123 GRAMSCI E I QUADERNI DEL CARCERE FILOSOFIA DELLA

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Anno XXXIV, n. 3 BIBLIOTECA DI RIVISTA DI STUDI ITALIANI Dicembre 2016
GRAMSCI E I QUADERNI DEL CARCERE
FILOSOFIA DELLA PRASSI IN ANTONIO GRAMSCI
ANGELA MICHELIS
Università degli Studi di Torino
L
’attività teorica e l’attività pratica in Antonio Gramsci si intrecciano
profondamente al punto da essere unificate a partire dalla sua stessa
persona ed esistenza e proprio per questo assumono quella dinamicità
che appartiene alla vita, che è continua creazione e rivoluzione, invenzione e
innovazione, movimento dialettico aperto. Il suo essere intellettuale, uomo
moderno di cultura e filosofo, non si disgiunge dall’impegno nell’azione con
una ricerca di coerenza sconosciuta ai più, ma che pur risulta evidente e chiara
come un faro che rischiara con luce forte e insopprimibile le notti buie
dell’umanità e rimane torre di riferimento al risorgere del giorno.
Così anche oggi si torna all’eredità del pensiero di Gramsci, e in particolare
agli scritti elaborati nella cella di un carcere fascista, in solitudine e
nell’incertezza del domani, tra i dubbi della mente e i tormenti di un corpo
indebolito dalle privazioni e dalle persecuzioni. Si cercano in quegli scritti, che
l’autore non ha potuto revisionare ed editare personalmente e dunque si
presentano come provvisori, indicazioni per rivificare e indirizzare in modo
proficuo il significato e i modi del rapporto tra il ruolo degli intellettuali e la
funzione e l’organizzazione della cultura nella società a partire dalla modernità,
rapporto ormai centrale per la storia materiale umana.
Per Gramsci fin dagli anni giovanili1, l’essere umano è creazione storica e
non natura, che gradualmente ha acquistato coscienza del proprio valore
individuale e collettivo e ha pensato alla possibilità di vivere in modo diverso
dagli schemi imposti da minoranze. Tale presa di coscienza graduale si è
dapprima formata grazie alle riflessioni di pochi e successivamente si è diffusa
a tutta una classe sociale, come per epidemia, e ha permesso di individuare
ragioni e metodologie utili per passare da situazioni di asservimento a ribellione
e infine a ricostruzione sociale.
I cambiamenti reali avvengono quando si convincono coloro che cercano di
risolvere i problemi quotidiani secondo il loro tornaconto economico e politico
che la chiave di volta delle situazioni sociali è la solidarietà con chi si trova in
1
Cfr. A. Gramsci, Cronache torinesi. 1913-1917, a cura di S. Caprioglio,
Torino: Einaudi, 1980, pp. 100-101.
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situazioni comuni di difficoltà, pur se con gradazioni o motivazioni differenti.
Ciò può avvenire se vi è un cambiamento culturale, se la cultura non è intesa
come un sapere enciclopedico da esibire in società, ma diventa conoscenza di
se stessi, acquisizione di consapevolezza di sé, organizzazione e disciplina del
proprio io interiore. In tal modo si può giungere a comprendere la propria
collocazione e funzione storica, i propri doveri e i propri diritti.
Coloro che possono dare un forte contributo alla cultura e dunque alla
società, gli intellettuali, hanno il compito di criticare decostruttivamente le
concezioni del mondo che non hanno più spinte progressive ma tendono alla
conservazione di uno status quo escludente. Essi hanno il ruolo di anticipare
teoricamente e indirizzare le azioni proprie e collettive verso un processo
storico reale che conduca dialetticamente a una situazione di giustizia formale
e sostanziale.
Occorre per Gramsci, infatti, analizzare e criticare le ideologie dominanti
per poter attuare consapevolmente un progetto politico costruttivo che per
essere tale, tuttavia, non può non occuparsi di permeare la cultura del tempo e
favorire aggregazione; ecco ciò che ancor oggi sarebbe necessario vedere in una
filosofia che vuole farsi azione nella ricerca del bene comune, ovvero in
politica. Questa volontà di connettere nell’approcciarsi ai problemi della storia
reale metodo scientifico e azione costruttiva verso la risoluzione o comunque il
miglioramento delle condizioni di vita per tutti, in particolare per gli ultimi, è il
senso e il significato del tornare alle pagine di Gramsci, quale fonte di
ispirazione. Tali pagine nella loro essenza rimangono sempre veritiere se si è
accomunati dall’idea della necessità della solidarietà e del condividere per
quell’animale politico che è l’essere umano, dell’unità al di là di tutto ciò che
ci rende differenti. Gramsci stesso fu in primo luogo un politico teso fino al
costo della vita stessa a tenere insieme fedelmente teoria e prassi.
Potremmo dire con Kant che egli è uno di quei testimoni della fattualità
della libertà in un mondo dove vige la legge necessaria della conflittualità per
la sopravvivenza individuale, uno di quei testimoni di stupefacente elevatezza
morale pur nella miseria dell’essere umani. Egli riesce, anche in condizioni di
persecuzione e sofferenza, a mantenere viva la fiducia nella ragione del genere
umano e nei Quaderni del carcere2 annota che il pensare è proprio dell’uomo e
questa sua intrinseca caratteristica porta ogni individuo a essere filosofo e, per
tale motivo, afferma che non si può definire un uomo non-intellettuale perché i
“non-intellettuali non esistono”3.
Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento
intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni
2
Cfr. ID., Quaderni del carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura
di V. Gerratana, Torino: Einaudi, 19751- 20144, Vol. II, pp. 1342-1343.
3
Cfr. ID., Quaderni del carcere, Vol. III, pp. 1550-1551.
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uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività
intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa
di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta
morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione
del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare4.
Certamente si possono riscontrare differenze di grado, non differenze
qualitative ma quantitative. “Il filosofo professionale o tecnico non solo ‘pensa’
con maggior rigore logico, con maggiore coerenza, con maggiore spirito di
sistema degli altri uomini, ma conosce tutta la storia del pensiero, cioè sa
rendersi ragione dello sviluppo che il pensiero ha avuto fino a lui [...]”5. È uno
specialista del pensare, come lo scienziato si specializza nel suo campo
disciplinare, ma l’averli resi troppo simili ha portato a una figura caricaturale
del filosofo, perché questi dovrebbe essere intrinsecamente vicino agli altri
uomini, più di ciò che avviene per gli specialisti delle differenti scienze. Dunque
i filosofi dovrebbero essere i primi a essere coscienti di esercitare una funzione,
un ruolo nella storia, di poter influenzare, mutare, innovare le concezioni del
mondo, le relative norme di condotta, l’attività pratica6. Tutti possono, tuttavia,
essere permeati dalla filosofia, superando le passioni elementari e bestiali e
rendendosi conto della razionalità e necessità insita nella storia; nella
prospettiva gramsciana come in quella marxiana, inoltre, tale consapevolezza
non deve portare a subire la storia ma a governare tali processi e renderli
emancipatori.
La cultura di un’epoca, infatti, è determinata da quei gruppi dirigenti che
sanno guidare l’insieme delle elaborazioni teoriche degli intellettuali e delle
istanze popolari: “storia e filosofia sono inscindibili in questo senso, formano
‘blocco’”7. Questo fenomeno è in realtà politico e pratico, frutto di lotta fra ciò
che è ritenuto razionale e ciò che è ritenuto irrazionale in un dato momento
storico necessariamente in fieri e, sostiene Gramsci, nella storia moderna i
protagonisti di tale “blocco”, i soggetti della storia, sono divenute le masse.
Così anche il termine “particolare” non può più indicare solamente l’interesse
individuale perché “l’individuo” non è l’individuo biologico ma è il gruppo
sociale dal punto di vista storico-politico. “Solo la lotta, col suo esito, e neanche
col suo esito immediato, ma con quello che si manifesta in una permanente
vittoria, dirà ciò che è razionale o irrazionale, ciò che è ‘degno’ di vincere
perché continua, a suo modo, e supera il passato”8.
4
Ibidem.
ID., Quaderni del carcere, Vol. II, pp. 1342-1343.
6
Cfr. Ibidem, pp. 1255-1259.
7
Ibidem, p. 1255.
8
Ibidem, p. 690.
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Anche l’elevato intellettuale “deve democratizzarsi, essere più attuale”9
uscire dalla torre d’avorio delle tradizioni consolidate e tenere in conto il ruolo
attivo e la partecipazione diretta di masse sempre più ingenti agli eventi sociali.
Il teorico, se vuole continuare a guidare i percorsi di evoluzione della cultura,
non può esimersi dal “tuffarsi nella vita pratica “ e “diventare un organizzatore
degli aspetti pratici della cultura”, avendo chiara consapevolezza del ruolo
chiave che il momento culturale svolge nell’attività pratica collettiva. A tal
proposito Gramsci scrive:
[...] ogni atto storico non può non essere compiuto dall’“uomo
collettivo”, cioè presuppone il raggiungimento di una unità “culturalesociale “per cui una molteplicità di voleri disgregati, con eterogeneità di
fini, si saldano insieme per uno stesso fine, sulla base di una (uguale) e
comune concezione del mondo (generale e particolare, transitoriamente
operante – per via emozionale – o permanente, per cui la base
intellettuale è così radicata, assimilata, vissuta, che può diventare
passione). Poiché così avviene, appare l’importanza della questione
linguistica generale, cioè del raggiungimento collettivo di uno stesso
“clima” culturale10.
Tali considerazioni illuminano e danno direzione di senso anche alla
moderna dottrina e pratica pedagogica ed educativa nel suo complesso, dove
l’atto educativo è divenuto rapporto attivo che si costruisce sulla base di
modalità di reciprocità nelle relazioni tra maestro e allievo. Tale modalità, a ben
vedere, non si limita alle esperienze che avvengono negli ambienti scolastici e
universitari ma riguarda tutta la società, coinvolge ogni individuo nel rapporto
con altri individui, i ceti intellettuali nel rapporto con i ceti non intellettuali, i
governanti con i governati, le élites e i seguaci, i dirigenti e i diretti, le
avanguardie e i gregari. Così, a livello nazionale, ma anche internazionale e
mondiale, nelle varie civiltà, il rapporto di “egemonia” assume, secondo
Gramsci, i tratti di un rapporto pedagogico.
Il filosofo, come ogni essere umano che si confronti in modo attivo con
l’ambiente culturale che lo circonda, si trova di fronte a un “maestro” in quanto
nel porgli dei limiti esso lo costringe a una continua e vitale autocritica nel
procedere della praxis, dell’“attività sensibile umana”. Certo gli esseri umani
sono il prodotto dell’ambiente e dell’educazione, ma ogni ambiente si modifica
nell’interazione e tutte le forme di umanità rientrano in questa dinamica di
influenze incrociate.
La stessa questione della verità è essenzialmente una questione pratica più
che teorica, viceversa rimarrebbe una questione puramente di scuola poiché è
9
Ibidem, p. 689.
Ibidem, p. 1331.
10
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FILOSOFIA DELLA PRASSI IN ANTONIO GRAMSCI
“nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il
potere, il carattere terreno del suo pensiero”11 ed è nella praxis che si verifica e
si trasforma una verità significante per le comunità. La visione che la ricerca
della verità teorica si realizzi nella storia e sia essenzialmente storia, la
concezione della filosofia intesa come storia della filosofia e dunque storia,
sono elementi che Gramsci ha in comune con Benedetto Croce, con cui ha
instaurato interiormente un dialogo e un confronto intellettuale fin dalla sua
formazione, ma da cui si distanzia quanto più si avvicina a Marx.
Trova radicali differenze con le posizioni positiviste, tra cui quella di
Roberto Ardigò12, che critica fortemente definendolo un “tiepido democratico
che riduce i nuovi movimenti di massa a una sorta di ‘ventraiolismo’”. Così
come sottolinea che ridurre la filosofia della praxis a sociologia porta a una
sorta di cristallizzazione del materialismo riducendo la concezione del mondo
a “un formulario meccanico che dà l’impressione di avere tutta la storia in
tasca”13. Non nega, tuttavia, che costruire compilazioni empiriche di
osservazioni pratiche apra a una comprensione più approfondita, anzi riconosce
l’importanza metodologica che i fatti particolari vengano osservati, verificati e
precisati nella loro individualità. A tal proposito, annota: “non si può escludere
l’utilità pratica di identificare ‘certe leggi di tendenza’ più generali che
corrispondono nella politica alle leggi statistiche o dei grandi numeri”14 e che
sono alla base del progresso di molte scienze naturali. Anzi progressivamente
si convincerà sempre più dell’aspetto ormai imprescindibilmente
complementare che le scienze svolgono nella cultura moderna e
contemporanea, come testimoniano anche gli scambi epistolari dal carcere.
Il materialismo storico di Karl Marx diviene uno dei centri d’interesse che
maggiormente lo coinvolge sia nell’approfondimento sia nel cercare
un’evoluzione del concetto marxiano stesso, condividendone le asserzioni
strutturali ma cercando di dialettizzarle ulteriormente per avvicinarle
maggiormente al movimento vitale della storia. Nella produzione sociale gli
esseri umani entrano a far parte di rapporti di produzione determinati, necessari
che corrispondono a un grado di sviluppo delle forze materiali e l’insieme di
questi rapporti costituisce la struttura economica della società che ne è la base
reale sulla quale si fonda la sovrastruttura giuridica, politica, culturale e
religiosa. L’essere sociale determina la coscienza degli uomini mentre la
coscienza di un singolo può fare poca cosa per influire nel modo di essere
sociale, se non portare una testimonianza che abbia il significato di
un’avanguardia per la storia dei vinti. Nella dialettica storica a un certo grado
11
ID., Quaderni del carcere, Vol. III, p. 2355.
Cfr. ID., Quaderni del carcere, Vol. I, pp. 427-430 e Vol. III, pp. 18501854.
13
ID., Quaderni del carcere, Vol. II, p. 1428.
14
Ibidem, p. 1429.
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di sviluppo le forze materiali di produzione emergenti entrano in contraddizione
con i rapporti di produzione ovvero con i rapporti di proprietà nei quali erano
stati inclusi più o meno organicamente. Così ciò che prima era funzionale allo
sviluppo delle forze produttive si muta in ostacolo e questo si ripercuote sulla
sovrastruttura che a sua volta ricerca un nuovo equilibrio con il mutamento
economico, sovvertendosi.
Tali mutamenti sono scientificamente osservabili a partire dalle
contraddizioni della vita materiale, dalla tipologia del conflitto esistente fra le
forze produttive e i rapporti di produzione, dalle sue cause e dalle sue tendenze
di sviluppo. Una formazione sociale muta se non è più per nulla funzionale alle
forze produttive emergenti che divengono maggioranza, poiché forte è la
resistenza delle vecchie conformazioni sociali, la volontà di conservazione
dello status quo da parte di chi ne gode i privilegi, delle élite di un periodo
storico. Ogni cambiamento strutturale non è immediato, come non è immediato
giungere al momento della rivoluzione: occorre prenderne coscienza
collettivamente nel tempo.
Secondo Marx le grandi rivoluzioni sociali, che portano a un mutamento di
struttura economica tale da comportare ciò che può venir designato come un
passaggio da un’epoca a un’altra nella storia dell’umanità, si realizzano là dove
“le condizioni materiali della sua risoluzione esistono già o almeno sono nel
processo del loro divenire”15. Gramsci vorrebbe procedere con Marx nella
direzione del compimento della critica della dialettica hegeliana secondo il
percorso tracciato dai suoi allievi di sinistra, ovvero di apertura e di
emancipazione. Ciò comporta in questo interprete la ricerca di diversificare la
posizione dello storicismo materialistico marxiano dalle concezioni fatalistiche
della storia, siano esse di matrice provvidenzialista, positivista o naturalista. Per
queste motivazioni si sofferma sul ruolo della volontà soggettiva dell’io da cui
parte il confronto con l’altro e con il gruppo per farsi volontà collettiva nella
coscienza di classe. Considerando tale tensione teoretica e pratica, potremmo
dire esistenziale, si può intendere meglio il suo richiamarsi negli articoli di
Ordine Nuovo e nelle lettere dal carcere al “pessimismo dell’intelligenza” e
all’“ottimismo della volontà” per la realizzazione della filosofia della praxis,
che è azione politica.
Il “problema dei rapporti tra struttura e superstrutture”16 è da Gramsci
interpretato secondo le linee indicate da Marx, perciò egli si sente allievo fedele
al nucleo portante del pensiero del maestro e riflette che il concetto di
“ortodossia” rispetto ai testi marxiani “deve essere rinnovato e riportato alle sue
origini autentiche”17. L’ortodossia, infatti, deve essere cercata, secondo questo
15
ID., Quaderni del carcere, Vol. III, p. 2359, brano tradotto dalla prefazione
di Marx, Per la critica dell’economia politica (1859).
16
Ibidem, p. 1578.
17
ID., Quaderni del carcere, Vol. II, p. 1434.
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FILOSOFIA DELLA PRASSI IN ANTONIO GRAMSCI
marxista, proprio nella “filosofia della praxis”, perché essa “contiene in sé tutti
gli elementi fondamentali per costruire una totale ed integrale concezione del
mondo, una totale filosofia e teoria delle scienze naturali, non solo, ma anche
per vivificare una integrale organizzazione pratica della società, cioè per
diventare una totale, integrale civiltà”18. Essa è veramente rivoluzionaria
rispetto al vecchio mondo, è trasformazione di tale mondo, è identità di storia e
filosofia19, una maniera “completamente nuova “ e “originale” di concepire la
filosofia20. Così per quanto riguarda l’espressione “materialismo storico”
Gramsci sostiene che si è dato maggior peso al primo elemento mentre
occorrerebbe darlo al secondo elemento in quanto “Marx è essenzialmente uno
‘storicista’”21.
La filosofia della prassi, situandosi al centro di tale concezione del mondo
e della vita, sostiene, appunto, che “ogni ‘verità’ creduta eterna e assoluta ha
avuto origini pratiche e ha rappresentato un valore ‘provvisorio’”22 e tale
interpretazione, per coerenza, non può non essere applicabile a questa stessa
filosofia. Certo Gramsci, da uomo politico qual è, riconosce che questo doppio
tribunale della ragione potrebbe essere deleterio per “quei convincimenti che
sono necessari per l’azione”. Se si rinuncia, tuttavia, alla profondità di tale
analisi e alla relativa consapevolezza critica si ricade in quelle forme
ideologiche che la stessa filosofia della prassi connota con “un giudizio di
disvalore sia come ‘scienza delle idee’ sia come ‘sistema di idee’, in quanto
nella loro pretesa di validità incondizionata peccano di astrattezza, si
irrigidiscono e inevitabilmente tendono alla conservazione più che a guidare il
cambiamento, quindi fungono in qualche modo da ‘superstruttura’”23. Il
filosofo della praxis per essere efficacemente tale, nel suo ruolo di guida, non
potrà non cercare un bilanciamento fra questi elementi di problematicità
direttamente nell’azione politica, nella ricerca del bene comune, tenendo unite
dialetticamente teoria e prassi nel vivo della storia.
Facendo proprie la considerazione di Marx sul fatto che una teoria che
penetri fra le masse si possa trasformare in forza materiale24, egli torna a
pensare il rapporto fra struttura e superstruttura e proprio in virtù del processo
dialettico reale che le coinvolge vi vede una reciprocità maggiormente
biunivoca rispetto a altre letture marxiste a lui contemporanee, pur
riconoscendo la struttura come l’elemento chiave per la formazione delle
18
Ibidem.
Cfr. Ibidem, p. 1241.
20
Cfr. ID., Quaderni del carcere, Vol. I, p. 433.
21
Ibidem.
22
ID., Quaderni del carcere, Vol. II, p. 1489.
23
Cfr. Ibidem, p. 1491.
24
Cfr. Ibidem, p. 869.
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ideologie e delle modalità dei rapporti sociali25. Gramsci porta l’attenzione sulla
potenza delle ideologie come mezzo di dominio di massa se unite a una
persuasiva modalità comunicativa e certamente la situazione storica italiana del
momento già attestava la veridicità delle sue riflessioni.
Egli ritiene comunque importante ottenere consenso per realizzare la
propria visione marxista del mondo e lo ritiene compito essenziale ma lungo e
difficile. A tal fine, mette in guardia dall’errore di matrice illuministica di
pensare che “un’‘idea chiara’ opportunamente diffusa” penetri nelle menti con
le stesse caratteristiche di chiarezza, in quanto la “capacità dell’intellettuale di
professione di combinare abilmente l’induzione e la deduzione, di
generalizzare” e di adattare un criterio alle nuove condizioni non sempre è un
dato del “senso comune”, che invece è più incline a prediligere l’illusione
passionale ed esplosiva allo spirito critico. Occorre, dunque, lavoro educativoformativo condotto con pazienza e sistematicità nella ripetizione, individuando
giusti canali di comunicazione attraverso l’analisi della società: “Trovare la
reale identità sotto l’apparente differenziazione e contraddizione e trovare la
sostanziale diversità sotto l’apparente identità, ecco la più essenziale qualità del
critico delle idee e dello storico dello sviluppo sociale”26. Gramsci afferma che
ci sia, tuttavia, una differenza fondamentale tra la filosofia della praxis e le altre
forme di filosofia o politica in quanto:
non è lo strumento di governo di gruppi dominanti per avere il consenso
ed esercitare l’egemonia su classi subalterne; è l’espressione di queste
classi subalterne che vogliono educare se stesse all’arte di governo e che
hanno interesse a conoscere tutte le verità, anche le sgradevoli e ad
evitare gli inganni (impossibili) della classe superiore e tanto più di se
stesse. La critica delle ideologie, nella filosofia della praxis, investe il
complesso delle superstrutture e afferma la loro caducità rapida in
quanto tendono a nascondere la realtà, cioè la lotta e la contraddizione,
anche quando sono “formalmente” dialettiche (come il crocismo) cioè
spiegano una dialettica speculativa e concettuale e non vedono la
dialettica nello stesso divenire storico27.
La fase decostruttiva, attività di scardinamento dei vecchi e ormai infecondi
rapporti economico-sociali, che attende il nuovo soggetto politico dell’età
moderna e contemporanea, “l’uomo collettivo”, non risulta meno impegnativa
della fase costruttiva ed entrambe richiedono “il raggiungimento di una unità
25
Cfr. Ibidem, pp. 1051-1052.
ID., Quaderni del carcere, Vol. I, pp. 33-34.
27
ID., Quaderni del carcere, Vol. II, p. 1320.
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FILOSOFIA DELLA PRASSI IN ANTONIO GRAMSCI
‘culturale-sociale’”, che rende evidente, a Gramsci, la centralità del “momento
culturale” nell’attività pratica collettiva28.
Sinteticamente eloquente è la descrizione dei tratti del politico-filosofo, che
Gramsci individua nel quaderno tredici, intitolato Notarelle sulla politica del
Machiavelli: egli ha il compito di stimolare e creare ma partendo dalla realtà
effettuale e non dal “vuoto torbido” dei suoi desiderata.
Applicare la volontà alla creazione di un nuovo equilibrio delle forze
realmente esistenti ed operanti, fondandosi su quella determinata forza
che si ritiene progressiva, e potenziandola per farla trionfare è sempre
muoversi nel terreno della realtà effettuale ma per dominarla e superarla
(o contribuire a ciò). Il “dover essere” è quindi concretezza, anzi è la
sola interpretazione realistica e storicistica della realtà, è la sola storia in
atto e filosofia in atto, sola politica29.
Altrettanto significativa è l’idea sorta dalla lettura delle pagine di
Machiavelli che “il moderno principe” non possa più essere un singolo, ma
debba essere un organismo che fa delle sue specializzazioni un’unità nella
condivisione di un progetto politico che veda nella solidarietà l’obiettivo e la
metodologia dell’azione. Per Gramsci tale organismo è il partito e oggi, in piena
crisi di tale composizione di forze politiche, le sue analisi non paiono, a un
osservatore attento, superate nella loro essenza ma indicano ciò che in realtà è
ancora da realizzare. Sono parole piene di significato, lascito di un filosofo della
praxis “creatore” e “suscitatore” di nuove direzioni oltre lo stallo di uno sterile
e vetusto status quo.
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28
29
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ID., Quaderni del carcere, Vol. III, p. 1578.
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