L`etica professionale presupposta (onestà intellettuale)

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L’etica professionale presupposta (onestà intellettuale)
Rogério Gomes, C.Ss.R1
Introduzione
In genere la vita dei professionisti è regolata dai codici deontologici. Deontos –
dovere/obbligo – Ci sono dei codici deontologici per i medici, per i dentisti, per i giornalisti,
per tutte le categorie di lavoratori. Per i ricercatori non esiste un codice deontologico
specifico, di solito si segue ciò che si è imparato sull'etica professionale e dalla stessa
professione. Per la teologia morale questo codice non viene esplicito in un 'corpus', ma è
implicito a causa della stessa condizione del teologo moralista: “in quanto il teologo moralista
è in ricerca della verità”. Diversamente dagli altri ricercatori, a causa del suo dovere, e per
essere un vero testimone nel mondo professionale, il teologo moralista deve essere un fedele
ricercatore, dialogando con gli altri campi del sapere e elaborando la sua ricerca colmata dai
principi etici.
1 Il modo di procedere serio ed onesto
L’Istruzione Donum veritatis afferma: “Nel corso dei secoli la teologia si è
progressivamente costituita in vero e proprio sapere scientifico. È quindi necessario che il
teologo sia attento alle esigenze epistemologiche della sua disciplina, alle esigenze di rigore
critico, e quindi al controllo razionale di ogni tappa della sua ricerca” (Dver 9a). Infatti,
l’elaborazione di un testo come risultato di una ricerca scientifica oppure l’attività accademica
giornaliera comprende lo studio sul serio delle fonti e degli studi e, nella tessitura del testo, le
citazioni, traduzioni, parafrasi e interpretazioni. Indipendente delle nostre fonti o studi, tutto
ciò che è stato consultato e utilizzato deve essere citato secondo le normative tecniche di ogni
istituzione accademica. Questo dimostra la correttezza del ricercatore (sia professore o
studente), l’uso delle risorse bibliografiche e, indirettamente, suggerisce ai lettori di
approfondire ciò che ha scritto, dimostrando la sua capacità dialogica con altri fonti. In questo
modo si dimostra l’abilità di sintesi, di critica e il personale contributo alla scienza, mettendo
così in luce la propria idoneità intellettuale, sempre se non ha saccheggiato il frutto del lavoro
1
Professore di teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana.
2
altrui – che è una proprietà intellettuale – come appartenente a sé. Una ricerca ben fatta con le
fonti proprie, studi, senza omissioni della matrice originale o appropriazione indebita, apre un
ampio orizzonte arricchendo il lettore e si presta un servizio molto utili ad altri ricercatori. È
come il filo di Arianna che ci aiuta a uscire dei labirinti stessi propri di una ricerca.
Il processo di ricerca può avere dei momenti in cui il ricercatori sia perturbato dal
canto delle sirene, cercando una via più facile per produrre di più, guadagnare tempo oppure
essere più comodo. Nella vita accademica un pericolo che colpisce gravemente l’etica della
ricerca e l’onestà intellettuale del ricercatore negli ultimi tempi è il plagio. Oggi è molto facile
avere accesso ai testi. Internet è una grande risorsa e fonte per le ricerche giornaliere. Ci sono
dei siti specializzati, riviste, libri a nostra disposizione. Questo è un eccellente frutto del
progresso umano e tecnologico che è a servizio della nostra società. Allo stesso tempo la
nostra società che dispone di tanti mezzi, ci chiede un prezzo altissimo di competenza. Perciò,
come ricercatori, dobbiamo avere al di là di idoneità intellettuale, la competenza di ciò che
facciamo.
Cercando una definizione di plagio nei dizionari di morale, ne ho trovata una
interessante di Giuseppe Sirna, francescano e moralista, che scrive:
Plagio è l’appropriazione parziale o totale dell'altrui lavoro letterario,
musicale, di arti figurative, cinematografica, teatro e simili, presentato come
proprio. È plagio stampare con il nome proprio i manoscritti altrui contro la
volontà dell'autore o carpire il segreto dell'inventore e pubblicarlo come
proprio come sarebbe plagio tradurre da una altra lingua un libro di terzi e
presentarlo come propria opera o originale o fare proprie deferizioni altrui o
parte o brani di un libro, pubblicando tutto questo come materia propria2.
Il Carmona ed altri definiscono il plagio come “appropriazione indebita dei beni o dei
diritti di un altro, come, per esempio, prendere come proprie (copiare), editare e vendere le
idee altrui (letterarie, scientifiche, musicali, ecc). È una modalità di furto” 3. A me sembra che
queste definizioni sono abbastanza complete. Per quanto riguarda l’ambito più accademico
l’Università Gregoriana, nelle norme sul plagio, testo aggiornato al 16 aprile di 2010 afferma:
2
SIRNA, Giuseppe, “plagio”, in Dizionario di teologia morale, Francesco Roberti (Dir.), Studium, Roma 1957 2,
p. 1090.
3
CARMONA, F. Blázquez; DEL PRADO, A. Devesa; GALINDO, M. Cano. Diccionario de términos éticos,
Editorial Verbo Divino, Estella (Navarra) 1999, p. 442.
3
“Il plagio, ossia l’attribuzione a sé della proprietà intellettuale del testo o del contenuto di
un’opera altrui, in qualunque sua parte, è una mancanza contro la giustizia e la verità”4.
Oltre, essere onesto intellettualmente, intende essere un ricercatore della verità
evangelica e scientifica. Se la propria ricerca non poggia su questo principio di trasparenza,
questo cammino diventa buio perché non si manifesterà degnamente come segno di dovere
verso il vangelo, la scienza e dell'etica professionale.
Plagiare significa tradire la propria capacità intellettuale e aderire al metodo del
comodismo che porterà il ricercatore a conclusioni false per quanto riguarda la sua capacità di
indagine, di dialogo stimolante, arricchente, ed anche convergente. La vera investigazione
emerge della capacità che un ricercatore ha di andare alle sue fonti, mettersi in dialogo con
loro e tra loro, riconoscere la loro importanza e costruire il proprio pensiero. Un edificio si
costruisce usando i mattoni, ognuno occupando il proprio posto crea l’edificio.
Metaforicamente i mattoni aiutano a sostenere l' edificio, ma il modo di come gestire ogni
pezzo viene di chi costruisce. La creatività dell'architetto sta nella idea che ha della sua opera
e nel riconoscere l’importanza di ogni mattone, di ogni materiale senza perdere l'idea
originale che è quella di avere un bel edificio. Così vale per la ricerca. La bellezza di una
ricerca, consiste nella misura in cui il contenuto esprime il dialogo con altri ricercatori su cui
si poggia il proprio progetto di contribuire alla scienza, senza oscurare i contributi altrui. Solo
il corretto uso dei lavori di altri ricercatori, e non l’uso improprio, non metterà in pericolo il
riconoscimento del titolo acquisito e ci renderà liberi davanti alla propria coscienza.
2 Il teologo moralista come ricercatore e il suo codice etico
Il teologo moralista davanti alla sua ricerca deve porsi delle domandi fondamentali:
Chi sono? Da dove vengo? E dove vado? La domanda “chi sono” tocca direttamente il ruolo
personale, ontologico del teologo. Il teologo moralista è chiamato a rispondere di sé stesso
davanti al mondo, alla società, alla Chiesa, al Popolo di Dio, a sé stesso e all’universo del
sapere. Da dove vengo? Lo fa riflettere sulle sue basi accademiche, la sua formazione, i suoi
partners, i suoi maestri, tutta la sua esperienza fondanti che lo ha portato al momento di
potere offrire il suo contributo alla ricerca scientifica. Dove vado? L’inserisce nell’orizzonte
del suo impegno verso la scienza come uomo di fede che ascolta la voce dello Spirito e con
molta umiltà cerca di tradurre la voce dello Spirito del Signore della Storia che parla nei
4
“Norme sul plagio”, n. 1, in http://www.unigre.it/Univ/documenti/100416_PUG_norme_plagio_it.pdf
(consultato il 16 nov. 2013).
4
“segni dei tempi” (HS, n. 4; Mt 16,2-3; Lc 12, 56-57) agli uomini e donne di buona volontà ed
a agire come lo stesso Signore hai fatto di se stesso: annunziare ai poveri il lieto messaggio,
proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; rimettere in libertà gli oppressi, e
predicare l’anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19).
Per quanto riguarda il plagio, se noi teologi moralisti lo pratichiamo stiamo violando il
settimo e il decimo comandamento: non rubare e non desiderare la roba altrui. Giuseppe Sirna
afferma:
Il plagio è un furto e, quindi, come tale costituisce un peccato grave (sia per
la parte spacciata come propria, sia per l' entità del problema, dell'invenzione
o risoluzione) Se il plagio è insignificante per materia e valore scientifico,
oggettivamente non v'è peccato al massimo v'è peccato veniale;
soggettivamente invece bisogna considerare lo stato di coscienza del
plagiatore5.
Per noi teologi moralisti la situazione è ancora più compromettente, perché in noi
dovrebbe essere forte questa etica professionale presupposta. Non si tratta di fare ‘moralismi’,
ma di pensare sul nostro ruolo in quanto formatori di coscienza e di opinione in mezzo alla
società odierna. Se non siamo compettenti in questa area prendiamo su noi stessi la maschera
dei farisei che dicevano agli altri ciò che dovevano fare (Mt 23, 2-7) e ci immunizziamo del
nostro dovere presso la Chiesa e la societá. “[...] spesso anche noi, teologi morali, siamo
pronti a delineare il volto deontologico delle diverse attività e professioni, ma lo siamo un po’
meno per ciò che concerne il nostro stesso lavoro”6.
Il codice che regola il lavoro del teologo moralista è la propria coscienza insieme al
suo amore verso la ricerca della verità, il suo contributo alla scienza e il suo dovere di
giustizia verso agli altri lavoratori – ricercatori – di non sciupare il pane del sudore altrui. Egli
è, in prima persona, chiamato ad essere testimone dell’etica professionale. Oltre i codici
deontologici, delle legislazioni proprie di ogni istituzioni di ricerca o di insegnamento, delle
legge internazionale o locali.
Per quanto riguarda al quotidiano accademico la pratica del plagio porta delle
conseguenze per lo studente. Prendendo come riferimento le norme sul plagio della Università
Gregoriana queste consistono: se tratta di un elaborato conclusivo di un ciclo, l’annullamento
5
SIRNA, Giuseppe, “plagio”, in Dizionario di teologia morale, p. 1090.
6
MAJORANO, Sabatino, “Il teologo moralista oggi” in Studia Moralia 33/1 (1995) 22.
5
e sanzioni d’accordo con la gravità; se una dissertazione di dottorato, l’annullamento e la
espulsione dell’università; se prova finale o intermedia del corso e seminario la nullità e
implicazione sul voto e se il plagio è scoperto dopo la presentazione della tesi di licenza o di
dottorato e il conferimento del grado accademico è annullato e sarà comunicato alla
Congregazione per l’Educazione Cattolica7.
Conclusioni
Per evitare il male del plagio la prima cosa è essere onesto con sé stessi. Non si può
dichiarare come proprio il risultato del lavoro altrui. Come noi spendiamo tempo, energie
anche altri lo fanno. È preferibile una ricerca più semplice, ma vera e lecita, ad un’altra
complessa che non dimostra la vera capacità del ricercatore.
Essere attento alle proprie letture, cercare di capire il significato di ciò che si legge e
usare le fonti disponibili per la ricerca e non avere paura di commettere il plagio quando si fa
un riassunto di un libro, una parafrasi, una traduzione, ecc, a condizione che vengano citate
precisamente secondo le norme tecniche di ogni istituzione accademiche o internazionale.
Prendere sul serio il vero significato del lavoro accademico e scientifico, la ricerca, la
produzione bibliografica. Tutto ciò sono risorse importantissime per la scienza e, nel caso
della teologia morale, per la riflessione sistemata, fondata e desiderosa di contribuire
all’insegnamento della Chiesa e alla formazione della coscienza del Popolo di Dio. “La
dedizione sincera a una ricerca da non ritenere mai conclusa, ma da riprendere
incessantemente sotto lo stimolo del nuovo che la vita propone, è condizione irrinunciabile
per chi oggi voglia interessarsi di morale”8.
Infrangere le norme degli Istuti sostenendo (forse anche incosciamente) che i lavori
accademici (in qualsiasi modalità) sono soltanto esercitazioni per compiere un dovere
accademico per poter accedere ad una fase successiva per ottenere il titolo non è
assolutamente corretto. Il titolo è importante nella misura che ci fa prestare un servizio alla
comunità scientifica e ad aiutare a riconoscere quella verità socratica: “conosci te stesso” e
“sapere di non sapere”. Penso che questo illumina la coscienza e ci fa comprendere ciò che il
Signore ha insegnato “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32).
7
Cf. “norme sul plagio”, n. 7, in http://www.unigre.it/Univ/documenti/100416_PUG_norme_plagio_it.pdf
(consultato il 16 nov. 2013).
8
MAJORANO, Sabatino, “Il teologo moralista oggi” in Studia Moralia 33/1 (1995) 24.
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