la vista di Van Gogh
In una sera d’autunno, un giovane uomo aprì la finestra della propria
stanza per meravigliarsi della vita. Dopo un anno tumultuoso, dipinse la sua
vista su Saint Rémy, raffigurando
un villaggio pittoresco illuminato
da un cielo splendente con la
luna e le stelle, in movimento con
onde di luce, un cielo vivo pieno
di movimento e colore. Un
cipresso
ardente
come
una
fiamma
unisce
il
villaggio
silenzioso con la fecondità della
vita di sopra, come un unione
con le case, le strade e spirali e i
dintorni vividi che testimoniano il
suo sonno.
“Questa mattina
dalla mia finestra guardai la
campagna, molto tempo prima
del sorgere del sole, e non c’era che la stella del mattino, che sembrava molto
grande”, scrisse più tardi, quasi come un promemoria per un ricordo ora
sostituito dalla sua vivida rappresentazione artistica.
Lo stile post impressionista di Vincent Van Gogh stava sperimentando
una nuova prospettiva sull’arte. Similmente alle opere degli amici come
Gauguin e Monet, si propose di dipingere meno gli oggetti fissi di una scena e
più della sua esperienza soggettiva e interiore delle cose incantevoli davanti a
lui. “Dipinse le sue reazioni artistiche, poetiche ed emozionali, le sue visioni”,
spiega uno esperto. [1] Considerata da molti il capolavoro di Van Gogh, La
notte sellata riunisce perciò un’impressione, un’intuizione, una reazione. E’ una
scena proveniente da un punto di vista. E’ un amalgama di sentimenti di un
artista che ci invita alla sua esperienza di realtà.
In altre parole, La Notte
Stellata è una rappresentazione
visiva della soggettività. Van Gogh e
molti altri pittori illustrano con tela e
pennelli che il nostro non è un
avvicinarci alle scene in modo
passivo,
senza
interesse
o
prospettiva,
ma un investire
qualcosa di noi stessi in ogni cosa
che sperimentiamo. Diamo significato
ed emozione alle situazioni davanti ai
nostri occhi. Ci uniamo ad esse, per
così dire, con la nostra esclusiva condizione di spirito e personalità. Proiettiamo
una parte della nostra anima negli eventi e nelle persone che ci circondano e in
cambio facciamo sì che fluiscano dentro di noi. Come esseri che sperimentano
il mondo, con ogni nostro atto di vita comunichiamo noi stessi.
E vogliamo che gli altri comunichino
con noi. Poiché quando diamo noi stessi,
quando cospargiamo la realtà con il nostro
cuore, quando riversiamo il nostro stato
interiore sulla natura e inondiamo la realtà
con il nostro spirito, quando ribolliamo con
tutto il nostro essere e le nostre emozioni e
trabocchiamo di noi stessi tutt’intorno,
bramiamo incontrare un Altro, bramiamo
incontrare e interagire, trovare il compagno
di vita. Vogliamo che il cielo stellato sia
realmente vivo, vogliamo i suoi colori e i suoi
movimenti, vogliamo vedere qualcosa del
nostro spirito in esso. Vogliamo che la luna
splenda e la brezza soffi e che la stella del
mattino porti l’alba dietro a sé. Vogliamo che
la natura danzi e parli con noi, perché
desideriamo ancora Qualcuno di più alto,
qualcuno che animi i dintorni, qualcuno che
spanda anche la Sua anima in tutto ciò, un segno della vita celeste, qualcuno
che testimoni il nostro sonno.
René Breuel
cesanlorenzo.it
[1] Vincent van Gogh, come citato al Museum of Modern Art, a New York.
[2] H. R. Rookmaaker, Modern Art & The Death of a Culture (Downers Grove: InterVarsity
Press, 1970), 94.