FOCUS ORIZZONTI Futuro arcaico Hi-tech avveniristica per decifrare il passato TRILOGIA DEL FUTURO ARCAICO 3 La voce di Iceman? Possiamo udirla con l’hi-tech del C-14 A conclusione di questa serie dedicata al futuro arcaico, dopo aver parlato di come le Alpi e gli Appennini d’Italia consentano un meraviglioso viaggio nel tempo, dalla preistoria all’esplorazione spaziale, vogliamo parlare nel dettaglio delle analisi condotte sulla mummia di Ötzi, l’Uomo del Similaun, ai fini della sua datazione. Abbiamo spiegato che il metodo utilizzato a tale scopo, il C14, è stato sviluppato dagli studi di chimica, fisica e astrofisica nucleare. Questo collegamento ci ha permesso di parlare dell’Anno Mondiale dell’Astronomia per riferirci ad una mummia di età preistorica, rinvenuta quasi vent’anni fa sulle Alpi. Abbiamo visto come il futuro e l’arcaico s’incontrano nei nuovi orizzonti della ricerca, sia sul versante degli studi sull’origine dell’uomo che su quello della cosmologia contemporanea, la quale sta tentando di ricreare il momento iniziale della nascita dell’Universo. E abbiamo visto anche come l’astronomia, scienza d’assoluta avanguardia, sia una delle più antiche, con suggestivi esempi proprio sulle Alpi. Abbiamo approfondito il tema delle tecniche di datazione di Ötzi e di altre analisi d’avanguardia sulla mummia con il Professor Albert Zink, direttore dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’Eurac di Bolzano, struttura unica al mondo che raccoglie la documentazione scientifica finora prodotta sull’Uomo venuto dal ghiaccio e promuove e coordina i nuovi studi in materia. Vogliamo parlare anche di un altro centro di ricerca, anch’esso d’assoluto rilievo, specializzato nell’applicazione di tecniche nucleari ai beni culturali: il LaBeC di Firenze dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, diretto dal Professor Pier Andrea Mandò, che ha ricevuto quest’anno un importante riconoscimento come miglior fisico d’Europa. Michele Mornese In copertina: analisi di laboratorio sulla mummia dell’Uomo del Similaun, un particolare del LaBeC di Firenze e una stele preistorica istoriata della Valcamonica. In questa pagina, capsule per le analisi del C14. Intervista ad Albert Zink, Direttore dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’Eurac di Bolzano ÖTZI: quante cose hai ancora da dirci? Il lavoro scientifico sulla mummia dell’Uomo venuto dal ghiaccio è attualmente coordinato e in parte svolto dall’Istituto per le Mummie e l’Iceman presso l’Eurac di Bolzano (European Accademy – Accademia Europea http://www.eurac.edu/index_it). Si tratta di un centro di ricerca e formazione di assoluto rilievo, i cui ambiti di studio comprendono complessivamente sei aree: Linguistica Applicata, Minoranze e Autonomie, Sviluppo Sostenibile, Management e Cultura d’Impresa, Scienze della Vita e Biomedicina. L’Istituto per le Mummie e l’Iceman è una struttura scientifica unica al mondo, la sola interamente dedicata a questo tipo di studi. E’ nata nel 2007 e i suoi campi principali di ricerca sono l’antropologia biologica e biomolecolare, le nanotecnologie, la paleopatologia e paleoepidemiologia e gli studi forensi. Oltre a raccogliere tutta la documentazione scientifica finora prodotta sull’Iceman, l’Istituto sviluppa anche nuove ricerche. “Il primo problema che ci si è posti in seguito al ritrovamento di questa mummia eccezionale – ci spiega il Professor Albert Zink, direttore dell’Istituto – è stata la datazione. Subito dopo il rinvenimento, quando il corpo non era ancora stato analizzato dagli specialisti, alcuni pensavano che potesse trattarsi delle spoglie di un alpinista scomparso anni prima nella zona del Similaun. Ma in seguito alle analisi condotte da scienziati ed esperti, è diventato chiaro che si trattava in realtà di un corpo antico diversi millenni, una mummia di età conclusione del 2009 Anno Mondiale dell’Astronomia vogliamo preistorica. Un ritrovamento straordinario”. L’Iceman è stato studiato da specialisti di preistoria alpina, che hanno immediatamente riconosciuto l’eccezionalità della mummia, e dai più qualificati centri di ricerca del mondo. “Al fine di stabilire scientificamente l’esatta età del corpo è stata utilizzata la tecnica di datazione al radiocarbonio, anche detta datazione C-14. Il processo di formazione di questo isotopo radioattivo, che viene prodotto dall’interazione dei raggi cosmici nell’atmosfera e si trasferisce poi nelle piante, negli animali e nell’uomo, ha così reso determinanti le tecniche di studio derivate dalla fisica, dall’astrofisica nucleare e dalla chimica”. Questo tipo di analisi è stato condotto da specialisti di diversi centri e istituti di ricerca: Walter Kutschera del VERA Laboratory, Institute for Isotope Research and Nuclear Physics, Università di Vienna; Robert Hedges dell’Oxford Radiocarbon Accelerator Unit Research Laboratory for Archaeology; Georges Bonani dell’ETH di Zurigo; JeanClaude Duplessy, direttore del Centre des Faibles Radioactivités di Gif-sur-Yvette Cedex; Göran Possnert del Tandem Laboratory dell’Università di Uppsala. Le analisi del C-14 coprono un periodo di tempo lunghissimo, dal passato relativamente recente a decine di migliaia di anni fa. I risultati ottenuti in questo modo sono stati rettificati con un altro metodo, la dendrocronologia. Essa si basa sull’analisi degli anelli di accrescimento annuale degli alberi nelle zone a clima temperato. Gli anelli sono infatti più sottili nei periodi di scarse precipitazioni, e più larghi quando il clima è favorevole. Disponendo di reperti di età diverse, dal più moderno al più antico, è quindi possibile ricostruire la sequenza indietro nel tempo. “L’Iceman è ad oggi la più antica mummia per studiare la quale ci si è avvalsi delle tecnologie e dei metodi di analisi più moderni. Anche in questo senso è straordinaria”. La riproduzione del cranio, rimasto per millenni sotto il ghiaccio e la neve, è stata realizzata ricorrendo, ancora una volta, a tecniche modernissime. “La tomografia assiale computerizzata – TAC – ha permesso di costruire un modello tridimensionale del cranio. Utilizzando la stereolitografia, tecnica usata fino a quel momento solo nell’industria aerospaziale e automobilistica, si è realizzato materialmente il modello del cranio, in modo da poter osservare com’era davvero il volto dell’Iceman”. La tomografia permette di scansionare un corpo in modo particolare e da diverse prospettive. La stereolitografia utilizza un raggio laser per modellare, secondo i valori registrati dalla tomografia, la resina liquida con cui viene realizzata la riproduzione. Essa è esposta al Museo Archeologico di Bolzano, insieme alla mummia dell’Iceman e ai reperti ritrovati, ma la tecnologia sta portando ancora a nuove, ulteriori acquisizioni. Una delle questioni aperte riguarda la morte dell’Uomo venuto dal ghiaccio. Sulla base di analisi condotte e peraltro mai pubblicate dal biologo australiano Tom Loy, l’uomo avrebbe combattuto contro quattro diversi individui, date le numerose tracce ematiche ritrovate sull’arco ed una profonda ferita sulla mano destra. Poi si sarebbe allontanato, probabilmente in fuga. Sarebbe quindi stato colpito alle spalle da una freccia, la cui punta è stata rinvenuta nella spalla sinistra. Infine sarebbe morto. “Questa è la ricostruzione attualmente più accreditata di come andarono le cose. In effetti, la dinamica della morte è ancora oggetto di studio, ma grazie a sistemi d’avanguardia, forse saremo in grado di saperne di più. Utilizzando le nanotecnologie e speciali microscopi abbiamo infatti scoperto tracce del sangue dell’Iceman sulle ferite, e attraverso il laboratorio dell’Istituto, dedicato allo studio del DNA antico, saremo in grado di effettuare analisi approfondite. Per esempio al fine di risalire al gruppo etnico dell’Uomo venuto dal ghiaccio e alla sua zona di provenienza”. L’Istituto per le Mummie e l’Iceman ha inoltre effettuato studi per la conservazione dei reperti in atmosfera modificata con azoto, tecnica di assoluta avanguardia. E’ previsto che nel 2010 la mummia stessa venga conservata in questo modo, mentre i resti della sua attrezzatura lo sono già. “Molti studi sono stati condotti sull’Iceman, ma molto resta ancora da fare. Le analisi scientifiche fatte finora sono innumerevoli, così come la documentazione raccolta e i volumi pubblicati. Man mano che la ricerca va avanti, si pongono anche nuovi interrogativi”. Particolarmente affascinante è lo studio dell’antico servendosi di tecnologie modernissime. In questa pagina e nelle precedenti: analisi scientifiche sulla mummia dell’Uomo del Similaun, il cranio ricostruito con i metodi della TAC e della stereolitografia, e il Professor Albert Zink. “E’ come tornare indietro nel tempo, ma facendolo con strumenti del futuro. La scienza e la medicina moderne consentono questo viaggio. E’ un’esperienza meravigliosa, per me, studiare l’Iceman così”. Tecnologie avanzate gettano nuova luce per capire come ha vissuto, e come è morto, quest’uomo preistorico. “In ogni caso non saremo in grado di svelare tutti i misteri che avvolgono la sua vicenda. Analisi condotte con strumenti più moderni forniscono risultati più completi e precisi, non c’è dubbio, ma mi chiedo se sarà mai possibile chiarire ogni aspetto scientifico legato alla mummia dell’Iceman”. I risultati finora ottenuti e le nuove acquisizioni da essi derivate, sono di notevole interesse per diverse discipline scientifiche, oltre che per la mummia stessa. “Possiamo conoscere meglio come si viveva nella preistoria, e applicare alcuni risultati allo studio di altre mummie. Possiamo anche tentare di ricostruire l’evoluzione umana nei suoi aspetti principali, capire come si è evoluto il nostro organismo e trarre indicazioni utili persino in medicina e per lo studio di alcune malattie. In altre parole, possiamo attualizzare la preistoria per capire meglio il presente”. Nel 2010 è previsto che si renda disponibile in Internet un database complessivo di tutti gli studi condotti sull’Iceman. Anche in questo caso, la tecnologia si metterebbe al servizio della preservazione storico-culturale. “Vorremmo trovare tecnologie ancora migliori per conservare la mummia alla perfezione almeno per i prossimi, diciamo, cinquemila anni”, spiega Zink con un sorriso. Per il 20° anniversario del ritrovamento, nel 2011, anche l’Istituto ha in programma diverse iniziative. “Abbiamo intenzione di organizzare un convegno per presentare la situazione attuale degli studi e le ultime scoperte. Abbiamo anche collaborato alle due mostre interattive itineranti del Museo Archeologico, per la parte relativa ai pannelli multimediali. Inoltre sul nostro sito, www.eurac.edu, sono pubblicate numerose scansioni fotografiche dell’intero corpo della mummia. Reperti presso il SAM di Bolzano, l’ascia dell’Uomo del Similaun con lama in rame e, sotto, incisioni rupestri della zona di Remedello che corrisponderebbero alla stessa ascia dell’Iceman. Reperti presso il SAM. Il progetto si chiama appunto “Iceman Photo Scan”, e contiene anche immagini particolari tridimensionali”. La ricerca prosegue analizzando sempre più in profondità, rendendo disponibili nuovi dati anche per altre discipline che studiano la preistoria e l’antropologia. I vari rami del sapere si intersecano, pur mantenendo ciascuno il suo ambito primario. Il fine della ricerca, della scienza, è scoprire nuove verità, avvalorare o confutare ipotesi già formulate e proporne di nuove per una migliore comprensione dei dati. “Probabilmente la ricerca scientifica non potrà mai arrivare a una verità definitiva sull’Iceman. Resterà sempre un po’ di mistero, che contribuirà a rendere ancora più stimolante la ricerca stessa”. L’Uomo venuto dal ghiaccio, studiato da decenni con i sistemi più avanzati, è ancora, in parte, un enigma. La stessa tecnologia, nella sua evoluzione, scopre elementi che non erano rilevabili prima, e pone domande che restano per il momento senza risposta. “Forse, in quanto scienziato, può sembrare strano che lo dica – conclude il Professor Zink – ma credo che la ricerca sia affascinante proprio perché non ha mai fine. In verità mi auguro che resti intatto il mistero dell’Iceman”. Tecniche nucleari per i Beni Culturali: il LaBeC di Firenze all’avanguardia mondiale L’acceleratore di particelle del LaBeC e uno schema dell’impianto. In alto, l’esterno dell’edifico. Il LaBeC di Firenze (Laboratorio di Tecniche Nucleari per i Beni Culturali - http://labec.fi.infn.it/) dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare è una struttura all’avanguardia nel mondo per le tecniche di analisi dei materiali, oltre a svolgere esami per la datazione di reperti storici e archeologici con i metodi del C14. Per entrambe queste tipologie di analisi ci si avvale di tecniche sviluppate a partire dalla fisica e dall’astrofisica nucleare. Il metodo del C14 venne ideato a fine anni ’40 dal chimico Willard Frank Libby, che per questa scoperta vinse il Nobel per la Chimica. I raggi cosmici provenienti dal Sole ma anche dalle galassie, e che giungono sulla Terra, interagiscono con le molecole dei gas presenti nell’atmosfera, producendo neutroni che a loro volta interagiscono con l’azoto atmosferico. Questa interazione produce il carbonio 14, un isotopo radioattivo (si tratta di radioattività naturale, non prodotta artificialmente dall’uomo e che quindi non ha nulla a che vedere con le radiazioni potenzialmente nocive delle centrali atomiche). Il C14 si ossida diventando anidride carbonica e come tale viene assorbito dalle piante nel processo di fotosintesi; tramite la catena alimentare passa poi negli animali, fino ad arrivare all’uomo. Il C14 è la chiave per sapere quanto è vecchio un materiale. Finché il materiale vive, c’è in esso una quantità di C14. Dopo che l’organismo muore, più passa il tempo e meno C14 rimane nei resti organici, perché gli atomi di C14 che progressivamente scompaiono a causa del loro decadimento radioattivo non sono più “rimpiazzati” da altri assunti tramite i processi metabolici sopra detti. Sorgente dell’acceleratore e dettaglio dell’impianto. Il Professor Pier Andrea Mandò, direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – Sezione di Firenze – e responsabile del LaBeC. Grazie all’impiego degli acceleratori di particelle (i quali funzionano nello stesso modo di quello che si trova al Cern di Ginevra, che ospita il più grande acceleratore del mondo), è possibile scoprire la quantità di carbonio 14 presente nel reperto che si intende datare. Il C14 è di fondamentale importanza per stabilire l’età di un reperto. Per quanto esposto sopra, questa tecnica di analisi funziona tuttavia unicamente su materiale organico (sia di origine animale che vegetale), come legno, semi, ossa, pellame, fibre di varia natura e tessuti. Prima di esaminare il materiale per effettuare la datazione, viene prelevato da esso un minuscolo campione. Si tratta di pochi milligrammi, che vengono sottoposti a particolari processi chimici per essere trasformati in grafite. Una volta completata questa operazione, la grafite viene inserita all’interno di apposite capsule di metallo. Le capsule vengono poi a loro volta inserite all’interno dell’acceleratore di particelle. “L’operazione preliminare, di ottenere grafite dal materiale, è necessaria per essere assolutamente certi che il campione che si va ad esaminare non sia contaminato da altri elementi - ci spiega il Professor Pier Andrea Mandò, Direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Sezione di Firenze, e responsabile del LaBeC. - . Poi la grafite viene posta nell’acceleratore. Si tratta di una macchina estremamente complessa, formata da diverse parti. Vi è una sorgente di particelle, dove poniamo appunto i campioni di grafite da esaminare. Gli ioni estratti dal campione vengono accelerati facendoli passare attraverso una differenza di potenziale molto elevata, dell’ordine di milioni di Volt. Dopo l’accelerazione, grazie all’elevata energia acquisita e all’azione di campi elettrici e magnetici, gli isotopi del carbonio 12, 13 e 14 vengono separati tra loro, e possiamo misurare la quantità residua di C14 nel campione, dalla quale appunto si può dedurne l’età (cioè il tempo trascorso dalla morte dell’organismo a cui apparteneva). Solo per dare un’ulteriore idea della complessità di questo metodo di datazione, che in ogni caso è scientificamente incontrovertibile, citiamo questo dato: solo un atomo è effettivamente carbonio 14, ogni mille miliardi di atomi di carbonio complessivi. La rimozione degli isobari, ovvero degli ioni che hanno la stessa massa dell’atomo che si vuole misurare per effettuare la datazione ma che non sono carbonio 14, è un’ulteriore fondamentale operazione, resa possibile solo grazie all’uso di un acceleratore di particelle. E ancora, va sottolineata la straordinaria precisione consentita da questo metodo nel definire l’età di un reperto, con un margine di approssimazione che può arrivare a soli 40 anni, mentre la sua applicabilità si estende a materiali di età variabile da circa 350 a circa 50.000 anni. Per questa ragione, datare i reperti con la tecnica del C14 richiede apparecchiature ultrasensibili, e in grado di ridurre al minimo l’incertezza: solo lo 0,5%”. A settembre al Professor Mandò è stato assegnato il Premio 2009 IBA Europhysics, assegnato dalla Società Europea di Fisica al ricercatore che si è più distinto nell’ambito della fisica nucleare applicata. Mandò ha infatti applicato ai beni culturali la tecnica dell’analisi con fasci di ioni, analizzando tra l’altro gli inchiostri utilizzati da Galileo e lavorando su opere d’arte di Leonardo e di maestri del Rinascimento. La sala dell’acceleratore presso il LaBeC e un pannello di controllo. Testi: Michele Mornese. Foto del servizio “Otzi: quante cose ancora hai da dirci?: Albert Zink, SAM Museo Archeologico del Trentino Alto Adige di Bolzano/Manuela Tessaro. Foto del servizio “Tecniche nucleari per i Beni culturali: il LaBeC di Firenze all’avanguardia mondiale”: Michele Mornese