INDICE
1.
Diritto Civile II – Introduzione
3
2.
La responsabilità
3
2.1.
I criteri di imputazione della responsabilità
4
2.2.
La responsabilità per il fatto degli ausiliari, 1228 e 2049.
5
2.3.
L'articolo 2043: responsabilità da fatto illecito (o aquliana, o civile)
6
2.3.1.
Struttura del 2043.
8
2.3.2.
Problema dell'induzione all'inadempimento
10
2.3.3.
Responsabilità per doppia alienazione
11
2.3.4.
Responsabilità extracontrattuale da false informazioni.
11
2.3.5.
Redazione della lettera di patronage.
12
2.3.6.
Violazione del dovere di informazione.
12
2.3.7.
Propagazione di false informazioni.
12
2.3.8.
Tutela della libertà sessuale.
12
2.3.9.
Il requisito del danno non iure.
13
3.
2.4.
Il tema della responsabilità indiretta.
14
2.5.
La responsabilità oggettiva
16
Tutela delle garanzie patrimoniali
22
3.1.
L'azione surrogatoria.
22
3.2.
Azione revocatoria ordinaria.
22
3.2.1.
24
3.3.
Differenze con la revocatoria fallimentare.
L'azione di simulazione.
24
3.3.1.
25
Distinzione tra interposizione fittizia e interposizione reale.
3.4.
Eccezione di inadempimento.
26
3.5.
Clausola solve et repete.
27
3.6. Mutamento nelle condizioni patrimoniali dei contraenti (cosiddetta eccezione di
insolvenza).
28
4.
La vendita di valori mobiliari e il contratto di swap
30
4.1.
Il contratto di vendita nel codice civile.
30
4.2.
I modi di acquisto della proprietà.
31
4.3.
I titoli di credito.
32
4.4.
Il problema della garanzia.
33
4.4.1.
Esclusione dalla garanzia.
33
4.4.2.
Termini per l'azione di garanzia.
35
4.4.3.
Garanzia per vizi del contratto di vendita.
35
4.4.4.
Problema del cosiddetto alud pro alio.
35
4.5.
Il contratto di commissione.
36
4.5.1.
Diritti di credito.
37
4.5.2.
Natura del contratto di commissione.
38
Filippo Galluccio – Appunti 2002
4.5.3.
5.
Tre istituti fondamentali.
40
Il contratto di factoring e la resp. da prodotto
41
5.1.
Il contratto di factoring.
41
5.2.
Danno da prodotto e responsabilità del produttore.
42
2
Filippo Galluccio – Appunti 2002
1.
Diritto Civile II – Introduzione
Lezione del 18/2.
Tratteremo essenzialmente la responsabilità. Altra parte del programma sarà dedicata al libro di Inzitari.
Seminario sul diritto di famiglia.
Da studiare: tutto il libro di Inzitari (tranne la cessione del credito, il mandato, gli interessi e le parti che sono
state studiate per civile I); Bianca, Trattato di Diritto Civile vol. V (tranne i capitoli 1, 3, 8 p 259 -325, 9, 19,
20).
Del libro di Inzitari chi ha fatto il seminario deve saltare il capitolo 1, 2, 3, 17, 26, 27, 31, 32, 33, 34, 35.
Da fare bene:
• compensazione e fallimento
• il contratto di sponsorizzazione
• la vendita
• il factoring nel fallimento
• la commissione
• il contratto di swap.
2.
La responsabilità
Responsabilità nelle sue varie accezioni:
•
contrattuale
•
extracontrattuale
•
precontrattuale.
Definiamo il concetto di responsabilità: è "la conseguenza patrimoniale che incombe sul debitore per effetto
di un rapporto obbligatorio". Nel nostro ordinamento, infatti, la responsabilità può derivare esclusivamente se
trova il proprio titolo in una obbligazione, se quindi si è creato un vincolo giuridico per il quale il debitore è
tenuto ad eseguire una determinata prestazione a vantaggio del suo creditore.
Una conferma a questo principio si ha nelle cosiddette obbligazioni naturali, quelle obbligazioni che non
sono giuridicamente vincolanti, per cui difettano del requisito della coercibilità: l'inadempimento di una
obbligazione naturale non permette di agire in giudizio per il suo soddisfacimento coattivo, e la sua mancata
osservanza non fa sorgere in capo al debitore la responsabilità patrimoniale connessa all'inadempimento.
L'unico effetto è che quanto è stato spontaneamente pagato da debitore non può essere ripetuto. Il classico
esempio di obbligazione naturale è quella che consegue ad un debito prescritto.
Al concetto di responsabilità è strettamente legato quello di patrimonio: "insieme di tutti i rapporti giuridici,
attivi e passivi, riferibili ad un determinato soggetto".
Ad esempio un'azione è parte del patrimonio e si trasmette agli eredi.
Azione surrogatoria, articolo 2900 cc, se il debitore rimane inerte e non tutela il suo patrimonio, e creditore
può esercitare al posto del debitore le azioni a tutela del suo patrimonio. La tutela dei creditori è un principio
su cui si fonda il nostro ordinamento, questo perché è colui che debitore risponde per le obbligazioni che ha
assunto nei confronti dei terzi con tutto il suo patrimonio. Il che significa che il patrimonio, a contrariis, è
quell'entità su cui i creditori possono soddisfarsi allorché vi sia un titolo su cui fondare la responsabilità del
debitore.
Oltre che rispondere con i patrimonio, in debitore è anche tenuto a rispettare il principio secondo cui tutti i
creditori devono concorrere per il soddisfacimento delle proprie ragioni allo stesso modo, salvo l'esistenza di
cause legittime di prelazione.
È il cosiddetto principio della par conditio creditorum.
Cause di prelazione: titoli legali (tipici) che attribuiscono ad un creditore una preferenza rispetto agli altri
creditore nel soddisfarsi sul patrimonio del debitore; questi creditori, brutalmente, vengono prima degli altri.
Chi ha una causa di prelazione è un creditore privilegiato, gli altri sono creditori chirografari.
Il legislatore si è trovato nella necessità di approntare strumenti di tutela giuridica a tutela della par conditio.
Nb: la par conditio non rileva solo in sede fallimentare! Si tutela essenzialmente con:
•
azione surrogatoria, articolo 2900
•
azione revocatoria ordinaria, 2901, che ha allo scopo di far dichiarare inefficaci di atti attraverso cui
debitore, ricorrendo determinate condizioni, svuota il proprio patrimonio per sottrarsi alle
responsabilità patrimoniali
•
non opponibilità della simulazione, in linea assolutamente generale, ai creditori del simulato
alienante, 1415
divieto di patto commissorio. Perché ha funzione di tutela del patrimonio? È vietato perché? È quel
particolare patto in forza del quale in conseguenza dell'inadempimento e creditore diventa automaticamente
3
Filippo Galluccio – Appunti 2002
il proprietario del bene che gli è stato dato in garanzia. Sovente nella prassi il bene dato in garanzia ha
valore superiore al debito. Per il surplus il patrimonio del debitore viene illegittimamente svuotato, e si lede il
diritto degli altri creditori a concorrere su quella parte del patrimonioI patto commissorio è nullo. La nullità è
un vizio genetico: invalida il contratto fin dalla sua stipulazione. Il principio per cui i terzi creditori possono far
valere la nullità del patto commissario anche se ne sono estranei, sta nel 1421: la nullità può essere chiesta
da chiunque ne ha interesse e d'ufficio dal giudice.
Questo deroga al principio che il contratto ha forza di legge tra le parti: lex contractus tertiis nec nocet nec
prodest.
La invalidità del patto commissorio non rimane circoscritta quindi alle parti che lo hanno stipulato.
2.1.
I criteri di imputazione della responsabilità
Generalmente perché un determinato fatto generatore di responsabilità sia imputabile ad un soggetto, è
necessario che sussista in capo a colui che ha cagionato il danno uno dei due elementi soggettivi, dolo o
colpa.
Il dolo sinteticamente può configurarsi come l'intenzionalità di danneggiare un altro soggetto. Nb: il dolo che
rileva ai fini dell'annullamento del contratto è l'inganno (il dolo come vizio di volontà è il dolo della truffa: serie
di artifici e raggiri volti ad indurre qualcuno a concludere un contratto).
Un po' più complicata è la nozione di colpa:
•
qualificata: inosservanza di leggi, regolamenti, usi e quant'altro. È quella che civilisticamente ha la
minore rilevanza
•
sociale: è la violazione del dovere di diligenza. A contrariis la colpa si identifica quindi con
negligenza, imperizia e imprudenza.
Le norme sui contratti richiedono la diligenza del buon padre di famiglia o quella specifica richiesta per una
determinata attività professionale.
Imperizia può essere identificata come la violazione di norme tecniche conosciute ad una determinata arte o
professione, e che la gente deve sapere di possedere nel momento in cui compie una determinata attività. È
il bagaglio di esperienza professionale che accompagna ciascuno di noi.
Imprudenza. Sfuggono i confini con la negligenza. L'Imprudenza si differenzia dalla negligenza perché
contempla sì un comportamento non diligente, ma mentre la negligenza si configura come una certa
trascuratezza psicologica, e rileva quindi di più l'aspetto omissivo, l'imprudenza si connota come una certa
avventatezza nell'agire, e quindi rileva di più l'aspetto commissivo.
La colpa a sua volta si distingue in:
•
colpa grave: assoluta negligenza o macroscopica violazione delle norme legate ad una determinata
attività
•
colpa lieve: ricorre quando, per la difficoltà dell'attività prestata, non sono state contemplate tutte le
possibili ipotesi cautelative atte a prevenire il verificarsi di un determinato evento.
Rileva soprattutto per quanto riguarda le attività professionali. Il professionista è chiamato a rispondere solo
per dolo o colpa grave.
A contrariis, le parti potrebbero mettersi d'accordo che in caso di inadempimento in debitore non vada
soggetto a responsabilità.
Questo principio non è valido quando l'esonero è previsto per dolo o colpa grave.
Il legislatore non può apprestare tutela all'ipotesi di dolo, perché tutelerebbe un danneggiamento volontario,
né all'ipotesi di colpa grave, perché incentiverebbe l'inadempimento.
Lezione del 21/2.
Importante è anche il 1229 comma 2, che stabilisce la nullità di qualunque patto con cui si esonera dalla
responsabilità il debitore qualora il fatto commesso da cui derivi la sua responsabilità costituisca violazione
di norme poste a tutela dell'ordine pubblico.
Le diversità con il primo comma:
non è valido un patto per colpa lieve. Questo secondo comma non distingue tra dolo e colpa grave e colpa
lieve. Anche l'ipotesi della colpa lieve rientrano nella sanzione, nel divieto. Come mai? Si parla di violazione
di norme di ordine pubblico. Che cos'è? Sono quelle norme aventi ovviamente carattere imperativo (e quindi
inderogabili) che esprimono dei principi generali nel nostro ordinamento, tant'è vero che si vuole definirle
norme sovraordinate. Che differenza c'è tra una nonna interattiva e una norma di ordine pubblico? Occorre
distinguere tra norme di endotutela e norme di eso o etero tutela.
Le prime sono norme che esauriscono la loro funzione di tutela all'interno di un rapporto circoscritto, che può
riguardare due o più parti, ma che sono sempre determinate e a cui si rivolge direttamente il contenuto del
precetto.
Le norme di etero tutela, cui appartengono i principio di ordine pubblico, hanno invece la funzione di tutelare
la generalità dei consociati, che nel linguaggio dei rapporti obbligatori vengono definiti come terzi.
4
Filippo Galluccio – Appunti 2002
Il divieto di patto commissorio a quale appartiene? Risaliamo alla ratio: è principio di ordine pubblico
economico.
È evidente la nullità di un patto che esonera da responsabilità un soggetto che violi le norme di ordine
pubblico. Motivo: un patto stipulato tra due parti non può recare pregiudizio a parti che si pongano come
estranee a questo patto.
2.2.
La responsabilità per il fatto degli ausiliari, 1228 e 2049.
Il legislatore usa due norme che hanno contenuto analogo ma ambito di applicazione diverso.
Il 1228 trova il suo ambito di applicazione nella responsabilità contrattuale, mentre l'altra norma trova
applicazione nell'ambito dei rapporti extracontrattuali.
Nella prassi commerciale, il titolare di un'impresa si avvale di ausiliari. I principio in sede contrattuale è che
colui che nell'adempimento di un'obbligazione si avvale dell'operato di altri soggetti rispondere dei danni che
questi cagionano con dolo o colpa. Ci sarebbe un aggravio per il creditore, e nel nostro ordinamento
giuridico vale il principio del favor creditoris.
Tutto questo salvo patto contrario. La possibilità di derogare al principio si rinviene nel fatto (la norma ha
ambito di applicazione contrattuale) che gli effetti rimangono circoscritti alle parti e che quindi le parti sono
libere di dare al rapporto obbligatorio l'assetto che preferiscono.
Nb: il contratto in frode alla legge si realizza quando le parti realizzano un contratto di per sé valido, ma la
casa viene deviata dalla sua funzione e economico-sociale e manipolata per aggirare una norma imperativa.
Il problema sorge quando l'applicazione di questa norma sostanzialmente diventa un criterio per aggirare il
divieto posto dall'articolo successivo. Se la responsabilità si sposta con il patto su soggetti inidonei a
rispondere alle pretese del creditore, è sostanzialmente un esonero da responsabilità. Il giudice potrà
accertare questa frode alla legge sostanziale e, qualora il danno si verificherà con comportamento
riconducibile alla colpa lieve, il patto sarà valido, se al dolo o a colpa grave, il patto sarà nullo.
Altro problema che pone il 1228 da un punto di vista classificatorio in base al criterio della responsabilità.
L'ordinamento giuridico imputa la responsabilità a chi ha commesso il fatto. Il 1228 deroga al principio
generale stabilito dal 1218 e dal 2043. Qual è il criterio di imputazione stabilito dal 1228?
Normalmente nel nostro ordinamento giuridico non solo risponde chi ha commesso il fatto, ma se il fatto
materialmente illecito è accompagnato dall'elemento soggettivo. Queste ipotesi di responsabilità civile non
esauriscono i criteri di imputabilità, e quindi non esauriscono l'area di applicazione della responsabilità
(Galgano), perché il nostro ordinamento giuridico conosce:
•
la responsabilità cosiddetta indiretta
•
la responsabilità cosiddetta oggettiva.
In entrambe queste due ipotesi un soggetto è tenuto responsabile, quindi esposto alle conseguenze
patrimoniali, a prescindere dal fatto che nel soggetto chiamato al risarcimento sia presente l'elemento
soggettivo del dolo o della colpa.
Distinguere responsabilità indiretta e responsabilità oggettiva è difficile.
Nella responsabilità indiretta è responsabile un soggetto diverso da quello che ha cagionato il danno.
Nella responsabilità oggettiva più genericamente il soggetto che ha commesso il fatto (da cui è derivato il
danno) è responsabile anche se questo fatto è stato commesso senza dolo o colpa.
Questa distinzione fa ritenere ad alcuni che la responsabilità indiretta sia una particolare specie della
responsabilità oggettiva.
Vi è nel nostro ordinamento giuridico possibilità di concorso tra responsabilità oggettiva e responsabilità
indiretta, ed è da questo concorso che la dottrina distingue i due tipi di responsabilità, anche se
effettivamente sarebbe cosa migliore ritenere responsabilità oggettiva tutte le ipotesi che si pongono al di
fuori della responsabilità per colpa.
Il caso più eclatante di questo concorso è quello disciplinato dal 2054, che regola le varie ipotesi di danno
che si possono verificare nel caso di circolazione di veicoli senza guida di rotaia.
In questo articolo concorrono tanto la responsabilità indiretta, quanto quella oggettiva. Ricorre la
responsabilità oggettiva perché la norma crea presunzione di pari responsabilità tra i soggetti coinvolti
nell'incidente, superabile attraverso la prova contraria.
La responsabilità viene addossata al conducente a prescindere dal dolo o dalla colpa.
C'è responsabilità indiretta perché alla responsabilità oggettiva del conducente si aggiunge quella del
proprietario.
Concorso di responsabilità oggettiva e responsabilità indiretta oggettiva, perché il proprietario risponde
anche se nel conducente non c'è dolo o colpa.
Torniamo al 1228 per capire se questa norma riproduce una fattispecie riconducibile alla responsabilità
indiretta o alla responsabilità oggettiva. Gli orientamenti su questo punto sono divisi, perché si è sostenuto in
dottrina con pari autorevolezza sia l'ipotesi della responsabilità indiretta, sia quella della responsabilità
oggettiva.
Galgano propende per l'ipotesi di responsabilità oggettiva, viceversa Bianca propende per l'ipotesi di
5
Filippo Galluccio – Appunti 2002
responsabilità indiretta.
Ai fini di una compiuta risposta, all'esame la sola teoria di Bianca non basta.
Si tratta di responsabilità indiretta perché è sicuramente vero ed innegabile che a risarcire il danno è
chiamato un soggetto diverso da chi lo ha commesso, che potrebbe anche essere privo di ogni colpa.
Però è altrettanto vero che la fattispecie del dolo o della colpa deve ricorrere negli ausiliari che hanno
commesso il fatto illecito ("... rispondere dei fatti dolosi o colposi di costoro).
Per valutare illecito un determinato comportamento è necessario valutare la presenza dell'elemento
soggettivo; non è quindi un'ipotesi di responsabilità oggettiva, perché le conseguenze risarcito varie mi sono
addossate solamente se li ausiliari di cui mi sono avvalso hanno agito con dolo o con colpa.
Sostanzialmente quindi il 1228 attraverso una finzione giuridica viene ricostruito in questo modo: il fatto
doloso o colposo degli ausiliari è come se fosse stato compiuto da chi doveva adempiere, quindi il soggetto
tenuto all'adempimento era in dolo in colpa.
Ergo non è responsabilità oggettiva. La giurisprudenza ammette che il soggetto tenuto all'adempimento può
fornire la prova liberatoria che i soggetti che hanno agito per lui non erano né in dolo nè in colpa. Se io
contraente provo che non c'è la colpa dell'ausiliario, provo che l'inadempimento avviene per causa a me non
imputabile, quindi sono liberato.
Il contraente è ammesso a provare che l'inadempimento deriva dal fatto a lui non imputabile.
Qui bisogna distinguere fra obbligazione di mezzi e obbligazioni di risultato.
Nelle obbligazioni di mezzi devo dare la prova dell'assenza di colpa. L'obbligazione di risultato è adempiuta
quando viene soddisfatto l'interesse del creditore, e bisogna provare che l'inadempimento avviene per caso
fortuito, forza maggiore o cosiddetto fatto in principis (= provvedimenti autoritativi che rendono impossibile il
compimento di una determinata prestazione).
Problema del 1228, ed esaminiamo la teoria di Galgano, secondo cui il 1228 configura un'ipotesi di
responsabilità oggettiva perché il soggetto che rispondere dei danni, quindi il contraente che si avvale dei
terzi, è responsabile anche se lui non è in colpa, quindi questa attribuzione di responsabilità a prescindere
da quale che sia la posizione del contraente, colposa o meno, fa rientrare questo tipo di responsabilità nella
responsabilità oggettiva, quindi la prova liberatoria dell'assenza del dolo o della colpa rileverebbe soltanto ai
fini dell'esonero dalle conseguenze risarcitorie, ma non influirebbe sulla posizione del contraente, che
comunque tenuto responsabile anche se non è in colpa.
Lezione del 25/2.
2.3.
L'articolo 2043: responsabilità da fatto illecito (o aquliana, o civile)
Si allinea agli articoli 1218 e 1253, che disciplinano la responsabilità da inadempimento contrattuale.
Va fatto un coordinamento normativo con il 1173, il quale include tra le fonti delle obbligazioni proprio i fatti
illeciti. Il legislatore ha sicuramente inteso diversificare il regime normativo della responsabilità contrattuale e
della responsabilità extracontrattuale.
La responsabilità contrattuale consegue, evidentemente, alla violazione e quindi all'inadempimento di un
contratto, che ha forza di legge tra le parti ex articolo 1372, e proprio questa natura di vincolo legale
determina il fatto che in conseguenza di inadempimento si va incontro a sanzioni come se si violasse la
legge.
La responsabilità extracontrattuale sorge in violazione di una norma di legge o dei principi di prudenza,
perizia, diligenza, il cui adempimento non è stato contrattualmente assunto dalla parte.
Poi c'è la responsabilità precontrattuale, che limita il risarcimento all'interesse negativo. In che categoria
ricade?
I fatti costitutivi di responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale sono diversi, anche se poi
vedremo può verificarsi il cumulo.
Prima differenza attiene all'onere probatorio che spetta alle parti:
•
responsabilità contrattuale: la parte che agisce dovrà limitarsi, secondo le prescrizioni generali
dell'onere della prova, a provare il fatto oggettivo dell'inadempimento contrattuale. L'altra parte dovrà
provare l'assenza di dolo o colpa o fatto a lui non imputabile. La prova degli elementi soggettivi
spetta al convenuto
•
responsabilità extracontrattuale: chi agisce ai sensi del 2043 non dovrà provare soltanto il fatto
materiale che ha cagionato il danno, ma dovrà anche provare, salvo l'ipotesi della responsabilità
oggettiva, che l'agente versava in uno stato di dolo o di colpa. Al danneggiato spetta di provare
l'elemento soggettivo.
Perché il legislatore ha scelto regimi probatori diversi? Ciò è avvenuto perché nell'ipotesi di esistenza di un
titolo contrattuale i diritti sorgono per effetto del titolo stesso, con la conseguenza che se l'elemento
costitutivo di quedsti diritti è il contratto, per esercitare delle azioni che derivano dal contratto sarà sufficiente
provare che il contratto è rimasto inadempiuto.
Di elementi soggettivi attengono alla prova liberatoria, e quindi processualmente sono delle eccezioni: chi è
6
Filippo Galluccio – Appunti 2002
convenuto deve trovare fatti modificativi ed estintivi del diritto che è fatto valere nei suoi confronti.
Excursus: dal contratto deriva
•
azione di inadempimento
•
azione di risoluzione
•
azione di risarcimento del danno.
Nella responsabilità extracontrattuale il dolo e/o la colpa del soggetto agente rappresentano degli elementi
costitutivi del diritto del danneggiato. Questo perché strutturalmente la responsabilità da fatto illecito si
avvicina alla responsabilità penale, e nessuno può essere punito per un fatto che non ha commesso con
dolo o con colpa.
Oltre all'onere della prova ci sono ulteriori differenze tra un'azione e l'altra.
Diverso termine prescrizionale che connota l'azione contrattuale ed extracontrattuale.
Prescrizione: perdita di un diritto per l'inerzia del suo titolare.
Di regola l'azione di responsabilità extracontrattuale si prescrive in cinque anni, quella contrattuale in dieci
anni.
C'è poi una distinzione importante relativamente all'entità del danno risarcibile.
A norma dell'articolo 1225, il danno risarcibile in caso di inadempimento contrattuale è limitato al cosiddetto
danno prevedibile, ossia a quel danno che al sorgere dell'obbligazione era prevedibile che si verificasse, a
meno che l'inadempimento non sia stato doloso.
Nella responsabilità extracontrattuale questa limitazione non opera: leggendo il 2056, si nota come il rinvio
operato da questo articolo alle norme che regolano il quantum del danno risarcibile non ricomprende
l'articolo 1225: sarà risarcibile non soltanto il danno prevedibile, ma tutto quel danno che conseguenza
immediata e diretta dell'illecito.
Può succedere però che uno stesso fatto materiale origini sia un'ipotesi di responsabilità sia ex contractu, sia
ex delictu: in questo caso si parla solitamente in giurisprudenza e in dottrina di cumulo o concorso di
responsabilità.
Al creditore è rimessa la scelta su quale titolo fondare la propria pretesa risarcitoria.
Processualmente la proposizione di un titolo non esclude l'altro.
Le ipotesi più frequenti di cumulo di responsabilità si verificano nell'ipotesi di lesione dei cosiddetti diritti
assoluti, ossia di quei danni che coinvolgono o la persona del creditore o la titolarità di un suo diritto reale.
Pensiamo all'ipotesi in cui stipulo un contratto di trasporto, e il vettore, nell'adempiere, causa per negligenza
un danno della persona.
Altro caso è inadempimento delle obbligazioni di restituzione: ad esempio nel comodato, se non mi ridanno il
bene, c'è anche occupazione abusiva di un mio bene mobile o immobile.
Veniamo ad un'altra distinzione importante. Abbiamo sempre parlato di risarcimento del danno: occorre
tenere ben distinta questa nozione da quella di indennizzo, che si fonda su presupposti diversi.
Hanno funzione analoga perché anche l'indennizzo svolge il compito di reintegrare una diminuzione
patrimoniale subita dal creditore: identità di ratio con l'azione risarcitoria.
I casi più importanti di indennizzo:
•
promessa del fatto di terzo, 1381
•
azione necessitata: chi compie fatto antigiuridico, ma perché versa in stato di necessità, non deve
alla parte lesa il risarcimento del danno, ma il giudice può stabilire un equo indennizzo: 2045
•
contratto rescindibile per stato di necessità: 1447, si parla di equo compenso.
Anche l'indennizzo reintegra, come detto, una diminuzione patrimoniale. Perché il legislatore ha volutamente
usato una terminologia differente? La nozione di risarcimento del danno è intimamente connessa oltre che a
una funzione risarcitoria, anche ad una funzione sanzionatoria, di tal che cosa richiede l'applicazione di una
norma sanzionatoria?
La fattispecie risarcitoria trova applicazione esclusivamente in un comportamento sanzionato dalla legge
come illecito. Ogni qualvolta si realizzano una diminuzione patrimoniale, ma quest'anno l'è riconducibile ad
un comportamento illecito, il legislatore parla di indennizzo.
Da che cosa è composto il danno?
Il danno si compone, a norma del 1223, sia del lucro cessante, che del danno emergente.
Chi esercita un'azione risarcitoria, a prescindere dal titolo su cui la fonda, deve provare sia il mancato
guadagno che la perdita subita.
Nb: ex delictu è risarcibile anche il cosiddetto danno non patrimoniale, 2059, che quel danno che si riflette su
un soggetto in maniera diversa da una diminuzione patrimoniale.
Danno morale, subito per turbamento psicologico momentaneo e fisiologico. Se si sfocia nella patologia, si
ha il cosiddetto danno biologico (danno alla salute, costituzione 24).
Nel nostro ordinamento giuridico il danno patrimoniale risarcibile è soltanto quello che segue alla
commissione di un reato.
Vi è poi un altro metodo attraverso cui si può arrivare alla determinazione del danno: via equitativa, previsto
dall'articolo 1226, richiamato dall'articolo 2056. Cos'è, quali sono i presupposti necessari?
L'entità del risarcimento equitativo è fissata dal giudice che, facendo ricorso a criteri di giustizia oggettiva,
può determinare il quantum del risarcimento a prescindere dall'entità della diminuzione patrimoniale subita
7
Filippo Galluccio – Appunti 2002
dal danneggiato. Il legislatore si è preoccupato di due conseguenze:
•
attraverso il ricorso alla liquidazione equitativa la parte non sia sollevata dal proprio onere
probatorio, che quello di provare l'entità del danno subito
•
il legislatore vuole evitare la possibilità che ci siano abusi da parte dell'autorità giudiziaria. Per
evitare arbitri il ricorso per il risarcimento in via equitativa trova dei limiti. Innanzitutto, preso posto
imprescindibile per ottenere la liquidazione equitativa del danno è provare l'an su cui si fonda
l'azione, cioè il presupposto materiale su cui si è fondata l'azione di danno. Deve inoltre provare
parametri oggettivi di riferimento cui il giudice deve relazionarsi per quantificare il danno. Deve da
ultimo essere oggettivamente impossibile fornire l'entità numeraria, anche in via approssimativa, del
danno subito.
Il danno morale è il classico ambito dove trova applicazione il risarcimento del danno in via equitativa.
Problema: attesa la funzione risarcitoria, che il tipo di obbligazione genera la responsabilità contrattuale e la
responsabilità extracontrattuale? La tematica è connessa a quella delle obbligazioni pecuniarie.
Lezione del 28/2.
L'obbligazione che scaturisce da contratto o fatto illecito è inquadrabile nei debiti di valore o nei debiti di
valuta.
Le obbligazioni pecuniarie, in virtù del principio nominalistico, solitamente originano dei debiti di valuta, per
cui il denaro è considerato esso stesso come un bene di scambio e quindi, a prescindere dal reale valore, va
restituito l'ammontare stabilito nel contratto.
Questo perché il denaro è considerato come un bene in sé, cosa che invece non accade nelle obbligazioni
aventi carattere risarcitorio. In questo caso infatti il denaro non viene valutato come un bene in sé, ma come
uno strumento finalizzato alla reintegrazione ed alla ricostruzione del patrimonio del soggetto danneggiato, e
poiché, come abbiamo visto, il risarcimento comprende lucro cessante e danno emergente, sul debitore
grava l'obbligo di riportare il patrimonio del danneggiato nella medesima consistenza che il patrimonio aveva
prima del verificarsi dell'evento dannoso. I debitore deve versare denaro per reintegrare tutte le utilità di cui il
danneggiato è stato privato.
L'obbligazione va classificata come debito di valore. Questa classificazione è avvalorata dalla possibilità data
al debitore di reintegrare in forma specifica il patrimonio del danneggiato, fornendogli un ben identico a
quello danneggiato, purché tale integrazione non sia particolarmente gravosa per il creditore.
Altri principi fondamentali che si applicano nelle obbligazioni derivanti da contratto o extracontrattuali sono il
concorso di colpa e il principio dei danni evitabili.
Questo principio è fissato in via generale dall'articolo 1227, quindi dettato per le obbligazioni ex contractu,
trova applicazione anche ex delictu per la relatio che fa il 2056.
Il primo di questi principi stabilisce che se vi è un concorso di colpa nel soggetto danneggiato, l'entità del
risarcimento viene diminuita in proporzione al grado di colpa riconosciuto nel soggetto danneggiato. Questo
perché? Perché un principio inderogabile e generale dell'ordinamento giuridico è che la gravità della
sanzione da infliggere deve essere proporzionata al fatto commesso. Tant'è vero che nel valutare l'entità
della pena il giudice, nel diritto penale, deve fare riferimento all'intensità del dolo e al grado della colpa.
Lo stesso principio vige nel diritto civile, per cui tanto maggiore in grado della colpa, tanto maggiore il
risarcimento.
L'articolo 1227 comma 2 stabilisce poi una limitazione nel quantum del danno risarcibile, infatti non sono
risarcibili i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.
Il motivo di questa limitazione si rinviene in due argomenti.
Il primo, di politica legislativa, secondo cui non si può accordare una tutela giuridica a chi si è comportato in
modo negligente.
In termini più tecnici è evidente che la mia assenza di diligenza determina un'interruzione del nesso causale,
perché elemento imprescindibile per la risarcibilità di un illecito è che ci sia un nesso eziologico tra fatto
materiale e l'evento dannoso.
Se interferisce una omissione esterna, almeno per quella parte di danno causata dalla negligenza, il danno
non è riconducibile al fatto illecito, ma al comportamento negligente.
2.3.1. Struttura del 2043.
Quali sono gli elementi costitutivi di questa fattispecie? Possiamo distinguere nella struttura della norma tre
elementi oggettivi, che sono:
•
il fatto commesso
•
il nesso causale
•
il danno ingiusto
e due elementi soggettivi, che sono:
•
il dolo
•
la colpa.
8
Filippo Galluccio – Appunti 2002
Per il perfezionarsi di una fattispecie illecita è necessaria ma non sufficiente la sussistenza dei requisiti
previsti dal 2043. Perché sorga la responsabilità da fatto illecito è necessario che ricorrerà in capo al
soggetto autore del danno la imputabilità, 2046: al momento in cui viene commesso il fatto illecito l'agente
deve essere in grado di intendere di volere.
Che significato dare a questi due termini? La capacità di intendere e di volere può essere genericamente
definita come la capacità di percepire il disvalore sociale del proprio comportamento, ovviamente in una
sfera parallela laica.
La capacità di volere è la capacità di scegliere tra comportamenti antagonisti.
Questo principio dell'a presenza di imputabilità come requisito fondamentale per il sorgere della propria
responsabilità non opera se lo stato di incapacità deriva dalla colpa dell'agente: il motivo di questa
limitazione è logico: il danno è pur sempre riconducibile ad un comportamento corposo.
A maggior ragione non opera se lo stato di incapacità è dovuto a dolo.
(a) Il fatto.
Per fatto deve intendersi qualunque comportamento umano posto in essere in violazione di una norma
giuridica specifica o in violazione dei criteri di diligenza, perizia, prudenza. Il problema si pone in sede
civilistica quando il danno si verifica in seguito ad una omissione, perché se l'agire si sostanzia in un fatto
commissivo, non ci sono dubbi.
Nel silenzio della normativa civilistica la giurisprudenza ritiene applicabile anche ai fini di declaratoria di
responsabilità civile l'articolo 40 comma 2 codice penale, per cui il comportamento omissivo rileva soltanto
se sul soggetto agente grava l'obbligo giuridico di impedire l'evento.
Se non c'è norma giuridica che impone al soggetto rimasto inerte di attivarsi, il danno conseguenza
dell'omissione non è risarcibile.
Excursus: distinzione tra dolo eventuale (quando l'agente agisce con la previsione dell'evento e accetta in
termini probabili mistici il rischio del suo verificarsi) colpa cosciente (agisce con la previsione dell'evento ma
è sicuro che non si verifichi).
(b) Il nesso causale (o rapporto causale o nesso eziologico).
Può essere definito come il rapporto di immediatezza che lega il fatto con il danno, per cui (cf 1223) il danno
è conseguenza immediata e diretta del fatto materiale.
Anche in sede civilistica, per accertare la ricorrenza o meno di un rapporto causale tra comportamento e
danno si ricorre alla teoria della condicio sine qua non (con un processo di eliminazione mentale bisogna
accertare se in assenza di quel fatto si sarebbe comunque verificato l'evento) o alla teoria della sussunzione
sotto una legge statistica o scientifica di copertura.
(c) Danno ingiusto.
Cosa si intende per danno ingiusto? Si intende quella diminuzione patrimoniale inferta contra ius e non iure.
Contra ius significa, secondo una definizione giurisprudenziali classica, che il fatto deve ledere una
posizione giuridica altrui riconosciuta e tutelata come diritto soggettivo perfetto.
Questa interpretazione è rimasta valida nel nostro ordinamento giuridico fino a circa un anno fa.
È intervenuta la sentenza 500/99 ad allargare il concetto di danno contra ius nelle fattispecie di interesse
legittimo.
Oltre che contra ius la diminuzione patrimoniale non deve trovare una giustificazione nell'ordinamento
giuridico; l'ipotesi tipica è quella del danno conseguente a fatti leciti. L'altra è l'ipotesi del danno arrecato in
caso di stato di necessità o di legittima difesa.
Che conseguenze ne derivano?
OM principio fondamentale dell'ordinamento giuridico: nel campo della responsabilità contrattuale vige il
principio di atipicità dell'illecito civile, che si contrappone al principio di tipicità vigente in materia penale.
Nella responsabilità civile non troviamo e elencazione dei fatti che vengono omologati come illeciti.
È la giurisprudenza che deve interpretare e classificare gli illeciti, e in quest'opera interpretativa e sistematica
la giurisprudenza ha sempre maggiormente allargato le frontiere del danno risarcibile (Busnelli).
All'inizio si ritenevano risarcibili non soltanto solo i diritti soggettivi, ma all'interno dei diritti soggettivi soltanto i
diritti assoluti, quindi le lesioni arrecate al diritto di proprietà e agli altri diritti reali, alla vita, integrità fisica e
onore. Esclusa la tutela ai cosiddetti diritti relativi; non veniva riconosciuta nessuna tutela aquilinana alla
lesione del credito.
Successivamente la giurisprudenza ha esteso ai diritti relativi e ultimamente ha gli interessi legittimi.
La sentenza 500/99 parla di qualunque interesse meritevole di tutela e si potrebbe pensare anche agli
interessi diffusi: sentenza Meroni, Cass Sez Un. 25 gen 1971, n174.
Questa sentenza ammette per la prima volta la risarcibilità al titolo extracontrattuale nell'ipotesi in cui si
verifichi la lesione di un diritto di credito, quindi nell'ipotesi in cui un soggetto, con il proprio comportamento
illecito, renda impossibile la corretta esecuzione di un rapporto contrattuale.
Nel caso di specie un automobilista aveva investito un giocatore del Torino, impedendo alla squadra di
usufruire delle prestazioni di facere.
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
Perché questa sentenza ha carattere innovativo sui principi che prima si erano affermati in giurisprudenza?
Prima, a partire dal caso Superga, si negava la risarcibilità dei diritti di credito facendo leva su due
argomenti, il primo rinvenibile nel principio di relatività del contratto (1372), il secondo concernente l'assenza
di un nesso causale tra il fatto illecito commesso dal terzo e il danno patrimoniale che subiva il contraente in
conseguenza dell'inadempimento del debitore.
Principio di relatività del contratto.
La sentenza del 50 e la giurisprudenza ci dicevano: la tutela del credito non può avvenire perché, avendo il
contratto forza di legge tra le parti, può essere azionato solo dal creditore nei confronti del suo debitore.
Il creditore può soddisfare tutte le pretese che derivano dal rapporto contrattuale esclusivamente nei
confronti dei suoi debitori. Siccome il terzo non è parte del contratto, non c'è azione.
Se anche questa azione ci fosse, non ci sarebbe rapporto di immediatezza tra danno è fatto materiale,
perché il danno è comunque riconducibile all'inadempimento del debitore.
Lezione del 4/3.
La giurisprudenza delle sezioni unite afferma la risarcibilità per lesione del credito partendo da quella che era
una critica all'interpretazione giurisprudenziali precedente.
Il richiamo al 1372 per negare la risarcibilità portata ad un diritto di credito non è pertinente. Infatti, secondo
la sentenza, il fatto che il contratto a forza di legge tra le parti significa solamente che gli obblighi connaturati
alle prestazioni del contratto non possono essere posti a carico di soggetti estranei alla stipulazione del
contratto, quindi l'adempimento può essere chiesto soltanto agli aderenti al patto contrattuale.
Quest'interpretazione va collegata al principio volontaristico, per cui gli obblighi nascenti dal contratto
possono essere posti a carico delle parti solo in presenza di una manifestazione di volontà espressa o tacita.
Questo non significa che un terzo possa interferire illecitamente nell'esecuzione del rapporto contrattuale
rendendo impossibile l'adempimento di una prestazione. Il danno va qualificato come contra ius.
Le sezioni unite poi esaminano se esiste o meno il nesso causale.
È vero che il danno subito dal creditore è immediatamente riconducibile all'inadempimento, ma è pur vero
che l'inadempimento non si sarebbe verificato se non ci fosse stata l'interferenza illecita del terzo. Quindi un
certo rilievo causale c'è: si tratta di trovare la norma che da rilevanza giuridica questa causalità.
È l'articolo 41 codice penale: le cause sopravvenute.... Il mero dato dell'inadempimento non è di per sé
idoneo a determinare il danno contrattuale, perché senza il fatto illecito del terzo il contratto sarebbe stato
adempiuto, quindi il mero dato oggettivo dell'inadempimento non interessa il rapporto causale tra fatto illecito
del terzo e danno dei contraente.
Così ricostruito però il rapporto causale non esiste in rapporto tutte le possibili lesioni dei diritti di credito,
infatti perché possa essere ammessa la tutela aquilinana del credito è necessario che il fatto illecito del terzo
abbia reso impossibile l'adempimento in modo definitivo e irreparabile.
Perché la giurisprudenza fissa questo doppio parametro? Se la prestazione fosse ancora eseguibile o non
fosse irreparabile mente impossibile, conciò intendendosi la possibilità di ottenere l'adempimento di un altro
debitore, allora sì che non ci sarebbe rapporto causale tra il fatto illecito del terzo il danno.
Il fatto di richiedere come requisiti la definitività e l'irreparabilità, obbliga ad operare una distinzione quanto
alla risarcibilità dei diritti di credito tra obbligazioni di dare e obbligazioni di fare.
Nelle obbligazioni di fare la prestazione diventa irreparabile in modo definitivo quando si tratta di prestazione
infungibile, quindi quando vi è insostituibilità nella persona del debitore su cui è influito il fatto illecito.
Nella prestazione di dare il fatto illecito può influire tanto sull'oggetto della prestazione, quanto sulla persona
del debitore.
Nell'ipotesi di dare un bene infungibile la prestazione diventerà irreparabile mente impossibile se il
comportamento illecito coinvolgerà il bene non sostituibile.
Il problema si pone quando il debitore è tenuto ad una prestazione di genere: in questo caso l'unico fatto
illecito che rileva è quello che riguarda la persona del debitore; la prestazione di dare diventa irreparabile
quando non ci sono altri coobbligati: l'unico obbligato e il soggetto vittima del fatto illecito. Il fatto illecito non
sarà quindi rilevante nelle obbligazioni solidali. Ci sono più persone e il creditore può chiedere a ciascuno di
essi l'intero.
Questo complica i rapporti interni tra coobbligati, e pone un problema se il fatto illecito ricade sull'unico
soggetto solvibile.
2.3.2. Problema dell'induzione all'inadempimento
ovvero l'ipotesi in cui un terzo induce una parte a non adempiere. Vediamo come il comportamento illecito
del terzo interferisce nella corretta esecuzione del rapporto contrattuale.
Questa fattispecie è simile a quella della lesione del credito, ma si differenzia per una particolarità. Mentre
infatti nella lesione del credito la prestazione diventa impossibile per il fatto del terzo, qui il terzo concorre a
determinare l'inadempimento, il quale però si verifica pur sempre per un atto di volontà del debitore.
Si verifica un'ipotesi qualificata come concorso nell'inadempimento, in quanto l'inadempimento si verifica in
parte per istigazione del terzo e, nel suo aspetto materiale, per l'astensione del contraente dall'esecuzione
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
della prestazione.
Questa ipotesi molto simile alla figura penalistica del concorso di persone nel reato (concorso morale).
Anche qui però si pone un problema di rapporto causale, perché si potrebbe fondatamente ritenere che la
volontà della parte di adempiere o non adempiere assorba l'induzione del terzo.
Perché vi sia rapporto causale è quindi necessario che questi induzione sia tale da determinare o rafforzare
il proposito di non adempiere, quindi in questo caso il comportamento del debitore si pone come
eziologicamente rilevante nei confronti del danno subito dal contraente creditore della prestazione rimasta
ineseguita.
Si tratta di vedere adesso i titoli in forza del quale rispondono il contraente rimasto inadempiente e il terzo
che è ha indotto all'inadempimento.
Il creditore ha due azioni da far valere: un'azione nei confronti della controparte contrattuale e un'azione nei
confronti dell'istigatore all'inadempimento
il titolo è rispettivamente contrattuale ed extracontrattuale, ed i regimi processuali sono diversi.
2.3.3. Responsabilità per doppia alienazione
Vediamo ora un altro caso che piuttosto difficile, ed è l'ipotesi della responsabilità per doppia alienazione,
ossia della tutela aquilinana accordata al contraente che ha acquistato a non domino, ossia da chi non è
proprietario.
L'ipotesi: un soggetto proprietario di un bene immobile aliena lo stesso bene a due soggetti diversi, ed il
secondo acquirente, pur sapendo della prima alienazione, si affretta a trascrivere ex 2044 per rendere
opponibile il proprio acquisto al primo acquirente.
Il primo acquirente, pur avendo un contratto di vendita di data certa anteriore a quello trascritto, è fregato. Si
tratta di vedere che Tipo di tutela risarcitoria egli è accordata. Nei confronti del secondo acquirente l'azione
risarcitoria è extracontrattuale, mentre nei confronti del venditore c'è una tutela contrattuale.
Perché a titolo è extracontrattuale risponde chi ha trascritto per primo? Il primo orientamento
giurisprudenziali, superato, diceva che secondo acquirente rispondeva perché, conoscendo la prima vendita,
versava in uno stato di malafede quando ha trascritto, quindi lo strumento con cui si è procurata la possibilità
di rendere opponibile l'acquisto al primo acquirente si sarebbe realizzato in malafede.
Quest'orientamento viene poi rivisto da alcune sentenze della cassazione che fanno questo discorso: ma, il
fatto illecito che sostanzialmente si imputerebbe al secondo acquirente è di aver trascritto; questo è tuttavia
un diritto attribuito dalla legge. Non è sufficiente limitarsi al dato della trascrizione in malafede.
Tuttavia, la tutela del primo acquirente va pur sempre riconosciuta, grazie ai principi che regolano il concorso
nell'inadempimento.
Perché? Il semplice fatto che il venditore abbia alienato lo stesso bene immobile a due soggetti diversi, di
per sé solo non è idoneo a pregiudicare l'acquisto del diritto di proprietà da parte del primo acquirente.
La fattispecie qualificabile come inadempimento si perfeziona e realizza il suo effetto soltanto quando il
secondo acquirente trascrivere il proprio acquisto. La trascrizione è fondamentale alla realizzazione
dell'inadempimento contrattuale, ed ha quindi rilevanza causale.
Realizzandosi in danno del primo acquirente in base a due fatti commissivi, gli autori di questi sono chiamati
a risarcirlo.
L'ipotesi è molto simile a quella di induzione all'inadempimento.
Lezione del 7/3.
2.3.4. Responsabilità extracontrattuale da false informazioni.
Problema di sovrapposizione tra disciplina contrattuale e disciplina extracontrattuale.
Qualora un soggetto sia indotto a stipulare un contratto mediante l'utilizzo di un altro soggetto di raggiri, la
legge appresta un rimedio di tutela per il contraente indotto a contrarre. Annullabilità del contratto per dolo.
Distinguiamo le ipotesi di dolo determinante da quelle di dolo incidente.
Se il contratto sarebbe stato comunque concluso, ma a condizioni diverse, il contratto non è annullabile, ma
l'accordo negoziale, pur rimanendo valido, permette una tutela risarcitoria.
Allora, se c'è già il rimedio del dolo, in che cosa si ha responsabilità extracontrattuale? Quando il dolo sia
posto in essere da un terzo.
Articolo 1439 se i raggiri erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.
È necessario che ricorrano due requisiti:
•
che il dolo fosse noto all'altro contraente
•
che questo contraente ne abbia approfittato.
·
·
·
·
·
Questi sono elementi costitutivi per domandare l'annullamento del
contratto da parte del soggetto che è stato ingannato. Se non sussistono il contratto, seppur viziato da una
situazione di dolo, non è annullabile.
Proprio in questa circostanza entra in gioco la tutela aquiliana, ossia la possibilità del contraente ingannato
di agire nei confronti del terzo che l'ha ingannato a titolo extracontrattuale.
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
È fatto illecito ingannare un soggetto per indurlo a fare qualcosa che non avrebbe fatto.
Norma e principio diversi vigono nell'ipotesi di contratto concluso a seguito di violenza. Articolo 1434: la
violenza è causa di annullamento del contratto anche se esercitata da un terzo. Non pone quindi un
problema di responsabilità extracontrattuale. Il contratto concluso con violenza è sempre annullabile, a
prescindere dal fatto che la violenza provenga dal contraente o dal terzo, e a prescindere dal fatto che la
controparte fosse a conoscenza e si sia approfittata della violenza.
Questo perché, attesa l'intensità che la violenza crea nella formazione della volontà contrattuale, il
legislatore ha deciso di attribuire rimedio dell'annullamento.
Attenzione: è la violenza morale. Se si tratta di violenza fisica il contratto è nullo.
2.3.5. Redazione della lettera di patronage.
Ci sono due tipi di patronage, debole e forte.
Nell'ipotesi di patronage debole un soggetto, che è di solito la capogruppo, induce un altro soggetto, che è
solitamente una banca, a finanziare una società del gruppo, rassicurando il finanziatore sulla solidità, e
quindi sulla possibilità da parte del soggetto finanziato di restituire il denaro.
La lettera di patronage rappresenta una sorta di garanzia morale, ma non fa sorgere un vincolo giuridico nei
confronti del patrocinatore.
Però è chiaro che la volontà di far credito e comunque storta a causa del patronage. Come accordare la
tutela?
Si sono sviluppati due orientamenti giurisprudenziali. Secondo alcuni di patronage genera una sorta di
promessa del fatto del terzo, di tal che se il finanziatore non adempie all'obbligazione restitutoria, io sarei
tenuto ad indennizzare il soggetto che ha fatto il finanziamento non restituito.
Altra giurisprudenza dice che è una forzatura.
Il problema è questo: con una lettera di patronage non assumo nessun obbligo nei confronti del finanziatore,
perché non prometto fatto del terzo, ma do solo rassicurazioni sulla sua solidità. La responsabilità è quindi
da fatto illecito.
Il principio affermato è questo: se tu capogruppo non dicevi che la controllata era solvibile, inducendo la
banca a fare il finanziamento, il finanziamento non sarebbe intervenuto.
Siccome tu, con dolo con colpa, hai rafforzato nel finanziatore la volontà di finanziare.
Indurre taluno in errore costituisce un fatto che è accompagnato dall'elemento soggettivo, sei chiamato a
rispondere nei confronti del soggetto che è stato indotto a fare credito alla controllata.
Diversa è l'ipotesi del patronage forte. Cos'è?
È una lettera che viene mandata da un soggetto, quasi sempre la capogruppo, sempre ad un finanziatore, in
cui però la capogruppo non si limita a fornire delle dichiarazioni sulla solvibilità del soggetto destinatario del
finanziamento, ma si impegna a far sì che, in un'ottica di rapporti infragruppo, la società destinatario del
finanziamento mantenga una determinata consistenza patrimoniale.
La differenza è evidente: qui ci si impegna anche a mantenere la solvibilità.
Che è tipo di responsabilità viene ad assumere la capogruppo qualora la società del gruppo non adempie
all'obbligazione restitutoria? Non genera una responsabilità contrattuale nei confronti del finanziatore perché
non è intervenuto nessun contratto di garanzia. La responsabilità deriva in base ai principi trattati la scorsa
lezione. Si verifica una sorta di concorso nell'inadempimento. Inadempiente è la controllata finanziata, ma
perché allora? Perché la controllante che ha scritto il patronage non gli ha fornito i mezzi finanziari
necessari.
Senza l'omissione della controllante inadempimento non si sarebbe verificato.
2.3.6. Violazione del dovere di informazione.
È una specificazione del dovere di buona fede e di diligenza. Se su un determinato soggetto grava un
obbligo giuridico di fornire ad un soggetto determinato informazioni e quest'obbligo giuridico viene violato, se
dalla violazione deriva un danno, e soggetto che lo ha cagionato è tenuto a risarcire il danno. Rileva
evidentemente nella responsabilità della pubblica amministrazione: pensiamo ad esempio alla cartellonistica
stradale.
2.3.7. Propagazione di false informazioni.
Questa fattispecie è commissiva. Mentre nella violazione del dovere di informazioni il fatto da cui deriva il
danno si realizza mediante una omissione.
Qui entra in gioco il discorso della responsabilità da prospetto informativo. Un operatore che si appresta a
mettere sul mercato determinati derivati, è tenuto a fornire informazioni sul proprio stato patrimoniale e
sull'operazione che viene posta in essere.
2.3.8. Tutela della libertà sessuale.
Responsabilità conseguente alla seduzione con promessa di matrimonio.
La libertà sessuale è una libertà che il nostro ordinamento giuridico tutela, tant'è vero che ci sono norme
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
penali a protezione di questo bene giuridico.
Nei soggetto è riconosciuto diritto di determinarsi liberamente al compimento di qualsiasi attività sessuale.
Cosa succede se un soggetto, per determinare un altro soggetto al compimento di una certa attività
sessuale promette matrimonio? Per effetto della dichiarazione mendacia la poverina viene indotta a
congiungersi. Il promettente che ha commesso in danno della sventurata un'attività ingannevole, che ha
violato un diritto riconosciuto dall'ordinamento, ed espone e soggetto ingannatore ad una responsabilità per
danni che riguarda tanto i danni subiti dalla persona seduta, tanto da un eventuale nascituro.
Vi è una sorta di violenza perché il consenso sarebbe stato estorto con la promessa di matrimonio.
Se c'è un nascituro e seduttore è tenuto al mantenimento del figlio. Bisogna distinguere tra mantenimento e
alimenti. Gli alimenti sono esclusivamente quanto necessario per una sussistenza libera dignitosa, il
mantenimento è un obbligo attraverso cui si deve garantire al mantenuto un tenore di vita in linea con quello
del soggetto obbligato al mantenimento. Il padre naturale ha solo obbligazione alimentare.
Lezione del 21/3.
Ogniqualvolta nell'ordinamento giuridico si riscontrano dei comportamenti giuridici che assumono rilevanza,
siano essi contratti atipici o fatti illeciti, il presupposto perché l'ordinamento giuridico riconosca la tipicità che
accompagna questi fatti giuridici e la loro incidenza su interessi meritevoli di tutela (Galgano).
La clausola per dare ingresso alle tutele atipiche e quindi sempre l'esistenza di un interesse riconosciuto e
tutelato dall'ordinamento.
2.3.9. Il requisito del danno non iure.
Secondo requisito per la risarcibilità e reintegrazione patrimoniale.
Si intende quel danno che, pur subito da un soggetto, è giustificato dall'ordinamento giuridico.
Essendo stato inferto in presenza di una causa di giustificazione, non espone l'agente a conseguenze
risarcitorie. L'ipotesi più importante si sta quando l'agente agisce per la tutela o il perseguimento di un
proprio diritto.
Può succedere che un soggetto, per effetto di un determinato comportamento, subisca un danno, ma questo
danno deriva dall'esercizio di un diritto. La prima ipotesi è la cosiddetta diminuzione patrimoniale
conseguente ad una restituzione.
Es.: viene stipulato un contratto poi dichiarato nullo.
Può verificarsi l'ipotesi in cui un contraente ha eseguito la prestazione: in capo a lui sorge il diritto ad
esercitare l'azione di ripetizione dell'indebito. L'altro contraente subisce una diminuzione patrimoniale.
Altra ipotesi è quella relativa alla sottoposizione di beni del debitore ad esecuzione forzata (= quel
procedimento disciplinato dal codice di rito tramite cui il detentore del titolo esecutivo può soddisfarsi
coattivamente sui beni del debitore).
Ogniqualvolta la diminuzione patrimoniale deriva dall'esercizio di un diritto, non è da risarcire.
Ci sono altre due ipotesi: 2044 e 2045 cc.
Sono norme che troviamo anche nel codice penale, ed hanno più o meno la stessa valenza applicativa.
Articolo 2044: il danno che si cagiona ad un soggetto per la legittima difesa di sé o di altri non rendere
responsabile il soggetto agente.
Rileva la legittima difesa putativa, che ricorre quando il soggetto crede di versare in una situazione di
pericolo dello crede in base ad un errore scusabile, cioè in base ad un errore che non deriva da un suo
comportamento colposo.
Rileva il principio dell'apparenza oggettiva, ossia di quella situazione diversa dalla realtà che rende
verosimile un determinato fatto grazie a circostanze oggettive indipendenti dal comportamento colposo del
soggetto danneggiato.
In questo senso la legge tutela l'affidamento del soggetto agente a discapito del soggetto danneggiato.
Ulteriore causa di giustificazione che rende il danno non iure è poi lo stato di necessità, 2045. Presenta delle
caratteristiche diverse dalla legittima difesa. Nella legittima difesa rileva non sono l'offesa la persona, ma
anche l'offesa arrecata al patrimonio. Nello stato di necessità di bene esposto al pericolo può essere
unicamente l'integrità fisica, che può riguardare tanto il soggetto che arreca il danno, tanto un'altra persona.
Ulteriore differenza si rinviene in capo alla persona che subisce il danno.
Mentre nella legittima difesa viene danneggiato un soggetto autore di un comportamento antigiuridico (e per
questo il soggetto danneggiato non spetta nulla) nello stato di necessità il danno va a gravare su un soggetto
innocente, che non ha tenuto nessun comportamento contrario al diritto. In sede civilistica questa situazione
di innocenza del soggetto viene comunque tutelata dal legislatore, in quanto non potendosi qualificare come
contrario al diritto e il comportamento del soggetto agente la cui azione è necessitata, gli spetta tuttavia un
equo indennizzo.
Equo indennizzo la cui quantificazione è rimessa al giudice, il quale nell'operare questa quantificazione deve
fare riferimento a tutte le circostanze del caso concreto. Il giudice deve valutare l'entità della diminuzione
patrimoniale subita, le condizioni economiche del danneggiato e del danneggiante e la situazione di fatto
attraverso cui si è realizzata l'azione necessitata.
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
Secondo equità il giudice attribuisce a soggetto destinatario dell'azione necessitata un equo indennizzo.
Nb: la scriminante non opera se la situazione di pericolo è stata volontariamente creata dal soggetto agente
e se la sua reazione che ha cagionato il danno poteva essere in altro modo evitata, adottando altri
comportamenti.
2.4.
Il tema della responsabilità indiretta.
Il codice civile ha tipizzato tra ipotesi di responsabilità indiretta, che sono gli articoli 2047,2048 e 2049, più,
almeno in una certa parte, il 2054, ovvero rispettivamente: danno cagionato dall'incapace, responsabilità dei
tutori, precettori, maestri d'arte, padroni e committenti, circolazione dei veicoli.
La responsabilità indiretta ricorre quando del danno risponde un soggetto diverso da chi materialmente ha
commesso il fatto illecito.
Mentre il 2047 e il 2048 prevedono ipotesi di responsabilità indiretta impura, il 2049 prevede un'ipotesi di
responsabilità indiretta pura (taluni ritengono addirittura che si tratti di responsabilità oggettiva, perché a
carico di chi è munito di potere di direzione non è ammessa prova liberatoria).
Articolo 2047. Dobbiamo ritornare a quanto detto nelle prime lezioni: danno commesso dall'incapace. Il 2046
richiede, facendo riferimento all'imputabilità del fatto dannoso, che chi ha commesso il fatto fosse capace di
intendere e di volere. In assenza di questa capacità, il soggetto agente non può essere chiamato al
risarcimento del danno.
Quando l'ordinamento giuridico trova una causa di giustificazione sorge la necessità di tutelare le esigenze
patrimoniali di chi ha subito l'azione giustificata.
Il sistema normativo è così costruito: titolo di responsabilità indiretta a soggetto che era tenuto alla
sorveglianza dell'incapace.
Del danno cagionato dall'incapace risponde chi era tenuto alla sua sorveglianza. Da questo inciso la dottrina
ricostruisce il titolo di responsabilità indiretta impura, perché il soggetto tenuto alla vigilanza risponde solo
quando si verifichi la cosiddetta culpa in vigilando.
Si risponde di un fatto illecito altrui ma in conseguenza pure di un fatto illecito proprio.
Il vigilante risponde per un fatto commesso da un terzo, ma in conseguenza di un illecito proprio, ossia la
violazione del dovere di vigilare.
Il titolo su cui si fonda la responsabilità nel caso di danno dell'incapace è questa culpa in vigilando, ossia non
si sia attuata sorveglianza idonea. Prova liberatoria che il sorvegliante deve fornire per far sì che la domanda
proposta nei suoi confronti venga rigettata; 2047: prova di non aver potuto impedire il fatto di.
In termini concreti la giurisprudenza individuatane situazione di impedimento nella necessità di trovare
l'esistenza di un ostacolo che abbia materialmente impedito l'esercizio della sorveglianza.
Le pronunce giurisprudenziali si pongono in linea con il titolo di colpa che grava sul vigilante. Situazione tale
da impedire la sorveglianza. La necessità di tutelare un soggetto che ha subito danno per comportamento
contrario al diritto deve comunque sussistere: se il sorvegliante non è solvibile, il giudice può condannare
l'incapace alla corresponsione di un equo indennizzo.
Il 2048 pone un principio in larga parte analogo a quello del 2047. Una serie di persone sono responsabili
dei fatti illeciti commessi da un'altra categoria di soggetti. La norma fa riferimento a un titolo di responsabilità
indiretta impura, poiché ce la violazione di un obbligo di vigilanza. La prova liberatoria si sostanzia nella
dimostrazione dell'esistenza di circostanze tali in forza delle quali non si è potuto impedire il fatto. L'incapace
è in una situazione statica; qui c'è dinamicità dei comportamenti dannosi, che possono essere tenuti da
soggetti agenti.
La giurisprudenza ha perciò introdotto il concetto di culpa in educando. Man mano che il figlio si avvicina alla
maggior età, il dovere di vigilanza in capo ai genitori scema. La giurisprudenza ha costruito il titolo di
responsabilità connesso alla culpa in educando: il genitore per il danno commesso dal minore con un certo
grado di maturità si libera provando di aver impartito un grado di educazione tale per cui la commissione del
fatto illecito non è dipendente dalla trascuratezza per lo stato psicofisico del figlio.
Discorso analogo fa la giurisprudenza per quanto riguarda la responsabilità dei maestri e dei precettori: man
mano che i minore acquista la consapevolezza delle proprie azioni diminuisce il dovere di vigilanza dei
precettori, che rimane solo quando si verificano situazioni di pericolo potenziale.
Lezione del 25/3.
L'articolo 2049 introduce nel nostro ordinamento giuridico l'unica ipotesi di responsabilità indiretta pura,
intendendosi con questo termine quel tipo di responsabilità per cui un soggetto e chiamato a rispondere per
la commissione di un fatto illecito compiuto da un'altra soggetto, a prescindere da ogni valutazione sul suo
stato soggettivo.
Il 2049 fissa il principio per cui i danni commessi dai preposti ad una determinata attività lavorativa
rispondono i preponenti.
14
Filippo Galluccio – Appunti 2002
Già dalla formulazione dell'articolo sorgono dei problemi: sembra che gli unici soggetti chiamati a rispondere
per i fatti illeciti siano i padroni o i committenti. La giurisprudenza da una lettura diversa della norma: nel
caso di specie viene individuata la responsabilità concorrente e solidale tra il committente e chi
materialmente commette il fatto illecito.
Occorre specificare il titolo per cui sono chiamati a rispondere i soggetti coinvolti nell'obbligazione
risarcitoria:
•
il preposto disponga titolo di dolo e di colpa
•
il preponente risponde per il semplice fatto di ricoprire una posizione direttiva sul preposto,
indipendentemente da ogni valutazione in merito all'elemento soggettivo.
Quali sono i presupposti giuridici per cui si è chiamati a rispondere in violazione indiretta ex articolo 2049? In
primo luogo deve sussistere un rapporto di preposizione tra i due soggetti chiamati a risarcire solidalmente il
danno subito.
Significa che in capo ad un soggetto deve sussistere un potere di direzione nei confronti di un'altra soggetto;
dello svolgimento dell'attività di cui poi deriva il fatto illecito, c'è il diritto di un soggetto di indirizzare le scelte
di un'altra soggetto. Questo rapporto ricorre nei casi di lavoro subordinato. La giurisprudenza ha esteso ad
altre ipotesi da sfera di applicabilità del 2049, riconoscendo l'esistenza di un potere di direzione sia nel
mandato, sia nell'ipotesi del contratto di appalto ogni qual volta l'appaltatore è nudus minister, mero
esecutore delle direttive impartite dall'appaltante.
Si è discussa l'applicabilità della norma in esame al contratto di agenzia. Il rapporto tra imprenditore ed
agente si avvicina molto ai rapporti di lavoro subordinato, e in genere vengono definiti rapporti di
parasubordinazione.
D'orientamento giurisprudenziali che proponeva una soluzione positiva del quesito poggiava sul fatto che
l'assimilazione dell'agenzia al rapporto di lavoro rendeva applicabile il 2049. La dottrina maggioritaria e la
giurisprudenza però ci dicono che il 2049 non poggia su un dato formale, qualificazione del rapporto, ma su
un dato sostanziale, potere di direzione. Sulla base di questo dato sostanziale, si nota come esso venga
meno nel rapporto di agenzia. L'agente non ha nessun obbligo giuridico di promuovere un determinato
affare, ne imprenditore può costringerlo a proporre un determinato affare.
Il secondo requisito è che il rapporto di preposizione deve operare come occasione necessaria dell'evento
dannoso. Questo è il cosiddetto requisito della rapporto di occasionalità. Occasionalità necessaria significa
che il preponente risponde di tutti i fatti illeciti commessi da preposto e non solo di quelli commessi per
eseguire la prestazione, ma anche di quelli commessi in occasione dell'esecuzione della prestazione.
Il preponente risponde anche dei reati commessi dal preposto, ma in sede civile.
Cassazione penale 10 gennaio 1986. Il dipendente a rispondere ogni qual volta tra il suo fatto illecito e il
danno vi sia un rapporto strumentale, anche marginale, per cui il rapporto di preposizione è stato l'occasione
attraverso cui si è verificato il danno. È necessario che ne soggetto agente siano ravvisabili il dolo o la colpa.
In giurisprudenza è sorto un problema interessante sull'applicabilità del 2049 nel caso del cosiddetto danno
anonimo, ossia quando si verifica un determinato fatto illecito causativo del danno ma non si riesce ad
individuare il soggetto che ha commesso questo fatto illecito.
La giurisprudenza coniuga il principio della responsabilità indiretta con il principio che del fatto illecito deve
rispondere chi l'ha commesso.
Se vi è una vasta organizzazione d'impresa e, dato numero di soggetti preposti, sia impossibile individuare
chi ha commesso illecito, la giurisprudenza dice che il 2049 si applica ugualmente, perché comunque è
ipotesi di responsabilità indiretta è il committente, a prescindere da quale dei suoi preposti abbia commesso
illecito, sarebbe comunque gravato di un onere risarcitorio.
Nb: dalla ricostruzione del fatto deve risultare l'elemento soggettivo del dolo e della colpa, altrimenti si
genererebbe ipotesi di responsabilità oggettiva.
Camilletti: qui si realizza un'ingiustizia nei confronti del preponente, perché si sposta il rischio conseguente al
fatto illecito esclusivamente sul datore di lavoro, venendo meno l'obbligazione solidale. Nella responsabilità
indiretta pura non è dato a chi ha potere di direzione alcuna prova liberatoria.
Questo significa che vi a a differenza degli articoli 20472048, e l'ipotesi del 20491 imprenditore non può mai
liberarsi fornendo la prova per quanto attiene alla propria sfera giuridica.
Il preponente potrà liberarsi se nella gente manca il dolo la colpa.
La ratio del 2049. Un primo orientamento vedeva quest'articolo con una sorta di strumento per il riequilibrio
della giustizia sociale: è più probabile che sia solvibile il datore di lavoro del lavoratore. Questo non è molto
in linea con i principi di diritto: chi commette un illecito ne deve rispondere, a prescindere dalle condizioni
economiche. Si fa quindi strada un orientamento che parla di responsabilità indiretta pura: il datore di lavoro
ha commesso un illecito per aver violato o un dovere di scelta, o un dovere di vigilanza.
Ricostruire la fattispecie in questa maniera significa riportare il 2049 nella sfera del 2047 o 2048. Se così
fosse, il legislatore avrebbe dovuto ammettere la prova liberatoria: non può costruirsi la fattispecie come
contemplante la commissione di un illecito da chi risponde per responsabilità indiretta.
C'è un altro argomento giuridico: il preponente, obbligato solidale, ha l'azione di regresso per l'intero. Se
avesse commesso un illecito, non potrebbe avere azione di regresso se non nei limiti della colpa individuale,
cosa che non è data.
15
Filippo Galluccio – Appunti 2002
La tesi della responsabilità indiretta impura non regge. La ratio del 2049 viene individuata nella teoria
dell'assunzione del rischio d'impresa.
L'imprenditore assume un determinato rischio economico, a fronte del quale si avvale dei profitti e degli utili
che derivano dall'attività d'impresa. Ma, se nell'esercizio di quest'impresa, il datore di lavoro si avvantaggia
del lavoro dei preposti, specularmente il datore di lavoro deve anche sopportare le potenziali conseguenze
negative che derivano dall'esercizio dell'attività da parte dei suoi sottoposti.
Distinzione tra la responsabilità di cui al 2049 nella responsabilità per i danni cagionati dalle persone
giuridiche.
Per i danni cagionati dai soggetti che rappresentano la persona giuridica la responsabilità di quest'ultima non
è indiretta, ma diretta, in virtù del rapporto di immedesimazione organica.
Lezione del 4/4.
2.5.
La responsabilità oggettiva
Vediamo le norme del titolo nonno del codice civile, dedicato ai fatti illeciti che prevedono delle ipotesi di
responsabilità oggettiva.
La responsabilità oggettiva può essere definita come una deroga completa al principio fissato dal 2043 per
cui dolo e colpa sono elementi costitutivi del fatto illecito. In questa ipotesi di responsabilità si risponde dei
danni subiti dal terzo per la sola sussistenza di un rapporto causale tra fatto ed evento, a prescindere da
ogni valutazione sullo stato soggettivo in cui versava l'agente al momento in cui è stato commesso il fatto.
Il problema può in alcune fattispecie sorgere nella distinzione tra responsabilità indiretta e responsabilità
oggettiva. Nella responsabilità indiretta risponde del fatto illecito un soggetto diverso da chi ha cagionato il
danno, ma nonostante ci sia la sostituzione della persona chiamata a integrare il danno, il requisito
soggettivo è sempre necessario, perché nella responsabilità indiretta pura dolo e colpa devono essere
accertati in chi ha commesso il danno; nella responsabilità indiretta impura l'elemento soggettivo deve
essere accertato in capo soggetto che è chiamato a risponder per culpa in vigilando o culpa in educando.
Nella responsabilità oggettiva si prescinde dall'accertamento, e in linea generale risponde chi ha commesso
materilamente il fatto, anche se spessevolte nella commissione del fatto non si riscontra alcuna violazione
del dovere di diligenza.
Ci sono alcune ipotesi in cui responsabilità oggettiva responsabilità indiretta si combinano: pensiamo al caso
di chi esercita un'attività pericolosa servendosi di dipendenti. In questo caso del fatto illecito commesso dal
dipendente a risponde il datore di lavoro, però, trattandosi di responsabilità oggettiva, si prescinde
dall'accertamento dell'elemento soggettivo.
Ratio per cui il legislatore ha previsto, accanto al principio del 2043, alcune ipotesi di responsabilità senza
colpa.
Sappiamo che il principio della responsabilità oggettiva è visto con un certo disfavore nel nostro ordinamento
in sede penalistica. In sede civilistica però questa considerazione va anche coniugata con la necessità di
salvaguardia di quei soggetti che sono esposti ad una rischio di danni per il semplice esercizio di una
determinata attività. Proprio per questa ragione, riprendendo la teoria sulla rischio d'impresa, il legislatore ha
ritenuto che chiunque impiega nelle attività produttive mezzi che sono di per sé intrinsecamente fonte di
pericolo per la collettività accetta per ciò stesso l'eventualità di causare danni ad altri soggetti, con la
conseguenza ulteriore che assume su di se il rischio di dover risarcire anche se il fatto non è imputabile ad
un suo comportamento colposo.
Rilevanza assume poi l'analisi economica del diritto, che insegna come chi esercita un'attività pericolosa
stipula un'assicurazione. I costi vengono quindi ripartiti tra imprenditore collettività. La quantificazione del
premio avviene in genere su basi statistiche.
Riassumendo... la ratio:
•
teoria della rischio
•
ripartizione dei costi.
Vediamo ora l'articolo 2050, ipotesi di responsabilità per l'esercizio di attività pericolose. Quest'articolo
stabilisce a carico di chi esercita attività pericolosa l'obbligo di risarcire il danno per il semplice fatto
dell'esistenza di un nesso causale tra l'attività pericolosa e la diminuzione patrimoniale in cui è incorso il
soggetto danneggiato. Non c'è alcun dubbio, né in dottrina né in giurisprudenza, che la fattispecie in esame
configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva, perché l'obbligo risarcitorio viene imposto all'esercente
l'attività pericolosa sul solo presupposto di un rapporto di consequenzialità tra fatto e danno.
Apriamo una ( sul concetto di fatto che determina il danno. È necessario partire dall'esame della prova
liberatoria, che consiste nell'aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
Quel che rileva non è l'esercizio in sé dell'attività pericolosa come causa di danno (sarebbe vietata) ma il
comportamento consistente nel non aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
Rileva il comportamento commissivo consistente nell'aver ignorato queste misure. L'obbligo di adottare le
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
misure deriva dalla legge. Cosa si intende per attività pericolosa? Nell'interpretazione giurisprudenziali
l'attività pericolosa ricorre in quelle attività che per il tipo, la sua modalità di esercizio e i mezzi impiegati,
comportano una rilevante possibilità di verificazione di un danno.
La giurisprudenza parla espressamente di possibilità, perché ai fini della valutazione della pericolosità o
meno di una determinata attività, quello che rileva è il danno potenziale cui sono esposti i terzi. Occorre una
valutazione ex ante dell'attività; non rileva poi in concreto che quel tipo di attività abbia cagionato o meno più
eventi dannosi. Su questo principio si fonda il cosiddetto principio di pericolosità intrinseca, ossia della
valutazione in sé dell'attività potenzialmente pericolosa.
Occorre fare una distinzione tra attività intrinsecamente pericolose, cui si applica il 2050, e attività innocue,
che, per il loro scorretto esercizio da parte dell'agente, diventano pericolose. In questo secondo caso
l'agente sarà chiamato a rispondere ex 2043, in base ai principi generali in materia di illecito.
Può succedere che attività di per sé abitualmente svolta e che non presenta pericolosità sociale, venga
svolta in maniera scorretta dall'agente: in questo caso la pericolosità non è intrinseca, ma deriva dal
comportamento colposo di chi esercita l'attività.
Vediamo ora una problematica interessante relativa alla cosiddetta responsabilità della banca. Si è a lungo
dibattuto in giurisprudenza la questione se l'esercizio dell'attività bancaria potesse essere considerato come
esercizio di un'attività in sé pericolosa,, e quindi se alla banca fosse applicabile o meno il criterio di
imputazione oggettiva previsto dal 2050.
Il problema era sorto relativamente ai danni che potevano subire i clienti nel corso di una rapina. È
completamente ribaltato l'onere della prova. La giurisprudenza ha risolto il problema con la sentenza 11
marzo 1991,2555, cassazione. Non è configurabile una responsabilità della banca per esercizio di attività
pericolosa nei confronti del cliente che abbia risentito danni a causa di una rapina perpetrata nei locali della
banca medesima, in quanto l'attività bancaria, non presentando una intrinseca pericolosità per la sua natura
o per la natura dei mezzi adoperati, non costituisce attività pericolosa.
Nella seconda massima, poco condivisibile: non sussiste responsabilità della Banca per culpa in omittendo
nei confronti del cliente che abbia risentito danni a causa di una rapina perpetrata nei locali della banca
stessa, in quanto non è rinvenibile a carico dell'istituto di credito un preciso obbligo di attivarsi per impedire
l'evento dannoso. Questo discorso, secondo Camilletti, non può essere esente da critiche.
Vediamo su che presupposti il ricorrente affermava la pericolosità dell'attività bancaria e quindi l'applicazione
del 2050. Il ricorrente diceva: l'attività bancaria è rischiosa perché si sono polizze che coprono i rischi per le
operazioni. In sostanza il ricorrente usava l'argomento presuntivo: tanto la banca era consapevole dell'attività
che esercitava da stipulare polizze per assicurare clienti. La pericolosità era data dal denaro rinvenibile
presso l'agenzia. La cassazione reputa quest'argomento non meritevole di accoglimento: deve ribadirsi il
principio che per attività pericolosa in relazione al cui svolgimento i 2050 presume responsabilità a carico di
chi la esercita, devono intendersi quelle che tali sono qualificate dalla legge, ed altre si quelle che abbiano
insita la pericolosità nei mezzi adoperati o nella loro stessa natura.
Nella motivazione si legge: l'argomento desunto dalla stipulazione di polizze non è idoneo a far ritenere
pericolosa ai sensi del 2050 attività bancaria. Infatti se vi è una rischio per il cliente, questo non deriva dalla
stessa natura dell'attività bancaria, che può costituire solo una occasione per un tale rischio, il che però non
incide sulla qualificazione di cui si tratta venendo a costituire un dato che riguarda il carattere più o meno
possibile del verificarsi di un fatto.
La cassazione sostanzialmente dice: l'attività bancarie consiste nei depositi, nelle operazioni di borsa, nel
pagamento delle bollette ecc.. Nessuna di queste attività può essere considerata intrinsecamente pericolosa.
L'evento connesso alla rapina non è riconducibile all'attività bancarie in sé, ma questa è soltanto l'occasione.
Manca il nesso causale, perché l'attività bancaria si pone in rapporto di occasionalità e non in rapporto di
consequenzialità.
L'applicazione del 2050 va quindi esclusa perché la responsabilità oggettiva si connota per l'esistenza di un
rapporto causale tra fatto ed evento,
Vediamo ora il problema della prova liberatoria.
La prova liberatoria ricorre quando l'esercente di un'attività pericolosa prova di aver adottato tutte le misure
idonee a evitare il danno. La prova liberatoria non attiene alla prova di un fatto esterno, ma alle modalità
organizzative dell'attività di impresa.
Cosa si intende per tutte le misure idonee ad evitare il danno? La giurisprudenza è chiara nell'affermare che
l'imprenditore per andare esente da responsabilità deve impiegare tutti gli accorgimenti che la tecnica offre
per evitare il danno, quale ne sia il costo.
Aver strutturato la prova liberatoria in questo modo, dice Trimarchi, è esempio di civiltà giuridica: obbliga ad
uniformarsi agli standard tecnici che la scienza via via elabora.
Se l'esercente dimostra che ha adottato tutte le misure di prevenzione del danno offerte dallo Stato della
tecnica va esente da responsabilità.
La struttura della prova liberatoria a una conseguenza importante: fornita questa prova l'esercente liberato
anche se le cause del danno rimangono ignote. Questo è un principio opposto quello che si trova nel 2051.
17
Filippo Galluccio – Appunti 2002
Ipotesi della responsabilità per le cose in custodia.
La norma di per sé sembra banale. Il problema di accertare se la norma in esame fissi un'ipotesi di
responsabilità oggettiva o di responsabilità per colpa. Se in giurisprudenza che in dottrina vi sono differenti
valutazione. Alcuni sostengono che la norma in esame stabilire un'ipotesi di responsabilità per colpa, e più
precisamente per culpa in vigilando. Si risponde per l'omesso controllo sulla cosa avuta in custodia.
Il problema di questa interpretazione è che si scontra con il principio enunciato dalla prova liberatoria. Se
fosse responsabilità per colpa basterebbe provare la diligenza, e non il caso fortuito. La giurisprudenza
all'ora costruisce questa norma come responsabilità per colpa in cui ci sarebbe, a differenza del 2043,1
colpa presunta: quando un soggetto ha in custodia un bene, e dal bene derivano danni, si presuppone la
culpa in vigilando. Questa presunzione iuris tantum può essere superata approvando che il danno non si è
verificato per violazione dei doveri di diligenza, ma è ascrivibile al caso fortuito.
Da qui la necessità di stabilire una fattispecie autonoma per la responsabilità da cose in custodia. Sotto il
profilo pratico è sotto il profilo processuale, affermare l'esistenza di una presunzione di colpa offre
sicuramente, rispetto 2043, un vantaggio per i soggetto danneggiato che propone l'azione volta ad ottenere il
risarcimento dei danni.
Nel 2043 l'elemento soggettivo della colpa non si presume affatto, quindi l'attore deve provare oltre a tutti gli
elementi materiali anche l'esistenza del dolo o della colpa in capo al convenuto.
Nel 2051 l'onere della prova in sede processuale viene ribaltato in virtù dell'esistenza della presunzione di
colpa, quindi i soggetto che ha subito il danno non è obbligato a provare la culpa in vigilando, ma è
sufficiente che provi il danno e l'esistenza del nesso di causalità tra la mancata vigilanza e il danno stesso.
Nel 2051 sarà il custode che vuole sottrarsi all'obbligazione risarcitoria ad essere onerato della prova del
caso fortuito, ossia della prova di inesistenza di un nesso causale tra il danno e la propria attività di custodia.
Ma, dice Galgano, ricostruire la fattispecie così non vuol dire sostanzialmente prevedere una responsabilità
oggettiva? Sì, dice Camilletti.
Come ipotesi di responsabilità oggettiva altra parte della giurisprudenza qualifica il 2051, secondo cui si
risponde per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia per la sola relazione che intercorre tra la
cosa è il soggetto custodente, a prescindere dalle modalità con cui la custodia viene esercitata, salva
ovviamente la possibilità di provare che il danno si è verificato in conseguenza di un evento qualificabile
come caso fortuito, che fa cessare il nesso di causalità con la sua intromissione, determinando così da non
illiceità del fatto.
Problema è classificare quando sussiste una relazione di custodia, ossia quando ricorre quella relazione che
di per sé sola idonea a far sorgere la responsabilità per il danno causato dalla cosa.
Lezione del 10/4.
I 2051 prevede responsabilità oggettiva o responsabilità per colpa? Secondo parte della dottrina in
giurisprudenza, abbiamo visto, è responsabilità presunta per colpa. La dottrina maggioritaria e
giurisprudenza parlano di responsabilità oggettiva in quanto la prova liberatoria è strutturata a carico del
convenuto.
Cosa si intende per caso fortuito? La ratio della prova liberatoria. Se il danno si verifica perché evento
ascrivibile al caso fortuito di ininterrotto ogni rapporto di causalità tra fatto ed evento e la fattispecie sotto il
profilo dell'illecito viene a mancare di un suo elemento essenziale. Per caso fortuito si intende un evento
imprevedibile ed inevitabile, il cui verificarsi e le cui conseguenze sfuggono alla sfera di controllo del
custode.
A differenza che nel 2050, nel 2051 se la causa rimane in nota il custode non è liberato, proprio perché il
custode deve dare la prova di un determinato fatto. Se non si riesce a dare prova di quel fatto, il soggetto
custodente rimane a carico del danno.
Da questa distinzione la dottrina ha affermato che mentre nell'esercizio di un'attività pericolosa la prova
liberatoria concerne un fatto critico (indagine sulle modalità con cui impresa ha organizzato l'attività. Il fatto
inerisce la sfera di controllo del soggetto chiamato risarcire il danno), nel 2051 la prova liberatoria ha ad
oggetto un fatto storico.
Chi può essere qualificato come custode? Nella casistica giurisprudenziali il numero dei custodi è molto
ampio. Si era ritenuto che esista relazione di custodia tra il soggetto e una cosa in capo a chiunque abbia un
potere, anche di fatto, sulla cosa che ha cagionato il danno. Da questa definizione la giurisprudenza trae già
una prima conseguenza importante: tra i soggetti rientra quindi anche il possessore. Il possesso è una
situazione di fatto in cui il possessore si comporta come se fosse proprietario o titolare di un altro diritto
reale; elemento oggettivo: corpus (disponibilità materiale); elemento soggettivo: animus (volontà di
comportarsi come se).
Seconda conseguenza importante è che nell'ipotesi di danno da cosa ci sarà sempre un soggetto
responsabile: il proprietario, proprio perché ha il potere di disporre della cosa.
Il problema deriva se la cosa è stata data in locazione, comodato, custodia, uso o deposito. Oltre il
proprietario sarà responsabile anche chi il potere di fatto ce l'ha in base ad un titolo (detentore). Si verifica
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
ipotesi di responsabilità solidale tra il proprietario e i soggetto che ha diritto di godimento sulla cosa tale da
garantire il controllo.
Questo fatto avvalora la tesi della responsabilità oggettiva: si prescindere da una valutazione della colpa o
meno di chi deve risarcire il danno.
Danno cagionato da animali.
Articolo 2052: sono responsabili per il danno cagionato da un animale e il proprietario o chi se ne serve per i
danni che l'animale cagiona mentre ha l'uso dell'animale.
Costoro rispondono sia che l'animale fosse nella loro custodia, sia che si fosse smarrito. Rispondono sempre
e solo proprietario utilizzatore, non risponde il soggetto cui temporaneamente viene affidato in custodia
l'animale.
Qual è la ratio? Il codice è del 1942.
Il legislatore ha introdotto solito principio della rischia: i soggetto che si chiama dell'animale, e che quindi tra
è un'utilità dall'attività compiuta da questo, e anche i soggetto su cui deve incombere il rischio per gli
eventuali danni che l'animale cagiona.
Per applicazione giurisprudenziali costante è necessario che il danno sia cagionato esclusivamente
dall'attività dell'animale.
L'evento dannoso deve essere imputabile esclusivamente ad un comportamento attivo dell'animale. Se
viceversa il danno è sin causato dall'animale, ma in virtù di un comportamento ascrivibile al proprietario o
all'utilizzatore, si applicherà il 2043 o il 2051. Se il danno è indotto dal proprietario o utilizzatore, il titolo su
cui si fonda l'azione muta.
L'articolo è interessante sotto il profilo giurisprudenziali perché introduce un principio esattamente contrario a
quella del 2043. Il 2043 si riferisce a soggetti dotati di personalità giuridica. La norma in esame imputa sì al
proprietario la responsabilità, ma per un fatto che deve essere ascrivibile al solo comportamento
dell'animale.
Relazione tra fatto dannoso e comportamento dell'animale. In virtù di questa relazione la giurisprudenza, per
evitare un effetto che definisce aberrante, ricostruisce la fattispecie in esame come un'ipotesi di
responsabilità per colpa presunta.
Il titolo per cui il proprietario o utilizzatore è chiamato a rispondere sarebbe pur sempre la violazione del
dovere di vigilanza.
Questa interpretazione è sostanzialmente rigettata dalla teoria con cui si supera il concetto di responsabilità
per colpa del custode.
Galgano: il 2052 è responsabilità oggettiva per due argomenti:
•
la prova liberatoria. Se si trattasse di responsabilità per colpa, la prova liberatoria non dovrebbe
consistere nel caso fortuito
•
la natura oggettiva si presume anche dal fatto che 2052 non pone solo l'ipotesi della custodia, ma
chiama rispondere anche se l'animale si sia smarrito.
La responsabilità non è quindi solo riconducibile alla violazione del comportamento custodente, base per
sostenere la culpa in vigilando.
Il 2052 quindi è un'ipotesi di responsabilità oggettiva perché il proprietario o l'utilizzatore rispondono
esclusivamente per la relazione che si instaura tra loro e l'animale che cagiona il danno, relazione che deriva
rispettivamente dal diritto di proprietà e dal titolo in forza del quale è concesso l'uso dell'animale.
La prova liberatoria è rappresentata dal caso fortuito.
L'utilizzatore o il proprietario dell'animale non rispondono soltanto se provano il caso fortuito.
La giurisprudenza, attesa la particolare nozione del soggetto agente, ha allargato la nozione di caso fortuito,
assimilando al caso fortuito il comportamento del danneggiato.
Il fatto del danneggiato è assimilato al caso fortuito, ed anche se presenta i connotati della colpa lieve e
dell'assenza di colpa, libera il proprietario o l'utilizzatore.
Problema che si è posto alla giurisprudenza è accertare se il proprietario risponde per i cosiddetti
comportamenti anomali dell'animale, ossia se la devianza comportamentale dell'animale dai casi tipici ed
usuali integra o meno l'esistenza del caso fortuito. La giurisprudenza, fondandosi sull'incapacità della gente
di discriminare razionalmente tra comportamenti, ha stabilito che i comportamenti anomali dell'animale
causativi di danno non rientrano nell'ipotesi di caso fortuito.
Perché? Il primo elemento costitutivo del caso fortuito è l'imprevedibilità della casa da cui si cagiona il
danno, imprevedibilità che secondo la giurisprudenza non ricorre relativamente ai comportamenti degli
animali, poiché chiunque sa che gli animali possono tenere comportamenti diversi dall'usuale. È questa
presunzione di conoscenza a carico della collettività a fondare il ragionamento della giurisprudenza.
Rovina di edifici.
Articolo 2053.
La situazione di fatto contemplata dalla norma è il crollo totale o parziale di un edificio o di un'altra
costruzione.
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
Se quest'edificio o questa costruzione crollano in tutto in parte cagionando danni a terzi, i soggetto ritenuto
responsabile è il proprietario. Anche questa norma con ipotesi di responsabilità oggettiva, perché
presupposto della responsabilità ella pure semplice qualità di proprietario del bene.
La natura oggettiva della norma emerge dalla giurisprudenza costante: il proprietario non è esonerato dalla
responsabilità anche se prova di non essere stato materialmente e in concreto in grado di occuparsi
dell'edificio di cui crollo a cagionato danni a terzi.
Prova liberatoria: il crollo non è dovuto a vizi di costruzione o difetto di manutenzione. Il proprietario si libera
provando il caso fortuito, e ci si arriva con argomento a contrariis.
Lezione del 15/4.
È un'ipotesi di responsabilità oggettiva perché la responsabilità sorge in capo al proprietario per sole
semplice relazione che intercorre tra il diritto di proprietà ed il bene che causa il danno. In titolo della
responsabilità non muta anche se c'è dissociazione tra il potere di disporre e il potere di godere del bene.
Cosa deve intendersi con la nozione di rovina? Quando si verifica quel fatto materiale che, per gli effetti del
2053, costituisce rovina? Deve intendersi per rovina ogni disgregazione, sia pure limitata, dell'edificio, ovvero
di una sua pertinenza o di suoi elementi accessori, anche rimovibili o sostituibili.
Non è indispensabile che il danno venga cagionato da un elemento strutturalmente incardinato all'edificio.
Le pertinenza sono quelli elementi destinati a servire in modo duraturo un determinato bene, sì che si
pongono funzionalmente al suo servizio, anche se astrattamente possono avere un'individualità giuridica
propria (es.: la casetta degli attrezzi).
Gli accessori invece sono qualcosa meno della pertinenza, perché, pur destinati funzionalmente e
teleologicamente al servizio di un bene, non hanno un'individualità giuridica propria. Il danno può capitare
secondo l'interpretazione giurisprudenziali anche se riguarda uno di questi beni.
Qual'è la prova liberatoria? Il proprietario è responsabile a meno che non provi che la rovina non è dovuta a
difetto di costruzione o a vizio di manutenzione.
Il legislatore ha usato una formula strana; secondo la giurisprudenza il proprietario si libera solo provando il
caso fortuito (al di là della formulazione della norma, adatta al tipo di bene in questione) ossia se si verifica
un evento che interrompe il nesso causale e degrada la proprietà dell'edificio a mera occasione dell'evento.
In tutti questi casi di è infatti una interruzione del rapporto causale, quindi il fatto non è completo in tutti i suoi
elementi oggettivi, ergo il proprietario dell'immobile va esente da responsabilità.
La necessità di trovare il vizio di costruzione ogni difetto di manutenzione, quindi un fatto ascrivibile al caso
fortuito, determina che se la causa rimane ignota, il proprietario non è liberato. Il rischio della mancata
conoscenza della causa rimane in capo al proprietario.
Lezione del 3/5.
Articolo 2054: regola l'ipotesi del danno causato in seguito alla circolazione di veicoli. La disciplina fissata è
complessa: ipotesi di responsabilità oggettiva, che grava sul conducente, unica ipotesi di responsabilità
indiretta del proprietario che concorre con la responsabilità oggettiva del conducente.
Nessuna delle due era responsabilità per colpa: il legislatore ha ritenuto la circolazione di veicoli attività
potenzialmente dannosa per la collettività.
Articolo 2054 primo comma: il riferimento di apertura è al conducente. Questi e responsabile dei danni che
egli cagiona per effetto della circolazione del pericolo che ha in uso. Il fatto che la legge che nel conducente
a significare che il titolo giuridico con cui conducente ha il mezzo è irrilevante.
L'ambito di applicazione della norma è circoscritto ai veicoli senza guida di rotaie. La disciplina quindi non si
applica a quei mezzi che hanno la possibilità di circolare su una sede propria.
Quest'esclusione è sostanzialmente dovuta a principi di tecnica ingegneristica.
L'ipotesi di responsabilità del conducente è oggettiva perché questi e responsabile del danno provocato dalla
circolazione a prescindere dalla sua colpa, ossia anche se ha tenuto una guida diligente. Infatti si libera
esclusivamente provando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
La prova liberatoria consiste nel dimostrare l'inesistenza e comunque l'interruzione di un nesso causale tra la
circolazione del veicolo e il fatto dannoso che ha colpito una determinata persona o una determinata cosa.
La natura oggettiva della responsabilità emerge in maniera chiara dall'ultimo comma: proprietario ecc.
rispondono dei danni anche se derivano da difetto di manutenzione o vizio di costruzione. Il proprietario è
chiamato a rispondere anche per fatti che sono totalmente estranee alla sospesa giuridica, e su cui non può
esercitare un controllo.
Dà ragione di ciò sta nel fatto che il soggetto chiamato a rispondere del danno in questo caso è certo è
facilmente identificabile.
In questo caso il proprietario ha un'azione di regresso tanto nei confronti del produttore quanto nei confronti
di chi ha eseguito le riparazioni. La responsabilità è solidale: il danneggiato può rivolgersi non solo
proprietario, ma anche gli altri soggetti. Ipotesi più importante è quella fissata dal comma 2, e stabilisce, nel
caso di scontro tra veicoli, una presunzione di pari responsabilità.
Questo significa che, fino a prova contraria, si presume che entrambi i soggetti abbiano contribuito a
20
Filippo Galluccio – Appunti 2002
cagionare l'incidente con pari grado di colpa.
La presunzione è iuris tantum, ossia una presunzione fatta per dare certezza giuridica nel caso in cui le
cause dell'incidente rimangano ignote, ma che ognuno dei soggetti può far cadere provando.
Direttore un altro come importante: il problema della circolazione del veicolo da cui deriva un danno e il
veicolo ha circolato contro la volontà del proprietario.
Il proprietario risponde in solido con il conducente a meno che non provi che la circolazione è venuta contro
la sua volontà. Con il problema che si pone è quello di interpretare che cosa si deve intendere per
circolazione avvenuta contro la volontà: invito domino o prohibente domino. La prova liberatoria concerne
solo quest'ultimo caso: non era sufficiente che il proprietario manifesti un diniego all'utilizzo della vettura, ma
che eseguono atti concreti che manifestino in maniera non equivoca la volontà oppositiva alla circolazione
del veicolo.
Il problema si è posto per i danni cagionati in caso di furto del veicolo: è irrilevante il titolo per cui il
conducente diviene tale.
Per affrontare questo tipo di ipotesi la giurisprudenza si è pronunciata stabilendo che il limite sta
nell'esistenza o meno degli atti oppositivi alla circolazione (esempio: mezzo parcheggiato con le chiavi
inserite).
L'aver lasciato la chiave inserita fa sì che venissero meno quegli atti oppositivi idonee ad esonera le
proprietario della responsabilità.
Concreto comportamento ostativo idoneo a vietare la circolazione. In queste ipotesi c'è responsabilità
solidale. Non c'è nel caso in cui il proprietario è stato spossessato del veicolo dal rapinatore (la rapina
presuppone un atto di violenza: si presume un comportamento oppositivo del proprietario).
L'antifurto e la chiusura sono tali da mostrare volontà contraria alla circolazione.
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
3.
Tutela delle garanzie patrimoniali
Tutela delle garanzie patrimoniali.
Il legislatore ha introdotto strumenti a tutela delle garanzie patrimoniali:
•
azione surrogatoria, 2900 cc
•
azione revocatoria ordinaria, 2901 e seguenti cc.
Prima di esaminare questi due istituti, occorre fare un discorso generale sulla garanzia patrimoniale.
Esaminiamo il 2740 cc, che fissa il principio per cui con il patrimonio di il soggetto giuridico, sia esso persona
fisica o persona giuridica, si risponde delle obbligazioni contratte.
Occorre definire il concetto di patrimonio.
Il patrimonio è composto da tutti rapporti giuridici attivi e passivi che sono riferibili ad un determinato
soggetto.
L'articolo 2740 stabilisce che i creditori hanno diritto di soddisfarsi su tutto il patrimonio del proprio debitore.
Alla legge attribuisce ai beni che formano oggetto del patrimonio funzione di garanzia per l'adempimento
delle obbligazioni assunte.
La legge dispone i predetti strumenti con il fine di farsi che debitore non tenga un comportamento idoneo a
disperdere le proprie garanzie patrimoniali, in quanto evidentemente il comportamento in questo contenuto è
potenzialmente pregiudizievole per i creditori che hanno diritto a concorrere su quel patrimonio fino al
soddisfacimento integrale delle proprie obbligazioni.
3.1.
L'azione surrogatoria.
La funzione di quest'istituto è di permettere al creditore di sostituirsi al proprio debitore che ha dei diritti nei
confronti dei terzi, ma che rimane inerte.
Nell'ipotesi in cui si verifica quest'inerzia, i creditori si può sostituire e agire come se fosse egli in soggetto
titolare del diritto che si va a fare valere.
Perché sia possibile questo comportamento è necessario che l'inerzia del debitore sia pregiudizievole al
creditore che si surroga, perché rende in capiente suo patrimonio.
Sotto il profilo della funzione recuperatoria, occorre ricordare che l'azione surrogatoria giova tutti i creditori,
non solo al creditore che l'ha esercitata.
La ripartizione delle somme avviene in base alle cause legittime di prelazione.
Chi agisce ex 2900 deve avere i seguenti requisiti:
•
qualità di creditore
•
il debitore deve essere a sua volta creditore di un altro soggetto
•
inerzia del debitore a sua volta creditore
•
pregiudizio in capo a chi agisce mediante l'azione surrogatoria.
Questioni rilevanti dal punto di vista processuale. Si origina un'ipotesi di sostituzione processuale. La
sostituzione processuale si verifica quando soggetto agisce a tutela di un diritto non suo. Eccezione al
principio generale che dice che l'azione può essere proposta solo dal titolare dell'azione.
Quali sono le conseguenze più importanti che derivano da questa sostituzione processuale? Il convenuto
debitore del suo creditore che è rimasta inerte può opporre al sostituto processuale tutte le eccezioni che
avrebbe potuto opporre se l'azione fosse stata proposta da chi è rimasto inerte.
Il sostituto processuale soffre di tutte le limitazioni in ordine ai regimi probatori che gravano sul soggetto cui
nel giudizio si è sostituito.
Il principio generale soffre eccezione anche riguardo alla forma richiesta ad probationem (principio generale:
non si può per testi o per presunzioni). Nel caso di specie trova applicazione all'articolo 2724 n. 2: quando il
contraente è stato nell'impossibilità morale e materiale di procurarsi la forma scritta. Per presunzioni
testimoni si può quindi provare l'esistenza del diritto che viene esercitato in sostituzione.
Confronta l'articolo 2900 comma 2. Questo comma pone a carico dell'attore l'obbligo di citare non soltanto il
debitore del debitore, ma anche il debitore inerte. Dall'esistenza di quest'obbligo si origina un litisconsorzio
necessario, e l'esistenza di un litisconsorzio necessario a sua volta origina due cause che sono tra loro
inscindibili, e quindi l'impossibilità di discendere le due cause origina il fatto che per ottenere gli effetti propri
della surrogatoria il creditore dovrà procurarsi il titolo giudiziale non sono nei confronti del debitore da cui
esige il diritto su cui soddisfarsi, ma anche nei confronti del debitore inerte.
Se in primo grado non viene citato il debitore inerte, il giudice d'appello deve rimettere la causa al tribunale.
3.2.
Azione revocatoria ordinaria.
Il primo comma del 2901 stabilisce la funzione della revocatoria ordinaria, e cioè di far dichiarare inefficaci gli
atti di disposizione con cui il debitore diminuisce le proprie garanzie patrimoniali.
Offre quindi uno strumento al creditore per far sì che quell'atto di disposizione non pregiudichi il proprio diritto
22
Filippo Galluccio – Appunti 2002
di credito.
Evidente la funzione di conservazione della garanzia patrimoniale.
Il 2902 individua nei soggetti legittimati a proporre la revocatoria ordinaria una categoria molto ampia di
creditori: anche coloro che hanno un diritto di credito sottoposto a condizione o a termine. Possono
esercitare l'azione non soltanto i creditori attuali, ma anche quelli futuri e potenziali. La revocatoria è
proponibile anche se al momento il credito non è esigibile.
Questa norma è in linea con altre presenti nell'ordinamento: i crediti a termine sono ammessi al passivo
fallimentare.
Esercizio della revocatoria ordinaria è sottoposto ad una serie di requisiti. Bisogna distinguere tra atti di
disposizione compiuti in epoca successiva al sorgere del credito, e atti da revocare anteriori al sorgere del
credito. In questo caso il diritto di credito sorge in epoca successiva all'atto di disposizione di cui si chiede la
revoca.
All'interno di queste due ipotesi bisogna distinguere tra atti a titolo gratuito e atti a titolo oneroso.
Atto da revocare successivo al sorgere del credito con atto a titolo gratuito.
In questo caso i requisiti per l'esercizio della revocatoria ordinaria sono l'eventus damni, che si identifica nel
pregiudizio che subisce il creditore che agisce in revocatoria.
Anche nella revocatoria ordinaria è necessario che l'atto di disposizione che legittima l'esercizio dell'azione
rechi pregiudizio al creditore, ossia renda in capiente il patrimonio del debitore.
Il pregiudizio deve essere una conseguenze immediate diretta dell'atto da revocare, perché è solo di
quell'atto che si può chiedere l'inefficacia.
È poi necessario che nel debitore che compie l'atto di disposizione vi sia conoscenza della lesione del diritto
di credito altrui.
Il debitore deve sapere, usando l'ordinaria diligenza, che un atto di tale genere reca pregiudizio al mio
credito.
Atto di disposizione successivo al sorgere del credito con atto oneroso.
L'atto revocabile se sussiste sempre il pregiudizio, e se la conoscenza di questo pregiudizio c'è l'ha non
soltanto il debitore, ma anche il terzo con cui il debitore compie l'atto di disposizione a titolo oneroso.
Atto precedente al sorgere del credito con atto titolo gratuito.
È necessario il pregiudizio e un elemento più intenso della conoscenza o conoscibilità del pregiudizio: la
dolosa preordinazione del diritto di credito altrui.
Sotto il profilo strutturale da giurisprudenza ci dice che questo è un dolo specifico: volontà di rendere
insuscettibile di adempimento un'obbligazione che contrarrò in futuro.
Atto precedente a titolo oneroso.
È necessario sempre il pregiudizio, e che tra il debitore e il terzo compartecipe all'atto di disposizione a titolo
oneroso intervenga il cosiddetto concerto doloso, ossia questa situazione di dolo specifico deve riguardare
anche l'altra parte dell'atto titolo oneroso da revocare.
Debitore e terzo devono essere d'accordo nella stipulazione di un accordo volto a rendere il patrimonio del
debitore inidoneo all'adempimento di una precisa obbligazione futura.
L'elezione del 18/4.
Vediamo ora il 2901 comma 3: non revocabilità dei pagamenti di debiti scaduti.
Questo perché il debitore che paga un debito scaduto compie un atto dovuto verso il proprio creditore, atto
dovuto che rende in capiente il patrimonio ai fini di un creditore, ma che soddisfa un altro creditore.
Gli effetti della sentenza che accoglie la revoca sono quelli di rendere inefficaci gli atti o l'atto revocato.
Questo significa sostanzialmente che l'atto di cui si è chiesta la revoca non è proponibile al creditore che ha
agito in revocatoria, vi è quindi una finzione giuridica per cui il bene o il diritto oggetto della revoca si
considera, ai soli fini di soddisfare il creditore che ha promosso l'azione di revoca, come se non fosse mai
uscito dal patrimonio del soggetto che ha commesso l'atto revocato.
Nei confronti degli altri invece l'atto è valido ed efficace, perché l'azione revocatoria giova soltanto al
creditore che l'ha promossa.
Il vittorioso esercizio di revocatoria ordinaria permette anche al creditore, ex 2902, di compiere azioni
esecutive egli stesso ed azioni conservative nei confronti dei terzi acquirenti.
Anche se il possesso del bene è nelle mani del terzo che ha realizzato l'atto con il debitore, ex 2903 il
creditore può compiere atti esecutivi o conservativi, che si avranno quando si teme che il terzo stia cercando
di alienare il bene.
Articolo 2901 comma 4: quando si parla di terzi, non si parla dei soggetti che partecipano all'atto da
revocare, ma di terzi sub acquirenti dell'acquirente che ha partecipato all'atto da revocare.
Ancora una volta il legislatore si è trovato nella necessità di risolvere il conflitto di interessi tra chi è
23
Filippo Galluccio – Appunti 2002
subacquirente in buona fede e il diritto dei creditore a mantenere la garanzia patrimoniale. Questo conflitto
viene risolto applicando il principe della buona fede, per cui il sub acquisto rimane insensibile all'azione
revocatoria se il subacquirente era in buona fede.
È necessario cioè che nel terzo subacquirente esistano gli stessi estremi soggettivi che esistano nel debitore
nel terzo, o basta qualcosa di meno? Deve conoscere anche il concerto doloso, o basta che abbia la
conoscenza di ledere un diritto altrui?
Se il terzo subacquirente sa che il terzo alienante ha compiuto un atto pregiudizievole ai diritti dei creditore, è
subacquirente in malafede. La prova dello Stato soggettivo viene generalmente data con argomenti
presuntivi.
3.2.1. Differenze con la revocatoria fallimentare.
Camilletti: ci riferiamo alla revocatoria ex 67 legge fallimentare. Quella ex 64 non può essere considerata
revocatoria in senso proprio. La funzione della revocatoria fallimentare è quella di ristabilire la par conditio
creditorum, cioè far sì che gli atti compiuti intonò un determinato periodo di tempo, si sono dichiarati
inefficaci per far sì che i beni e i diritti in oggetto rientri non è patrimonio del fallito e per permettere ai
creditori di soddisfarsi anche su di essi.
Cui si vede già una differenza che è collegata alla funzione stessa del fallimento, di procedura esecutiva
collettiva. Dell'inefficacia si giovano tutti i creditori fallimentari.
Ulteriore differenza attiene poi all'oggetto della revocatoria: ex 2901 il pagamento di debiti scaduti non è
oggetto di revocatoria; il 6 7 legge fallimentare disciplina la revocatoria nei confronti del pagamento di debiti
scaduti.
La distinzione principale concerne invece lo Stato soggettivo dei soggetti che partecipano agli atti da
revocare, in quanto nella revocatoria fallimentare il requisito su cui si fonda l'azione è un particolare Stato
soggettivo dell'accipiens: conoscenza dello Stato di insolvenza in cui versa il debitore che poi viene
dichiarato fallito.
Giurisprudenza e dottrina chiedono questo requisito poiché il sorgere dello stato di insolvenza è progressivo,
e la legge fa risalire il suo sorgere da 2 a un anno prima della dichiarazione di fallimento.
Le ipotesi della revocatoria fallimentare distinguono la conoscenza, che per una particolare categoria di atti
viene presunta (notevole sproporzione e mezzi anomali di pagamento) ed è il terzo a dover provare che non
conosceva lo stato di insolvenza.
Questo amplia i termini: due anni entro la dichiarazione di fallimento.
Vi è poi una serie di atti per cui è il curatore a dover provare la conoscenza dello stato di insolvenza in capo
al terzo. Qualora il curatore non riesca a offrire questa prova, il terzo vedrà fatto salvo il suo acquisto (atti a
titolo oneroso e pagamento di debiti scaduti). Ricordiamo che in tutti questi casi la revocatoria fallimentare è
esercitabile se l'atto è stato compiuto nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Sia la revocatoria fallimentare che la revocatoria ordinaria si prescrivono in cinque anni dal compimento
dell'atto da revocare. La peculiarità della revocatoria fallimentare è che la sentenza del fallimento non
interrompe il decorso del termine di prescrizione.
3.3.
L'azione di simulazione.
Spesso la simulazione di inutilizzata nella pratica per cercare se non di essere, quanto meno di apparire in
capienti. È uno strumento attraverso cui si cerca di sottrarre il proprio patrimonio alla garanzia che questo
offre al creditore. Nella prassi, quando si fa la revocatoria ordinaria si propone anche in via subordinata a
domanda di accertamento della simulazione.
Articolo 1414 e 2 901 comma 1. Il 1414 usa una terminologia diversa da 2901, che parla di inefficacia. In
termini giuridici la differenza è notevole: l'atto di cui si chiede la revoca è incontrato assolutamente valido e
non presenta problemi sotto il profilo di elementi costitutivi, il contratto simulato è un contratto nullo.
Da giurisprudenza ci dice... se il contratto è inefficace, l'inefficacia può essere fatta valere solo dalla parte
che ha interesse all'inefficacia.
Nel contratto nullo tutti i soggetti che ne hanno interesse possono chiedere dichiarazione di nullità, che è
rilevabile anche d'ufficio.
Nell'azione revocatoria il termine prescrizionale è di cinque anni, nella simulazione la nullità e inprescrivibile.
Il contratto simulato è nullo per mancanza di causa. In realtà questo indirizzo giurisprudenziali non è
univoco, perché altri vedono un'altra causa di nullità relativa alla sfera volontaristica: mancanza di accordo
tra le parti. L'accordo è la manifestazione di volontà con cui le parti intendono concludere un contratto. Se
non vogliamo gli effetti del contratto, non esprimiamo volontà di obbligarci.
Quest'interpretazione è in linea con la giurisprudenza, che ritiene nullo e il contratto sottoposto a condizione
sospensiva meramente potestativa. Manca in capo al soggetto che deve esprimere la mera potestà la la
volontà di obbligarsi.
Perché secondo la giurisprudenza manca la causa? Il contratto simulato non produce effetti e quindi non
realizza la funzione economica e sociale propria di quel contratto.
24
Filippo Galluccio – Appunti 2002
La simulazione può essere assoluta o relativa, e poi può essere o simulazione oggettiva, o simulazione
soggettiva (in questo caso si parla di interposizione fittizia, che si distingue dall'interposizione reale che
ricorre nel contratto fiduciario e nel mandato senza rappresentanza).
Simulazione assoluta.
La simulazione è assoluta quando le parti stipulano un contratto di cui non vogliono gli effetti e non vogliono
neanche gli effetti di nessun altro contratto.
Simulazione relativa.
La simulazione è relativa quando le parti non vogliono gli effetti del contratto simulato, ma vogliono altri
effetti di un altro contratto, il contratto di simulato. La disciplina della validità del contratto di simulato ci viene
dal 1414 comma 2: purché ne esistano i requisiti di sostanze di forma. Ci viene in mente l'istituto della
conversione del contratto nullo: un accordo di per sé nullo può convertirsi in altro contratto... possieda tutti i
requisiti di forma e di sostanza, e la volontà delle parti di stringere il contratto diverso se avessero conosciuto
la nullità del primo.
3.3.1. Distinzione tra interposizione fittizia e interposizione reale.
Per simulazione fittizia si intende quel particolare accordo simulato in cui le parti non tanto non vogliono il
verificarsi del contratto, quanto non vogliono che il contratto produca effetto nei confronti di un altro soggetto.
Può essere assoluta e relativa.
Problema: come distinguere simulazione soggettiva assoluta e simulazione oggettiva assoluta? In entrambi i
casi i partecipanti al contratto non vogliono gli effetti di quel contratto come non vogliono gli effetti di nessun
altro contratto.
La distinzione, sostanzialmente, non esiste: quando la simulazione è assoluta, verificandosi un contratto che
non produce effetti perché non voluto, non c'è il problema di identificazione delle parti.
Il problema è di maggiolino nel caso di simulazione soggettiva relativa.
Questo problema va riallacciato a quello della causa del contratto simulato. L'argomento della simulazione
soggettiva sostiene la teoria della nullità per mancanza di accordo, perché il contratto è voluto e questo
origina una sua casa e i suoi effetti.
Il nostro ordinamento conosce anche la simulazione reale.
Cos'è il contratto fiduciario? C'è l'obbligo di ritrasferire il bene.
Nel mandato senza rappresentanza il contratto stipulato dal mandatario ha effetti giuridici direttamente in
capo al mandatario, con l'obbligo di trasferire al mandante.
Il fiduciario agli occhi dei terzi appare proprietario. Interposizione reale e interposizione fittizia svolgono la
stessa funzione.
Nell'interposizione reale si verifica una dissociazione tra la titolarità del diritto e l'interesse al corretto
esercizio o allo sfruttamento di quel diritto. Questo dissociazione non si verifica nella simulazione soggettiva
relativa di, perché è il diritto oggetto dell'atto simulato non viene mai trasferito dal titolare apparente
all'acquirente. Da questo discorso è facile distinguere interposizione reale e fittizia. Nella prima c'è effettivo e
reale trasferimento del diritto da parte del titolare che non vuole apparire come tale. Nell'interposizione reale,
a fronte della situazione fittizia, questo trasferimento non si è mai verificato.
Articolo 1414 comma 3: all'apparenza questa norma senza specificare il primo comma. Le norme sulla
simulazione si applicano anche agli atti unilaterali, purché questi atti unilaterali siano recettizi. Nb: promessa
al pubblico e offerta al pubblico non possono essere simulati. Perché? Perché sorga la volontà simulata
sono necessari almeno due soggetti.
Il problema sorge in sede applicativa quando si analizza il 1414 comma 3 con il 1398, e disciplina l'ipotesi
del falsus procurator, ovvero colui che agisce come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i
poteri conferiti. La procura si configura come un atto unilaterale tanto recettizio (nei confronti del
rappresentante) quanto non recettizio (nei confronti dei terzi).
Galgano ci dice che la procura apparente altro non sarebbe che una procura tacita simulata, quindi il falsus
procurator inteso come rappresentante apparente aggirerebbe in virtù di un atto unilaterale le recettizio che
in realtà sarebbe un atto simulato, e sarebbe un atto tacito perché non sarebbe stato espressamente
conferito, ma la sua esistenza sarebbe desumibile dal comportamento del procurator, che avrebbe
ingenerato nei terzi l'affidamento legittimo che egli agiva come rappresentante.
Questo discorso serve per tutelare in maniera assoluta i terzi: la simulazione non pregiudica i diritti acquisiti
dei terzi.
Si scontra però con i principi in materia di simulazione e di rappresentanza apparente.
Da giurisprudenza muove l'obiezione, anche a gli occhi di Camilletti insuperabile, che la simulazione
presuppone sempre l'esistenza di un accordo, se pur simulato, tra colui che ammette la dichiarazione
unilaterale recettizia e il suo destinatario.
Il falsus procurator usurpa i poteri di rappresentanza. Le dichiarazioni si pongono come elemento volitivo
intenzionale, che non si riscontra nella colpa, che presuppone invece elemento di negligenza.
Effetti verso terzi e rapporti con i creditori.
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
Articolo 1415. È uno degli articoli più difficili del codice. L'atto simulato non può essere opposto....
Se io stipulo un atto simulato di vendita con Tizio e Caio acquista il bene da Tizio, Tizio ed io non possiamo
opporre la simulazione a Caio. Problemi ci sono con i aventi causa del simulato alienante. Se il creditore di
Caio non può opporre, si ha una situazione strana: svuotamento del patrimonio in seguito a simulazione e
perdita della capacità di soddisfarsi.
È in buona fede l'acquirente che non è al corrente dell'accordo simulatorio e quando più genericamente non
sa di ledere il diritto altrui. Torna in ballo la nozione di pregiudizio: se chi acquista sa che reca pregiudizio ai
creditori del simulato alienante, non può trovarsi della prevalenza dell'apparenza, e non può invocare
l'inopponibilità della simulazione nei suoi confronti.
La ratio di questa prevalenza risiede nel più generale principio della tutela dell'affidamento, per cui chi in
buona fede acquista un diritto da chi ne appare il legittimo titolare vede fatto salvo il suo acquisto e prevale
nei confronti di quei soggetti che hanno diritti con esso concorrenti.
L'inciso del comma 2 alla funzione di rafforzare ulteriormente la tutela dei terzi nei confronti degli atti simulati,
perché i contratti simulati, creando divergenza tra la situazione reale e quella apparente, creano conflitti tra
più titolari di diritto.
Il terzi possono agire in giudizio per far accertare l'esistenza di un accordo simulato.
Il legislatore è esplicito nell'attribuire la legittimazione attiva soltanto se i terzi sono pregiudicati dall'accordo
simulato.
A norma del 1415 comma 2 sono ritenuti terzi non soltanto coloro che a norma del comma precedente
acquistano diritti dal titolare apparente, ma tutti i soggetti menzionati nel primo comma (anche i creditori del
simulato alienante, acquirente, e aventi causa).
Veniamo ora al vero problema della simulazione: 1416. Anche questa norma ha evidentemente funzione di
tutelare l'affidamento. Ratio: far prevalere la situazione di apparenza sulla situazione reale.
Necessità di coordinare l'esigenza di tutelare chi è in affidamento e tutelare chi ha crediti e non vuole veder
sfumare le garanzie patrimoniali.
La legge risolve il conflitto a favore dei creditori del simulato alienante si ricorrono due condizioni, ossia:
•
che i creditori del simulato a acquirente siano creditori chirografari, ossia siano soggetti il cui credito
non è assistito da nessuna causa di prelazione. Nel conflitto tra creditori privilegiati, potrà creditori
chirografari del simulato alienante e creditori privilegiati del simulato acquirente prevalgono sempre
creditore del simulato acquirente e nel conflitto tra chirografari del simulato alienante e privilegiati del
simulato acquirente, prevalgono i creditori privilegiati del simulato acquirente
•
necessità che il credito dei creditori del simulato Nina è sia anteriore all'atto simulato; se è
successivo prevalgono sempre creditore del simulato acquirente (in questo caso potranno fare una
revocatoria ordinaria: dovranno provare pregiudizio e concerto doloso.
Articolo 1417: prova della simulazione.
La norma ha rilevanza processuale notevole, perché pone una limitazione processuale rilevante.
Se una delle parti vuol far valere la simulazione non può dare per testimoni la prova dell'esistenza
dell'accordo simulato.
Tra le parti non si possono nemmeno usare le presunzioni, perché viaggiano insieme alla prova testimoniale.
Per approvare l'accordo simulato è necessaria quindi la famigerata contro dichiarazione: documento
sottostante all'accordo simulato da cui si riconosce la volontà simulatoria.
Questo limite tra le parti non vige se volta a far dichiarare l'illiceità del contratto dissimulato.
La limitazione non vige quando la simulazione è fatta valere da soggetti diversi dalle parti, ossia quando la
simulazione è fatta valere da creditori del simulato acquirente o alienante, o terzi che ne hanno interesse.
Perché costoro possono provare in tutti i modi.
3.4.
Eccezione di inadempimento.
Articolo 1460. L'istituto, comunemente definito exceptio ademplendi contractus, costituisce uno dei più
importanti strumenti di autotutela privatistica, nella specie di autotutela endocontrattuale, perché dà il diritto
di sospendere legittimamente d'esecuzione della prestazione se l'altra parte non adempie o non offre di
adempiere.
Eccezione di inadempimento può essere usata esclusivamente come strumento per la manutenzione del
contratto. Se l'altra parte è inadempiente possa sospendere la mia prestazione soltanto ai fini di realizzare gli
effetti del contratto. Non costituisce mai uno strumento risolutorio.
Si può quindi esperire fino a che l'inadempimento dell'altra parte non sarà irreversibile.
Altrimenti 1453, azione di risoluzione. In caso di eccezione di inadempimento legittimamente proposta
vengono eliminate dell'altra parte le possibilità di esercitare azioni di risoluzione di diritto e giudiziari, e non
opera la clausola penale.
Questo perché colui che ha sospeso l'adempimento, lo ha fatto legittimamente e l'altra parte non può
contestare un comportamento contrario agli obblighi derivanti dal contratto.
L'ambito di applicazione è circoscritto ai contratti a prestazione corrispettiva, ove ciascuna prestazione trova
26
Filippo Galluccio – Appunti 2002
causa di giustificazione nell'altra. Oltre che di contratti a prestazione corrispettiva deve trattarsi di contratti
che devono essere eseguiti simultaneamente. Infatti l'eccezione non è proponibile se sono previsti tempi
diversi per l'adempimento. Se è mancata la prima prestazione, l'altro contraente può sospendere la propria.
L'eccezione di inadempimento è proponibile anche se l'inadempimento dell'altra parte non deriva da colpa,
ossia è sufficiente semplice elemento oggettivo della mancata esecuzione di una delle prestazioni, a
prescindere dall'elemento soggettivo che l'accompagna.
C'è poi l'exceptio non rite ademplendi contractus, eccezione di non corretto adempimento.
Articolo 1460: ci asteniamo dall'eseguire la prestazione perché l'altra parte sta adempiendo male.
Anche in questo caso il contraente è autorizzato a sospendere la propria prestazione. Una differenza sta
nell'onere probatorio che incombe sulla parte che propone l'eccezione: è l'eccezione di inadempimento è
sufficiente allegare l'inadempimento, e spetta all'altra parte dimostrare di aver adempiuto. Questo perché
l'inadempimento costituisce elemento costitutivo del diritto alla controprestazione.
Nell'eccezione di inadempimento non rite il problema è affrontato in modo diverso, perché chi ha adempiuto
non correttamente ha in questo il fondamento del suo diritto alla controprestazione: si propone l'eccezione
deve provare che l'adempimento non è corretto.
Sotto profilo processuale quest'eccezione costituisce eccezione in senso proprio: va proposta dalla parte e
non è rilevabile d'ufficio. Va proposta nei termini perentori di decadenza previsti dalle norme processuali.
Nb: le eccezioni in senso improprio sono quelle che attengono al fondamento della domanda dell'attore
(esempio: carenza di legittimazione e di interesse).
Profilo importante relativo all'eccezione di inadempimento è che questa non può essere proposta nel corso
di contratti collegati anche se l'inadempimento concerne un contratto diverso rispetto a quello che ci si
astiene dall'adempiere.
Perché però sia possibile l'esercizio di questa facoltà è necessario che tra i due contratti ci sia un
collegamento funzionale.
Nb: due contratti sono collegati quando, pur avendo cause individuali, sono volti a realizzare la medesima
operazione economica (due contratti dal punto di vista giuridico, la stessa operazione economica).
L'articolo poi pone un limite alla proponibilità delle eccezione: limite stabilito dall'ultimo comma, che preclude
l'esercizio delle eccezione quando il rifiuto dell'adempimento è contrario a buona fede, avuto riguardo alle
circostanze concrete.
Si tratta di accertare in concreto quando si possa ritenere contrario l'adempimento alla buona fede. Quando
il rifiuto non è giustificato da ragioni obiettive che, in relazione alle circostanze concrete, lasciano presumere
che l'interesse del creditore sia compromesso.
La giurisprudenza ha ritenuto di inadempimento contrario alla buona fede in tre casi:
•
quando non vi è proporzione tra prestazione ineseguita o parzialmente eseguita e prestazione
rifiutata
•
quando l'inadempimento dipende da un errore scusabile della parte
•
quando è chi rifiuta la propria prestazione ad essere in malafede, ossia nonostante abbia prestato
acquiescenza all'inadempimento altrui, ciò nonostante propone l'eccezione.
·
·
3.5.
Clausola solve et repete.
Articolo 1462. Clausole limitative alla facoltà di opporre eccezioni: "paga e poi reclama".
È una clausola con cui una parte, finché non ha pagato il corrispettivo, non può effettuare reclami. Si usa nei
contratti di fornitura.
Questa clausola opera sotto il profilo processuale ammettendo le eccezioni estintivi della...
è una clausola vessatoria, per cui a norma dell'articolo 1341 comma 2, la clausola in questione è valida solo
se è stata specificamente approvata per iscritto.
Lezione del 9/5.
Articolo 1462. Strumento con cui un contraente ho preclude dall'altra parte la facoltà di opporre eccezioni al
fine di ritardare o evitare la prestazione dovuta.
È evidente che questo strumento costituisce un mezzo di auto tutela contrattuale, e pertanto trova
applicazione sono nei contratti a prestazione corrispettiva. I contraenti, volontariamente, alterano il
sinallagma contrattuale, ossia il principio di parità che regola il rapporto tra contraenti.
La preminenza di interesse a favore del beneficiario della clausola è insito nella clausola stessa.
Il tenore del 1462 si presta ad un'interpretazione di valente. Finché la prestazione non è stata eseguita il
giudice non può deliberare sulle eccezioni proposte dal convenuto per paralizzare le domande altrui.
I problemi sorgono se il convenuto si costituisce e anziché proporre eccezione, propone una domanda
riconvenzionale o fa domanda di accertamento negativo sul diritto al fondamento della pretesa del creditore.
Il 1462 non dice nulla riguardo alle domande. Va interpretato estensivamente o restrittivamente?
Secondo alcuni il limite concerne soltanto le eccezioni, quindi la clausola non impedirebbe né di agire in via
27
Filippo Galluccio – Appunti 2002
autonoma per l'accertamento nè di proporre domande riconvenzionali.
Questo perché il 1462 esprime un principio di carattere eccezionale, perché le norme che permettono l'auto
tutela derogano il principio generale che i diritti vanno azionati in giudizio.
Dalla natura eccezionale deriverebbe il divieto di analogia ex 12 preleggi.
Secondo altri (Greco, Ascarelli) il 1462 preclude non soltanto la proponibilità di eccezioni, ma anche la
proponibilità di domande riconvenzionali e di domande autonoma e che in qualunque maniera sono dirette a
neutralizzare la domanda di adempimento del beneficiario della clausola. Camilletti: questi interpretazione è
più aderente con la ratio della clausola.
Però c'è il problema del divieto di analogia. Ascarelli sostiene che nel caso di specie l'estensione alle
domande volte a paralizzare l'adempimento non configurerebbe interpretazione analogica, ma soltanto
un'interpretazione estensiva.
Da ciò conseguirebbe la possibilità di applicare il divieto a tutti gli strumenti processuali volti a paralizzare la
richiesta di adempimento della parte.
La norma, per dichiarare la loro operatività, fa riferimento improprio alle eccezioni di nullità, annullabilità,
rescissione.
C'è un nuovo orientamento giurisprudenziali secondo cui, per far dichiarare l'annullabilità di un contratto, è
sempre necessaria una sentenza, perché l'annullabilità dà origine ad un provvedimento di natura costitutiva.
Se, come dice Bianca, non c'erano problemi per le domande, la norma non avrebbe avuto bisogno di
esplicitare il riferimento all'annullabilità. A contrariis si ricava che la domanda non è sempre proponibile.
Il limite della operatività della clausola è che non opera nel caso vengano proposte eccezione di nullità,
annullabilità e rescissione.
Sostanzialmente la clausola opera soltanto nei confronti delle eccezioni che attengono ad un'alterazione
funzionale del rapporto contrattuale. Il motivo per cui il legislatore ha escluso la possibilità di rendere
inammissibili queste eccezioni dipende dalla particolare gravità dei vizi che inficiano il contratto nei casi di
nullità, annullabilità, rescissione.
Né la annullabilità la ratio è similare, perché i vizi che colpiscono la annullabilità sono di gravità tale per cui il
legislatore non ha ritenuto di accordare un privilegio all'interesse di chi ha concluso un contratto ricorrendo a
violenza, dolo, incapace.
Discorso analogo deve essere fatto per la rescissione, perché non è meritevole di una tutela privilegiata chi
ha approfittato dello stato di necessità dello stato di bisogno di un altro soggetto per imporre condizioni
contrattuali inique.
Se si può quindi dire che la clausola in questione preclude soltanto i rimedi contro l'inadempimento.
Vediamo ora il problema che attiene l'inserimento della clausola nei contratti predisposti unilateralmente.
Clausola vessatoria, 1341 comma 2, deve essere specificamente approvata per iscritto.
Se non viene approvata, cosa succede? La clausola preclude anche la eccezione di inefficacia della
clausola stessa?
La giurisprudenza ha risolto il problema ritenendo che la clausola solve et repete non impedisce al debitore
di opporre eccezioni che riguardano l'efficacia della clausola stessa, ma limita soltanto la facoltà di opporre
eccezioni all'adempimento.
L'inefficacia della clausola per mancata specifica sottoscrizione può essere sempre fatta valere.
Articolo 1462 comma 2: per l'operatività della clausola la parte è obbligata a pagare. Può però succedere
che dà l'adempimento la parte riceva un danno. Il giudice, se ricorrono gravi motivi, o sospendere la
condanna e i soldi per l'adempimento vengono dati in deposito cauzionale.
Quando la giurisprudenza ha ravvisato i gravi motivi? Ad esempio nello stato di insolvenza in cui si trovi la
parte che si avvale della clausola e nei casi in cui l'esecuzione della pretesa dell'attore comporterebbe, ove
risultasse infondata, pregiudizio serio e irreparabile per il convenuto.
3.6. Mutamento nelle condizioni patrimoniali dei contraenti (cosiddetta eccezione
di insolvenza).
Articolo 1461. Anche quest'articolo regola un'ipotesi di auto tutela, perché attribuisce alla parte la facoltà di
sospendere l'adempimento se le condizioni dell'altro contraente si sia nata. Modificate da mettere in pericolo
l'adempimento della controprestazione.
Il 1461 da una tutela particolarmente incisiva, perché permette la sospensione dell'adempimento anche in
presenza del solo timore di perdere la controprestazione: ha funzione preventiva rispetto al altrui
inadempimento.
L'eccezione è proponibile per l'obiettiva riduzione della capacità patrimoniale, nel senso che il motivo per cui
queste condizioni patrimoniali sono diminuite è irrilevante. A differenza che nella revocatoria ordinaria non
c'è indagine sullo stato soggettivo che ha determinato la diminuzione.
È importante che questo stato di diminuzione patrimoniale sia sopravvenuto alla stipulazione del contratto.
Altrimenti vuol dire che il creditore ha accettato il rischio conseguente a quest'insolvenza.
Vediamo ora la distinzione tra l'eccezione di insolvenza e l'eccezione di inadempimento.
28
Filippo Galluccio – Appunti 2002
Nell'eccezione di inadempimento è necessario che l'inadempimento cui consegue l'eccezione si sia già
verificato. Nell'eccezione di insolvenza invece l'inadempimento non si è ancora consumato, visto che opera
in caso di inadempimento temuto.
Vi è poi altra distinzione che attiene al tipo di contratto, perché l'articolo 1463 re e nei contratti ad esecuzione
simultanea delle prestazioni. Presupposto che invece non opera per l'opponibilità delle eccezione di
insolvenza.
Decadenza dal beneficio del termine.
Articolo 1486. Questa norma dalla facoltà di esigere. Il 461 dà la facoltà di sospendere.
I presupposti su cui operano sono simili, la funzione che hanno è diametralmente opposta.
29
Filippo Galluccio – Appunti 2002
Lezione del 13/5.
4.
La vendita di valori mobiliari e il contratto di swap
4.1.
Il contratto di vendita nel codice civile.
Articoli 1470 e seguenti. La vendita è innanzitutto un contratto prestazioni corrispettive perché su ciascuna
delle parti incombe l'obbligo di eseguire la prestazione (per il venditore: trasferire la proprietà) per il debitore,
pagamento del prezzo.
I contratti a prestazione corrispettiva si dividono in:
•
aleatori (per natura, per volontà delle parti)
•
commutativi.
·
La vendita è un contratto commutativa in quanto il valore attribuito dalle parti a ciascuna delle
prestazioni non dovrebbe variare per l'assunzione della cosiddetta alea da parte di uno dei contraenti.
Questo principio troverà già deroga nella emptio spei, particolare tipo di vendita di cose future; e inoltre nelle
operazioni di borsa.
La vendita entra nella categoria dei contratti consensuali, perché la sua conclusione prescinde dalla
consegna del bene che forma oggetto della prestazione del venditore. Ciò è tanto vero che in linea generale
il legislatore apposta la consegna del bene come la principale delle obbligazioni che gravano sul venditore.
Inoltre, almeno nel suo effetto principale, è un contratto a effetti reali, perché la casa del contratto di vendita
è quella di trasferire il diritto di proprietà verso il pagamento di un corrispettivo.
Causa della vendita si identifica proprio nel pagamento del corrispettivo.
Questo effetto traslativo collegato alla manifestazione del consenso fa assumere la qualifica di contratto a
effetti reali.
Oltre che contratto a effetti reali la vendita è anche contratto a effetti obbligatori, perché oltre a trasferire la
proprietà crea una sede di obbligazioni sia in capo al venditore, sia nei confronti del compratore. Ci sono poi
delle ipotesi di cosiddetta vendita obbligatoria, in cui l'effetto traslativo non è una conseguenza immediata
della manifestazione del consenso ma avviene in un momento successivo e costituisce la principale delle
obbligazioni che incombono sul venditore.
Le ipotesi di vendita obbligatoria sono:
•
vendita di cosa determinata solo nel genere. La proprietà passa al momento della individuazione o
specificazione, ossia nel momento in cui la cosa di genere viene separata dalla massa di altre cose
di genere cui appartiene
•
vendita di cosa futura. Può considerarsi, a seconda dello schema contrattuale voluto dalle parti,
emptio spei, acquisto della speranza. Si tratta di un contratto aleatorio, perché il compratore acquista
soltanto la speranza che bene futuro venga ad esistenza. Se la speranza si concretizza la proprietà
del bene oggetto del contratto passa quando il bene viene ad esistenza
•
emptio rei sperata, acquisto della cosa sperata. In questo senso il contratto non è aleatorio. Se il
bene futuro non viene ad esistenza, il compratore non è tenuto a pagamento del prezzo. Anche in
questo caso si verte in un'ipotesi di vendita obbligatoria perché il bene non diventa proprietà del
compratore con il consenso ma solo quando verrà realmente ad esistenza
•
di vendita di cosa altrui. La proprietà passa quando il venditore si è procurato la proprietà del bene
dal terzo, proprietà che automaticamente passa al compratore
•
vendita a rate. La proprietà non passa al momento della conclusione del contratto, ma passa con il
pagamento dell'ultima rata. Nella vendita a rate c'è una deroga ai principi che regolano l'assunzione
del rischio. Come regola generale nel nostro ordinamento vigente principio della res perit domino, il
rischio del reperimento del bene grava sul proprietario. Nella vendita a rate, con la consegna della
cosa vi è assunzione della rischio immediata in capo al compratore.
·
La vendita, sotto il suo profilo più ricorrente è contratto consensuale con effetti reali a cui si
affiancano effetti obbligatori, ci sono poi le ipotesi di vendita obbligatoria.
Problema del pagamento del corrispettivo.
Il 1470 ci dice che causa della vendita è il trasferimento della proprietà a fronte del pagamento del
corrispettivo. Ci sono sentenze sul problema della vendita prezzo simbolico. Nell'ipotesi in cui il corrispettivo
pattuito sia di gran lunga inferiore valore del bene, il contratto da ritenere valido o nullo per mancanza di
causa?
La giurisprudenza fa un discorso che coniuga il principio della libertà contrattuale con quello della necessaria
esistenza della causa tipica del contratto. Il principio dell'autonomia contrattuale stabilisce che ciascuna
parte può attribuire alla prestazione il valore che vuole, sempre che ciò non accada per fenomeni patologici.
Questo principio però deve essere posto in relazione con il principio che ogni contratto necessita di una
30
Filippo Galluccio – Appunti 2002
causa.
Nel contratto di vendita la causa tipica prevede necessariamente il pagamento del prezzo.
La vendita è valida anche in ipotesi di pagamento di corrispettivo notevolmente inferiore, anche nell'ipotesi di
prezzo vile e infimo, ma purché il prezzo abbia una sua oggettiva consistenza economica.
La vendita di non è valida quando il prezzo diventa simbolico, ossia è di entità tale da non realizzare nessun
interesse patrimoniale del venditore.
Questa vendita però, nonostante la dichiarazione di nullità, può produrre degli affetti in virtù di un principe del
nostro ordinamento giuridico: principio di conservazione del contratto, che, nel caso di specie, si realizza con
la conversione del contratto nullo, che si realizza quando un contratto di per sé nullo produce gli effetti di un
diverso contratto, purché ne contenga gli elementi di forme di sostanza e le parti non avrebbero stipulato se
avessero conosciuto la nullità.
Applicando questo principio al fatto che la vendita muno uno è nulla per mancanza di causa, la vendita può
convertirsi in una donazione se stipulata per atto pubblico e se si accerta nelle parti la volontà (se si accerta
nel venditore l'animus donandi).
Nb: per la vendita di immobile, non serve l'atto pubblico. L'atto pubblico serve per la trascrizione, che ha
effetti dichiarativi.
Nb: la donazione è un contratto titolo gratuito. Obbligazione solo di una parte dovrebbe essere regolata
dall'articolo 1333: nei contratti da cui deriva obbligazione per una sola parte, il silenzio dell'altra parte e
equivale ad accettazione. Invece il legislatore: la donazione si perfeziona con il consenso del donatario.
Perché c'è questa eccezione, ed è necessaria l'accettazione espressa? La donazione è un contratto
necessariamente formale; non ci può essere atto formale senza l'accettazione espressa di una delle parti.
L'articolo 1476 pone una serie di obbligazioni e disciplina di obbligazioni poste a carico del venditore,
stabilendo che la prima di queste obbligazioni è quella di consegnare la cosa all'acquirente.
Se la norma non pone problemi per le vendite di carattere immediato, problemi grossi ci sono per determinati
tipi di vendite.
Correlativo all'obbligo del venditore di consegnare il bene c'è quello del compratore di cooperare
all'adempimento affinché il venditore possa consegnare la cosa. E se il compratore non coopera, scatta la
mora del creditore. Il venditore si libera depositando il bene presso i magazzini generali o presso un altro
luogo stabilito dal giudice.
Altra delle obbligazioni del venditore è quella di far acquistare la proprietà della cosa o il diritto se l'acquisto
non è effetto immediato del contratto. Questo tipo di obbligazione opera soltanto nell'ipotesi di vendita
obbligatoria, perché nelle altre ipotesi il trasferimento del diritto avviene contestualmente al consenso.
In 3 è quello che pone il maggiore difficoltà agli studenti: garantire il compratore dall'evizione e dai vizi della
cosa.
Vediamo i 1483. L'evizione si ha quando un soggetto fa valere un proprio diritto sulla cosa oggetto della
vendita. Il diritto può essere sia un diritto reale che un diritto di credito, che può concerne le sia il diritto di
proprietà stessa, sia un diritto reale di godimento, sia un diritto reale di garanzia.
Nell'ipotesi in cui il terzo fa valere il diritto di proprietà c'è il problema dell'acquisto a non domino. Può anche
succedere che un soggetto intervenga e rivendichi un diritto reale di garanzia (pegno e ipoteca) o di
godimento (chi esercita la cosiddetta confessoria servitutis).
Lezione del 16/5.
4.2.
I modi di acquisto della proprietà.
In generale nella vendita il trasferimento della proprietà avviene con il consenso.
Problema si pone quando il medesimo venditore aliena a più soggetti lo stesso bene, situazione di acquisto
a non domino.
Si pone il problema di distinguo in relazione al tipo di bene, in relazione a chi dei soggetti acquista la
proprietà.
Nell'acquisto di valori mobiliari chi e come acquista la proprietà?
Problema dell'acquisto di beni immobili.
La norma cui dobbiamo fare riferimento è di 153, possesso vale il titolo: principio per cui nell'ipotesi venga
alienato un bene, colui che ne acquista il possesso e questo possesso è accompagnato dalla buona fede, il
possessore ne diventa proprietario, purché esista un titolo idoneo a trasferire la proprietà.
Da questo principio si ricavano strumento per risolvere il conflitto di doppia vendita dello stesso bene mobile,
perché in base a questa norma prevale chi per primo ha acquisito il possesso, sempre che il possesso sia di
buona fede.
Non conta quindi l'atto di vendita stipulato posteriormente.
Possesso: situazione di fatto cui la legge riconosce tutela giuridica (ci sono azioni, è una delle fonti di
obbligazioni). Si caratterizza per una situazione oggettiva (corpus: potere di fatto sulla cosa) e una
situazione soggettiva (animus possidendi: volontà di comportarsi come se si fosse proprietario o titolare di
31
Filippo Galluccio – Appunti 2002
altro diritto reale).
Nell'ambito dei diritti reali le servitù sono tutte suscettibili di possesso?
No, lo sono solamente le servitù apparenti.
Il codice distingue tra servitù apparenti, per il cui esercizio sono presenti opere visibili e permanenti
(esempio: servitù di passaggio, servitù di scarico).
Sono suscettibili di possesso perché queste opere visibili sono appropriabili ed usucapibili.
Acquisto del medesimo diritto di credito.
Il titolare di un diritto di credito può cederlo. Il diritto di credito può quindi essere oggetto di un contratto in
donna trasferire questo diritto dal cedente al cessionario.
Può succedere che lo stesso cedente alieni lo stesso diritto a più cessionari. Il criterio stabilito dalla legge
per risolvere questo caso è che prevale chi per primo notifica all'avvenuta cessione al debitore ceduto.
Anche qui, quindi, non vige il criterio temporale.
Con la notificasi da conoscenza legale al debitore ceduto dell'avvenuta cessione. In assenza della notifica in
debitore ceduto che paga al cedente è comunque liberato, a meno che non sia in altro modo venuto a
conoscenza della notifica o l'abbia accettata con atto di data anteriore al pagamento.
Acquisto a non domino di beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri.
Il criterio con cui si risolve il conflitto è quello della trascrizione; ex 2644 prevale chi per primo ha trascritto.
La trascrizione dell'acquisto a natura dichiarativa, perché alla sola funzione di rendere opponibile terzi
dell'acquisto ma tra le parti non crea nessun diritto.
Costitutiva è, ad esempio, l'iscrizione dell'ipoteca.
Per trascrivere l'acquisto di un bene immobile, cos'è necessario? È necessario l'atto pubblico, perché il
conservatore non trascrivere l'acquisto se l'atto di vendita non è redatto in forma pubblica. Da qualche anno
è possibile trascrivere anche il contratto preliminare (con effetto prenotativo): gli effetti dell'opponibilità, a
contratto definitivo concluso, saranno fatti risalire al preliminare.
4.3.
I titoli di credito.
Un'azione si può qualificare come un titolo di credito particolare: titolo di credito a struttura complessa,
perché attribuisce diritti non patrimoniali (partecipare o non partecipare all'assemblea, impugnazione delle
delibere assembleari, richiesta di rinvio dell'assemblea da parte di una minoranza qualificata, convocazione
dell'assemblea su richiesta della minoranza, cosiddetti diritti partecipativi; poi ci sono i cosiddetti diritti
corporativi o di controllo: denuncia al collegio sindacale, 2408; diritto di denuncia il tribunale, 2409) oltre che
diritti patrimoniali (diritto di percezione di utili e dividendi, diritto al rimborso della quota, residuo al termine
della liquidazione, diritto di dare in pegno l'azione.
Quando possono essere esercitati i diritti connessi al possesso delle azioni?
Partiamo dal principio generale per cui è legittimato ad esercitare i diritti cartolari chi ne ha acquistato
possesso in conformità alle leggi che ne disciplinano la circolazione.
Bisogna vedere come la legge disciplina la circolazione dei titoli. Partiamo dai titoli al portatore, che circolano
con il possesso.
Chi ha acquistato il possesso in un titolo al portatore esercita i diritti cartolari incorporati in quel titolo.
I titoli all'ordine circolano mediante una serie continua di girate, che si realizza quando sul titolo è indicato il
nome sia del girante che del giratario. La girata è in bianco quando c'è solo il nome del girante, in tal caso il
titolo di credito gira con il possesso.
La legittimazione all'esercizio dei diritti cartolari spetta chi ha acquistato il titolo in base ad una serie continua
di girate.
C'è però una girata che non permette di far circolare ulteriormente il titolo, perché circoscrive in modo
specifico l'attività che deve compiere il giratario: girata all'incasso, che attribuisce soltanto il diritto di
incassare la somma riportata sulla cambiale.
Ci sono poi i titoli nominativi, che circolano con l'iscrizione del nome del giratario sul registro dell'emittente.
Vediamo ora la distinzione tra i titoli di credito ed i documenti di legittimazione.
I documenti di legittimazione non attribuiscono al proprietario e il diritto di esigere una prestazione, ma
individuano soltanto il legittimato passivo e quindi il destinatario di una determinata attività altrui (esempio:
biglietto per ritirare il cappotto).
In titoli di credito attribuiscono diritto ad esigere la prestazione incorporata nel titolo.
Infatti il possesso di un titolo di credito acquistato in conformità alle norme sulla sua circolazione attribuisce
la possibilità di esercitare i diritti cartolari.
Nella cambiale la tutela del diritto calcolare è talmente intensa che la cambiale costituisce titolo esecutivo.
I titoli di credito possono essere tanto titoli causali e possono essere astratti.
Quando in titoli sono astratti vuol dire che il diritto che essi incorporano prescinde dal rapporto sottostante.
Quindi l'esistenza o meno del rapporto che ha determinato l'emissione del titolo è irrilevante.
32
Filippo Galluccio – Appunti 2002
Il requisito dell'astrattezza non opera nei rapporti tra emittente e primo prenditore, infatti tra le parti originarie
sono sempre opponibili le eccezioni che derivano dal rapporto originario.
Il requisito dell'autonomia invece, che un requisito altrettanto fondamentale, è chi si acquista un titolo di
credito lo acquista al titolo originario (ossia che ogni possessore si trova in una posizione autonoma rispetto
a quella del suo dante causa): in virtù del principio di autonomia il debitore non può opporre al nuovo
possessore le eccezioni estintive che avrebbe potuto opporre al creditore precedente.
Questo principio di autonomia è opposto al principio per l'acquisto dei titoli di credito a titolo di cessione: in
questo caso l'acquisto è al titolo derivativo (l'acquirente subentra nella stessa identica posizione del suo
dante causa), il cessionario subentra nella medesima posizione del cedente. Il debitore ceduto può opporre
al nuovo creditore cessionario tutte le eccezioni che avere potuto opporre al cedente. Ingresso del
cessionario nella stessa posizione del cedente assi che le garanzie che assistevano il credito si trasferiscono
al cessionario.
Nei titoli di credito c'è però una deroga al principio dell'autonomia nell'ipotesi della cosiddetta girata di
comodo. Questa infatti è una girata che si realizzano per trasferire un diritto, ma soltanto per evitare che il
debitore possa opporre delle eccezioni estintive, e non per trasferire il diritto di credito. La girata di comodo
realizza un'ipotesi di frode alla legge, perché viene utilizzata per conseguire un fine illecito, cioè per ottenere
un pagamento non dovuto.
Torniamo alle azioni: chi è iscritto nel registro dell'emittente può esercitare i diritti cartolari. In caso di conflitti
prevale chi per primo si scrive nel libro soci.
Lezione del 20/5.
4.4.
Il problema della garanzia.
Articolo 1490: fissa in linea generale l'obbligo della garanzia per vizi. Il 1491 pone delle eccezioni all'obbligo
di garanzia, in eccezione al principio posto dal 1490.
La regola generale ci dice che il venditore all'obbligo di garantire: è obbligo giuridico la cui inosservanza è
considerata in adempimento di vendita. Il venditore deve garantire che il bene sia idoneo a svolgere la
funzione economica propria di quel tipo di bene: non deve cioè essere affetto da vizi che lo rendono
inservibile.
Il bene deve essere anche privo di vizi che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. Il valore che non
deve diminuire si trova nel principio della corrispettività delle prestazioni.
Il legislatore presume che nella vendita di sia tendenziale equivalenza tra il valore delle prestazioni
scambiate, con la conseguenza che il valore del bene scambiato deve essere in linea di massima
equivalente al prezzo. L'esistenza di vizi che diminuiscono in modo apprezzabile il valore del bene oggetto
del contratto determina un'alterazione del rapporto sinallagmatico, perché viene pagato un prezzo che non
corrisponde al valore del bene.
Il dovere di buona fede assieme a dovere di correttezza rientra nella categoria dei diritti di protezione: senza
la necessità che le parti mettano un'apposita clausola nel contratto, costituiscono integrazione legale del
contenuto del contratto e operano quindi automaticamente.
L'obbligo di buona fede è in posta contraente quando il contratto entra in una fase patologica.
L'articolo 1490 dice che il fatto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto se il venditore ha in
malafede taciuto i vizi.
L'obbligazione di garanzia cui è tenuto il venditore e il correlativo diritto alla garanzia che spetta al
compratore rientrano nella categoria dei diritti disponibili. I diritti disponibili sono quei diritti che possono
formare oggetto di rinuncia da parte del loro titolare; generalmente si tratta di diritti a contenuto patrimoniale.
Infatti il 1490 comma 2 ammette che nell'ambito dell'esercizio dell'autonomia contrattuale, derogando alla
disposizione legislativa che impone di garantire l'inesistenza dei vizi, possono accordarsi ed escludere
l'obbligazione di garanzia e limitarla a determinati tipi di vizi o determinarne quantitativamente le
conseguenze patrimoniali.
Sostanzialmente il patto costituisce una clausola di esonero della responsabilità, quindi non opera nell'ipotesi
di dolo o colpa grave. Trattandosi della rinuncia d'un diritto, la volontà del compratore di limitare o rinunciare
alla garanzia deve risultare in modo inequivoco.
Nel silenzio o nell'interpretazione di espressioni non si può mai ritenere che il compratore abbia rinunciato
alla garanzia.
4.4.1. Esclusione dalla garanzia.
Articolo 1491. Non è dovuta alla garanzia se al momento del contratto conosceva i vizi della cosa.
Questa fondamentale, si parla di garanzia per i vizi occulti, che sono i vizi che al momento in cui è stato
stipulato il contratto il compratore non conosceva.
Se il vizio era palese, o comunque manifesto, al compratore non spetta il diritto di garanzia.
Quest'esclusione deriva dal fatto che il compratore ha accettato la cosa nello stato in cui si trovava al
33
Filippo Galluccio – Appunti 2002
momento della stipulazione del contratto.
Il 1491 pone anche il principio della semplice conoscibilità, perché esclude l'operatività della garanzia anche
soltanto se i vizi erano facilmente riconoscibili.
Quindi l'operatività è esclusa non soltanto nel caso di vizio palese, ma anche nel caso di facile riconoscibilità.
Nb: altre volte il legislatore pone il principio della conoscenza effettiva.
Il problema si pone perché solitamente il metro della conoscibilità è l'ordinaria diligenza, quindi ai fini degli
effetti giuridici un fatto è dato per conosciuto s'era conoscibile usando l'ordinaria diligenza.
Però è necessario, perché questa funzione giuridica opere, che il compratore non abbia usato l'ordinaria
diligenza.
L'inciso dell'ordinaria diligenza non c'è però nel 1491. In sede interpretativa la giurisprudenza si è chiesta se
questo inciso facilmente avesse un valore equivalente a quello di ordinaria diligenza o se il legislatore, in
tema di vendita, ha adottato una disciplina diversa e più favorevole al compratore.
Insedi giurisprudenziali dottrinale prevale l'interpretazione per cui l'inciso "facilmente" abbia valenza diversa
dal concetto di ordinaria diligenza. Quest'ultimo pone comunque a carico del debitore uno sforzo che va
commisurato al tipo di prestazione. L'inciso facilmente ha voluto porre a carico del compratore un onere
minore di quello dell'ordinaria diligenza, per cui perché non operi la garanzia è necessario che i vizi, benché
non manifesti e palesi, siano accertabili mediante un esame sommario della res, che non implica un'attività
possiamo dire interpretativa del bene da parte del compratore.
Dal semplice esame visivo questi vizi devono essere riconosciuti. Se ciò avviene la garanzia è esclusa a
meno che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi.
Quali sono gli effetti della garanzia? Quali sono le azioni che il compratore può esercitare nel caso gli venga
consegnato un bene viziato? In proposito la legge stabilisce due azioni:
•
azione redibitoria o azione di risoluzione
•
azione estimatoria o actio quanti minori, volgarmente detta azione di riduzione del prezzo.
La scelta diventa irrevocabile quando è proposta la domanda giudiziale.
Azione di risoluzione.
È l'azione tipica che concessa alla parte quando l'altra è inadempiente. È un'azione volta produrre lo
scioglimento dell'accordo negoziale con tutte le conseguenze restitutorie che ne derivano.
Azione di riduzione del prezzo.
Nel nostro ordinamento giuridico non esiste una norma che permette ad uno dei contraenti di autoridursi
l'entità della prestazione dovuta. Nella vendita invece è data questa possibilità perché è dato usare uno
strumento di manutenzione del contratto per permettere altresì di ridurre il prezzo proporzionalmente
all'incidenza che il vizio ha sul bene che è stato venduto.
Il problema che si pone è quello della prospettabilità o meno nel nostro ordinamento di un'azione di riduzione
del prezzo anche al di fuori del contratto di vendita.
In particolare se sia possibile ritenere che dal principio stabilito per il contratto di vendita sia possibile
ipotizzare l'applicazione a tutte le fattispecie contrattuali dell'azione di riduzione.
Qui la dottrina della giurisprudenza si pongono in una condizione di contrasto, perché è il Bianca e parte
della dottrina ritengono l'azione di riduzione un istituto applicabile a varie fattispecie contrattuali, perché la
possibilità di ridurre la prestazione è anche espressione di un principio più generale ricavabile dalla norma
sulla impossibilità sopravvenuta parziale, perché nell'ipotesi di impossibilità sopravvenuta parziale l'altro
contraente può ridurre l'entità della propria prestazione. Questa facoltà di diminuzione quantitativa della
prestazione dovuta si ritiene si specifica per il contratto di vendita, ma recepisce un principio generale che
aleggia in tutto l'ordinamento giuridico.
La giurisprudenza invece è contraria a questa applicazione allargata dell'azione di riduzione, perché le azioni
che conseguono ex 1453 sono due e sono tipiche:
•
azione di risoluzione
•
azione di adempimento.
L'inadempimento parziale equivale ad inadempimento, quindi permettere ad una parte di liberarsi per
adempimento parziale, significherebbe liberarla nonostante un suo inadempimento.
Tornando più specificamente alle azioni della vendita ricordiamo che la legge fa sempre sano il risarcimento
del danno del compratore.
Il 1494 ci dice infatti che in ogni caso il venditore è tenuto a risarcire i danni che sono conseguenza del vizio.
Questo perché il principe generale delle risarcimento del danno è un principio che si applica ogni qualvolta si
verifica un inadempimento contrattuale, e non ci sono dubbi che consegnare una cosa viziata costituisca
inadempimento.
L'inadempimento dall'obbligazione di garanzia deve essere grave, 1490, perché gli unici vizi da cui
conseguono le azioni sono quelli che rendono in idoneo all'uso o diminuiscono in maniera sensibile il valore
della cosa. L'inadempimento deve essere quindi qualificabile come rilevante.
34
Filippo Galluccio – Appunti 2002
4.4.2. Termini per l'azione di garanzia.
Articolo 1495: il compratore decadde dall'azione di garanzia se non denuncia il vizio entro otto giorni dalla
scoperta.
Il termine è stabilito in un periodo molto breve per dare certezze rapporti giuridici. Oltre che denunciare a
pena di decadenza l'esistenza del vizio, il 1495 stabilisce che l'azione di garanzia si prescrive in un anno
dalla consegna.
Sono diversi i termini e sono diverse le conseguenze (rispettivamente decadenza e prescrizione), sono
diversi i periodi di decorso:
•
il termine di otto giorni ha inizio dalla scoperta dei vizi
•
l'azione si prescrive dopo un anno dalla consegna.
Il principio della prescrizione dell'azione non opera nel caso la garanzia per vizi sia opposta in via di
eccezione, questo perché in nostro ordinamento giuridico a come regola il principio per cui le azioni sono
sottoposte termini di prescrizione, le eccezioni sono inprescrivibili (con un unico limite: nell'azione di
rescissione in un anno si prescrive tanto l'azione, quanto l'eccezione).
Per proporre in via di eccezione il vizio è necessario che sia stata osservata la prescrizione sulla decadenza,
ossia che il compratore abbia denunciato il venditore negli otto giorni dalla scoperta il vizio.
Il termine di otto giorni, a pena di decadenza, deve essere osservato.
Eccezione alla regola che impone la denuncia, 1495 comma 2: la denuncia non è necessaria se il venditore
ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultata (la legge non riconosce tutela a chi si è comportato in
malafede).
Lezione del 23/5.
4.4.3. Garanzia per vizi del contratto di vendita.
Rimedio che al compratore spetta quando il bene sia privo delle qualità essenziali o, anche se non
essenziali, promesse dal venditore.
Anche in questo caso il codice detta una disciplina specifica, che è quella del 1497, per cui compratore può
chiedere la risoluzione di un contratto quando la cosa manca. Delle qualità essenziali o promesse purché ci
sia la circostanza di fatto che la mancanza di qualità ecceda la normale tolleranza.
In base a questo inciso, lo scioglimento del contratto è subordinato alla non scarsa importanza
dell'inadempimento da parte del venditore. La gravità dell'inadempimento si concretizza nel superamento dei
limiti di tolleranza imposti dagli usi in caso di mancanza di qualità.
L'azione del 1497 sembra una normale azione di risoluzione per inadempimento. Le realtà la caratteristica
che rende quest'azione specifica e diversa dalla normale azione di risoluzione si ricava dal secondo comma
del 1497, il quale subordina la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto all'osservanza delle
condizioni dei termini stabiliti dall'articolo 1495, per cui anche in caso di mancanza di qualità è necessaria
denunciare la mancanza entro otto giorni dalla scoperta ed entro un anno dalla consegna.
Però la garanzia per mancanza di qualità quanto ai rimedi differisce dalla garanzia per vizi, perché
nell'azione di garanzia per vizi al compratore spettano due azioni: sia l'azione di risoluzione, sia l'azione di
riduzione del prezzo. Nella garanzia per mancanza di qualità invece il tenore letterale della norma è esplicito
nel fare riferimento alla sola azione di risoluzione. Tanto il primo comma quanto il secondo comma fanno
riferimento solo all'azione volta a determinare lo scioglimento del contratto.
Sarà esercitabile l'azione di riduzione del prezzo qualora si accolga l'opinione della dottrina, che ritiene
essere l'azione di riduzione un'azione generale e quindi sempre applicabile in caso di inadempimento.
Vediamo adesso l'ultima garanzia, che attiene esclusivamente all'ipotesi di vendita di cose mobili: ipotesi
della garanzia di buon funzionamento, 1512.
Quest'articolo stabilisce, per la vendita che ha ad oggetto cose mobili, che il venditore possa garantire il
buon funzionamento per un periodo di tempo determinato. Qualora il venditore assuma quest'impegno, salvo
patto contrario, il compratore deve, a pena di decadenza, denunciare il difetto di funzionamento entro trenta
giorni dalla scoperta, e l'azione si prescrive, sempre salvo patto contrario, nei sei mesi che decorrono
anch'essi dalla scoperta.
Nella prassi commerciale questi termini sono solitamente derogati per accordo pattizio.
4.4.4. Problema del cosiddetto alud pro alio.
Si pone il dilemma di scegliere quale azione spetta al compratore e se il 1495 e il 1497 sono sottoposti ai
limiti di decadenza del 2945 e il 2947.
Se il venditore consegna una cosa viziata copriva di qualità, ma tale cosa è comunque omologabile nel
genus del bene che intendeva acquistare il compratore, saranno operanti le norme sulla garanzia per vizi e
mancanza di qualità (termine prescrizionale e termine decadenziale).
Qualora invece l'inidoneità all'uso del bene comprato derivano da un vizio intrinseco, ma dal fatto che il bene
consegnato, pur non viziato, è un bene diverso da quello che il compratore aveva acquistato (mi ricorre la
35
Filippo Galluccio – Appunti 2002
fattispecie dell'alud pro alio) l'azione esercitabile sarà l'azione generale prevista dal 1453.
Si potrà scegliere perciò tra risoluzione e adempimento.
Ci sono però ipotesi in quella distinzione tra vizio e consegne di un bene diverso non è molto facile. Ci
riferiamo in particolare all'ipotesi di vendita di terreni e di beni immobili generalmente, che sono nella specie
privi o dell'abitabilità, oppure hanno una destinazione urbanistica diversa da quella che si aspettava il
compratore.
Su questo punto la giurisprudenza è divisa, perché secondo alcune sentenze opera la disciplina della
mancanza di qualità, e risolve il problema facendo leva sull'istituto dell'errore o della presupposizione (una
volta che si è decaduti).
Secondo l'altra parte della giurisprudenza questa fattispecie concretizza un'ipotesi di consegna di bene
diverso: elemento talmente qualificante della rendita che la sua mancanza determina una diversità nel bene
oggetto del trasferimento; tutela: azione di risoluzione, esercitabile nel normale termine di prescrizione
decennale.
4.5.
Il contratto di commissione.
Articolo 1731-1736. È un contratto che nella prassi commerciale è molto diffuso e che l'articolo 1731
definisce come un mandato che ha per oggetto la vendita con l'acquisto di beni in nome del commissionario
e per conto del committente, ove evidentemente il committente è colui che dà incarico alla stipula del
contratto di vendita.
La nozione del codice civile è più ristretta di quella che dava il codice di commercio, che all'articolo 380
stabiliva che il contratto di commissione era quel contratto per cui il commissionario, agendo in nome proprio
ma per conto del committente, stipulava contratti commerciali.
L'oggetto della commissione è ora limitato al contratto di compravendita.
La commissione è quindi una sottospecie del contratto di mandato.
Il motivo per cui ne è stato ristretto l'oggetto ci viene spiegato dalla relazione ministeriale + 713+: nella prassi
si era riscontrato che il commissionario stipulava solitamente per il committente due contratti:
•
compra vendita
•
contratto di trasporto.
Col nuovo codice si è deciso di normalizzare questa prassi introducendo due sottospecie di mandato:
•
contratto di commissione
•
contratto di spedizione, che è sostanzialmente un mandato a stipulare un contratto di trasporto.
Anche nel contratto di spedizione da spedizioni e agisce in nome proprio ma per conto del mandante. La
dottrina qualifica quindi la commissione come una sottospecie o un sottotipo (Migliarini) del contratto di
mandato (= contratto con cui una parte si impegna a compiere determinati atti giuridici per conto di un'altra.
Se il mandato è accompagnato dalla procura, il mandatario agisce anche in nome del mandante).
È un sottotipo di mandato senza rappresentanza.
Infatti l'articolo 1731, che definisce la commissione, da definisce come quel contratto in cui il commissionario
conclude con un terzo un contratto di compravendita in nome proprio e per conto del committente.
Vediamo quindi che tra commissione e mandato intercorre un rapporto di specie e genere. Ossia la
commissione è una species del più ampio genus del contratto di mandato. Questo rapporto pone subito un
problema interpretativo sul tipo di norme applicabili e sull'ambito applicativo delle norme stesse in questo
senso. Innanzitutto, essendo la commissione comunque un mandato, al contratto di commissione saranno
applicabili oltre che le norme specificamente dettate per questo contratto tutte le norme dettate in materia di
mandato senza rappresentanza, che evidentemente svolgono una funzione suppletiva per la
regolamentazione di quegli aspetti del contratto di commissione che il legislatore non ha espressamente
regolato; le norme sul contratto di mandato sono applicabili alla commissione se non specificamente
derogato.
Il problema sorge allorché si tratta di stabilire la possibilità di una applicazione del procedimento inverso,
ossia se al mandato senza rappresentanza sono applicabili le norme sulla commissione.
La soluzione al quesito dipende dalla individuazione dell'ambito soggettivo di applicazione delle norme in
tema di commissione.
Infatti, che ritiene che la commissione possa essere esercitata da qualunque soggetto, anche non
imprenditore, e che quindi non sia richiesto il requisito della professionalità in capo al commissionario, opta
per la applicabilità della norma in tema di commissione al mandato.
Questo perché il mandato senza rappresentanza ad acquistare o a vendere è sostanzialmente una figura
identica al mandato a vendere, e le norme che disciplinano la commissione svolgerebbero funzione
integratrice del mandato senza rappresentanza.
Diversa è invece la posizione di chi sostiene che le norme dettate in materia di commissione valgono solo
per chi esercita un'attività di impresa, ossia per chi esercita professionalmente l'attività di commissionario.
Questo perché esse si ritenessero applicabili le norme sulla commissione al mandato senza rappresentanza
a vendere o a acquistare, ogni mandato a vendere o ad acquistare diventerebbe una commissione. Le due
36
Filippo Galluccio – Appunti 2002
figure non sarebbero quindi affini, ma identiche.
Di qui di inapplicabilità al mandato senza rappresentanza a vendere o ad acquistare delle norme sulla
commissione.
Questo orientamento è preferito anche da Camilletti.
Vediamo alcune conseguenze che derivano dall'applicabilità alla commissione di alcune norme su un
mandato senza rappresentanza: articolo 1705 e 1706.
Il primo comma dell'articolo 1705 ci dice che il mandatario che agisce in nome proprio a questi diritti ed
assume gli obblighi derivanti dal negozio gestorio, anche se i terzi hanno avuto conoscenza dell'esistenza
della commissione. Questo vuol dire che la compra vendita che forma oggetto della commissione produce
immediatamente i suoi effetti tra il terzo e il commissionario. Questo è conseguenza del principio per cui il
contratto ha forza di legge tra le parti: "i terzi non hanno alcun rapporto con il mandante".
Questo è un effetto dell'assenza del potere rappresentativo. Il 1731 ci dice però che il commissionario deve
agire per conto del committente, quindi l'interesse a vendere o ad acquistare, che si realizza mediante il
compimento dell'attività gestoria, è un interesse del committente. Non è interesse di chi stipula il contratto: è
una delle ipotesi di interposizione reale, in cui c'è dissociazione tra titolarità e interesse.
Da questa dissociazione tra titolarità e interesse discende la necessità di approntare una tutela giuridica
particolarmente intensa al titolare dell'interesse, ossia al committente, e questa tutela giuridica viene data
dagli artt. 1705 e 1706, dettati nella regolamentazione del mandato senza rappresentanza, ma applicabili
anche al contratto di commissione.
Gli 1705 comma 2 ci dice che il mandante sostituendosi al mandatario può esercitare i diritti di credito
derivanti dal compimento dell'atto gestorio. Questo principio troverà applicazione nella commissione a
vendere.
C'è poi, fondamentale, la disciplina dei due commi dell'articolo 1706. Il primo comma ci dice che il
committente può esercitare l'azione di rivendica nei confronti dei beni acquistati per suo conto dal
commissionario.
Se il terzo non consegnerà il bene oggetto del contratto di vendita al commissionario, atteso che l'interesse è
del committente, questo potrà andare dal terzo e rivendicare come propri i beni oggetto della vendita tra il
terzo e il commissionario.
In sostanza quindi, attribuendo questo diritto di rivendica al committente, il legislatore ha sostanzialmente
attribuito una sorta di azione di adempimento al committente pur non essendo questo parte del contratto.
Le azioni a tutela della proprietà, dette azioni reali o petitorie, sono:
•
l'azione di rivendicazione
•
l'azione negatoria
•
l'azione di apposizione dei termini
•
l'azione di regolamento dei confini.
L'azione di rivendicazione è l'azione che mira a recuperare il bene illegittimamente detenuto e/o posseduto
da un altro soggetto.
L'azione negatoria è l'azione volta a far dichiarare l'inesistenza di diritti reali minori sul bene di propria
proprietà.
L'azione di regolamento dei confini è l'azione volta a dirimere eventuali contrasti sui confini che delimitano i
due fondi contigui.
Lezione del 24/5.
Importante è la tutela sostanziale e non formale che viene accordata al committente: azione di rivendica.
Sia la norma che gli attribuisce il diritto di sostituirsi a commissionario nell'esercizio dei diritti di credito, sia la
norma che attribuisce diritto di rivendica, derogano alla disciplina generale dell'ordinamento fissa per questo
tipo di azioni.
4.5.1. Diritti di credito.
La legittimazione ad esercitare il diritto di credito spetta a chi ne è l'effettivo titolare. Seguendo questo
principio generale, legittimato ad esercitare i diritti di credito che derivano dal contratto gestorio, sarebbe il
commissionario, 1705 comma 1.
Dando preminenza ad interesse sostanziale la legge da questa facoltà di sostituzione, il secondo alcuni
questa facoltà di sostituzione troverebbe la sua ratio nella norma sull'azione surrogatoria, articolo 2900.
Il mandante, sì come puoi ottenere il diritto dal mandatario, agisce direttamente nel terzo per far rientrare il
diritto di credito nel suo patrimonio.
Questa costruzione va contro un'obiezione dottrinale da ritenere insuperabile.
Per esercitare l'azione surrogatoria è infatti necessario:
•
l'inerzia del debitore
•
che dall'inerzia derivi un pregiudizio.
37
Filippo Galluccio – Appunti 2002
In assenza di questi due requisiti l'azione surrogatoria non è esercitabile. Il committente invece può
sostituirsi al commissionario anche se il commissionario da esecuzione all'atto di gestione e anche se il
patrimonio del commissionario non è incapiente a soddisfare l'eventuale credito del committente.
Un problema si pone anche per l'adempimento del terzo. Il terzo infatti esegue il pagamento nelle mani del
committente anziché del commissionario, che è la sua reale controparte. Soprattutto, questo pagamento ha
efficacia estintiva.
Come si può costruire in diritto e la liberazione del terzo?
Articolo 1188 nella parte in cui riconosce efficacia estintiva al pagamento fatto a persona autorizzata a
riceverlo dalla legge. Evidentemente il committente è la persona legittimata a ricevere il pagamento ex 1705.
Un problema di deroga ai principi generali si pone anche in relazione al primo comma dell'articolo 1706, il
quale, con formula specifica, attribuisce nei confronti dei beni mobili al committente il diritto di rivendica. La
peculiarità della norma sta proprio in questo: è attribuita una legittimazione ad esercitare un'azione di
rivendica al committente benché questi non sia il proprietario dei beni rivendicati.
Come si risolve in dottrina? Alcuni attribuiscono al contratto di commissione efficacia traslativa, ossia con il
contratto di commissione si verificherebbe l'effetto reale per cui il proprietario diventerebbe automaticamente
il committente.
Questa interpretazione, che sostenuta in modo autorevole, si scontra con un dato normativo ineccepibile.
Infatti, al di là delle forzature interpretative, il 1705 dice che i diritti e gli obblighi sono acquistati dal
mandatario senza rappresentanza.
Si scontra anche con i termini che il legislatore ha utilizzato: il legislatore parla espressamente di rivendica.
Se la proprietà era acquistata dal mandante, che bisogno c'era di avere un'azione reale, se c'è già l'azione
contrattuale di adempimento?
Camilletti: quest'interpretazione non può essere accolta.
Il fondamento dell'azione di rivendica sta proprio nel fatto che al committente manca un'azione contrattuale,
e si giustifica un'azione reale perché il terzo detiene illegittimamente bene immobile perché in esecuzione
del contratto gestorio avrebbe dovuto consegnarlo a commissionario.
Si può quindi sostenere il committente è assimilato quanto agli effetti giuridici al commissionario, in quanto è
il vero titolare dell'interesse a conseguire il diritto reale.
Problema della tutela del committente nel caso in cui oggetto della commissione sia la compravendita di un
bene immobile.
Il principio cui fa riferimento è l'articolo 1706 comma 2, che dice che se le cose acquistate dal mandatario
sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario è obbligato a ritrasferire la mandante.
Incombe sull'acquirente commissionario l'obbligo di trasferire mediante altro atto di alienazione il bene
immobile o mobile registrato che questo ha acquistato dal terzo.
Problema dell'obbligo a contrarre. La norma in esame pone l'obbligo di stipulare un successivo contratto di
trasferimento con il committente. È una vera e propria obbligazione a contrarre imposta al concessionario. Il
1706 dice che in caso di inadempimento si osservano le norme relative all'esecuzione dell'obbligo di
contrarre. Il committente può ricorrere allo strumento di cui all'articolo 2932 e ottenere una sentenza che
produca gli effetti del contratto non concluso. La sentenza del giudice si sostituirà al contratto realizzerà il
trasferimento coattivo del bene dal commissionario al committente.
Qual è il problema che si pone in questo caso?
Grossi problemi in materia di trascrizione.
Il conservatore non trascrive l'acquisto se non c'è la cosiddetta continuità nelle trascrizioni. Il commissionario
rimane inadempiente, non li trasferisce il bene al committente e non provvede a trascrivere il suo acquisto.
La sentenza costitutiva quindi non è proponibile al secondo acquirente. Va trascritta! Può non bastare: può
proporre un'istanza di verificazione con cui accerta che il contratto intervenuto tra terzo e commissionario è
stato effettivamente stipulato tra loro, e sulla base di queste istanza fa trascrivere l'acquisto del
commissionario.
Vediamo un'altra norma posta tutela del committente. E un'altra norma dettata in tema di mandato senza
rappresentanza: 1707, che parla dei creditori del mandatario. La norma, che deroga all'articolo 2740,
secondo cui un soggetto risponde con tutti i beni che fanno parte del suo patrimonio, dispone che creditori
del commissionario non possono far valere le loro ragioni di credito sui beni acquistati dal mandatario in
esecuzione del contratto di commissione. Si realizza l'opponibilità del rapporto interno ai creditori di
quest'ultimo punto
è una deroga al 2740 perché il commissionario dovrebbe rispondere verso i suoi creditori con tutto il suo
patrimonio, ivi compresi i beni che ha acquistato con il contratto di commissione. Ciò però non avviene,
perché i creditori non possono soddisfarsi su questi beni. Ancora una volta è stata la prevalenza all'aspetto
sostanziale degli interessi su quello formale della titolarità. Il tutto sul presupposto che il mandato abbia data
certa anteriore al pignoramento, ossia, se il mandato non ha data certa anteriore, succede che un soggetto
si accorda e froda i creditori.
4.5.2. Natura del contratto di commissione.
Da un punto di vista della struttura può essere considerato contratto titolo oneroso a prestazioni corrispettive
38
Filippo Galluccio – Appunti 2002
e deve essere considerato un contratto con obbligazione di una sola parte.
Il pagamento della provvigione rende questo contratto un contratto a prestazioni corrispettive? Le soluzioni
sono divergenti. Excursus: ambito di applicazione soggettiva delle norme sulla commissione. Sono
applicabili solo a chi esercita attività d'impresa o anche a chi compie uno sporadico atto?
Si tratta di accertare se requisito della professionalità è un requisito essenziale di chi assume la veste del
commissionario.
Lezione del 30/5.
L'accertamento dell'esistenza o meno di ambito di applicazione soggettiva del contratto di commissione.
Ossia le norme si applicano solo al commissionario professionista , a chi esercita attività d'impresa, o se
l'applicazione delle norme prescinde dalla qualità soggettiva del commissionario, cioè se colui che compie
l'atto di vendita in nome proprio ma per conto altrui possa essere un soggetto che non esercita attività
d'impresa.
Secondo l'orientamento dottrinale la commissione non sarebbe un contratto il cui tratto tipizzante è costituito
dalla qualifica professionale del commissionario. Per cui anche un solo atto da parte di un soggetto che non
ha organizzato la propria attività in forma di impresa potrebbe essere disciplinato dalle norme sulla
commissione.
La diversità con il mandato senza rappresentanza: questo può avere ad oggetto qualunque atto giuridico,
nella commissione l'oggetto del contratto gestorio è limitato alla stipulazione di contratti di compravendita.
Questa interpretazione conseguirebbe al fatto che nelle norme sulla commissione non vi è alcuna
disposizione legislativa da cui sia possibile desumere la necessità della qualifica in capo al commissionario
di imprenditore commerciale. Con l'abolizione del codice di commercio non vi è quindi più nessuna ragione
per distinguere sotto un profilo soggettivo tra affari civili e affari commerciali, di tal che, quando l'oggetto del
mandato è una compravendita, trovano applicazione le norme sulla commissione.
Orientamento di segno opposto sostiene che la commissione è caratterizzata dalla necessità che il
commissionario svolga la propria attività in modo professionale, perché dal complesso della disciplina questo
dato si ricava in modo inequivoco, perché tutte le norme sulla commissione fanno riferimento agli usi, usi che
non possono che essere gli usi del commercio, per cui se un contratto trova una delle fonti principali negli usi
del commercio, è evidente che i destinatari della disciplina sono imprenditori, perché i soggetti privati
potrebbero ignorare gli usi che regolano quel tipo di contratto.
Altro dato fondamentale: ne contratto di commissione sono previsti tra istituti (vendita con dilazione, lo star
del credere, l'entrata del commissionario nel contratto o cosiddetto contratto con se stesso) che in primo
luogo permettono al commissionario di realizzare operazioni speculative, ma soprattutto spostano il rischio
contrattuale dal committente al commissionario: l'assunzione del rischio è un tratto tipicamente proprio
dell'esercizio di un'attività d'impresa. Da cui il fatto che l'imprenditorialità è elemento soggettivo necessario
per applicare le norme.
Argomentazione decisiva è che se la commissione non avesse alcuna differenza con il mandato senza
rappresentanza ad eccezione dell'oggetto gestorio, ogni mandato a vendere o ad acquistare sarebbe una
commissione e sostanzialmente sarebbe stata dettata una disciplina inutile.
Sotto il profilo contrattuale il contratto di commissione è inquadrabile nella categoria dei contratti a
prestazioni corrispettive con obbligazione di una sola parte in cui l'obbligo del committente è solamente
eventuale.
Anche qui non c'è un'interpretazione unica.
Secondo alcuni infatti la commissione non è un contratto strutturalmente a prestazioni corrispettive, e il
fondamento di quest'esclusione si rinviene nell'articolo 1709, dettato in tema di mandato, per cui il mandato
si presume oneroso, ma l'onerosità non è un suo elemento essenziale, anche se naturale.
Applicando quest'articolo alla commissione si dice: in quanto sottotipo del mandato senza rappresentanza, si
presume il titolo oneroso, ma l'onerosità non è un elemento essenziale.
Le uniche obbligazioni sempre esistenti sono quelle che gravano sul commissionario, di tal che si tratterebbe
di un contratto strutturalmente come contratto con obbligazione di una sola parte, perché le obbligazioni del
commissionario sono sempre certe, quella del committente di pagare è eventuale a seconda che il contratto
sia a titolo oneroso o gratuito.
Altra dottrina ci dice che l'onerosità non è un elemento naturale del contratto, ma è un suo elemento
essenziale, e per questo rende il contratto a prestazioni corrispettive.
Il dato normativo da cui ricavare l'onerosità della commissione è il 1733, il quale nella regolare le modalità di
pagamento della provvigione stessa, dice espressamente "provvigione spettante al commissionario". Dal
termine spettante la dottrina ricava che la provvigione è un diritto contrattualmente attribuito al
commissionario, con la conseguenza che il 1709 sulla presunzione di onerosità non trova applicazione, e
quindi il contratto deve essere qualificato come contratto a prestazioni corrispettive.
In realtà per superare il problema se è opportuno fare ricorso ai principi di cui abbiamo parlato prima. Se il
contratto vera considerato tipico dell'imprenditore, verrà riconosciuto nella categoria dei contratti a
prestazioni corrispettive. Se invece si ritiene che il contratto di commissione sia sostanzialmente un mandato
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
senza rappresentanza con oggetto circoscritto alla vendita, evidentemente c'è l'identità di ratio, per cui il
contratto potrà essere ricondotto al tipo di contratto con obbligazione di una sola parte.
La dissertazione ha importanza pratica notevole. Se lo si qualifica a prestazioni corrispettive ci saranno tutti i
rimedi sinallagmatici (eccezione di inadempimento, risoluzione per inadempimento, risoluzione per eccessiva
onerosità sopravvenuta) che si applicano soltanto ai contratti a prestazioni corrispettive. Viceversa, se il
contratto viene qualificato come contratto a obbligazione di una sola parte, l'unica azione che spetta al
commissionario è l'azione volta ad ottenere il pagamento della provvigione.
La rilevanza è notevole.
Si sono previsti da parte del commissionario più atti gestori e il committente non paga, il commissionario può
legittimamente sospendere l'adempimento. Presupposto per la risoluzione di eccessiva onerosità
sopravvenuta è un evento straordinario e imprevedibile. C'è anche la riduzione ad equità, ricostruzione
dell'equilibrio sinallagmatico. Quest'istituto opera anche nei contratti conclusi in stato di pericolo e in stato di
bisogno.
Opera anche nella clausola penale ad opera del giudice.
4.5.3. Tre istituti fondamentali.
Il primo è regolato dall'articolo 1732, che riguarda le cosiddette operazioni a fido, cosiddetta vendita con
dilazione.
L'articolo 1732 ci dice che il commissionario si presume autorizzato a concedere dilazione di pagamento in
conformità degli usi del luogo in cui viene compiuto il negozio gestorio, a meno che il committente non abbia
disposto diversamente.
Vediamo che da questo primo comma come gli usi costituiscono la fonte normativa che attribuisce al
commissionario la facoltà di concedere dilazione di pagamento.
Questa facoltà, se riconosciuta dagli usi, può però essere vietata dal committente, il quale al momento della
stipulazione del contratto dispone in modo diverso.
Già dal primo comma si trae l'importante conclusione che la norma sulle operazioni a fido traeva
applicazione esclusivamente nell'ipotesi di commissione a vendere.
E secondo comma ci dice cosa succede se il commissionario, nonostante il divieto o l'inesistenza degli usi,
venda ugualmente con dilazione.
In questo caso l'effetto che la legge riconosce alla violazione del divieto non dello scioglimento del contratto,
ma la inopponibilità della dilazione al committente, il quale può esigere dal commissionario immediatamente
il pagamento dell'intero prezzo. Effetto analogo si verifica nell'ipotesi del terzo comma, il quale pone in capo
al commissionario un obbligo di informazione, in quanto impone a questi, in caso di dilazione, di comunicare
al committente sia la persona del contraente sia il termine di pagamento concesso.
Anche in questo caso, se ciò non avviene, ancora una volta la conseguenza ella non opponibilità della
dilazione nei confronti del committente, e il quale potrà esigere l'intero prezzo.
(d) Entrata del commissionario nel contratto.
Articolo 1735, che regola un'ipotesi di contratto con se stesso.
Questa norma ricalca una norma molto simile dettata in tema di contratto concluso con se stesso dal
rappresentante, 1395, e la ratio che sottostà ai due istituti è assolutamente analoga, infatti anche nella
commissione può succedere che per il committente sia irrilevante la persona dell'altro contraente. Queste
rilevanza però va con temperata con l'altro principio per cui il commissionario agisce per conto del
committente, quindi nello stipulare il contratto gestorio deve perseguire l'interesse del committente, il che
potrebbe essere pregiudicato nel caso in cui il contratto venga concluso con se stesso.
Per evitare questa situazione di conflitto di interessi, anche il 1735 circoscrive le ipotesi dell'entrata del
commissionario nel contratto a quelle ipotesi in cui il prezzo è già determinato dal legislatore o il prezzo
venga a priori determinato dal committente.
In questo caso, non essendo possibile che il commissionario si ponga in conflitto con interesse del
committente, la legge autorizza la stipula del contratto con se stesso.
(e) Star del credere.
Articolo 1736. E quel particolare patto o obbligo derivante dagli usi per cui il commissionario risponde
dell'esecuzione dell'affare.
Qualora gli usi o gli accordi intervenuti tra committente e commissionario prevedano l'esistenza dello star del
credere, al commissionario spetta un compenso maggiore oltre alla provvigione. Questo perché con lo star
del credere è stato da alcuni assimilato alla fideiussione, da altri ancora alla promessa del fatto di terzo.
In realtà nessuna di queste costruzioni sembra essere accolta dalla giurisprudenza, che preferisce parlare di
negozio autonomo di garanzia, che si pone al di fuori delle garanzie tipiche e impone al commissionario di
tenere indenne il committente dalle conseguenze che a questi derivano in conseguenza dell'inadempimento
del contratto gestorio stipulato tra commissionario e terzo.
40
Filippo Galluccio – Appunti 2002
5.
Il contratto di factoring e la resp. da prodotto
Lezione del 11/4.
5.1.
Il contratto di factoring.
La cessione del credito non è un contratto, ma può assurgere a contenuto di vari contratti: vendita, garanzia,
ecc.. Nei contratti di factoring le cessioni sono in genere pro solvendo (solvenza. pro soluto: il cedente non
rimane obbligato). Il credito che si trasferisce non muta, presenta le stesse caratteristiche che aveva in mano
al cedente.
Articolo 1265 cc e 4 5 legge fallimentare: opponibilità degli atti nei confronti della procedura concorsuale.
Il factoring è un contratto importato. Svolge una triplice funzione:
•
gestione del monte crediti che l'imprenditore ha, normalmente in scadenza. La funzione gestoria
viene svolta dal factor: occorre rifarsi alle norme sul mandato
•
funzione di finanziamento: l'imprenditore ha esigenza di immediata liquidità, e fattorizza i propri
crediti. In cambio tiene la gestione e il finanziamento dal fornitore. Bisogna collegarsi alle norme del
codice civile sul mutuo, o ai principi che regolano i cosiddetti contratti di liquidità (= contratti con cui
l'imprenditore riesce finanziarsi)
•
funzione di tipo assicurativo, quando le cessioni sono pro soluto il factor si accolla il rischio di non
recuperare il dovuto dal debitore.
Tra le funzioni non c'è la cessione definitiva del credito. La cessione del credito è solo uno strumento per
svolgere queste funzioni sociali.
È difficile quindi definire e delimitare l'oggetto del contratto di factoring. Contratto atipico, 1322 secondo
comma.
Occorre operare una qualificazione giuridica del contratto: trovare il tipo contrattuale da cui attingere per
regolamentare le situazioni e le posizioni delle parti. Ci sono due tesi che si fronteggiano.
Non è quella del mandato: si ritiene che la funzione prevalente sia quella gestoria; causa mandati.
Diametralmente opposta la tesi che ritiene che la funzione qualificante prevalente sia quella di vendita. Si
ritiene che l'impresa si spoglia definitivamente dei crediti.
La legge 52/1991 non ha operato una qualifica del contratto di factoring, ma ha regolamentato la cessione
dei crediti d'impresa per le imprese che presentino particolari requisiti.
Qual'è l'impatto del fallimento sul contratto di factoring?
Se la causa è il mandato, applichiamo e 78 legge fallimentare, che prevede lo scioglimento automatico.
Se la causa è di semplici cessione dei crediti, il giudice tenderà ad applicare le norme relative contratti
sospesi, 71 legge fallimentare.
Professore: non ci sarebbe ultrattività del complesso del contratto di factoring.
Alcuni: se la causa prevalente è quella di vendita bisogna distinguere tra effetti reali (crediti già ceduti: ok) e
obbligatori (crediti futuri: decide se subentrare o meno).
È fisiologico che il factor, nel corso del rapporto, maturi dei crediti. Come nasce questo credito in capo al
factor? Bisogna rifarsi alla funzione di finanziamento: facoltà di anticipare in tutto in parte il corrispettivo dei
crediti.
Il factor dice: io ho acquistato i crediti quindi posso realizzarli al di fuori del fallimento.
Si è però i debitori non sono solventi, il factor ha interesse a fare domanda di ammissione al passivo:
domanda condizionale al mancato incasso dei crediti dai debitori ceduti.
Il curatore ha interesse da mettere al passivo come credito certo e definitivo e farsi versare i crediti scorsi
hanno una del 44 legge fallimentare, sostenendo che sono indebitamente trattenuti dal factor.
inzitari: la cessione del credito effettua trasferimento del credito. Il fatto allora può realizzarli, perché non
passano dal patrimonio fallimentare, in quanto erano già stati definitivamente ceduti dal fallito.
Occorre accertare se e quando si è verificato l'effetto traslativo che ha portato i crediti nella sfera del
cessionario.
Altri obiettano che in trasferimento dei crediti non sarebbe definitivo, non mirato a portare i crediti nella sfera
del cessionario.
La cessione del credito avrebbe nient'altro che la funzione di garanzia, di garantire in modo atipico il factor
dalle restituzioni di quelle anticipazioni che ha effettuato.
Il factor reagirebbe quindi come un semplice mandatario, e dovrebbe quindi rimettere tutto nel patrimonio
fallimentare.
Le singole cessione del credito potrebbero essere attaccate come mezzi anomali di pagamento, articolo 67.
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Filippo Galluccio – Appunti 2002
Lezione del 6/5.
5.2.
Danno da prodotto e responsabilità del produttore.
Direttiva CEE 85/374, d.p.r. 224/1988.
Problema: garantire la maggior sicurezza al consumatore, si ha in via preventiva, che invia di risarcimento
del danno.
L'articolo 15 del d.p.r. evidenzia che altre leggi possono attribuire al consumatore tutela in materia di danno
da prodotto.
Questo principio sacrifica l'uniformità della legislazione europea ad una maggior concretezza ed effettività
della tutela. Vediamo le norme del codice. Tutela del consumatore come contraente; i terzi non sono quindi
considerati, non c'è tutela contro il dante causa del produttore. La giurisprudenza usa anche il 2050 e il 2049
ecc..
Il danno derivato da prodotto farmaceutico è riconducibile nell'alveo del 2050.
Usare il 2043 pone problemi al consumatore in termini di onere della prova.
Il 2049 implica la riconducibile età di un illecito ad un dipendente.
Analizziamo il d.p.r.:
•
articolo 1: è una responsabilità oggettiva
•
articolo 2: ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene
•
articolo 3: non rientrano nella disciplina i prodotti agricoli, caccia e pesca non trasformati.
Il concetto di difetto fa attenzione all'affidamento che un prodotto crea nel momento in cui viene messo in
circolazione. Difetto di costruzione, di fabbricazione, sviluppo scientifico-tecnico, mancanza o insufficienza di
istruzioni.
Bisogna provare il danno, il difetto, la connessione causale tra difetto e danno.
Uso delle presunzioni semplici per scandagliare l'organizzazione di impresa.
Le cause di esclusione della responsabilità trascinano dalla colpa del produttore, articolo 6.
Il sangue non è un prodotto: viene distribuito gratuitamente.
C'è disposizione che lascia libero e il legislatore nazionale di istituire un fondo di garanzia.
Il produttore che viene a sapere che il suo prodotto è difettoso, deve ritirarlo dalla circolazione.
Gli è il produttore? Sia il produttore finale, ma anche chi produce un singolo componente con la materia
prima. Il distributore è equiparato al produttore se non fornisce le generalità di quest'ultimo punto
il d.p.r. non parla dell'obbligazione risarcitoria. Il danno morale è risarcibile? In che termini? Secondo la
giurisprudenza è accordabile solo in seguito ad un fatto classificabile come reato punto
nella catena di distribuzione è possibile una limitazione di responsabilità.
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