Il napoletano, storia e mistero di una lingua

SABATO 28 DICEMBRE 2013
NAPOLI
■ XII
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LIBRI
PER SAPERNE DI PIÙ
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www.genesi.org
Classifica Ubik
Le top five
Narrativa italiana
Narrativa straniera
Saggistica e varia
1 M.Mazzantini - Splendore - Mondadori
1 P. Auster - Notizie dall’interno - Einaudi
1 E.Berthoud, S.Elderkin - Curarsi con i libri - Sellerio
2 M.De Giovanni - Buio - Einaudi
2 J. Barnes - Livelli di vita - Einaudi
2 P.Biondini, C.Porcedda - Il cavaliere nero - Chiarelettere
3 E.Ferrante - Storia di chi fugge e di chi resta - Ed. e/o
3 M. Richler - Joshua allora e oggi - Adelphi
3 G.Stella, S.Rizzo - Se muore il sud - Feltrinelli
4 F.Piccolo - Il desiderio di essere come tutti - Einaudi
4 J. M. Coetzee - L’infanzia di Gesù - Einaudi
4 T.Montanari - Le pietre e il popolo - Minimun fax
5 N.Pugliese - Malacqua - Tullio Pironti Editore
5 J. Lahiri - La moglie - Guanda
5 S.Croce - Là dove finisce il dolore - Liguori
Il napoletano, storia e mistero di una lingua
Una guida alla
comprensione
dello strumento
grazie al quale
la città ha
mantenuto la
propria identità
malgrado le
ripetute invasioni
straniere
PIER LUIGI RAZZANO
LA PREPOTENZA di una lettera, la “N”. Scalcia la vocale
che la precede, la “I”, e conserva l’apostrofo come segno
distintivo di vanto, e forte
identità. Così molte parole
(‘nnammurato, ‘ncappucciato, ‘nciucio, ‘ncuntrà)
sanciscono la sincronia tra
segno e suono, timbrano il
carattere della lingua napoletana.
E per spiegare l’aferesi, fenomeno di caduta della lettera iniziale, niente di meglio
che alcuni versi di una canzone: «Nun sentene e raggione e
chi è 'nnuccente: chesta nun è
giustizia, è 'nfamità!», da “Lacrime ‘e cundannate”. Il canto addolorato di Alfredo Bascetta rivolto a Nicola Sacco e
Bartolemeo Vanzetti, i due
anarchici italiani giustiziati
negli Stati Uniti nel 1927, è
uno degli esempi disseminati
in “Vall’ a capì”, storia e grammatica della lingua napoletana a cura di Maria d’Acunto e
Graziano Mattera, perché assieme a tantissime poesie di
Eduardo De Filippo, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando
MARIA
D’ACUNTO
GRAZIANO
MATTERA
Vall’a capì
(Intramoenia)
278 pagine
18 euro
Russo o pièce teatrali di
Eduardo Scarpetta e Raffaele
Viviani, si può comprendere a
fondo la lingua, «lo strumento
con il quale la città ha mantenuto la propria identità culturale malgrado le ripetute invasioni straniere e con il quale è
ancora universalmente nota
per la sua poetica».
Vero e proprio viaggio nella costellazione degli infiniti
dettagli della lingua, attraverso la fonologia, la morfologia e
la sintassi, con un profilo storico introduttivo che va in
fondo alle origini indoeuro-
pee che diede origini alle parlate italiche, tra cui l’osco e il
latino che ebbero un grande
ruolo sulla fisionomia del napoletano.
Sempre supportato da inserti letterari per definirne la
musicalità barocca o il lirismo aspro, “Vall’ a capì”, è un
continuo dialogo tra lingua
parlata e scritta, e della sua
evoluzione nei secoli, dalla
“Vaiasseide” di Giulio Cesare
Cortese e dal «sogno di un
deforme Shakespeare partenopeo» come Italo Calvino
definì “Lo cunto de li cunti” di
Giambattista Basile.
Una grammatica di agile
consultazione e un’antologia del ricchissimo canzoniere (fin da “Jesce sole” e il
“Canto delle lavandare del
Vomero”) che funge da pietra angolare per sancire la
norma e guidare il lettore
nell’esattezza delle espressioni o la flessione di numerose varianti. E come pronunciare le vocali, infatti
“Na sera ‘e maggio” di Pisano e Cioffi indirizza il lettore verso la precisione del
suono chiuso della lettera
“E”.
La tendenza all’alterazione
delle parole denotata da una
prevalenza dei vezzeggiativi
dalla fonetica rotonda (criaturiello, bellillo, funtanella)
di uso comune, che diventano lirica struggente con Salvatore Di Giacomo: «Embè?
Mo pecchè, all’urdemo / piano ‘e ‘stu palazziello, ll’urdemo barcunciello / è russo e luce?».
Il napoletano come lingua
che ha le sue regole, specchio
della visione di un popolo.
Proprio come scriveva Walter
Benjamin: «Ogni manifestazione della vista spirituale
umana può essere concepita
come una sorta di lingua». Un
tracciato dell’anima dei napoletani, dalla vasta gamma
di possibilità (i tanti aggettivi
esaltati da Roberto Bracco:
«Oi’ figliole curtese e cianciose, io ve pare spinuso e scurtese» in “Tempi passati”), in cui
l’accostamento consonantico rivela una convivenza di
carezze ed espressioni brusche.
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Il saggio
Il romanzo
Architettura, una favola antica
Le due anime di un rivoluzionario
GRAZIANA
SANTAMARIA
Terra viva
(Liberoscrivere)
306 pagine
19 euro
CI SONO testi che avvicinano a una disciplina, e testi che ne allontanano. Alla prima categoria appartiene “Terra
viva”, che l’architetto ligure Graziana
Santamaria ha presentato e usa come
testo per i suoi corsi sperimentali che
vanno avanti dallo scorso anno alla Federico II di Napoli. Un libro che ci ricorda che l’architettura non è una
scienza aliena e persa nei tecnicismi,
ma che nasce con l’uomo e gli resta vicina per l’intero suo cammino sulla terra. Il sottotitolo è “Architettura per
evolvere, cibo per vivere, alberi per curare”. E indica una visione globale della scienza architettonica non scissa
dalle sue interconnessioni con altre
emergenze della vita umana. Si fa strada l’idea che il moderno mago sia l’architetto che conosce tanto la terra
quanto gli altri elementi, cose che gli
antichi filosofi non ignoravano ma che
l’evoluzione di certe discipline ha fatto
perdere. Ed è così che viene scambiata
per superstizione ogni cosa che ha fondamento scientifico, sia pure diluito
dal “racconto” che la storia e la tradizione ne hanno fatto. Santamaria ricostruisce come in una favola millenaria
molto più vera di quanto si possa credere, temi cruciali dell’architettura nei
secoli, come il concetto di “soglia”, la
presenza delle acqua in prossimità dell’abitato, l’influsso del radon che nelle
nostre terre vulcaniche ha giocato a
sfavore di dimore importanti e costose,
la lettura energetica delle cattedrali, e
— proseguendo in ordine sparso — le
architetture con le quali gli animali reagiscono alle anomalie della terra. Un
racconto appassionante che diventa di
stringente e utilissima attualità.
(stella cervasio)
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SANDRO
GROS-PIETRO
Cuore
spaccato
(Genesi)
295 pagine
16 euro
L’ATTIVITÀ artistico-culturale di Sandro
Gros-Pietro è stata sempre particolarmente
intensa e articolata: narratore, poeta, critico,
editore, animatore di eventi e manifestazioni, possiamo dire che non ha mai smesso di
elaborare “disegni” creativi particolarmente
interessanti. Ora torna in libreria con un’opera per molti aspetti onnicomprensiva del
suo talento. “Cuore spaccato” è infatti un romanzo che può essere letto a più piani sia dal
punto di vista dei contenuti che della struttura formale. Il libro potremmo infatti dire che
è un resoconto esistenziale che va esplicandosi come documento intimistico di una storia passionale e per molti aspetti imprevista
e nel contempo è a suo modo il manifesto di
una stagione solo apparentemente superata
o sopita. Il protagonista, Gualtiero Menotti, è
il paradigma di un vissuto in qualche misura
ben noto. Una figura capace di sdoppiarsi tra
l’impianto borghese (e sicuro) e quello rivoluzionario (e imprevedibile), nel senso che
riesce per così dire a vivere due vite, la prima
dentro l’alveo della normalità “mediocre” e
l’altro nei meandri turbolenti ma affascinanti della “irregolarità” terroristica e pericolosa. Alla fine il lettore appare spiazzato non solo perché non riesce a farsi una ragione precisa dell’uno o dell’altro ma perché resta impigliato egli stesso nella rete che il narratore
sembra tendergli quasi a imbrigliarne la prospettiva di giudizio. Ma le due “nature” per
così dire convivono nello spirito creativo, vale a dire nella capacità dell’autore di animarle entrambe ma più ancora di farle vivere in
contemporanea secondo una scansione di
grande suggestione emotiva. Ed è questa la
parte in cui la scrittura si rivela particolarmente felice e matura: tutto convive nel medesimo personaggio, nell’anima al tempo
stesso pulita e nera che qualifica così spesso
il “cuore di tenebra” della umanità.
(antonio filippetti)
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Repubblica Napoli