I CORS N O IeC ESAM COLLANA TIMONE ELEMENTI DI SOCIOLOGIA DEL DIRITTO Diritto e Società SIMONE EDIZIONI GIURIDICHE ® Gruppo Editoriale Esselibri - Simone Estratto della pubblicazione 213 Estratto della pubblicazione TUTTI I DIRITTI RISERVATI Vietata la riproduzione anche parziale Azienda certificata dal 2003 con sistema qualità ISO 14001: 2004 Pubblicati dalla stessa casa editrice segnaliamo: PK33 • Sociologia generale - pp. 192 - € 6,00 • Elementi di sociologia - pp. 240 - € 13,00 99 ST14 • Sociologia dell’organizzazione - pp. 240 - € 18,00 312 • L’assistente sociale - p. 304 - € 21,00 Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.it ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati Organizzazione, direzione e coordinamento del testo a cura di Federico del Giudice Revisione del testo a cura di Carla Buffolano Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A. (art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30) Finito di stampare nel mese di gennaio 2008 dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA) per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - (Na) Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno PREMESSA Questo testo introduttivo alla sociologia del diritto costituisce un primo approccio per il giurista e il sociologo a questa complessa, ma affascinante disciplina che analizza i comportamenti sociali alla luce delle regole del diritto e viceversa. Nella stesura del lavoro si è tenuto conto delle potenziali difficoltà ermeneutiche dei giuristi nei confronti dei concetti sociologici, e dei sociologi in relazione agli argomenti base della teoria generale del diritto. In particolare, il primo capitolo, alla sezione prima, analizza i concetti generali di sociologia, mentre i capitoli quinto (Teorie sul diritto), sesto e settimo (Norme e fonti del diritto) sono dedicati ad argomenti fondamentali di teoria generale del diritto che costituiscono il necessario presupposto applicativo del pensiero sociologico. In tal modo, giuristi e sociologi potranno accostarsi allo studio del diritto e delle società con le essenziali competenze per un’analisi più documentata, senza lacune di base che, talvolta, ne compromettono l’apprendimento. Questo testo, dunque, consente un approccio iniziale della sociologia del diritto, e si presenta di particolare interesse ed utilità per gli studenti universitari e operatori sociali che, in tempi rapidi, necessitano di uno strumento agile, sistematico ed esplicativo (come si rivela nei glossari posti a fine capitolo) per raggiungere una preparazione ottimale all’esame. Estratto della pubblicazione CAPITOLO PRIMO LA SOCIOLOGIA Sommario: Sezione Prima: Concetti generali: 1. La sociologia: nozione; oggetto; funzione; origini. - 2. Lo studio del fenomeno sociale: teoria microsociologica e teoria macrosociologica; analisi sincronica e analisi diacronica. - Sezione Seconda: Evoluzione storica del concetto di società e sociologia: 3. Le origini. - 4. Positivismo e sociologia. - 5. La fisica sociale di Comte. - 6. La sociologia evoluzionistica di Spencer. - 7. Teorie del conflitto: Marx. - 8. Il socialismo di Saint-Simon. - 9. Max Weber e la sociologia avalutativa. - 10. Durkheim e il funzionalismo. - 11. Parson e lo struttural-funzionalismo. - 12. La teoria dei sistemi di Luhmann. - 13. Le dottrine giuridiche. Sezione Prima Concetti generali 1. LA SOCIOLOGIA: NOZIONE, OGGETTO, FUNZIONE, ORIGINI La sociologia è tradizionalmente intesa come la scienza che ha ad oggetto lo studio della società e dei comportamenti sociali degli individui. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Chi è quindi il sociologo? Il sociologo è colui che studia il comportamento delle interazioni e delle aggregazioni umane e, sulla base di osservazioni empiricamente effettuate sui fenomeni della realtà concreta, indaga sui processi generali di strutturazione della società, al fine di delinearne la genesi, le categorie, i modelli di base e di comprendere gli effetti dei fenomeni sociali stessi in presenza di determinate condizioni e di specifiche variabili. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ La sociologia può essere definita dunque, da un lato, come disciplina empirica, in quanto il punto di partenza è costituito dall’osservazione della realtà concreta; da un altro lato, come disciplina teorica, in quanto costituita da un insieme di proposizioni generali che integrano la ricerca empirica. Inoltre, è considerata disciplina di sintesi in quanto, nell’analisi del comportamento umano e della società, non può prescindere da altre discipline come l’antropologia culturale, la psicologia (soprattutto la psicologia sociale), la storia, l’economia. 6 ○ Capitolo Primo ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ A cosa è dovuta la nascita della sociologia come scienza? La nascita della sociologia risale al XIX secolo grazie al contributo di autori (A. Comte, A. Tocqueville, H. Spencer, K. Marx, E. Durkheim, M. Weber) che studiarono la società e i comportamenti sociali in un contesto particolare, quello della rivoluzione industriale, la quale comportò la nascita di una società molto più complessa rispetto alla precedente e caratterizzata da una rapida trasformazione del tessuto sociale oltre che da un intenso sviluppo economico. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 2. LO STUDIO DEL FENOMENO SOCIALE. TEORIA MACROSOCIOLOGICA E TEORIA MICROSOCIOLOGICA. ANALISI SINCRONICA E ANALISI DIACRONICA Sono sostanzialmente due le opzioni teoriche generali in base alle quali il fenomeno sociale può essere studiato: a) teoria macrosociologica: studia l’intera società nel suo insieme (cd. macrosistema): le istituzioni e strutture principali e i processi che generano modifiche all’interno di esse; b) teoria microsociologica: studia frazioni o parti della società (cd. microsistema), cioè singole relazioni sociali tra individui in rapporto di immediata interazione (ad esempio: classi sociali, famiglie etc.). Essa si avvale del cosiddetto metodo storico-comparativo, che consiste nello studio di avvenimenti storici dello stesso tipo, allo scopo di ricavare delle uniformità e di rilevare, attraverso queste, un tipo ideale di fenomeno (tale espressione «tipo ideale» – Idealtypus in tedesco – fu coniata, come si vedrà in seguito, da Max Weber). Da altro punto di vista, secondo l’insegnamento di Auguste Comte, considerato, come vedremo, il fondatore stesso della sociologia, si distingue a seconda se la società venga osservata: a) in modo sincronico (cosiddetta «statica sociale»), in cui si considerano le connessioni tra idee, costumi e istituzioni di una determinata società in un determinato momento storico, prescindendo dall’eventuale progresso della stessa. Secondo le più accreditate teorie, osservando la società in maniera statica, molto utile sarà per il sociologo valutare se essa sia unitaria o, al contrario, differenziata (questione della differenziazione o stratificazione sociale) e, in tal caso, quanto rigida sia questa differenziazione. 7 La sociologia La stratificazione sociale può essere definita come la disuguaglianza strutturata tra raggruppamenti differenziati di persone, in base ai diversi status (cioè a diverse posizioni socio-economiche) e ruoli nella società. Più precisamente, lo status è la posizione in cui viene idealmente collocato un individuo nella rappresentazione della realtà. A questo proposito, è stata proposta una distinzione (Linton) tra status attribuiti, che sono quelli indipendenti dall’azione dell’individui (ad es.: età, sesso, nazionalità) e status acquisiti, che vengono imputati all’individuo in relazione alla valutazione sociale degli sforzi da lui compiuti per entrarne in possesso (ad es.: la laurea, cioè il titolo di studio come elemento di differenziazione sociale). Il ruolo sociale costituisce, invece, il complesso delle azioni che ci si aspetta da un individuo in base allo status che occupa all’interno della società. In presenza di questa disuguaglianza tra categorie o gruppi di individui, il sistema di stratificazione può essere chiuso o aperto. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Che si intende per sistema chiuso e sistema aperto? Il sistema aperto è quello che prevede la possibilità per tutti di accedere ai gradi superiori o di essere declassati ai gradi inferiori del sistema di stratificazione, in base ad una valutazione delle prestazioni compiute; il sistema chiuso è quello in cui a nessuno è data la possibilità di cambiare il proprio status. In tal senso, risulta rilevante il concetto di mobilità sociale che, intesa come il passaggio di un individuo o di un gruppo da uno status ad un altro, indica il grado di apertura o chiusura del sistema di stratificazione e cioè il livello di facilità o difficoltà con cui il suddetto passaggio è consentito. È stato osservato (Ferrari) che tale mobilità costituisce un «fenomeno eccezionale nelle società nelle quali le posizioni sociali sono imposte dalla tradizione culturale o dalle leggi», il contrario in quelle nelle quali «le posizioni sociali sono frutto di volontaria opzione dei soggetti». ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ b) in modo diacronico (cosiddetta «dinamica sociale»): si studia la società tenendo in considerazione il progresso e i mutamenti avvenuti all’interno di essa e i fattori che hanno provocato tali mutamenti. Parte della dottrina (Ferrari) ha osservato che, tra questi fattori, un ruolo preminente è svolto: a) dalla produzione (un elemento ritenuto fondamentale, come si vedrà, da sociologi come Durkheim e Marx); b) dal potere; c) dalla cultura. Estratto della pubblicazione 8 Capitolo Primo Sezione seconda Evoluzione storica del concetto di società e la sociologia del diritto Come già precisato, la società, così come i comportamenti sociali, costituiscono l’oggetto della sociologia, ma diverso è stato storicamente il modo di concepire l’una e l’altra da parte degli studiosi in materia. D’altra parte, come osserva Treves, per la fondazione della sociologia del diritto, notevole è stato il contributo dei sociologi, data l’importanza che il concetto di società assume anche nell’ambito della sociologia giuridica. Non è infine da trascurare l’ausilio delle dottrine politiche, nonché il ruolo dei giuristi, ai fini della comprensione delle origini e della funzione del diritto nella società. 3. LE ORIGINI La data di nascita della sociologia, intesa come studio scientifico della società o dei «fatti» sociali, viene fatta generalmente risalire al 1839, data di pubblicazione del Corso di filosofia positiva di Auguste Comte (17981857), il testo in cui appare una definizione divenuta poi celebre: «la sociologia è quella parte complementare della filosofia naturale che si riferisce allo studio positivo dell’insieme delle leggi fondamentali proprie dei fenomeni sociali». Tuttavia, prima di Comte lo studio sistematico della società ha dei precedenti illustri. Si può pensare, in ambito illuminista, all’opera di Charles de Secondat barone di Montesquieu (1689-1755) che nello Spirito delle leggi (1748) esamina i diversi regimi politici per analizzare la maniera in cui gli ordinamenti legislativi si pongono rispetto ai valori di una società libera — il primato della ragione, la pari dignità giuridica dei membri della comunità, il progresso culturale e il benessere economico. La tesi centrale di Montesquieu, di notevole rilevanza sociologica, è che per sua natura l’uomo è spinto a costituire con i propri simili una comunità civile finalizzata ad appagare i propri bisogni e gestire la sopravvivenza. La convivenza impone di regolamentare i comportamenti degli associati attraverso il diritto positivo. Le leggi, in questo senso, debbono essere adatte allo spirito del popolo per cui sono state istituite. Il portato sociologico di questa ipotesi teorico-politica è che non esistono ordinamenti giuridici validi universalmente: ciascuna comunità sociale deve poter contare su leggi che, La sociologia 9 di volta in volta modellate sulla natura e lo spirito del popolo, ne rispettino e ne promuovano l’identità. Analogamente, nell’opera di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) lo studio della società assume il profilo non solo di una esplicita teoria politica ma anche di un’ipotesi sulla genesi della società moderna e sulle sue contraddizioni. Nel Contratto sociale, Rousseau si dichiara consapevole dell’ambiguità del progresso della civiltà umana: perduta irrimediabilmente l’eguaglianza originaria (concetto a lungo elaborato dalla teoria politico-giuridica della modernità) gli individui hanno comunque la possibilità di redimersi tentando di realizzare una società che recuperi l’innocenza originaria basandosi su nuovi valori: dignità, libertà e uguaglianza. Di qui la celebre teoria della necessità di un pactum (contratto sociale) finalizzato alla tutela degli individui e i loro beni. Su questa base, i singoli diventano espressione di una volonté general e assumono identità di Stato: cittadini in quanto partecipi dell’attività sovrana che si sottopongono alle leggi in nome del superiore interesse collettivo. 4. POSITIVISMO E SOCIOLOGIA La sociologia come scienza autonoma, separata dalla teoria politica e del diritto, dalla filosofia morale o anche dalla filosofia della storia, nasce però soltanto alla metà dell’800, in quella che viene definita età positivista: si tratta dell’epoca del massimo decollo industriale, dell’aumento delle attività produttive, dello sviluppo della tecnologia, della nascita del proletariato e dei nuovi ceti dirigenti (industriali, tecnici, scienziati), oltre che dell’aumento della mobilità sociale e del verificarsi delle prime tensioni tra classi. Il positivismo è in effetti un complesso atteggiamento di pensiero che, movendosi parallelamente allo sviluppo industriale, si sviluppa soprattutto in Francia e in Inghilterra, ma si diffonde anche in altre nazioni europee, come l’Italia e la Germania. I filosofi positivisti presentano come caratteristica comune il bisogno di adeguare l’attività filosofica ai contributi di metodo e contenuto che le scienze moderne hanno dato allo studio della natura e dell’uomo. Gli aspetti tipici del movimento possono così essere sintetizzati: — la fiducia nel fatto che l’umanità sia entrata in una nuova era, di progresso generalizzato (intellettuale, materiale, morale); 10 Capitolo Primo — l’idea che la conoscenza (della realtà naturale ma soprattutto di quella sociale) avvenga solamente tramite i fatti e la loro codificazione in leggi; — la convinzione che la scienza e la tecnica possano condurre ad una maggiore felicità. — un’idea della filosofia come metodologia critica e come raccordo tra le scienze Tra i maggiori esponenti del positivismo in Francia ricordiamo C.H. Saint-Simon, il cui pensiero rispecchia il momento di crescita del processo di industrializzazione e il tentativo di mediarlo con le esigenze egualitarie dei movimenti socialisti, e Auguste Comte. In Inghilterra, nazione protagonista dello sviluppo industriale, converge e stimola la visione del mondo positivista la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin, le cui conseguenze sul piano filosofico e sociale verranno tratte da Herbert Spencer. Un pensatore inglese di rilievo, che condivide un atteggiamento positivista, ma non legato all’evoluzionismo, è l’utilitarista e liberale John Stuart Mill. In Italia la cultura positivista si afferma solo dopo il 1870 e rielabora temi provenienti da Francia e Inghilterra. 5. LA FISICA SOCIALE DI COMTE Auguste Comte (1798-1857) studiò all’Ecole polytechnique e nel 1818 divenne discepolo e collaboratore di Saint-Simon. Successivamente ottenne un incarico di insegnamento alla stessa Ecole. Opere principali: Corso di filosofia positiva (6 voll., 1830-42); Discorso sullo spirito positivo (1844); Catechismo positivista (1852); Sintesi soggettiva o Sistema universale delle concezioni proprie dell’umanità, Parte I: Sistema di Logica positiva o Trattato di Filosofia matematica (1856). A) La filosofia «positiva» e la legge dei tre stadi Secondo Comte il compito della filosofia consiste nel partire dagli eventi stessi come gli scienziati partono dai fenomeni naturali empiricamente osservabili. Se si applicasse questo modo di procedere la filosofia della storia risulterebbe «positiva», cioè si otterrebbe una rappresentazione scientifica della storia vista nelle sue leggi obiettive. Estratto della pubblicazione La sociologia 11 Da questa prospettiva, Comte rintraccia nella successione storica una regolarità di fondo che egli definisce legge dei tre stadi. Egli sostiene cioè che l’evoluzione umana ha attraversato tre fasi che corrispondono a quelle dello sviluppo psicologico dell’individuo: quella teologica, quella metafisica e quella scientifica. — Nello stadio teologico (o fittizio) lo spirito umano tende alle conoscenze assolute. Cerca le cause prime e finali dei fenomeni, che gli appaiono prodotti dall’azione di agenti sovrannaturali. — Nello stadio metafisico (o astratto) che è sostanzialmente soltanto una modificazione del primo, gli agenti sovrannaturali sono sostituiti da entità (astrazioni personificate, forze, principi occulti, essenze metafisiche o ontologiche) ritenute capaci di produrre i fenomeni. — Nello stadio scientifico (o positivo), che caratterizza i tempi nuovi, si ha invece finalmente la subordinazione dell’immaginazione all’osservazione. La scienza non ricerca più cause occulte ma si limita a descrivere le leggi fisiche dei fenomeni. Lo spirito positivo enuncia dunque i fatti effettivamente esperiti, indicando regole oggettive e costanti. Si propone, partendo dallo studio di ciò che è, di prevedere quel che sarà, consapevole che ogni conoscenza è relativa alla condizione naturale del soggetto conoscente ed alle sue concrete possibilità di organizzazione culturale. Sulla base di questa consapevolezza si propone di delineare una visione del mondo che costituisca un quadro logico di riferimenti precisi e certi e che rappresenti uno strumento utile al miglioramento della vita, sia in termini politici che economico-sociali. Lo stadio positivo, che ha avuto inizio nell’epoca moderna con la nascita della nuova scienza, troverà compiuta realizzazione soltanto quando tutte le branche del sapere convergeranno in un metodo positivo, da cui procederà una nuova scienza unitaria della natura e dell’uomo. B) La teoria sociologica Secondo Comte, il culmine del sapere positivo è costituito dalla sociologia. Un’ideale classificazione delle discipline prevede infatti secondo Comte che le varie scienze possano raggiungere in tempi diversi lo stadio positivo in base alla complessità dell’oggetto di indagine: la matematica o l’astronomia ad esempio sono giunte assai precocemente al grado più alto del loro sviluppo in quanto rivolte all’indagine di fenomeni immutabili ed emEstratto della pubblicazione 12 Capitolo Primo piricamente controllabili. Quanto più invece l’oggetto di indagine si fa complesso, stratificato, esposto a variabili indefinite, tanto più risulterà arduo coglierne le strutture fisse e la logica dell’evoluzione. Alla sociologia scientifica o positiva sarà dunque affidato il compito di indagare sul fenomeno più complesso del sapere: l’interazione sociale. Lo scopo è quello di pervenire ad uno studio scientifico del comportamento umano al fine di ottenere una guida certa sia in termini di teoria politica che di prassi efficiente. Tale studio dovrà naturalmente configurarsi in termini di scienza fisica: studiare i fenomeni sociali così come la fisica studia quelli naturali. Una tale fisica sociale — questa è la definizione di Comte — rifuggendo da qualsivoglia suggestione teologico-metafisica, analizzerà i fenomeni secondo una doppia dimensione, statica e dinamica, ricavandone leggi obiettive. Più precisamente, la statica sociale, si occuperà delle leggi della convivenza degli elementi sociali, cioè di quelle che presiedono all’ordine della vita associata (ordinamento giuridico, strutture economiche); la dinamica sociale individuerà invece le regole della trasformazione, dello sviluppo, del progresso della società. Una sociologia così intesa avrà pertanto un carattere che la accomuna alle altre scienze positive e che mancava alle tradizionali teorie «suppositive» — teologiche o metafisiche — della realtà sociale: offrirà cioè la concreta possibilità di una previsione delle trasformazioni sociali a partire dall’analisi delle condizioni concrete. 6. LA SOCIOLOGIA EVOLUZIONISTICA DI SPENCER Herbert Spencer (1820-1903) dopo studi scientifici e un periodo come ingegnere, si avvicinò all’evoluzionismo, diventandone in breve uno dei maggiori rappresentanti. Opere principali: Statica sociale (1850), Principi di psicologia (1855), I primi principi (1862), Principi di biologia (18641867), Principi di sociologia (1876-96), Principi di psicologia (1870-72), Principi di etica (1879-1892), Individuo e stato (1884). A) L’evoluzionismo universale Sia le idee di Lamarck che quelle di Darwin influirono a fondo sulle ipotesi di Spencer, tanto da spingerlo ad un tentativo di applicazione dell’evoluzionismo ad ogni scienza particolare. Questo progetto converge at- Estratto della pubblicazione La sociologia 13 torno all’idea che il principio generale dell’evoluzione mostra una legge specifica: data la redistribuzione continua esistente in natura tra materia e movimento (meccanicismo), in ogni dimensione della natura assistiamo ad un passaggio costante dall’omogeneo all’eterogeneo, al disordine all’ordine, dall’incoerente al coerente. Tale principio esplicativo di tutta l’evoluzione trova secondo Spencer una conferma sia a livello astronomico (formazione del sistema solare) che biologico (sviluppo delle specie viventi) che storico-sociale. Tutto l’universo appare infatti disciplinato da una legge universale di evoluzione: un alternarsi di progressi e regressi, di aggregazioni e dissipazioni che si verificano nell’ambito di un generale movimento verso forme sempre più complesse e perfette. B) Morale, sociologia, politica Al principio di adattamento Spencer riconduce l’origine della moralità individuale. L’uomo è sempre vissuto nel bisogno di adeguarsi alle molteplici e diverse circostanze non soltanto al fine di conservare la propria vita, ma anche per migliorarla. Il fine dell’esistenza si identifica in questo senso con la felicità stessa. Con questo concetto Spencer si avvicina alle dottrine utilitariste. A differenza di queste, però, egli sostiene che allo stato attuale della civiltà l’individuo agisce per un autentico sentimento di obbligo morale e non per la sola utilità immediata. Ciò è potuto accadere perché nel corso del tempo la specie umana ha appreso per esperienza che obiettivi piacevoli più lontani e più generali possono produrre maggiore felicità rispetto a quelli più prossimi e particolari. Agire per il dovere assicura in qualche modo maggiore ritorno in termini di felicità complessiva che non agire in vista di un piacere immediato. Queste esperienze si sono così tradotte in principi dello spirito umano, che l’individuo eredita e trova in sé quasi come delle forme ‘a priori’. Tali principi sono veri e propri obblighi etici, che vanno pertanto considerarti come esito millenario di una complessa evoluzione psico-sociale. Questa dottrina spinge Spencer, nella fase finale delle sua produzione, ad intensificare lo studio della realtà umana da un punto di vista squisitamente sociologico: l’esito è una teoria dello sviluppo lento e graduale delle strutture sociali. Tale ipotesi della gradualità si traduce, a livello politico, in un sostanziale rifiuto del socialismo come ipotesi politica rivoluzionaria: non è possibile secondo Spencer che alcune forme sociali accedano allo stadio superiore senza attraversare modifiche e Estratto della pubblicazione 14 Capitolo Primo riforme graduali e successive. Questa posizione politica riformista divenne in breve il punto di riferimento teorico della classe industriale inglese in ascesa, la cui politica economica liberista era naturalmente finalizzata al mantenimento dell’ordine esistente. 7. TEORIA DEL CONFLITTO: MARX Karl Heinrich Marx (1818-1883) studiò a Bonn, poi a Berlino, dove entrò in rapporto con i «giovani hegeliani». Nel 1842 lavorò alla Gazzetta renana, giornale liberale. Nel 1843 il giornale fu soppresso e Marx si recò a Parigi, dove pubblicò nel 1844 il primo ed unico numero degli Annali franco-tedeschi. Dal 1844 iniziò la sua lunga amicizia con Engels. Nel 1845 si stabilì a Bruxelles. Aderì con Engels nel 1847 alla Lega dei comunisti, per la quale scrissero il Manifesto del partito comunista, pubblicato nel 1848. Partecipò alla rivoluzione del 1848-49 in Germania. Fu a Colonia, Parigi e infine definitivamente a Londra, dove, nonostante le gravi difficoltà economiche, s’impegnò in un’intensa attività politica e intellettuale e approfondì la sua critica dell’economia politica, con diverse opere di rilievo, tra cui Il Capitale. Tra le sue opere principali, ricordiamo: Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1842-43, pubblicata nel 1927); Manoscritti economico-filosofici del 1844 (scritti nel 1844, pubblicati nel 1928-32); La sacra famiglia (1845, con Engels), contro B. Bauer e la sinistra hegeliana, le Tesi su Feuerbach (1845, pubblicate nel 1888), L’ideologia tedesca (184546, pubblicata nel 1932), anch’esso scritto in collaborazione con Engels, ancora una critica verso la sinistra hegeliana, Stirner in particolare, La miseria della filosofia, risposta alla «Filosofia della miseria» di Proudhon (1847), il Manifesto del partito comunista (1847-48, con Engels), Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (manoscritti del 1857-59 e pubblicati parzialmente nel 1939-41), Per la critica dell’economia politica (1859), Il Capitale (il primo volume nel 1867, il secondo e terzo postumi, nel 1885 e nel 1894), la Critica al programma di Gotha (1875). A) Il lavoro alienato L’indagine sociologica raggiunge eccezionali livelli nell’opera di Karl Marx. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 (pubblicati solo nel 1932) La sociologia 15 troviamo una notevole analisi del moderno lavoro salariato che sarà di grande importanza per gli sviluppi di tutta la tradizione marxista del Novecento. Gli economisti classici non si sono spinti abbastanza a fondo nell’analisi della proprietà privata, che è il fondamento del mondo moderno, e nell’analisi del suo rapporto con il lavoro, altrimenti avrebbero visto le contraddizioni che nasconde e che minano la società borghese alle radici. La tesi centrale di Marx è che la proprietà privata borghese si fondi sul lavoro salariato, che è strutturalmente un lavoro alienato. Il concetto di «alienazione» o «estraniazione» (che proviene da Rousseau, ma che trova una poderosa concettualizzione filosofica in G.W.F. Hegel e successivamente in L. Feuerbach) indica un processo di autentica perdita di se stessi: il lavoratore moderno si trova in una situazione di strutturale dipendenza. Da strumento della possibile liberazione, il lavoro è progressivamente diventato mezzo della sua schiavitù: il potere economico e la proprietà privata, la gestione e il sistematico sfruttamento del lavoro dipendente, tipici del capitalismo maturo, si svelano espressione materiale e sensibile di una vita umana estraniata. Marx teorizza in questo senso sia la natura storica della proprietà privata sia la necessità della sua soppressione politico-rivoluzionaria. B) Il materialismo storico e il concetto di ideologia Alla base di queste indagini che il giovane Marx conduce sulla struttura della società borghese, vi è l’ipotesi di un nuovo metodo di indagine storica secondo il quale, per poter dire di conoscere un determinato periodo storico è necessario conoscere il particolare modo di produzione e riproduzione materiale della vita che si dà in esso, e che è legato sia allo sviluppo delle forze produttive, sia alla forma dei rapporti sociali (teoria del materialismo storico). La struttura economica della società è data dal modo di produzione determinato e dai rapporti di produzione che gli corrispondono. Essa costituisce la base sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica, e alla quale corrispondono determinate forme sociali di coscienza: diritto, politica, religione, filosofia, che sono quindi espressioni di una determinata struttura economica e hanno il loro fondamento nella produzione materiale (anche se questo rapporto non va comunque inteso in senso rigido): «il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli Estratto della pubblicazione 16 Capitolo Primo uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza». Marx oppone la concezione materialistica della storia, che considera la vera «scienza» della società, alle mere ideologie: rappresentazioni che ricoprono la realtà dei fatti con una veste illusoria. In generale sono «ideologici» quei fenomeni che interessano le sovrastrutture, che si sovrappongono alla struttura, inducendo a pensare che le idee e le attività intellettuali siano indipendenti dalle condizioni materiali e che i concetti si sviluppino l’uno dall’altro, invece di essere di volta in volta il prodotto di rapporti economico-sociali fra gli uomini. C) La critica dell’economia politica Nel suo confronto con l’economia politica borghese, Marx distingue gli economisti volgari, che si limitano a produrre delle giustificazioni del capitalismo e mostrano superficialità teorica, dagli economisti classici (Smith e Ricardo), le cui analisi hanno valore scientifico (anche se le loro categorie economiche, con limiti «borghesi», andrebbero ridiscusse). In generale, egli rifiuta e critica le analisi che fanno dei rapporti e modi di produzione capitalistici qualcosa di eterno, sforzandosi invece di vederli e mostrarli in una prospettiva storica e con dei limiti. L’analisi del capitalismo e il confronto con l’economia politica classica darà luogo a diversi scritti, tra i quali Il Capitale, opera celebre nella quale Marx ci mostra un’analisi acuta e profonda delle strutture della sua epoca storica e si propone di spiegare il segreto dell’accrescimento della ricchezza e offrire dei mezzi per misurarlo. Il punto di partenza dell’analisi è la merce che è il modo in cui si presentano i prodotti del lavoro nell’attuale società. I prodotti possiedono un valore d’uso, che riguarda il loro consumo, la loro utilità, e un valore di scambio (o valore), quello che gli permette di essere scambiati sul mercato (mi permette di dire che 20 braccia di tela sono uguali a 10 libbre di tè). Secondo l’equazione valore-lavoro stabilita da Ricardo (che Marx considera il suo principale interlocutore), il valore di scambio di una merce è dato dalla quantità di lavoro necessario a produrla. Il fatto che un prodotto del lavoro sia «merce» già lo identifica come prodotto creato per essere venduto sul mercato, quindi da un certo tipo di lavoro in una certa società, nella quale si produce per vendere e nella quale il lavoro produttivo è considerato non La sociologia 17 come lavoro concreto, qualitativamente differente, ma come lavoro astratto, lavoro umano in generale, quantificabile. Esso è contenuto nella merce ed è misurato sulla base del tempo medio occorrente a produrla. Questo è detto anche lavoro socialmente necessario alla produzione di quella merce. Il fatto che la merce sia circondata da un alone come di misticismo, che la rende come «naturale» e non permette di vedere che è il prodotto di una determinata forma di produzione e che dietro lo scambio, rapporto tra cose, ci sono rapporti tra gli uomini (la produzione e la sua forma) è chiamato da Marx feticismo inerente al mondo delle merci. D) La forza-lavoro come merce La forza-lavoro, costituita dall’attività del lavoratore e dalle sue capacità, è nella società capitalistica una merce: il lavoratore la vende e il capitalista l’acquista. Il valore della merce forza-lavoro sarà, come per le altre merci, la quantità di lavoro occorrente a produrla, perciò il salario del lavoratore sarà stabilito sul minimo necessario per garantirne la sussistenza. Ma la forza-lavoro è una merce particolare: l’unica merce in grado di produrre valore. Per questo risulta fondamentale per il capitalismo il potere di acquisto della forza-lavoro. La condizione fondamentale per l’esistenza del capitalismo — per la trasformazione del denaro in capitale — è la possibilità di reperire sul mercato il lavoratore libero: un uomo costretto a vendere la sua forza-lavoro. Nell’economia capitalistica il possessore di denaro produce la merce per aumentarlo (e non per comprare altra merce), dunque l’elemento fondamentale è l’accrescimento del capitale: il plusvalore e il segreto di questo accrescimento non viene svelato dall’economia volgare, che rimane alla sfera della circolazione e al meccanismo della compra-vendita, ma sta nella sfera della produzione e nell’uso di quella particolare merce che è la forzalavoro. Comprata alla pari sul libero mercato, nel suo consumo la forzalavoro permette un aumento di valore, perché può essere usata oltre il tempo necessario per il suo riprodursi, cioè più del suo valore di scambio, più di quanto sia stata pagata sul mercato sotto forma di salario. Dunque il plusvalore è la differenza tra i beni prodotti dal lavoratore e il valore riconosciuto alla forza-lavoro impiegata (salario). Estratto della pubblicazione 18 Capitolo Primo E) Limiti storici del capitalismo Il meccanismo del capitalismo è mosso da un impulso crescente all’accumulazione: scopo del capitale non è produrre merci, ma valorizzarsi. Questo va a svantaggio degli operai, anche nel caso in cui avvenga l’introduzione di nuove macchine e non con l’aumento diretto dello sfruttamento, in quanto provoca la diminuzione della domanda di operai e la possibilità di tenere bassi i salari. Genera inoltre ricorrenti quanto inevitabili crisi di sovrapproduzione: un eccesso di beni prodotti che non possono essere consumati dà luogo a squilibri e crisi cicliche. La contraddizione fondamentale, germe implicito della dissoluzione del capitalismo, è che il profitto, stimolo della produzione capitalistica, tende a diminuire in seguito al progresso tecnico (necessità di investire in nuove macchine) mettendo in pericolo il sistema stesso. F) Classe sociale, lotta di classe e società comunista Marx ed Engels scrivono Il manifesto del partito comunista nel 1848, su richiesta della Lega dei comunisti, e vi descrivono la lotta tra due classi sociali contrapposte: borghesia e proletariato. Il ruolo della borghesia nella storia ha molti aspetti positivi. Classe critica e rivoluzionaria per eccellenza, è stata capace di mutare il mondo, da molti punti di vista, ma non ha distrutto le opposizioni strutturali di classe: «ha soltanto introdotto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta, sostituendole alle antiche». Il sistema produttivo borghese produce merci in abbondanza, ma genera anche miseria della stragrande maggioranza della popolazione: il proletariato è in questo senso un prodotto stesso della borghesia moderna. Tuttavia le lotte di rivendicazione sociale del proletariato, la classe più sfruttata, culmineranno, secondo Marx, in una finale presa del potere delle classi subalterne: in una società comunista verrà infine abolita la proprietà privata e cesseranno le forme storiche della divisione del lavoro in un processo di progressiva estinzione dello Stato stesso. 8. IL SOCIALISMO DI SAINT-SIMON Claude-Henry de Rouvroy conte di Saint-Simon nacque a Parigi nel 1760 e fu educato in provincia, in ambiente aristocratico, probabilmente avendo Estratto della pubblicazione La sociologia 19 d’Alembert come precettore. Partecipò alla rivoluzione americana, nel corpo di spedizione francese, e anche alla rivoluzione francese, anche se non ebbe un ruolo di rilievo (ma ne abbracciò le idee). Iniziò a scrivere durante l’età napoleonica (Lettere di un abitante di Ginevra ai suoi contemporanei, 1803; Introduzione ai lavori scientifici del sec.XIX, 1808). Scrisse, insieme allo storico A. Thierry Della riorganizzazione della società europea (1814). Nel 1816 pubblicò la rivista L’industria. Dal 1817 al 1824 ebbe come collaboratore il giovane Comte, con il quale scrisse Del sistema industriale (182022) e il Catechismo degli industriali (1823-24) e pubblicò il periodico L’organizzatore (1819-20). Infine, dopo la rottura con Comte, scrisse l’incompiuto Nuovo cristianesimo (1825). Morì a Parigi nel 1825. A) Teoria dello sviluppo sociale Saint-Simon interpreta la società come un’unità organica, analizzabile scientificamente (ipotesi di una «fisiologia sociale»). Egli, più precisamente, individua nella storia sociale occidentale la successione di epoche «organiche» (ad. es. antichità e medioevo) ed epoche «critiche» (ad es. Riforma e periodo illuminista e rivoluzionario). Analogamente a quanto teorizzato da Comte, l’epoca contemporanea (ci riferiamo alla società industriale della metà dell’800) mostrerebbe il passaggio dalla vecchia società teologica e feudale alla nuova società scientifica e industriale, nella quale alla conoscenza metafisica medievale – fondata su ipotesi non verificabili – subentra quella scientifica. Questa tendenza, che è la tendenza delle scienze a diventare «positive» e non più «congetturali», vale anche per la scienza della società e per la filosofia. La nuova epoca sarà quindi «positiva» e scientifica, e in essa la direzione della società sarà affidata agli scienziati, ai grandi industriali, ai banchieri che assieme agli operai costituiranno, in una sorta di blocco unico (idea molto contestata da autori successivi), una nuova classe sociale produttiva (i «laboriosi») in contrapposizione alle tradizionali classi sociali parassitarie («oziose») costituite da nobili e militari. In questa riorganizzazione razionale, finalizzata alla produzione e nella quale la produzione sarà a sua volta strettamente finalizzata, svanisce il senso del potere politico tradizionale. Nella visione di Saint-Simon alla «politica metafisica», quella tradizionale, che decide in base a supposizioni astratte, subentra una «politica scientifica», nella quale le decisioni vengono prese sulla base di dimostrazioni scientifiche. Di qui la grande importan- Estratto della pubblicazione 20 Capitolo Primo za che sono destinate ad assumere le competenze tecnico-scientifiche nella stessa organizzazione gerarchica: il potere politico sarà affidato agli industriali e ai tecnici, in una società ormai organizzata come un’impresa industriale. 9. MAX WEBER E LA SOCIOLOGIA AVALUTATIVA Max Weber (1864-1920) studiò inizialmente a Heidelberg e Berlino; fu professore all’università di Friburgo (1894) e direttore dell’«Archivio di scienza sociale e di politica sociale», e da ultimo professore di Economia politica a Vienna. Opere principali: L’«oggettività» conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale (1904), Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura (1906), L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905), Economia e società. A) Il metodo e la dottrina del tipo ideale («Ideatypus») L’opera weberiana è costituita in gran parte da un’indagine «scientifica» intorno alle scienze storico-sociali, mirante a definire un loro autonomo metodo di ricerca e di elaborazione concettuale: queste inquadrano i fenomeni entro un sistema di concetti e di leggi generali, mentre le scienze naturali determinano gli elementi che caratterizzano in maniera individuale un dato fenomeno. La scienza storico-sociale, che va considerata come «una scienza di realtà», si basa sulla formulazione di ipotesi d’interpretazione, anzi più precisamente sulla necessità di conferire un significato ad un insieme di fenomeni. Tale significato presuppone una relazione al valore. Ma i valori, in una società sempre più complessa come quella industriale e capitalistica, sono molteplici, poiché ciascuno costituisce un «punto di vista» culturale sulla realtà. Le scienze cosmologiche, rifiutandosi di formulare giudizi di valore, vanno pertanto segnate dall’«avalutatività», la quale in primo luogo ne garantisce l’oggettività. Chiave di questo metodo di ricerca «avalutativa» è la teoria del «tipo ideale» (Idealtypus). Esso non costituisce un’ipotesi o una rappresentazione esaustiva della realtà: fornisce piuttosto il punto di partenza per l’elaborazione di ipotesi. Si tratta in altri termini di una costruzione concettuale che si ottiene mediante l’accentuazione unilaterale di «una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti» La sociologia 21 e mediante l’astrazione di elementi comuni (esempi: lo «Stato», il «feudalesimo», la «Chiesa» e così via). Il contenuto del concetto tipico-ideale è definito dalla categoria di «possibilità oggettiva», la quale indica il quadro dei possibili modi d’essere di un determinato fatto o fenomeno, corrispondente, ad un suo particolare significato culturale. Per Weber gli oggetti della cultura, i vari aspetti della storia e della società, non hanno, in ultima analisi, alcun senso intrinseco ma sono solo costruzioni di «connessioni oggettive» (concetti tipico-ideali), che si succedono incessantemente nel tempo. B) L’analisi della modernità L’evoluzione della società occidentale moderna è secondo Weber caratterizzata da un processo di gigantesca razionalizzazione tecnica. Le società arcaiche, governate da forze occulte, misteriose o da entità in conoscibili e trascendenti, vivono un mondo «incantato». Al contrario, mediante un processo di successiva razionalizzazione, il mondo moderno tende a configurarsi come l’epoca del «disincantamento del mondo». Si tratta di una condizione sociale ed esistenziale in cui la razionalità stessa diventa lo strumento mediante cui si individuano — nel caos indistinto — delle leggi, un ordine, delle regolarità che rendono in una certa misura prevedibili i fenomeni, il corso degli eventi. Nel mondo «disincantato» e privo di senso dell’uomo moderno, acquisisce dunque un ruolo fondamentale quella che Weber definisce «razionalità rispetto allo scopo», cioè la ricerca di mezzi o strumenti pratici adeguati ed efficaci per realizzare un fine: si tratta di una dilagante razionalità puramente strumentale. In ambito pratico, il soggetto disincantato della modernità è costretto pertanto ad operare una scelta dipendente esclusivamente dalla propria volontà e dal proprio «scopo», nel tentativo di orientarsi nel caos dei molteplici valori e della molteplici opzioni (tema del «politeismo dei valori»). 10. DURKHEIM E IL FUNZIONALISMO Émile Durkheim (1858-1917), sociologo francese. La sua opera si sviluppa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Fu docente di Pedagogia e Scienza sociale all’università di Bordeaux e in seguito a Parigi. Il Estratto della pubblicazione 22 Capitolo Primo suo lavoro è finalizzato sostanzialmente alla determinazione dell’oggetto e soprattutto dei metodi propri della sociologia. A) La metodologia della ricerca sociale Il punto centrale della teoria di Durkheim è che soltanto attraverso un’analisi metodologica diventa possibile svincolare l’indagine sociologica dalla dipendenza da opzioni metafisiche che ne snaturano la fisionomia e che ancora esercitavano una pregiudiziale influenza negli autori suoi contemporanei. Il metodo sociologico deve depurare il campo della ricerca anche da qualsiasi presa di posizione politica o ideologica. Il conseguente obiettivo è l’integrazione dell’universo delle scienze sociali. Nella teoria durkheimiana la società consiste in un aggregato di individui, le coscienze dei quali creano delle «rappresentazioni individuali» e delle «rappresentazioni collettive»; quest’ultime sono espressioni di un «tipo psichico collettivo», di una coscienza collettiva che rappresenta la funzione che favorisce la realtà dei rapporti tra singoli individui, la realtà morale, comunicativa, e quindi lo sviluppo stesso della società. La coscienza collettiva è costituita dall’insieme di credenze, dal senso comune della media degli individui. B) Gli studi classici di Durkheim Ne La divisione del lavoro sociale (1893), primo notevole lavoro, Durkheim affronta il problema di come nasca il consenso, elemento fondamentale della stessa costituzione della società. Egli rintraccia due distinte forme di solidarietà: la prima caratterizza le società cosiddette «primitive» in cui esiste una meccanica indifferenziazione tra gli individui che le compongono; l’altra forma consiste invece nell’organica differenziazione sociale, per cui ogni individuo assolve una funzione in qualche modo indispensabile. Nel celebre saggio Il suicidio, viene svolta invece un’indagine accurata appunto sul suicidio, che si rivela essere un fenomeno individuale prodotto da cause sociali. Il suicidio nasce da una specie di «disfunzione» del rapporto dell’individuo con il contesto della società in cui vive e può essere di varia natura, egoistico, altruistico e altro ancora. Ne Le regole del metodo sociologico (1895), il lavoro più importante di Durkheim, possono essere considerate il testo sistematico più rilevante della sociologia scientifica dell’Ottocento e l’opera metodologica principale. In generale, Durkheim abbandona il presupposto della società intesa come una totalità organiEstratto della pubblicazione 23 La sociologia ca o sistematica. La sociologia ha di conseguenza come suo oggetto la molteplicità delle diverse società: «Ciò che esiste, ciò che solo è dato all’osservazione, sono le società particolari che nascono, si sviluppano, muoiono indipendentemente l’una dall’altra». Riguardo al metodo, il sociologo deve porsi di fronte ai fenomeni sociali con il medesimo atteggiamento o «condizione mentale» con cui i fisici, i chimici, indagano qualche territorio scientifico ancora ignoto. In primo luogo per Durkheim il principio basilare del metodo sociologico, per alcuni versi già implicitamente riconosciuto da Comte, è il seguente: i fenomeni sociali devono essere considerati cose, fatti: essi possiedono un’incontrovertibile realtà oggettiva. In quanto tali sono esterni all’individuo, alle coscienze individuali; sono irriducibili ai fenomeni naturali-organici e si differenziano da quelli psico-soggettivi che, al contrario, si producono all’interno del soggetto. Il fatto sociale non è passibile di una definizione, ma solo di una caratterizzazione che ne colga gli elementi empirici, cioè i vari modi pensare e di agire degli individui nella loro interazione con il gruppo. C) Il potere delle istituzioni Gli individui si trovano inevitabilmente di fronte a qualcosa, le istituzioni sociali, che sono trasmesse loro dalle generazioni precedenti. Il fenomeno sociale non coincide con la somma o insieme dei fenomeni e delle azioni individuali: l’individuo è prodotto dalla società non viceversa. I fatti sociali inoltre hanno la specifica capacità di esercitare un’influenza coercitiva sulle coscienze individuali: le credenze, le pratiche, i rituali, gli stereotipi sociali sono determinati dalla collettività: così si formano, in senso generale, le «istituzioni». Si tratta di entità sociali quasi autonome, che agiscono su di noi, ci condizionano, ci avvolgono. Le istituzioni vengono formate dagli individui ma sfuggono al controllo della volontà individuale: «la realtà da cui emana la società supera l’individuo», scrive significativamente Durkheim. La sociologia può dunque a buon diritto essere definita proprio come la «scienza delle istituzioni, della loro genesi e del loro funzionamento». ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Che si intende per funzionalismo? Il funzionalismo fu una corrente di pensiero in base alla quale la società è rappresentabile come una complessa rete di posizioni e di funzioni, all’interno della quale ad ogni individuo Estratto della pubblicazione 24 Capitolo Primo sono assegnati una serie di compiti, finalizzati al mantenimento dell’equilibrio sociale. Per i funzionalisti, la società va concepita come sistema, la cui caratteristica fondamentale, fra le tante, è quella di presentare un funzionamento in qualche modo improntato all’autoregolazione, nel senso che gli eventuali conflitti sono suscettibili di essere superati proprio grazie alla cooperazione dei vari elementi del sistema stesso. La matrice delle concezioni funzionalistiche in sociologia, come anche in antropologia e in filosofia, va ricercata in un gruppo di filosofi americani (soprattutto William James e John Dewey), nonché in un filone della riflessione teorica in biologia (Ludwig von Bertalanffy). Questi, in consonanza con una serie di altre ricerche in campi disciplinari diversi, sfoceranno nella celebre e importante teoria generale dei sistemi, destinata ad influire profondamente sul pensiero filosofico e scientifico del Novecento, fino alla formulazione, nel settore sociologico, della teoria dei sistemi sociali di Niklas Luhmann (1927- 1998), sociologo tedesco allievo di Parsons, il quale parla della società come «rete di sistemi composti da atti di comunicazione dotati di un senso sociale». ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 11. PARSONS E LO STRUTTURAL-FUNZIONALISMO Talcott Parsons (1902-1979), sociologo statunitense, dopo aver studiato nel Paese natale, si trasferì in Europa, nel cui ambiente culturale avvenne la sua formazione; frequentò dei corsi alla London School of Economics e a Heidelberg (qui conobbe Max Weber); in seguito tornò negli Stati Uniti e nel 1927 divenne Professore all’università di Harvard, dove rimase per tutta la vita; fu anche presidente della American Sociological Association. Tra le sue opere maggiori sono da ricordare: La struttura dell’azione sociale (1937), Il sistema sociale (1951) e Sistemi di società (1966-71). A) L’azione sociale L’idea di base dello struttural-funzionalismo di Parsons è che esiste una struttura del sistema sociale con determinate esigenze che si esprimono in determinate funzioni finalizzate alla sua persistenza. Questa struttura è composta dalle azioni degli individui (al cui concetto Parsons, ne La struttura dell’azione sociale, dedica un’analisi approfondita). L’azione o atto non si riduce ad essere semplicemente una risposta a stimoli esterni: essi richiedono necessariamente la presenza di colui che compie l’azione e un «fine», cioè la situazione futura verso cui è orientato il processo dell’azione oltre che la «situazione iniziale» in cui essa si colloca. Un punto rilevante è che non c’è azione se non come sforzo per conformarsi a delle norme, a dei modelli, che sono ritenuti opportuni da chi agisce e dagli altri membri della Estratto della pubblicazione