L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
PARTE PRIMA
RIPASSO E CONSOLIDAMENTO DELLE PRINCIPALI
OPERAZIONI IN PARTITA DOPPIA
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L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
I N T R O DU Z I ON E
CONTABILITÀ ORDINARIA D’ESERCIZIO
CONTABILITÀ GENERALE ED ANALITICA
La Contabilità generale è un insieme, o per meglio dire, un sistema di conti, collegati secondo un
metodo di universale applicazione, la partita doppia, che analizza e rappresenta il capitale secondo
due aspetti. L’identificazione di queste due dimensioni varia a secondo delle scuole e delle dottrine
contabili.
Il sistema patrimoniale (insegnato in questa università) individua un aspetto elementare e uno
derivato, o economico. Il sistema del reddito, ad esempio, parla invece di aspetto numerario e
aspetto economico.
La Contabilità generale rientra nell’insieme più ampio della Contabilità ordinaria, alla quale
appartiene anche la Contabilità analitica, che, come indica il nome stesso, effettua calcoli particolari
per informazioni analitiche, ad esempio costi di singoli prodotti, di una determinata funzione
aziendale, oppure risultati particolari, di un prodotto specifico... La Contabilità generale non
fornisce questo tipo di rielaborazioni, anche se esistono ugualmente alcune informazioni analitiche
che da essa si possono ricavare, ad esempio riguardanti i debiti verso fornitori, e nonostante il fatto
che possano esistere chiusure infrannuali dei conti.
Per quanto attiene la Contabilità analitica, si parte idealmente dai dati ottenuti dalla Contabilità
generale (come costi e/o ricavi, non conti elementari) e li si analizza, riclassificandoli così da riferirli
a singoli prodotti, o singoli processi produttivi etc. secondo una sequenza. Ricordiamo che la
Contabilità generale precede sempre quella analitica: si determina ad esempio prioritariamente
qual è stato i consumo di fattori produttivi e successivamente lo si imputa nelle giuste percentuali
ai prodotti cui compete, non si fa il percorso inverso risalendo al consumo globale a partire da
quello specifico del prodotto A, B etc… Assume poi importanza fondamentale lo stabilire se i
componenti reddituali sono o meno di competenza: mentre nella Contabilità generale è un
problema che mi pongo a fine esercizio (calcolando gli ammortamenti, i consumi etc…), nel caso
dell’analitica ho necessità di sapere tempestivamente quanto mi sta, supponiamo, costando quel
dato prodotto…
Anche la Contabilità analitica può funzionare in P.D. ma non è essenziale. Un punto molto
importante è la modalità di collegamento che viene istituita fra Contabilità generale e analitica.
Esse possono essere
fortemente integrate, in un’ottica soltanto sostanziale o formale o sia sostanziale che formale.
Non si tratta di una banalità, perché molti hanno ritenuto un tempo che le due contabilità fossero
separate e che addirittura i redditi della generale potessero essere diversi da quelli dell’analitica.
Se vi è integrazione, i dati di partenza sono comuni (cosa molto utile con l’applicazione della
tecnologia informatica). Con un’integrazione di tipo formale l’analitica è fusa nella generale, i cui
conti vengono opportunamente riclassificati: ad esempio parte del costo del personale affluirà al
costo del prodotto A e parte a quello di B, con i passaggi intermedi più vari. Se però si opera in
questo modo, finisco col non conoscere più l’entità del costo per natura.
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Esistono anche sistemi unici “moderati”, come quello americano, nel quale non sono presenti tutti i
passaggi analitici, anche se alla fin fine si perviene alle medesime conclusioni.
Oppure si può dividere formalmente le due contabilità e redigerle entrambe in P.D. creando degli
adeguati sistemi di raccordo (c.d. sistema duplice).
Esiste poi un sistema duplice misto nel quale la generale è in P.D. e l’analitica in forma libera, ma
con tabelle collegate.
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LEZIONE 1
PIANO DEI CONTI
La prima cosa per poter tenere una contabilità è stabilire un Piano dei conti. Ogni conto riceve una
propria denominazione più un codice, che può essere numerico o alfanumerico. Sono utilizzabili
anche numerazioni molto rozze, come quella meramente progressiva (1,2,3… 9.703,…). Più
raffinate invece sono quelle che dividono fra classi sintetiche ed analitiche, individuando una
gerarchia di livelli fra i conti.
Avremo quindi un primo livello di
conti sintetici
A
un secondo di
conti di sviluppo intermedio
A1
un terzo di
conti di sviluppo finale o analitici
A1.1
Si pensi ad esempio ad un conto Clienti A, uno sviluppo in Clienti esteri A1 e nazionali A2, ed infine
conti analitici relativi ai singoli clienti Johnson A1.1, Rossi A2.1, Bianchi A2.2 etc…
Accenniamo ora alla numerazione decimale dei conti. Il massimo numero di conti sintetici può
essere 10 (da 0 a 9), ogni classe si divide in al massimo 10 sottoconti, per cui Conto 0, Conti
intermedi 00, 01, 02… 09, Conti analitici 000,001… 009; 010, 011,… 019; …; 090, 091,… 099, poi
Conto sintetico 1 e così avanti…
Come è facile capire si tratta di un sistema estremamente rigido che impone la creazione di
numerosi livelli, anche se offre il vantaggio di un’assoluta chiarezza, perché altrimenti per la
successione 0, 1, 1 in un altro sistema si dovrebbero porre dei punti per chiarire se si tratti del
conto di secondo livello 11 oppure 1, o del conto di terzo livello 1 sviluppo del conto 0.1.
La regola generale per il funzionamento dei conti è che senz’altro funzionano quelli analitici. I
conti di livello superiore vengono aggiornati costantemente o periodicamente, non di deve mai
chiudere i conti analitici in quelli intermedi e questi in quelli sintetici!! I dati non vengono stornati
ma riportati. I conti non si riepilogano mai al livello superiore, ma allo stesso livello.
Per poter elaborare un Piano dei conti efficace è bene considerare prima quali voci dovranno
comparire nel bilancio e in base alle informazioni che esso dovrà contenere si creeranno le classi
contabili opportune, per evitare un lavoro di riclassificazione. Il Piano dei conti pertanto
rappresenta uno strumento imprescindibile per la risoluzione dei problemi di classificazione,
rappresentazione e misurazione.
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LEZIONE 2
FATTORI PRODUTTIVI D’USO NON DUREVOLE:
ACQUISTO DI MATERIE E MERCI
Se dovessimo schematizzare le fasi dell’operazione d’acquisto avremmo
1) Programmazione dell’acquisto
2) Momento dell’ordinazione con stipula del contratto d’acquisto
3) Consegna e conseguente passaggio di proprietà
4) Pagamento
Il consumo poi potrebbe avvenire tanto prima che dopo la fase 4).
Il punto 1) non interessa la contabilità, invece il momento su cui è opportuno concentrare la nostra
attenzione è il 2). Infatti con la conclusione del contratto sorge un diritto alla consegna e un
obbligo al pagamento. Questa fase ha rilievo economico, infatti è soltanto a partire da ora che la
nostra impresa sarà soggetta non solo a determinati obblighi ma anche a determinati rischi. Per
esempio, se il fornitore è estero, vi può essere il rischio di cambio. In questo caso lo si potrebbe
prevenire stabilendo in anticipo il tasso di cambio.
Riflettendoci non sarà difficile accorgerci che la fase 2) ha significato dal punto di vista tanto
patrimoniale che economico e finanziario. Se per esempio analizzo la situazione finanziaria
dell’impresa, non posso non tener conto dei debiti che questa dovrà onorare una volta passata in
consegna la merce o la materia ordinata.
Si dia poi il seguente caso: in dicembre viene stipulato un contratto d’acquisto per 1000, il prezzo
del bene in questione nelle settimane immediatamente successive subisce un crollo. Chiaramente
mi trovo ad avere un debito superiore al valore di ciò che riceverò, infatti pagherò per 1000 quello
che all’epoca della consegna, nel gennaio dell’esercizio seguente, varrà, poniamo, presumibilmente
700. Non posso ovviamente procedere alla svalutazione di un’attività che non è ancora presente nel
mio patrimonio, ciò che nascerà invece sarà un fondo rischi avente natura di eccedenza di debiti su
crediti, con la scrittura
_______________________________
d
31/12/20X0
__________________________________
Accantonamento a fondo rischi per contratti ad esecuzione differita
a
Fondo rischi per contratti ad esecuzione differita
per 300.
Il Credito verso fornitori per merci da ricevere e il Debito verso fornitori per merci da ricevere sono
crediti e debiti correlativi, di pari ammontare e di non lunga durata, perciò abitualmente non li si
rappresenta. Ciò però non significa che non vi sia la possibilità di rappresentarli: di norma ciò
avviene ricorrendo ai c.d. conti d’ordine, posti in calce allo Stato patrimoniale, dando così
informazione degli impegni assunti, sempre che siano di una certa rilevanza.
Se invece volessimo proprio ricorrere alla partita doppia, avremmo
d
Materie da ricevere
a
o merci.
5
Fornitori per materie da ricevere
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Con la consegna si estinguono i debiti e crediti correlativi e si trasferisce giuridicamente la
proprietà. Ciò non significa che l’impresa abbia in magazzino i beni, infatti ricordiamo l’esistenza di
clausole come Franco magazzino compratore (la consegna si ritiene avvenuta quando le
merci/materie sono nel magazzino del fornitore), Franco porto d’arrivo/partenza etc…
Con la consegna però nasce anche il costo d’acquisto, almeno come costo di fattura. È al giungere
della fattura che solitamente si esegue la contabilizzazione del costo.
d
Diversi
d
Costo di fattura materie
d
(Erario c/) IVA su acquisti
a
Fornitori
a
Variazione materie
Se teniamo l’inventario permanente segneremo anche
d
Materie
Se però la consegna avviene prima della fine dell’esercizio e la fattura giunge appena nel nuovo
anno, non per questo il costo potrà essere escluso dal C/E nel esercizio in cui è passata la
proprietà, pertanto scriveremo
d
Costo di fattura materie
a
Fornitori per fatture da ricevere
Nell’esercizio successivo, ricevuta la fattura non faremo che segnare, con una scrittura permutativa
d
Diversi
a
d
Fornitori per fatture da ricevere
d
IVA su acquisti
Fornitori
Nel caso in cui non avessimo ancora ricevuto le materie dopo la consegna, al 31/12 avremmo
d
Materie in viaggio
a
Variazione nelle rimanenze di materie
e quando giungessero in magazzino non avremmo che da stornare il conto Materie in viaggio a
quello (Rimanenze) Materie.
Sappiamo che l’ingresso di materie o merci è valutato a valore di costo: il costo da considerare è
quello diretto d’acquisto, ossia comprensivo del costo di fattura e di tutti quei costi aggiuntivi,
accessori, attribuibili esclusivamente a quella data materia o merce, non si deve cioè far luogo a
ripartizione di costi comuni (es. trasporto di materia A e B, costo di trasporto opportunamente
ripartito fra il costo di A e quello di B). Il problema dei costi accessori comuni verrà risolto nella
contabilità analitica.
Una digressione ora sulla possibile strutturazione del Piano dei conti relativamente ai costi
d’acquisto.
X
CONSUMO MATERIE
X0
COSTO D’ACQUSITO MATERIE
X1
VARIAZIONI RIMANENZE MATERIE
X2
CONSUMI DI MATERIE (conto di riepilogo)
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X0 e X1 s’intende che vanno chiusi allo stesso livello e pertanto è stato creato X2 (infatti ricordiamo
che i conti di livello superiore vengono costantemente aggiornati compilando quelli di livello
inferiore).
A sua volta possiamo analizzare X0 come
X0
COSTO D’ACQUSITO MATERIE
X00
COSTO DI FATTURA
X01
COSTI ACCESSORI D’ACQUISTO
X001
DAZI E DOGANE
X002
COSTI DI TRASPORTO
X003
COSTI DIVERSI
X02
SCONTI E ABBUONI
X03
RESE
X04
RETTIFICHE VARIE
Possibili altri conti fino ad es. al numero 08
X09 COSTO D’ACQUISTO MATERIE (conto di riepilogo)
Se scendo fino ad un dato livello nel Costo d’acquisto devo scendere corrispondentemente nel
conto Variazioni, con l’accorgimento che ai vari livelli il conto avrà sempre la medesima
denominazione (cambierà solo il codice)! Es.: X1 Variazioni di materie, X10 Variazioni di materie
etc…
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LEZIONE 3
INVENTARIO INTERMITTENTE E PERMANENTE
DI MERCI E MATERIE
METODI DI STIMA DEI FLUSSI: FIFO, LIFO, CMP
INVENTARIO INTERMITTENTE
Esistono due possibilità per la tenuta dei conti, economici e elementari, relativi a materie e merci. Il
primo consiste nel far rientrare nella contabilità soltanto i valori di rimanenza iniziale e finale
dell’attività (desunta da un inventario di fatto) e, in base alla loro differenza, accreditare o
addebitare il conto economico di variazioni.
Pertanto con una rimanenza finale maggiore di quella iniziale sarà
d
Materie
a
Variazioni nelle materie
a
Materie
o, nel caso opposto,
d
Variazioni nelle materie
Esistono però dei casi in cui bisogna movimentare il conto Materie (o Merci) anche nel corso
dell’esercizio, è il caso ad esempio degli apporti, dei cali, ammanchi e disperdimenti, della
vendita delle materie (ovviamente non delle merci, che è ordinaria gestione!) e delle rese. In tal
caso si dovrà opportunamente valutare il valore delle rimanenza iniziale (ad esempio rese di
materie significa che la rimanenza iniziale è stata implementata, che abbiamo più materie
disponibili per il processo produttivo, e dunque la variazione non sarà più RF – RI ma bensì RF –
(RI + Rese) e similmente si ragiona negli altri casi elencati…).
Nel sistema di contabilità italiano è usuale trovare altri due tipi di tenuta dell’inventario
intermittente, il primo accettabile, il secondo sconsigliabile perché inutilmente complicato.
A. Metodo italiano accettabile
La rimanenza iniziale può essere girata “subito” (il che potrebbe voler dire nella pratica consueta
lavorativa anche un mese dopo l’apertura dei conti…) al conto Variazioni e al 31/12 si farà lo stesso
con la rimanenza finale.
Esempio:
_______________________________
d
Variazioni nelle materie
_______________________________
d
01/01/20X0
______________________________
a
31/12/20X0
Materie
Materie
______________________________
a
Variazioni nelle materie
B. Metodo italiano sconsigliabile
Avremmo scritture analoghe anche se utilizzassimo, come spesso si fa, un conto Materie
c/rimanenze iniziali e uno Materie c/rimanenze finali.
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_______________________________
01/01/20X0
______________________________
d
Materie c/RI
a
Bilancio d’apertura
d
Variazioni nelle materie
a
Materie c/RI
_______________________________
d
31/12/20X0
Materie c/RF
______________________________
a
Variazioni nelle materie
Il conto Materie c/RI si chiude così immediatamente, mentre quello delle rimanenze finali riceve il
valore desunto dall’inventario di fatto in contropartita al conto di variazioni e successivamente si
chiude al Bilancio di chiusura.
Si osservi che mentre la scuola patrimonialista pone nel conto Variazioni costi e ricavi, questi altri
due sistemi vi fanno confluire nient’altro che saldi di conti elementari.
INVENTARIO PERMANENTE
Il ricorso alla pratica dell’inventario permanente è sempre più diffuso nella realtà aziendale.
Naturalmente permanente sarà l’inventario adoperato nella contabilità analitica.
Esistono anche in questo caso diverse modalità di tenuta: quella che finora avete usato prevedeva
la movimentazione del conto Materie in contropartita a quello Variazioni per ogni movimento di
fatto dei beni in questione. È possibile però realizzare un inventario permanente anche di tipo
americano.
Permanente: sistema americano
È in tutto simile all’inventario permanente che si tiene nel caso delle immobilizzazioni, si
neutralizzano infatti simultaneamente ricavi e costi e si lasciano sussistere i soli aspetti elementari,
cosicché in apparenza si eseguono scritture permutative.
Ad ogni acquisto sarà
d
Materie
a
Fornitori
a
Materie
a
Merci
ad ogni passaggio in lavorazione invece
d
Consumo
o se si tratta di merci
d
Costo del venduto
Intermittente: sistema americano
A questo punto approfittiamo anche per far vedere come tengono nella contabilità anglosassone
l’inventario intermittente (in riferimento alle imprese mercantili).
Ad ogni acquisto
d
Costo d’acquisto
a
9
Fornitori
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Alla chiusura dei conti si girerà la rimanenza iniziale di merci al Costo del venduto, a cui affluirà
anche la rimanenza finale (cosicché si determini la variazione netta nelle rimanenze) e il saldo del
Costo d’acquisto (si noti l’analogia con la struttura del conto Consumo).
d
Costo del venduto
a
Costo d’acquisto
d
Costo del venduto
a
Merci (RI)
d
Merci (RF)
a
Costo del venduto
Il conto di Costo del venduto nasce solo a fine esercizio ed ha natura di conto di riepilogo.
Spesso, come è facile intuire, si ricorre ad un conto Merci RI e ad uno RF.
Ad ogni vendita basterà rilevare l’insorgere del credito commerciale e del relativo ricavo.
METODI DI STIMA DEI FLUSSI
Se fosse possibile, sarebbe bene assegnare il costo di ogni partita in uscita (o rientro) in base al
suo specifico valore di acquisto, ma ciò non sempre è attuabile. Esistono allora diverse modalità
che permettono di stimare i flussi di attività, ognuna delle quali basata su delle assunzioni
arbitrarie, più o meno verosimili o adatte alla tipologia d’impresa che ne fa uso.
Il metodo FIFO prevede che le prime partite acquistate siano le prime ad uscire, quello LIFO che le
ultime acquistate siano le prime ad uscire, quello HIFO, ad esempio, che escano prima le partite
acquistate a prezzo più caro, il Costo Medio Ponderato, poi, prevede appunto la determinazione di
un unico prezzo ottenuto con la media ponderata dei prezzi delle varie partite.
Se pensiamo ad un’impresa petrolifera, che svolge attività di stoccaggio di idrocarburi, il metodo
più adatto di valutazione potrebbe essere il CMP poiché non si possono distinguere le varie partite
di petrolio, ad esempio, raccolte in una stessa cisterna; trattando di un’azienda che commercia in
legname, se non si tengono in origine separate le diverse partite, ma le si accumula in cataste, da
una catasta si toglieranno prima le ultime assi accatastate, non le prime, quindi potremmo seguire
il metodo LIFO etc…
Si faccia attenzione che, eccetto il FIFO, gli altri criteri conducono solitamente a valori di stima
diversi a seconda che si ricorra all’inventario permanente o intermittente!
CMP
Il costo delle rimanenze, nel caso dell’inventario permanente, è aggiornato di volta in volta
ponderando i costi d’acquisto con le quantità, ossia facendo la media ponderata, con pesi le
quantità, dei costi d’acquisito. Con l’intermittente la rimanenza finale sarà valutata trovando il CMP
degli acquisti nell’esercizio includendo nella media anche il valore dalla rimanenze iniziale.
FIFO
Le rimanenze sono formate dagli strati di più recente acquisto. Ciò non significa che siano valutate
a prezzo corrente! Nel caso di inventario intermittente la RF è valutata al prezzo dell’ultimo
acquisto e per l’eccedenza della RF sulla quantità dell’ultimo acquisto, al prezzo dell’acquisto
immediatamente precedente e così via…
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L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LIFO
È stato un metodo molto in auge in quanto previsto anche dalla normativa fiscale, i Principi
Contabili Internazionali, però non lo menzionano.
È un metodo che, in periodo di prezzi crescenti, rischia di sottostimare, in casi estremi anche
considerevolmente,
la
consistenza
delle
rimanenze,
specie
se
adottato
congiuntamente
all’inventario intermittente. Si supponga infatti di non avere mai RF = 0, allora i valori di
rimanenze finali potrebbero riflettere prezzi d’acquisto di cinque, diec’anni prima… tant’è che nella
letteratura anglosassone si suol parlare di “riserva LIFO”, ossia di indizio di una riserva potenziale.
LIFO FISCALE
Detto anche “a scatti annuali”. Si compongono i criteri di stima LIFO e CMP.
Si dia
Quantità
RI
1.000
RF
1.300
Prezzo
10
1.000 x 10
300 x CMP esercizio in chiusura
ossia si presume la rimanenza formata dai valori più remoti e l’eccedenza dei RF su RI viene
valutata con il CMP dell’esercizio nel quale si è accumulata.
L’anno successivo potrebbe essere:
Quantità
RI
1.300
Prezzo
1.000 x 10
300 x CMP esercizio precedente
RF
1.100
1.000 x 10
100 x CMP esercizio precedente
se invece
RF
1.500
1.000 x 10
300 x CMP esercizio precedente
200 x CMP esercizio in chiusura
Diamo adesso un esempio ancora più chiaro, immaginando una catasta di legno con le partite
acquistate in due esercizi:
6
5
4
3
2
1
1 e 2 sono gli strati che compongono la rimanenza del primo esercizio. Sono valutate a CMP,
ossia: RF ex 01 = (Q1 + Q2) x CMP ex 01 = (Q1 + Q2) x [(Q1 P1 + Q2 P2)/( Q1 + Q2)].
3, 4, 5 compongono invece la rimanenza finale dell’esercizio successivo. Allora CMP ex 02 = (Q3 P3
+ Q4 P4 + Q5 P5 + Q6 P6)/(Q3 + Q4 + Q5 + Q6) e RF = RF ex 01 + (Q3 + Q4 + Q5) x CMP ex 02.
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L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 4
SVALUTAZIONE MATERIE E MERCI
RESE, SCONTI E ABBUONI
CALI, AMMANCHI E DISPERDIMENTI
VENDITA MATERIE
Le materie e le merci a fine esercizio devono sempre essere valutate al minore fra il costo
d’acquisto e il costo di riacquisto corrente. Ciò è dovuto ad un criterio di prudenza molto restrittivo:
gli utili che possono figurare sono solamente quelli realizzati, mentre le perdite devono essere
iscritte anche se non realizzate. Se dunque le materie o le merci al 31/12 risultassero di minor
valore – in base ai prezzi di mercato – di quanto non fossero all’epoca del loro acquisto, si dovrà
svalutarle.
Esistono svalutazioni ordinarie e straordinarie.
SVALUTAZIONI ORDINARIE
dovute alle oscillazioni di prezzo
SVALUTAZIONI STRAORDINARIE
dovute
ad
altri
fenomeni
(obsolescenza,
deterioramento…)
Nel caso di svalutazioni ordinarie basterà addebitare il conto Variazioni materie in contropartita al
Fondo svalutazione, che rettifica il valore delle rimanenze nella serie elementare.
d
Variazioni nelle materie
a
Fondo svalutazione materie
Se invece la svalutazione è straordinaria, indicheremo appositamente il costo con
d
Svalutazione materie
a
Fondo svalutazione materie
Le scritture nel caso di riduzione della svalutazione sono opposte e simmetriche…
L’unico accorgimento è come usare il fondo nel passaggio in lavorazione a seconda che si adotti
l’inventario permanente LIFO o FIFO etc…
RESE, SCONTI E ABBUONI
Si tratta di rettifiche di costi d’acquisto. Se è ancora in vita il debito verso fornitori, questo si
ridurrà, altrimenti vanteremo un credito in denaro nei loro confronti. Per questo genere di
operazioni è prevista la documentazione specifica (c. d. “nota di accredito”), analoga alla fattura e
come tale soggetta a IVA.
Si noti però che gli sconti per cassa (sconti concessi dal fornitore per pagamento pronta cassa) non
rettificano i costi d’acquisto.
Se queste rettifiche di costi avvenissero in esercizi successivi a quelli in cui i costi stessi si sono
manifestati, naturalmente non potremmo accreditare il Costo d’acquisto dell’esercizio in corso,
sarebbe scorretto – e paradossale, si pensi a rettifiche di tal fatta nel corso di un esercizio… in cui
non si è acquistato alcunché: i costi d’acquisto avrebbero saldo avere! – si tratta semplicemente i
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L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
componenti straordinarie di reddito da far figurare in un conto apposito, Rettifiche di costi e ricavi
di esercizi precedenti, che volendo si può sviluppare in Sconti e abbuoni di esercizi precedenti etc…
Quanto all’IVA, vi sarà un IVA su rettifiche di acquisti di precedenti esercizi.
Nel caso delle rese, si osservi che a seconda della convenzione adottata (LIFO, FIFO etc…) potrebbe
avvenire, con l’inventario permanente, di dover accreditare le Rese per un valore x, pari alla
diminuzione del debito verso il fornitore e dunque omogeneo con il prezzo della partita specifica,
mentre le Variazioni nelle rimanenze in contropartita alle Rimanenze potrebbero venir addebitate
per un valore y ‡ x, quello determinato dal metodo convenzionale adottato per la stima di flussi.
Si ricordi che la scrittura seguente si adopera anche con l’inventario intermittente, quando le rese
sono relative ad acquisti di precedenti esercizi!
d
Fornitori
a
Materie
CALI, AMMANCHI E DISPERDIMENTI VARI
FENOMENO ORDINARIO
Analogo
al
consumo,
non
si
evidenzia
nell’inventario intermittente.
FENOMENO STRAORDINARIO
Va evidenziato autonomamente sia in inventario
permanente che intermittente.
Inventario permanente, disperdimento ordinario:
d
Variazioni materie
a
Materie
Inventario permanente e intermittente, disperdimento straordinario:
d
Ammanchi, cali e disperdimenti
a
Materie
VENDITA MATERIE
La materia rappresenta sia una materia che una
FENOMENO ORDINARIO/ABITUALE
merce (es. industria petrolifera che commercia
in idrocarburi o li impiega nella sua divisione
petrolchimica).
Si modifica la destinazione originaria del bene,
FENOMENO OCCASIONALE
è un componente di reddito straordinario anche
se
in
sé
potrebbe
essere
“consueto”
o
“normale” nella prassi gestionale (es. vendere
una materia meno valida per acquistarne di
migliore).
Nel primo caso non si distingue da un costo consumo.
d
Variazioni materie
a
13
Materie
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Nel secondo
d
Diversi
d
Clienti
d
Perdite di realizzo
a
Materie
Ovviamente si potrebbe dare anche il caso di Profitti di realizzo: ciò che importa notare è che si
devono evidenziare le eccedenze dei ricavi di vendita sui costi (variazione materie), dette anche
plus o minusvalenze realizzate. Si è omessa l’IVA solo per chiarezza didattica.
Molto spesso però nella pratica, essendo gli importi di tale vendite, sotto il profilo dei costi, poco
significativi, si preferisce inquinare il conto Consumo con la scrittura relativa all’altro caso. È
soltanto con le immobilizzazioni e con i titoli che si segue la strada “teorica”.
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L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 5
FATTORI PRODUTTIVI D’USO NON DUREVOLE:
I SERVIZI
I servizi che paga un’impresa possono essere i più vari, dalla somministrazione di energia elettrica,
ai compensi agli amministratori, alle consulenze, alle provvigioni ai rappresentanti… Solitamente i
servizi vengono contabilizzati nel momento in cui vengono prestati, addebitando un conto di costi di
servizi (che ha anche natura di costo consumo in quanto i servizi non possono essere
immagazzinati, ma si consumano nell’istante stesso in cui vengono prestati) e accreditando un
conto Fornitori.
PAGAMENTO ANTICIPATO
Si può però dare il caso di pagamento anticipato per servizi che vengono resi su un certo arco di
tempo, per esempio il servizio di assicurazione. Allora al momento del pagamento anticipato il
costo sarà esclusivamente un costo d’acquisto e solamente quando il servizio sarà stato reso
integralmente, cioè allo scadere del periodo a cui è commisurato il premio, potremmo ritenere tale
costo un costo consumo.
Si ipotizzi
Premio
1.000
Periodo di copertura
1/7 – 30/6
Allora per seguire il postulato di competenza dovremmo accreditare al costo di servizi, al momento
del pagamento addebitato per 1.000, i 500 che corrispondono al prezzo della parte di servizio già
pagata ma non ancora goduta. Contabilmente nascerà un Risconto attivo (credito di servizi) per
500. Si noti l’analogia con il funzionamento di un conto Consumo: nel conto Consumo infatti si
addebita il costo d’acquisto e si accredita la variazione aumentativa di rimanenze, che in questo
caso sarebbe rappresentata dalla variazione aumentativa di crediti di servizi.
Proiettiamoci ora già nel secondo esercizio, al momento del pagamento del secondo premio.
Naturalmente segneremo il costo d’acquisto e dovremo ricordarci di accreditare il conto di Risconti
attivi in contropartita alla quota di costo del servizio per il periodo 1/1 – 30/6.
Le scritture saranno:
_______________________________
30/06/20X1
_________________________________
d
Premi di assicurazione
a
Banca
d
Premio di assicurazione
a
Risconti attivi
_______________________________
d
31/12/20X1
Risconti attivi
1.000
1.000
500
500
_________________________________
a
Premi di assicurazione
500
500
Si potrebbe però pensare di non fare alcuna scrittura relativa ai risconti il 30/6: infatti alla fine di
ogni esercizio il conto Risconti attivi presenta sempre come saldo 500. Pertanto… potremmo
limitarci a fare l’inventario intermittente dei servizi! Non avremmo che da confrontare rimanenze
iniziali di crediti di servizi (Risconti attivi al 1/1) e le rimanenze finali (Risconti attivi al 31/12). Se,
15
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
come in questo caso, non sono intervenute variazioni, non dovremo movimentare il conto Risconti
e il saldo di 1.000 che presenta il conto Costo d’acquisto servizi è corretto: 500 per la prima metà
dell’anno più 500 per la seconda.
Si può anche immaginare di stornare subito il risconto al costo d’acquisto all’apertura di ogni
esercizio, ma a fine anno si dovrà comunque rappresentare il risconto, ossia
_______________________________
d
Premio di assicurazione
_______________________________
d
01/01/20X1
_________________________________
a
31/12/20X1
Risconti attivi
Risconti attivi
500
500
_________________________________
a
Premi di assicurazione
500
500
La tenuta dell’inventario intermittente si fa più interessante nel caso di aumento del costo del
servizio, ad esempio + 50% del premio di assicurazione.
Avremo allora
RF
750
RI
500
_________
∆+
250
Infatti il risconto corrispondente al servizio che ci verrà reso nel prossimo esercizio dev’essere
valutato al (nuovo) costo d’acquisto di tale servizio, ossia 1.500/2 = 750. Con l’inventario
permanente avremmo estinto il precedente risconto di 500 e addebitato successivamente il nuovo
risconto da 750, con quello intermittente invece a noi interessa semplicemente che il saldo del
conto Risconti attivi sia pari a 750: se 500 li avevamo già, basterà aggiungere i restanti 250.
_______________________________
d
31/12/20X1
Risconti attivi
_________________________________
a
Premi di assicurazione
250
250
PAGAMENTO POSTICIPATO
Si tratta di un’eventualità più rara. Il costo sorge nel momento in cui si è usufruito del servizio e se
questo non è stato ancora pagato, dovremo accreditare un conto di Ratei passivi. Immaginiamo un
costo di locazione sempre di 1.000 e con la medesima scadenza semestrale.
_______________________________
d
Fitti passivi
31/12/20X0
a
_________________________________
Ratei passivi
500
500
Al pagamento avremo
_______________________________
30/06/20X1
a
_________________________________
d
Diversi
Banca
1.000
d
Ratei passivi
500
d
Fitti passivi
500
Si noti che trattandosi di debiti in moneta sarebbe obbligatoria la tenuta dell’inventario
permanente, ma qui abbiamo a che fare con un caso particolare che ci consente di derogare a tale
16
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
obbligo e pertanto, se le condizioni contrattuali rimangono invariate, potremmo anche pensare di
portarci dietro sempre il nostro conto Ratei passivi accreditato per 500 senza movimentare se non i
conti Banca e Fitti passivi.
Si faccia anche attenzione che condizione necessaria e sufficiente per il sorgere di Risconti attivi
non è il pagamento anticipato, bensì solamente l’anticipata rappresentazione del costo! Quindi
basterebbe una scrittura del tipo
d
Fitti passivi
a
Debiti
17
1.000 1.000
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 6
COSTI DEL PERSONALE
Nel costo del personale esistono tre componenti fondamentali: quella dei salari e stipendi
corrisposti alla manodopera per il servizio prestato, il TFR (ma sappiamo che è voce destinata
all’estinzione), l’acquisto di servizi a favore del personale come assicurazioni, assistenza sociale…
Vi sono poi due fasi nella contabilità mensile relativa a questo costo: la liquidazione
(determinazione del debito) e il pagamento a fine mese.
Non riportiamo numeri, ma tipicamente la rappresentazione della prima fase si presenterà così:
d
d
Salari e stipendi
Oneri sociali opp. Assicurazioni e assistenza sociale
a
Diversi
a
Debiti v/dipendenti
a
Debiti v/enti di previdenza sociale
a
Erario conto ritenute (debiti v/erario)
a
Debiti v/enti di previdenza sociale
Rateo per ferie non godute
Vi è poi il problema del rateo per ferie maturate e non godute. Supponiamo che in un primo
esercizio alcuni dei nostri dipendenti non abbiano usufruito delle ferie a cui avrebbero avuto diritto
e le ottengano invece nell’esercizio successivo, avremo dapprima un ulteriore debito nei loro
confronti e in seguito l’estinzione dello stesso.
d
Retribuzioni al personale (è un costo)
a Debiti v/dipendenti (o v/personale)
TFR
Per l’accantonamento al TFR le scritture sono banali:
d
Accantonamento TFR
a Fondo TFR
Quando poi dovesse cessare il rapporto di lavoro, o venir corrisposto un anticipo sul TFR:
d
Fondo TFR
a Banca
Il TFR non va confuso col Fondo quiescenza, per il quale peraltro, mutati i nomi, valgono le medesime
scritture.
Forme di pagamento alternative
Che accade poi se i lavoratori vengono remunerati in modi alternativi, ossia tramite
-
partecipazione agli utili
-
cessione di beni
-
erogazione di servizi (fringe benefits)?
Nel primo caso il debito si estinguerà in contropartita a una distribuzione di utile.
d
Utile d’esercizio
a Debiti v/dipendenti (o v/personale)
Nel secondo, nel caso di inventario permanente
18
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
d
Costo del personale
a Rimanenze prodotti
d
Variazione prodotti
a (Ricavi di) prodotti distribuiti
(Si noti che la destinazione dei prodotti è cambiata rispetto a quella originaria, cioè la vendita.) Oppure
d
Costo del personale
d
Variazione prodotti
a (Ricavi di) prodotti distribuiti
a Rimanenze prodotti
Con l’intermittente invece
d
Costo del personale
a (Ricavi di) prodotti distribuiti
Se poi vengono forniti servizi questa scrittura si modifica solo nel nome del conto in avere, che diviene più
corretto denominare Prodotti e servizi distribuiti al personale, voce che non risulta nel C/E civilistico, ma
ricordiamo che esiste la facoltà di aggiungere tutte le voci necessarie.
Nel caso di pagamento in natura, però, molto spesso si interpreta il fenomeno come una vera e propria
vendita fatta al dipendente, per cui
d
Costo del personale
a Ricavi di vendita prodotti/servizi
(es. Fitti attivi)
ricordando però che per la vendita dei prodotti va anche computata l’IVA (e graverà
economicamente a carico del datore di lavoro o del sottoposto?).
Oneri sociali
Li abbiamo già incontrati preliminarmente. Ora non ci rimane da dire che se lo stato “fiscalizza” tali
oneri, ossia li paga in prima persona, non c’è più l’obbligo del relativo versamento in capo
all’impresa, quindi banalmente i Debiti v/enti previdenziali si annulleranno (per la parte
consentita) in contropartita agli Oneri sociali.
Se venissero corrisposti gli assegni familiari, poi, in contropartita ad un Debito v/dipendenti
sorgerà un Credito v/enti previdenziali per l’anticipazione data dall’impresa.
Gli anticipi sulle retribuzioni funzionano come qualunque altro anticipo.
19
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 7
FATTORI PRODUTTIVI D’USO DUREVOLE:
ACQUISTO
APPORTO
COSTRUZIONE IN ECONOMIA
Nel presente capitolo le scritture contabili sono valide sia che si tratti di immobilizzazioni materiali
che immateriali.
ACQUISTO
Per tutti i capitali fissi si adotta l’inventario permanente. Essendo però relativamente rari gli
ingressi e le uscite di questo particolare genere di attività, non si rappresenta il relativo conto di
Variazioni nelle rimanenze e di Costo d’acquisto o Ricavi di vendita (per la cessione vedasi Lezione
10). Perciò si usa neutralizzare i costi e i ricavi ricorrendo a scritture solo apparentemente
permutative.
Per rappresentare l’acquisto di Impianti, ad esempio, evidenzieremo soltanto il sorgere del debito
(che dal punto di vista economico significa il sostenimento di un costo d’acquisto di fattori
produttivi) e in contropartita all’entrata nel patrimonio aziendale del bene (dunque un ricavo
introito).
d
Impianti
a
Fornitori
Ricordiamo che nella determinazione del costo d’acquisto possono rientrare costi accessori quali
quelli di trasporto, installazione, collaudo, non necessariamente forniti dal medesimo soggetto
economico; pertanto il valore dell’attività corrisponde alla somma di tutti i costi direttamente
imputabili, come nel caso dei fattori produttivi di uso non durevole, e verranno, all’occorrenza,
accreditati più conti di fornitori.
APPORTO
Potrebbe darsi il caso di apporto di fattori produttivi di uso durevole, in tal caso la scrittura è
banale, basterà segnalare l’incremento di attività e accreditare un opportuno conto di capitale
sociale.
d
Impianti
a
Capitale sociale/Capitale d’apporto
Non ci soffermiamo sul problema della valutazione del bene.
COSTRUZIONE IN ECONOMIA
Nel caso di produzioni in economia, realizzate cioè con mezzi propri, la valutazione dell’attività
prodotta dev’essere effettuata al costo industriale pieno, al quale è possibile – non obbligatorio –
sommare gli oneri finanziari diretti per il periodo relativo alla costruzione, ossia fintanto che il bene
non sia disponibile all’uso (il che non significa necessariamente che venga di già posto in uso).
I finanziamenti diretti naturalmente sono quelli a cui è dovuta ricorrere l’impresa per effettuare gli
investimenti necessari alla costruzione in economia.
20
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
La scrittura ugualmente sarà
d
Impianti
a
(Ricavi per) produzione di uso interno
Il codice civile denomina altrimenti il conto da accreditare, ossia Incrementi di immobilizzazioni per
lavori interni, che ha un’accezione più ampia rispetto al conto usato sopra.
Aggiungiamo poi che il costo di produzione può anche comprendere costi di progettazione esterna.
Nel caso in cui i lavori si prolungassero per più esercizi, non sarebbe corretto addebitare il conto
Impianti (nel nostro esempio), bensì dovremo ricorrere al conto Immobilizzazioni in corso di
costruzione, o un suo sottoconto più analitico: infatti l’impianto non ancora terminato non può
essere soggetto ad ammortamento!
d
Impianti in corso di costruzione
21
a
Produzione di uso interno
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 8
IMMOBILIZZAZIONI:
CONTRIBUTI IN CONTO CAPITALE
DONAZIONI E LASCITI
AMMORTAMENTO
Per quanto riguarda l’acquisto di immobilizzazioni si può porre un ulteriore problema, quello dei
cosiddetti Contributi in conto capitale.
Sarà bene al proposito distinguere fra Contributi in conto esercizio e Contributi in conto capitale:
Incidono direttamente sul C/E configurandosi
CONTRIBUTI IN CONTO ESERCIZIO
come
incremento
di
Ricavi
insufficienti
o
decremento di Costi.
Finanziamenti erogati da Enti pubblici (Stato,
CONTRIBUTI IN CONTO CAPITALE
Regione, Comune…) in vista di uno specifico
investimento. Non incidono direttamente sul
C/E.
Le finalità di quest’ultimo genere di contributi può essere ad esempio l’industrializzazione di un’area
depressa concedendo incentivi a quelle imprese che intendessero sviluppare ivi la propria attività.
Tali contributi fanno sorgere dei problemi interpretativi, la cui risoluzione necessariamente inciderà
sulla loro rappresentazione contabile e, questo è il punto saliente, sulla determinazione del
Risultato economico.
Si possono infatti segnalare due orientamenti distinti, il primo ispirato a quello che nella
manualistica viene correntemente indicato come sistema patrimoniale, l’altro al cosiddetto sistema
del reddito1.
Si ipotizzi un acquisto di
Impianto
Contributo
1.000
600
1. SISTEMA PATRIMONIALE
Si considera il contributo alla stregua di capitale d’apporto, infatti non esiste vincolo di
restituzione.
Pertanto si accrediterà, in contropartita ad un conto elementare, tipicamente Banca, un conto di
capitale netto, che rappresenta uno dei famosi fondi particolari di capitale netto e che potremmo
genericamente denominare Fondo contributi, doni e lasciti oppure, più analiticamente, riportando
gli estremi della legge in ottemperanza alla quale il contributo è stato erogato.
d
Banca
a
Fondo contributi, doni e lasciti
600
600
(opp. Fondo ex leg. reg. 15-4-20X0, n. 267)
1
Si tratta di definizioni infelici ma che è bene conoscere per non trovarsi spaesati nella consultazione di testi di
vario orientamento.
22
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
A cui farà seguito l’indicazione dell’entrata del bene (in questo caso Impianti) secondo la solita
scrittura
d
Impianti
a
Fornitori
1.000
1.000
In tal modo vengono tenuti distinti finanziamento e investimento.
Le quote di ammortamento verranno naturalmente calcolate prendendo come valore iniziale del
cespite 1000 (pari al costo d’acquisto); nel caso di ammortamento a quote costanti, ipotizzando un
valore residuo nullo e una vita utile di 10 anni avremo
Quota di ammortamento annuale
1.000/10 anni = 100
Di anno in anno ci si deve poi ricordare di diminuire il Fondo accreditando in contropartita un conto
Contributi che confluirà nel C/E oppure accreditando direttamente quest’ultimo.
2. SISTEMA REDDITUALE
Il contributo è inteso come Ricavo pluriennale che figurerà nei C/E degli esercizi corrispondenti
alla vita utile del cespite.
Esistono due possibilità di contabilizzazione, di cui accettabile a nostro avviso soltanto la prima,
accolta del resto dai Principi Contabili Nazionali.
a) Si rappresenta il contributo
d
Banca
a
d
Impianti
a
Contributi in c/capitale
(conto di ricavi)
Fornitori
600
600
1.000
1.000
A fine esercizio si dovrà “riscontare” il contributo, tenendo presente che la quota del ricavo
pluriennale di competenza dell’esercizio è 600/10 anni.
Pertanto
Quota di ammortamento
Quota contributo
1000/10 anni = 100
COSTO
600/10 anni = 60
RICAVO
La scrittura al termine del primo esercizio sarà
______________________________
d
31/12/20X0
Contributi in c/capitale
__________________________________
a
Risconti passivi
540
540
In tutti i successivi esercizi
______________________________
d
31/12/20X0
Risconti passivi
__________________________________
a
in quanto il Risconto diminuisce progressivamente.
23
Contributi in c/capitale
60
60
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
I mastrini saranno
•
Primo anno
CONTRIBUTI IN C/CAPITALE
540
600
S 60
Il saldo verrà girato al C/E.
•
Anni successivi
CONTRIBUTI IN C/CAPITALE
60
S 60
Il saldo finisce sempre in C/E, che sarà, ogni anno,
C/E
quota
quota
ammortamento
contributo
100
60
b) La seconda modalità, decisamente sconsigliabile, prevede di neutralizzare direttamente il costo
del capitale fisso e il ricavo del contributo.
d
Impianti
a
Fornitori
1.000
1.000
d
Banca
a
Impianti
600
600
Il contributo sembrerebbe un minor costo d’acquisto.
L’ammortamento però diviene allora
valore netto degli impianti (1.000 – 600) / 10 anni = 40
L’effetto sul Risultato economico sarà lo stesso che in a) ma viene compromessa la trasparenza del
bilancio.
IMPIANTI
1.000
600
S 400
C/E
quota
ammortamento
40
Si consiglia vivamente la rappresentazione 1, anche tenendo conto del fatto che in Italia ci si sta
indirizzando, sulla scorta dei Principi Contabili Internazionali, verso l’eliminazione dei Risconti.
24
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
DONAZIONI
Problema analogo a quello appena trattato è l’acquisto in proprietà di un bene a seguito di
donazione o lascito.
d
Impianti
a
Fondo contributi, donazioni e lasciti
1.000
1.000
Si omette naturalmente il problema della stima del valore del bene.
L’ammortamento si calcola ovviamente sul valore 1.000. Non esiste alcun rapporto col C/E per la
donazione in se stessa. Eventualmente il Fondo potrà essere successivamente opportunamente
usato.
AMMORTAMENTO
Quanto alle quote di ammortamento, parte della dottrina è solita parlare, con denominazione
impropria, di Ammortamenti in conto e Ammortamenti fuori conto, intendendo con la prima
espressione che la rettifica di valore del cespite corrispondente alla quota di ammortamento – cioè
al costo consumo del bene sostenuto nell’esercizio – avvenga accreditando direttamente il conto
elementare opportuno, mentre la seconda dizione dovrebbe riferirsi alla pratica consistente nella
creazione del Fondo ammortamento a rettifica del correlato conto di attività.
Di seguito i mastrini corrispondenti alle due ipotesi.
IMPIANTI
1.000
quota
ammortamento
100
S 900
Dove evidentemente 1.000 rappresenta il valore d’acquisto, o il valore del bene a inizio esercizio
qualora esso fosse già presente nel patrimonio aziendale.
IMPIANTI
1.000
S 1.000
1.000 è il costo d’acquisto e resta invariato nel corso degli esercizi.
Vi sarà poi
F.DO AMMORTAMENTO
quota
ammortamento
100
S 100
Se il bene non è stato acquisito nell’esercizio, in avere troveremo anche il saldo del Fondo come da
esercizio precedente.
Spesso l’ammortamento in conto è usato per le immobilizzazioni immateriali, ma risulta
incongruente utilizzare entrambi i metodi, soltanto uno per le materiali e l’altro per le immateriali.
Si consiglia dunque vivamente di ricorrere sempre al Fondo.
25
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 9
IMPRESE OPERANTI
IN REGIME DI CONCESSIONE
Le imprese operanti in regime di concessione sono quelle imprese che esercitano la propria attività
a seguito di specifica autorizzazione (concessione) da parte dell’autorità. Si pone la fattispecie di
imprese che acquistano o realizzano in proprio fattori produttivi di uso durevole in base alla
concessione, col vincolo, al termine di questa, di doverli cedere – tipicamente – allo Stato
gratuitamente e in buono stato di manutenzione. Esempio classico di impresa che si ritrova in
questa condizione è un’impresa che costruisce e gestisce autostrade.
Chiaramente il costo d’uso del bene in questione è composto in parte dall’ammortamento del bene
stesso e in parte dal valore di detto bene, in quanto allo scadere della concessione esso
abbandonerà il patrimonio aziendale. Ci si può chiedere al riguardo se quest’ultimo costo sia di
competenza dell’esercizio in cui l’impresa perde la proprietà del bene; com’è facile immaginare, no:
tale costo va imputato proporzionalmente al conto economico di ogni esercizio del periodo al quale
è commisurata la concessione.
Esistono però diversi orientamenti per quanto concerne l’interpretazione di tali quote di costo e la
loro rappresentazione contabile2. Di seguito si fornisce un caso (bene costituito da un impianto) e
la soluzione proposta dalle diverse correnti.
Valore originario (costo) dell’impianto
1.000
Durata tecnica del bene
10 anni
Periodo di concessione
Quota di ammortamento “tecnico”
(costo consumo del bene)
5 anni
1000/10 anni
Valore residuo dopo 5 anni
500
L’impresa sostiene oltre all’ammortamento tecnico un costo aggiuntivo per 500.
A)
C’è chi fa questo ragionamento: se il bene al termine della concessione non apparterrà più
all’impresa, per questa la sua vita utile non è di 10 ma di 5 anni, al quinto anno il suo
valore sarà uguale a zero, pertanto la corretta quota d’ammortamento da calcolare a fine
esercizio sarà 1.000/5 anni = 200.
d
Ammortamento impianti
a
Fondo ammortamento impianti
200
200
Di quest’avviso era il de Dominicis e, ad esempio, lo sono Erasmo Santesso e Ugo Sostero.
B)
Altri dicono: accanto all’ammortamento tecnico sorge un’altra quota di ammortamento
cosiddetto “finanziario”, con la scrittura
d
Ammortamento impianti
a
Fondo ammortamento impianti
2
100
100
A proposito si veda L. Cossar, “Una reinterpretazione del c.d. “ammortamento finanziario” dei beni
gratuitamente devolvibili.”, disponibile per gli studenti presso i tutori di Facoltà.
26
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
(ammortamento tecnico)
d
B1)
Ammortamento finanziario
a
Fondo ammortamento finanziario
100
100
Tale quota “finanziaria” la si può intendere come posta rettificativa del valore dell’attività,
ossia quale complemento del Fondo ammortamento,
oppure in alternativa
B2)
quale riserva di utili lordi, istituita sempre con la medesima scrittura, e in sede di
determinazione del risultato economico, non di destinazione di esso.
Verrebbe dunque ad assumere una natura analoga a quella del Fondo rinnovo impianti, non
sarebbe un vero e proprio costo ma non servirebbe che a deprimere l’utile e accantonare un fondo
di utili lordi, che si chiuderebbe al termine della concessione e che neutralizzerebbe il costo per la
cessione dell’impianto, al fine di preservare integro il capitale.
Sia la soluzione A) che la soluzione B1) prestano il fianco ad una serissima critica: non reggono
logicamente se la durata della concessione è maggiore o uguale alla vita utile del bene. Infatti se
ipotizziamo una concessione di 10 anni, l’ammortamento tecnico rimane 100 all’anno, ma al
decimo anno dovrà essere acquistato un nuovo impianto da cedere gratuitamente in luogo del
vecchio; supponiamo che il costo sia rimasto invariato, 1.000, ecco che questi nuovi 1000
andrebbero frazionati nei precedenti 10 anni per competenza, ritrovandoci così ad avere
ammortamenti complessivi per 200 e al sesto esercizio valore dell’immobilizzazione… negativo!
Decisamente migliore appare l’interpretazione B2), però bisogna tener presente che
una riserva di utili lordi raggiunge il suo scopo se e solo se il risultato economico è ≥ 0,
ossia vi siano utili da accantonare.
B2’)
Allora di potrebbe pensare ad un accantonamento in sede di destinazione del risultato
economico; nascerebbe una riserva, ma non risulterebbe l’obbligatorietà di tale risparmio:
gli amministratori potrebbero non tenerne conto nel fissare i prezzi di vendita e stabilire
così livelli di prezzo non remunerativi per l’impresa. Dunque questa soluzione è da scartare
sotto il profilo gestionale.
C1)
Finora ragionando così non ci si è resi conto che la concessione stessa rappresenta un
fattore d’uso durevole, un servizio, che l’impresa deve ottenere al fine di esercitare la
propria attività.
Costo della concessione = valore dell’impianto al momento della cessione
(costo stimato sulla base di valori futuri)
Se
x = valore residuo del bene
n = anni della concessione
allora
x/n = costo per uso annuo della concessione
valore identico a quello dell’ammortamento finanziario, ma che corrisponderà ad un Fondo oneri,
dunque la natura è di debito, nella classe Fondi per rischi ed oneri.
27
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Di fatto ciò che fa l’impresa è acquistare un servizio che pagherà solamente alla fine. Si tratta di un
debito in natura, di ammontare magari incerto ma certo quanto ad esistenza e scadenza. È un
fondo per oneri futuri (voce B3 del Passivo dello Stato patrimoniale, art. 2424, cod. civ.).
Nello Stato patrimoniale però non si rileva la disponibilità che l’impresa ha del bene in questione
per la durata della concessione. Per ovviare a questo inconveniente si può pensare di
C2)
ricorrere alla voce Concessioni, licenze e marchi (SP, B4 Attivo, art. cit.) fin dall’inizio del
periodo di concessione. Stimo, dunque, la concessione in base al suo costo d’acquisto,
quello che dovrò sostenere nel cedere il bene.
d
Concessioni, licenze e marchi
a
Debiti v/concedenti per beni reversibili
500
500
100
100
Di anno in anno tale immobilizzazione verrà ammortizzata.
d
Ammortamento concessioni
a
Fondo ammortamento concessioni
Alla fine della concessione avremo
d
Diversi
a
Impianti in concessione/reversibili
d
Fondo ammortamento impianti
500
d
Debiti v/concedenti…
500
d
Fondo ammortamento concessioni a
Concessioni, licenze e marchi
1000
500
500
Da un punto di vista normativo sia la C1) sia la C2) sono inappuntabili e non incorrono in nessuna
delle difficoltà precedentemente viste per le altre contabilizzazioni.
Preferibile ci appare la C2) in quanto più rispettosa del principio di redazione del bilancio secondo
il quale la sostanza prevale sulla forma, perché altrimenti non si evincerebbe dallo Stato
patrimoniale la presenza dello specifico fattore produttivo.
Riassumendo
La vita utile del bene è pari alla
AMMORTAMENTO UNICO
durata
della
quote
di
concessione
e
ammortamento
NO
le
per concessione
si
≥ vita utile
calcolano conseguentemente.
Accanto all’ammortamento tecnico
NO
AMMORTAMENTO FINANZIARIO
vi è l’ammortamento finanziario,
per concessione
come posta rettificativa
che è complementare all’ammor-
≥ vita utile
tamento tecnico.
AMMORTAMENTO FINANZIARIO
come riserva di utili lordi
L’ammortamento
finanziario
riserva di utili lordi.
Idem sopra solo come riserva.
RISERVA
è
NO
per RE ‹ 0
NO
per motivi gestionali
28
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Sorge un debito in natura per il
FONDO ONERI (FUTURI)
sevizio-fattore produttivo
Sì
“con-
cessione”.
Si tratta di un’immobilizzazione
CONCESSIONI
immateriale a cui corrisponde un
debito in natura.
29
MEGLIO
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 10
IMMOBILIZZAZIONI:
SVALUTAZIONE
CESSIONE, ROTTAMAZIONE
MANUTENZIONE
Il Fondo ammortamento rappresenta una perdita di valore del cespite a cui si riferisce ritenuta
certa, anche se d’incerto ammontare, infatti la consistenza del fondo è pur sempre soggetta ad
un’operazione di stima, con i margini di arbitrarietà e fallibilità che essa necessariamente comporta.
Nel caso in cui ci si accorga di aver compiuto una stima inesatta (es. vita utile inferiore a quella
inizialmente prevista), il valore iscritto nel fondo dovrà essere retroattivamente modificato,
comportando la rappresentazione di poste straordinarie di rettifica di risultati di precedenti esercizi.
Ben diverso è il caso di perdite di valore incerte anche quanto ad esistenza: qualora siano
fondatamente prevedibili è necessario istituire un fondo rischi, il Fondo svalutazione, con la
scrittura
d
Svalutazione di immobilizzazioni
a
Fondo svalutazione
(materiali o immateriali ma non finanziarie)
Una svalutazione, sempre che ricorrano le circostanze che consentono o obbligano a creare un
fondo rischi, può essere ad esempio giustificata da un crollo dei prezzi di quel dato bene sul
mercato. La svalutazione potrà poi essere in tutto o in parte eliminata nella misura in cui le
condizioni che ne hanno determinato la rappresentazione vengano, in tutto o in parte, meno.
Notiamo inoltre che esistono immobilizzazioni non ammortizzabili (tipicamente i terreni) soggette
però a svalutazione (un terreno che venga dichiarato non edificabile, ad esempio).
Quanto alle immobilizzazioni immateriali, segnaliamo due discordanti orientamenti riguardanti
l’avviamento.
IL CASO DELL’AVVIAMENTO
L’avviamento è definito come la maggior capacità di produrre reddito di un’impresa già operante
sul mercato rispetto ad un’impresa analoga ma appena costituita.
In questo paragrafo si farà riferimento unicamente all’avviamento acquistato con l’acquisizione del
complesso aziendale, non all’avviamento autoprodotto. La tabella seguente riassume i due
divergenti punti di vista.
Si tratta di un cespite ammortizzabile in quanto
ritenuto di durata limitata, il che non significa
che essa non possa commisurarsi anche al
NORMATIVA ITALIANA ATTUALE
lungo periodo. Il cod. civ. ex art. 2426 non
ammette però ammortamento se non nel limite
MAGGIOR PARTE DELLA DOTTRINA
di 5 anni, a meno che non lo si estenda ad un
periodo limitato nel tempo di durata superiore,
non maggiore del periodo di utilizzo di detta
attività e giustificando tale scelta nella nota
30
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
integrativa. (Per un’impresa che abbia pagato
molto
troppo
caro
l’avviamento
gravoso
potrebbe
“scaricarlo”
in
rivelarsi
un
lustro
soltanto.)
L’avviamento non è ammortizzabile, avendo
durata
PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI
teoricamente
indefinita.
È
però
svalutabile. Periodicamente dunque si dovrà
verificare
l’adeguatezza
della
valutazione
attribuita all’attività.
CESSIONE
È necessario innanzitutto procedere alla determinazione del valore contabile del capitale ceduto. La
scrittura – ipotizzando la cessione di impianti - sarà
d
Diversi
d
Fondo ammortamento impianti
d
Fondo svalutazione impianti
a
Impianti
Ovviamente non è detto debba esistere un Fondo svalutazione.
A questo punto si rappresenta l’uscita del bene dal patrimonio aziendale con la tipica scrittura, che
neutralizza costi (variazione diminutiva immobilizzazioni) e ricavi (ricavi per immobilizzazioni
cedute) e l’eventuale differenza fra questi verrà iscritta come utile o perdita di realizzo, altrimenti
detta plus o minusvalenza realizzata.
d
Banca
a
Diversi
a
Impianti
a
Profitti di realizzo
Nel caso di Perdita, sparirà il conto Profitto e verrà addebitato un conto di Perdita di realizzo.
Nel caso in cui il cespite venga semplicemente eliminato, rottamato, il valore residuo del bene
rappresenterà un perdita per l’impresa in quanto non le verrà riconosciuto in contraccambio alcuna
remunerazione.
d
Perdita di realizzo
a
Impianti
Ci si può chiedere se si tratti di utili o perdite di natura ordinaria o straordinaria. L’evento in sé può
essere perfettamente normale, non avere cioè natura eccezionale, ma, modificandosi la
destinazione tipica del bene, da fattore produttivo a merce, sarà opportuno considerare tali
componenti di reddito straordinarie.
Si noti però che è prassi comune rappresentarle al contrario in C/E quali poste di natura ordinaria,
a meno che la perdita di realizzo non sia considerevole.
Se il bene viene ceduto per rinnovo o sostituzione, con la possibilità di consegnare al fornitore
l’usato e ritirare il nuovo, avremo – ipotizzando qui una perdita
31
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
d
Diversi
a
Impianti (valore del vecchio impianto)
d
Impianti (valore del nuovo impianto)
d
Perdita di realizzo
MANUTENZIONI
Bisogna distinguere due casi, le manutenzioni con cadenza annuale e quelle cosiddette
“straordinarie” non in quanto eccezionali, ma semplicemente programmate ogni tot anni, cioè
manutenzioni pluriennali.
Nel caso di manutenzioni annuali effettuate da terzi avremo naturalmente un costo di servizi di
manutenzione e riparazione; se invece vengono effettuate in economia, servendosi dunque del
proprio personale e dei propri mezzi, il costo dell’intervento risulterà “inglobato” in quello del
lavoro, del consumo di materie etc…
Qualora si tratti di manutenzioni pluriennali – e dal costo non irrilevante – ogni anno si rileverà la
quota del costo complessivo (pari all’esborso di denaro nell’anno in cui l’intervento verrà effettuato)
di competenza dell’esercizio. Se il costo complessivo sarà di 500 e la manutenzione avviene ogni 5
anni, annualmente avremo una quota di costo di 100 con la scrittura
d
Accantonamento a Fondo manutenzioni
a
Fondo manutenzioni
Il Fondo rappresenta la perdita di valore subita dal bene a causa dell’usura e che verrà eliminata
dalla manutenzione. Se questa è effettuata da terzi, il Fondo ha natura di Fondo spese o oneri – da
non confondere con il Fondo rischi per riparazioni – se la manutenzione avviene in economia non
avremo uscite di mezzi di pagamento correlate all’eliminazione del fondo, bensì un ricavo. Di
seguito le scritture nel due casi.
d
Fondo manutenzioni
a
Banca
d
Fondo manutenzioni
a
Ricavi per manutenzioni effettuate in
oppure
economia
Supponiamo poi che la manutenzione sia di tale entità da aumentare il valore originario del bene,
non solamente ripristinarlo (compatibilmente con l’ammortamento), ad esempio allungandone la
vita utile, si potrà o diminuire il Fondo ammortamento o valutare maggiormente l’attività.
Se però la rivalutazione è conseguente soltanto a fenomeni di mercato, non sempre sarà possibile
riconoscerla in contabilità, in ossequio al postulato di prudenza, da cui deriva il ricorso al criterio
dei costi storici.
32
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 11
CICLO ATTIVO:
OTTENIMENTO DEI PRODOTTI
CONFIGURAZIONI DI COSTO
COSTO DEL VENDUTO
CICLO ATTIVO
ottenimento prodotti
>
immagazzinamento
>
vendita
>
riscossione del prezzo
Le fasi principali del ciclo attivo non sempre si susseguono nel modo consequenziale sovra
illustrato, a volte le fasi si “intrecciano”: basti pensare al semplice esempio di un’impresa che operi
su commessa, come quelle attive nel settore della cantieristica navale o dell’edilizia, che
solitamente si vedono pagate a misura dell’avanzamento dell’opera, o alle assicurazioni che
incassano prima di produrre il servizio…
Ciò nonostante lo schema iniziale conserva pur sempre il suo valore paradigmatico.
Per quanto riguarda l’ottenimento dei prodotti, si può ricorrere all’inventario intermittente come al
permanente.
1) INVENTARIO INTERMITTENTE SEMILAVORATI
Si ricorda innanzitutto la sottile differenza fra
SEMILAVORATI
prodotti arrestatisi ad una data fase di lavorazione ma già in
possesso di una propria individualità (es.: sedia non verniciata)
PRODOTTI IN CORSO DI LAVORAZIONE
privi al contrario di una propria individualità
In entrambi i casi si ricorre all’inventario intermittente (anche qualora si fosse scelto quello
permanente per i prodotti) non avendo senso rappresentare contabilmente il prodotto in tutte le
fasi della sua lavorazione. Se vengono calcolati risultati economici infrannuali, si ricorre ad ipotesi
semplificatrici come
variazione semilavorati/prodotti in corso di lavorazione = 0.
Esistono due modi per la tenuta dell’inventario intermittente, analogamente a quanto detto per le
materie e le merci.
a)
d
Semilavorati
a
Variazione di semilavorati
Il conto addebitato potrebbe anche essere Lavoro in corso su ordinazione e quello accreditato
Variazioni di lavori in corso su ordinazione, come si esprime il cod. civ., riferendosi alle commesse.
La scrittura non varia, può invece variare di molto, ma lo si vedrà altrove, il criterio di valutazione.
b)
d
Semilavorati (c/rimanenze iniziali)
a
Bilancio d’apertura
d
Variazione di semilavorati
a
Semilavorati
(c/rimanenze iniziali)
_______________________________
d
31/12/20X0
_________________________________
Semilavorati (c/rimanenze finali)
33
a
Variazioni semilavorati
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Si storna dunque la RI di semilavorati al conto variazione a inizio esercizio e la RF alla fine, sia che
si usino due conti o uno solo per l’attività, in modo tale che il saldo del conto Variazioni corrisponda
al valore della variazione del periodo.
2) INVENTARIO PERMANENTE PRODOTTI
Il conto Prodotti accoglie in dare la RI e le successive variazioni lorde aumentative nelle rimanenze,
in avere quelle diminutive, in contropartita alle quali, rispettivamente, si accrediterà e addebiterà il
conto Variazioni nei prodotti. Il saldo del conto Prodotti confluirà nel Bilancio di chiusura, quello del
conto Variazioni nel C/E. Si noti che il conto elementare è di stato e movimento, mentre quello
economico è di solo movimento e i costi e i ricavi che accoglie sono sempre stimati a costo.
PRODOTTI
RI
∆–
∆+
∆–
∆+
∆–
∆+
etc…
etc…
S = RF
VARIAZIONI PRODOTTI
∆-
∆+
∆-
∆+
∆-
∆+
etc…
etc…
Per l’inventario intermittente l’unica differenza è che non esistono tante variazioni lorde, ma una
sola netta.
Si ricorda poi che, in base all’ordinamento vigente, a fine esercizio le rimanenze di prodotti
andranno stimate al minor valore fra costo di produzione e valore di realizzo.
CONFIGURAZIONI DI COSTO
Ci si può allora legittimamente chiedere che cosa si intenda per costo di produzione.
In senso stretto ogni costo è di produzione, per la definizione stessa di costo quale variazione
diminutiva lorda del patrimonio netto dovuta allo svolgimento del processo produttivo.
Parlando però di costo di produzione gran parte della letteratura fa impropriamente riferimento ai
costi di fattori produttivi necessari per produrre il bene e portarlo in magazzino,
escluse
spese di distribuzione e amministrazione (si noti che nel caso dei costi di distribuzione, essi
potrebbero essere già stati sostenuti in parte, si pensi alla pubblicità).
Si tratta cioè della configurazione di costo cosiddetta industriale.
Di seguito si fornisce una tabella delle possibili configurazioni di costo.
34
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Imputabilità
Per funzione
INDUSTRIALE
Fisso/variabile
- diretto
- variabile
- indiretto
- fisso
INDUSTRIALE
- diretto
- variabile
COMMERCIALE
- indiretto
- fisso
COMPLESSIVO
- diretto
- variabile
- indiretto
- fisso
Nel costo industriale vi saranno i soli costi legati alla produzione industriale, quello commerciale
accoglierà invece anche quelli di distribuzione e il complessivo anche quelli di amministrazione.
Scelta la configurazione per funzione si potrà decidere se considerare solo i costi (di quella/e
funzione/i) direttamente imputabili o meno, oppure si potrà decidere di considerare magari
solamente le componenti di costo variabili, cioè direttamente proporzionali, entro un dato intervallo
di produzione, all’entità della produzione stessa.
Si noti che costo variabile e diretto non sono sinonimi né coincidono a valore, se non per accidente!
Se si comprendono costi sia fissi che variabili si tratta di una configurazione a costo pieno. Il costo
industriale pieno è la configurazione solitamente usata.
Si badi che la scelta della configurazione di costo non è ininfluente sulla determinazione del
risultato economico…
Come postilla ricordiamo che ciò che nella letteratura è sovente indicato come direct costing non è
la configurazione a costi diretti ma quella a costi variabili!
Va da sé che come nel caso delle materie e delle merci, a meno che non sia riconoscibile ogni
singola partita, si dovranno usare delle convenzioni per determinare il valore di ogni variazione
diminutiva di prodotti: LIFO, FIFO, CMP etc… si potrebbe anche pensare a valori di costo standard
ma tale alternativa non è praticabile in Italia, pretendendo il cod. civ. sempre una valutazione a
costi effettivi.
Naturalmente anche in questo caso non è detto che i risultati ottenuti ricorrendo alle diverse
convenzioni siano coincidenti e a questo proposito si rimanda a quanto detto sull’inventario dei
fattori produttivi di uso non durevole.
Si osservi da ultimo che la Variazione di prodotti, appartenente alla classe A dei Ricavi del C/E,
deve sempre comparire fra i ricavi, col proprio segno, + se aumentativa (da sommare agli altri
ricavi), - se negativa (da sottrarre). Ovviamente la stima delle variazioni deve avvenire per prodotti
omogenei.
35
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
COSTO DEL VENDUTO
È opportuno soffermarci un po’ sul sistema americano, in quanto anche sul continente ci si sta
orientando sempre più verso un C/E a costi e ricavi, non della produzione allestita, bensì venduta.
1)
INVENTARIO PERMANENTE
Si istituisce un conto di semilavorati, Work in progress (Wip), che accoglie in dare la rimanenza
iniziale e i successivi incrementi corrispondenti al consumo, cioè alla variazione diminutiva lorda,
delle materie usate.
d
Work in progress
a
Bilancio d’apertura
d
Work in progress
a
Materie
Vi si addebitano successivamente tutte le quote di altri costi da imputare in base alla
configurazione di costo scelta, ossia:
costo del personale
costi di servizi
ammortamenti
per la quota legata al processo industriale, ad esempio, se si è optato per il costo industriale,
dunque costi di manodopera industriale e non commerciale o amministrativa, fitti passivi di
capannoni, canoni di leasing di impianti produttivi e via dicendo…
WORK IN PROGRESS
RI
∆–
∆+
∆–
∆+
∆–
∆+
etc…
etc…
S = RF in B.d.C
Le variazioni diminutive di Wip hanno in contropartita addebitamenti al conto Prodotti.
Le variazioni diminutive di quest’ultimo hanno in contropartita invece il conto Costo di prodotti
venduti.
d
Costo di prodotti venduti
a Prodotti
d
Clienti
a Ricavi di vendita
PRODOTTI
RI
∆–
∆+
∆–
∆+
∆–
∆+
etc…
etc…
tutte in
S = RF
in B.d.C
Costo prodotti venduti
36
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Naturalmente esistono tante possibili determinazioni di costo del venduto quante sono le
configurazioni di costo per la valutazione dei prodotti.
Il C/E si configurerà allora come
C/E
Costo del venduto
Ricavi di vendita
Costi non imputati
I costi non imputati possono definirsi anche Altri costi o, meglio, comparire con denominazioni più
analitiche: non si tratta in sostanza che di tutti quei costi che sono stati esclusi dalla valutazione
dei prodotti a motivo della specifica configurazione di costo adottata. Per quella di costo industriale
pieno saranno allora i costi amministrativi, commerciali e finanziari (è preferibile la classificazione
per funzione).
Se rappresentiamo i dati in forma scalare, avremo
Ricavi di vendita
Costo del venduto
Margine/Risultato lordo (industriale pieno) su vendite
L’indicazione della configurazione di costo è stato riportata fra parentesi non perché sia facoltativa,
giacché è necessaria al fine della corretta interpretazione del risultato ottenuto, ma semplicemente
per significare il fatto che l’impresa potrebbe optare per un altro tipo di configurazione.
2)
INVENTARIO INTERMITTENTE
Esiste un conto, denominato in inglese Manufactoring account, corrispondente all’italiano
c/Lavorazione (tipico del sistema patrimoniale “classico”), appartenente alla serie derivata, che si
struttura nel modo seguente
MANUFACTORING ACCOUNT
RI Materie
RF Materie
RI Wip
RF Wip
Acquisto Materie
Costi personale
Costi per servizi
Ammortamenti
S = Costo prodotti ottenuti
Le RI hanno in contropartita il relativo conto elementare (es. C/RI Materie) aperto in contropartita
al B.d.A., l’acquisto delle materie ha in contropartita il conto Costo d’acquisto materie; gli “altri
costi” vanno sempre imputati per le quote relative alla configurazione di costo scelta.
Il saldo del conto confluirà nel conto Costo di prodotti venduti, che avrà la seguente struttura
37
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
COSTO PRODOTTI VENDUTI
Costo prodotti ottenuti
RF prodotti
RI prodotti
Si noti che la somma dei valori della sezione dare rappresenta il valore dei prodotti disponibili per
la vendita (rimanenze di esercizi passati e prodotti di nuova produzione).
Ritornando al conto Prodotti svolgiamo ora alcune considerazioni.
PRODOTTI
RI
∆–
∆+
∆–
∆+
∆–
∆+
etc…
etc…
tutte in
S = RF
in B.d.C
Costo prodotti venduti
Si osservi come le quantità presenti nel conto generalmente siano stimate in modo omogeneo,
tutte in base al costo, pertanto un conto siffatto è definito “a costi e costi”.
Se invece le variazioni diminutive fossero stimate in base al ricavo, con la scrittura
d
Clienti
a
Prodotti
non otterremmo dal saldo l’indicazione della RF bensì della RF + utile lordo sulle vendite (ricavi –
costi).
Il conto pertanto può essere così ristrutturato:
PRODOTTI
RI
perdite lorde
utile lordo
perdite lorde
utile lordo
perdite lorde
utile lordo
etc…
etc…
S = RF
Perdite e utili in questo caso si determinano al di fuori del sistema contabile. La scrittura di
inserimento dei dati esterni sarà
d
Prodotti
a
Utile lordo su prodotti
Il C/E che ne deriverà non sarà né a costi e ricavi della produzione allestita né a costi e ricavi della
produzione venduta, bensì sarà un C/E a utili lordi.
Tale schema potrebbe essere sfruttato ad esempio nel caso dei titoli.
38
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 12
VENDITE DI MERCI E PRODOTTI
Sono due le fasi della vendita:
1) ordinazione
2) consegna (passaggio della proprietà, perfezionamento del contratto)
FASE 1)
Il primo momento non è necessario rappresentarlo, ma se si vuole lo si può fare, analogamente a
quanto visto per gli acquisti di materie e merci. Nascono infatti debiti e crediti correlativi che si
possono rappresentare con la seguente scrittura
d
Clienti per merci da consegnare
a
Merci da consegnare
Naturalmente questi debiti e crediti correlativi si estingueranno con la consegna del bene.
Si potrebbe dare il caso di un pagamento in tutto o in parte anticipato, allora avremo
d
Banca
a
Diversi
a
Clienti c/anticipi
(o Anticipi o Anticipi da clienti)
a
IVA su vendite
Certi contratti possono prevedere specifiche clausole, che analizzeremo singolarmente.
Caparra confirmatoria (artt. 1385 ss. cod. civ.)
La caparra non ha natura di anticipo, ma di fatto, al momento del pagamento, il venditore trattiene
la caparra e il compratore versa solamente la differenza fra prezzo e caparra, quindi possiamo dire
che all’atto del pagamento essa si trasforma in un anticipo. In contabilità comunque rileveremo il
sorgere di un debito al versamento della caparra, debito che si estinguerà col pagamento del
prezzo.
d
Banca
a
Debiti per cauzioni ricevute
FASE 2)
Quando si trasferisce la proprietà in contabilità si rappresenta il sorgere del ricavo, che è un ricavo
di competenza.
d
Clienti
a
Diversi
a
Ricavi di vendita
a
IVA su vendite
Consideriamo a riguardo anche il Piano dei conti, che si strutturerà così:
X
RICAVI DI VENDITA (del prodotto A)
X0
RICAVI DI FATTURA
X1
SCONTI E ABBUONI
39
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
X2
RESE
X3
RETTIFICHE VARIE
…
X9
CONTO DI RIEPILOGO RICAVI (del prodotto A)
RICAVI DI VENDITA
Sconti e abbuoni
Ricavi di fattura
Rese
Rettifiche
Se al 31/12 non è stata emessa la fattura ma il bene è passato di proprietà si dovrà scrivere
d
Crediti v/clienti per fatture da emettere
a
Ricavi di vendita
A volte potrebbe verificarsi la circostanza opposta, la fattura viene emessa ma la merce o i prodotti
non sono stati ancora consegnati, ad esempio nel caso in cui siano già stati spediti ma il contratto
abbia clausola Franco magazzino compratore. Allora dovrò stornare il ricavo in quanto non di
competenza dell’esercizio.
d
Clienti
a
________________________________
d
31/12/20X0
Ricavi di vendita
__________________________________
Ricavi di vendita
a
Clienti
Vendita con riserva di proprietà (artt. 1523 ss. cod. civ.)
È una forma di garanzia per il venditore in quanto la proprietà non passa fintantoché non viene
effettuato il pagamento del prezzo. Da un punto di vista economico però il bene è a disposizione
del compratore, per questo motivo la competenza del ricavo andrà fatta risalire alla consegna
(indipendentemente dal fatto che, in questo caso, con essa soltanto non vi sia passaggio giuridico
di proprietà).
Vendita sotto condizione (cfr. artt. 1353 ss. cod. civ.)
a.
condizione sospensiva
il ricavo si contabilizzerà all’avverarsi della condizione
b.
condizione risolutiva
il ricavo si contabilizza secondo le consuete norme di
competenza, ossia col passaggio di proprietà, se poi la
condizione dovesse avverarsi, non si dovrà che stornare il ricavo e nel caso di ricavo
contabilizzato in un esercizio precedente si avrà un rettifica di ricavi di esercizi passati
analogamente a quanto già visto nel caso degli acquisti.
Vendita su documenti (artt. 1527 ss. cod. civ.)
In questo caso la proprietà passa alla consegna dei documenti rappresentanti la merce, non della
merce stessa, e pertanto il ricavo si rappresenterà alla consegna dei documenti.
40
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Vendita con riserva di gradimento (art. 1520 cod. civ.)
La consegna – e dunque il momento in cui il ricavo diverrà di competenza – si deve considerare il
momento in cui il compratore esprimerà il proprio gradimento per la merce acquistata o sarà
scaduto il termine entro il quale era possibile esprimere tale gradimento.
Vendita di servizi
La competenza si valuta in base al momento in cui il servizio viene prestato, a meno che non si
tratti di servizi prestati in via continuativa, come i premi pagati anticipatamente all’assicurazione o i
fitti attivi… In quest’ultimo caso si dovrà tener conto dei Ratei attivi o dei Risconti passivi, per i
quali si rimanda, con le ovvie modifiche, alla Lezione 5. Il Rateo attivo nascerà in contropartita ai
Ricavi (di competenza) all’IVA e oppure, se il pagamento è stato rappresentato in via anticipata, vi
sarà un Risconto passivo. Valgono i medesimi discorsi già fatti quanto all’inventario permanente o
intermittente di ratei e risconti. I Risconti si possono rappresentare fin dal momento in cui nasce il
ricavo, già calcolati in una prospettiva di fine anno, ma di norma non lo si fa per un questione di
comodità.
d
Banca
a
Diversi
100
a
Ricavi di vendita
40
a
Risconti passivi
60
Altrimenti potremmo anche annotare subito i Risconti per l’intero ammontare e poi diminuirli per
competenza.
d
Banca
a
Risconti passivi
d
Risconti passivi
a
Ricavi di vendita
100
100
40
40
(I numeri sono a mero titolo di esempio.)
Vendita di beni e servizi aggiuntivi
Tipicamente il caso in cui si offre al compratore anche il trasporto. Questo può essere effettuato dal
venditore direttamente oppure acquistando a sua volta il servizio da terzi. Sulla fattura vi è
l’indicazione “rimborso spese di trasporto”, il che non significa necessariamente che l’ammontare
di detto “rimborso” sia esattamente pari alle spese sostenute, si tratta della remunerazione al
fornitore per il servizio reso.
Vendita a credito
Allorché si vende a credito, nel prezzo del bene è sempre compresa una quota di interessi per il
servizio di finanziamento che viene venduto contestualmente al bene stesso. Se il tasso di interesse
applicato rientra nelle normali condizioni di vendita, gli interessi rimangono impliciti e non si fa
luogo a nessuna rappresentazione contabile, semplicemente il ricavo sarà più alto di quello che
avremmo conseguito vendendo per pronta cassa (assegno circolare o bancario, vaglia postale,
carta di credito, postagiro…). Vi sono invece casi in cui si dovrà procedere alla scorporazione degli
interessi, rendendoli espliciti, come si vedrà parlando dei crediti.
Con il pagamento si estinguerà il credito.
41
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
d
Banca/Cassa
a
Clienti
Pagamento con emissione di effetti cambiari
Se il pagamento avviene con emissione di effetti cambiari, il cliente accetta la tratta emessa
dell’impresa venditrice o emette un pagherò cambiario. Il debito chirografario si trasforma dunque
in un debito cambiario con le ben note conseguenze.
Si scriverà
d
Cambiali attive
a
Clienti
infatti la cambiale non è che un mezzo di pagamento che potrà essere adoperato successivamente
dall’impresa stessa per onorare i propri debiti, mediante girata.
Pagamento tramite effetti scontati
Vi sono tre modalità in questa categoria:
a) gli effetti vengono scontati in banca
b) la banca accredita gli effetti con la clausola “salvo buon fine”
c)
la banca accredita gli effetti dopo il pagamento.
Nel caso a) avremo
d
Diversi
d
Banca c/c
d
Interessi passivi (opp. Sconti passivi)
d
Commissioni (opp. Oneri bancari)
a
Cambiali attive
a
Cambiali attive
Il valore addebitato in Banca c/c è il c.d. Netto Ricavo.
Caso b)
d
Diversi
d
Banca c/c
d
Commissioni
Nel caso c) la scrittura è come quella in b), con la differenza che questa avviene soltanto quando la
banca ha incassato, non allorché depositiamo l’effetto.
Pagamento con ricevuta bancaria
Non viene emesso nessun effetto cambiario, la banca si limita a curare l’incasso e successivamente
a questo restituirà all’impresa la ricevuta quietanzata. Non si tratta in questo caso di titoli di credito
ma di una modalità tecnica di incasso. Valgono però, nei rapporti con la banca, le medesime
condizioni del par. precedente nei casi sub-c) e sub-b).
a) Dopo l’incasso.
d
Clienti c/ricevute bancarie
Alla consegna della ricevuta quietanzata:
42
a
Clienti
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
d
Diversi
d
Banca c/c
d
Commissioni
a
Clienti c/ricevute
bancarie
b) Salvo buon fine.
d
Diversi
d
Banca c/c
d
Commissioni
a
Banca c/ricevute
bancarie
Si utilizza il conto Banca c/ricevute bancarie perché fintanto che la banca non incassa, la somma
che abbiamo da essa ricevuto dietro la consegna delle ricevute non è che un prestito accordatoci,
che si estinguerà quando riceveremo la ricevuta quietanzata; allora scriveremo
d
Banca c/ricevute bancarie
43
a
Clienti
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 13
FACTORING
L’impresa affidandosi ad una società di factoring ha principalmente due tipi di obiettivi: o cede i
crediti al factor perché questi semplicemente ne curi la riscossione o, cedendo i crediti, ricerca
anche un servizio di finanziamento.
Sostanzialmente dunque esistono due modalità di rapporti nel servizio di factoring:
A. ACCREDITO A SCADENZA o maturity factoring
l’ammontare dei crediti ceduti viene versato all’impresa cedente in seguito all’incasso degli
stessi e previa ritenuta della commissione che si riserva il factor; non vi è trasferimento del
rischio di insolvenza dei creditori ceduti
B. ACCREDITO ANTICIPATO o standard o conventional factoring
l’ammontare dei crediti viene anticipato dal factor all’impresa. Esistono due possibili clausole:
a) “pro solvendo” o “con rivalsa”
in caso di mancato pagamento dei crediti ceduti, il factor si rivarrà sull’impresa
cedente. Non vi è quindi trasferimento di rischio.
b) “pro soluto” o “senza rivalsa”
assieme al credito viene ceduto anche il rischio di insolvenza. Tuttavia possono
esistere delle clausole contrattuali che limitano o ripartiscono fra factor e cedente il
rischio di default del debitore principale.
In entrambi questi casi di accredito anticipato, verranno trattenuti dal factor gli interessi passivi
relativi al periodo dall’anticipo della somma alla scadenza del credito e la commissione.
Pertanto il valore nominale del credito sarà superiore alla somma anticipata all’impresa.
A.
ACCREDITO A SCADENZA
La scrittura contabile è banale:
d
Banca
a
Clienti
al momento della riscossione del credito, la somma riscossa è versata dal factor all’impresa e si
estingue il debito da parte dei clienti nei confronti di questa.
Dobbiamo poi considerare la commissione che spetta al factor: omettiamo la scrittura dell’IVA e
ricordiamo che naturalmente sarebbe possibile unire la prima e la seconda scrittura in un’unica
compatta.
d
Commissioni
a
44
Banca
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
B.
a)
ACCREDITO ANTICIPATO
PRO SOLVENDO
I Principi Contabili propongono una via preferibile di contabilizzazione e ne ammettono un’altra.
Contabilizzazione consigliata
Quando viene versato l’anticipo, il credito va rimosso dalla contabilità (e dal bilancio, di
conseguenza), si rappresenta un credito verso la società di factoring pari alla differenza fra valore
nominale del credito e la somma anticipata, in quanto la società abitualmente non anticipa l’intero
ammontare del credito ma una parte soltanto per premunirsi nel caso di insolvenza del debitore
principale. Poi vanno rappresentati gli interessi passivi, che confluiranno al C/E secondo il principio
di competenza, e la commissione passiva. Nei conti d’ordine inoltre bisogna rappresentare i debiti e
crediti correlativi che segnalano il rischio dell’azione di regresso da parte del factor in caso di
mancato pagamento del credito.
Supponiamo
Crediti (valore nominale)
Quota non anticipata
10.000
2.000
Interessi passivi
800
Commissioni
200
d
Diversi
a
Clienti
10.000
d
Banca
d
Interessi passivi
800
d
Commissioni
200
d
Crediti v/factor
7.000
2.000
Se il factor si rivale sull’impresa, nascerà in capo a questa un credito di regresso verso il cliente,
ossia l’obbligato principale, e un debito di regresso nei confronti del factor.
d
Crediti (di regresso) per cessione di crediti a società di factoring
a
Debiti (di regresso) per cessione di crediti a società di factoring
Il conto addebitato può anche chiamarsi più genericamente Rischi per azioni di regresso su crediti
ceduti.
Al momento della riscossione il factor ci verserà anche la quota non anticipata
d
Banca
a
Crediti v/factor
2.000
2.000
Se l’anticipo avviene in un esercizio e il credito ceduto scade solo nell’esercizio seguente,
ovviamente nasceranno risconti attivi, in quanto il servizio di finanziamento si estende a cavallo dei
due esercizi, con la scrittura
d
Risconti attivi
a
Interessi passivi
Se il credito non viene incassato, la nostra impresa dovrà restituire l’anticipo e versare
l’ammontare corrispondente alle spese di commissione e interessi passivi e naturalmente si
45
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
estinguerà il credito verso il factor. Il credito verso il cliente insolvente torna a rivivere in quanto
nei suoi confronti potrà essere promossa un’azione di regresso.
d
Clienti
a
Diversi
10.000
a
Banca
8.000
a
Crediti v/factor
2.000
Se l’insolvenza è parziale, per prima cosa il conto da “intaccare” sarà Crediti v/factor; supponiamo
che l’insolvenza sia esattamente pari a 2.000, saranno semplicemente i 2.000 che il factor non
verserà all’impresa.
Contabilizzazione ammessa
I crediti ceduti sono considerati come dati in garanzia.
Non si rimuove dalla contabilità il credito Clienti, la somma anticapata dal factor appare come
debito di finanziamento e i debiti e crediti correlativi vengono rappresentati come sopra.
a)
d
Diversi
a
Debiti v/factor
8.000
d
Banca
d
Interessi passivi
800
d
Commissioni
200
7.000
PRO SOLUTO
Il credito viene rimosso dalla contabilità; solitamente tale contratto prevede interessi passivi a
tasso più alto e una commissione più elevata.
Supponiamo
Commissioni
400
d
Diversi
a
Clienti
10.000
d
Banca
d
Interessi passivi
800
d
Commissioni
400
8.800
In questo caso non si iscrivono i debiti e crediti correlativi, a meno che non vi siano clausole miranti
a ripartire il rischio di insolvenza fra cedente e cessionario. In tal caso l’ammontare di questi debiti
e crediti si rappresenterà per il valore che peserebbe, in base agli accordi, sull’impresa nel caso di
insolvenza del creditore ceduto.
46
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 14
TITOLI E PARTECIPAZIONI
Per partecipazioni si intendono azioni o quote di partecipazione al capitale di una società non
rappresentate da azioni; i titoli invece non sono che titoli di credito, prestiti accordati a privati
(obbligazioni) o soggetti pubblici. Esistono diversi tipi di titoli: a reddito fisso, a tasso fisso,
variabile o indicizzato, zero coupon altrimenti detti a interesse implicito…
Nello Stato patrimoniale troviamo titoli e partecipazioni sia fra le immobilizzazioni finanziarie che
nell’attivo circolante, in base al periodo di tempo – lungo o breve – durante il quale sono destinate
a permanere nel patrimonio dell’impresa. Nel C/E ricavi e costi legati a tali attività rientrano nella
categoria Oneri e proventi finanziari e potremmo incontrare anche svalutazioni (o rivalutazioni).
TITOLI A REDDITO FISSO
Il supporto cartaceo in cui il titolo è incorporato è composto da due parti: il corpo del titolo e le
cedole.
CEDOLA
CEDOLA
CORPO
CEDOLA
CEDOLA
CEDOLA
Le cedole hanno scadenza standardizzata, tipicamente semestrale: si posso staccare dal corpo del
titolo e la loro presentazione dà diritto alla riscossione dell’interesse periodico (frazione
dell’interesse annuo).
Bisogna distinguere fra
VALORE NOMINALE
è il valore del capitale a scadenza (ossia al momento del rimborso
del prestito)
VALORE DI EMISSIONE
è il prezzo pagato da chi acquista il bene al momento dell’emissione.
Può essere diverso dal valore nominale, si hanno infatti emissioni
sopra o sotto la pari oltre che alla pari
PREZZO
è il prezzo che si forma sul mercato quando il titolo viene negoziato
successivamente alla sua emissione. Il prezzo è indicato per una
certa quantità di valore nominale.
Anche se il titolo è individuato dal suo tasso di interesse annuo, gli interessi vengono però
corrisposti periodicamente in via posticipata alla scadenza di ogni cedola. Quando il titolo viene
negoziato, “viaggia” con le sue cedole non ancora presentate per la riscossione attaccate al corpo.
Naturalmente il titolo può essere negoziato in un periodo intermedio fra le scadenze di una cedola e
la successiva: allora il prezzo di esso dovrà tener conto anche dell’interesse maturato fino al
momento della negoziazione. Infatti, se la cedola in corso di maturazione rimane attaccata al titolo,
il venditore ha diritto a ricevere incluso nel prezzo la parte di interesse maturata “da una cedola” –
47
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
si passi l’espressione poco tecnica – nel periodo in cui era proprietario del titolo e che verrà
incassata invece dal compratore alla scadenza di detta cedola. Oppure, se il venditore trattiene la
cedola in corso di maturazione, ad esempio perché la negoziazione avviene a ridosso della
scadenza, il compratore corrisponderà un prezzo minore, tanto minore quant’è l’ammontare della
quota di interessi che gli spetterebbero e che non riscuoterà alla scadenza della cedola pur essendo
già proprietario del titolo. Ciò perché la cedola non è frazionabile.
Facciamo quest’esempio su delle generiche Obbligazioni Alfa
Valore nominale
100
Tasso di interesse annuo (r)
6%
Date di godimento (della cedola)
1/4 – 1/10
Data di negoziazione
1/5
La quota di interessi maturata fino al primo maggio dalla cedola che scadrà il primo ottobre è detta
rateo. Se acquisto il titolo devo pagare il prezzo per il suo valore capitale (segnato nel corpo) e per
il rateo. Ora definiamo altri due termini
CORSO SECCO
prezzo per il valore capitale del titolo
PREZZO O CORSO TEL QUEL
prezzo per il valore capitale e il rateo di interessi maturati
quindi
T. Q. = C. S. + Rateo.
Di solito per calcolare il rateo si ricorre alla convenzione dell’anno commerciale (mesi di trenta
giorni, anno di 360).
Rateo = r/360 (interesse maturato in un giorno) x g (numero di giorni del rateo)
La quotazione è sempre indicata a corso secco.
Se il titolo è venduto senza cedola, c. d. ex cedola, ad esempio il 10/9, avremo un rateo di interessi
da maturare, per
180 giorni – giorni da scadenza cedola precedente a negoziazione
(ossia giorni di quello che sopra era il rateo di interessi maturati).
All’acquisto si pagherà il prezzo del titolo meno il rateo di interessi da maturare.
PREZZO EX CEDOLA = C. S. – r/360 (180 – g)
Per passare dal corso T. Q. all’ex cedola basta sottrarre r/2 come si verifica con un paio di
immediati passaggi algebrici.
Nella contabilità il valore del titolo corrisponde sempre al costo secco!
Gli interessi nel C/E invece vanno sempre contabilizzati per il periodo di competenza, quindi a
meno che le cedole non abbiano scadenza 1/1 – 1/7, ci scontreremo sempre con il fenomeno dei
ratei attivi.
Esempio in base ai dati già forniti.
C. S. = 98 + i
(se vedete la scrittura “XX + i” si tratta sicuramente di un C. S.)
La quotazione in genere di riferisce a un valore di capitale di 100.
Q. T. = 98 + 6/360 x 30 = 98,5
48
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Il costo d’acquisto del titolo è 98, alla scadenza della cedola incasserò 3 di interesse, ma di
competenza non saranno che 2,5 (interessi incassati meno rateo corrisposto a venditore). 0,5 è un
credito, un rateo attivo, non un costo, in quanto se all’acquisto lo paghiamo, alla riscossione della
cedola l’incassiamo.
Bisogna a questo punto distinguere il caso di imprese che si dedicano alla speculazione, trattando
quindi i titoli come merci che vengono comprate e vendute in continuazione e sulle quali si specula
fra costo d’acquisto e prezzo di vendita. Pertanto la contabilità sarà in tutto uguale a quella delle
merci.
Avremo i seguenti conti: Titoli, Variazioni nelle rimanenze di titoli, Costo d’acquisto titoli, Ricavi di
vendita titoli, Interessi attivi su titoli.
Si noti che il costo d’acquisto dev’essere comprensivo anche dei costi accessori, in questo caso
tipicamente le commissioni bancarie o di altro intermediario, ma questa lieve complicazione
nell’esempio la omettiamo. Non esistono inoltre rettifiche di costi d’acquisto (non vi sono rese o
abbuoni!).
Ma si potrebbe anche dare il caso di un’impresa con liquidità in eccesso, ad esempio, che pensi
bene di impiegarla temporaneamente investendola in titoli. In queste circostanze non avrebbe
senso caricarsi di un armamentario contabile ponderoso come nel caso precedente; sarà preferibile
adottare soluzioni analoghe a quelle delle immobilizzazioni, più precisamente dei terreni in quanto
non è pensabile ammortizzare i titoli! Potrebbe invece esister un Fondo svalutazione, da istituire,
come vedremo, i base a criteri diversi a seconda che i titoli siano immobilizzati o appartengano
all’attivo circolante.
A.
FREQUENTI NEGOZIAZIONI (titoli a scopo di speculazione)
Sia l’1/5 la data di negoziazione dei titoli.
_____________________________
01/05/20X0
d
Diversi
a
d
Costo d’acquisto titoli
d
Ratei attivi (per interessi su titoli)
___________________________________
Banca
98,5
98
0,5
E se si ricorre all’inventario permanente, anche
d
Titoli
a
Variazioni nei titoli
98
98
Al momento della riscossione della cedola
_____________________________
d
Banca
01/10/20X0 ___________________________________
a
Diversi
3
a
Interessi attivi
2,5
a
Ratei attivi
0,5
Molto spesso nei manuali anziché far sorgere il conto Ratei attivi, si addebita direttamente il conto
Interessi attivi: contabilmente i risultati numerici sono identici, ma da un punto di vista logico
appare ingiustificato rettificare un ricavo… che non si è ancora manifestato!
49
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
A fine esercizio si dovrà considerare la quota di interessi maturati sulla seconda cedola (3 mesi di
interessi su cedola semestrale).
_____________________________
d
31/13/20X0
Ratei attivi
a
___________________________________
Interessi attivi
1,5
1,5
Se nell’esercizio successivo, poniamo il 28/2, decidessimo di vendere il titolo “con godimento
regolare”, come si suol dire, cioè con la cedola in corso di maturazione, dato un C. S. di 99, il T. Q.
sarà 99 + 2,5 (5 mesi di interessi) = 101,5. I 99 rappresentano il ricavo di vendita, i 2,5 sono gli
interessi… ma relativi al periodo 1/10/X0 – 28/2/X1!
_____________________________
d
28/02/20X0
Banca
___________________________________
a
Diversi
101,5
a
Ricavi di vendita titoli
a
Ratei attivi
1,5
a
Interessi attivi
1
a
Titoli
99
Con l’inventario permanente:
d
Variazioni nei titoli
98
98
Da notare che il conto dev’essere scaricato a valori di costo, non di ricavo! Se la frequenza delle
negoziazioni ci impedisce di sapere con esattezza ogni volta il costo d’acquisto dei titoli specifici che
stiamo vendendo, si ricorrerà alle convenzioni LIFO, FIFO, CMP etc… già incontrate.
La differenza fra ricavo di vendita e costo del venduto (costo d’acquisto +/- variazione
negativa/positiva nelle rimanenze, o RI + acquisti + RF) rappresenta chiaramente un utile o una
perdita lorda. Nel C/E così come previsto dall’art. 2425 cod. civ. non prevede l’evidenziazione di
costi d’acquisto, ricavi, variazioni nelle rimanenze di titoli, bensì bisogna indicare, all’interno della
macroclasse Oneri e proventi finanziari, gli interessi attivi e gli utili o le perdite sulla vendita dei
titoli. Perciò non dovremo che predisporre un conto di riepilogo il cui saldo sia il valore cercato e
strutturato nel seguente modo: in dare i costi d’acquisto, in avere i ricavi di vendita e la variazione
se negativa in dare, se positiva in avere.
Se il 28/2 vendo i titoli ma con “godimento non regolare”, ossia sprovvisti di cedola in corso di
maturazione,
PREZZO = C. S. – interessi da maturare = T. Q. – cedola = 98,5
_____________________________
d
Diversi
d
Banca
d
Ratei attivi
28/02/20X0
a
___________________________________
Ricavi di vendita titoli
99
98,5
0,5
Al momento della riscossione della cedola trattenuta
_____________________________
d
Banca
01/04/20X0
___________________________________
a
Diversi
a
Ratei attivi
2,5
a
Interessi attivi
0,5
50
3
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
ma solamente se mi dimentico – a scopo didattico – della fine dell’esercizio ’X0!!!
Per essere corretti invece dovrei suddividere quei 2,5 in un quota corrispondente all’estinzione del
rateo che avevo iscritto (1,5) e in quella (0,5) degli interessi di competenza dell’esercizio in corso.
B.
OPERAZIONI A TITOLO DI INVESTIMENTO
Per quanto concerne gli interessi, la contabilizzazione è uguale al caso A.. All’ingresso dei titoli fra
le attività scriveremo
d
Titoli
a
Banca
98
98
Al momento della vendita, sempre a 99, interessi v. sopra, scriveremo
d
Banca
a
Diversi
a
Titoli
a
Utili su titoli
99
98
1
Gli utili/perdite sui titoli rappresentano componenti ordinarie di reddito , secondo quanto affermano
i Principi contabili (doc. n. 20), soltanto se appartengono all’attivo circolante. Altrimenti, se sono
immobilizzazioni finanziarie, al momento della vendita l’attività cambia destinazione e dunque le
componenti economiche che ne derivano sono straordinarie.
Ricordiamo poi che gli interessi attivi sono soggetti ad imposizione fiscale, quindi chi corrisponde
detti interessi effettua una ritenuta. Per chi incassa gli interessi si avrà un’imposta sul reddito se
tale è la natura della ritenuta, in sostanza se abbiamo a che fare con una persona fisica, mentre si
tratterà di una ritenuta sul reddito a titolo di acconto se avremo a che fare con persone giuridiche o
società di persone fisiche.
Se l’interesse è 100 e la ritenuta del 12%, avremo
d
Diversi
a
d
Banca
88
d
Erario c/imposte corrisposte in acconto
12
51
Interessi attivi
100
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 15
TITOLI E PARTECIPAZIONI:
SCARTO DI EMISSIONE/NEGOZIAZIONE
SVALUTAZIONE/RIVALUTAZIONE
TITOLI ZERO COUPON E AZIONI
Per entrare subito nel vivo del discorso partiamo da un esempio.
Prezzo emissione obbligazioni “Alfa”
96 + i
Acquisto al momento dell’emissione (1/1/20X0)
Godimento
1/1 – 1/7
Durata
5 anni
Interesse
6%
Valore di rimborso/valore nominale
100
È evidente che se acquisto a 96 ciò che mi verrà rimborsato per 100, non percepisco di interesse
solamente la quota semestrale di ogni cedola, bensì anche un interesse supplementare, versato
una tantum al momento della restituzione e pari a 100 – 96. Naturalmente se per l’acquirente si
tratta di un interesse attivo, per il debitore è un interesse passivo.
La differenza fra valore nominale e valore di emissione è detta s c a r t o d i e m i s s i o n e . Esistono
anche titoli che non prevedono un interesse esplicito, ma semplicemente la corresponsione, come
interesse, di tale scarto, sono i titoli c. d. zero coupon o senza cedola, ad esempio i BOT.
Se si acquista per un valore diverso da quello nominale in un’epoca posteriore alla data di
emissione, i ragionamenti fatti sono ugualmente validi, semplicemente chiameremo tale scarto di
negoziazione.
Gli scarti non sono necessariamente positivi, vi possono essere casi di scarti negativi (es. pago 102
per un valore nominale di 100) qualora il tasso di interesse sia superiore a quello medio del
mercato, in tal modo o scarto negativo lo riporta di fatto a valori di mercato oppure qualora
l’impresa emittente sia particolarmente affidabile e appetibile. Lo scarto negativo si configura
dunque come un minor interesse attivo.
Contabilmente però è importante notare che la somma corrispondente allo scarto non può
considerarsi tutta di competenza dell’esercizio in cui viene riscossa. Vediamo le scritture dal
momento dell’acquisto.
SCARTO POSITIVO
_____________________________
d
Titoli
01/01/20X0
a
___________________________________
Banca
96
96
I titoli figureranno nel conto sempre per il costo d’acquisto!
Al momento della riscossione della prima cedola
_____________________________
d
Banca
01/07/20X0
a
___________________________________
Interessi attivi
52
3
3
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
A fine esercizio bisognerà rilevare il rateo per la quota della seconda cedola di competenza
dell’esercizio 20X0 ma anche la quota di scarto d’emissione di competenza. Per motivi pratici è
ammesso
ripartire
lo
scarto
pro
rata temporis,
ossia
(valore
di
rimborso
–
valore
di
emissione)/numero anni, in questo caso (100 – 96)/5. Riportiamo solo l’ultima scrittura.
_____________________________
d
31/13/20X0
Ratei attivi
(per scarti/aggi di emissione)
a
___________________________________
Interessi attivi su titoli
0,8
0,8
Ogni anno si ripeterà questa scrittura. Allo scadere del titolo, dopo i 5 anni, avremo
_____________________________
d
01/01/20X6
Banca
___________________________________
a
Diversi
a
Titoli
a
Ratei attivi
100
96
4
Si noti che nel corso degli anni il conto Ratei attivi è andato crescendo per una quota di 0,8
annuale. La scrittura è evidentemente permutativa.
I Principi Contabili Internazionali prescrivono invece che la quota di rateo incrementi direttamente il
valore dei titoli. Il ragionamento alla base di questa indicazione è il seguente: i titoli non sono che
crediti, i crediti si contabilizzano al loro valore attuale, il valore attuale del titolo è dato dal corso
secco più il rateo maturato.
Pertanto la scrittura sarà
d
Titoli
a
Interessi attivi
0,8
0,8
SCARTO NEGATIVO
Supponiamo di aver pagato i titoli 104, le scritture saranno:
_____________________________
d
01/01/20X0
Titoli
a
___________________________________
Banca
104
104
I Principi Contabili Nazionali prevedono poi, al nascere del Rateo passivo corrispondente alla quota
di scarto negativo annuale, l’addebitamento del conto Interessi passivi, ma ciò è illogico, ciò che
bisogna addebitare sono gli Interessi attivi, e tale soluzione va ritenuta perfettamente lecita e
rappresenta una rettifica di costi d’acquisto.
Pertanto
_____________________________
d
Interessi passivi
meglio: Interessi attivi
01/01/20X0
a
___________________________________
Ratei passivi
0,8
0,8
0,8
0,8
Secondo gli IFRS sarà invece
d
Interessi attivi
a
Titoli
Il tutto si può ugualmente ripetere nel caso di scarti negoziazione.
53
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Se il titolo immobilizzato viene venduto prima della scadenza, il conto Ratei attivi è addebitato per
2 e poniamo un prezzo secco di vendita pari a 98, scriveremo
d
Banca
a
Diversi
98
a
Titoli
a
Ratei attivi
96
2
Nel caso di vendita a 98 non vi sono profitti o perdite di realizzo, poiché 98 è esattamente il valore
della somma del saldo Titoli e di quello Ratei attivi. Altrimenti
utile/perdita di realizzo su titoli = C. S. vendita – C.S. acquisto – Rateo
e il medesimo discorso vale se il rateo è passivo.
In base alla contabilizzazione proposta dagli IFRS, invece, l’utile o la perdita emergono immediatamente, poiché sono uguali al
C. S. di vendita – saldo c/Titoli
SVALUTAZIONI/RIVALUTAZIONI
La svalutazione si rende necessaria quando il valore di mercato è inferiore a quello di costo, ma
non è detto che tale condizione sia sufficiente, infatti
TITOLI
Valore di mercato
CONDIZIONE
DISPONIBILI
inferiore a quello
NECESSARIA E
di costo
SUFFICIENTE
TITOLI
Valore di mercato
IMMOBILIZZATI
inferiore a quello
-
-
CONDIZIONE
La svalutazione
CONDIZIONE
NECESSARIA
dev’essere giudi-
SUFFICIENTE
di costo
cata durevole
Del resto queste condizioni valgono nel caso di tutte le immobilizzazioni.
La svalutazione avrà natura ordinaria e basterà istituire i conti Fondo svalutazione e Svalutazione,
da collocare quest’ultimo nella macroclasse del C/E Proventi e oneri finanziari, più precisamente
nella voce Rettifiche di valore di attività finanziarie (D) che si specifica poi in Svalutazioni (D 19).
La rivalutazione è obbligatori qualora vengano in tutto o in parte meno i motivi che hanno dettato
la svalutazione. Pertanto
la rivalutazione
non potrà eccedere
i limiti
della svalutazione
precedentemente computata. Si può addebitare per l’importo opportuno il Fondo svalutazione
oppure direttamente addebitare il conto Titoli, ma così facendo si perde l’informazione del valore
originario dell’attività!
Supponiamo di aver svalutato per 2 il valore di 96, e il prezzo corrente è 95
d
Fondo svalutazione titoli
a
Rivalutazione titoli
1
1
Se poi il prezzo passasse a 97, non potremmo ripetere la scrittura per il valore di 2, bensì di 1,
perché la svalutazione era di 2 e altrimenti supereremmo il limite del costo storico!
54
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Nel caso poi il titolo immobilizzato cambiasse destinazione e venisse a rientrare nella categoria
dell’attivo circolante (perché abbiamo intenzione di venderlo fra 2 mesi, ad esempio), si dovranno
modificare i criteri di valutazione. Infatti le attività comprese nell’attivo circolante devono sempre
essere valutate al minore fra costo storico e di mercato.
Si confronterà allora con il valore di mercato non quello di costo (nel nostro esempio 96, il valore
che troviamo nel conto Titoli) ma il valore attuale, ossia Titoli + Ratei, 96 + 2 nel caso proposto!
TITOLI ZERO COUPON
Si ripete del tutto identicamente quanto detto per gli scarti, l’unica particolarità è che in questo
caso si possono proporre delle alternative di contabilizzazione.
Infatti potremmo decidere di valutare il valore dell’attività in base al prezzo di emissione come al
valor nominale (si pensi al riguardo alla perfetta analogia con i Prestiti attivi).
d
Titoli
a
Diversi
a
Banca
a
Interessi attivi
100
96
4
Al 31/12 poi si risconteranno gli interessi con la scrittura
d
Interessi attivi
a
Risconti passivi
1
1
Oppure si potrebbe pensare di scrivere all’acquisto
d
Titoli
a
Diversi
a
Banca
a
Risconti passivi
100
96
4
e al 31/12
d
Risconti passivi
a
Interessi attivi
4
4
o, sbizzarrendoci ulteriormente, potremmo calcolare in anticipo la quota di risconti e di interessi di
competenza.
AZIONI
A proposito delle azioni, osserviamo che queste non sono altro che i titoli a reddito variabile per
antonomasia. Infatti danno diritto alla riscossione del dividendo, la cui erogazione però può anche
non essere deliberata dalla assemblea e, ugualmente, l’ammontare dell’eventuale dividendo è
stabilito di volta in volta. Il codice civile denomina le azioni “partecipazioni” ma ciò non è
esattissimo in quanto si può detenere azioni anche senza il proposito di “partecipare” alla società
emittente.
Per evidenti motivi pratici il dividendo si ritiene di competenza dell’esercizio in cui viene riscosso:
infatti le società d’azioni devono appena redigere nella prima parte del nuovo anno il bilancio del
precedente sulla base del quale stabilire l’eventuale erogazione del dividendo e pertanto l’impresa
azionista non può contabilizzare al 31/12 passato il dividendo che non sa se riscuoterà né avrebbe
senso procedere ogni volta ad onerose rettifiche di ricavi di esercizi precedenti… Anche per quanto
riguarda l’acquisto si omettono tutte le complicazioni legate a ratei etc…
55
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Nel C/E relativamente alle azioni avremo la contabilizzazione dei dividendi e le eventuali
svalutazioni e rivalutazioni.
Per quanto riguarda i criteri di valutazione si può ricorrere al solito criterio del costo oppure al c. d.
metodo del Patrimonio Netto, che si basa sostanzialmente sulla valutazione del patrimonio netto
dell’impresa partecipata corrispondente alla quota di partecipazione posseduta dalla partecipante.
Naturalmente il patrimonio netto di un’azienda si modifica di anno in anno non fosse altro che per
l’incidenza dei risultati d’esercizio e di conseguenza potrebbero nascere di anno in anno plusvalori
non realizzati in corrispondenza dei quali, per il postulato di prudenza, bisognerà istituire una
riserva. Tale metodo di valutazione viene impiegato per le partecipazioni in società controllate o
collegate.
56
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 16
FINANZIAMENTI:
PRESTITI PASSIVI E OBBLIGAZIONI
Esistono due possibilità per la contabilizzazione dei finanziamenti che l’impresa si procura: a valor
nominale (dunque valore di rimborso del debito) o a valore attuale (pari alla somma incassata nel
momento in cui si contrae il debito).
Supponiamo:
Valor nominale
Valore attuale
1.000
990
Contabilizzazione a V. N.
d
Diversi
d
Banca
d
Interessi passivi
a
Prestiti passivi
1.000
990
10
La quota di interessi passivi è pari alla differenza fra valore alla data di rimborso e valore attuale:
infatti si è concordato che per ricevere 990 nell’epoca 0, l’impresa dovrà corrispondere 1.000 a
scadenza. Si noti che gli interessi sono qui rappresentati in via anticipata, mentre il loro pagamento
avviene in via posticipata (quando verranno restituiti i 1.000)! Si parla allora di “liquidazione in via
anticipata degli interessi”, intendendo con il termine “liquidazione” la determinazione di valore della
posta e la sua rappresentazione, non il pagamento.
Se l’operazione inizia e termina nell’arco di un esercizio, alla scadenza la scrittura è banale.
d
Prestiti passivi
a
Banca
1.000
1.000
Se invece il rimborso avverrà nell’esercizio successivo, dovremo calcolare la quota di interessi
passivi di competenza dell’esercizio. Al 31/12 quindi
d
Risconti attivi
a
Interessi passivi
6
6
immaginando pari a 4 la quota di interessi di competenza del primo esercizio.
Si faccia attenzione che nel conto Interessi passivi non si accredita una rettifica, bensì… un ricavo
per il servizio di finanziamento acquistato ma non ancora goduto! Allora il saldo del conto avrà
valore di costo di utilizzazione del servizio.
Se al 31/12 sommassimo algebricamente il saldo del conto Prestiti passivi (che corrisponde al V. N.
di detto prestito) e quello del conto Risconti attivi otterremmo il valore attuale alla data di bilancio
del prestito! Ciò in ossequio al principio generale secondo cui tutti i debiti con interesse esplicito
devono essere iscritti in bilancio per il loro valore attuale alla data di redazione dello stesso. In
questo caso l’indicazione del valore attuale è composita in quanto spezzata in due componenti
iscritte in diverse sezioni dello Stato patrimoniale.
57
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Contabilizzazione a V. A.
È però anche ipotizzabile contabilizzare il prestito a valore attuale alla data di contrazione.
d
Banca
a
Prestiti passivi
990
990
Se l’operazione si conclude nel medesimo esercizio (potrebbe trattarsi di un’anticipazione bancaria
ad esempio), sarà
d
Diversi
d
Prestiti passivi
d
Interessi passivi
a
Banca
1.000
990
10
La rappresentazione degli interessi – al pari del pagamento – sarà allora posticipata.
Se l’operazione copre l’arco di due esercizi, basterà accreditare un conto di Ratei passivi per il
debito in denaro pari agli interessi passivi di competenza del primo esercizio.
d
Interessi passivi
a
Ratei passivi
4
4
In questo caso per avere il valore attuale del debito alla data di bilancio, non occorrerà che
sommare valore del prestito più valore del rateo.
PRESTITI OBBLIGAZIONARI
I prestiti obbligazionari vengono emessi soltanto da società di capitali, ossia tipicamente S.p.A e
S.r.l. È stabilito un ben preciso limite all’ammontare dei debiti obbligazionari: questi non possono
essere complessivamente superiori al valore del capitale sociale versato, in quanto quest’ultimo
rappresenta la garanzia generica per detti prestiti.
Le obbligazioni possono essere emesse alla pari, sopra o sotto la pari e devono essere iscritte
sempre a valore nominale. Una particolarità di tale tipo di prestito è il pagamento periodico degli
interessi, alla cui riscossione, come abbiamo visto, dà diritto la presentazione della relativa cedola.
Anche le obbligazioni, al pari degli altri titoli, possono essere a tasso fisso, variabile o indicizzato;
solitamente il tasso è variabile. Possono inoltre prevedere il pagamento di premi (per delle
obbligazioni estratte a sorte).
Per quanto attiene all’estinzione del debito, si danno due possibilità:
OBBLIGAZIONI ORDINARIE
si estinguono con la restituzione del capitale
OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI
si estinguono mediante conversione in azioni
Naturalmente dev’essere previsto il rapporto di conversione di quest’ultima categoria di azioni;
solitamente esso è espresso come numero di azioni per numero di obbligazioni, considerando per
entrambe il rispettivo valore nominale.
Rapporto di conversione alla pari
Lo possiamo esprime come 1 : 1, ossia per ogni obbligazione dal V. N. di 1.000 – poniamo – si
riceve un’azione dal V. N. di 1.000.
58
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Rapporto di conversione sopra la pari
Si potrebbe però dare anche il caso che ad ogni cinque obbligazioni corrispondano solamente 4
azioni, ossia che 5 obbligazioni si estinguono ricevendo in cambio 4 azioni. Ciò è possibile perché le
azioni possono sempre essere emesse sopra la pari (quindi facendole pagare più del loro valore
nominale).
Non esiste invece mai l’emissione di azioni sotto la pari, ad esempio un’azione dal V. N. di 1.000
pagata 990, perché allora si ingenererebbe un annacquamento del capitale: risulteremmo infatti
più ricchi di 1.000 quando invece non abbiamo incassato che 990!
Immaginiamo ora
Prestito obbligazionario V.N.
r
1.000
6%
Godimento
1/1 – 1/7
Il prestito è emesso alla pari per il capitale.
Il caso più semplice è quello in cui si trovi un unico ente sottoscrittore, che sottoscriva tutto
l’ammontare del prestito in un’unica soluzione. Il titolo viene emesso e sottoscritto il giorno in cui
inizia il godimento della prima cedola.
_______________________________
d
Banca
a
01/01/20X0
______________________________
Prestiti obbligazionari
1.000
1.000
opp. Obbligazioni c/capitale
Talvolta si distingue la sottoscrizione, ossia l’impegno a versare il capitale, dal versamento vero e
proprio, benché le due operazioni avvengano – come qui si suppone – contestualmente.
d
Crediti v/obbligazionisti per obbligazioni da sottoscrivere
1.000
opp. Obbligazionisti c/sottoscrizioni
d
Banca
a
Prestiti obbligazionari
a
Crediti v/obbligazionisti…
1.000
1.000
1.000
Se il pagamento avviene successivamente, invece, si dovrà pagare non solamente il prezzo
d’emissione del puro capitale, pari al C. S., ma anche la quota di interessi a cui non si ha diritto
sulla cedola in corso di maturazione. La società emittente cioè farà pagare all’obbligazionista anche
gli interessi maturati fino alla data del pagamento e a scadenza della cedola verseremo
l’ammontare dell’intera cedola maturata. Naturalmente non è che la società che si indebita goda di
interessi attivi facendo pagare la maggiorazione di cui stiamo trattando e neppure si potrà parlare
di rettifica di interessi passivi, saranno unicamente dei debiti a breve termine! (Infatti quello che in
più la società incassa lo dovrà pagare alla scadenza della cedola…) Gli interessi passivi sono
solamente quelli dall’emissione alla scadenza della cedola: i debiti a breve “saltano fuori” soltanto a
causa del meccanismo delle cedole, che non possono essere frazionate… L’ammontare dei ratei
passivi in questione è anche detto talvolta interesse di conguaglio.
59
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
_______________________________
d
Banca
01/04/20X0
______________________________
a
Diversi
1.015
a
Prestiti obbligazionari
a
Ratei passivi
1.000
15
Se l’emissione avviene sopra o sotto la pari, avremo a che fare rispettivamente con degli aggi o dei
disaggi di emissione.
AGGI DI EMISSIONE
maggiori interessi da pagare a scadenza
DISAGGI DI EMISSIONE
minori interessi da pagare a scadenza
È necessario suddividere tali aggi o disaggi in base alla competenza!
Di norma gli scarti di emissione vengono immediatamente riscontati per il loro intero ammontare e
poi si procederà a diminuire via via il risconto.
SPESE DI EMISSIONE
Esiste poi il problema delle spese di emissione, cioè tutti quegli oneri connessi al collocamento delle
obbligazioni sul mercato: si tratta di costi accessori che non sono tutti di competenza dell’esercizio
in cui avviene l’emissione. Possiamo assimilare tali spese a servizi di uso durevole: nello Stato
patrimoniale le indicheremo fra le Immobilizzazioni immateriali (B I 7) come Spese di emissione
obbligazioni che andranno ammortizzate per tutto il periodo in cui il prestito sarà in essere (cfr. il
piano dei conti proposto ne Il metodo contabile, M. Fanni, L. Cossar).
RIMBORSO
L’ipotesi più semplice è quella del rimborso in un’unica soluzione.
d
Prestiti obbligazionari
a
Banca
1.000
1.000
opp. Debiti v/obbligazionisti per rimborso obbligazioni
opp. Obbligazionisti c/rimborsi
Accrediteremo il conto di debiti se vorremo evidenziare la trasformazione del debito obbligazionario
– a medio-lungo termine – in un debito a brevissimo termine.
Altrimenti si potrebbe dare il caso di un rimborso parziale con estrazione a sorte di un certo
numero di obbligazioni da rimborsare. Le scritture contabili sono analoghe, solamente che il debito
non si estingue per la sua interezza.
Un unico elemento in più di complessità si presenta quando l’emissione delle obbligazioni è stata
sopra o sotto la pari: in questo caso si dovrà ridurre in proporzione la quota di risconto (nato in
contropartita all’aggio o disaggio d’emissione) ancora in essere in relazione alle obbligazioni
estratte.
Si ricordi poi che per quanto riguarda le obbligazioni c’è anche un capital gain che va tassato e sul
quale si dovrebbero effettuare le ritenute a titolo di imposta.
60
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Rimborso con acquisto obbligazioni proprie
Un altro metodo per estinguere le obbligazioni è quello di acquistarle sul mercato per poi annullarle
immediatamente o detenerle fino a scadenza.
I Principi Contabili Nazionali prescrivono in questo caso di iscrivere le obbligazioni proprie – sempre
al V. N. – in detrazione ai prestiti obbligazionari e dunque non fra le immobilizzazioni finanziarie.
Naturalmente l’impresa avrà convenienza all’acquisto delle proprie obbligazioni se disporrà di
sufficiente liquidità e il corso secco sarà sotto la pari.
Supponiamo
V. N. obbligazioni proprie
1.000
C. S.
950
Molti scrivono:
d
Obbligazioni proprie
a
Banca
d
Prestiti obbligazionari
a
Diversi
a
Obbligazioni proprie
a
Interessi passivi
950
950
1.000
950
50
Infatti quei 50 non rappresentano una quota di proventi finanziari, bensì un minor interesse
passivo. Alcuni inoltre interpretano tale componente di reddito come straordinaria perché i minori
interessi passivi di fatto si riferiscono anche ad interessi di esercizi precedenti e il ragionamento
non è del tutto errato…
Ricordiamo poi di tener conto di eventuali Risconti attivi o passivi per disaggi o aggi di emissione,
da ridurre in proporzione all’acquisto di obbligazioni proprie. La scrittura è lasciata per esercizio al
lettore.
Nel caso in cui le obbligazioni non venissero annullate ma tenute eventualmente in vista di una
futura rivendita – fatto comunque improbabile – si potrebbe addebitare direttamente il conto
elementare di Prestiti obbligazionari.
Nel caso di cedole in corso di maturazione, si pone una problematica analoga a quella del corso tel
quel nel caso di acquisto di titoli generici: evidentemente non potremo addebitare un rateo attivo,
perché l’impresa non si pagherà a scadenza della cedola gli interessi sulle sue obbligazioni,
semplicemente avremo a che fare con una quota di interessi passivi che spettano al venditore per il
periodo in cui ha maturato interessi sulla cedola.
Quindi
d
Diversi
d
Obbligazioni proprie
d
Interessi passivi
d
Prestiti obbligazionari
a
Banca
T. Q.
C. S.
“Rateo”
61
a
Diversi
a
Obbligazioni proprie
a
Oneri e proventi finanziari
1.000
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
(“Rateo” è fra virgolette per segnalare il fatto che non si tratta di un vero rateo, ma che
semplicemente l’importo è calcolato nel medesimo modo dei ratei attivi nell’acquisto di titoli.)
Obbligazioni convertibili
È un caso che si può dare anche per prestiti diversi da quelli obbligazionari, ossia la società può
procedere al consolidamento del finanziamento convertendolo in capitale netto.
Pertanto avremo due operazioni contestuali: estinzione del prestito ed aumento del capitale sociale.
Se può aiutare a ragionare, è come se aumentassimo il capitale e con la liquidità apportata
estinguessimo il debito…
Rapporto di conversione alla pari
In tal caso non ci sono problemi:
d
Prestiti obbligazionari
a
Capitale sociale
1.000
1.000
Rapporto di conversione sotto la pari
Chiaramente, se per delle obbligazioni del V. N. di 1.000 ricevo azioni dal V. N. di 900 – tanto per
fare un esempio – ciò significa che ho pagato 1.000 ciò che vale 900, ossia che ho versato un
sovrapprezzo rispetto al V. N. di ciò che ho acquistato. Allora:
d
Prestiti obbligazionari
a
Diversi
1.000
a
Capitale sociale
900
a
Fondo sovrapprezzo emissione azioni
100
PAGAMENTO PRECEDENTE AL GODIMENTO DELLA PRIMA CEDOLA
Potrebbe anche avvenire che vengano emesse obbligazioni con data di godimento 1/4 - 1/10, la
prima cedola in assoluto inizia a maturare il primo aprile, ma le obbligazioni sono acquistate e
pagate precedentemente, ad esempio il 20/3. Cosa significa? Nient’altro che dovranno essere
corrisposti interessi anche per il periodo di finanziamento dal 20 marzo al primo aprile, ma tali
interessi non potranno essere inclusi nel valore della prima cedola! Allora semplicemente
l’acquirente pagherà meno le obbligazioni. La quota di interesse passivo si calcola esattamente
come al solito…
d
Diversi
d
Banca
d
Interessi passivi
a
Prestiti obbligazionari
62
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 17
LEASING3
Il leasing è un contratto atipico dalla natura ibrida, riunisce infatti in sé caratteristiche di due
differenti negozi giuridici, la compravendita (= trasferimento di proprietà) e la locazione. In pratica
mi viene fornito un bene in locazione per un certo periodo di tempo, al termine del quale posso o
meno avvalermi di un’opzione, vincolante per la controparte (al punto che viene già stabilito il
prezzo) di acquisto del bene in questione. Esistono due tipologie contrattuali che vanno sotto la
denominazione di leasing e che presentano caratteri differenti.
il
LOCATORE:
produttore
del
bene
o
altro
soggetto ad esso legato da vincoli societari. Non
esiste una vera e propria società di leasing.
TIPOLOGIA DI BENE: indifferenziato (es. vagoni
ferroviari).
VITA
LEASING OPERATIVO
UTILE
DEL
BENE:
solitamente
molto
maggiore del periodo di locazione (se il riscatto
non viene esercitato, il locatore lo può locare a
successivi clienti).
RISCATTO: quasi mai esercitato.
SERVIZI
AGGIUNTIVI:
sono
uno
dei
motivi
principali che spingono a concludere questo
contratto: vengono forniti dal locatore servizi
(es. manutenzione) che solitamente non sono
ottenibili da soggetti terzi.
LOCATORE:
società
di
finanziamento
che
acquista in proprio il bene da un produttore.
TIPOLOGIA
LEASING FINANZIARIO
DI
BENE:
altamente differenziato,
risponde alle esigenze specifiche del locatario.
RISCATTO: il prezzo è pressoché simbolico tanto
da rendere quasi ovvio il riscatto.
SERVIZI AGGIUNTIVI: non sono forniti.
Nel primo caso non si pongono grossi problemi: contabilizzeremo i canoni ordinari come se si
trattasse di Fitti passivi, quindi
d
Canoni di leasing
a
Debito/Cassa
Solitamente poi il locatore richiede il pagamento di un maxi-canone iniziale quale tutela per
l’adempimento contrattuale della controparte. Poiché si tratta di un costo che riguarda l’intero
orizzonte temporale su cui si estenderà la locazione, dovrò registrarlo d’anno in anno per
3
Lezione tenuta dal Prof. B. De Rosa.
63
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
competenza, per cui, usando numeri meramente esemplificativi, nel primo esercizio avremo una
scrittura del tipo
d
Risconto attivo per maxi-canone
a
Cassa
100
100
d
Canone di leasing
a
Risconto attivo 10
10
La seconda tipologia di leasing è invece molto più interessante. Abbiamo infatti a che fare con un vero e proprio
finanziamento camuffato da locazione. La sostanza economica è equivalente al contrarre un prestito con un istituto
di credito e acquistare con la somma mutuata il bene di cui necessitiamo. Economicamente questa duplice
operazione comporterà il pagamento periodico delle rate di ammortamento del mutuo (con una quota capitale e
una interessi) e l’annuale ammortamento del bene. Nel codice civile è previsto che si ripristini la sostanza economica
del leasing finanziario soltanto in nota integrativa, pertanto le scritture contabili saranno tenute come se si trattasse
di una locazione qualsiasi, ferma restando la raccolta dei dati significativi al fine del restauro d’informativa richiesto.
Se volessimo però una rappresentazione fedele in contabilità generale, si dovrebbe pensare di accendere, nella serie
elementare, un conto di attività in corrispondenza del bene locato (= come fosse acquistato, tanto i rischi
solitamente connessi al passaggio di proprietà ce li accolliamo da subito), il relativo Fondo ammortamento, un conto
di passività in relazione al capitale mutuato col finanziamento; nella serie derivata invece si dovrebbe trovare
l’ammortamento e la movimentazione del conto Interessi passivi (per la quota interessi implicita nel valore
complessivo del periodico canone).
Un problema non banale si pone in merito a come stimare rispettivamente bene e debito.
Una via potrebbe essere quella della stima separata: il bene in base al valore che ha sul mercato attivo (entry value)
o il suo costo di (ri)produzione e il debito, supponiamo, a valore nominale. In questo caso il valore del debito
supererà quella del bene, poiché vi sono compresi gli interessi.
Potremmo immaginare una scrittura
d
Diversi
d
Bene
d
Risconto attivo v/locatore
a
Debito
120
100
20
Ogni anno avremo poi
d
Ammortamento
a
Fondo ammortamento 10
10
d
Interessi passivi
a
Risconto attivo
10
10
dove la quota di interessi valutata sulla differenza V. A. – V. N. del debito. Man mano poi che vengono pagati i
canoni il debito decresce. Come si vede qui il canone non compare esplicitamente ma abbiamo una scrittura
permutativa.
d
Debito
a
Cassa
xx
xx
Questo genere di soluzione era stata proposta in Italia, dal professor Viganò.
Lo IAS 17 invece propone una contabilizzazione nella quale i valori di debito e bene siano stimati inizialmente uguali,
solo in seconda battuta divergeranno.
Si parte stimando il debito, che non può essere valutato a V. N. perché ciò implicherebbe una valutazione del bene
gonfiata dalla remunerazione dei servizi finanziari. Pertanto si opterà per un V. A., ossia il valore ad oggi della
somma dei canoni futuri. Per attualizzare un importo devo però fissare un tasso di interesse (o sconto): in questo
64
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
caso sceglierò il saggio di rendimento interno dell’operazione. Poiché però questo calcolo potrebbe non essere
praticabile, mi servirò del tasso marginale di finanziamento per il locatario (in sostanza il tasso che mi praticherebbe
la banca se mi finanziassi presso di essa per l’acquisto del bene).
Le scritture saranno
d
Automezzi
a
Debito v/società di leasing
100
100
d
Ammortamento
a
Fondo ammortamento
10
10
d
Interessi passivi
a
Debito
10
10
d
Debito
a
Cassa
25
25
supponendo come tasso di interesse il 10% e un canone fisso di 25. Il meccanismo consiste nella progressiva
rivalutazione del debito in base alla formula consueta 100 x (1 + i)¹ (per il primo anno). Il pagamento del canone
diminuisce il debito (si sborserà un importo che comprende sia una quota interessi che capitale – 10 e 15
nell’esempio del primo anno), su questo debito residuo si calcoleranno i nuovi interessi e così via, con un
andamento, se lo dovessimo raffigurare con un grafico, a “schiena di drago” decrescente: il debito che sale per
rivalutazione, scende per pagamento del canone, risale un po’ meno per seconda rivalutazione, riscende e così
avanti…
65
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 18
APPORTI E RIMOBORSI DI CAPITALE
Posso essere apportati moneta, beni in natura, crediti in moneta, altre attività materiali o
immateriali. Ricordiamo che sarebbe opportuno suddividere il conto Capitale sociale nei sottoconti
Capitale d’apporto e Riserve incorporate, per distinguere la sua diversa origine.
La scrittura è banale
d
Diversi
a
Capitale sociale/Capitale d’apporto
d
Banca c/c
d
Crediti v/soci (Azionisti c/sottoscrizioni)
Se l’aumento del capitale sociale non viene sottoscritto in un’unica soluzione, come si è
presupposto sopra, useremo un conto transitorio Fondo per aumento del capitale sociale in corso,
che verrà girato al conto di capitale sociale a sottoscrizione completata.
Ricordiamo che potrebbero venir conferite anche passività, come nel caso di conferimento d’una
azienda intera.
L’aumento di capitale solitamente avviene con prezzo delle azioni superiore al loro valor nominale
(mai inferiore!). Esiste cioè un sovrapprezzo, al quale si aggiunge una quota per il rimborso delle
spese di emissione e di conguaglio di interessi (non sarebbe equo che sottoscrivendo un’azione a
dicembre ricevessi il mio bel dividendo pari a quello di chi ha fornito il capitale già nei mesi
precedenti e poiché il dividendo non è modificabile ad personam, si ottiene lo stesso risultato
maggiorando il prezzo delle azioni in ragione del tempo).
Il sovrapprezzo teorico è pari alla differenza (positiva) fra valore contabile del capitale netto e
capitale sociale diviso il numero delle vecchie azioni.
Non è detto che si applichi pedissequamente questa formula: se le azioni sul mercato sono quotate
meno del valore che avrebbero col sovrapprezzo teorico, devo emetterle a questo minor valore
(comunque mai a meno del valore nominale) perché altrimenti un investitore sarebbero stupido a
comprare le nuove azioni più care anziché quelle più a buon prezzo già sul mercato. Se invece le
azioni fossero quotate di più, sarà conveniente fissare un sovrapprezzo superiore a quello teorico.
Valgono le seguenti disuguaglianze V. N. ≤ PREZZO ≤ VALORE DI MERCATO, oppure VALORE
DI MERCATO ≤ V. N. ≤ PREZZO (potrebbe essere un caso nel quale i vecchi azionisti fanno un
sacrificio…), 0 ≤ SOVRAPREZZO (< +∞).
Esistono anche apporti che non si configurano come aumenti di capitale sociale, ad esempio
donazioni, lasciti, contributi in conto capitale (cfr. Lezione 8)…
È possibile inoltre aumentare solo virtualmente il capitale sociale con l’incorporazione di riserve.
Avremo in dare il conto di riserva (che non deve essere vincolata quanto a destinazione!) e in
avere quello di Capitale sociale/Riserve incorporate. Per distribuire una riserva basta la
deliberazione dell’assemblea ordinaria, nel momento però che essa viene incorporata al capitale
sociale, se la si vorrà liberare si dovrà procedere ad una riduzione del medesimo, stabilita in
assemblea straordinaria.
Se fin dall’origine, nell’atto costitutivo, non è specificato il valore unitario di un’azione, posso
ritirare tutte le vecchie azioni e sostituirle con nuove di maggior valore (ma diventa problematico
66
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
con un azionariato diffuso) oppure emettere più semplicemente nuove azioni da distribuire
gratuitamente.
Fra le riserve disponibili rientra quella legale, nella parte eccedente il minimo di legge. È possibile
anche incorporare fondi di capitale d’apporto originariamente esterni al capitale sociale (v. sopra).
RIMBORSI DI CAPITALE
Sappiamo che non sempre variazioni di C. S. o C. N. sono correlate, potrebbe rimanere costante
l’uno e salire l’altro o viceversa. Nel caso di rimborso del capitale, diminuisco sia C. N. che C. S.: si
rimborsa in misura pari, maggiore o uguale all’apporto. Esistono due modalità con cui effettuare
quest’operazione, o riducendo legalmente il capitale (con riduzione del valore delle azioni in
circolazione o sorteggio, rimborso e annullamento di un certo numero di azioni, simmetricamente
a quanto avviene nel caso di aumento) oppure, come vedremo, tramite l’acquisto di azioni proprie
(v. Lezione 19).
Nel primo caso, con valore di rimborso pari al V. N.
d
C. S./Capitale d’apporto
a
Banca (Debiti v/azionisti per capitale rimborsato)
e se vi fossero riserve incorporate, sarebbe corretto diminuire proporzionalmente il capitale
apportato e l’autofinanziamento.
Se il rimborso eccede il V. N., es. 100 V. N. e 130 V. R.
d
Diversi
a
Banca
130
d
C. S./ C. A.
d
Fondo sovrapprezzo emissione azioni
(se c’è)
20
d
Altri fondi di riserva
10
100
supponendo che vi sia una quota di 10 per l’utile in corso di formazione.
Non è frequente il rimborso al di sotto del V. N. (potrebbero esserci perdite ancora da coprite, ad
esempio), perché il rimborso si abbina piuttosto ad una situazione di capitale esuberante.
Ugualmente il C. S. si riduce per V. N. e dunque
d
C. S./ C. A.
a
Diversi
100
a
Banca
a
Fondo particolare di C. A. 10
90
dove quest’ultimo fondo sarà opportuno denominarlo Fondo eccedenza riduzione del capitale
sociale (sul valore delle azioni).
67
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 19
ACQUISTO AZIONI PROPRIE
In merito a questo argomento è esistita una lunga diatriba fra coloro che consideravano le azioni
proprie equivalenti a qualunque altro titolo (tant’è che la società vi può speculare, comprando a
poco e rivendendo a molto) e coloro (fra cui la scuola tergestina) che li consideravano valori tutti
particolari.
Se ci riflettiamo, l’acquisto azioni proprie è equivalente ad un rimborso in via informale, perché gli
azionisti vendono le azioni e riottengono indietro il capitale e la società non può essere azionista di
se stessa!
Si badi a non riprodurre la scrittura solitamente proposta dai manuali
d
Azioni proprie
a
Banca
950
d
Fondo di riserva straordinario
a
Fondo di riserva azioni proprie
in portafoglio
1.000
950
1.000
come non ha senso parlare di “stima” delle azioni proprie! L’interpretazione di queste azioni quali
titoli qualunque crea numerosi problemi, per esempio la svalutazione delle azioni: che fine fa la
riserva (obbligatoria per legge), diventa disponibile in parte? E se il valore risale? Si ripristina la
riserva, ma se non ci sono utili da adoperare? Si badi poi a non confondere la Riserva per azioni
proprie in portafoglio con quella, di cui parleremo, per acquisto azioni proprie.
Una corretta rappresentazione contabile, che tiene conto anche dei dettami civilistici, i quali
contrastano (per ora) con l’interpretazione del rimborso, prevede invece la preliminare creazione di
un Fondo di riserva per acquisto azioni proprie, ossia
X
Fondo per acquisto azioni proprie (R.A.A.P.)
X1
Quote disponibili
X2
Quote indisponibili
X3
Azioni proprie
X1 e X2 vanno nel C. N., X3 è un conto derivato ma figura sul lato sinistro dello stato patrimoniale
(come elemento negativo del C. N.) per ottemperare alle disposizioni di legge, procedimento brutto
ma funzionale così stante le cose.
Acquisto
Dopo che
l’assemblea ha determinato il massimo importo da destinare all’acquisto delle azioni
proprie, si alimenta X1 per, poniamo, 1.000.
All’atto dell’acquisto, diciamo a 950,
dovrò sottrarre ai 1.000 di X1 950 (la quota disponibile
rimane dunque 50) e accreditarle in X2, contemporaneamente all’addebitamento di X3.
Le scritture contabili sono
d
C. S./Capitale d’apporto
a
Banca
950
950
d
R.A.A.P./Azioni proprie
a
C. S./Riserve incorporate
950
950
d
R.A.A.P./Quote disponibili
a
R.A.A.P./Quote indisponibili
950
950
68
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
si evidenzia così dapprima la natura di rimborso, successivamente, poiché il capitale sociale non
può risultare inferiore a seguito dell’operazione, ripristino il valore incorporando parte della riserva
e naturalmente le quote dovranno passare da disponibili ad indisponibili.
Le azioni proprie poi si possono annullare o rivendere, in tutto o in parte.
Annullamento
In questo caso sarà
d
Diversi
d
C. S./Riserve incorporate
d
C. S./Capitale d’apporto
d
R.A.A.P./Quote indisponibili
a
Diversi
950
50
a
R.A.A.P./Quote disponibili
950
a
Fondo eccedenza riduzione del capitale
sociale su acquisto azioni proprie
a
R.A.A.P./Azioni proprie
950
50
950
infatti la quota ideale di capitale d’apporto era stata già diminuita di 950 con l’acquisto/rimborso,
poiché l’annullamento di quel numero di azioni comporta una diminuzione di 1.000 a livello
nominale, dal capitale d’apporto basterà togliere ulteriori 50 (che non sono però stati
materialmente rimborsati e pertanto confluiscono nel Fondo eccedenza) e scorporare le riserve (il
C. S. deve comunque risultare minore di 1.000 rispetto a prima dell’acquisto!) che ritorneranno
disponibili.
Rivendita
In generale avremo un prezzo di rivendita superiore a quello di acquisto, ad esempio 990. Ciò
significa che rientra capitale d’apporto, che incorporo per 990, 950 nel sottoconto di Capitale
sociale e 40 in un Fondo particolare di capitale d’apporto (infatti il capitale sociale non può
formalmente risultare aumentato: con questo gioco di acquisto e rivendita è in circolazione sempre
il medesimo numero di azioni, del medesimo V. N., quindi il C.S. è invariato, ciò che ha ottenuto la
società è stato di procacciarsi 40 in più di conferimenti acquistando dagli uni a 950 titoli che si è
fatta poi pagare 9904) potendo così scorporare per 950 la riserva, che ritorna pienamente
disponibile (per 50 lo era rimasta, ora si aggiungono 950 e ritorna disponibile per 1.000 come in
origine).
d
Diversi
a
Diversi
d
Banca
990
d
C. S./Riserve incorporate
950
a
C. S./Capitale d’apporto
a
Fondo sovrapprezzo di rivendita
azioni proprie
a
R.A.A.P./Quote disponibili
4
950
40
950
Potremmo anche dire: rimborsando a 950 il V. N. di 1.000 la società ha trattenuto al suo interno 50 del
capitale originariamente apportato, ha poi piazzato sempre 1.000 di V. N. facendosi pagare 990, pertanto il
lucro complessivo che ne ha avuto è stato +50 -10 di capitale d’apporto.
69
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
d
R.A.A.P./Quote indisponibili
a
R.A.A.P./Azioni proprie
950
950
E che accadrebbe se invece di rivendere a 990, per qualche motivo rivendessimo a 900?
Chiaramente non esiste più nessun Fondo: la società con il precedente rimborso aveva trattenuto
50 di capitale d’apporto (v. nota 4), ora rinuncia a 100 sul V. N. di 1.000 vendendo a 900 e
pertanto sacrifica non solo quei 50 tesoreggiati ma rinuncia ad ulteriori eventuali 50, vedendosi
costretta a “sostenere” il valore del suo capitale sociale con una quota di 50 recuperata dalle
riserve (dunque autofinanziamento).5 Come in cassa sono usciti 950 e sono rientrati 900, così nei
conti del C. N. sono stati incorporati 950 di riserva che hanno potuto poi essere liberati solamente
per 900: il C. S. è di ammontare costante ma le Quote disponibili, che in precedenza valevano
1.000, ora hanno saldo 950 (50 mai mossi e 900 riaccreditati).
d
Diversi
d
Banca
900
d
C. S./Riserve incorporate
900
d
5
R.A.A.P./Quote indisponibili
a
Diversi
a
C. S./Capitale d’apporto
900
a
R.A.A.P./Quote disponibili
900
a
R.A.A.P./Azioni proprie
Il calcolo è +50 prima -100 poi = -50 complessivamente.
70
950
950
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 20
RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE PER COPERTURA PERDITE
Il Capitale sociale si compone di tre componenti: capitale d’apporto, eventuali riserve incorporate e
eventuali perdite coperte col capitale sociale.
È razionale in una prospettiva aziendalistica usare dapprima le riserve, cioè gli utili accantonati, per
coprire le perdite subite. Ricordiamo naturalmente che le Quote indisponibili della Riserva per
acquisto azioni proprie (o Riserva per azioni proprie in portafoglio, come le denomina la prassi
italiana) non sono utilizzabili per coprire le perdite perché di fatto è una riserva… che non esiste
(essendo stato rimborsato capitale con l’acquisto delle proprie azioni). Esistono poi particolari
riserve, sottoposte ad alcuni vincoli giuridici, che riguardano però l’ipotesi di distribuzione, non di
copertura perdite: è il caso della Riserva di rivalutazione, di cui parleremo e che accoglie i
plusvalori non realizzati conseguenti alla rivalutazione di elementi attivi, oppure il Fondo
sovrapprezzo emissione azioni che non può essere distribuito finché la Riserva legale non ha
raggiunto i minimi previsti dalla legge, o la stessa Riserva legale che può essere distribuita
solamente nei limiti della sua eccedenza rispetto al livello minimo legalmente imposto.
Solo esaurite le riserve si andrà ad intaccare il capitale d’apporto, ma dapprima quello contenuto
nei fondi particolari: tutta la normativa è infatti – sensatamente – tesa a preservare l’integrità del
capitale sociale.
Si sottolinea che assolutamente previsto che la Riserva legale venga adoperata per la copertura di
perdite!
La riduzione del Capitale sociale avviene generalmente diminuendo il valore nominale delle azioni in
circolazione, anche se nel caso di pochi soci è anche ammesso annullare un certo numero di azioni
in proporzione alle quote detenute da ciascun socio. In ogni caso è evidente che la riduzione non
potrà che avvenire per valori tondi, cioè non per unità né tanto meno centesimi di euro!
Nel caso in cui non vi siano riserve incorporate, si addebiterà il conto Perdite coperte col capitale
sociale per la parte di perdite ancora da coprire dopo aver usato tutti i fondi e le riserve disponibili
allo scopo e per la parte di riduzione del capitale giustificata dalla necessità di operare con valori
“tondi” si addebiterà direttamente il conto Capitale d’apporto, con la scrittura:
d
Diversi
d
CS/Capitale d’apporto
d
Perdite coperte col capitale sociale
a
Diversi
a
Perdite (parte residua da coprire)
a
Fondo eccedenza riduzione del
capitale sociale su perdite coperte
Il conto di Capitale sociale Perdite coperte avrà lo stesso importo di Perdite così come il Fondo avrà
lo stesso importo della riduzione del sottoconto Capitale d’apporto.
Se invece vi fossero riserve incorporate, si addebiterà tale conto fino a capienza: e le riserve non
fossero sufficienti per coprire la perdita avremmo ancora il conto Perdite coperte per la parte non
coperta, se invece non solo coprissero la perdita ma riuscissero ad “assorbire” almeno parte della
71
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
riduzione del capitale in eccedenza, ecco che tale parte di riduzione eccedente addebitata alle
riserve confluirà in una riserva generica, non nel Fondo anzi visto, per mantenere separato il
capitale derivante da autofinanziamento (riserve) e quello d’apporto (fondo). Nella pratica però si
evita questo rigore e si accredita direttamente un’unica riserva, denominata Riserva per riduzione
del capitale sociale o semplicemente “straordinaria”.
72
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
PARTE SECONDA
CENNI SUL BILANCIO ORDINARIO D’ESERCIZIO 6
6
Questa seconda appare molto ridotta rispetto alla Prima in quanto, per evitare inutili ripetizioni, si rimanda al
materiale didattico disponibile sul sito internet del corso, ai manuali consigliati dal docente e alla normativa
(codice civile, Principi Contabili Nazionali, gratuitamente scaricabili dal sito OIC www.fondazioneoic.it).
73
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 1
NOZIONI BASE SUL BILANCIO
I POSTULATI FONDAMENTALI
Normativa di riferimento
Il bilancio viene redatto secondo le norme del codice civile: nei punti poco chiari esse vengono
interpretate dai Principi Contabili Nazionali, i quali altresì suppliscono alla disciplina civilistica
laddove questa si riveli mancante.
Esistono inoltre le norme fiscali, applicate per valutare non il reddito economico bensì quello
imponibile, ossia il reddito in base al quale l’impresa dovrà pagare le tasse. Oggi, a differenza di un
tempo, non esiste più la subordinazione delle norme civilistiche a quelle fiscali e la determinazione
dei due tipi di reddito, economico (ossia il reddito valutato in una prospettiva squisitamente
aziendalistica) e imponibile, può avvenire indipendentemente l’una dall’altra.
Chi, cosa, come
CHI
L’obbligo della redazione del bilancio ricade sugli amministratori, i quali naturalmente si
possono avvalere della funzione amministrativa, ma sono sempre essi a rimanere i soggetti
responsabili dell’operazione.
COSA
Il bilancio è lo strumento fondamentale di informazione con il quale l’impresa comunica di dati
fondamentali che la concernono.
Il bilancio attualmente consta di tre parti.
Stato patrimoniale
BILANCIO
Conto economico
(oggi)
Nota integrativa
Un domani la sua partizione è destinata a mutare.
Stato patrimoniale
Conto economico
BILANCIO
Nota integrativa
(domani)
Prospetto delle variazioni
di capitale (netto)
Rendiconto finanziario
74
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Il Prospetto delle variazioni di capitale attualmente è una componente della Nota integrativa,
che così riceverà una propria autonomia; il Rendiconto finanziario, documento che rende conto
dell’equilibrio finanziario dell’impresa, è già un obbligo per le imprese quotate in borsa, che
devono infatti redigere il bilancio secondo i Principi Contabili Internazionali.
La Relazione sulla gestione non è parte integrante del bilancio e pertanto non è possibile
raggiungere gli obiettivi che il legislatore impone al bilancio anche in parte con l’ausilio di detta
relazione.
Inoltre
Il
Situazione patrimoniale
BILANCIO
Situazione finanziaria
deve fornire
Situazione economica
Naturalmente ciò equivale a presentare i tre diversi tipi di equilibrio dell’azienda:
Condizione che si verifica quando il capitale
EQUILIBRIO PATRIMONIALE
proprio (apporto e/o autofinanziamento) ha un
livello
adeguato
(impresa
adeguatamente
capitalizzata).
Capacità di mantenere in equilibrio entrate e
uscite monetarie. Condizione da raggiungere e
mantenere nel breve periodo. (Non può essere
EQUILIBRIO FINANZIARIO
perseguito a qualunque costo: se si ottiene la liquidità
di cui si necessita indebitandosi a tassi di interesse
altissimi, ad esempio, si intacca l’equilibrio economico
con i costi finanziari.)
Capacità
EQUILIBRIO ECONOMICO
di
produrre
reddito
in
misura
soddisfacente (non è detto “massima”) per
continuare
l’attività,
remunerando
quindi
adeguatamente il capitale di rischio. Condizione
non sempre raggiunta nel breve periodo.
COME
Esistono dei postulati fondamentali nella redazione del bilancio, fra i quali sussiste una ben
precisa gerarchia. L’art. 2423 2° comma cod. civ., trattandone, ricorre al verbo dovere, per
significare che la redazione del bilancio deve obbligatoriamente conformarsi ad alcuni principi di
base: il che vale a dire che la norma in esame non è derogabile.
75
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
L’articolo in questione cita due postulati: Chiarezza e Verità e correttezza. È quest’ultimo ad
essere il faro nella redazione del bilancio.
Verità :
si tratta di una verità relativa, infatti tutte le poste contenute nei documenti che
compongono il bilancio sono sottoposte a un processo di stima. Soltanto la cassa ha
un valore certo. Gli stessi depositi bancari, assimilati solitamente alla cassa, in
realtà non sono altro che crediti stimati nei confronti della banca!
Perché sia rispettato questo postulato: – non devono esserci omissioni
– si devono stimare razionalmente i valori
delle singole classi e delle loro sottoclassi,
infatti non si dimentichi che il capitale netto potrebbe essere razionalmente stimato
anche attraverso la stima irrazionale di attività e passività, purché le differenze
negative vengano compensate adeguatamente dalle positive.
Chiarezza :
non
significa
che
le
informazioni
contenute
nel
bilancio
devono
essere
immediatamente comprensibili a chiunque, anche sprovvisto di un’adeguata cultura
economico- aziendalistica. Dev’essere invece chiaro per coloro che tale cultura la
posseggono.
A tal fine è necessaria: - una adeguata classificazione
- equilibrio fra sintesi e analisi (non si può definire chiaro
un bilancio in cui siano esplicitati i valori di classi estremamente specifiche, ad
esempio distinguere i crediti commerciali nei crediti verso i singoli clienti!)
- adeguata Nota integrativa: è infatti fondamentale
commentare i dati del bilancio con linguaggio descrittivo.
Ad esempio nella N. I. è essenziale specificare i criteri di valutazione adottati.
Il codice civile inoltre prevede che in “casi eccezionali” (art. 2423 4° comma) gli amministratori
abbiano l’obbligo di derogare alle norme dettate dal legislatore qualora queste si rivelassero
incompatibili con una rappresentazione veritiera e corretta.
In questo caso si dovrà indicare nella N. I. il perché di tale deroga, in quale modo la deroga abbia
influito sulla valutazione di attività, passività e capitale netto e sul C/E.
Le deroghe possono essere di svariato genere: riguardare magari soltanto la classificazione oppure
deroga da particolari criteri di stima. Ad esempio: se l’impresa possiede terreni valutati al costo
storico di 100 che negli ultimi anni hanno raggiunto, per l’impennata dei prezzi sul mercato
immobiliare, un valore di 10.000, il valore storico dovrà essere rivalutato a valore di mercato e la
componente di reddito positiva che la rivalutazione genera dovrà essere iscritta in una riserva non
distribuibile, in quanto costituita da utili non ancora realizzati.
Esistono poi postulati di rango inferiore, enunciati nell’art. 2423bis cod. civ.: Prudenza, Continuità
aziendale, Prevalenza della sostanza sulla forma, Competenza, Comparabilità.
Prudenza :
in base a questo postulato si consiglia di valutare il capitale per valori prossimi al
minimo razionale, cosa che si ottiene valutando le attività a valori prossimi ai
minimi razionali e le passività a valori prossimi ai massimi razionali. In tal modo si
76
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
evita un’incauta distribuzione di utili che potrebbe essere nociva all’integrità del
capitale.
Infatti il principio della Prudenza può essere enunciato anche dicendo – come fa il
legislatore – che non si possono rappresentare in bilancio che gli utili realizzati
entro la data di chiusura dell’esercizio. Ciò perché l’utile realizzato ha terminato il
suo processo di formazione, il suo valore è stato accertato in un atto di scambio con
terze economie e pertanto ha raggiunto un livello di oggettività sufficiente, anche se
non necessariamente avremo a che fare con un valore assolutamente certo:
vendere non significa ancora riscuotere il prezzo, perché potremmo semplicemente
vantare un credito nei confronti dell’acquirente, ma ciò che è importante è che nel
bilancio non si iscrivano utili meramente potenziali.
Inoltre si può dimostrare come l’applicazione rigorosa di una contabilità a valori
storici porta necessariamente all’evidenziazione di utili o perdite realizzate, ma la
normativa si spinge ancora al di là nell’applicazione del postulato di Prudenza: gli
utili non realizzati non si possono far figurare, ma, al contrario, devono essere
iscritte le perdite anche se non realizzate.
Pertanto non si potranno rivalutare, ad esempio, le rimanenze se non nei limiti di
una precedente svalutazione, mentre sono previste le svalutazioni delle stesse.
Naturalmente ciò non significa che siano ammissibili svalutazioni irrazionali,
arbitrarie, in nome della Prudenza!
Oltre a ciò il legislatore ha pure previsto un superamento del principio di
Competenza imponendo di tener conto di perdite non realizzate delle quali si sia
venuti a conoscenza dopo il termine dell’esercizio (e chiaramente prima della
chiusura del bilancio…). Pertanto potremo ritrovare in un bilancio svalutazioni e
fondi rischi la cui costituzione è giustificabile solo in base a informazioni che si sono
ottenute dopo il 31/12.
Continuità aziendale : questo principio non indica precisamente quali criteri di valutazione
adottare, bensì quali non adottare.
Esistono infatti bilanci di funzionamento, quelli a cui fa riferimento la
norma, ossia quei bilanci redatti nella prospettiva della continuazione
dell’attività aziendale, e quei bilanci c. d. straordinari, redatti in occasione di
liquidazione o cessione dell’attività. I criteri di stima di un bilancio
necessariamente dipendono anche dalla finalità dello stesso.
Nel caso di cessione, si considererà quale servizio immateriale durevole
anche l’avviamento autoprodotto, per il quale l’acquirente giustamente
verserà un prezzo, e che altrimenti non si rappresenta in un bilancio di
funzionamento. Alcuni elementi patrimoniali dovranno essere rivalutati in
base ai prezzi correnti di rivendita o riacquisto etc...
Nel caso di liquidazione, l’avviamento (quello presente in un bilancio di
funzionamento, ossia l’avviamento acquistato) sarà ovviamente nullo, come
nullo sarà il valore di tante immobilizzazioni immateriali (si pensi alle Spese
77
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
di impianto e ampliamento…): ciò è dovuto al fatto che in fase di
liquidazione il patrimonio aziendale è destinato a venir smembrato in tante
componenti
da
vendere
singolarmente
e
chiaramente
queste
immobilizzazioni non hanno valore autonomo!
Or bene, il principio di Continuità aziendale indica appunto di non fare
riferimento ai criteri di stima che adotteremmo in questi casi eccezionali. Si
dia anche il caso di un’impresa in condizioni di grave dissesto finanziario ed
economico tali da far temere la prossima cessazione dell’attività: in tal caso
il bilancio sarà redatto quale bilancio di funzionamento, dunque sotto
l’ipotesi della continuità, ma incomberà agli amministratori l’obbligo, nella
Nota integrativa, di segnalare la scarsa verosimiglianza dell’ipoteso assunta.
Prevalenza della sostanza sulla forma :
il codice indica questo postulato imponendo di tener
conto della funzione economica degli elementi, attivi o passivi, considerati.
Competenza :
il codice civile stabilisce di “tener conto dei proventi e oneri di competenza
dell’esercizio indipendentemente dalla data di incasso e pagamento” (art.
2423bis 4°), dove per proventi e oneri si deve correttamente intendere
ricavi e costi.
Il postulato di Competenza può trovare molteplici espressioni, alcune delle
quali
difficili
e
di
non
immediata
operatività.
I
Principi
Contabili
Internazionali indicano la competenza nella correlazione (matching) fra costi
e ricavi, ossia un costo è di competenza quando ha trovato il suo ricavo
correlato nell’esercizio, ma a sua volta un ricavo è di competenza se ha
trovato il suo costo correlato…! Anche la dottrina italiana sostiene che i costi
che non hanno trovato il relativo ricavo rimangono sospesi e vengono
rinviati all’esercizio successivo.
Ricordiamoci però che l’oggetto di riferimento del C/E è la produzione: il
reddito non è altro che un aspetto della dinamica del capitale, generato
dalla produzione. La produzione poi la possiamo intendere svariatamente:
ottenuta, venduta, altro…, così da delimitare la quantità fisica di prodotti a
cui
intendiamo
fare
riferimento,
una
volta
fissato
l’arco
temporale
(tipicamente l’anno).
La produzione ottenuta poi si suddivide in produzione finita, non finita,
venduta, destinata alla vendita, all’uso interno o ad altri scopi.
Dopo aver enunciato il questo postulato, il codice impone di valutare separatamente gli elementi di
singole voci. Questo non è altro che un principio di razionalità nella valutazione: la stima razionale
di una voce è infatti il risultato della stima razionale delle singole voci che la compongono, ciò
significa che, nella categoria Merci, ad esempio, si dovrà tener conto delle differenze merceologiche
dei beni e non potremmo considerare nella medesima maniera un bagnoschiuma come un lucido da
scarpe.
Comparabilità :
i criteri di stima devono mantenersi costanti nel tempo al fine di permettere
la comparazione dei vari risultati economici. Infatti, se i valori di questi,
78
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
come abbiamo visto, non sono certi, ma soltanto razionalmente stimati,
assume una grande importanza poter almeno rendersi conto della loro
evoluzione temporale.
I presupposti della Comparabilità sono:
-
mantenere i criteri di stima
-
mantenere la medesima classificazione
-
separare componenti ordinarie e straordinarie di reddito.
L’impresa, nel bilancio d’esercizio, presenterà dunque affiancati sia i dati
dell’esercizio
in
questione
sia,
almeno,
i
dati
di
quello
che
l’ha
immediatamente preceduto. È possibile derogare in casi eccezionali,
modificando i criteri di stima, ma di ciò dev’essere data notizia nella Nota
integrativa, se ne deve spiegare il motivo e dimostrare l’influenza della
scelta sul C/E. Ciò non significa altro che ripristinare la comparabilità.
Significatività :
è un postulato che non esplicita direttamente il codice civile e che troviamo
formulato nei Principi Contabili. E detto anche “Materialità”. Significa che
bisogna fornite dati utili a processi decisionali dei destinatari del bilancio.
Non bisogna cioè subissarli di informazioni che per le scelte che possono
essere chiamati a fare siano totalmente ininfluenti; pertanto sono legittimi
arrotondamenti e semplificazioni, infatti la correttezza del bilancio è sempre
una correttezza “relativa”. Naturalmente la legittimità di tali semplificazioni
va valutata caso per caso: se si possono trascurare valori nell’ordine delle
migliaia per un’impresa che ha un giro d’affari nell’ordine dei miliardi, non
così sarà per un’impresa molto più piccola, che magari ha un risultato
economico di decine di migliaia.
Un esempio tipico è dato dal materiale di consumo, che rientra nelle
rimanenze di magazzino, e che comprende ad esempio i materiali necessari
alle pulizie. È impensabile che l’impresa tenga inventari di panni, scope,
detersivi… in questi casi o si considera tale rimanenza sempre zero, ossia si
è consumato tutto ciò che si è acquistato, oppure, nel caso ad esempio di
quantità significativa di tali materiali, si valuterà la rimanenza di ammontare
costante, per cui il consumo sarà sempre uguale al costo d’acquisto, meno
nell’anno in cui si è formata la rimanenza.
Proposte di modifiche
L’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) ha redatto delle proposte di modifiche agli articoli del
codice civile. Oltre alla specificazione che il Rendiconto finanziario potrà essere redatto in migliaia
di euro, vale la pene di citare la nuova formulazione dell’articolo 2423bis che delimita il campo di
applicazione delle norme civilistiche alle imprese che non sono tenute a redigere il bilancio secondo
i Principi Contabili Internazionali. Per quanto riguarda la Nota integrativa, le società quotate in
borsa dovranno però fornire le informazioni richieste dal codice e non previste dagli IFRS.
79
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Vengono ribaditi i postulati appena visti, esplicitando la prevalenza della sostanza sulla forma,
salvo diverse disposizioni di legge (si pensi al leasing finanziario, per il quale viene fatta prevalere
la forma in C/E e Stato patrimoniale ma di cui deve segnalarsi la sostanza nella Nota integrativa).
Quanto alla prudenza si sottolinea che non sono lecite arbitrarie sottovalutazioni. Si ribadisce di
segnalare la perdite, anche se note dopo la chiusura dell’esercizio. Si impone di rappresentare gli
utili realizzati alla chiusura dell’esercizio salvo diverse disposizioni di legge. Come si vede, si tratta
di un dettato meno forte di quello attualmente in vigore e che apre la strada a criteri di valutazione
diversi dal costo storico, ad esempio il fair value. Ciò renderebbe possibile l’evidenziazione in
bilancio anche di plusvalenze non realizzate, le quali andrebbero imputate direttamente al
patrimonio netto, ossia accreditate in una riserva apposita.
80
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 2
COMMENTI ALLA STRUTTURA
DI CONTO ECONOMICO E STATO PATRIMONIALE
Il testo della seguente lezione deve essere integrato con le diapositive scaricabili dall’area
download della Facoltà, alle quali vengono proposti alcuni commenti di carattere puramente
introduttivo.
OSSERVAZIONI GENERALI
La struttura dello Stato patrimoniale e del C/E quale prevista nell’art. 2425ter è una struttura
rigida, non modificabile in linea generale, anche se esistono alcune eccezioni; certamente non
modificabile è l’ordine delle classi.
Esistono tre livelli di classificazione: il primo indicato dalle lettere latine, il secondo dai numeri
romani, il terzo dai numeri arabi. Il terzo livello può essere ulteriormente suddiviso, ma in nessun
caso si può eliminare la voce da cui è originato questo ulteriore livello di analisi e di tale voce va
mantenuto anche l’importo.
Sono ammissibili raggruppamenti di voci qualora l’importo di ciascuna di esse sia irrilevante,
andando quindi nella direzione di una maggiore chiarezza, ma nella Nota integrativa si deve
mantenere la suddivisione analitica.
È invece obbligatorio aggiungere quelle voci il cui contenuto non sia stato previsto nella struttura
del C/E predisposta dal legislatore.
Devono venir presentati a sezioni divise e contrapposte i dati del bilancio presentato e almeno di
quello immediatamente precedente. Se, ad esempio, è stata modificata la classificazione da un
anno all’altro, è necessario rielaborare i dati del passato bilancio secondo la nuova classificazione,
altrimenti, qualora si rivelasse impossibile l’adattamento, si dovrà segnalare e commentare
opportunamente nella N. I. tale impossibilità.
Sono vietati i compensi di partite: non si può ciò compensare il credito che l’impresa vanta verso
un cliente con un eventuale debito nei suoi confronti o compensare conti correnti attivi e passivi
per il fatto che sono presso la medesima banca. La compensazione è ammessa solamente se è
necessaria alla corretta definizione della classe, come nel caso del valore originario del bene e del
fondo ammortamento relativo.
Sottolineiamo ora solo qualche aspetto nelle voci dei prospetti.
STATO PATRIMONIALE
Attivo
B
IMMOBILIZZAZIONI
La definizione delle immobilizzazioni in base al criterio della destinazione fa sì che debbano
iscriversi, ad esempio, fra le immobilizzazioni dei prestiti attivi di durata pluriennale e che come
tali vengano mantenuti nel bilancio anche se ormai si avvicina la data della loro estinzione.
I Costi (capitalizzati) di impianto e ampliamento, Pubblicità e promozione vendita e,
parzialmente, Ricerca e sviluppo sono destinati in un futuro prossimo a sparire dalle attività
immateriali: infatti sono tipici servizi di durata pluriennale che non si sa però se porteranno ad
81
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
una qualche utilità per l’impresa, si pensi al caso di una campagna pubblicitaria che non
sortisca alcun effetto. Capitalizzarli pertanto non corrisponde ad un comportamento prudente.
Nel caso delle Ricerca e sviluppo, bisogna ricordare che solo la ricerca applicata (sub
condicione, vedasi Principi Contabili doc. 24) e lo sviluppo possono essere capitalizzati, non
quella di base!
Brevetti: se la vita utile di un brevetto non può essere superiore alla durata massima del diritto
che rappresenta, essa può essere inferiore, si pensi al caso di un’invenzione brevettata per
vent’anni che diviene obsoleta dopo cinque a causa di un nuovo brevetto migliore che la
soppianta.
Passivo
B
FONDI PER RISCHI ED ONERI
Il Fondo imposte differite non riguarda il debito delle imposte che l’impresa si autoliquida in
base alla dichiarazione dei redditi e neppure lo si deve confondere con altri fondi per imposte.
Il Fondo manutenzioni cicliche è un fondo oneri, non una posta rettificativa del valore del
cespite.
C
FONDO TFR
Da non confondere col Fondo per trattamento di quiescenza.
D
DEBITI
Gli Acconti equivalgono al Clienti c/anticipi.
I Debiti tributari riguardano ad esempio l’IVA.
CONTO ECONOMICO
Riguarda la produzione ottenuta nel periodo e tiene distinte le componenti ordinarie e
straordinarie di reddito. I costi compaiono per natura. La differenza A – B corrisponde al reddito
operativo. Si coglie l’occasione per sottolineare quanto la differenza fra ricavi accessori e non
della dottrina non abbia poi grande riscontro applicativo: è facile trovare ricavi accessori, più
difficile trovare costi che siano tali!, infatti molti di essi contribuiscono alla realizzazione tanto
delle produzioni accessorie che di quelle non accessorie. Si noti poi che nella voce A5
compaiono i ricavi non caratteristici: non è un gran male, perché se sono di entità limitata, il
nostro A- B sarà sempre Ricavi caratteristici meno Costi caratteristici (che alla fin fine sfuma
nel non-finanziario), se invece “pesano” molto… tanto tanto accessori non saranno…
Osserviamo, giusto per dirne una, l’incongruenza di associare le merci alle materie nel C/E e ai
prodotti nello Stato patrimoniale, nonché l’incomprensibile separazione fra le voci B1 e B11,
che rende difficoltosa la percezione immediata del consumo.
Per i criteri di valutazione si rimanda alle fonti normative, ai manuali e ad accenni contenuti
nella prima parte della dispensa: in questa ci limiteremo a trattare solamente alcuni casi
notevoli.
82
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 3
COMMESSE PLURIENNALI
Esistono diversi tipi di costi, legati alle varie fasi dell’operazione.
TIPOLOGIA COSTO
DESCRIZIONE
Risalgono
al
periodo
TRATTAMENTO
precedente
Vengono imputati per com-
l’acquisizione della commessa: ad es.
petenza al C/E dell’eser-
costi di partecipazione a gare d’appalto,
cizio in cui vengono soste-
costi di ricerca, studi di fattibilità…
nuti.
Possono secondo i Principi
COSTI D’ACQUISIZIONE
Contabili
COMMESSA
essere
differiti
all’esercizio seguente come
costi pre-operativi solo se
l’assegnazione della commessa avviene nello stesso
esercizio in cui sono stati
sostenuti i costi.
COSTI PRE-OPERATIVI
Appartengono
al
periodo
l’acquisizione
della
seguente
commessa
ma
Se il criterio di stima è
quello
della
“commessa
precedono l’inizio dell’esecuzione della
completata”, si inglobano
stessa:
nel valore della commessa
ad
es.
progettazione,
alle-
stimento cantieri, organizzazione del
(v. esempio).
lavoro…
COSTI DI FABBRICAZIONE
COSTI SUCCESSIVI
Costi relativi alla realizzazione del bene
Sono a tutti gli effetti costi
oggetto di commessa.
dell’esercizio.
Sono successivi alla conclusione della
I Principi Contabili racco-
commessa: ad es. smobilizzo cantieri,
mandano , prima del com-
collaudo, penalità contrattuali, manu-
pletamento, di effettuare
tenzioni
gli opportuni stanziamenti
previste
garanzie…
dal
contratto,
a fondi rischi ed oneri, in
modo tale da farli gravare
per
competenza
sul
RE
dell’esercizio in cui è stata
allestita la commessa.
Esempio
Supponiamo pari a 150 i costi pre-operativi, stimeremo di 150 il valore della commessa, anche se
fisicamente non è stata realizzata neppure in parte; fra le attività, avremo la voce Lavori in corso
su ordinazione = 150.
83
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Nel conto economico avremo
C/E
Costi 150
Variazioni lavori in corso
su ordinazione 150
Nel valore della commessa potremmo includere anche i costi d’acquisizione se appartenessero al
medesimo esercizio in cui sono stati sostenuti i costi pre-operativi.
Calcolo della percentuale di completamento
Esistono due modi di contabilizzare le commesse, o ci limitiamo a segnare di anno in anno i costi
sostenuti e all’anno della consegna accreditare un consistentissimo ricavo, oppure potremmo
stimare, come si suol dire, la commessa in avanzamento a ricavo. Infatti la competenza sarebbe
maggiormente rispettata attribuendo ad ogni esercizio non solo i suoi costi ma anche la porzione di
ricavo finale a cui dà diritto l’avanzamento dei lavori, anziché presentare una situazione di perdita
(si supponga un’azienda con una sola commessa) per degli anni a cui segue un’impennata
dell’utile. Per poter ricorre a questa più corretta contabilizzazione deve però esserci una
ragionevole certezza quanto al ricavo (non potrei considerare di anno in anno di competenza parte
di un ricavo che non so quantificare o che immagino non avrò mai…) e la possibilità di quantificare
preventivamente anche l’ammontare dei costi complessivi o delle risorse che il completamento
della commessa richiederà, oltre alla condizione che non si tratti di una commessa fin dal bel
principio in perdita...
Occupiamoci ora della determinazione della percentuale di completamento della commessa, da cui
dipende la determinazione del suo valore nella contabilità. Esistono due metodi principali, che
esponiamo.
METODO COST TO COST
Costi sostenuti fino al momento in cui viene effettuata la stima
(comprendono i consumi di fattori produttivi per la produzione della commessa: materie,
manodopera, ammortamenti industriali, ammortamento dei costi pre-operativi capitalizzati e
accantonamenti dei costi successivi)
diviso
Costi totali previsti (comprendono anche i pre-operativi e i successivi)
ossia
COSTI sostenuti / COSTI totali.
Se la durata della commessa è di 3 anni, avremo di anno in anno
1) RF(1) = (costi primo anno / costi tot) x ricavi tot
con RF(1) = rimanenze lavori in corso su ordinazione del primo anno.
2) RF(2) = ((costi primo anno + costi secondo anno) / costi tot) x ricavi tot
3) RF(3) = ((costi primo anno + costi secondo anno + costi terzo anno) / costi tot) x ricavi tot
84
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
I C/E, per la sola componente legata alla commessa, saranno
C/E 1
Costi 1
Variazioni lavori in corso su ordinazione (RF1 –
0)
(C1/CT)xRT
C/E 2
Costi 2
Variazioni lavori in corso su ordinazione (RF2 RF1)
((C1 + C2)/CT)xRT - (C1/CT)xRT
C/E 3
Costi 3
Variazioni lavori in corso su ordinazione (RF3 –
RF2)
((C1 + C2 + C3)/CT)xRT - ((C1 + C2)/CT)xRT =
(C3/CT)xRT
Il Ricavo totale così come i costi possono variare nel tempo, per esempio perché si decide di
effettuare opere aggiuntive, ma potrebbe anche darsi che i ricavi restino invariati e aumentino
solamente i costi.
A)
Fintantoché rimane un margine sulla commessa, non ci sono problemi, la variazione di esso
verrà ripartita per competenza nei periodi successivi.
B)
Se, al contrario, andiamo in perdita, tutta la perdita dev’essere incidere sul C/E
dell’esercizio in cui è stata rilevata.
Ad esempio:
1 ANNO
2 ANNO
3 ANNO
CT stimati
1.000
C1 effettivi
500
RT previsto
1.200
CT stimati
1.300
C2 effettivi
400
RT previsto
1.200
CT stimati
1.300
C3 effettivi
400
RT previsto
1.200
Calcoli delle rimanenze finali dei lavori in corso su ordinazione nei tre esercizi:
1)
RF1 = 1.200 x (500/1.000) = 600
85
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
C/E 1
Costi 500
Variazioni lavori in corso
su ordinazione 600
2)
RF2 = 800
C/E 2
Costi 400
Variazioni lavori in corso
su ordinazione 200
Spieghiamo ora il calcolo da cui deriva il prospetto. In questo caso non si calcola la variazione
in base alla percentuale di completamento, ossia RF2 = (900/1.300)x1.200 = 830, perché così
facendo “spalmeremmo” la perdita su due esercizi, e precisamente 70 sull’ esercizio 2 e 30
sull’esercizio 3. Invece i 100 di perdita devono gravare tutti sull’esercizio 2, da cui deriva che in
3 avremo una situazione di pareggio.
Allora si dirà: RF2 = RT – Costi ancora da sostenere = 1.200 – 400 (C3) = 800.
La variazione sarà quindi di 200.
Il ragionamento economico sottostante è questo: nella RF1 c’è un utile ipotizzato di 100, dovrei
allora svalutare la RI2 = RF1, rettificando ricavi di esercizi precedenti, quindi 600 – 100 = 500,
la RI2 sarebbe valutata a costo. Allora la RF2 dovrebbe essere di 500 + 400 = 900, ma poiché
sappiamo di essere in perdita, dovremmo svalutare anche tale importo di 100, ottenendo il
valore corretto di 800. In sostanza, è come dire che i 200 di perdita sono dovuti a 100 di ricavo
erroneamente computato nel primo esercizio e 100 di autentica perdita nel secondo.
Prospetto
RI2
600
Svalutaz. (100)
______________
RI2*
500
C2
400
______________
RF2
900
Svalutaz. (100)
______________
RF2*
3)
800
RF3 = 0
C/E 3
Costi 400
Variazioni lavori in corso
su ordinazione (800)
Ricavi di vendita 1.200
Costo del venduto = 400 + 800 = 1.200.
86
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
MISURE FISICHE
Il metodo della percentuale di completamento può essere anche applicato con misure fisiche (ore
lavorate, unità consumate…).
Nel caso delle ore lavorate (ore di manodopera diretta), i Principi Contabili non ammettono un
calcolo analogo a quello già visto coi costi, ossia rapportare alle ore totali previste la somma delle
ore già lavorate e moltiplicare per i ricavi totali.
Bisogna invece calcolare il valore aggiunto VA come RT – Costi intermedi (CT meno costo della
manodopera). Si calcola il VA per ogni ora di lavoro, come VA/ore totali (hT), infine si applicherà la
formula
n
∑
n
Ci * + (VA / hT ) ⋅ ∑ hi
i =1
i =1
87
.
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 4
TITOLI E PARTECIPAZIONI
IL METODO DEL PATRIMONIO NETTO
I titoli e le partecipazioni possono appartenere all’attivo circolante o alle immobilizzazioni.
Attivo circolante
Valgono gli stessi discorsi che per le rimanenze di magazzino, dunque il criterio del minore fra
costo d’acquisto e mercato.
Immobilizzazioni
Titoli e partecipazioni immobilizzati vengono valutati a costo storico, ossia costo d’acquisto più
oneri accessori. Sono soggetti a svalutazione quando subiscono una perdita di valore durevole
(perdita di valore che si desume dal valore di mercato ma anche dallo stato del patrimonio netto
della società partecipata: si pensi ad una situazione di perdite reiterate che non appaiano
verosimilmente recuperabili, per esempio causate da un eccesso di costi fissi o domanda in
continua discesa senza che vi siano opportuni piani per superare in breve tempo la crisi) – si
confronti a proposito Parte prima, lez. 15. La svalutazione confluirà nella voce “Rettifiche di
partecipazioni” e in contropartita in contabilità si istituirà un Fondo svalutazione partecipazioni.
Sempre alla voce “Rettifiche” affluirà l’eventuale rivalutazione (nei limiti della svalutazione!) nel
caso venissero meno le condizioni che hanno determinato la precedente svalutazione.
Azioni proprie
Le azioni proprie possono rientrare tanto fra le immobilizzazioni che nell’attivo circolante. A questo
proposito si rileva una certa incongruenza nei Principi Contabili Nazionali, i quali nel Doc. 20
asseriscono che la Riserva per azioni proprie in portafoglio no è che una mera posta contabile e non
ha affatto natura di riserva (e dunque sembrerebbero avvicinarsi alla teoria del rimborso), ma
successivamente parlano di svalutazione delle stesse (mentre se osserviamo il fenomeno nell’ottica
del rimborso le azioni proprie dovrebbero mantenere un valore costante nel tempo!). sostengono
che con la svalutazione parte della riserva si libera e diventa disponibile, ma è tutto da dimostrare
come possa una riserva che non è una riserva ma una mera posta contabile incrementare il valore
di una vera riserva… senza tener conto del fatto che se si dovesse dar luogo ad una rivalutazione e
non esistessero né riserva disponibili né utili (non abbiamo che la Riserva legale al di sotto dei
minimi di legge e la parte di Riserva azioni proprie disponibile è stata usata, per coprire perdite,
distribuire dividendi…, ad esempio) come faremmo a incrementare il valore della Riserva azioni
proprie??
Partecipazioni in società controllate o collegate: IL METODO DEL PATRIMONIO NETTO
Per la definizione di tali società si veda l’art. 2359 cod. civ.. In questo caso è possibile usare, in
alternativa al costo d’acquisto, il c.d. metodo del patrimonio netto. Ciò è dovuto alla considerazione
che la partecipante, in quanto tale, ha il potere di influire sul risultato economico della partecipata,
in altre parole siamo in presenza di un gruppo societario.
88
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Per applicare il metodo del patrimonio netto, serva innanzitutto un consolidamento sintetico.
Che cos’è un bilancio consolidato? È un bilancio nel quale si sommano attività e passività della
partecipante a quelle della partecipata e lo stesso dicasi per costi e ricavi (ovviamente con gli
opportuni accorgimenti, ossia escludendo debiti e crediti o costi e ricavi derivanti da scambi interni
fra le società del gruppo: se A vende a B, è necessario, ad esempio, elidere il ricavo di vendita di A
con il costo d’acquisto di B…).
Esistono due modalità di consolidamento:
INTEGRALE
le attività e le passività della partecipata vengono sommate a quelle della
partecipante al 100% anche se il pacchetto azionario detenuto dalla partecipante non è del 100%.
PROPORZIONALE
la somma è eseguita in proporzione alla quota di capitale della partecipata
detenuta dalla partecipante (sommo alle attività della partecipante il 60% di quelle della
partecipata se detengo il 60% del suo capitale e così via…).
NB:
I Principi Contabili, purtroppo, si esprimono in modo fuorviante perché dicono che ai fini
dell’applicazione del metodo del patrimonio netto si deve procedere ad un consolidamento
“integrale”: in realtà questo aggettivo significa solo consolidamento vero e proprio, ma gli effetti
prodotti da tale consolidamento sono quelli del sistema di consolidamento proporzionale!!
Naturalmente, poiché il patrimonio netto di un’impresa varia nel tempo, valutare con questo
sistema delle partecipazioni implica che il valore di queste varierà nel tempo. Sorgono allora due
problemi: come rappresentare contabilmente le plus e minusvalenze che sorgono in connessione a
tali oscillazioni e come rappresentare i dividendi che la partecipata eroga alla partecipante.
Risolviamo innanzitutto un problema più facile: nel codice civile si dice che il patrimonio netto da
considerare è quello evidenziato dall’ultimo bilancio. Non è detto “bilancio approvato” perché,
supponendo la situazione più semplice di cui al punto A), l’approvazione del bilancio della
partecipata può richiedere diversi mesi e nel frattempo deve essere redatto e approvato anche il
bilancio della partecipante: per motivi di ordine pratico, dunque, si intende per bilancio la “bozza”
di questo non necessariamente già approvato, ricordando comunque che la partecipante ha una
certa influenza sull’organizzazione amministrativa della partecipata (ad esempio può indirizzare
verso una certa data di approvazione del bilancio etc….).
Esistono tre ipotesi sulla data a cui riferire il patrimonio netto della partecipata:
A)
gli esercizi delle due imprese hanno gli stessi estremi, ad es. 1/1 – 31/12. In questo caso si
fa riferimento al 31/12
B)
gli esercizi sono sfasati di al massimo tre mesi, ad es. la partecipata redige un bilancio 1/3 – 28/2
C)
lo sfasamento supera i tre mesi: allora o non si utilizza il metodo del p. n. oppure la
partecipata deve redigere un bilancio “in più” in riferimento al periodo che serve alla partecipante,
ad es. se l’esercizio si estende dal 1/7 al 3076, il bilancio suppletivo riguarderà l’intervallo di tempo
1/1 – 31/12 (ammesso che sia quello della partecipante). Nel caso di controllate, però deve valere
la condizione A), perché la controllante può imporre la data di chiusura del bilancio.
89
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Facciamo inoltre osservare che il metodo del p. n. non necessariamente deve essere usato per tutti
i pacchetti di controllate o collegate posseduti…
Passiamo ora a un esempio:
Costo d’acquisto del pacchetto (100% del cap. soc.)
P. N.
1.000
800
La situazione non è inverosimile, infatti il prezzo che si determina sul mercato tiene conto non solo
del valore storico del p. n. rispecchiato dal bilancio ma del suo valore corrente e della capacità
dell’impresa di produrre reddito in futuro (quindi niente paura se presa la quotazione di un’azione e
moltiplicata per il numero di azioni si ottiene un valore superiore al p. n.).
Quindi quei 1.000 potremmo considerarli come il valore del p. n. al momento della cessione. Per
mantenere questo valore, superiore al p. n. di bilancio, devo rendere ragione di quei 200 di
differenza. Il bilancio va rettificato eliminando le componenti dovute a scambi interni e poi si passa
da valori storici a valori correnti7: se la differenza fra questi copre i 200, non c’è problema, allora il
primo valore di p. n. che avremo sarà pari al costo d’acquisto. Si tenga però sempre presente che
si tratta di un valore definito come A(correnti) – P(correnti) = PN(corrente).
Se invece, ad esempio, il p. n. così rivalutato arriva ai 950, i 50 in più potranno essere mantenuti
soltanto se ascrivibili verosimilmente all’avviamento, ossia all’aspettativa di maggiori utili. Allora
sarà PN(c) = A(c) – P(c) + Avviamento = 950 + 50 = 1.000.
Se invece i 50 non potranno essere interpretati come avviamento, saremmo nella situazione che
potremmo definire del “cattivo affare”, perché abbiamo pagato 1.000 ciò che valeva 950. Allora la
partecipazione dovrà essere svalutata di 50 e tale svalutazione affluirà al C/E dell’esercizio in cui è
avvenuto l’acquisto.
Proiettiamoci ora nell’esercizio seguente e supponiamo di avere PN(c) = A(c) – P(c) + Avviamento
= 950 + 50 = 1.000, ed inoltre PN(c) – PN(storico) = 150 dovuto ad un plusvalore riconosciuto alle
immobilizzazioni materiali. Si immagini ancora che l’utile conseguito nell’esercizio dalla partecipata
sia di 100.
Non è possibile rivalutare tout court la partecipazione di 100. Innanzitutto si dovrà rettificare tale
utile operando come nel caso del bilancio consolidato, poiché in quei 100 vi può essere una parte
dovuta agli scambi con la partecipante. Si devono allora extracontabilmente eliminare i componenti
di reddito conseguenti a scambi interni (cessioni di fattori produttivi, vendite di beni e servizi…) e
neutralizzare l’ammortamento su eventuali plusvalori di immobilizzazioni.
7
Per passare a valori correnti, i Crediti restano invariati (infatti anche in contabilità a valori storici devono
essere valutati a valore di netto realizzo), i Titoli saranno valutati a valore di netto realizzo, le Rimanenze di
magazzino al valore di n. r. per i beni pronti per la vendita mentre per quelli in corso di lavorazione al valore di
n. r. decurtato dei costi ancora da sostenere per poterli offrire sul mercato, le materie al costo corrente di
sostituzione, i Beni ammortizzabili a valore di mercato se usati, altrimenti a valore di sostituzione se ancora in
uso, tenuto conto dell’ammortamento, ossia del deperimento del bene, analoghi criteri valgono per le
immobilizzazioni immateriali, i Terreni saranno valutati a valore corrente di riacquisto, le Partecipazioni con il
metodo del p. n..
90
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Cosa significa quest’ultima frase? Se la partecipante vende alla partecipata un capitale fisso dal
valore contabile (ossia valore originario al netto del Fondo di ammortamento) di 100 non a 100 ma
a 120, la partecipata calcolerà le quote di ammortamento sul valore di 120 e pertanto peseranno
sui 100 di utile quote di ammortamento maggiori che non se lo scambio fosse avvenuto al valore
contabile (perché se consideriamo il gruppo come una società unica, vorrebbe semplicemente dire
che il capitale fisso di 100 viene spostato, ad esempio, da un capannone ad un altro…).
Per capirsi, se la vita residua è di 10 anni, le quote di ammortamento “giuste” sarebbero di 10, la
partecipata ne computa di 12, l’utile pertanto risulta depresso di 2 e pertanto si dovrebbe
rettificare l’utile come 100 + 2.
Dimentichiamo però per un attimo questa digressione e ipotizziamo che l’utile rettificato sia sempre
uguale a 100 (ossia costi e ricavi di scambi interni si elidono a vicenda). Resta sempre il problema
che l’utile di 100 risulta da un bilancio a valori storici, mentre il valore di p. n. che abbiamo
inizialmente considerato era a valori correnti. Ciò significa che in quei 100 ci saranno ad esempio le
quote di ammortamento calcolate sui valori storici dei cespiti, mentre noi avevamo riconosciuto alle
immobilizzazioni materiali un maggior valore di 150. Allora le quote di ammortamento avrebbero
dovuto essere maggiori. Ipotizziamo per semplicità che tutte le immobilizzazioni materiali abbiano
una durata media di altri 10 anni, evidentemente il maggior ammortamento da computare è pari a
150/10.
Ma c’era anche l’avviamento. Supponiamo di ammortizzarlo per 5 anni (50/5), dovrò rettificare
l’utile anche delle quote di avviamento autoprodotto che non potevano essere rappresentate nel
bilancio da cui siamo partiti.
Allora il vero utile sarà 100- 15 – 10 = 75. Per dieci anni dovrò rettificare il risultato economico di –
15 e per soli 5 di altri – 10. Alla fine del decimo anno il p. n. del bilancio della partecipata sarà
uguale a quello risultante dal bilancio della partecipante.
(Naturalmente nulla cambiava nel ragionamento se al posto di un utile avessimo avuto una
perdita…)
Se le cose stanno così, la partecipazione andrà rivalutata di 75, e i Principi Contabili raccomandano
di adoperare le seguente scrittura:
d
Partecipazioni
a
Rivalutazioni di partecipazioni 75
75
Se i Ricavi (non tenendo conto della rivalutazione) meno i Costi danno un utile o un pareggio,
questi 75 dovranno essere portati ad una riserva non distribuibile, in quanto si considera la
rivalutazione un plusvalore non realizzato (anche se va detto che se considerassimo partecipante e
partecipata un tutt’uno, non si riesce a capire come il valore realizzato per la partecipata non lo sia
per la partecipante…).
Altrimenti se il risultato economico al netto della rivalutazione è una perdita, la riserva dovrà
essere alimentata soltanto per quella parte della rivalutazione non assorbita dalla perdita, ossia, se
la perdita è maggiore o uguale a 75, non si dà luogo ad alcuna riserva, se invece, ad esempio, è di
20, la riserva si alimenterà soltanto di 55. È altresì possibile, ma sconsigliato dai Principi Contabili,
far passare direttamente il plusvalore a riserva.
91
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 5
ANCORA SUL METODO DEL PATRIMONIO NETTO
Perdite della partecipata
Finora abbiamo visto come comportarsi in presenza di un utile della partecipata, ma che fare se il
patrimonio netto della partecipata si azzera per effetto di perdite? In questo caso la partecipata
dovrà assumere nel proprio bilancio anche le perdite della partecipata eccedenti la sua quota di
partecipazione (in tal caso il valore della partecipazione risulterà negativo) solo se esiste in capo
alla partecipante un obbligo alla copertura di dette perdite: in caso affermativo si dovrà procedere
con l’istituzione di appositi fondi rischio.
Ancora sul raffronto costo d’acquisto, valore di p. n.: PN > CA
Supponiamo di aver opportunamente rettificato il patrimonio netto della società di cui abbiamo
acquistato un pacchetto di controllo: lo confrontiamo con il prezzo d’acquisto e scopriamo che
quest’ultimo è inferiore al valore di p. n. rivalutato.
In questo caso bisogna riprendere in mano la stima del p. n. e rivederla con ancora maggiore
prudenza, riducendo i valori di attività nell’ipotesi che il valore considerato dei beni non sia in realtà
recuperabile con la vendita o tramite l’uso e considerando fra le passività anche passività future,
nonché tenendo conto di un possibile avviamento negativo (adottando cioè tutte le ipotesi più
pessimistiche purché non prive di verosimiglianza…) Se così facendo riusciamo ad uguagliare costo
d’acquisto e p. n. non ci sono problemi, il valore di costo d’acquisto sarà uguale al primo valore di
p. n., se invece sussiste una differenza positiva a vantaggio del secondo, dovremmo concludere di
essere in presenza o di uno sconto sul prezzo del pacchetto… o di un buon affare! Pertanto il valore
da attribuire in bilancio alla partecipazione sarà quello del p. n. rivalutato, non del costo d’acquisto!
Supponiamo:
costo d’acquisto (quota 100%)
1.000
p. n. partecipata rettificato
1.200
p. n. partecipata rettificato la II volta 1.100
in bilancio accoglieremo il valore di 1.100 e perciò rivaluteremo la partecipazione per 100 rispetto
al costo d’acquisto: tale plusvalore confluirà in un’apposita riserva denominata Riserva per
plusvalori di partecipazioni acquistate.
Dividendi
Un altro argomento a cui fare attenzione è la contabilizzazione dei dividendi, infatti bisogna badare
a non duplicare valori. Infatti, se la partecipata consegue un utile, il suo p. n. aumenta
e tale
aumento si riflette (opportunamente) sul risultato economico della partecipante; se nell’esercizio
successivo la partecipata distribuisce dividendi, il suo p. n. si riduce e la partecipante non potrà
considerare come ricavi i dividendi che le verranno erogati…
Esistono due vie di operare, a seconda che si sia optato per il metodo del p. n. integrale (iscrizione
della riserva condizionata dal risultato economico della partecipante – a tale metodo si è fatto
92
L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
riferimento
implicitamente
nelle
righe
precedenti) o per il metodo
del
p. n. con sola
rappresentazione patrimoniale (vale a dire creazione di riserve per plusvalenze della partecipazione
a prescindere dal fatto che la partecipante abbia riportato un utile o una perdita.
A.
INTEGRALE
d
Crediti per dividendi
a
Partecipazioni
d
Riserva non distribuibile
a
Riserva distribuibile
100
100
100
100
Difatti a fronte della diminuzione del p. n. della partecipata dovuto all’erogazione di dividendi, il
valore della partecipazione dovrà parimenti diminuire e non emergeranno ulteriori componenti
reddituali (esse erano state rilevate nell’esercizio precedente con la rivalutazione, nell’ipotesi più
semplice che per i dividendi si attinga all’utile del passato esercizio). Naturalmente si libererà una
parte della riserva che accoglieva i plusvalori della partecipazione (essendo questi in parte “svaniti”
coi dividendi).
B.
CON SOLA RAPPRESENTAZIONE PATRIMONIALE
d
Crediti per dividendi
a
Dividendi
100
100
d
Riserva non distribuibile
a
Partecipazioni
100
100
In questo caso si rileverà il ricavo solamente all’atto della distribuzione di dividendi.
Passaggio dal criterio del costo a quello di p. n.
È possibile anche non applicare il metodo del p. n. dal principio, in questo caso possono darsi due
ipotesi: o la partecipante possiede i dati del bilancio della partecipata all’epoca dell’acquisto e
oppure no.
A.
DISPONE DEI DATI
Allora basterà fare come se il metodo del p. n. fosse stato applicato fin dal principio. Confrontando
il primo valore di p. n. a disposizione con quello che risulta nell’esercizio in cui si decide di cambiare
criterio di stima, emerge un risultato economico pluriennale rettificato che potrà dar luogo ad una
rivalutazione o svalutazione della partecipazione.
B.
NON DISPONE DEI DATI
In tal caso si dovrà confrontare il costo d’acquisto (o, meglio, il valore a cui è iscritta la
partecipazione nel precedente bilancio e che potrebbe essere inferiore al costo originariamente
sostenuto se fossero intervenute svalutazioni) con il valore di p. n. rettificato alla medesima data
(si ricordi sempre, anche se per semplicità nella trattazione non lo si sottolinea, di tener conto della
percentuale di partecipazione: se si è acquistato un pacchetto del 60%, si considererà il 60% del p.
n.!): se la differenza sarà a favore del p. n., avremo una rivalutazione della partecipazione, se
invece dominerà il segno del costo d’acquisto, si avrà svalutazione. Il risultato economico che la
partecipata conseguirà successivamente verrà trattato come già visto…
93
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Passaggio dal p. n. al costo d’acquisto
In realtà non si risale al costo d’acquisto sostenuto temporibus illis, bensì si accetta come valore di
costo l’ultimo valore di p. n. e si adotta il solito principio della svalutazione nel caso di perdita
durevole di valore. Il criterio del costo poi, ricordiamolo, non consente rivalutazioni.
Se poi la partecipazione venisse smobilizzata, il criterio di valutazione sarà quello delle rimanenze,
minor valore fra quello inizialmente iscritto e quello di realizzo.
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LEZIONE 6
STIMA DELLE IMMOBILIZZAZIONI:
IL VALORE RECUPERABILE TRAMITE L’USO
Valore recuperabile tramite l’uso
È un massimo tra due valori: fra valore di realizzo diretto (cioè di mercato) e valore in uso. Tale
valore dovrebbe essere quello che si recupera con i ricavi prodotti: ciò dovrebbe valere per ogni
fattore produttivo e concerne l’intera vita utile dello stesso. Ossia, il flusso della produzione
ottenuta dovrebbe poter reintegrare tutti i costi, anche gli ammortamenti, difatti constatiamo che
al diminuire del valore dei capitali fissi, a causa dell’impiego nel processo produttivo, aumenta
l’entità del capitale circolante. Detta molto semplicemente, se durante la vita utile di un bene
immobilizzato ho un risultato economico che mi permette di recuperare i costi complessivi,
evidentemente ho recuperato anche il valore del cespite in particolare; se così non fosse, dovrei
procedere ad una svalutazione (ossia se il valore recuperabile tramite l’uso è significativamente e
durevolmente inferiore a quello contabile). Si osservi a questo punto che i Principi Contabili, sia
Nazionali che Internazionali, non parlano in realtà di ricavi ma di flussi di cassa e sappiamo che
solitamente vi è uno sfasamento temporale fra i due (ugualmente è bene considerare che in lunga
prospettiva, quando il periodo di riferimento è pluriennale, come qui accade, la differenza fra flussi
reddituali e di cassa viene in parte a sfumare perché si ipotizzano scorte di materie costanti etc… e
alla fin fine i flussi i cassa in entrata vengono a rappresentare i ricavi).
In realtà il concetto di valore recuperabile tramite l’uso si presta a molteplici e serie critiche.
Innanzitutto devo calcolare
n
∑
n
Ci * + (VA / hT ) ⋅ ∑ hi
i =1
con R = ricavi che vengono conseguiti tramite l’utilizzo del cespite e C*
i =1
= costi meno l’ammortamento; l’ipotesi che sottende questa formula è che non vengano distribuiti
utili, altrimenti si dovrebbe tener conto anche della normale retribuzione del capitale…
A questo punto ci si chiede se il flusso netto così descritto è maggiore, minor o uguale a zero. Nel
caso sia minore di zero, si dovrà dar luogo a svalutazione.
Ma veniamo ora alle obiezioni:
•
l’equazione, come senso intuitivo, può essere accettata in riferimento al totale delle
immobilizzazioni, ma anche in questo caso complessivo ci si può chiedere cosa rappresenti
n. È la vita utile più elevata fra quelle delle varie immobilizzazioni? È un valore medio?
Purtroppo anche se si risolvesse questo problema, rimarrebbe pur sempre il fatto che
l’equazione in esame deve essere riferita ad un singolo cespite. (Fra l’altro n è
presumibilmente un numero elevato, perché le immobilizzazioni hanno una vita pluriennale
e a volte pluridecennale: su un orizzonte temporale così esteso ogni stima si fa molto
labile…)
•
Se l’equazione è da riferire ad un singolo cespite, nascono due grossi problemi. Il primo:
generalmente i flussi di ricavi ( o cassa) prodotti sono comuni a più fattori produttivi. Come
ripartirli? La difficoltà è evidente se pensiamo ad imprese monoprodotto: un unico flusso
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L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
remunera tutti i fattori produttivi. Ma purtroppo si deve valutare singolarmente ogni
cespite, quindi fare il calcolo per il fabbricato A, per il fabbricato B, per quello C…
•
Se pensiamo a ciò capiamo immediatamente qual è l’altro problema: per valutare il
massimo valore ammortizzabile del fabbricato A, supponiamo, devo considerare le quote di
ammortamento degli altri cespiti, ad esempio B e C, ma per valutare l’ammortamento di B
devo conoscere l’ammortamento di A… e si ricade pertanto in un ragionamento circolare
che non ammette soluzioni.
•
Inoltre, secondo il modello proposto dai Principi Contabili, il valore dell’immobilizzazione
(pensiamo per comodità sempre a quelle materiali) dipende dalla redditività dell’impresa,
ma una redditività insufficiente, tale cioè per cui i fattori produttivi non vengano remunerati
in misura sufficiente, può non dipendere affatto dal singolo fattore produttivo. Perché mai
dovremmo essere obbligati a svalutare un impianto se il management è incompetente e
sbaglia la politica di mercato conducendo l’impresa in una situazione di perdite?
•
Da ultimo vi è il problema del tasso a cui attualizzare i flussi: potrebbe essere scelto il
tasso di finanziamenti durevoli o il tasso di finanziamenti senza rischio…
(Più adeguato parrebbe allora sempre il riferimento a valori di mercato…)
Vi è per fortuna un elemento che mitiga la critica: i Principi Contabili almeno indicano alcuni
”sintomi” che possono indirizzare verso la scelta della svalutazione.
1) Si deve sempre confrontare il valore di realizzo diretto (alias di mercato) con il valore
recuperabile tramite l’uso e se il valore di mercato è superiore al secondo, mi attesto sul
valore di mercato, non potrò scendere ovviamente a quello d’uso (non avrebbe senso…).
2) Vi
sono
poi
dei
sintomi
che
possono
far
presumere
l’antieconomicità
di
un
immobilizzazione:
•
essa è sovradimensionata per capacità produttiva alla possibilità di vendita dei
prodotti sul mercato
•
oppure, al contrario, è sottodimensionata
•
è scarsamente o per nulla usata
•
si è in presenza di perdite ricorrenti d’esercizio (è il caso che abbiamo già
esaminato, esprimendo la nostra perplessità al riguardo).
Se, in base a queste informazioni, si rivela opportuna una svalutazione8, per esempio di 30 con un
valore contabile del bene di 130 e un massimo valore ammortizzabile di 100, osserviamo che tale
svalutazione graverà interamente sull’esercizio in cui la perdita di valore è stata rilevata, mentre gli
esercizi seguenti saranno “alleggeriti” con quote di ammortamento minori (calcolate sul nuovo
valore svalutato).
8
Si può poi discutere sulla natura di tale svalutazione: ordinaria o straordinaria?
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L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Gli IFRS fanno un passo in avanti rispetto ai principi italiani, perché almeno affrontano il problema
dei flussi comuni (ossia, con un esempio, rispetto ad un flusso di ricavi, come decidere se esso è
attribuibile alla linea produttiva o al fabbricato che la ospita?)
Poiché quasi mai un flusso di entrate è direttamente collegato ad una singola immobilizzazione, si
deve prendere l’unità minima a
cui tale flusso è direttamente riferibile. Nel caso dell’impresa
monoprodotto… sarà l’azienda nel suo complesso… Per altri tipi di impresa considererò un ramo
aziendale, uno stabilimento etc… Individuata tale unità, se il flusso è insufficiente, ridurrò
linearmente (proporzionalmente) il valore dei singoli beni componenti.
Immobilizzazioni immateriali
Vale esattamente quanto detto per quelle materiali. Rimarchiamo un attimo soltanto la differenza
che i Principi Contabili vedono fra servizi di utilità pluriennale, la cui natura è manifestamente
questa: tipicamente servizi che si sostanziano in diritti come il marchio, i brevetti, le concessioni…
e quelli che noi consideriamo sempre servizi durevoli, ma che la dottrina italiana, e con essa i
Principi, intendono piuttosto come costi pluriennali, da differire opportunamente nel corso degli
esercizi capitalizzandoli (Costi di impianto e ampliamento, Pubblicità, Ricerca e sviluppo).
Per la prima categoria la stima è meno incerta, per la seconda c’è un maggior rischio di
discrezionalità, ovverosia che gli amministratori, al fine di perseguire determinate politiche di
bilancio, determino artatamente il valore di tali costi capitalizzati indipendentemente dalla loro
effettiva utilità.
Si rammenti poi che come per le immobilizzazioni materiali si doveva considerare, ai fini
dell’ammortamento, non l’intera vita fisica, ma la vita utile, così, nel caso delle immateriali, la vita
giuridica corrisponde alla vita fisica, ma è sempre alla vita utile che dobbiamo guardare.
Le ultime precisazioni sull’argomento delle immobilizzazioni: sono da iscriversi anche le
immobilizzazioni in corso di costruzione, che ovviamente non vanno ammortizzate e gli Anticipi a
fornitori, che sostituiscono momentaneamente il valore del cespite.
Si abbia poi la bontà di notare come, in caso di ampliamento di impianti, ad esempio, non si
mobiliteranno i Costi di impianto e ampliamento (!), bensì si incrementerà il valore dell’impianto in
questione, e in tale incremento verranno imputati tutti i costi ad esso riferibili, anche quelli di
progettazione.
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L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
LEZIONE 7
PROPOSTE DI MODIFICHE:
IL CASO DEL FAIR VALUE
Nell’immediato futuro ci attendono numerose, più e meno profonde, modificazioni sia nella
struttura che nel contenuto del bilancio (cfr. proposte OIC, diapositive).
In questa sede ci limitiamo a citare il caso emblematico del fair value, criterio di stima già presente
nel nostro codice a proposito degli strumenti finanziari e di chiara matrice anglosassone. Una
proposta di modifica riguarda la possibilità di stimare a f. v. le immobilizzazioni materiali e
immateriali, a condizione che esso sia determinabile in modo attendibile e il criterio venga esteso a
tutta la categoria.
Ma che cos’è questo f. v.? Lo dice la parola stessa, un valore fair, cioè equo, ossia un valore
tendenzialmente privo di distorsioni, adeguato, non dovrebbe quindi essere tale da privilegiare certi
stakeholder. Detto questo, risulta però molto difficile specificare meglio questo concetto, che
appare avere caratteri molto labili e sfumati, più astratti che pratici. Si sostiene che il f. v. sarebbe
quel valore che si formerebbe in mercati non distorti, nell’ambito di uno scambio a condizioni
normali e nella perfetta autonomia delle parti, oppure, in modo equivalente, come si esprimono i
Principi Internazionali, il corrispettivo a cui il bene sarebbe scambiato fra parti consapevoli e
disponibili al negozio.
Si parla dunque di un ipotetico scambio, che tendenzialmente dovrebbe avvicinarsi al valore di
mercato
(ma
quale?
di
realizzo,
sostituzione
etc…),
ma
che
potrebbe
divergere
anche
significativamente da questo (se il mercato fosse monopolistico, ad esempio?).
Si tratta quindi di un valore neutrale, ma non per questo oggettivo. È evidente la preponderanza di
elementi soggettivi di valutazione da parte del management e il rischio che l’adozione di questo
criterio apra nuovi spiragli per le tristemente note politiche di bilancio.
Ma chiediamoci inoltre, avrebbe senso seguire la variabilità dei valori correnti per
le
immobilizzazioni, variabilità che potrebbero anche essere molto forti? C’è il rischio di fornire
un’informazione anche gravemente distorta e scarsamente, se non per nulla, comprensibile agli
azionisti, adeguando frequentemente il valore di un’immobilizzazione, che sono destinate a
permanere a lungo nel patrimonio aziendale e non ad essere realizzate.
Per non parlare delle difficoltà applicative che incontrerebbero le piccole imprese nel determinare
un valore così sfuggente e che richiede implicitamente così tante informazioni come il f. v..
Avanti piano, dunque, come dicono nel mondo marinaio…
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L. Cossar – Ragioneria generale e applicata (2007)
Parte prima
Ripasso e consolidamento delle principali operazioni in partita doppia
INTRODUZIONE
Contabilità ordinaria d’esercizio, contabilità generale ed analitica
2
LEZIONE 1
Piano dei conti
4
LEZIONE 2
Fattori produttivi d’uso non durevole: acquisto di materie e merci
5
LEZIONE 3
Inventario intermittente e permanente di merci e materie.
Metodi di stima dei flussi: LIFO, FIFO, CMP
LEZIONE 4
8
Svalutazione materie e merci. Rese, sconti e abbuoni. Cali,
ammanchi e disperdimenti. Vendita materie
12
LEZIONE 5
Fattori produttivi d’uso non durevole: i servizi
15
LEZIONE 6
Costi del personale
18
LEZIONE 7
Fattori produttivi d’uso durevole: acquisto, apporto,
costruzione in economia
LEZIONE 8
20
Immobilizzazioni: contributi in conto capitale, donazioni
e lasciti, ammortamento
22
LEZIONE 9
Imprese operanti in regime di concessione
26
LEZIONE 10
Immobilizzazioni:svalutazione, cessione, rottamazione, manutenzione 30
LEZIONE 11
Ciclo attivo: ottenimento dei prodotti, configurazioni di costo,
costo del venduto
33
LEZIONE 12
Vendite di merci e prodotti
39
LEZIONE 13
Factoring
44
LEZIONE 14
Titoli e partecipazioni
47
LEZIONE 15
Titoli e partecipazioni: scarto di emissione/negoziazione,
svalutazione/rivalutazione, titoli zero coupon e azioni
52
LEZIONE 16
Finanziamenti: prestiti passivi e obbligazioni
57
LEZIONE 17
Leasing
63
LEZIONE 18
Apporti e rimborsi di capitale
66
LEZIONE 19
Acquisto azioni proprie
68
LEZIONE 20
Riduzione del capitale sociale per copertura perdite
71
Parte seconda
Cenni sul bilancio ordinario d’esercizio
LEZIONE 1
Nozione base sul bilancio. I postulati fondamentali
74
LEZIONE 2
Commenti alla struttura di conto economico e stato patrimoniale
81
LEZIONE 3
Commesse pluriennali
83
LEZIONE 4
Titoli e partecipazioni. Il metodo del patrimonio netto
88
LEZIONE 5
Ancora sul metodo del patrimonio netto
92
LEZIONE 6
Stima delle immobilizzazioni: il valore recuperabile tramite l’uso
95
LEZIONE 7
Proposte di modifiche: il caso del fair value
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99