02/1999
Figura 2. MVS in Lombardia: collegamenti epidemiologici
tra i diversi focolai
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Piano regionale alimenti 1999: alcune considerazioni
La predisposizione dei programmi di controllo ufficiale delle sostanze alimentari coordinati tra i diversi
servizi interessati costituisce da alcuni anni un punto di riferimento importante all'interno delle attività del
Dipartimento di Prevenzione. In attesa che vengano presentati i dati consuntivi riferiti alle attività svolte nel
corso dell'anno appena passato, e alla vigilia della predisposizione dei nuovi piani di attività per il 1999, può
essere interessante considerare il cammino coperto e gli obiettivi che il nuovo piano regionale pone ai tre
servizi interessati. Il punto di partenza non può che essere l'analisi delle norme di riferimento in tema di
pianificazione degli interventi di controllo ufficiale degli alimenti. Come richiamato nella circolare 66/san, i
criteri generali per la programmazione dei controlli ufficiali dei prodotti alimentari sono contenuti nel d.lgs
3/3/1993, n° 123 di "Attuazione della direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti
alimentari", nel d.P.R. 14/7/1995, "Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e Provincie autonome sui
criteri uniformi per l'elaborazione dei programmi di controllo ufficiale degli alimenti e delle bevande", nel
d.lgs 26/5/1997, n° 155 di "Attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l'igiene dei prodotti
alimentari" e nel d.lgs 26/5/1997, n° 156 di "Attuazione della direttiva 93/99/CEE concernente misure
supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari". Per quanto nessuno dei tre
provvedimenti sia di recentissima emanazione, una rilettura attenta del d.lgs 123/93, in particolare dei primi
due articoli, può offrire interessanti spunti di riflessione. Il decreto, come noto, disciplina le modalità di
svolgimento dei controlli ufficiali sugli alimenti. Il primo motivo di interesse lo troviamo già a livello di
definizione di sostanza alimentare. Oltre agli alimenti propriamente detti, vengono infatti inclusi tra le
sostanze da sottoporre a controllo ai sensi dello stesso decreto anche gli additivi alimentari e i materiali e gli
oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti. La prima conseguenza è quindi la grande dilatazione dei
confini delle matrici da sottoporre a controllo ufficiale. Se proviamo a trasferire questo principio all'interno
del piano alimenti, dobbiamo concludere che le attività di controllo ufficiale dovranno essere coerentemente
estese. Andiamo avanti. Poco oltre, al terzo comma dello stesso articolo 1, troviamo l'elenco delle attività
nelle quali si può articolare il controllo ufficiale. Al primo posto troviamo l'ispezione. Alla quale viene
dedicato l'intero successivo articolo 2. Quindi l'ispezione costituisce il momento centrale di qualsiasi attività
di controllo ufficiale sugli alimenti. L'ispezione come primo atto di qualsiasi attività rivolta a verificare la
correttezza delle procedure attuate dall'azienda, la sicurezza e l'integrità degli alimenti. Questa concezione di
un controllo ufficiale centrato essenzialmente sull'atto ispettivo costituisce una novità rispetto allo spirito
della vecchia legge 283/62, che sin dall'articolo 1 poneva l'accento sull'attività di prelievo e di analisi dei
campioni, e ben si aggancia al più recente D.lvo 155/97 in tema di autocontrolli nelle industrie alimentari. In
effetti sia il decreto 123 che il 155 pongono l'accento sul controllo di processo come modello più efficace di
prevenzione e gestione dei rischi connessi al consumo degli alimenti e delle bevande. In pratica si è passati
da una visione della tutela del consumatore incentrata sul controllo di prodotto, ad una che si focalizza sul
controllo di processo. Non si è trattato di un passaggio rapido. Come ben testimoniato dalle continue
resistenze che ancora si incontrano nel fare accettare ad alcuni settori il limitato significato di un controllo
basato principalmente sull'attività di campionamento e di analisi, condotta nella quasi totalità dei casi sui
prodotti finiti. Eppure i risultati raccolti sino al recente passato non sono molto incoraggianti. Se qualcuno
fosse ancora scettico circa l'importanza relativa delle diverse operazioni nelle quali si dovrebbe articolare il
controllo ufficiale, forse può valere la pena di dare uno sguardo alle statistiche ufficiali riportanti, sia a
livello regionale che nazionale, i dati inerenti le attività di prelievo e di analisi ufficiale dei campioni
alimentari. A dar credito ai risultati riportati nelle statistiche ufficiali c'è da pensare che ci si trovi in una
situazione a dire poco ottimale. La percentuale di risultati giudicati irregolari per presenza di germi patogeni
è dello zero virgola qualche cosa o tutt'al più di pochissime unità percentuali. Delle due l'una. O la situazione
igienica sanitaria per quanto riguarda le filiere degli alimenti di origine animale non offre alcun motivo di
preoccupazione, e allora non si capisce perchè lo Stato debba investire ancora massicciamente per le attività
di prevenzione nel settore, oppure le modalità di indirizzo dell'attività campionaria (la scelta di campioni
appartiene ad una branca complessa della statistica che si occupa specificatamente della significatività e della
rappresentatività degli stessi) fin qui attuate sono inefficaci e, a questo punto, inefficienti. Ciascuno tragga le
proprie conseguenze. Il piano alimenti per l'anno 1998 è partito proprio da queste considerazioni. La novità
del decreto 155 ha costituito la sponda per una rivoluzione che si auspica rapida nel modo di fare controlli.
Una rete di controlli non è tanto più efficace quanto maggiore è il numero, ma quanto meglio mirati sono i
campioni eseguiti. A questo punto è chiaro che l'unico modo di cui disponiamo per garantire una più
significativa selezione delle matrici da sottoporre a campione, non può essere che quello di procedere
preventivamente ad una approfondita analisi della situazione in grado di svelare le fasi del processo che
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possono costituire un rischio per sicurezza dei consumatori e per l'integrità degli alimenti. In pratica, prima si
procede all'ispezione, poi, se i risultati sono tali da fare supporre che possano esistere rischi, si procede al
campionamento delle matrici che si riterrà opportuno, indirizzando le analisi di laboratorio alla luce dei
riscontri ispettivi. Tornando al piano alimenti per l'anno 1999, la ripetuta sottolineatura dell'importanza
dell'attività ispettiva, che deve precedere quella di prelevamento, risponde esattamente alla logica di
efficienza e di efficacia alla quale si è appena accennato. Sempre per aumentare l'efficienza dei controlli
ufficiali, la programmazione degli interventi dovrà tenere conto della situazione territoriale dell'azienda
sanitaria, delle caratteristiche demografiche, della presenza e della distribuzione delle attività produttive
suddivise per tipologia. Tutti questi aspetti, che dovrebbero essere specificamente richiamati nel programma
annuale di attività come suggerito dalla circolare 66, permettono una pianificazione coerente degli interventi
di controllo all'interno dei quali è possibile dare attuazione anche all'attività di esecuzione di campioni su
matrici alimentari. Alla luce di questo piano di attività, le indagini suggerite nell'allegato della circolare 3 (e
non riportate nelle circolare 66) debbono essere intese esclusivamente come un suggerimento, un indirizzo,
che in ogni caso dovrà subire il vaglio di una valutazione critica della situazione così come risultante a
seguito dell'ispezione. Massima libertà, quindi, al medico veterinario per quanto riguarda le indagini da
effettuare, anche perchè è solo al momento del prelievo che possono essere determinati in concreto i pericoli
sulla cui sussistenza si vuole andare ad indagare. Chiaramente, sempre se si accetta il principio secondo il
quale l'esecuzione di un prelievo deve essere successiva all'esame della situazione, il fissare a priori il
numero esatto di indagini di laboratorio da effettuare suddivise per matrice e per tipologia di esame a livello
di piano aziendale, perde ogni significato. Sempre in questa ottica, il numero di analisi concordato
inizialmente con i laboratori di riferimento (IZS e PMIP) deve essere inteso esclusivamente come tetto
massimo in relazione alle capacità recettive e operative dei laboratori. Sono ovviamente fatte salve le
situazioni di emergenza quali gli episodi tossinfettive o i prelievi eseguiti in esecuzione di disposizioni di
UVAC/PIF. Un'ultima considerazione in merito alle modalità di programmazione degli interventi di
controllo ufficiale riguarda la loro cadenza nel corso dell'anno. L'esame congiunto dei dati epidemiologici
disponibili con quelli inerenti le attività di prelievo mette in luce una divaricazione tra le due statistiche in
termini temporali. In particolare si sottolinea l'importanza di intensificare le attività di controllo nei mesi
estivi e di inizio autunno, quando più numerose sono le segnalazione di episodi tossinfettivi di origine
alimentare. Queste brevi riflessioni non hanno ovviamente la pretesa di esaurire tutte le tematiche inerenti il
complesso tema dei controlli ufficiali, della loro programmazione e attuazione. Vorrebbero solo fornire
alcuni spunti di discussione tra colleghi. Il fine ultimo non può che essere una sempre maggiore coscienza
del proprio ruolo e un affinamento della propria professionalità.
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