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COLLANA
TIMONE
ELEMENTI DI
SOCIOLOGIA
DEL DIRITTO
Diritto e Società
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
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Gruppo Editoriale
Esselibri - Simone
Estratto
della pubblicazione
213
Estratto della pubblicazione
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Organizzazione, direzione e coordinamento del testo
a cura di Federico del Giudice
Revisione del testo a cura di Carla Buffolano
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Finito di stampare nel mese di gennaio 2008
dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)
per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - (Na)
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
PREMESSA
Questo testo introduttivo alla sociologia del diritto costituisce un
primo approccio per il giurista e il sociologo a questa complessa, ma
affascinante disciplina che analizza i comportamenti sociali alla luce
delle regole del diritto e viceversa.
Nella stesura del lavoro si è tenuto conto delle potenziali difficoltà ermeneutiche dei giuristi nei confronti dei concetti sociologici, e
dei sociologi in relazione agli argomenti base della teoria generale
del diritto.
In particolare, il primo capitolo, alla sezione prima, analizza i
concetti generali di sociologia, mentre i capitoli quinto (Teorie sul
diritto), sesto e settimo (Norme e fonti del diritto) sono dedicati ad
argomenti fondamentali di teoria generale del diritto che costituiscono il necessario presupposto applicativo del pensiero sociologico.
In tal modo, giuristi e sociologi potranno accostarsi allo studio
del diritto e delle società con le essenziali competenze per un’analisi
più documentata, senza lacune di base che, talvolta, ne compromettono l’apprendimento.
Questo testo, dunque, consente un approccio iniziale della sociologia del diritto, e si presenta di particolare interesse ed utilità per gli
studenti universitari e operatori sociali che, in tempi rapidi, necessitano di uno strumento agile, sistematico ed esplicativo (come si rivela nei glossari posti a fine capitolo) per raggiungere una preparazione ottimale all’esame.
Estratto della pubblicazione
CAPITOLO PRIMO
LA SOCIOLOGIA
Sommario: Sezione Prima: Concetti generali: 1. La sociologia: nozione; oggetto;
funzione; origini. - 2. Lo studio del fenomeno sociale: teoria microsociologica e
teoria macrosociologica; analisi sincronica e analisi diacronica. - Sezione Seconda:
Evoluzione storica del concetto di società e sociologia: 3. Le origini. - 4. Positivismo e sociologia. - 5. La fisica sociale di Comte. - 6. La sociologia evoluzionistica di
Spencer. - 7. Teorie del conflitto: Marx. - 8. Il socialismo di Saint-Simon. - 9. Max
Weber e la sociologia avalutativa. - 10. Durkheim e il funzionalismo. - 11. Parson e
lo struttural-funzionalismo. - 12. La teoria dei sistemi di Luhmann. - 13. Le dottrine
giuridiche.
Sezione Prima
Concetti generali
1. LA SOCIOLOGIA: NOZIONE, OGGETTO, FUNZIONE, ORIGINI
La sociologia è tradizionalmente intesa come la scienza che ha ad oggetto lo studio della società e dei comportamenti sociali degli individui.
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Chi è quindi il sociologo?
Il sociologo è colui che studia il comportamento delle interazioni e delle aggregazioni umane
e, sulla base di osservazioni empiricamente effettuate sui fenomeni della realtà concreta, indaga sui processi generali di strutturazione della società, al fine di delinearne la genesi, le categorie, i modelli di base e di comprendere gli effetti dei fenomeni sociali stessi in presenza di
determinate condizioni e di specifiche variabili.
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La sociologia può essere definita dunque, da un lato, come disciplina
empirica, in quanto il punto di partenza è costituito dall’osservazione della
realtà concreta; da un altro lato, come disciplina teorica, in quanto costituita da un insieme di proposizioni generali che integrano la ricerca empirica.
Inoltre, è considerata disciplina di sintesi in quanto, nell’analisi del comportamento umano e della società, non può prescindere da altre discipline
come l’antropologia culturale, la psicologia (soprattutto la psicologia sociale), la storia, l’economia.
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Capitolo Primo
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A cosa è dovuta la nascita della sociologia come scienza?
La nascita della sociologia risale al XIX secolo grazie al contributo di autori (A. Comte, A.
Tocqueville, H. Spencer, K. Marx, E. Durkheim, M. Weber) che studiarono la società e i comportamenti sociali in un contesto particolare, quello della rivoluzione industriale, la quale
comportò la nascita di una società molto più complessa rispetto alla precedente e caratterizzata
da una rapida trasformazione del tessuto sociale oltre che da un intenso sviluppo economico.
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2. LO STUDIO DEL FENOMENO SOCIALE. TEORIA MACROSOCIOLOGICA E TEORIA MICROSOCIOLOGICA. ANALISI SINCRONICA E ANALISI DIACRONICA
Sono sostanzialmente due le opzioni teoriche generali in base alle quali
il fenomeno sociale può essere studiato:
a) teoria macrosociologica: studia l’intera società nel suo insieme (cd.
macrosistema): le istituzioni e strutture principali e i processi che generano modifiche all’interno di esse;
b) teoria microsociologica: studia frazioni o parti della società (cd. microsistema), cioè singole relazioni sociali tra individui in rapporto di immediata interazione (ad esempio: classi sociali, famiglie etc.). Essa si avvale del cosiddetto metodo storico-comparativo, che consiste nello studio di avvenimenti storici dello stesso tipo, allo scopo di ricavare delle
uniformità e di rilevare, attraverso queste, un tipo ideale di fenomeno
(tale espressione «tipo ideale» – Idealtypus in tedesco – fu coniata, come
si vedrà in seguito, da Max Weber).
Da altro punto di vista, secondo l’insegnamento di Auguste Comte,
considerato, come vedremo, il fondatore stesso della sociologia, si distingue a seconda se la società venga osservata:
a) in modo sincronico (cosiddetta «statica sociale»), in cui si considerano
le connessioni tra idee, costumi e istituzioni di una determinata società
in un determinato momento storico, prescindendo dall’eventuale progresso della stessa.
Secondo le più accreditate teorie, osservando la società in maniera statica, molto utile sarà per il sociologo valutare se essa sia unitaria o, al
contrario, differenziata (questione della differenziazione o stratificazione sociale) e, in tal caso, quanto rigida sia questa differenziazione.
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La sociologia
La stratificazione sociale può essere definita come la disuguaglianza
strutturata tra raggruppamenti differenziati di persone, in base ai diversi status (cioè a diverse posizioni socio-economiche) e ruoli nella
società.
Più precisamente, lo status è la posizione in cui viene idealmente collocato un individuo nella rappresentazione della realtà. A questo proposito, è stata proposta una distinzione (Linton) tra status attribuiti, che sono
quelli indipendenti dall’azione dell’individui (ad es.: età, sesso, nazionalità) e status acquisiti, che vengono imputati all’individuo in relazione alla valutazione sociale degli sforzi da lui compiuti per entrarne in
possesso (ad es.: la laurea, cioè il titolo di studio come elemento di differenziazione sociale).
Il ruolo sociale costituisce, invece, il complesso delle azioni che ci si
aspetta da un individuo in base allo status che occupa all’interno della
società. In presenza di questa disuguaglianza tra categorie o gruppi di
individui, il sistema di stratificazione può essere chiuso o aperto.
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Che si intende per sistema chiuso e sistema aperto?
Il sistema aperto è quello che prevede la possibilità per tutti di accedere ai gradi superiori o di
essere declassati ai gradi inferiori del sistema di stratificazione, in base ad una valutazione
delle prestazioni compiute; il sistema chiuso è quello in cui a nessuno è data la possibilità di
cambiare il proprio status. In tal senso, risulta rilevante il concetto di mobilità sociale che,
intesa come il passaggio di un individuo o di un gruppo da uno status ad un altro, indica il
grado di apertura o chiusura del sistema di stratificazione e cioè il livello di facilità o difficoltà
con cui il suddetto passaggio è consentito. È stato osservato (Ferrari) che tale mobilità costituisce un «fenomeno eccezionale nelle società nelle quali le posizioni sociali sono imposte dalla
tradizione culturale o dalle leggi», il contrario in quelle nelle quali «le posizioni sociali sono
frutto di volontaria opzione dei soggetti».
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b) in modo diacronico (cosiddetta «dinamica sociale»): si studia la società tenendo in considerazione il progresso e i mutamenti avvenuti all’interno di essa e i fattori che hanno provocato tali mutamenti. Parte della
dottrina (Ferrari) ha osservato che, tra questi fattori, un ruolo preminente è svolto: a) dalla produzione (un elemento ritenuto fondamentale, come
si vedrà, da sociologi come Durkheim e Marx); b) dal potere; c) dalla
cultura.
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Capitolo Primo
Sezione seconda
Evoluzione storica del concetto di società e la sociologia del diritto
Come già precisato, la società, così come i comportamenti sociali, costituiscono l’oggetto della sociologia, ma diverso è stato storicamente il modo
di concepire l’una e l’altra da parte degli studiosi in materia. D’altra parte,
come osserva Treves, per la fondazione della sociologia del diritto, notevole è stato il contributo dei sociologi, data l’importanza che il concetto di
società assume anche nell’ambito della sociologia giuridica. Non è infine
da trascurare l’ausilio delle dottrine politiche, nonché il ruolo dei giuristi,
ai fini della comprensione delle origini e della funzione del diritto nella
società.
3. LE ORIGINI
La data di nascita della sociologia, intesa come studio scientifico della
società o dei «fatti» sociali, viene fatta generalmente risalire al 1839, data
di pubblicazione del Corso di filosofia positiva di Auguste Comte (17981857), il testo in cui appare una definizione divenuta poi celebre: «la sociologia è quella parte complementare della filosofia naturale che si riferisce
allo studio positivo dell’insieme delle leggi fondamentali proprie dei fenomeni sociali». Tuttavia, prima di Comte lo studio sistematico della società
ha dei precedenti illustri. Si può pensare, in ambito illuminista, all’opera di
Charles de Secondat barone di Montesquieu (1689-1755) che nello Spirito delle leggi (1748) esamina i diversi regimi politici per analizzare la maniera in cui gli ordinamenti legislativi si pongono rispetto ai valori di una
società libera — il primato della ragione, la pari dignità giuridica dei membri della comunità, il progresso culturale e il benessere economico. La tesi
centrale di Montesquieu, di notevole rilevanza sociologica, è che per sua
natura l’uomo è spinto a costituire con i propri simili una comunità civile
finalizzata ad appagare i propri bisogni e gestire la sopravvivenza. La convivenza impone di regolamentare i comportamenti degli associati attraverso il diritto positivo. Le leggi, in questo senso, debbono essere adatte allo
spirito del popolo per cui sono state istituite. Il portato sociologico di questa ipotesi teorico-politica è che non esistono ordinamenti giuridici validi
universalmente: ciascuna comunità sociale deve poter contare su leggi che,
La sociologia
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di volta in volta modellate sulla natura e lo spirito del popolo, ne rispettino
e ne promuovano l’identità. Analogamente, nell’opera di Jean-Jacques
Rousseau (1712-1778) lo studio della società assume il profilo non solo di
una esplicita teoria politica ma anche di un’ipotesi sulla genesi della società
moderna e sulle sue contraddizioni. Nel Contratto sociale, Rousseau si dichiara consapevole dell’ambiguità del progresso della civiltà umana: perduta irrimediabilmente l’eguaglianza originaria (concetto a lungo elaborato
dalla teoria politico-giuridica della modernità) gli individui hanno comunque la possibilità di redimersi tentando di realizzare una società che recuperi l’innocenza originaria basandosi su nuovi valori: dignità, libertà e uguaglianza. Di qui la celebre teoria della necessità di un pactum (contratto
sociale) finalizzato alla tutela degli individui e i loro beni. Su questa base, i
singoli diventano espressione di una volonté general e assumono identità
di Stato: cittadini in quanto partecipi dell’attività sovrana che si sottopongono alle leggi in nome del superiore interesse collettivo.
4. POSITIVISMO E SOCIOLOGIA
La sociologia come scienza autonoma, separata dalla teoria politica e
del diritto, dalla filosofia morale o anche dalla filosofia della storia, nasce
però soltanto alla metà dell’800, in quella che viene definita età positivista: si tratta dell’epoca del massimo decollo industriale, dell’aumento delle attività produttive, dello sviluppo della tecnologia, della nascita del
proletariato e dei nuovi ceti dirigenti (industriali, tecnici, scienziati), oltre
che dell’aumento della mobilità sociale e del verificarsi delle prime tensioni tra classi. Il positivismo è in effetti un complesso atteggiamento di pensiero che, movendosi parallelamente allo sviluppo industriale, si sviluppa
soprattutto in Francia e in Inghilterra, ma si diffonde anche in altre nazioni europee, come l’Italia e la Germania. I filosofi positivisti presentano
come caratteristica comune il bisogno di adeguare l’attività filosofica ai
contributi di metodo e contenuto che le scienze moderne hanno dato allo
studio della natura e dell’uomo. Gli aspetti tipici del movimento possono
così essere sintetizzati:
— la fiducia nel fatto che l’umanità sia entrata in una nuova era, di progresso generalizzato (intellettuale, materiale, morale);
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Capitolo Primo
— l’idea che la conoscenza (della realtà naturale ma soprattutto di quella
sociale) avvenga solamente tramite i fatti e la loro codificazione in leggi;
— la convinzione che la scienza e la tecnica possano condurre ad una maggiore felicità.
— un’idea della filosofia come metodologia critica e come raccordo tra le
scienze
Tra i maggiori esponenti del positivismo in Francia ricordiamo C.H.
Saint-Simon, il cui pensiero rispecchia il momento di crescita del processo
di industrializzazione e il tentativo di mediarlo con le esigenze egualitarie
dei movimenti socialisti, e Auguste Comte. In Inghilterra, nazione protagonista dello sviluppo industriale, converge e stimola la visione del mondo
positivista la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin, le cui conseguenze
sul piano filosofico e sociale verranno tratte da Herbert Spencer. Un pensatore inglese di rilievo, che condivide un atteggiamento positivista, ma
non legato all’evoluzionismo, è l’utilitarista e liberale John Stuart Mill. In
Italia la cultura positivista si afferma solo dopo il 1870 e rielabora temi
provenienti da Francia e Inghilterra.
5. LA FISICA SOCIALE DI COMTE
Auguste Comte (1798-1857) studiò all’Ecole polytechnique e nel 1818
divenne discepolo e collaboratore di Saint-Simon. Successivamente ottenne un incarico di insegnamento alla stessa Ecole. Opere principali: Corso di
filosofia positiva (6 voll., 1830-42); Discorso sullo spirito positivo (1844);
Catechismo positivista (1852); Sintesi soggettiva o Sistema universale delle concezioni proprie dell’umanità, Parte I: Sistema di Logica positiva o
Trattato di Filosofia matematica (1856).
A) La filosofia «positiva» e la legge dei tre stadi
Secondo Comte il compito della filosofia consiste nel partire dagli eventi
stessi come gli scienziati partono dai fenomeni naturali empiricamente osservabili. Se si applicasse questo modo di procedere la filosofia della storia
risulterebbe «positiva», cioè si otterrebbe una rappresentazione scientifica della storia vista nelle sue leggi obiettive.
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La sociologia
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Da questa prospettiva, Comte rintraccia nella successione storica una
regolarità di fondo che egli definisce legge dei tre stadi. Egli sostiene cioè
che l’evoluzione umana ha attraversato tre fasi che corrispondono a quelle
dello sviluppo psicologico dell’individuo: quella teologica, quella metafisica e quella scientifica.
— Nello stadio teologico (o fittizio) lo spirito umano tende alle conoscenze
assolute. Cerca le cause prime e finali dei fenomeni, che gli appaiono
prodotti dall’azione di agenti sovrannaturali.
— Nello stadio metafisico (o astratto) che è sostanzialmente soltanto una
modificazione del primo, gli agenti sovrannaturali sono sostituiti da entità (astrazioni personificate, forze, principi occulti, essenze metafisiche
o ontologiche) ritenute capaci di produrre i fenomeni.
— Nello stadio scientifico (o positivo), che caratterizza i tempi nuovi, si ha
invece finalmente la subordinazione dell’immaginazione all’osservazione. La scienza non ricerca più cause occulte ma si limita a descrivere le
leggi fisiche dei fenomeni.
Lo spirito positivo enuncia dunque i fatti effettivamente esperiti, indicando regole oggettive e costanti. Si propone, partendo dallo studio di ciò
che è, di prevedere quel che sarà, consapevole che ogni conoscenza è relativa alla condizione naturale del soggetto conoscente ed alle sue concrete
possibilità di organizzazione culturale. Sulla base di questa consapevolezza
si propone di delineare una visione del mondo che costituisca un quadro
logico di riferimenti precisi e certi e che rappresenti uno strumento utile al
miglioramento della vita, sia in termini politici che economico-sociali. Lo
stadio positivo, che ha avuto inizio nell’epoca moderna con la nascita della
nuova scienza, troverà compiuta realizzazione soltanto quando tutte le branche del sapere convergeranno in un metodo positivo, da cui procederà una
nuova scienza unitaria della natura e dell’uomo.
B) La teoria sociologica
Secondo Comte, il culmine del sapere positivo è costituito dalla sociologia. Un’ideale classificazione delle discipline prevede infatti secondo Comte
che le varie scienze possano raggiungere in tempi diversi lo stadio positivo
in base alla complessità dell’oggetto di indagine: la matematica o l’astronomia ad esempio sono giunte assai precocemente al grado più alto del
loro sviluppo in quanto rivolte all’indagine di fenomeni immutabili ed emEstratto della pubblicazione
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Capitolo Primo
piricamente controllabili. Quanto più invece l’oggetto di indagine si fa complesso, stratificato, esposto a variabili indefinite, tanto più risulterà arduo
coglierne le strutture fisse e la logica dell’evoluzione. Alla sociologia scientifica o positiva sarà dunque affidato il compito di indagare sul fenomeno
più complesso del sapere: l’interazione sociale. Lo scopo è quello di pervenire ad uno studio scientifico del comportamento umano al fine di ottenere
una guida certa sia in termini di teoria politica che di prassi efficiente. Tale
studio dovrà naturalmente configurarsi in termini di scienza fisica: studiare
i fenomeni sociali così come la fisica studia quelli naturali. Una tale fisica
sociale — questa è la definizione di Comte — rifuggendo da qualsivoglia
suggestione teologico-metafisica, analizzerà i fenomeni secondo una doppia dimensione, statica e dinamica, ricavandone leggi obiettive. Più precisamente, la statica sociale, si occuperà delle leggi della convivenza degli
elementi sociali, cioè di quelle che presiedono all’ordine della vita associata (ordinamento giuridico, strutture economiche); la dinamica sociale individuerà invece le regole della trasformazione, dello sviluppo, del progresso
della società. Una sociologia così intesa avrà pertanto un carattere che la
accomuna alle altre scienze positive e che mancava alle tradizionali teorie
«suppositive» — teologiche o metafisiche — della realtà sociale: offrirà
cioè la concreta possibilità di una previsione delle trasformazioni sociali a
partire dall’analisi delle condizioni concrete.
6. LA SOCIOLOGIA EVOLUZIONISTICA DI SPENCER
Herbert Spencer (1820-1903) dopo studi scientifici e un periodo come
ingegnere, si avvicinò all’evoluzionismo, diventandone in breve uno dei
maggiori rappresentanti. Opere principali: Statica sociale (1850), Principi
di psicologia (1855), I primi principi (1862), Principi di biologia (18641867), Principi di sociologia (1876-96), Principi di psicologia (1870-72),
Principi di etica (1879-1892), Individuo e stato (1884).
A) L’evoluzionismo universale
Sia le idee di Lamarck che quelle di Darwin influirono a fondo sulle
ipotesi di Spencer, tanto da spingerlo ad un tentativo di applicazione dell’evoluzionismo ad ogni scienza particolare. Questo progetto converge at-
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La sociologia
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torno all’idea che il principio generale dell’evoluzione mostra una legge
specifica: data la redistribuzione continua esistente in natura tra materia e
movimento (meccanicismo), in ogni dimensione della natura assistiamo ad
un passaggio costante dall’omogeneo all’eterogeneo, al disordine all’ordine, dall’incoerente al coerente. Tale principio esplicativo di tutta l’evoluzione trova secondo Spencer una conferma sia a livello astronomico (formazione del sistema solare) che biologico (sviluppo delle specie viventi)
che storico-sociale. Tutto l’universo appare infatti disciplinato da una legge
universale di evoluzione: un alternarsi di progressi e regressi, di aggregazioni e dissipazioni che si verificano nell’ambito di un generale movimento
verso forme sempre più complesse e perfette.
B) Morale, sociologia, politica
Al principio di adattamento Spencer riconduce l’origine della moralità
individuale. L’uomo è sempre vissuto nel bisogno di adeguarsi alle molteplici e diverse circostanze non soltanto al fine di conservare la propria vita,
ma anche per migliorarla. Il fine dell’esistenza si identifica in questo senso
con la felicità stessa. Con questo concetto Spencer si avvicina alle dottrine
utilitariste. A differenza di queste, però, egli sostiene che allo stato attuale
della civiltà l’individuo agisce per un autentico sentimento di obbligo morale e non per la sola utilità immediata. Ciò è potuto accadere perché nel
corso del tempo la specie umana ha appreso per esperienza che obiettivi
piacevoli più lontani e più generali possono produrre maggiore felicità rispetto a quelli più prossimi e particolari. Agire per il dovere assicura in
qualche modo maggiore ritorno in termini di felicità complessiva che non
agire in vista di un piacere immediato. Queste esperienze si sono così tradotte in principi dello spirito umano, che l’individuo eredita e trova in sé
quasi come delle forme ‘a priori’. Tali principi sono veri e propri obblighi
etici, che vanno pertanto considerarti come esito millenario di una complessa evoluzione psico-sociale. Questa dottrina spinge Spencer, nella fase
finale delle sua produzione, ad intensificare lo studio della realtà umana da
un punto di vista squisitamente sociologico: l’esito è una teoria dello sviluppo lento e graduale delle strutture sociali. Tale ipotesi della gradualità
si traduce, a livello politico, in un sostanziale rifiuto del socialismo come
ipotesi politica rivoluzionaria: non è possibile secondo Spencer che alcune
forme sociali accedano allo stadio superiore senza attraversare modifiche e
Estratto della pubblicazione
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Capitolo Primo
riforme graduali e successive. Questa posizione politica riformista divenne
in breve il punto di riferimento teorico della classe industriale inglese in
ascesa, la cui politica economica liberista era naturalmente finalizzata al
mantenimento dell’ordine esistente.
7. TEORIA DEL CONFLITTO: MARX
Karl Heinrich Marx (1818-1883) studiò a Bonn, poi a Berlino, dove
entrò in rapporto con i «giovani hegeliani». Nel 1842 lavorò alla Gazzetta
renana, giornale liberale. Nel 1843 il giornale fu soppresso e Marx si recò a
Parigi, dove pubblicò nel 1844 il primo ed unico numero degli Annali franco-tedeschi. Dal 1844 iniziò la sua lunga amicizia con Engels. Nel 1845 si
stabilì a Bruxelles. Aderì con Engels nel 1847 alla Lega dei comunisti, per
la quale scrissero il Manifesto del partito comunista, pubblicato nel 1848.
Partecipò alla rivoluzione del 1848-49 in Germania. Fu a Colonia, Parigi e
infine definitivamente a Londra, dove, nonostante le gravi difficoltà economiche, s’impegnò in un’intensa attività politica e intellettuale e approfondì
la sua critica dell’economia politica, con diverse opere di rilievo, tra cui Il
Capitale. Tra le sue opere principali, ricordiamo: Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1842-43, pubblicata nel 1927); Manoscritti
economico-filosofici del 1844 (scritti nel 1844, pubblicati nel 1928-32); La
sacra famiglia (1845, con Engels), contro B. Bauer e la sinistra hegeliana,
le Tesi su Feuerbach (1845, pubblicate nel 1888), L’ideologia tedesca (184546, pubblicata nel 1932), anch’esso scritto in collaborazione con Engels,
ancora una critica verso la sinistra hegeliana, Stirner in particolare, La miseria della filosofia, risposta alla «Filosofia della miseria» di Proudhon
(1847), il Manifesto del partito comunista (1847-48, con Engels), Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (manoscritti del
1857-59 e pubblicati parzialmente nel 1939-41), Per la critica dell’economia politica (1859), Il Capitale (il primo volume nel 1867, il secondo e
terzo postumi, nel 1885 e nel 1894), la Critica al programma di Gotha (1875).
A) Il lavoro alienato
L’indagine sociologica raggiunge eccezionali livelli nell’opera di Karl
Marx. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 (pubblicati solo nel 1932)
La sociologia
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troviamo una notevole analisi del moderno lavoro salariato che sarà di grande
importanza per gli sviluppi di tutta la tradizione marxista del Novecento. Gli
economisti classici non si sono spinti abbastanza a fondo nell’analisi della
proprietà privata, che è il fondamento del mondo moderno, e nell’analisi
del suo rapporto con il lavoro, altrimenti avrebbero visto le contraddizioni che
nasconde e che minano la società borghese alle radici. La tesi centrale di
Marx è che la proprietà privata borghese si fondi sul lavoro salariato, che è
strutturalmente un lavoro alienato. Il concetto di «alienazione» o «estraniazione» (che proviene da Rousseau, ma che trova una poderosa concettualizzione filosofica in G.W.F. Hegel e successivamente in L. Feuerbach) indica
un processo di autentica perdita di se stessi: il lavoratore moderno si trova in
una situazione di strutturale dipendenza. Da strumento della possibile liberazione, il lavoro è progressivamente diventato mezzo della sua schiavitù: il
potere economico e la proprietà privata, la gestione e il sistematico sfruttamento del lavoro dipendente, tipici del capitalismo maturo, si svelano espressione materiale e sensibile di una vita umana estraniata. Marx teorizza in questo senso sia la natura storica della proprietà privata sia la necessità della sua
soppressione politico-rivoluzionaria.
B) Il materialismo storico e il concetto di ideologia
Alla base di queste indagini che il giovane Marx conduce sulla struttura
della società borghese, vi è l’ipotesi di un nuovo metodo di indagine storica secondo il quale, per poter dire di conoscere un determinato periodo
storico è necessario conoscere il particolare modo di produzione e riproduzione materiale della vita che si dà in esso, e che è legato sia allo sviluppo delle forze produttive, sia alla forma dei rapporti sociali (teoria del materialismo storico). La struttura economica della società è data dal modo
di produzione determinato e dai rapporti di produzione che gli corrispondono. Essa costituisce la base sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica, e alla quale corrispondono determinate forme sociali di coscienza: diritto, politica, religione, filosofia, che sono quindi espressioni di
una determinata struttura economica e hanno il loro fondamento nella produzione materiale (anche se questo rapporto non va comunque inteso in
senso rigido):
«il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli
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Capitolo Primo
uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere
sociale che determina la loro coscienza».
Marx oppone la concezione materialistica della storia, che considera la
vera «scienza» della società, alle mere ideologie: rappresentazioni che ricoprono la realtà dei fatti con una veste illusoria. In generale sono «ideologici» quei fenomeni che interessano le sovrastrutture, che si sovrappongono
alla struttura, inducendo a pensare che le idee e le attività intellettuali siano
indipendenti dalle condizioni materiali e che i concetti si sviluppino l’uno
dall’altro, invece di essere di volta in volta il prodotto di rapporti economico-sociali fra gli uomini.
C) La critica dell’economia politica
Nel suo confronto con l’economia politica borghese, Marx distingue gli
economisti volgari, che si limitano a produrre delle giustificazioni del capitalismo e mostrano superficialità teorica, dagli economisti classici (Smith e Ricardo), le cui analisi hanno valore scientifico (anche se le loro categorie economiche, con limiti «borghesi», andrebbero ridiscusse). In generale, egli rifiuta e critica le analisi che fanno dei rapporti e modi di produzione capitalistici qualcosa di eterno, sforzandosi invece di vederli e mostrarli in una prospettiva storica e con dei limiti. L’analisi del capitalismo
e il confronto con l’economia politica classica darà luogo a diversi scritti,
tra i quali Il Capitale, opera celebre nella quale Marx ci mostra un’analisi
acuta e profonda delle strutture della sua epoca storica e si propone di spiegare il segreto dell’accrescimento della ricchezza e offrire dei mezzi per
misurarlo.
Il punto di partenza dell’analisi è la merce che è il modo in cui si presentano i prodotti del lavoro nell’attuale società. I prodotti possiedono un valore d’uso, che riguarda il loro consumo, la loro utilità, e un valore di scambio (o valore), quello che gli permette di essere scambiati sul mercato (mi
permette di dire che 20 braccia di tela sono uguali a 10 libbre di tè). Secondo l’equazione valore-lavoro stabilita da Ricardo (che Marx considera il
suo principale interlocutore), il valore di scambio di una merce è dato dalla
quantità di lavoro necessario a produrla. Il fatto che un prodotto del lavoro
sia «merce» già lo identifica come prodotto creato per essere venduto sul
mercato, quindi da un certo tipo di lavoro in una certa società, nella quale si
produce per vendere e nella quale il lavoro produttivo è considerato non
La sociologia
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come lavoro concreto, qualitativamente differente, ma come lavoro astratto, lavoro umano in generale, quantificabile. Esso è contenuto nella merce
ed è misurato sulla base del tempo medio occorrente a produrla. Questo è
detto anche lavoro socialmente necessario alla produzione di quella merce. Il fatto che la merce sia circondata da un alone come di misticismo, che
la rende come «naturale» e non permette di vedere che è il prodotto di una
determinata forma di produzione e che dietro lo scambio, rapporto tra cose,
ci sono rapporti tra gli uomini (la produzione e la sua forma) è chiamato da
Marx feticismo inerente al mondo delle merci.
D) La forza-lavoro come merce
La forza-lavoro, costituita dall’attività del lavoratore e dalle sue capacità, è nella società capitalistica una merce: il lavoratore la vende e il capitalista l’acquista. Il valore della merce forza-lavoro sarà, come per le altre
merci, la quantità di lavoro occorrente a produrla, perciò il salario del lavoratore sarà stabilito sul minimo necessario per garantirne la sussistenza. Ma
la forza-lavoro è una merce particolare: l’unica merce in grado di produrre valore. Per questo risulta fondamentale per il capitalismo il potere di
acquisto della forza-lavoro. La condizione fondamentale per l’esistenza del
capitalismo — per la trasformazione del denaro in capitale — è la possibilità di reperire sul mercato il lavoratore libero: un uomo costretto a vendere la sua forza-lavoro.
Nell’economia capitalistica il possessore di denaro produce la merce
per aumentarlo (e non per comprare altra merce), dunque l’elemento fondamentale è l’accrescimento del capitale: il plusvalore e il segreto di questo
accrescimento non viene svelato dall’economia volgare, che rimane alla
sfera della circolazione e al meccanismo della compra-vendita, ma sta nella
sfera della produzione e nell’uso di quella particolare merce che è la forzalavoro. Comprata alla pari sul libero mercato, nel suo consumo la forzalavoro permette un aumento di valore, perché può essere usata oltre il
tempo necessario per il suo riprodursi, cioè più del suo valore di scambio,
più di quanto sia stata pagata sul mercato sotto forma di salario. Dunque il
plusvalore è la differenza tra i beni prodotti dal lavoratore e il valore riconosciuto alla forza-lavoro impiegata (salario).
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Capitolo Primo
E) Limiti storici del capitalismo
Il meccanismo del capitalismo è mosso da un impulso crescente all’accumulazione: scopo del capitale non è produrre merci, ma valorizzarsi.
Questo va a svantaggio degli operai, anche nel caso in cui avvenga l’introduzione di nuove macchine e non con l’aumento diretto dello sfruttamento,
in quanto provoca la diminuzione della domanda di operai e la possibilità di
tenere bassi i salari. Genera inoltre ricorrenti quanto inevitabili crisi di sovrapproduzione: un eccesso di beni prodotti che non possono essere consumati dà luogo a squilibri e crisi cicliche. La contraddizione fondamentale,
germe implicito della dissoluzione del capitalismo, è che il profitto, stimolo della produzione capitalistica, tende a diminuire in seguito al progresso
tecnico (necessità di investire in nuove macchine) mettendo in pericolo il
sistema stesso.
F) Classe sociale, lotta di classe e società comunista
Marx ed Engels scrivono Il manifesto del partito comunista nel 1848, su
richiesta della Lega dei comunisti, e vi descrivono la lotta tra due classi
sociali contrapposte: borghesia e proletariato. Il ruolo della borghesia nella storia ha molti aspetti positivi. Classe critica e rivoluzionaria per eccellenza, è stata capace di mutare il mondo, da molti punti di vista, ma non ha
distrutto le opposizioni strutturali di classe: «ha soltanto introdotto nuove
classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta, sostituendole
alle antiche». Il sistema produttivo borghese produce merci in abbondanza,
ma genera anche miseria della stragrande maggioranza della popolazione:
il proletariato è in questo senso un prodotto stesso della borghesia moderna. Tuttavia le lotte di rivendicazione sociale del proletariato, la classe più
sfruttata, culmineranno, secondo Marx, in una finale presa del potere delle
classi subalterne: in una società comunista verrà infine abolita la proprietà
privata e cesseranno le forme storiche della divisione del lavoro in un processo di progressiva estinzione dello Stato stesso.
8. IL SOCIALISMO DI SAINT-SIMON
Claude-Henry de Rouvroy conte di Saint-Simon nacque a Parigi nel 1760
e fu educato in provincia, in ambiente aristocratico, probabilmente avendo
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d’Alembert come precettore. Partecipò alla rivoluzione americana, nel corpo di spedizione francese, e anche alla rivoluzione francese, anche se non
ebbe un ruolo di rilievo (ma ne abbracciò le idee). Iniziò a scrivere durante
l’età napoleonica (Lettere di un abitante di Ginevra ai suoi contemporanei,
1803; Introduzione ai lavori scientifici del sec.XIX, 1808). Scrisse, insieme
allo storico A. Thierry Della riorganizzazione della società europea (1814).
Nel 1816 pubblicò la rivista L’industria. Dal 1817 al 1824 ebbe come collaboratore il giovane Comte, con il quale scrisse Del sistema industriale (182022) e il Catechismo degli industriali (1823-24) e pubblicò il periodico L’organizzatore (1819-20). Infine, dopo la rottura con Comte, scrisse l’incompiuto Nuovo cristianesimo (1825). Morì a Parigi nel 1825.
A) Teoria dello sviluppo sociale
Saint-Simon interpreta la società come un’unità organica, analizzabile
scientificamente (ipotesi di una «fisiologia sociale»). Egli, più precisamente, individua nella storia sociale occidentale la successione di epoche «organiche» (ad. es. antichità e medioevo) ed epoche «critiche» (ad es. Riforma e periodo illuminista e rivoluzionario). Analogamente a quanto teorizzato da Comte, l’epoca contemporanea (ci riferiamo alla società industriale
della metà dell’800) mostrerebbe il passaggio dalla vecchia società teologica e feudale alla nuova società scientifica e industriale, nella quale alla conoscenza metafisica medievale – fondata su ipotesi non verificabili – subentra quella scientifica. Questa tendenza, che è la tendenza delle scienze a
diventare «positive» e non più «congetturali», vale anche per la scienza
della società e per la filosofia. La nuova epoca sarà quindi «positiva» e
scientifica, e in essa la direzione della società sarà affidata agli scienziati, ai
grandi industriali, ai banchieri che assieme agli operai costituiranno, in
una sorta di blocco unico (idea molto contestata da autori successivi), una
nuova classe sociale produttiva (i «laboriosi») in contrapposizione alle tradizionali classi sociali parassitarie («oziose») costituite da nobili e militari.
In questa riorganizzazione razionale, finalizzata alla produzione e nella
quale la produzione sarà a sua volta strettamente finalizzata, svanisce il
senso del potere politico tradizionale. Nella visione di Saint-Simon alla
«politica metafisica», quella tradizionale, che decide in base a supposizioni
astratte, subentra una «politica scientifica», nella quale le decisioni vengono prese sulla base di dimostrazioni scientifiche. Di qui la grande importan-
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Capitolo Primo
za che sono destinate ad assumere le competenze tecnico-scientifiche nella
stessa organizzazione gerarchica: il potere politico sarà affidato agli industriali e ai tecnici, in una società ormai organizzata come un’impresa industriale.
9. MAX WEBER E LA SOCIOLOGIA AVALUTATIVA
Max Weber (1864-1920) studiò inizialmente a Heidelberg e Berlino; fu
professore all’università di Friburgo (1894) e direttore dell’«Archivio di
scienza sociale e di politica sociale», e da ultimo professore di Economia
politica a Vienna. Opere principali: L’«oggettività» conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale (1904), Studi critici intorno alla logica
delle scienze della cultura (1906), L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905), Economia e società.
A) Il metodo e la dottrina del tipo ideale («Ideatypus»)
L’opera weberiana è costituita in gran parte da un’indagine «scientifica» intorno alle scienze storico-sociali, mirante a definire un loro autonomo
metodo di ricerca e di elaborazione concettuale: queste inquadrano i fenomeni entro un sistema di concetti e di leggi generali, mentre le scienze naturali determinano gli elementi che caratterizzano in maniera individuale un
dato fenomeno. La scienza storico-sociale, che va considerata come «una
scienza di realtà», si basa sulla formulazione di ipotesi d’interpretazione,
anzi più precisamente sulla necessità di conferire un significato ad un insieme di fenomeni. Tale significato presuppone una relazione al valore. Ma i
valori, in una società sempre più complessa come quella industriale e capitalistica, sono molteplici, poiché ciascuno costituisce un «punto di vista»
culturale sulla realtà. Le scienze cosmologiche, rifiutandosi di formulare
giudizi di valore, vanno pertanto segnate dall’«avalutatività», la quale in
primo luogo ne garantisce l’oggettività. Chiave di questo metodo di ricerca
«avalutativa» è la teoria del «tipo ideale» (Idealtypus). Esso non costituisce un’ipotesi o una rappresentazione esaustiva della realtà: fornisce piuttosto il punto di partenza per l’elaborazione di ipotesi. Si tratta in altri
termini di una costruzione concettuale che si ottiene mediante l’accentuazione unilaterale di «una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti»
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e mediante l’astrazione di elementi comuni (esempi: lo «Stato», il «feudalesimo», la «Chiesa» e così via).
Il contenuto del concetto tipico-ideale è definito dalla categoria di «possibilità oggettiva», la quale indica il quadro dei possibili modi d’essere di
un determinato fatto o fenomeno, corrispondente, ad un suo particolare significato culturale. Per Weber gli oggetti della cultura, i vari aspetti della
storia e della società, non hanno, in ultima analisi, alcun senso intrinseco
ma sono solo costruzioni di «connessioni oggettive» (concetti tipico-ideali), che si succedono incessantemente nel tempo.
B) L’analisi della modernità
L’evoluzione della società occidentale moderna è secondo Weber caratterizzata da un processo di gigantesca razionalizzazione tecnica. Le società arcaiche, governate da forze occulte, misteriose o da entità in conoscibili
e trascendenti, vivono un mondo «incantato». Al contrario, mediante un
processo di successiva razionalizzazione, il mondo moderno tende a configurarsi come l’epoca del «disincantamento del mondo». Si tratta di una
condizione sociale ed esistenziale in cui la razionalità stessa diventa lo strumento mediante cui si individuano — nel caos indistinto — delle leggi, un
ordine, delle regolarità che rendono in una certa misura prevedibili i fenomeni, il corso degli eventi. Nel mondo «disincantato» e privo di senso dell’uomo moderno, acquisisce dunque un ruolo fondamentale quella che Weber definisce «razionalità rispetto allo scopo», cioè la ricerca di mezzi o
strumenti pratici adeguati ed efficaci per realizzare un fine: si tratta di una
dilagante razionalità puramente strumentale. In ambito pratico, il soggetto
disincantato della modernità è costretto pertanto ad operare una scelta dipendente esclusivamente dalla propria volontà e dal proprio «scopo», nel
tentativo di orientarsi nel caos dei molteplici valori e della molteplici opzioni (tema del «politeismo dei valori»).
10. DURKHEIM E IL FUNZIONALISMO
Émile Durkheim (1858-1917), sociologo francese. La sua opera si sviluppa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Fu docente di Pedagogia e Scienza sociale all’università di Bordeaux e in seguito a Parigi. Il
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Capitolo Primo
suo lavoro è finalizzato sostanzialmente alla determinazione dell’oggetto e
soprattutto dei metodi propri della sociologia.
A) La metodologia della ricerca sociale
Il punto centrale della teoria di Durkheim è che soltanto attraverso un’analisi metodologica diventa possibile svincolare l’indagine sociologica dalla
dipendenza da opzioni metafisiche che ne snaturano la fisionomia e che
ancora esercitavano una pregiudiziale influenza negli autori suoi contemporanei. Il metodo sociologico deve depurare il campo della ricerca anche
da qualsiasi presa di posizione politica o ideologica. Il conseguente obiettivo è l’integrazione dell’universo delle scienze sociali. Nella teoria durkheimiana la società consiste in un aggregato di individui, le coscienze dei
quali creano delle «rappresentazioni individuali» e delle «rappresentazioni collettive»; quest’ultime sono espressioni di un «tipo psichico collettivo», di una coscienza collettiva che rappresenta la funzione che favorisce
la realtà dei rapporti tra singoli individui, la realtà morale, comunicativa, e
quindi lo sviluppo stesso della società. La coscienza collettiva è costituita
dall’insieme di credenze, dal senso comune della media degli individui.
B) Gli studi classici di Durkheim
Ne La divisione del lavoro sociale (1893), primo notevole lavoro, Durkheim affronta il problema di come nasca il consenso, elemento fondamentale della stessa costituzione della società. Egli rintraccia due distinte
forme di solidarietà: la prima caratterizza le società cosiddette «primitive» in cui esiste una meccanica indifferenziazione tra gli individui che le
compongono; l’altra forma consiste invece nell’organica differenziazione
sociale, per cui ogni individuo assolve una funzione in qualche modo indispensabile. Nel celebre saggio Il suicidio, viene svolta invece un’indagine
accurata appunto sul suicidio, che si rivela essere un fenomeno individuale
prodotto da cause sociali. Il suicidio nasce da una specie di «disfunzione»
del rapporto dell’individuo con il contesto della società in cui vive e può
essere di varia natura, egoistico, altruistico e altro ancora. Ne Le regole del
metodo sociologico (1895), il lavoro più importante di Durkheim, possono
essere considerate il testo sistematico più rilevante della sociologia scientifica dell’Ottocento e l’opera metodologica principale. In generale, Durkheim abbandona il presupposto della società intesa come una totalità organiEstratto della pubblicazione
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La sociologia
ca o sistematica. La sociologia ha di conseguenza come suo oggetto la
molteplicità delle diverse società: «Ciò che esiste, ciò che solo è dato all’osservazione, sono le società particolari che nascono, si sviluppano, muoiono indipendentemente l’una dall’altra».
Riguardo al metodo, il sociologo deve porsi di fronte ai fenomeni sociali con il medesimo atteggiamento o «condizione mentale» con cui i fisici, i
chimici, indagano qualche territorio scientifico ancora ignoto. In primo luogo per Durkheim il principio basilare del metodo sociologico, per alcuni
versi già implicitamente riconosciuto da Comte, è il seguente: i fenomeni
sociali devono essere considerati cose, fatti: essi possiedono un’incontrovertibile realtà oggettiva. In quanto tali sono esterni all’individuo, alle coscienze individuali; sono irriducibili ai fenomeni naturali-organici e si differenziano da quelli psico-soggettivi che, al contrario, si producono all’interno del soggetto. Il fatto sociale non è passibile di una definizione, ma
solo di una caratterizzazione che ne colga gli elementi empirici, cioè i vari
modi pensare e di agire degli individui nella loro interazione con il gruppo.
C) Il potere delle istituzioni
Gli individui si trovano inevitabilmente di fronte a qualcosa, le istituzioni sociali, che sono trasmesse loro dalle generazioni precedenti. Il fenomeno sociale non coincide con la somma o insieme dei fenomeni e delle azioni
individuali: l’individuo è prodotto dalla società non viceversa. I fatti sociali inoltre hanno la specifica capacità di esercitare un’influenza coercitiva
sulle coscienze individuali: le credenze, le pratiche, i rituali, gli stereotipi
sociali sono determinati dalla collettività: così si formano, in senso generale, le «istituzioni». Si tratta di entità sociali quasi autonome, che agiscono
su di noi, ci condizionano, ci avvolgono. Le istituzioni vengono formate
dagli individui ma sfuggono al controllo della volontà individuale: «la realtà da cui emana la società supera l’individuo», scrive significativamente
Durkheim. La sociologia può dunque a buon diritto essere definita proprio
come la «scienza delle istituzioni, della loro genesi e del loro funzionamento».
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Che si intende per funzionalismo?
Il funzionalismo fu una corrente di pensiero in base alla quale la società è rappresentabile
come una complessa rete di posizioni e di funzioni, all’interno della quale ad ogni individuo
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Capitolo Primo
sono assegnati una serie di compiti, finalizzati al mantenimento dell’equilibrio sociale. Per i
funzionalisti, la società va concepita come sistema, la cui caratteristica fondamentale, fra le
tante, è quella di presentare un funzionamento in qualche modo improntato all’autoregolazione, nel senso che gli eventuali conflitti sono suscettibili di essere superati proprio grazie alla
cooperazione dei vari elementi del sistema stesso. La matrice delle concezioni funzionalistiche
in sociologia, come anche in antropologia e in filosofia, va ricercata in un gruppo di filosofi
americani (soprattutto William James e John Dewey), nonché in un filone della riflessione
teorica in biologia (Ludwig von Bertalanffy). Questi, in consonanza con una serie di altre
ricerche in campi disciplinari diversi, sfoceranno nella celebre e importante teoria generale
dei sistemi, destinata ad influire profondamente sul pensiero filosofico e scientifico del Novecento, fino alla formulazione, nel settore sociologico, della teoria dei sistemi sociali di Niklas
Luhmann (1927- 1998), sociologo tedesco allievo di Parsons, il quale parla della società come
«rete di sistemi composti da atti di comunicazione dotati di un senso sociale».
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11. PARSONS E LO STRUTTURAL-FUNZIONALISMO
Talcott Parsons (1902-1979), sociologo statunitense, dopo aver studiato
nel Paese natale, si trasferì in Europa, nel cui ambiente culturale avvenne la
sua formazione; frequentò dei corsi alla London School of Economics e a
Heidelberg (qui conobbe Max Weber); in seguito tornò negli Stati Uniti e
nel 1927 divenne Professore all’università di Harvard, dove rimase per tutta
la vita; fu anche presidente della American Sociological Association. Tra le
sue opere maggiori sono da ricordare: La struttura dell’azione sociale (1937),
Il sistema sociale (1951) e Sistemi di società (1966-71).
A) L’azione sociale
L’idea di base dello struttural-funzionalismo di Parsons è che esiste una
struttura del sistema sociale con determinate esigenze che si esprimono in
determinate funzioni finalizzate alla sua persistenza. Questa struttura è composta dalle azioni degli individui (al cui concetto Parsons, ne La struttura
dell’azione sociale, dedica un’analisi approfondita). L’azione o atto non si
riduce ad essere semplicemente una risposta a stimoli esterni: essi richiedono necessariamente la presenza di colui che compie l’azione e un «fine»,
cioè la situazione futura verso cui è orientato il processo dell’azione oltre
che la «situazione iniziale» in cui essa si colloca. Un punto rilevante è che
non c’è azione se non come sforzo per conformarsi a delle norme, a dei
modelli, che sono ritenuti opportuni da chi agisce e dagli altri membri della
Estratto della pubblicazione