IL LEGIONARIO COMMENTARIVS DEL SOLDATO ROMANO N.2 ANNO I/2 DICEMBRE 2014 – DEC. DEC. MMDCCLXVII AVC [email protected] ROMARS legio secunda britannica V SECOLO: IL PROTOMEDIOEVO SERIE: EPOCHE STORICHE Nell’orizzonte della storia antica di Roma, il V secolo è l’ultimo secolo dell’Impero Romano d’Occidente. Il V secolo suona come un rintocco di una grossa campana bronzea; il V secolo ci appare così lontano dalla tradizionale epoca classica della Roma imperiale che sembra sfumato nei suoi contorni e nebuloso nei suoi contenuti. Il V secolo comincia nell’anno 401, con un impero diviso tra Occidente e Oriente, alla vigilia di un grande conflitto tra Stilicone (350-408), generale romano di origine vandala - che ha la reggenza dell’allora giovanissimo imperatore occidentale Onorio (384-423, imperatore dal 395) - e Alarico (370 ca. - 410), suo pari grado dell’esercito dei Goti. I medievisti, talvolta, usano definire il V secolo come «protomedievale», e ne sottolineano il carattere di “età di transizione” (Hartwin Brandt – L’ epoca Tardoantica- Introduzione – Il Mulino Universal Paperbacks – 2005). Il V secolo comprende la data convenzionale dell’inizio del medioevo (476) e di conseguenza gli elementi e i caratteri della “nuova epoca di mezzo”. Già la data del 476 come definitiva caduta dell’Impero Romano è controversa, in quanto per alcuni questo evento dovrebbe invece coincidere con l’anno 480, quello della morte, in Dalmazia, di Giulio Nepote (430 ca. 480, imperatore dal 474 al 475, de jure fino al 480), ritenuto il legittimo ultimo imperatore di quella residua parte d’impero ormai costituita solo all’area illirica. Infatti «… la fine dell’impero romano d’occidente non significò … la fine dell’antichità romana in occidente e anche i protagonisti degli eventi continuavano ad agire e a fare piani secondo le categorie ideali romane. Così Odoacre continuò a considerare Giulio Nepote come il legittimo imperatore di Roma fino alla sua morte … come mostra inequivocabilmente anche la monetazione del “rex Italiae”» (Hartwin Brandt, op. cit.). Altre date sono però state indicate come segno di variazione epocale, ossia la fine dell’epoca antica e il passaggio, seppur lento e armonico, verso quella successiva. Alcuni propongono l’anno 330, anno in cui l'imperatore Costantino (274 – 337, imperatore dal 306) trasferì ufficialmente la sua sede a Costantinopoli, atto ritenuto come segno della conclusione del lungo periodo che vide Roma e l'Italia centro vitale dell'impero. Per altri, il cambiamento sarebbe da riscontrarsi nel 395, anno della morte di Teodosio (347-395, imperatore dal 379) e della divisione dell'impero romano nella parte occidentale, affidata ad Onorio (384-423, imperatore d’Occidente dal 395) e in quella orientale, affidata ad Arcadio (377-408, imperatore dal 395) una suddivisione, che, per alcuni storici, rappresenta la rottura dell'unità dell'impero e quindi il termine di quel lungo periodo dell’antichità, in cui Roma aveva riunito sotto le sue insegne l'Oriente e l'Occidente. Infine, altra data con un certo consenso è quella del 410, l’anno in cui Alarico, comandante dei Goti, occupò la città di Roma e mettendola a saccheggio, un avvenimento politico e militare ch fece emergere la sensazione della fine della supremazia di Roma, suscitando una profonda impressione in tutto il mondo limitrofo. E con il 410 si è proprio nel V secolo, che, seppur al suo inizio, è un periodo che sembra contenere i semi del medioevo, quindi ritenuto appunto “protomedievale”. Ma cosa caratterizza questo secolo, sin dal suo inizio, in modo tale da considerarlo come un periodo “protomedievale”? Queste interpretazioni - pur distinguendosi tra loro per le date e per gli avvenimenti ricordati sembrano basarsi su un presupposto comune a tutte: ad un certo punto la storia di Roma e con essa l'età antica è da considerarsi conclusa. Ma questa conclusione è, per certi versi definitiva oppure mantiene ancora qualcosa del passato? Pertanto, il ruolo e la funzione di Roma hanno davvero avuto termine in modo netto con il venir meno del suo peso politico? Oppure si è continuato a vivere proseguendo secondo i canoni della vecchia civiltà romana? Seguendo questo ragionamento di fondo si potrebbe sostenere che la nuova epoca è contraddistinta dalla presenza sul territorio europeo dei popoli composti soprattutto da genti germaniche, che mescolandosi con quelle latine e romane e con i popoli già da tempo romanizzati, dettero luogo un nuovo tipo di civiltà. Gli storici che seguono questa teoria insistono sul V secolo, come di un periodo che diede vita ad un'epoca nuova e decisiva per la civiltà dell'Europa. Di conseguenza sorge un’altra domanda: quando in realtà termina l'età antica e inizia il Medioevo? Quale opinione può essere più valida di un’altra o forse solo un coacervo di opinioni può dare la risposta più centrata? Un problema storico che cerca di individuare una data epocale di inizio o di fine può e deve essere considerato da tanti punti di vista, che saranno più o meno originali, più o meno affinati, più o meno profondi a seconda di una visione completa o circoscritta, a seconda del grado di importanza dell’evento giudicato come punto di inizio o di termine sulla base della prospettiva di colui che decide di affrontare il problema. Se per praticità o per convenzione si assume la data fatidica del 476 come momento di passaggio tra l’era antica e quella di mezzo, si può però azzardare a individuare nel V secolo gli elementi che lo possono classificare come proto medioevo. E tra questi elementi non si può dimenticare la nascita e formazione dei regni romano-germanici (da altri definiti anche romano-barbarici.) ASPETTI STORICI ED EPICI Di fatto, già con la crisi della prima metà del V secolo d.C. l'impero romano di Occidente, nell’estensione geografica come raggiunta nel II secolo, non esiste più. Con la loro travolgente avanzata gli invasori (germanici, unni, ecc.) avevano finito per strappare a Roma le più belle e ricche province e per stanziarsi in esse dando origine ai regni romano-germanici (o romano-barbarici). Infatti, già nel 411, l’Impero Romano d’Occidente (legittimo) consiste nell’Italia (comprese Corsica, Sicilia e Sardegna con esclusione della Calabria occupata dai Visigoti), Rezia, Norico, Illiria, Dalmazia e Nord Africa (e forse ancora parte della Britannia). La Gallia è in mano ad usurpatori, per poi passare, verso la fine del V secolo, sotto i Franchi mentre la penisola Iberica è quasi tutta occupata da Alani, Svevi e Vandali. Nel 418 i Visigoti ritornano in Gallia dove fondano il regno di Tolosa (Aquitania), mantenendo un protettorato nella penisola Iberica. Addirittura i Visigoti godono dei privilegi dei veterani perché ufficialmente inquadrati nell’esercito romano. Tra queste invasioni e dagli avvenimenti storici che ne derivarono, ve n’è una che darà origine -in campo letterario – ad una saga epica medioevale, il Poema dei Nibelunghi; in questa saga si narra la distruzione del regno e della potenza dei Burgundi, avvenuta a Worms per opera di Attila. I Burgundi erano un popolo, forse di origine scandinava, che nel V secolo formò il primo nucleo di un regno romanogermanico sulla riva sinistra del Reno (zona dell’attuale Borgogna). Dapprima alleati dei Romani, nonostante il loro status di foederati, i Burgundi compirono razzie ed incursioni nella Gallia Belgica divennero intollerabili e inaccettabili per il governo di Roma. Queste incursioni e saccheggi furono duramente fermati nel 436, quando il generale romano Flavio Ezio, considerato l’ultimo grande comandante romano, chiamò in aiuto i suoi mercenari unni che invasero il regno renano (e la sua capitale sul vecchio insediamento gallo-romano di Borbetomagus, odierna Worms) nel 437. Il loro re Gundicario fu ucciso in combattimento insieme a circa 20.000 soldati burgundi (Prospero, Chronica gallica 452, Idazio e Sidonio Apollinare). Il poema epico, che pare aver trovato una definitiva stesura intorno al 1200, quindi trae i suoi spunti storico-narrativi proprio nel V secolo. Neppure le isole britanniche sono immuni dall'occupazione: al principio del V secolo si registrano le invasioni di Angli, Sassoni e Juti che, dopo aver posto una testa di ponte, cominciano ad installarsi in modo permanente nella provincia britannica. Nel 421 potrebbe essere avvenuta l’ultima partenza delle legioni romane dalla Britannia che ormai non può esser più considerata provincia di Roma. Questo esodo doveva essere cominciato nel 410 quando Onorio aveva inviato una lettera ai romano-britanni invitandoli a provvedere da soli al problema delle invasioni di Sassoni e Angli. Di conseguenza, gli isolati romanobritanni cominceranno ad organizzare una propria difesa, un proprio esercito per contrastare la dilagante invasione sassone. Proprio dalla combinazione di questi eventi comincia a nascere una delle più rilevanti epiche dell’era medioevale, quelle legate alla Materia di Britannia (detta anche Ciclo bretone o Ciclo arturiano). In merito al mito di Re Artù, una scuola di pensiero avanzerebbe l’ipotesi che fosse stato un romano-britannico vissuto nel tardo V secolo e che avesse combattuto il paganesimo sassone. I suoi ipotetici quartieri generali si sarebbero trovati in Galles, Cornovaglia o ad ovest di ciò che sarebbe diventata l’Inghilterra. C’è chi sostiene che la figura di Artù possa coincidere con quella di Ambrosio Aureliano (457?533?), un signore della guerra romano-britannico che vinse alcune importanti battaglie contro gli anglosassoni, tra cui la battaglia del Monte Badon (500?). Nella seconda metà del V secolo, dopo l’ultima grande battaglia, quella condotta da Flavio Ezio (390 ca. - 454) nel 451 nei Campi Catalaunici contro gli Unni di Attila (406 -453) e risoltasi a favore dei Romani e dei suoi alleati, l’Impero romano di Occidente inizia la sua definitiva parabola discendente. Nel 452, considerate le poche legioni imperiali rimaste a difesa della penisola, Attila ritorna in Italia e mette a ferro e fuoco Aquileia; poi conquista e saccheggia Bergamo (Bergomum) e Brescia (Brixia). Successivamente la stessa sorte tocca ad Aquileia i cui abitanti, per scampare all’eccidio, si disperdono nella laguna veneta fondando Grado e Venezia. Mentre pensa di scendere verso l’interno per conquistare Ravenna e Roma, Attila riceve – sul fiume Mincio - una delegazione romana guidata da Papa Leone Magno che lo induce a lasciare l’Italia. Pressato da Ezio che sta per giungere dalle Gallie e da un’armata dell’impero d’Oriente, Attila decide di ritirarsi in Pannonia. In questo periodo, l’Impero Romano d’Occidente (legittimo) consiste nell’Italia, Rezia, Norico, Dalmazia e parte della Gallia (una fascia che va dal centro sud al centro Nord) e una porzione corrispondente alla Libia del Nord. Ma sono la morte di Ezio (454) avvenuta per mano dello stesso Imperatore Valentiniano III (419455, imperatore dal 425) e il nuovo sacco di Roma (455) a decretare l’irreversibile tramonto. Nel marzo del 455, Valentiniano III e il suo ministro Eraclio sono assassinati nei pressi di Roma per mano di alcuni veterani di Ezio che vogliono, così, vendicare il loro generale. Il senatore Petronio Massimo (396 – 455, imperatore dal 17/03/455), forse coinvolto nella questione, è eletto imperatore ma il suo regno dura solo due mesi. Avito è nominato magister militum. Nel luglio del 455, i Vandali, guidati da Genserico (389-477) conquistano la Sardegna e occupano la città di Caralis (Cagliari). Mentre Petronio Massimo muore, i Vandali sbarcano nel Lazio e occupano Roma saccheggiandola per 14 giorni, nonostante le esortazioni del Papa Leone I a risparmiare la città e i suoi abitanti. Lasciata l’Urbe, i Vandali attaccano Nola e la saccheggiano. Genserico rientra a Cartagine portando con sé come prigioniere l’imperatrice Eudoxia, vedova di Valentiniano III, e le sue figlie Eudocia e Placidia.Ad agosto, Teodorico nomina imperatore Avito (395-457, imperatore dal 455) la cui carica viene poi ratificata ad Arles dal Concilium VII Provinciarum. Avito si reca a Roma per ottenere anche il riconoscimento del Senato. In questi due convulsi anni di terrore, caos e disordine, l’ultima speranza per Roma è rappresentata dal nuovo imperatore Maioriano (Iulius Valerius Maiorianus), anche detto Maggioriano: (420?-461; imperatore dal 457). Comandante Romano di un certo successo è considerato l’ultimo vero, grande imperatore dell’Impero occidentale, «[la figura di Maggioriano] presenta la gradita scoperta di un grande ed eroico personaggio, quali talvolta appaiono nelle epoche degenerate, per vendicare l’onore della specie umana» (Edward Gibbon: Storia del declino e della caduta dell’impero romano – cap. XXXVI, s.a.457). Purtroppo il piano politico e militare di Maioriano, piano caratterizzato da una politica estera volta a restaurare il controllo di Roma sulle province perdute (in particolare Gallia, Hispania e Africa) e da una politica interna avente lo scopo di risollevare le finanze imperiali garantendo al contempo equità e giustizia, è destinato al fallimento. Infatti, la sua politica fu resa vana dai tradimenti del suo entourage: da parte di alcuni suoi soldati, che causarono la perdita della flotta necessaria a strappare l'Africa ai Vandali, ma anche e soprattutto di quello del suo generale Ricimero, che, dalle parti di Derthona (Tortona) nel 461, lo fece catturare ed uccidere. Maioriano fu l'ultimo imperatore che mostrò doti e capacità atte a risollevare le sorti dell'Impero romano d'Occidente con le proprie risorse: gli imperatori che gli succedettero fino alla caduta dell'impero nel 476/480 (rispettivamente deposizione di Romolo Augusto e morte di Giulio Nepote) non ebbero mai un potere effettivo, essendo solo strumenti di potere manovrati da generali di origine barbarica o imposti e appoggiati da Costantinopoli. Nel settore militare, le trasformazioni tecniche sono un evidente passaggio tra le due età, passaggio rappresentato sia dell’equipaggiamento sia dell’architettura. Il soldato dell’esercito romano ha un aspetto che ricorda più un guerriero medioevale che non il legionario del periodo classico, indossando elmi con paranaso, cotte di maglia, oppure presentandosi completamente corazzato (cavalleria catafratta) e utilizzando armi quali l’arcobalestra o mazze ferrate. Nel frattempo, l’architettura militare ha trasformato le città che ora vengono fortificate da possenti mura mentre gli antichi castra sono - pian piano – sostituiti da fortezze che saranno il preludio ai castelli medioevali. In ambito religioso occorre ricordare la figura di S. Agostino considerato il primo pensatore o filosofo medievale. Agostino di Ippona (354-430) fu vescovo neoplatonico e conciliò la filosofia greca con la fede cristiana. Considerato il primo dei padri della Chiesa, in una delle sue opere più rilevanti, La città di Dio (De civitate Dei contra Paganos, "La città di Dio contro i Pagani"), in 22 libri, iniziato nel 413 e terminato nel 426; Agostino esplicò la sua risposta ai pagani che attribuivano la caduta di Roma (410) all'abolizione del Paganesimo. Considerando il problema della Divina Provvidenza applicato all'Impero romano, egli allargò l'orizzonte e creò la prima filosofia della storia, abbracciando con uno sguardo i destini del mondo raggruppati intorno alla religione cristiana. La città di Dio è considerata il più importante lavoro del vescovo di Ippona. Mentre le Confessioni sono teologia vissuta nell'anima e rappresentano la storia dell'azione di Dio sugli individui, La città di Dio è teologia incastonata nella storia dell'umanità che spiega l'azione di Dio nel mondo; l'opera costituisce una vera e propria apologia del Cristianesimo messo a confronto con la civiltà pagana, oltre a fornire riflessioni sulla "grandezza e l'immortalità dell'anima". In essa Agostino cerca di dimostrare che la decadenza della cosiddetta città degli uomini (contrapposta a quella di Dio e da lui identificata proprio con l'Impero romano d'Occidente) non poteva essere imputata in alcun modo alla religione cristiana, essendo il frutto di un processo storico teleologicamente preordinato da Dio. Considerato «il massimo pensatore cristiano del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell'umanità in assoluto»(Antonio Livi), S. Agostino è ritenuto anche il primo filosofo dell’età medioevale. Il V secolo termina nel 500. Questa è la data (convenzionale) della battaglia del Monte Badon dove i Romano-Britannici e i Celti sconfiggono un esercito anglo-sassone che potrebbe essere stato guidato dal bretwalda (titolo nobiliare sassone equivalente a “re”) Aelle del Sussex (la data del 500 è approssimativa e convenzionale: potrebbe spaziare dal 490 al 510). Questa battaglia è quella inserita nella leggenda di Re Artù. Il 500 vede già da sette anni Teodorico (454-526) re degli Ostrogoti a guida del regno romanogermanico d’Italia. La parte orientale dell’Impero romano proseguirà per circa altri dieci secoli. Bibliografia di riferimento: F. Angeletti – L’ultima speranza di Roma – Edizioni Chillemi Hartwin Brandt – L’ epoca Tardoantica- Introduzione – Il Mulino Universal Paperbacks – 2005 Edward Gibbon: Storia del declino e della caduta dell’impero romano F. Bareato – F. Maccarini – Tra storia e leggenda – casa Editrice Aurelia – Roma – In copertina: Comandante romano della cavalleria catafratta alla difesa di Roma contro Alarico A ROMA SI DICEVA COSÌ “RES AD TRIARIOS REDIIT” «la faccenda è arrivata ai triari» Res ad Triarios rediit è una locuzione latina, traducibile con " la faccenda è arrivata triari ". Tradizionalmente indicava una battaglia particolarmente cruenta dove, per riuscire a ribaltarne le sorti, si era costretti a ricorrere alla terza linea dello schieramento della legione romana, appunto ai Triari. I ranghi dei Triari erano costituiti dai veterani più esperti e con equipaggiamento migliore: dotati di una lunga lancia combattevano alle spalle dei Principes e degli Astati, vibrando il colpo finale allo schieramento nemico o salvando la situazione nei momenti più critici. In senso più figurato può essere usato come espressione per indicare la volontà di battersi fino in fondo ad ogni costo, oppure per indicare una situazione in cui si è costretti ad impiegare le ultime risorse disponibili. ai un modellino raffigurante un triario in posizione di pre-difesa GLADIATURA LA SICA La sica (o sica supina) era una spada usata nell'antica Roma, l'arma abituale del gladiatore trace. Dapprima venne rappresentata come una spada curva (come nel mosaico di Zliten e in numerose lampade a petrolio) con una lama lunga circa 40-45 centimetri; più tardi, dal termine del I secolo d.C., la lama della sica presentava una curvatura ancor più netta, di quasi 45 gradi. Mentre le prime sicae si presentavano con lama ad un solo taglio, quelle successive erano evidentemente a doppio taglio. La forma specifica era progettata per aggirare i lati dello scudo del nemico, pugnalarlo o trapassarlo dalla schiena. Siccome l'avversario abituale del gladiatore trace era il mirmillone dotato del grande scudo (lo scutum), un'arma come la sica era necessaria per rendere il duello più equilibrato ed eccitante. La sica era l'arma comunemente usata dai Sicani (da cui deriva il termine sica e sicario) e dai Traci, ed è visibile nelle loro mani lungo tutta la Colonna traiana. Stile di combattimento La sica veniva usata solamente con la curva rivolta verso il basso, concava, e lo stile di combattimento era simile a quello del Kama. Consentiva, se usata con maestria, di tranciare un arto con facilità. Era molto temuta dai legionari romani, e comportò delle modifiche nella progettazione delle loro armature. Questa spada poteva anche essere usata, in mani esperte, per uccidere in un colpo solo. Mantenendo la curvatura rivolta verso il basso la punta si sarebbe con facilità agganciata all'elmo del nemico. Il trace poteva smuovere poi la spada dirigendola verso l'alto entro la mascella e attraverso la faccia uccidendolo all'istante. Un omaggio dell’Artista Raffaele Caruso alla nostra Legio II Britannica Combattendo nelle nebbie, Legio II britannica, fine del IV sec d.C. In “La storia attraverso le illustrazioni di Raffaele Caruso” – Roma Antica AVVENIMENTI ED EVENTI DICEMBRE 2014/GENNAIO 2015 12/13/14 DICEMBRE “Festa di Nostra Signora di Guadalupe” (Roma) – L’associazione ROMARS fornirà il servizio d’ordine tramite i suoi associati. 19 DICEMBRE h17 . all’interno della mostra “Gladiatores” dell’Arch. Silvano Mattesini – conferenza su “LE COORTI PRETORIE E LE COORTI URBANE” relatore: Paolo Belocchi –ROMARS. http://www.stadiodomiziano.com.eventi 23 DICEMBRE probabile partecipazione della Legio X Fretensis al Presepe Vivente a Maltignano di Cascia (PG) . 6 GENNAIO 2015 “Viva la Befana” - Corteo Storico in S. Pietro – Legio II Britannica.