L`USO DEL GERUNDIO IN SARDO CAMPIDANESE Il gerundio

L’USO DEL GERUNDIO IN SARDO CAMPIDANESE
Il gerundio nella lingua della Sardegna meridionale presenta omologazione in -ènd- (sempre con e
aperta) fra le tre coniugazioni, ma duplice uscita in -u e -i: cantèndi/cantèndu, perdèndi/perdèndu,
dromèndi/dromèndu. Sono attestate anche forme ampliate in -èndiri/-ènduru1.
In sardo campidanese moderno il gerundio si usa in tre situazioni, le prime due delle quali sono piú
diffuse della terza.
1) per esprimere, in composizione con l’ausiliare ‘essere’, il presente e il passato progressivi
all’indicativo. Esempî: sèu nadèndi, fèmu currèndi, fèstis tzerrièndi. Si noti che l’ausiliare genuino
è èssi, non stai, il quale ultimo fu adoperato in passato per influsso iberico, e si è ripresentato nel
Novecento, in espressioni come su pipiu stat prangèndi (soprattutto alla III persona singolare): tali
costrutti oggi vanno visti come italianismi. Meno diffuso è il corrispondente impiego al
congiuntivo: sia cantèndi, siast cantèndi (presente); fessi cantèndi, fessis cantèndi (passato).
2) con il valore di participio congiunto, per indicare azione d’aspetto durativo o progressivo 2, già
evidente nel semplice sintagma àcua budhèndi “acqua bollente”. In questo caso il gerundio è
sempre collocato dopo l’elemento cui si riferisce, il quale è espresso e mai sottinteso; quale sia
l’elemento della proposizione reggente cui il gerundio si leghi, dipende dal costrutto richiesto dal
verbo della reggente stessa. Si noti la differenza tra funt cantèndi innòi “(essi) stanno cantando qui”
(azione progressiva) e funt innòi cantèndi “(essi) sono qui che cantano” (proposizione relativa
appositiva).
Se il verbo della reggente è transitivo, il gerundio si congiunge di preferenza con l’oggetto diretto,
ma talvolta anche l’oggetto indiretto (complemento di termine), e varî altri complementi:

t’apu biu passèndi acanta’e su palàtziu miu “ti ho visto passare (mentre passavi) vicino al
mio palazzo”; su messayu at cassau a Stèvini furèndi melòni “il contadino ha visto Stefano
che rubava meloni”. Qui il gerundio è legato all’oggetto. Si noti che nella prima frase il
gerundio non è posto subito dopo l’oggetto soltanto perché ti è pronome atono: poiché la
frase è transitiva, il gerundio non si lega di sicuro col soggetto; quando è adoperato lo stesso
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Nel Libro de comedias (1688), frate Antonio Maria da Esterzili usò saltuariamente anche la terminazione in -andu.
Per ‘durativo’ e ‘progressivo’ indico quei due diversi valori aspettuali imperfettivi dell’azione, in base ai quali
l’italiano faccio e l’inglese I do si contrappongono alle forme composte sto facendo e I am doing.
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pronome personale in forma tonica, si ha apu biu a tui passèndi acanta’è su palàtziu miu
“ho visto te passare ...”;

ant ghetau perdas a sa guàrdia artzièndi is iscalas “hanno tirato pietre al vigile mentre
saliva le scale”; sa monja at donau limósina a una fémina caminèndi scrutza “la monaca
fece l’elemosina a una donna che camminava scalza”. In queste frasi il gerundio concorda
con l’oggetto indiretto. Si può avere anche la dislocazione dell’oggetto indiretto a sinistra,
perciò la frase diviene a una fémina caminèndi scurtza sa monja dh’at donau limósina.

apu fatu totu su biaxi cun filla mia cantèndi de sighida “ho fatto tutto il viaggio con mia
figlia che cantava ininterrottamente”. Qui il gerundio è legato al complemento di
compagnia.
Se il verbo della reggente è intransitivo, il gerundio si congiunge di norma col soggetto, ma anche
con altri elementi della frase, dopo i quali è immediatamente collocato:

aintru’e sa crésia dhoi fiant duas sennoras beças arresèndi “dentro la chiesa c’erano due
signore anziane che recitavano il rosario”; mi praxit cussu callelledhu scoitèndi “mi piace
codesto cagnolino che sta scodinzolando”; a s’umbra’e cudha mata funt sétzius piçòcus
joghèndi a cartas “all’ombra di quell’albero sono seduti ragazzi che giocano a carte”. Qui il
gerundio è legato al soggetto. Si può avere anche l’omissione del verbo ‘essere’: bosatrus a
su mari spassiendisí, dèu bocendimí a berrinai “voi al mare a divertirvi, io invece ad
ammazzarmi lavorando col trapano”;

funt lómpius a su spidali cun su malàidu chescendisí po totu s’arruga “sono giunti
all’ospedale col malato che si lamentava per tutta la strada”. Qui il gerundio è legato al
sostantivo di un sintagma preposizionale, con tipica funzione di complemento indiretto;

chistionamu a una piçoca ascurtèndi cantzònis “parlavo a una ragazza che stava ascoltando
canzoni”. Qui si ha il gerundio legato all’oggetto indiretto.
Nelle ultime due frasi considerate sarebbe errato legare il gerundio al soggetto vista la sua
collocazione, ma poiché, essendo il verbo principale intransitivo e potendosi dunque legare un
gerundio al soggetto, un margine d’ambiguità sussiste, e questo costrutto inoltre si avvicina a quelli
citati nel successivo tipo 3), è possibile udire la proposizione subordinata per mezzo del relativo:
chistionamu a una piçoca chi fiat ascurtèndi cantzònis. Se invece si volesse legare il gerundio al
soggetto, si avrebbe: a una piçoca dhi chistionamu ascurtèndi cantzònis (il soggetto è sottinteso, ma
la persona verbale ne assolve le funzioni); poiché però in questo costrutto si mette anche in risalto il
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complemento di termine per mezzo della sua dislocazione a sinistra, prevale fèmu ascurtèndi
cantzònis e chistionamu a una piçoca.
Si ha anche il caso in cui il gerundio esprima un’azione subita e non compiuta dal nome con il quale
esso è congiunto: dh’apu biu atripendidhu totus “l’ho visto mentre tutti lo picchiavano”,
letteralmente “l’ho visto picchiandolo tutti”. Ciò di deve all’idiosincrasia che il campidanese mostra
per la forma passiva e per il complemento d’agente.
Non è dato il caso che si abbiano due o piú diversi gerundî, concordanti con altrettanti diversi
elementi della frase.
In tutte le frasi suddette non vi sono pause tra l’elemento della reggente cui il gerundio è legato, e il
gerundio stesso: la subordinata deve essere ritenuta una proposizione relativa determinativa.
Come si vede, in tutti casi il costrutto 2) può essere vòlto nel numero 1), mediante l’uso o del
pronome relativo con l’impiego di un tempo verbale d’aspetto durativo, o dell’indicativo
presente/passato progressivo. Il consueto uso del gerundio con la funzione suddetta determina i
tipici costrutti dell’italiano regionale, nei quali al gerundio italiano si dà il valore del gerundio
sardo: *l’ho sentito cantando, *vi abbiamo visto correndo eccetera.
3) con valore strumentale-modale-causale, secondo ciò che in analisi logica è chiamato
complemento di mezzo, modo o causa. In quest’uso, caratteristico di un nome verbale 3, il gerundio
segue di solito il soggetto della frase: ita est sa vida si dh’imparu dèu trabballèndi totu sa dî “che
cos’è la vita glie l’insegno io lavorando tutto il giorno”; imparais joghèndi “imparate giocando”,
cioè “per mezzo del gioco”. Se si volge questo gerundio in un costrutto esplicito, si osserva
un’azione di tipo durativo, come nell’ultimo esempio, trasformabile in bosatrus jogais e aici
imparais “voi giocate e cosí imparate”. Come si vede, in questi casi il gerundio, giacché ha valore
di nome verbale, si lega sempre al soggetto, anche quando la frase è transitiva.
È possibile anche collocare questo gerundio prima del verbo principale: bufèndi binu meda s’at
addanniau sa saludi “Bevendo troppo vino (ossia “col bere troppo vino”) si è rovinato la salute”,
vòlto in sintagma nominale, il gerundio qui dà po mòri’e su binu bufau s’at addanniau sa saludi, o
anche po su binu bufau s'at addanniau sa saludi; ovviamente si può anche dire jai chi at bufau binu
meda s'at addanniau sa saludi, e anzi questo è il costrutto forse preferito.
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In latino il gerundio era un sostantivo usato ai casi diversi dal nominativo.
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Si usa poi il gerundio di ‘essere’, sèndi, in locuzione con de, per esprimere il concetto “dall’età di,
dal tempo di”: si connòsci de sèndi pipius 4 “conoscersi dall’età della fanciullezza”, trabballai de
sèndi piticu “lavorare sin da giovane”.
Non si ha un valore modale identico a quello proprio del gerundio italiano, il quale indica un’azione
che si svolge in rapporto ad un’altra5, espressa nella proposizione reggente da un verbo di modo
finito: il gerundio sardo campidanese, cosí come il participio, non ha mai la funzione di introdurre
proposizioni subordinate. Sono dunque da ritenere costrutti letterarî, modellati sull’italiano e
assolutamente estranei alla lingua viva, periodi come questi: *bièndi chi fiast scidu, t’apu betiu su
smurzu a letu “vedendo ch’eri sveglio, t’ho portato la colazione a letto”; *cuntziderèndi chi seus
stracus, andaus a dromiri “considerando che siamo stanchi, andiamo a dormire”.
Anche quando il gerundio italiano ha valore narrativo, temporale, concessivo o condizionale, il suo
uso corrispondente in campidanese è presente nella sola lingua scritta come forma dotta: Lepori 6
propone a questo proposito un esempio poco convincente quale *limpièndi is patatas mi sèu segau
unu didu “nel pulire le patate mi sono tagliato un dito”. Questo periodo mostra un valore narrativo e
temporale molto vicino al gerundio italiano, e, allo stesso tempo, il verbo della principale è
transitivo: non è perciò tipico della lingua viva, che invece meglio dice fèmu limpièndi is patatas e
mi sèu segau unu didu, mentre tollera limpièndi is patatas is manus pigant fragu malu “col pulire le
patate le mani prendono cattivo odore”, frase nella quale il valore nominale causale è chiaro (= cun
sa limpiadura de is patatas ...). L'esempio di Lepori è dunque diverso dal precedente bufèndi binu
meda s’at addanniau sa saludi (il quale, d'altronde, non è d'uso frequentissimo).
Insomma si può dire che, nella lingua campidanese viva, l’uso del gerundio presenta o un
prevalente valore aspettuale (progressivo o durativo), o un meno frequente valore nominale
(modale-strumentale-causale); il suo impiego in altre circostanze è da ritenere un cultismo.
Da notare è ancora che il gerundio, unito a pronomi personali atoni, richiede di norma la posizione
enclitica del pronome: sa língua nosta seus defentzendidha “la nostra lingua la stiamo difendendo”;
sèu castiendidí “ti sto guardando”; è presente però anche la collocazione proclitica, dovuta forse
anche all’influsso moderno italiano, ma già spiegabile a partire da fatti sintattici come la
dislocazione a sinistra, ch’esige il pronome pleonastico: a tui ti sèu castièndi “te ti sto guardando”.
Non esiste il gerundio passato, com’è logico in base alle considerazioni fatte.
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Esempio di Antonio Lepori, Gramàtiga sarda po is campidanesus, Edizioni C.R., 2001, pagina 51.
Spesso in linguistica generale e tipologica il gerundio è detto ‘converbio’.
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Opera citata, pag. 216.
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Abdullah Luca de Martini, Abrili 2010
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