Il nuovo contratto di lavoro
IL CCNL 21 MAGGIO 2013 IN VERSIONE COMMENTATA E NON,
COMPLETO DI TABELLE RETRIBUTIVE E CONTRIBUTIVE
CCNL commentato
(a cura di) Massimo De Luca
Pagine 260
Euro 21,00
L’autore, avvocato e membro del Consiglio Esecutivo del Fondo Colf,
analizza le novità e i contenuti del contratto di lavoro in vigore
dal 1° luglio 2013 al 31 dicembre 2016 per i lavoratori – italiani,
comunitari ed extracomunitari – addetti all’assistenza della persona
autosufficiente e non, alla cura e alla pulizia della casa.
Il volume è ricco di esempi di compilazione di buste paga, di formulari
e di casi pratici che facilitano la gestione e l’applicazione quotidiana
del contratto e dei diversi istituti.
Cod. 905030020
CCNL non commentato
Pagine 150
Euro 15,00
Il volume riporta il CCNL, in vigore dal 1° luglio 2013 al 31 dicembre
2016, che disciplina il rapporto di lavoro per i lavoratori – italiani,
comunitari ed extracomunitari – addetti all’assistenza della persona
e alla cura e pulizia della casa.
Il volume – oltre al testo contrattuale – riporta:
- gli allegati;
- le tabelle retributive (dal 1975 al 2013);
- le tabelle contributive (dal 2006 al 2013).
2013
Colf & Badanti
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90171343C Copertina:90171343C Copertina 04/12/13 13.16 Pagina 1
90171343C - Anno XXXVIII - Settimanale 16/12/2013 - Tariffa R.O.C. - Poste Italiane S.p.A. Sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n. 46) Art. 1, comma 1, DCB-Roma - Contiene I.P.
Redditometro
Il Garante della privacy evidenzia le criticità applicative
Reddito di impresa
Deducibili per competenza le indennità suppletive di clientela
Imposta sul valore aggiunto
D.D.L. «Semplificazioni»: le novità in ambito IVA
Contenzioso tributario
Le procedure per evitare il contenzioso: conciliazione giudiziale
e mediazione
Ispezioni sul lavoro
Accesso «limitato» alle dichiarazioni dei lavoratori rese agli ispettori
Rapporto di lavoro
• La tredicesima mensilità 2013
• Conguaglio fiscale 2013
Agenti e Rappresentanti
La dichiarazione di fine anno per ottenere le agevolazioni fiscali
Cod. 904930020
Nei punti vendita Buffetti, nelle migliori librerie
e on-line su www.buffetti.it
EDITORE
EDITORE
43
COSA CAMBIA NELLA GESTIONE QUOTIDIANA
DEL CONDOMINIO DOPO IL 18 GIUGNO 2013
L. Tagliolini
Pagine 180
Euro 12,90
La legge n. 220/2012 ha riformato il condominio introducendo
alcune importanti novità.
Il testo riporta in maniera schematica e chiara le modifiche
introdotte suddividendole per argomento:
Cod. 911030010
parti comuni;
regolamento;
millesimi;
amministratore;
debiti del condominio;
quorum dell’assemblea.
Alla fine di ogni capitolo sono stati inseriti i quesiti più ricorrenti
sull’argomento con le relative risposte.
A. Donati
Pagine 220
Euro 22,00
Successioni &
volture catastali
AGGIORNATO, COMPLETO, SEMPLICE DA USARE!!
a cura di Starsoft
software Easy & Professional
Euro 89,00 + IVA
HEREDITAS è un software molto semplice che consente
di gestire in modo agevole e rapido procedure di
successioni legittime e testamentarie, utilizzando un
elenco preimpostato, definito in base alla normativa,
di possibili successori legittimi. L’elenco è modificabile
in modo autonomo, sia per quanto riguarda le
definizioni descrittive che per le quote spettanti.
HEREDITAS gestisce inoltre un archivio delle pratiche
trattate e permette di creare:
Cod. 977130050
La norma in vigore dal 18 giugno 2013 prevede molte novità
soprattutto in materia di gestione condominiale con riflessi proprio
sulla riunione di condominio; tra le modifiche più rilevanti
introdotte dalla legge n. 220/2012, spicca infatti la rivisitazione
dei quorum sia costitutivi che deliberativi relativi all’assemblea.
L’Autore esamina il tema partendo dalle norme del Codice civile
ritoccato in più punti dalla riforma.
Completano l’opera:
- una raccolta di risposte ai quesiti ricorrenti;
- un excursus di casi pratici selezionati per argomento;
- la giurisprudenza più rilevante del settore.
Cod. 903930020
REQUISITI HARDWARE
256 Mb di memoria RAM - Connessione
Internet - Lettore CD-Rom
REQUISITI SOFTWARE
Windows 8/7/Vista XP/2000
Il programma è monoutenza, può
essere installato su un solo PC.
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EDITORE
- scheda anagrafica del «de cuius», in cui vengono
inseriti tutti i suoi dati anagrafici;
- schede anagrafiche dei «successori», sia legittimi
che testamentari, con visualizzazione e stampa
dell’albero genealogico;
- situazione patrimoniale del «de cuius», con calcolo
automatico del valore dei beni immobili, da utilizzare
ai fini della valutazione delle imposte da versare,
mediante la rendita ed i coefficienti moltiplicativi
catastali e di rivalutazione, stabiliti dalla normativa;
- elaborazione automatica delle quote millesimali
spettanti a ciascun successore, sia legittimo
che testamentario.
In base alla situazione patrimoniale inserita, il software
valuta le imposte ed effettua il loro riparto, secondo
le rispettive quote millesimali, determinando la quota
che ciascun successore deve versare.
Hereditas consente di effettuare tutte le STAMPE utili
per la successione:
- dichiarazione di successione su Mod. 4 conforme al
modello dell’Agenzia delle Entrate;
- dichiarazione della voltura catastale;
- modello di pagamento delle imposte su delega F23
conforme al modello dell’Agenzia delle Entrate;
- modello di autoliquidazione (con tributi speciali
personalizzabili);
- prospetto con il riparto delle imposte che ciascun
successore deve versare.
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e on-line su www.buffetti.it
EDITORE
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La riforma del condominio
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DEL CONDOMINIO DOPO IL 18 GIUGNO 2013
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alcune importanti novità.
Il testo riporta in maniera schematica e chiara le modifiche
introdotte suddividendole per argomento:
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parti comuni;
regolamento;
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quorum dell’assemblea.
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La norma in vigore dal 18 giugno 2013 prevede molte novità
soprattutto in materia di gestione condominiale con riflessi proprio
sulla riunione di condominio; tra le modifiche più rilevanti
introdotte dalla legge n. 220/2012, spicca infatti la rivisitazione
dei quorum sia costitutivi che deliberativi relativi all’assemblea.
L’Autore esamina il tema partendo dalle norme del Codice civile
ritoccato in più punti dalla riforma.
Completano l’opera:
- una raccolta di risposte ai quesiti ricorrenti;
- un excursus di casi pratici selezionati per argomento;
- la giurisprudenza più rilevante del settore.
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inseriti tutti i suoi dati anagrafici;
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che testamentari, con visualizzazione e stampa
dell’albero genealogico;
- situazione patrimoniale del «de cuius», con calcolo
automatico del valore dei beni immobili, da utilizzare
ai fini della valutazione delle imposte da versare,
mediante la rendita ed i coefficienti moltiplicativi
catastali e di rivalutazione, stabiliti dalla normativa;
- elaborazione automatica delle quote millesimali
spettanti a ciascun successore, sia legittimo
che testamentario.
In base alla situazione patrimoniale inserita, il software
valuta le imposte ed effettua il loro riparto, secondo
le rispettive quote millesimali, determinando la quota
che ciascun successore deve versare.
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per la successione:
- dichiarazione di successione su Mod. 4 conforme al
modello dell’Agenzia delle Entrate;
- dichiarazione della voltura catastale;
- modello di pagamento delle imposte su delega F23
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personalizzabili);
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dal 1° luglio 2013 al 31 dicembre 2016 per i lavoratori – italiani,
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Il volume – oltre al testo contrattuale – riporta:
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- le tabelle retributive (dal 1975 al 2013);
- le tabelle contributive (dal 2006 al 2013).
2013
Colf & Badanti
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Redditometro
Il Garante della privacy evidenzia le criticità applicative
Reddito di impresa
Deducibili per competenza le indennità suppletive di clientela
Imposta sul valore aggiunto
D.D.L. «Semplificazioni»: le novità in ambito IVA
Contenzioso tributario
Le procedure per evitare il contenzioso: conciliazione giudiziale
e mediazione
Ispezioni sul lavoro
Accesso «limitato» alle dichiarazioni dei lavoratori rese agli ispettori
Rapporto di lavoro
• La tredicesima mensilità 2013
• Conguaglio fiscale 2013
Agenti e Rappresentanti
La dichiarazione di fine anno per ottenere le agevolazioni fiscali
Cod. 904930020
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Servizio Abbonati:
Tel. 06 23195.466 - Fax 06 23195.490
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Questo numero è stato chiuso in redazione il 4/12/2013
Anno XXXVIII - Settimanale 16-12-2013
Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A.
Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 1, DCB - Roma
Su Consulenza on-line (sito www.buffetti.it) è possibile trovare tutte le notizie
e gli approfondimenti correlati agli articoli di interesse.
NOTIZIE FLASH
Fisco & Società ............................................................................................................................................................................
Lavoro & Previdenza ..................................................................................................................................................................
2
6
FISCO & SOCIETÀ
Prima pagina
Redditometro: il Garante della privacy evidenzia le criticità applicative di Gian Paolo Ranocchi .........................
11
Reddito d'impresa
Deducibili per competenza le indennità suppletive di clientela di Antonio Mastroberti ..........................................
15
IVA
Le novità in ambito IVA del D.D.L. «Semplificazioni» di Marco Peirolo ......................................................................
21
Contenzioso tributario
Le procedure per evitare il contenzioso: conciliazione giudiziale e mediazione di Fabio Carrirolo ........................
29
Panorama di Giurisprudenza tributaria a cura di Carmelo Grimaldi ............................................................
34
39
LAVORO & PREVIDENZA
Prima pagina
Il Ministero del lavoro conferma l’accesso «limitato» alle dichiarazioni dei lavoratori rese agli ispettori di Gianfranco
Cioffi .........................................................................................................................................................................................................
43
Rapporto di lavoro
La tredicesima mensilità 2013 di Rossella Quintavalle ..................................................................................................
Conguaglio fiscale 2013 di Angela Zurri ............................................................................................................................
Categorie protette e invio prospetto informativo di Alberto Romano ..........................................................................
Adozione nazionale e internazionale (2a parte) di Edoardo Mancini ...........................................................................
47
53
57
62
Agenti e rappresentanti
Intermediari commerciali: dichiarazione di fine anno e agevolazioni fiscali di Pietro Panizzi .................................
68
CCNL
L’istituto della trasferta nella contrattazione collettiva di Marco Micaroni ..................................................................
71
DOCUMENTAZIONE ..............................................................................................................................................................................
75
Direttore Responsabile: Sergio Milocco
Segreteria di Redazione: Simona Brizzi
Coordinamento Scientifico:
Fisco & Società - Valter Selvi (Dottore commercialista)
Lavoro & Previdenza - David Trotti (Consulente del lavoro)
Collaboratori: Gianfranco Antico; Bruno Benelli; Annamaria Bettagno; Nevio
Bianchi; Carmine Bonaccorso; Luigi Caiazza; Aldo Forte; Fabio Carrirolo;
Alessandra Gerbaldi; Carmelo Grimaldi; Vittorio Liguori; Giuseppe Maccarone;
Luca Miele; Giancarlo Modolo; Roberto Moro Visconti; Pietro Panizzi; Rocchina
Staiano; Roberto Vitale.
Editore: Gruppo Buffetti S.p.A. - Registrazione presso il Tribunale Civile di Roma,
n. 16437 del 7 luglio 1976
Redazione e Direzione: Via Francesco Antolisei, 10 - 00173 Roma - Tel. 06 231951
- Fax 06 23195.490
Studio grafico: Graficando s.c. a r.l., sede legale: Via F. P. De’ Calboli, 5 - 00195 Roma
Stampa: Arti Grafiche Picene S.r.l., Via Vaccareccia, 57 - 00040 Pomezia (RM)
Distribuzione: «Consulenza» è in vendita in abbonamento
Abbonamenti:
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Rinnovo
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€ 230,00
Consulenza n. 43/2013
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e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni di uso differente da quello personale
potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dagli aventi
diritto/dall’autore.
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1
Indice
Antiriciclaggio
Disciplina antiriciclaggio: le innovazioni in arrivo dall’Europa di Luigi Fiaccola .......................................................
01) Notizie flash-fisco:01) Notizie flash-fisco 04/12/13 14.21 Pagina 2
FISCO & SOCIETÀ
a cura di Valter Selvi
Notizie Flash
CODICI TRIBUTO
APPARECCHI DA DIVERTIMENTO E DA INTRATTENIMENTO: ISTITUZIONE DI DUE NUOVI
CODICI TRIBUTO
Per consentire il versamento, tramite modello F24 Accise, delle somme dovute per i ticket non riscossi, decorso il
termine per la richiesta di pagamento dei relativi titoli, nonché degli interessi attivi relativi alla gestione finanziaria della raccolta del gioco tramite gli apparecchi da divertimento ed intrattenimento, con la Ris. n. 85/E del 28 novembre 2013 sono stati istituiti i seguenti codici tributo, da indicare nella sezione «Accise/Monopoli e altri versamenti non ammessi in compensazione»:
– 5348, denominato «Ticket non riscossi su apparecchi da divertimento ed intrattenimento VLT di cui all’art.
110, comma 6, lett. b) del T.U.L.P.S.»;
– 5349, denominato «Interessi attivi relativi alla gestione finanziaria della raccolta del gioco tramite gli apparecchi da divertimento ed intrattenimento VLT di cui all’art. 110, comma 6, lett. b) del T.U.L.P.S.».
(R.M. 28 novembre 2013, n. 85/E)
VENDITA DI PRODOTTI DEL TABACCO A MINORI: ISTITUZIONE DI UN NUOVO CODICE TRIBUTO
PER IL VERSAMENTO DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE PECUNIARIE
Per consentire il versamento, tramite modello F24 Accise, della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 7 del D.L. n. 158/2012 a carico di chiunque venda o somministri prodotti del tabacco a minori di anni 18, con
la Ris. n. 86/E del 28 novembre 2013 è stato istituito il seguente codice tributo, da indicare nella sezione
«Accise/Monopoli e altri versamenti non ammessi in compensazione»:
– 5350, denominato «Sanzioni pecuniarie amministrative ai sensi dell’art. 7, comma 1, del D.L. n. 15/2012».
(R.M. 28 novembre 2013, n. 86/E)
DECRETO IMU
PUBBLICATO IN GAZZETTA IL DECRETO CHE CANCELLA LA SECONDA RATA IMU ED AUMENTA
LA MISURA DEGLI ACCONTI PER I SOGGETTI IRES
Nella Gazzetta Ufficiale n. 281 del 30 novembre 2013 è stato pubblicato il D.L. 30 novembre 2013, n. 281, recante
«Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia».
Il provvedimento, sotto il profilo fiscale, cancella la seconda rata IMU per una serie di immobili e dispone l’incremento dell’acconto IRES/IRAP per le società, spostando il termine di versamento al 10 dicembre 2013.
Vediamo in dettaglio le disposizioni contenute nel provvedimento:
– abolizione della seconda rata IMU (art. 1): il provvedimento conferma l’abolizione della seconda rata IMU 2013
per le abitazioni principali e relative pertinenze.
Nel dettaglio l’art. 1 del decreto legge stabilisce che la seconda rata IMU per il 2013 non è dovuta per i seguenti
immobili:
- dell’abitazione principale e relative pertinenze, con esclusione degli immobili classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9;
- delle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari;
- degli alloggi assegnati dagli IACP e soggetti assimilati;
- della ex casa coniugale assegnata ad uno dei coniugi in caso di separazione o divorzio;
- dell’unico immobile (non di pregio) posseduto e non concesso in locazione da parte dei contribuenti facenti
parte del personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia nonché al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del personale appartenente alla carriera prefettizia;
- degli immobili assimilati all’abitazione principale nei regolamenti comunali (è il caso delle abitazioni possedute da anziani e disabili ricoverati in istituti e di quelle di proprietà di cittadini italiani residenti all’estero);
2
Consulenza n. 43/2013
01) Notizie flash-fisco:01) Notizie flash-fisco 04/12/13 14.21 Pagina 3
- dei terreni agricoli e dei terreni non coltivati posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli
professionali iscritti nella previdenza agricola;
- dei fabbricati rurali ad uso strumentale di cui all’art. 13, comma 8, del D.L. n. 201/2011.
Al riguardo si rileva come la soppressione della seconda rata IMU, diversamente dall’art. 1, comma 1, del D.L. n.
102/2013 (che aveva soppresso la prima rata di giugno 2013), non contempla più i terreni agricoli posseduti da
soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali ed i fabbricati rurali ad uso abitativo (salvo che costituiscano abitazione principale del contribuente).
Il comma 5 dell’articolo in esame stabilisce che «L’eventuale differenza tra l’ammontare dell’imposta municipale
propria risultante dall’applicazione dell’aliquota e della detrazione per ciascuna tipologia di immobile di cui al
comma 1 deliberate o confermate dal comune per l’anno 2013 e, se inferiore, quello risultante dall’applicazione
dell’aliquota e della detrazione di base previste dalle norme statali per ciascuna tipologia di immobile di cui al
medesimo comma 1 è versata dal contribuente, in misura pari al 40%, entro il 16 gennaio 2014». Quindi, se il comune ha deliberato per il 2013 (o anche solo confermato quanto già stabilito nel 2012) l’incremento dell’aliquota base del 4 per mille sull’abitazione principale, il contribuente deve versare il 40% di questa differenza entro il
16 gennaio 2014, posto che lo Stato si fa carico di coprire solo parte di questo onere;
– acconti IRES/IRAP (art. 2): a copertura della (parziale) soppressione della seconda rata IMU 2013 l’art. 2 prevede l’incremento al 128,5% (che diventerà 130% per effetto di un ulteriore incremento dell’1,5% annunciato con
comunicato stampa del Mef per gli anni 2013-2014 nei confronti di tutti i soggetti IRES) della misura degli acconti IRES/IRAP dovuti per il 2013 da banche, altre società finanziarie ed assicurazioni. Per tali soggetti è stato
stabilito, sempre per il solo periodo d’imposta 2013, anche l’innalzamento dal 27,5 al 36% dell’aliquota IRES.
Per consentire l’esecuzione dei conguagli il termine di versamento, per tutti i soggetti IRES (anche per quelli che
scontano solo la maggiorazione dell’1,5%, per i quali pertanto l’acconto passa al 102,5%) è stato prorogato al 10
dicembre 2013.
Il provvedimento in esame istituisce inoltre l’acconto dell’imposta sostitutiva dovuta dagli intermediari finanziari sul risparmio amministrato: tali soggetti dovranno versare, entro il 16 dicembre 2013, un anticipo pari al 100%
dell’ammontare complessivo dei versamenti dovuti nei primi 11 mesi dell’anno, che potrà poi essere scomputato
nel corso del 2014 dai versamenti della stessa imposta sostitutiva.
(D.L. 30 novembre 2013 - in G.U. 30 novembre 2013, n. 281)
OPERAZIONI STRAORDINARIE
TRASFORMAZIONE DI S.R.L. IN SOCIETÀ SEMPLICE
Nella Ris. n. 84/E del 27 novembre 2013 l’Agenzia delle entrate fornisce interessanti spunti interpretativi in merito all’applicazione della norma antielusiva di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, che come noto consente all’Amministrazione finanziaria, in materia di imposte dirette, di disconoscere, a determinate condizioni, i vantaggi tributari conseguiti mediante atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, che siano privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi
o divieti previsti dall’ordinamento tributario, diretti ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti.
Nel caso di specie ad essere considerata elusiva da parte del fisco è una trasformazione da S.r.l. a società semplice;
da ciò discende, come chiarito nella risoluzione in esame, che la società dovrà comportarsi fiscalmente come una
S.r.l., pur restando sul piano civilistico una società semplice; fatto questo che ha come conseguenza la impossibilità di optare per il consolidato fiscale nonché di aderire alla procedura di liquidazione dell’IVA di gruppo, posto
che entrambi i regimi sono preclusi alle società semplici.
Una eventuale successiva trasformazione «inversa», da società semplice a S.r.l., avverrebbe peraltro, ai fini delle
imposte dirette, in regime di neutralità fiscale, in considerazione della circostanza per cui la trasformazione perfezionata in precedenza è stata disconosciuta ai fini delle imposte dirette e la nuova trasformazione non farebbe
altro che ripristinare la situazione originariamente esistente.
Relativamente alle imposte indirette detta trasformazione è comunque operazione fuori campo IVA per carenza
del requisito soggettivo ex art. 2 del D.P.R. n. 633/1972 ed è pertanto soggetta ad imposta di registro, con applicazione dell’imposta fissa di 168 euro ai sensi dell’art. 4, lett. c), della tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986; in
presenza di beni immobili anche le ipocatastali sono dovute nella misura fissa di 168 euro ai sensi dell’art. 10 del
D.Lgs. n. 347/1990 e dell’art. 4 della tariffa allegata allo stesso decreto.
(R.M. 27 novembre 2013, n. 84/E)
Consulenza n. 43/2013
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Notizie Flash
FISCO & SOCIETÀ
01) Notizie flash-fisco:01) Notizie flash-fisco 04/12/13 14.21 Pagina 4
FISCO & SOCIETÀ
Notizie Flash
REDDITO D’IMPRESA
COSTI DEDOTTI IN VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI COMPETENZA: CORREZIONE DEGLI ERRORI
CONTABILI A SEGUITO DI ACCERTAMENTO
Con la Ris. n. 87/E del 28 novembre 2013 l’Agenzia delle entrate torna sulla tematica relativa alla disciplina applicabile nel caso in cui, a seguito di accertamento, venga recuperato a tassazione un costo dedotto in un periodo
d’imposta non di competenza; al riguardo si ricorda che solo poche settimane or sono, con la Circ. n. 31/E del
2013, le Entrate avevano fornito interessanti chiarimenti interpretativi in merito al trattamento fiscale da applicare per la correzione di errori contabili nei casi di mancata imputazione di componenti negativi o positivi nel corretto esercizio di competenza, precisando che anche in tale fattispecie è riconosciuta al contribuente la possibilità
di rappresentare all’Amministrazione finanziaria l’esistenza di elementi di costo, non dedotti in precedenti annualità, mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322
del 1998, con le modalità e nei termini previsti nella Circ. n. 31/E del 2 agosto 2012.
Sul punto viene ora ulteriormente chiarito che tale possibilità va riconosciuta anche nel caso in cui, a seguito dell’attività accertativa, vengano recuperati costi dedotti in violazione del principio di competenza e la loro corretta
imputazione non influisca sul versamento dell’imposta ma incrementi la perdita dichiarata; quindi, se l’esercizio
di corretta imputazione è in perdita e questa, successivamente, è stata utilizzata in compensazione negli esercizi
successivi, il contribuente potrà evidenziare la stessa presentando anche qui una dichiarazione integrativa di quella in cui avrebbe potuto utilizzare la maggior perdita, non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.
Ove tale termine sia già decorso, la maggior imposta versata non tenendo conto della maggiore perdita può essere richiesta a rimborso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 entro 48 mesi dal versamento eccedente, ovvero,
scaduto anche tale termine, entro due anni dalla data in cui si è reso definitivo l’accertamento per violazione del
principio di competenza.
Naturalmente, se negli esercizi precedenti a quelli in cui l’accertamento è divenuto definitivo non vi è stato reddito imponibile, la maggior perdita può essere utilizzata a partire da tale esercizio, indicandola nella relativa dichiarazione, non essendo previsti dalla normativa vigente limiti temporali alla utilizzabilità delle perdite.
(R.M. 28 novembre 2013, n. 87/E)
RISCOSSIONE
ISTITUZIONE DEL COMITATO DI INDIRIZZO E VERIFICA DELL’ATTIVITÀ DI RISCOSSIONE
MEDIANTE RUOLO
Nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 28 novembre 2013 è stato pubblicato il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 16 novembre 2013 che ha provveduto all’istituzione presso il Dipartimento delle finanze del Comitato di indirizzo e verifica dell’attività di riscossione, previsto dall’art. 1, comma 531 della legge n. 212/228.
Il Comitato provvederà annualmente alla individuazione delle categorie dei crediti oggetto di recupero coattivo e
delle linee guida a carattere generale per lo svolgimento mirato e selettivo dell’azione di riscossione che tenga conto della capacità operativa degli agenti della riscossione e dell’economicità della stessa azione; compito del Comitato sarà poi quello di controllare che l’attività sia stata svolta sulla base delle indicazioni impartite.
(D.M. 16 novembre 2013 - in G.U. 28 novembre 2013, n. 279)
STUDI DI SETTORE
VIA LIBERA DELLA COMMISSIONE DEGLI ESPERTI ALL’EVOLUZIONE DI 69 STUDI DI SETTORE
La Commissione degli esperti, nel corso della riunione tenutasi lo scorso 28 novembre 2013, ha dato parere favorevole all’unanimità all’evoluzione di 69 studi di settore, sottolineando la necessità che, anche per il periodo di imposta 2013, vengano approntate adeguate analisi per cogliere gli effetti della congiuntura economica e per individuare gli eventuali correttivi crisi. Inoltre, le Organizzazioni di categoria delle imprese e delle attività professiona-
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Consulenza n. 43/2013
01) Notizie flash-fisco:01) Notizie flash-fisco 04/12/13 14.21 Pagina 5
FISCO & SOCIETÀ
li hanno fornito il loro parere con la specifica indicazione che i due nuovi indicatori di coerenza – il «Margine per
addetto non dipendente» e l’«Indice di copertura del costo per il godimento dei beni di terzi e degli ammortamenti» – per gli studi per i quali sono previsti, siano sterilizzati in fase di applicazione.
COMUNICAZIONE BENI AI SOCI E FINANZIAMENTI: PUBBLICATE LE SPECIFICHE TECNICHE
PER L’INVIO DEI DATI
Il prossimo 12 dicembre 2013 scade il termine per l’invio telematico delle comunicazioni relative ai beni d’impresa concessi in godimento ai soci o familiari dell’imprenditore e dei finanziamenti all’impresa o delle capitalizzazioni da parte di soci o familiari dell’imprenditore che hanno un valore complessivo pari o superiore a 3.600 euro.
Sul sito Internet dell’Agenzia delle entrate sono disponibili dallo scorso 27 novembre le specifiche tecniche per
l’invio dei dati e le istruzioni alla compilazione del modello.
RILASCIO DI AGGIORNAMENTI SOFTWARE
Sul sito Internet dell’Agenzia delle entrate, nella sezione Software, è disponibile:
– la versione 1.0.0 del 25 novembre 2013 del software «Comunicazione beni dell’impresa concessi in godimento
a soci o familiari e finanziamenti nei confronti dell’impresa», che permette agli utenti la compilazione delle comunicazioni previste dal Provvedimento del Direttore della Agenzia delle entrate n. 2013/94902 del 2 agosto
2013, con la relativa procedura di controllo;
– la versione 1.0.2 del 29 novembre 2013 della procedura di controllo Comunicazioni dei dati sui contratti e premi delle assicurazioni (anno 2012).
Consulenza n. 43/2013
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Notizie Flash
SERVIZI TELEMATICI
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LAVORO & PREVIDENZA
a cura di Bruno Benelli
Notizie Flash
ASSICURAZIONI SOCIALI
INAIL: SOLO DAL 13 NOVEMBRE 2012 IL RIMBORSO FARMACI AI LAVORATORI INFORTUNATI
Il diritto al rimborso dei farmaci – dovuto dall’INAIL per gli infortuni verificatisi e le malattie professionali denunciate dal 13 novembre 2012 – trova un limite nella sostenibilità finanziaria che impone l’individuazione di
una scala di priorità da definire sperimentalmente sulla base dell’andamento della relativa spesa.
Nel confermare la data di decorrenza del diritto in quella di pubblicazione della Circ. n. 62/2012 e cioè il 13 novembre 2012, l’INAIL precisa che questa data potrebbe determinare disparità di trattamento tra assicurati per i
quali l’evento lesivo si sia verificato successivamente alla suddetta data e assicurati per i quali l’evento, eventualmente anche molto grave e, dunque, maggiormente meritevole di tutela, sia occorso precedentemente alla data
medesima.
Per evitare questa situazione l’INAIL dispone che le richieste di rimborso dei farmaci vengano prese in considerazione a prescindere dalla data del verificarsi dell’evento, a condizione che gli assicurati richiedenti si trovino
nello stato di inabilità temporanea assoluta alla data del 13 novembre 2012 e che le date della prescrizione medica
del farmaco e dello scontrino fiscale, comprovante l’acquisto del farmaco stesso, ricadano in tale periodo o in
eventuale periodo di ricaduta in temporanea, relativi all’evento indennizzato.
Queste disposizioni si applicano ai casi futuri, alle fattispecie in istruttoria e a quelle per le quali sono in atto controversie amministrative o giudiziarie o, comunque, non prescritte o decise con sentenza passata in giudicato.
(INAIL - Circ. n. 56 del 19 novembre 2013)
PREVIDENZA
AVVOCATI: TUTTI GLI ISCRITTI ALL’ALBO PAGANO LA CASSA FORENSE
La legge n. 247/2012, entrata in vigore il 2 febbraio 2013, dispone che l’iscrizione agli Albi comporta la contestuale
iscrizione alla Cassa forense e quindi l’iscrizione alla Cassa, già prevista obbligatoriamente per tutti gli iscritti agli
Albi che esercitino la professione con carattere di continuità – cioè raggiungano prefissati limiti minimi di reddito o di volume d’affari professionali –, viene ora fatta coincidere con il momento dell’iscrizione agli Albi, a prescindere da tali parametri reddituali.
Ne consegue che la cancellazione dalla Cassa forense sarà possibile soltanto nel caso di cancellazione dell’iscritto
da tutti gli Albi forensi. Ulteriore conseguenza: per tutti gli iscritti agli Albi non è ammessa l’iscrizione ad altra
forma alternativa di previdenza obbligatoria e, quindi, alla gestione separata INPS.
La citata legge affida alla Cassa forense il compito di emanare, entro un anno dall’entrata in vigore della legge, un
proprio regolamento che determini – per tutti gli iscritti, attuali e nuovi, con reddito inferiore a parametri reddituali da stabilirsi – i minimi contributivi dovuti, nonché eventuali condizioni temporanee di esenzione o diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo.
In attesa dell’emanando regolamento e della sua approvazione da parte dei Ministeri vigilanti, la Cassa non ha richiesto il pagamento di alcun contributo minimo previdenziale da parte degli iscritti agli Albi, che non siano
iscritti alla Cassa alla data del 1° febbraio 2013.
La Cassa disciplinerà i termini e le modalità amministrative dell’iscrizione alla previdenza forense, tenendo conto degli istituti dell’iscrizione retroattiva e dei benefici per gli ultraquarantenni, nonché gli effetti previdenziali
della cancellazione dagli Albi richiesta dopo l’entrata in vigore dell’emanando regolamento.
CONTRIBUTI VOLONTARI INPS: ENTRO DICEMBRE LA TERZA RATA 2013
Entro martedì 31 dicembre i lavoratori autorizzati alla contribuzione volontaria devono saldare all’INPS la terza
rata dei contributi dovuti per il 2013, relativa al trimestre luglio-settembre. Appuntamento da non mancare: basta un giorno di ritardo e la legge annulla il versamento e respinge la somma al mittente, senza interessi, a meno
che l’interessato comunichi agli uffici di riversare invece il pagamento sul quarto trimestre (ottobre-dicembre).
Si deve versare all’INPS l’importo calcolato in percentuale della retribuzione ottenuta sul lavoro nelle 52 settima-
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Consulenza n. 43/2013
02) Notizie flash-lavoro:02) Notizie flash-lavoro 04/12/13 14.21 Pagina 7
ne precedenti la data di decorrenza dell’autorizzazione (fissata al primo sabato successivo alla presentazione della
domanda). In questo modo il lavoratore resta «ancorato» allo stipendio, evitando decrementi della pensione che
avverrebbero se invece iniziasse a versare contributi di importo inferiore.
Attenzione: il versamento di quote inferiori è sempre possibile, ma in questo caso scatta un meccanismo di salvaguardia delle potenzialità insite nella contribuzione volontaria, in virtù del quale l’INPS ritiene ugualmente pagato l’importo dovuto (e non quello realmente versato). Ma per ottenere questo risultato gli uffici devono contrarre il numero delle settimane coperte dal versamento, per cui il lavoratore, se deve raggiungere un’anzianità
contributiva minima indispensabile per avere la pensione, dovrà poi pagare per un periodo di tempo più ampio.
La retribuzione minima settimanale sulla quale calcolare il contributo è di 198,17 euro. L’aliquota di versamento
per i lavoratori dipendenti (non agricoli) è del 32,37%. Resta al 27,87% l’aliquota dovuta dai «vecchi» lavoratori
autorizzati con decorrenza compresa entro il 31 dicembre 1995. Tra le due categorie c’è uno scarto di quattro
punti e mezzo.
Colf e badanti pagano un contributo molto più basso: esattamente il 17,4275%. Artigiani e commercianti pagano
rispettivamente il 21,75% e il 21,84% del reddito di impresa, che per legge è articolato in otto classi predefinite. Pagano il 27% le persone iscritte alla gestione separata INPS in qualità di lavoratori parasubordinati, privi di altra
tutela previdenziale e senza pensione; per questi ultimi il contributo è legato all’importo medio dei compensi percepiti nei 12 mesi precedenti, ma con il rispetto di un minimo mensile di 345,54 euro, che in un anno fanno
4.146,39 euro.
Si paga (banca o posta) usando il bollettino Mav emesso dall’INPS o stampato direttamente dal sito www.inps.it;
in alternativa si può pagare on-line usando il sito INPS o attraverso il call-center INPS, usando in questi due casi
la carta di credito.
ENASARCO, PENSIONE DI VECCHIAIA: I NUOVI REQUISITI 2014
Nuovi requisiti contributivi e anagrafici per la pensione di vecchiaia che l’Enasarco liquida agli agenti e rappresentanti di commercio; la pensione è appannaggio di chi abbia raggiunto:
1) l’anzianità contributiva minima di 20 anni;
2) l’età anagrafica minima e la «quota» prevista nell’anno di riferimento; la quota è data dalla somma tra l’età anagrafica e l’anzianità contributiva, fermi restando i requisiti minimi di età e di contribuzione.
A - Uomini - Nel 2013 la quota è di 87 (con almeno 65 anni di età).
Nel 2014 la quota sale a 88, sempre con un’età minima di 65 anni.
Il che significa che occorrerà avere come minimo 23 anni di contributi per raggiungere la citata quota; in sostanza
la modifica riguarda solo l’aspetto dei versamenti contributivi minimi: da 22 a 23 anni.
B - Donne - Nel 2013 la quota è 83 (con almeno 61 anni di età).
Nel 2014 la quota sale a 84 con un’età di almeno 62 anni (e quindi con un versamento di contributi per almeno 22
anni).
Nelle donne si assiste perciò a una modifica differente da quella stabilita per gli uomini: l’aumento riguarda l’età
e non la contribuzione.
INARCASSA, PENSIONE DI ANZIANITÀ: DOMANDA ENTRO IL 31 DICEMBRE
Quattro importanti notizie dall’Inarcassa, cassa di previdenza di ingegneri e architetti.
A - È stato deliberato il differimento del versamento del conguaglio 2012 fino al 30 aprile 2014 con l’applicazione
di un interesse dilatorio pari al tasso Bce + il 4,5% applicato ai giorni effettivamente trascorsi dal 31 dicembre
2013 alla data del pagamento; chi vuole fruire di questa facilitazione deve semplicemente generare il bollettino
Mav relativo al conguaglio 2012 su Inarcassa on-line, e versare l’importo corrispondente non oltre il 30 aprile
2014. Il versamento non genererà alcuna sanzione e l’importo relativo al tasso d’interesse sarà conteggiato insieme alla rata dei minimi 2014 in scadenza a fine giugno.
Attenzione: l’opzione non è esercitabile dagli associati che abbiano già ottenuto la rateazione del conguaglio grazie alle agevolazioni contributive 2013.
B - Gli associati che abbiano maturato i requisiti della pensione contributiva entro il 31 dicembre 2012, devono
presentare la domanda entro il 31 dicembre 2013, cioè nel tempo massimo di un anno, pena la decadenza del diritto. I requisiti sono: almeno 5 anni di iscrizione e contribuzione (anche non continuativi) e 65 anni di età.
I titolari della pensione contributiva potranno continuare l’esercizio della libera professione.
C - Alle libere professioniste regolarmente iscritte, l’Inarcassa eroga una indennità di maternità per i due mesi antecedenti e per i tre mesi successivi al parto; la tutela vale anche in caso di adozione, affidamento e aborto. La doConsulenza n. 43/2013
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Notizie Flash
LAVORO & PREVIDENZA
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LAVORO & PREVIDENZA
Notizie Flash
manda va presentata entro 180 giorni dal parto, o dall’effettivo ingresso in famiglia del bambino (o dall’interruzione della gravidanza). La misura dell’indennità è commisurata in percentuale al reddito dichiarato due anni
prima, con la garanzia di un importo minimo, pari a 4.895 euro per il 2013 e un tetto massimo, fissato in 24.475
euro per lo stesso anno.
D - La pensione di anzianità va in soffitta; gli iscritti che abbiano maturato «quota 97» (età + anzianità) entro il 31
dicembre 2012 o che abbiamo maturato «quota 96» già entro il 31 dicembre 2010, e che in entrambi i casi abbiano
raggiunto almeno 35 anni d’anzianità contributiva e 58 anni d’età, devono presentare la domanda, pena decadenza, entro il 31 dicembre 2013. Il trattamento pensionistico è ridotto in funzione dell’età.
Rimarrà l’esigua platea di coloro che matureranno 35 anni di anzianità contributiva e 58 anni di età se al 5 marzo
2010 avevano 55 anni e 30 anni d’anzianità. Costoro dovranno presentare la domanda, a pena di decadenza, entro
12 mesi dalla maturazione dei requisiti. Il trattamento pensionistico non sarà ridotto.
(Inarcassa - Comunicazione novembre 2013)
INPGI: COMUNICAZIONE REDDITI 2012 PER ATTIVITÀ LIBERO-PROFESSIONALE
Chi non ha inviato all’INPGI la comunicazione dei redditi prodotti nel 2012 con attività libero-professionale entro il trascorso 31 luglio può sempre regolarizzare la situazione entro il prossimo 31 dicembre versando una sanzione ancora di importo ridotto.
Sono tenuti alla comunicazione tutti i giornalisti che nell’anno 2012 hanno svolto attività autonoma giornalistica:
a) con partita IVA;
b) con la sola ritenuta d’acconto (attività occasionale e/o cessione del diritto d’autore);
c) come partecipazione in società semplici o in associazioni tra professionisti.
I giornalisti che contemporaneamente all’attività libero-professionale hanno svolto «attività giornalistica sotto
forma di collaborazione coordinata e continuativa» devono comunicare i soli redditi riferiti all’attività liberoprofessionale.
I giornalisti che non hanno prodotto reddito da attività giornalistica libero-professionale e non hanno chiesto di
essere sospesi dalla contribuzione devono comunque effettuare la comunicazione.
I giornalisti che hanno svolto esclusivamente attività di co.co.co. non sono tenuti a presentare la comunicazione
dei redditi.
Per i ritardatari, l’INPGI tiene disponibile la possibilità di inviare la comunicazione con modalità telematica fino al 30 dicembre 2013, dopo quest’ultima data la comunicazione deve essere inviata tramite raccomandata
A/R scaricando il modulo comunicazione redditi.
Se la comunicazione viene presentata dopo il 31 luglio si applica una sanzione calcolata come percentuale del
contributo soggettivo minimo, che è quindi ridotta per i primi 5 anni di iscrizione all’Albo e per i pensionati. Dal
30 ottobre in poi la sanzione è di 40 euro, ridotta a 16,34 euro, e per i pensionati a 20 euro.
(INPGI - Comunicazione novembre 2013)
LAVORATRICI MADRI: UN PICCOLO SCONTO SULL’ETÀ PENSIONABILE
Per le lavoratrici madri che maturano il diritto ai trattamenti pensionistici continuano a trovare applicazione le
disposizioni della legge n. 335/ 1995, che riconoscono i seguenti periodi di accredito figurativo:
a) per assenza dal lavoro per periodi di educazione e assistenza dei figli fino al sesto anno di età in ragione di centosettanta giorni per ciascun figlio;
b) per assenza dal lavoro per assistenza a figli dal sesto anno di età, al coniuge e al genitore purché conviventi, nel
caso le persone siano in condizione di disabilità grave, per la durata di venticinque giorni complessivi l’anno,
nel limite massimo complessivo di ventiquattro mesi;
c) a prescindere dall’assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi dell’evento maternità, è riconosciuto
alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia pari a quattro mesi
per ogni figlio e nel limite massimo di dodici mesi; in alternativa al detto anticipo la lavoratrice può optare per
la determinazione del trattamento pensionistico con applicazione del moltiplicatore relativo all’età di accesso
al trattamento pensionistico, maggiorato di un anno in caso di uno o due figli, e maggiorato di due anni in caso
di tre o più figli.
C’è il caso di persone – tra cui appunto le lavoratrici madri – che rientrano nel completo sistema di calcolo contributivo a seguito di opzione.
In questo caso l’INPS precisa che i lavoratori in possesso, alla data del 31 dicembre 2011, sia dei requisiti per l’e-
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Consulenza n. 43/2013
02) Notizie flash-lavoro:02) Notizie flash-lavoro 04/12/13 14.21 Pagina 9
sercizio della facoltà di opzione (meno di 18 anni entro l’anno 1995 e almeno altri 15 anni successivi), sia dei requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia nel sistema contributivo prescritti dalla legge vigente ante Riforma
Fornero possono accedere alla pensione sulla base delle disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime
delle decorrenze della vecchia normativa, anche se esercitano la facoltà di opzione successivamente al 31 dicembre 2011.
I requisiti che devono essere stati raggiunti entro il 31 dicembre 2011 per il diritto alla pensione di vecchiaia nel
sistema contributivo sono i seguenti:
a) anagrafico di 60 anni di età per le donne e 65 anni di età per gli uomini, unitamente al requisito contributivo di
almeno 5 anni di contribuzione effettiva;
b) contributivo di almeno 40 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica, che deve essere perfezionato escludendo i contributi versati volontariamente e moltiplicando per 1,5 i contributi da lavoro versati prima del 18° anno di età;
c) contributivo di almeno 35 anni di contributi unitamente ai requisiti chiesti per il sistema delle «quote» (nel periodo 2010-2011 quota 96 con un’ età minima di 60 anni);
d) se la pensione di vecchiaia è richiesta da un soggetto di età inferiore a 65 anni, deve essere perfezionato anche il
requisito di «importo» del trattamento pensionistico che deve risultare non inferiore ad 1,2 volte l’assegno sociale;
e) cessazione del rapporto di lavoro dipendente; in tale fattispecie l’accesso al trattamento è assoggettato alla normativa in materia di decorrenze vigente al 31 dicembre 2011 e quindi alla finestra di 12 mesi.
Invece alle lavoratrici madri che maturano i requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia nel sistema contributivo dopo il 31 dicembre 2011 l’anticipo dell’età pensionabile deve essere rapportato alle nuove età pensionabili
adeguate agli incrementi della speranza di vita.
Questi criteri valgono anche per le lavoratrici madri iscritte alla gestione separata INPS in qualità di parasubordinate e che chiedono che nella gestione vengano accorpati periodi contributivi versati in qualità di lavoratrici dipendenti (settori pubblico e privato) e autonome.
(INPS - Mess. n. 18730 del 19 novembre 2013)
MEDICI, CONTRIBUTI ENPAM: PRIMA RATA ENTRO IL 31 DICEMBRE
Scade il 31 dicembre prossimo la prima rata del contributo che i medici devono versare al Fondo gestito dall’ENPAM; l’Ente ha infatti deciso di prorogare e rateizzare i contributi previdenziali dovuti dai medici e dagli odontoiatri in difficoltà economica. Possono usufruire di questa misura anticrisi gli iscritti che quest’anno hanno subìto (o prevedono di subire) una
riduzione di almeno il 30% del proprio reddito libero-professionale rispetto a quello del 2012; gli interessati hanno dovuto compilare e presentare la domanda direttamente on-line nel sito ENPAM entro il trascorso 15 novembre.
Chi ha fatto la domanda ha evitato di pagare i contributi sulla libera professione in un’unica soluzione entro il 31
ottobre.
Per gli interessati sono pronti tre bollettini di pagamento con scadenza:
a) 31 dicembre 2013;
b) 28 febbraio 2014;
c) 30 aprile 2014.
Alle somme dovute saranno aggiunti i soli interessi legali (0,2% al mese) e minime spese di incasso.
Gli iscritti che hanno aderito al pagamento rateale hanno autorizzato l’addebito diretto su conto corrente dei
contributi dovuti al Fondo di previdenza generale (Quota A e Quota B) a partire dal 2014. Anche questi addebiti
verranno fatti a rate oppure, a scelta, in unica soluzione.
Dal 2014 la possibilità di rateizzazione sarà estesa a tutti i liberi professionisti che sceglieranno la domiciliazione
bancaria per il pagamento dei propri contributi.
(ENPAM - Comunicazione novembre 2013)
PICCOLA MOBILITÀ: L’INPS NON CHIEDE LA RESTITUZIONE DEI 190 EURO
L’INPS, dopo avere invitato gli uffici a riprendere l’attività di verifica circa la spettanza dei benefici riconosciuti
alle aziende che assumono i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, al momento blocca l’operazione; in attesa dei
richiesti definitivi chiarimenti chiesti al Ministero del lavoro non deve essere richiesto ai datori di lavoro il rimborso dei benefici eventualmente fruiti.
Consulenza n. 43/2013
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LAVORO & PREVIDENZA
02) Notizie flash-lavoro:02) Notizie flash-lavoro 04/12/13 14.21 Pagina 10
Notizie Flash
LAVORO & PREVIDENZA
Tutto ciò dipende dal fatto che per il 2013 non sono state prorogate le norme che prevedono l’iscrizione nelle liste
di mobilità dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo né gli incentivi inerenti al loro reimpiego
(cosiddetta piccola mobilità).
Già con Circ. n. 13/2013 l’Istituto ha chiarito che non è possibile riconoscere le agevolazioni per le assunzioni, effettuate nel 2013, di lavoratori licenziati nel 2013, riservandosi di fornire indicazioni sulle altre fattispecie.
A seguito dei primi chiarimenti forniti dal Ministero del lavoro l’INPS ha precisato che:
1) non è possibile riconoscere le agevolazioni per le assunzioni, effettuate nel 2013, di lavoratori licenziati prima
del 2013;
2) non è possibile riconoscere le agevolazioni per le proroghe e le trasformazioni a tempo indeterminato, effettuate nel 2013, di rapporti agevolati instaurati prima del 2013;
3) in via cautelare deve ritenersi anticipata al 31 dicembre 2012 la scadenza dei benefici connessi a rapporti agevolati, instaurati prima del 2013 con lavoratori iscritti nelle liste di mobilità a seguito di licenziamento individuale.
Invece per le assunzioni, le proroghe e le trasformazioni effettuate nel 2013, riguardanti lavoratori licenziati per
giustificato motivo oggettivo, potrà essere fruito l’incentivo (bonus di 190 euro). Le condizioni specifiche e le modalità di fruizione di tale beneficio saranno dall’INPS illustrate con apposita circolare.
La mancata proroga delle norme concernenti la cosiddetta piccola mobilità incide anche sulla disciplina dei rapporti istaurati con apprendisti precedentemente licenziati per giustificato motivo oggettivo ed iscritti nelle liste
di mobilità; anche su questo punto l’Istituto di previdenza fornirà i criteri per individuare la disciplina contributiva applicabile dopo i necessari chiarimenti ministeriali.
(INPS - Mess. n. 18639 del 18 novembre 2013)
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Consulenza n. 43/2013
03) Ranocchi - Prima pagina:03) Ranocchi - Prima pagina 04/12/13 14.21 Pagina 11
Prima pagina
REDDITOMETRO: IL GARANTE
DELLA PRIVACY EVIDENZIA
LE CRITICITÀ APPLICATIVE
dall’Agenzia delle entrate al
Il Garante della privacy, con
Stop alle spese ISTAT
fine di verificare se l’impianil parere n. 2795110 del 21
e molte raccomandazioni
to normativo introdotto
novembre scorso, ha posto
sulla procedura. Il Garante
dall’art. 22 del D.L. n.
in risalto tutta una serie di
78/2010 e dal decreto attuaticriticità che attengono aldetta la linea per la legittimità
vo del D.M. 24 dicembre
l’applicazione del cosiddetto
del nuovo accertamento sintetico
2012, fosse rispettoso dei
«nuovo redditometro».
principi fondamentali posti a
Gli aspetti salienti che carattutela dei cittadini previsti dal Codice in materia di proterizzano il contenuto del documento sono i seguenti:
tezione dei dati personali (D.L. 30 giugno 2003, n. 196).
– le spese medie ISTAT non possono concorrere alNella sostanza la verifica si è resa necessaria per esala determinazione sintetica del reddito, in quanto
minare la correttezza e la liceità del trattamento dei
dati non ancorati ad elementi certi;
dati posto in essere dall’Agenzia delle entrate nel– il «fitto figurativo» non potrà essere utilizzato col’ambito dell’attività di selezione e successivo conme strumento per selezionare i contribuenti «a ritrollo di cui al nuovo accertamento sintetico; ciò per
schio» di evasione, ma dovrà entrare in gioco solo
individuare, in applicazione del Codice di protezione
nel successivo contraddittorio;
dei dati personali (art. 17, D.L. 30 giungo 2003, n.
– nell’invito a comparire, gli uffici dovranno speci196), le garanzie destinate a tutelare i contribuenti in
ficare gli effetti del rifiuto di esibizione dei dati.
relazione alla modalità di trattamento dei dati personali (1).
Si prospetta pertanto l’applicazione di un redditometro privato della componente induttivo/statistica e
quindi destinato ad essere utilizzato solo sulla base dei
PROFILI CRITICI ATTINENTI
cosiddetti «dati certi»; in pratica è molto probabile che
IL PROVVEDIMENTO ATTUATIVO
in concreto il «redditometro» virerà, nella stragrande
DEL 24 DICEMBRE 2012
maggioranza dei casi, in un «sintetico puro» con tutte
Viene evidenziata in premessa la tardività della richiele conseguenze del caso.
sta, posto che l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto,
L’intervento del Garante della privacy è stato richiesto
sulla base delle norme che regolano il Codice di prote-
(1) In particolare va detto che devono essere utilizzati, in favore del contribuente, tutti gli accorgimenti idonei a correggere i fattori che generano imprecisione nella fase di trattamento dei dati limitando i rischi inerenti nell’attività di profilazione del contribuente. L’intervento del
Garante va quindi nella direzione di assicurare le garanzie necessarie ai sensi dell’art. 17 del Codice di protezione dei dati, sul trattamento
dei dati personali effettuato dall’Agenzia delle entrate nell’ambito dell’accertamento redditometrico.
Secondo il Garante infatti: «Nell’attività di profilazione e, più in generale, nei trattamenti automatizzati di dati personali occorre verificare
con particolare rigore il rispetto dei principi in materia di qualità dei dati previsti dall’art. 11 del Codice, considerato soprattutto che “l’inesattezza potenzialmente conseguente all’applicazione automatica di regole inferenziali predefinite può comportare rischi significativi per i diritti
e le libertà individuali” (cfr., in particolare, al riguardo, il punto 3.9. della Raccomandazione del Consiglio d’Europa in materia di profilazione). La qualità dei dati deve essere, infatti, garantita in ogni fase del trattamento quale presidio dinamico a tutela dei diritti e delle libertà degli
interessati, considerato, in particolare, che eventuali imprecisioni nella fase di raccolta di informazioni sono destinate a ripercuotersi con esiti
imprevedibili sulle determinazioni assunte sulla base di un loro trattamento automatizzato, anche con rilevanti conseguenze in capo agli interessati».
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Fisco & Società
di Gian Paolo Ranocchi
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Fisco & Società
Prima pagina
zione dei dati personali (art. 154, comma 4, D.L. 30
giugno 2003, n. 196), provvedere antecedentemente
all’approvazione del D.M. 24 dicembre 2012, a consultare il Garante della privacy in considerazione dell’incidenza del Provvedimento attuativo del redditometro sulle materie disciplinate dal citato Codice (2).
Il decreto attuativo delle Entrate, evidenzia il Garante,
avrebbe dovuto definire solo «il contenuto induttivo di
elementi di capacità contributiva» individuando unicamente il probabile contenuto in termini di spesa dei
beni certamente posseduti e dei servizi chiaramente
usufruiti dal contribuente. In realtà, invece, il documento ha fissato delle regole di profilazione del contribuente, che presuppongono la presunta esistenza di
una serie di elementi (le cosiddette spese ISTAT) del
tutto svincolata da riscontri certi in ordine alla sussistenza degli stessi.
Nella sostanza, quindi, il provvedimento è andato ben
oltre rispetto a quanto la legge primaria gli aveva assegnato. Sul punto, osserva il Garante, il D.M. 24 dicembre 2012 avrebbe dovuto individuare il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva attraverso l’analisi di campioni significativi di
«contribuenti» mentre il sistema delineato dalla Entrate si fonda unicamente sulle spese medie dei nuclei
familiari dai quali risalire alla posizione del singolo
contribuente con logiche di approssimazione, come
vedremo, intollerabili.
LE CRITICITÀ NELL’INDIVIDUAZIONE
DEL NUCLEO FAMILIARE
L’esatta attribuzione del contribuente al «lifestage» di
competenza (cd. «famiglia fiscale di riferimento»), è
fondamentale per la corretta applicazione del nuovo
sistema di selezione e accertamento. Ciò in quanto
sulla famiglia si verifica la copertura reddituale rispetto al monte spese intercettate e perché alla profilazione
della famiglia si allegano le spese induttive determinate sulla base delle stime ISTAT.
Dal documento del Garante emergono una serie di segnalazioni che evidenziano come la procedura predisposta dall’Agenzia delle entrate nel qualificare il nucleo familiare per la campagna redditometro, sia inadeguata rispetto alla situazione reale. Le famiglie, infatti, sono state costruite sulla base delle risultanze fiscali (quadro Fa della dichiarazione dei redditi) e
quindi spessissimo non trovano alcuna corrispondenza con il contesto di fatto.
A questo si aggiunga che, dalle verifiche ispettive effettuate dal Garante, il numero delle famiglie risultanti
dal sistema «sintetico» dell’Agenzia delle entrate (48
milioni), non trova alcuna corrispondenza numerica
con il numero delle famiglie italiane (25 milioni da
censimento 2011 e dai dati ISTAT 2009). Segno evidente del problema lo scostamento tra i dati reali e
quelli utilizzati dall’Agenzia per la profilazione del
contribuente, pari a circa 23 milioni di famiglie (3).
Addirittura paradossale è il dato che scaturisce dalle
banche dati dell’Agenzia secondo cui il numero delle
famiglie dei «single» riferibili a minorenni sarebbe pari circa a 2 milioni di cui un milione e cinquecentomila
ulteriormente riferibili a soggetti con meno di quattordici anni. Il dato errato è la conseguenza del difetto
all’origine (il riferimento alla famiglia fiscale), ma ovviamente trascina con sé tutta una serie di conseguenze che rischiano di diventare incontrollabili.
Secondo l’analisi del Garante è quindi evidente che
l’errata attribuzione della tipologia di nucleo familiare
di appartenenza al contribuente selezionato si pone
manifestamente in contrasto con i principi fondamentali in materia di qualità dei dati di cui all’art. 11
del D.L. 30 giugno 2003, n. 196.
Sul punto il Garante propone di superare le attuali
problematiche con l’obbligo da parte dell’Agenzia delle entrate di verificare le reali informazioni sulla famiglia anagrafica presenti presso le anagrafi comunali,
prescindendo dal dato selezionato dai modelli fiscali.
LE CRITICITÀ SUI DATI DI MERITO
Un altro ambito particolarmente critico segnalato dal
Garante è quello delle «spese certe» nell’ambito delle
quali, da un riscontro materiale, è emersa la presenza di
una gran numero di dati gravemente inesatti in conseguenza «dell’errata digitazione dei dati numerici» riconducibile principalmente ad errori commessi dai soggetti
tenuti a comunicare i dati che confluiscono in anagrafe
tributaria (es. notai, compagnie di assicurazione, ecc.).
Ciò induce ad un consiglio prospettico, specie con riferimento all’annualità 2009, in quanto, nonostante le
rassicurazioni dell’Agenzia delle entrate, che garantirà particolare attenzione alla verifica e ove necessario
la correzione degli errori, sarà quanto mai opportuno
(2) In particolare va rilevato come l’art. 154, comma 4 del Codice di protezione dei dati personali prevede che «Il Presidente del Consiglio dei ministri e ciascun ministro consultano il Garante all’atto della predisposizione delle norme regolamentari e degli atti amministrativi suscettibili
di incidere sulle materie disciplinate dal presente codice».
(3) Sotto questo profilo va detto che dai dati ISTAT relativi al 2009 e quelli di censimento 2011 risultano circa 25.000.000 di famiglie, mentre il
sistema delineato dal redditometro individua un campione di circa 48.000.000 famiglie.
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procedere ad un’attenta verifica, quando arriveranno i
primi questionari, sulla bontà delle informazioni selezionate ai fini della verifica nell’ambito dell’accertamento sintetico.
LE CRITICITÀ DEI DATI STATISTICI
Sui valori ISTAT è calata la mannaia del Garante.
I dati ISTAT, evidenzia il Garante, sono stati rilevati
principalmente per essere utilizzati quali dati macroeconomici per calcolare il PIL, verificando l’andamento dei consumi nel corso degli anni.
In altri termini, le medie in oggetto hanno una specifica finalità che vale nell’ambito delle indagini statistiche e che non può essere estesa ad altri settori come
quello fiscale (punto F.2.4 del parere).
Dice il Garante che i valori degli importi di spesa cui fa
riferimento il decreto sono valori medi, e quindi per
loro natura non idonei ad essere ricondotti correttamente ad alcun individuo se non con notevoli margini
di errore, risultando così iniqui in eccesso o in difetto
rispetto al consumo in concreto di ciascun contribuente.
In quest’ambito, poi, non è stata operata alcuna distinzione in relazione alle diverse tipologie di contribuente (4) (operaio, impiegato, libero professionista, industriale, ecc.) i quali risultano avere differenti propensioni al consumo e quindi una diversa composizione
della spesa familiare, né è stata in alcun modo considerata l’ampiezza dell’area geografica di riferimento o le
differenze che vi possono essere tra diverse zone dei
centri abitati.
Ciò pone una serie di dubbi sostanziali sulla stessa legittimità del nuovo sistema «redditometro» solo in
qualche modo temperati dalle misure restrittive che
sono state imposte alle Entrate con il documento in
analisi.
Infine, sempre con riferimento all’impiego dei dati
ISTAT nell’attività di accertamento del reddito, il Garante rileva che l’utilizzo dei dati ricavabili dalle indagini statistiche presuppone la necessità del rispetto
delle regole previste dall’art. 105, comma 1 del Codice
in materia di trattamento dei dati personali secondo
cui i «dati personali trattati per scopi statistici o scientifici non possono essere utilizzati per prendere decisioni
o provvedimenti relativamente all’interessato, né per
trattamenti di dati per scopi di altra natura. Il trattamento ulteriore prospettato dal decreto in esame potrebbe, quindi, risultare effettuato per scopi incompatibili rispetto alle finalità della raccolta, essendo anche
suscettibile di riverberarsi negativamente nei confronti
dello stesso interessato che ha fornito l’informazione
all’ISTAT».
In conclusione della sua analisi il Garante rileva che
l’utilizzo dei dati ISTAT «va oltre quanto necessario
per ricostruire sinteticamente il reddito del contribuente ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 600 del 1973, e si pone
in contrasto con i principi di correttezza e liceità del
trattamento e di esattezza dei dati (artt. 2 e 11 del Codice n. 196/2003)».
LE GARANZIE PER I CONTRIBUENTI
Il documento del Garante, dopo aver rilevato le criticità emerse in fase di ispezione e le annunciate contromisure poste in essere dall’Agenzia delle entrate durante la verifica, conclude con delle «valutazioni finali» a garanzia del contribuente prescritte nell’ottica di
obbligare lo stesso ente impositore al rispetto di alcune
norme fondamentali di cui al Codice in materia di
protezione dei dati personali.
Le raccomandazioni del Garante vanno nella direzione di consentire all’Agenzia delle entrate di ricostruire
sinteticamente il reddito del contribuente in modo
conforme al Codice avvalendosi a tal fine, però, «dei
soli dati relativi alle spese certe, alle spese per elementi
certi e al fitto figurativo che, nonostante sia un dato presunto, si presta ad essere facilmente verificato anche in
sede di contraddittorio con il contribuente».
Il Garante ritiene, infatti, che l’Agenzia delle entrate,
adottando le misure e gli accorgimenti sintetizzati nel
presente articolo nonché modificando l’applicativo
software utilizzato e la relativa prassi e modulistica,
«possa procedere legittimamente al trattamento dei dati personali effettuato ai fini dell’accertamento sintetico
del reddito delle persone fisiche di cui all’art. 38 del
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600».
Come si vede, quindi, il documento in questione è categorico nell’escludere radicalmente l’utilizzo dei dati
ISTAT in relazione alla partecipazione degli stessi alla
(4) Sul punto il Garante osserva che «La comunità scientifica è concorde nell’affermare che la composizione della spesa varia a seconda dell’ammontare del reddito, determinando un cambiamento in percentuale della stessa con il crescere della disponibilità economica (legge di Engel).
In particolare, ad esempio, le spese per i bisogni essenziali (ad esempio, l’alimentazione) diminuiscono con l’aumentare del reddito, mentre aumentano quelle per i beni di lusso. Attribuendo a ciascun contribuente la medesima composizione della spesa attraverso l’utilizzo delle medie
ISTAT si determina, quindi, certamente un’errata ricostruzione di ciascuna delle voci di spesa considerate dal decreto. Analoghe considerazioni valgono anche per la propensione al consumo. Infatti, dall’esame delle citate statistiche della Banca d’Italia, emerge, ad esempio, che un
individuo con un reddito basso ha una propensione al consumo pari al 113% circa del proprio reddito (ricorso all’indebitamento), mentre chi
ha un reddito medio alto ha una propensione a spenderne il 65% circa (possibilità di risparmio)».
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Fisco & Società
quantificazione del reddito «sintetico» imputabile al
contribuente (5), non ammettendo, pertanto, nemmeno un utilizzo mediato, in contradditorio con il
contribuente, delle stesse medie statistiche, come proposto dalla stessa Agenzia delle entrate.
Inoltre lo stesso Garante prescrive il rispetto di alcune
garanzie minime che la stessa Agenzia delle entrate
dovrà obbligarsi a rispettare, anche prima dell’inizio
del trattamento dei dati in capo al contribuente, con
riferimento:
–
–
–
alla qualità ed esattezza dell’attribuzione del lifestage di riferimento, nonché di quello relativo agli
elementi di spesa certa imputabili al contribuente,
che dovranno essere previamente verificati considerata l’elevata incidenza di errori presenti in
Anagrafe tributaria;
alla conservazione dei dati, che non deve andare
oltre il periodo per il quale l’agenzia può legittimamente procedere ad accertamento (art. 43, D.P.R.
n. 600/1973) salvo proroghe relative a contenziosi
in corso;
alla qualità dell’informativa in relazione alla notifica del questionario che prelude all’accertamento
sintetico, nell’ambito del quale, come visto, l’Agenzia dovrà specificare in maniera più precisa i
propri poteri e le sanzioni in caso di mancata partecipazione da parte del contribuente (6).
CONSIDERAZIONI FINALI
A conclusione del sintetico excursus del pregevole documento del Garante della privacy, emerge che, rispetto alle ipotesi applicative che erano state ufficializzate dalle Entrate con la Circ. n. 24/E di quest’estate, il
sistema dovrebbe ora prevedere i seguenti passaggi:
–
–
per la selezione dei contribuenti da accertare entrano in gioco solo le spese certe presenti in Anagrafe tributaria, gli incrementi patrimoniali e la
quota risparmio dell’anno;
per la determinazione del reddito, oltre alle spese
certe e agli incrementi patrimoniali, si utilizzeranno anche le spese «per elementi certi» (ad esempio, costi per la manutenzione dell’auto) e il cd.
«fitto figurativo».
Chi scrive nutre serie perplessità in merito all’utilizzo
del dato statistico tarato sulle spese ISTAT differenziate per nucleo familiare anche in relazione alle «spese
per elementi certi». La considerazione di fondo è che
se il Garante si è espresso per l’inutilizzabilità dei dati
ISTAT in funzione della loro sostanziale inattendibilità, ne dovrebbe conseguire che tale inattendibilità
vale per tutto.
Quindi se non è ragionevole pretendere che in funzione del proprio lifestage e luogo di residenza un contribuente spenda cento o mille per alimentarsi o vestirsi
(queste spese, per quanto rientranti tra quelle per il
consumo di beni e servizi comuni, sono sicuramente
spese «certe») perché i dati ISTAT non sono attendibili, se ne dovrebbe dedurre che per lo stesso contribuente dovrebbero essere altrettanto di dubbia attendibilità i dati ISTAT relativi ai costi per la sostituzione
degli elettrodomestici o per le vettovaglie di casa (e
questi invece sono «spese per elementi certi»).
In pratica, quindi, il dato ISTAT dovrebbe uscire dal
redditometro a 360 gradi.
Per quanto riguarda invece gli aspetti procedurali, l’Agenzia delle entrate dovrà recepire le indicazioni del
Garante con la revisione delle procedure e dei software
applicativi attualmente in uso e con l’adeguamento
della modulistica ministeriale.
La sostanza, ad ogni buon conto, è che, come abbiamo
scritto in premessa, dopo il documento del Garante si
va a tutto vapore verso un accertamento che sarà di tipo puramente sintetico e come tale, quindi, basato solo su spese certe (e semmai poco altro).
Quindi verso un accertamento che sarà molto più analitico documentale che analitico induttivo. Meglio per
molti aspetti, peggio per altri. Ma se non altro molti motivi di discussione saranno (forse) rimossi alla radice.
Resta ora da vedere in che tempi l’Agenzia assesterà la
macchina in funzione delle indicazioni del Garante.
La fine del 2014, non distante, porterà in dote la prescrizione del 2009 che è il primo anno accertabile con
il nuovo sistema. L’operazione «nuovo redditometro»
muove ora su basi incerte (molti dati sbagliati o inaffidabili), con un decreto attuativo che qualcuno si deve
interrogare se tenere invariato, sostituire o modificare, la necessità di un maquillage procedurale e, soprattutto, del sistema applicativo.
Staremo a vedere, ma la sensazione è che i problemi
non si risolveranno in poco tempo.
n
(5) Vedasi paragrafo rubricato: «La legittimità del D.M. 24 dicembre 2012».
(6) Si veda quanto sopra nel paragrafo «L’informativa».
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Reddito d'impresa
DEDUCIBILI PER COMPETENZA
LE INDENNITÀ SUPPLETIVE
DI CLIENTELA
Con la Circ. n. 33/E dell’8
CAMBIAMENTO DEL
L’Agenzia delle entrate
novembre 2013, l’Agenzia
QUADRO NORMATIVO
(Circ. n. 33/E del 2013) ritorna
delle entrate mette ordine
I chiarimenti contenuti nel
su un tema che, in virtù dei
nell’intricato dedalo di ridocumento di prassi in esasvolti giurisprudenziali inmutamenti subiti dall’indirizzo
me prendono le mosse da un
generati dalle disposizioni
incontrovertibile dato di fatgiurisprudenziale, ha ingenerato
previste in materia di deduto di ordine giuridico. La sinon poche incertezze applicative,
zione delle quote accantonatuazione non è più la stessa
ossia la deducibilità, per la società
te per indennità di cessaziose si pone a raffronto la norne del rapporto di agenzia da
mativa civilistica applicabile
mandante, delle indennità
parte della società mandanda un lato sino al 31 dicemdi agenzia, con particolare
te.
bre 1992 e, da un altro, a parriferimento alle indennità
L’Agenzia precisa che per le
tire dal 1° gennaio 1993.
suppletive di clientela
controversie relative a fattiQuesto, come si è detto in
specie disciplinate dall’art.
premessa, per effetto delle
1751 c.c. nella formulazione
modifiche apportate all’art.
in vigore dal 1° gennaio 1993, in virtù del consolida1751 c.c. con il cit. D.Lgs. n. 303/1991, e siccome la
mento della posizione della Corte di Cassazione, è
normativa fiscale rinvia proprio alla normativa civilipossibile dedurre, per competenza, l’accantonamenstica, si tratta di un elemento che assume un rilievo
to per indennità di cessazione del rapporto di agenzia
centrale, sottolinea l’Amministrazione finanziaria
in tutte le sue componenti, senza che possa invocarsi
con il documento di prassi in esame, sino a condiziola carenza dei requisiti di certezza e determinabilità
nare, nel corso del tempo, lo stesso orientamento della
fissati dall’art. 109 del T.U.I.R.
giurisprudenza di legittimità.
Viene quindi modificata l’impostazione che era emerDifatti, sul piano fiscale la norma di riferimento è
sa con la Ris. n. 42/E del 6 luglio 2007, con particolare
l’art. 105, comma primo, del T.U.I.R., secondo cui la
riferimento alla componente relativa alle indennità
deduzione dal reddito d’impresa degli accantonasuppletive di clientela.
menti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai
Questo in quanto nell’attuale quadro normativo le
fondi di previdenza del personale dipendente è amcondizioni per la corresponsione dell’indennità di
messa nei limiti delle quote maturate in conformità
cessazione si riferiscono a tutta l’indennità di cessazioalle disposizioni legislative e contrattuali che regone del rapporto di agenzia, sicché l’aleatorietà in parolamentano il rapporto di lavoro; il comma quarto di
la determinerebbe l’indeducibilità, sic et simpliciter,
questo articolo include anche gli accantonamenti redell’intero accantonamento, ma questo è un effetto
lativi alle indennità di fine rapporto di cui all’art. 17,
che tende a porsi in aperto contrasto con quanto precomma 1, lett. d), in particolare, e dunque le indenvisto dall’art. 105 del T.U.I.R.
nità per la cessazione del rapporto di agenzia i quali
Diverse considerazioni valgono, avremo modo di vesono disciplinati in via esclusiva ed unitaria dall’art.
rificare, per i casi in cui risultava applicabile la discipli1751 c.c. Nella tavola che segue saranno quindi sintena in vigore fino al 31 dicembre 1992, ossia prima delle
tizzati i contenuti delle due disposizioni, applicabili,
modifiche apportate all’art. 1751 c.c. con l’art. 4 del
rispettivamente, fino al periodo d’imposta 1992, o a
D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303.
partire dall’annualità 2013.
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Fisco & Società
di Antonio Mastroberti
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Reddito d'impresa
Fisco & Società
ART. 1751 PRIMA E DOPO LE MODIFICHE APPORTATE CON IL D.LGS. N. 303/1991
Periodi d’imposta anteriori al 1° gennaio 1993
Periodi d’imposta successivi al 1° gennaio 1993
Art. 1751, come era prima:
- non sottoponeva l’erogazione dell’indennità di cessazione del
rapporto di agenzia a condizioni, ma rinviava alla contrattazione
collettiva per la determinazione della sua misura;
- la contrattazione collettiva distingueva, all’interno dell’unitaria
categoria della indennità di cessazione del rapporto di agenzia,
una particolare sottocategoria (indennità suppletiva di clientela)
la cui erogazione era sottoposta a specifica condizione (se il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa
mandante per fatto non imputabile all'agente o rappresentante).
Art. 1751, come è adesso:
- non presenta più alcun riferimento ad altre fonti, costituendo pertanto l’unica fonte normativa di riferimento;
- non ripropone la distinzione (prevista dalla contrattazione collettiva) tra indennità di risoluzione del rapporto, indennità suppletiva di clientela e indennità meritocratica), fornendo quindi una
nozione unitaria e compiuta dell’indennità di cessazione;
- fornisce una disciplina unitaria della indennità di cessazione del
rapporto di agenzia sottoponendola a determinate condizioni.
In particolare, per i periodi d’imposta anteriori al 1°
gennaio 1993:
–
–
il cit. art. 1751, comma 1 c.c., disponeva che all’atto dello scioglimento del contratto a tempo indeterminato, il proponente era tenuto a corrispondere all’agente un’indennità proporzionale all’ammontare delle provvigioni liquidategli nel
corso del contratto e nella misura stabilita dagli
accordi economici collettivi, dai contratti collettivi, dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo
equità;
l’accordo economico collettivo degli agenti di
commercio suddivide l’indennità di cessazione
del rapporto di agenzia in tre distinti emolumenti:
a) indennità di risoluzione del rapporto, che
spetta al termine del rapporto, anche senza
incremento di clientela o di fatturato, ed è
calcolata in base alle provvigioni maturate
fino alla cessazione del rapporto, risultando
accantonata anno per anno in apposito fondo;
b) indennità suppletiva di clientela, che è dovuta dalla ditta preponente solo a determinate
condizioni, ossia se il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa
mandante per fatto non imputabile all’agente
o rappresentante; tale indennità è calcolata
sull’ammontare globale delle provvigioni per
le quali era sorto il diritto al pagamento per
tutta la durata del rapporto in favore dell’agente o rappresentante, anche se le stesse
somme non sono state interamente corrisposte al momento della cessazione del rapporto;
c) indennità meritocratica, che è dovuta in ag-
16
giunta alle precedenti nel solo caso in cui l’importo complessivo di queste sia inferiore al valore massimo previsto dall’art. 1751, comma
3, c.c. e ricorrano le condizioni per cui l’agente, alla cessazione del rapporto, abbia procurato nuovi clienti o abbia sensibilmente sviluppato affari con i clienti esistenti dai quali il
preponente riceve ancora sostanziali vantaggi; la quantificazione è pari alla differenza tra
l’importo massimo previsto dall’art. 1751,
comma 3, c.c. e la somma delle indennità di
cui ai punti a) e b).
Invece, in relazione ai periodi d’imposta successivi al
1° gennaio 1993 l’art. 1751 c.c. disciplina in modo unitario l’indennità di fine rapporto spettante agli agenti
di commercio, senza rinviare alle previsioni del contratto collettivo di categoria. È previsto, infatti, che
all’atto della cessazione del rapporto, il preponente è
tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni:
–
–
l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari
con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora
sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali
clienti;
il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto
conto di tutte le circostanze del caso, in particolare
delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.
Tra le altre cose è previsto che l’indennità non è dovuta
quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua
gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, o quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circoConsulenza n. 43/2013
04) Mastroberti - Reddito d'impresa:04) Mastroberti - Reddito d'impresa 04/12/13 14.21 Pagina 17
stanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le
quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la
prosecuzione dell’attività, od infine quando, ai sensi di
un accordo con il preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto
d’agenzia.
È infine previsto che l’importo dell’indennità non può
superare una cifra equivalente ad un’indennità annua
calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se
il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media
del periodo in questione.
L’ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE
PER LE ANNUALITÀ FINO AL 1992
L’Amministrazione finanziaria segnala, con il documento di prassi in esame, che con l’assetto normativo
previgente alla modifica intervenuta nel corso del
1993 la Corte di Cassazione, dopo essersi pronunciata
per la deducibilità degli accantonamenti per indennità
suppletiva di clientela (1), aveva poi mutato orientamento, giungendo a sostenere l’indeducibilità dei predetti accantonamenti (2).
Con la Sent. 16 maggio 2003, n. 76903 (3), la Corte
ha rilevato che l’indennità suppletiva di clientela è
caratterizzata dalla mera eventualità dell’obbligo
del preponente alla sua corresponsione, condizionata alla ricorrenza della ipotesi che il contratto di
agenzia si sciolga ad iniziativa della casa mandante
per fatto non imputabile all’agente: e ciò, a differenza dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c. alla cui corresponsione il preponente è, in ogni caso, obbligato
per legge.
I giudici di piazza Cavour hanno quindi sostenuto che
l’indennità in questione – in quanto connotata, per la
disciplina collettiva che la regola, dall’incertezza dell’obbligo del preponente alla sua corresponsione – costituisce, in pendenza del rapporto di agenzia, un costo meramente eventuale sia nell’«an« che nel «quantum» e, come tale, non deducibile dal reddito d’impresa (zero accantonamenti fiscali), manifestando, invece, la qualità di componente negativo deducibile solo nell’esercizio in cui le somme in parola vengano
concretamente ad essere corrisposte dalla società
mandante.
Inoltre, nella Sent. n. 24973 del 24 novembre 2006
gli Ermellini hanno avuto modo di sostenere che la
diversa tesi, favorevole alla deducibilità dell’accantonamento relativo all’indennità suppletiva, si pone
in rotta di collisione con il contenuto dell’art. 70,
primo comma, del D.P.R. n. 917/1986 (ora art. 105,
comma 1 del T.U.I.R.), che consente la deducibilità
soltanto delle quote maturate nell’esercizio, ma
l’indennità in questione non matura affatto in costanza di rapporto; e quindi tale impostazione non
tiene conto che la natura aleatoria dell’erogazione
in questione esclude la possibilità di considerare come maturata nell’anno una qualche quota della
stessa.
In relazione a queste situazioni il quadro giurisprudenziale non può considerarsi mutato, e pertanto, osserva l’Amministrazione finanziaria, sono destinati a
rimanere fermi i chiarimenti resi con la Ris. n. 42/E del
6 luglio 2007, secondo cui, avremo modo di verificare,
gli accantonamenti relativi alle indennità suppletive di
clientela non si prestano ad essere dedotti per competenza.
L’ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE
PER LE ANNUALITÀ A PARTIRE DAL 1993
Come si è già anticipato, la Corte di Cassazione ha
avuto modo di esaminare la questione alla luce della
modifica normativa intervenuta a decorrere dal 1°
gennaio 1993.
Con le Sentt. 11 giugno 2009, nn. 13506, 13507,
13508, è stato evidenziato che le precedenti sentenze
contrarie alla deducibilità dell’accantonamento per
indennità suppletiva di clientela prendevano le mosse da un diverso presupposto normativo e di fatto, e
che quindi, tra le altre cose, non contrastavano con i
contenuti delle altre sentenze pregresse di segno opposto, poiché, sostanzialmente, una cosa è discutere
del trattamento delle indennità in esame in relazione a controversie riferite a periodi di imposta anteriori alla data di entrata in vigore della modifica normativa dell’art. 1751 c.c. (sino al 1992), ed altra cosa
è ragionare sulla normativa in vigore dal 1° gennaio
1993.
Perciò, i giudici hanno evidenziato che siccome l’art.
1751 c.c. contiene ormai l’intera disciplina dell’indennità di fine rapporto dell’agente di commercio, è venuta meno la distinzione fra indennità di scioglimento del contratto, obbligatoria perché di origine codici-
(1) Cfr. C. Cass., Sent. 9 giugno 2003, n. 9179 e Sent. 27 giugno 2003, n. 10221.
(2) Per una ricostruzione di alcune posizioni dottrinali a favore di questa impostazione ved. G. GAVELLI, «Deducibile per competenza l’indennità suppletiva di clientela», in Corriere Tributario n. 41/2003, pag. 3415 e segg.
(3) Ved. anche le Sentt. 18 novembre 2005 n. 24448, 24 novembre 2006, n. 24973 e 30 gennaio 2007, n. 1910.
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Fisco & Società
Reddito d'impresa
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Fisco & Società
Reddito d'impresa
stica, e indennità suppletiva di clientela (secondo la
tripartizione, desunta dalla contrattazione collettiva,
tra indennità di risoluzione del rapporto, indennità
suppletiva di clientela e indennità meritocratica), ingenerata dalla contrattazione collettiva e fruibile solo a
determinate condizioni (cfr. C. Cass., Sentt. n.
2126/2001 e n. 4586/1991); attualmente l’espressione
indennità per la cessazione di rapporti di agenzia ha
portata estesa, senza ulteriori distinzioni, alla materia
regolata dalla citata norma del Codice; né l’interprete
può escludere – anche se la norma sia di stretta e rigorosa interpretazione – ciò che il legislatore non ha inteso esplicitamente escludere, afferma la stessa Corte
di Cassazione.
Sulla base delle predette considerazioni i giudici hanno infine affermato che a fronte della chiara lettera
normativa, e della conseguita unitarietà del trattamento di fine rapporto dell’agente di commercio, l’esclusione della deducibilità dell’accantonamento,
fondata sul carattere aleatorio dell’indennità in parola, non convince: anche i fondi di previdenza del personale, cui si riferisce l’art. 70, comma 1, del D.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917 (ora art. 105 del T.U.I.R.) e, in
genere, tutti gli accantonamenti per rischi, contemplano spese di carattere aleatorio senza che, per questo, se ne possa desumere, contra legem, l’indeducibilità.
Tale orientamento, sottolinea l’Agenzia delle entrate
con la Circ. n. 33/E del 2013, è stato confermato con la
sentenza dell’11 aprile 2011, n. 8134, nella quale la
Corte di Cassazione ha ribadito che in tema di determinazione del reddito d’impresa il D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, art. 70 (attuale art. 105) trova applicazione anche all’indennità suppletiva di clientela, spettante agli agenti, dovendo quest’ultima ritenersi compresa tra le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia: detta locuzione va infatti riferita a tutta la materia
regolata dall’art. 1751 c.c., il quale contiene ormai l’intera disciplina dell’indennità di fine rapporto dell’agente di commercio, essendo venuta meno ogni distinzione fra indennità di scioglimento del contratto
(obbligatoria perché di origine codicistica) ed indennità suppletiva di clientela (derivante dalla contrattazione collettiva e fruibile solo a determinate condizioni), e non potendosi escludere la deducibilità dei relativi accantonamenti in virtù del carattere aleatorio
dell’indennità in parola.
È stato poi sottolineato, sempre nel documento di
prassi in esame, come nella più recente pronuncia del
4 aprile 2013, n. 8288, la Suprema Corte abbia rimarcato la complessiva evoluzione del proprio orientamento nel corso degli anni, che ha portato a ritenere,
partendo dal presupposto della «unificazione», da
parte dell’art. 1751 c.c., riformato, di tutte le inden-
18
nità di cessazione rapporto – e al di là del carattere
eventuale dell’indennità di clientela, questa soltanto
dovuta in caso di scioglimento del contratto a tempo
indeterminato ad iniziativa del preponente per fatto
non imputabile all’agente – che anche l’indennità
suppletiva di clientela rientra a pieno titolo nella previsione del D.P.R. n. 917 del 1986 (attuale art. 105
T.U.I.R.), con possibilità di dedurre le indennità inerenti la cessazione del rapporto d’agenzia nei limiti
delle quote maturate nell’esercizio (cfr. anche C.
Cass. n. 13506/2009).
Del pari, in queste sentenze la Suprema Corte ha
mantenuto con forza fermo il principio secondo cui
la deducibilità degli accantonamenti non può più essere negata in relazione al carattere aleatorio dell’indennità, e che, comunque, l’indeducibilità non potrebbe essere sorretta dall’insussistenza dei requisiti
di certezza e determinabilità fissati dall’art. 109
T.U.I.R.
Sono quindi stati fugati i dubbi posti sul punto dall’Avvocatura Generale dello Stato (parere del 2 ottobre 2013, n. 391527), basati sul connotato di eventualità che caratterizza la componente costituita dalla indennità suppletiva di clientela.
In definitiva, secondo la ricostruzione realizzata dai
giudici della Corte di Cassazione:
–
–
da un lato il principio enunciato nel richiamato
comma primo dell’art. 109 è destinato ad operare
in quanto le precedenti norme della presente sezione non dispongono diversamente (e invece
abbiamo il cit. art. 105, che peraltro è contenuto
nella stessa sezione, e disciplina specificamente
gli accantonamenti relativi alle indennità che
trovano causa nella fine del rapporto anche di
agenzia);
d’altro canto, per loro stessa natura gli accantonamenti (pur fiscalmente deducibili per competenza nei casi e nei limiti fissati dalla legge) in quanto
anticipano all’esercizio una quota di costo destinato a verificarsi in futuro hanno necessariamente alla loro base un elemento previsionale e probabilistico (e non già certo o oggettivamente determinabile nel suo ammontare) come si desume
anche dagli artt. 106 e 107 del T.U.I.R. e, in definitiva, pure dall’ultimo comma dell’art. 105 il quale
consente espressamente l’accantonamento per
indennità di fine rapporto di agenzia.
PRASSI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Sul punto l’Amministrazione finanziaria aveva modificato, nel corso del tempo, il proprio orientamento:
–
in un primo momento l’accantonamento per indennità di cessazione del rapporto di agenzia alla
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Reddito d'impresa
Con questa seconda impostazione si era cioè ritenuta
non ulteriormente sostenibile la tesi interpretativa secondo cui l’accantonamento ai fondi per indennità di
cessazione del rapporto di agenzia, valorizzato nelle
sue diverse componenti (indennità di risoluzione, indennità suppletiva e, se ne ricorrono i presupposti, indennità meritocratica) è fiscalmente deducibile nei limiti dell’importo massimo previsto dall’art. 1751, terzo comma, c.c.
Con la Circ. n. 33/E dell’8 novembre 2013 l’Agenzia
delle entrate chiarisce che alla luce dell’evoluzione del
quadro normativo, e preso atto dell’indirizzo della
Corte di Cassazione, le suddette indicazioni ostative
alla deducibilità dell’indennità suppletiva di clientela,
fornite con la Circ. 6 luglio 2007, n. 42/E, sono destinate a restare ferme esclusivamente per le controversie
riguardanti accantonamenti effettuati in periodi di
imposta anteriori alla data di entrata in vigore della
modifica normativa dell’art. 1751 c.c. (1° gennaio
1993).
In dottrina era peraltro stato segnalato, da Assonime,
con la Circ. n. 41 del 18 luglio 2007, che il cambiamento di indirizzo recato dalla cit. Circ. n. 42/E del 2007 rispetto alla posizione assunta con la Ris. 9 aprile 2004,
n. 59/E, e la conseguente riaffermazione dell’indeducibilità degli accantonamenti riguardasse, oltre che
l’indennità suppletiva di clientela, anche l’indennità
meritocratica, sebbene la Cassazione non avesse
espressamente fatto riferimento a questa indennità
nelle relative sentenze (5).
Infatti, i caratteri di incertezza e di assenza di maturazione sui quali la Corte basa la tesi della indeducibilità
degli accantonamenti per l’indennità suppletiva di
clientela risultano riproponibili, forse in misura ancor
più accentuata, per il caso dell’indennità meritocratica, la cui corresponsione è subordinata ad una serie di
condizioni non obiettivamente definibili in costanza
del rapporto.
Va sottolineato, al riguardo, che entrambi gli accantonamenti erano stati indicati nell’oggetto della cit. Circ.
n. 42/E del 2007.
LE INDICAZIONI PER IL CONTENZIOSO
Perciò, l’Amministrazione finanziaria ha sostenuto,
con la Circ. n. 33/E del 2013, che solo in relazione alle
vertenze in essere in relazione alla normativa vigente
fino all’annualità 1992 può ancora essere sostenuta la
linea interpretativa secondo cui l’indennità suppletiva di clientela – in quanto connotata, per la disciplina
collettiva che la regola, dall’incertezza dell’obbligo
del preponente alla sua corresponsione – costituisce,
in pendenza del rapporto di agenzia, un costo meramente eventuale sia nell’an che nel quantum e, come
tale, non deducibile, per competenza, dal reddito
d’impresa, il che vuol dire, del pari, che la deduzione
scatta in concreto solo nell’esercizio in cui la stessa
indennità venga concretamente ad essere corrisposta.
Diverso discorso vale, però, secondo la ricostruzione
in commento, per le controversie relative a fattispecie
disciplinate dall’art. 1751 c.c. nella formulazione in vigore dal 1° gennaio 1993, in considerazione della oramai consolidata posizione della Corte di Cassazione,
ampiamente descritta supra; in questo caso si rivela
corretta la tesi favorevole alla deducibilità, per competenza, dell’accantonamento per indennità di cessazione del rapporto di agenzia in tutte le sue componenti,
senza che possa invocarsi al contrario la carenza dei
requisiti di certezza e determinabilità fissati dall’art.
109 del T.U.I.R.
Con l’attuale quadro normativo, osserva l’Amministrazione finanziaria, le condizioni per la corresponsione dell’indennità di cessazione si riferiscono all’intera indennità di cessazione del rapporto di agenzia, e
già questo è un dato importante, perché ove si giungesse a sostenerne l’aleatorietà, dovrebbe eventualmente scattare l’indeducibilità per l’intero accantonamento, conclusione che però si porrebbe in aperto
conflitto con l’art. 105 del T.U.I.R.
(4) Cfr. cit. pronuncia 16 maggio 2003, n. 7690, e Sentt. 18 novembre 2005, n. 24443, 24 novembre 2006, n. 24973 e 30 gennaio 2007, n. 1910.
(5) Si esprime in questa direzione, tra gli altri, S. TRETTEL, «Deducibili per competenza gli accantonamenti per indennità suppletiva di clientela», in Corriere Tributario n. 34/2009, pag. 2755 e seg. (cfr. nota 4). Secondo questo autore il ragionamento portato avanti dalla
Cassazione, nella specie con la Sent. n. 13506 dell’11 giugno 2009, a favore della possibilità di attribuire rilevanza fiscale all’accantonamento per indennità suppletiva di clientela, deve ritenersi mutuabile anche in relazione «all’indennità meritocratica, pure essa dovuta
subordinatamente al verificarsi di talune condizioni riferite all’an ed al quantum».
Consulenza n. 43/2013
19
Fisco & Società
–
luce del cit. art. 1751 c.c., nella formulazione vigente a decorrere dal 1° gennaio 1993, era stato
considerato deducibile dal reddito d’impresa con
la Ris. 9 aprile 2004, n. 59/E;
in un secondo momento, in ragione dell’evoluzione e del consolidamento del già illustrato indirizzo
della Cassazione (4), con la Circ. 6 luglio 2007, n.
42/E, era stata sposata la tesi dell’indeducibilità,
per competenza, dal reddito d’impresa della casa
mandante, degli accantonamenti effettuati per indennità suppletiva di clientela.
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Reddito d'impresa
dennità meritocratica eventualmente corrisposta
all’agente in base alle statuizioni dei contratti collettivi di categoria.
In definitiva, con la Circ. n. 33/E del 2013 l’Agenzia
delle entrate invita le strutture territoriali a riesaminare le controversie pendenti concernenti la materia esaminata e ad abbandonare – con le modalità di rito, tenendo conto dello stato e del grado di giudizio – la pretesa tributaria qualora non conforme al trattamento
tributario nei termini sopra delineati, sempre che non
siano sostenibili altre questioni.
n
Fisco & Società
Pertanto, secondo la ricostruzione dell’Agenzia
delle entrate anche gli accantonamenti per l’indennità suppletiva di clientela, dovuta in applicazione
della norma recata dall’art. 1751 in vigore dal 1°
gennaio 1993, devono ritenersi deducibili dal reddito di impresa della società mandante, in quanto
detta indennità è compresa tra le indennità per la
cessazione di rapporti di agenzia, cui fa riferimento
l’art. 17, primo comma, lett. d), del T.U.I.R. È appena il caso si sottolineare, ad ogni buon conto, che
analoghi riflessi maturano anche in relazione all’in-
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IVA
LE NOVITÀ IN AMBITO IVA
DEL D.D.L. «SEMPLIFICAZIONI»
Il disegno di legge AS n.
958/2013 (cd. disegno di legge «semplificazioni»), attualmente in corso di esame
al Senato, prevede anche alcune novità in materia di
IVA, riguardanti:
–
–
–
–
–
la comunicazione dei
dati delle dichiarazioni
d’intento e il relativo regime sanzionatorio;
la comunicazione delle
operazioni con i Paesi
«black-list»;
l’iscrizione nell’archivio VIES ai fini dell’effettuazione di operazioni intracomunitarie;
l’esercizio della detrazione dell’IVA per le spese di
rappresentanza;
la separazione facoltativa delle attività in ambito
immobiliare.
COMUNICAZIONE DEI DATI
DELLE DICHIARAZIONI D’INTENTO
DA PARTE DELL’ESPORTATORE ABITUALE
L’art. 22, commi 1 e 2, del disegno di legge «semplificazioni» modifica l’obbligo di comunicazione dei dati
delle dichiarazioni d’intento, necessaria per effettuare
acquisti di beni e servizi senza applicazione dell’IVA,
prevedendo che tale adempimento non compete più al
fornitore, ma all’esportatore abituale, il quale – successivamente – trasmetterà al proprio fornitore la suddetta dichiarazione, unitamente alla ricevuta dell’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate.
Regime di non imponibilità IVA
delle operazioni nei confronti
degli esportatori abituali
In via preliminare all’esame delle novità in materia, si
ricorda che l’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 dispone che costituiscono cessioni
all’esportazione, non imponibili IVA, «le cessioni, anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricaConsulenza n. 43/2013
ti e dalle aree edificabili, e le
prestazioni di servizi rese a
soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione
od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche
tramite commissionari, o
importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta».
La norma prosegue prevedendo che la non imponibilità si applica alle operazioni
(cessioni di beni e prestazioni di servizi) poste in essere nei confronti dei soggetti
residenti in possesso dello status di esportatore abituale.
Ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. a), del D.L. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito dalla L. 27 febbraio 1984,
n. 17, si tratta di coloro che, nell’anno solare precedente, abbiano registrato un ammontare di corrispettivi
derivanti da operazioni con l’estero superiore al 10%
del volume d’affari (determinato a norma dell’art. 20
del D.P.R. n. 633/1972), ma senza tenere conto delle
cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale di cui all’art. 7-bis, comma 1,
del D.P.R. n. 633/1972 e delle operazioni di cui all’art.
21, comma 6-bis, del D.P.R. n. 633/1972, escluse da
IVA ai sensi degli artt. da 7 a 7-septies del D.P.R. n.
633/1972, ossia:
Il disegno di legge AS n. 958/2013
contiene una serie di misure
di semplificazione finalizzate
alla riduzione degli oneri
amministrativi e informativi
a carico di cittadini e imprese
ed utili per il rilancio dell’economia.
In questo contributo vengono
analizzate le novità allo studio
in materia di IVA
–
–
delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi,
diverse da quelle di cui all’art. 10, comma 1, n. 1),
4) e 9), del D.P.R. n. 633/1972, effettuate nei confronti di soggetti passivi debitori d’imposta in altri
Paesi UE;
delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi
effettuate fuori della UE.
In base, poi, all’art. 7, comma 1, lett. c), del D.L. n.
746/1983, l’intento di avvalersi del beneficio in esame,
ossia della non imponibilità IVA dell’operazione, deve risultare da un’apposita dichiarazione, da redigersi
21
Fisco & Società
di Marco Peirolo
05) Peirolo - IVA:05) Peirolo - IVA 04/12/13 14.20 Pagina 22
IVA
Fisco & Società
in conformità al modello approvato, da ultimo, dal
D.M. 6 dicembre 1986.
Tale dichiarazione, appositamente datata, numerata e
sottoscritta dall’esportatore abituale, deve indicare
anche i limiti, quantitativi o temporali, entro i quali il
fornitore è esonerato dall’addebito dell’IVA sulle operazioni poste in essere, in quanto la dichiarazione stessa, anziché anteriormente a ciascuna operazione, può
essere emessa con riguardo a più operazioni che saranno realizzate tra le stesse parti, individuate in relazione (1):
–
–
ad un predeterminato periodo temporale o fino a
revoca (che non può eccedere, comunque, oltre
l’anno);
ovvero ad un ammontare prefissato di operazioni.
A tale regola fanno, tuttavia, eccezione le importazioni
di beni da Paesi/territori extra-UE, imponibili a IVA
in Italia ai sensi dell’art. 67 del D.P.R. n. 633/1972, siccome il regime di non imponibilità presuppone che la
dichiarazione d’intento sia presentata in dogana prima dell’accettazione della bolletta doganale di ciascuna importazione (2).
L’acquisto e l’importazione di beni e servizi senza applicazione dell’IVA è ammesso nei limiti del cd.
«plafond», costituito dall’ammontare delle operazioni
con l’estero registrate nell’anno solare precedente
(plafond fisso o solare), ovvero nei 12 mesi precedenti
(plafond mobile o mensile), con esclusione dei fabbricati e delle aree fabbricabili e dei beni/servizi ad IVA
indetraibile ex artt. 19 ss. del D.P.R. n. 633/1972 (3).
Le operazioni che generano plafond e che concorrono
a formare lo status di esportatore abituale sono quelle
indicate nel rigo VE 30 (rubricato «Operazioni che
concorrono alla formazione del plafond»), mentre sono irrilevanti ai fini in esame quelle riepilogate nei righi VE31 (rubricato «Operazioni non imponibili a seguito di dichiarazione d’intento») e VE32 (rubricato
«Altre operazioni non imponibili»).
Comunicazione dei dati delle dichiarazioni
d’intento
In base all’art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. n. 746/1983,
il fornitore dell’esportatore abituale deve trasmettere
all’Agenzia delle entrate i dati contenuti nelle lettere
d’intento ricevute dalla controparte.
Il modello di comunicazione, approvato con provvedimento dell’Agenzia delle entrate 14 marzo 2005, deve essere inviato all’Agenzia delle entrate, esclusivamente per via telematica, direttamente o mediante gli
intermediari abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni, comprese le società del gruppo, di cui
all’art. 3, commi 2-bis e 3, del D.P.R. 22 luglio 1998, n.
322, entro il termine di effettuazione della prima liquidazione IVA periodica (mensile o trimestrale) nella
quale confluiscono le operazioni effettuate senza addebito dell’imposta.
Il suddetto termine, che implica una diversa scadenza
per i contribuenti a seconda della periodicità (mensile
o trimestrale) di liquidazione dell’IVA, costituisce il
termine ultimo per eseguire l’adempimento, nel senso
che, per il cedente/prestatore, è comunque possibile
comunicare i dati delle lettere d’intento anteriormente all’effettuazione delle operazioni detassate, per
esempio facendo riferimento al mese di ricevimento
della dichiarazione d’intento (4).
Per effetto dell’art. 2, comma 4, del D.L. 2 marzo 2012,
n. 16, convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, è venuto
meno l’obbligo di comunicare i dati delle dichiarazioni d’intento se il fornitore, dopo avere ricevuto le suddette, non ha effettuato alcuna operazione attiva senza
applicazione dell’IVA (5).
In tale ipotesi, non si applica, pertanto, più la sanzione
amministrativa, da 258,00 a 2.065,00 euro, prevista,
per l’omessa comunicazione, dall’art. 11, comma 1,
lett. a), del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Regime sanzionatorio
L’art. 7, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 471/1997 stabilisce
che, in caso di omessa comunicazione entro il termine
di effettuazione della prima liquidazione IVA periodica nella quale confluiscono le operazioni effettuate
senza addebito dell’imposta, ovvero in caso di comunicazione incompleta o inesatta, il fornitore:
–
–
è punito con la sanzione amministrativa dal 100 al
200% dell’imposta;
è responsabile in solido con l’esportatore abituale
(1) Cfr. C.M. 4 gennaio 1984, n. 3/406976 e R.M. 27 luglio 1985, n. 355235.
(2) Cfr. R.M. n. 355235/1985, cit., secondo la quale non può, infatti, definirsi «parte» l’ufficio doganale, così come, del resto, non è previsto, a
carico delle dogane, l’incombenza di registrare le dichiarazioni ricevute, diversamente da quanto richiesto nei confronti dei fornitori.
(3) Il divieto è esteso all’acquisizione di fabbricati in dipendenza di contratti di appalto aventi per oggetto la loro costruzione o di leasing. Se è
vero, infatti, che l’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972 esclude espressamente dal beneficio i soli acquirenti di fabbricati e di aree
fabbricabili, l’esclusione deve essere estesa anche a tali modalità di acquisizione dei fabbricati, in quanto l’effetto realizzato è equivalente
(C.M. 10 giugno 1998, n. 145/E, par. 7).
(4) Cfr. Ris. Agenzia delle entrate 1° agosto 2012, n. 82.
(5) Cfr. Circ. Agenzia delle entrate 26 settembre 2005, n. 41 (par. 5.2).
22
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IVA
La circolare dell’Agenzia delle entrate 16 marzo 2005,
n. 10 (par. 9.3 e 9.6) ha chiarito che:
–
–
la sanzione in esame deve essere commisurata all’imposta relativa alle operazioni effettuate senza
IVA, per cui la stessa non si applica qualora non
siano state effettuate operazioni senza addebito
d’imposta relative alla lettera d’intento non segnalata. Come anticipato, prima della novità introdotta dal D.L. n. 16/2012, l’omessa comunicazione all’Agenzia delle entrate dei dati contenuti nella
lettera d’intento ricevuta dall’esportatore abituale
integrava, comunque, una violazione formale, punita con la sanzione da 258,00 a 2.065,00 euro;
l’omessa, la tardiva o l’inesatta comunicazione
all’Agenzia delle entrate dei dati contenuti nella
lettera d’intento è punita con la sanzione dal 100 al
200% dell’imposta relativa alle operazioni effettuate senza IVA anche quando l’operazione effettuata senza IVA è regolare, nel senso che l’esportatore abituale ha lecitamente esercitato il diritto di
acquistare i beni/servizi avvalendosi del beneficio
in esame (es. acquisto di beni/servizi nel limite del
plafond disponibile).
Con la successiva Circ. n. 41/E/2005 (par. 5.4 e 5.5) è
stato ulteriormente precisato che:
–
–
il fornitore, in caso di omesso o infedele invio dei
dati delle dichiarazioni d’intenti, non è tenuto al
pagamento dell’imposta non addebitata, in quanto tale obbligo è previsto solo nell’ipotesi di effettuazione di operazioni senza IVA in mancanza
della dichiarazione d’intenti;
l’omessa o infedele comunicazione dei dati delle
dichiarazioni d’intento può essere regolarizzata
attraverso il ravvedimento operoso, di cui all’art.
13 del DLgs. 18 dicembre 1997, n. 472, inviando la
comunicazione (se omessa), ovvero inviandola
corretta (se errata), e pagando la sanzione ridotta
ad un decimo (un ottavo, dal 1° febbraio 2011) del
minimo entro il termine di un anno dall’omissione o dall’errore.
Riguardo, invece, alla responsabilità solidale con l’esportatore abituale dell’imposta evasa, se correlata al-
l’infedeltà della dichiarazione d’intento, la Circ. n.
10/E/2005 (par. 9.4 e 9.5) ha chiarito che:
–
–
per «imposta evasa», deve intendersi l’ammontare
dell’imposta relativa agli acquisti di beni e servizi
effettuati in sospensione d’imposta oltre il plafond
disponibile, per cui la responsabilità solidale del
fornitore non opera in caso di mancato splafonamento dell’esportatore abituale;
la responsabilità solidale in esame riguarda esclusivamente i fornitori (cedenti e prestatori) degli
esportatori abituali, per cui la stessa non può
estendersi agli intermediari abilitati, ai quali i fornitori abbiano eventualmente affidato la trasmissione telematica dei dati contenuti nelle dichiarazioni d’intento.
Secondo la Circ. Assonime 3 febbraio 2005, n. 3 (par.
2), la responsabilità solidale presuppone che l’evasione dell’imposta, correlata all’infedeltà della lettera
d’intento, sia imputabile al fornitore e non anche (o
non solo) quando «l’irregolarità trae origine dall’incompletezza o inesattezza della dichiarazione d’intento inviata dal soggetto acquirente o committente» (6).
Novità introdotte dal disegno di legge «semplificazioni»
L’art. 22, commi 1 e 2, del disegno di legge «semplificazioni» riformula l’art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. n.
746/1983, con effetto dalle dichiarazioni d’intento relative alle operazioni senza applicazione d’imposta da
effettuare a partire dal 1º gennaio 2014.
Viene stabilito, in particolare, che l’obbligo di comunicare i dati delle dichiarazioni d’intento non compete
più al fornitore, ma all’esportatore abituale. La dichiarazione d’intento, infatti, anziché «consegnata o spedita al fornitore o prestatore, ovvero presentata in dogana, prima dell’effettuazione della operazione», deve essere «trasmessa telematicamente all’Agenzia delle entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica. La dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione
rilasciata dall’Agenzia delle entrate, è consegnata al
fornitore o prestatore, ovvero in dogana». In caso di
consegna al cedente o prestatore, quest’ultimo «riepiloga nella dichiarazione IVA annuale i dati contenuti
nelle dichiarazioni d’intento ricevute».
Anche il regime sanzionatorio di cui all’art. 7, comma
(6) Tale conclusione si evince dalla considerazione che l’art. 1, comma 381, della L. 30 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005), nell’introdurre
l’obbligo di comunicazione dei dati delle dichiarazioni d’intento, non ha modificato né l’art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, in base al
quale la dichiarazione d’intento è rilasciata dall’esportatore abituale sotto la sua responsabilità, né l’art. 7, comma 3, del D.Lgs. n. 471/1997,
che prevede l’esclusiva responsabilità dell’esportatore abituale per l’omesso versamento dell’imposta a seguito del rilascio di una dichiarazione d’intento in assenza dei presupposti per l’acquisto senza IVA.
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dell’imposta evasa, se correlata all’infedeltà della
dichiarazione d’intento.
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4-bis, del D.Lgs. n. 471/1997 viene riordinato, prevedendo che il cedente o prestatore è punito con la sanzione dal 100 al 200% dell’IVA non esposta in fattura
se effettua le operazioni di cui all’art. 8, comma 1, lett.
c), del D.P.R. n. 633/1972 prima di aver ricevuto, da
parte del cessionario o committente, la dichiarazione
d’intento, corredata della ricevuta di presentazione all’Agenzia delle entrate.
COMUNICAZIONE DELLE OPERAZIONI
CON I PAESI «BLACK-LIST»
Riguardo all’adempimento previsto dall’art. 1, commi
1-3, del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito dalla L.
22 maggio 2010, n. 73, in base al quale i soggetti passivi
IVA devono comunicare, in via telematica, all’Agenzia delle entrate i dati relativi alle transazioni con operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in
Stati o territori cd. «black-list», le novità introdotte
dall’art. 22, comma 7, del disegno di legge «semplificazioni» si riferiscono:
–
–
da un lato, alla periodicità di presentazione delle
comunicazioni;
dall’altro, alla soglia monetaria al di sotto della
quale l’obbligo comunicativo è escluso.
Termini e periodicità di presentazione
delle comunicazioni
Le comunicazioni relative alle operazioni effettuate
nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio negli Stati o territori considerati
«paradisi fiscali» devono essere effettuate secondo
quanto già stabilito dagli artt. 2 e 3 del D.M. 30 marzo
2010, ossia:
–
–
–
mensilmente o trimestralmente (se l’ammontare
totale trimestrale di ciascuna categoria di operazioni non supera la soglia di 50.000,00 euro);
entro la fine del mese successivo al periodo (mese
o trimestre solare) di riferimento;
salvo il passaggio dalla periodicità trimestrale a
quella mensile, in caso di superamento della suddetta soglia di 50.000,00 euro.
Tali termini si applicano:
–
–
sia che si utilizzi il nuovo modello polivalente, a
decorrere dalle operazioni effettuate dal 1° ottobre
2013;
sia che, per le operazioni effettuate dal 1° ottobre
2013 al 31 dicembre 2013, si continui ad utilizzare il precedente modello, approvato con provvedimento dell’Agenzia delle entrate 28 maggio
2010.
Novità del disegno di legge «semplificazioni»
Per le operazioni poste in essere a partire dal 1° gennaio 2014, l’art. 22, comma 7, lett. a), del disegno di
legge «semplificazioni» prevede che la comunicazione
delle operazioni con i Paesi «black-list» avrà cadenza
fissa annuale, senza essere più collegata alle singole
operazioni.
Esclusione dell’obbligo per le operazioni
di importo non superiore a 500,00 euro
Al fine di semplificare l’adempimento in esame, l’art.
40, comma 1, del D.L. n. 40/2010, nel testo riformulato
dall’art. 2, comma 8, del D.L. n. 16/2012, esclude dall’obbligo di comunicazione le operazioni (attive e passive) di importo non superiore a 500,00 euro (7).
Novità del disegno di legge «semplificazioni»
Per le operazioni poste in essere a partire dal 1° gennaio 2014, l’art. 22, comma 7, lett. b), del disegno di
legge «semplificazioni» prevede che la soglia per l’esclusione dall’obbligo di comunicazione sarà innalzata a 1.000,00 euro.
ISCRIZIONE ALL’ARCHIVIO VIES
PER L’EFFETTUAZIONE DI OPERAZIONI
INTRACOMUNITARIE
L’art. 23, comma 1, lett. b), del disegno di legge «semplificazioni» modifica il regime di autorizzazione per
l’effettuazione di operazioni intracomunitarie introdotto dall’art. 27 del D.L 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, prevedendo:
–
–
da un lato, la riduzione da 30 a 15 giorni del periodo di tempo entro il quale non è possibile effettuare le suddette operazioni in attesa che si formi il cd.
«silenzio-assenso» da parte dell’Agenzia delle entrate;
dall’altro, che l’Agenzia delle entrate presume che
il soggetto passivo non intende più effettuare operazioni intracomunitarie qualora non abbia presentato alcun elenco riepilogativo per quattro trimestri consecutivi successivi alla data di inclusione nell’archivio VIES (VAT Exchange Information System).
(7) Secondo la Circ. Assonime 11 maggio 2012, n. 11, il limite di 500,00 euro deve essere computato per ogni singola operazione e non, quindi,
cumulando tutte le operazioni effettuate con lo stesso cliente o fornitore nel mese o trimestre di riferimento.
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Autorizzazione per l’effettuazione
di operazioni intracomunitarie
In attuazione dell’art. 35, comma 7-ter, del D.P.R. n.
633/1972, con provvedimenti dell’Agenzia delle entrate 29 dicembre 2010, nn. 188376 e 188381, sono state definite, rispettivamente:
–
–
le modalità di diniego o di revoca dell’autorizzazione necessaria per effettuare operazioni intracomunitarie;
i criteri e le modalità per l’inserimento degli operatori economici nell’archivio informatico dei
soggetti passivi che effettuano operazioni in ambito intracomunitario (banca dati VIES).
A decorrere, infatti, dal 31 maggio 2010, i soggetti che
intendono effettuare operazioni intracomunitarie devono rendere nota tale volontà:
–
–
in sede di dichiarazione di inizio attività, compilando il modello AA7/10, per i soggetti diversi dalle persone fisiche e il modello AA9/11, per le persone fisiche. Ai fini della manifestazione di volontà, nel campo «Operazioni intracomunitarie»
del quadro I dei suddetti modelli deve essere indicato il volume delle operazioni presunte;
ovvero, per i soggetti già titolari di partita IVA, attraverso un’apposita istanza da presentare all’Agenzia delle entrate direttamente, mediante raccomandata o tramite posta elettronica certificata
(PEC) (8).
Nel primo caso (soggetti che iniziano l’attività), le operazioni intracomunitarie possono essere effettuate decorsi 30 giorni dalla data di attribuzione del numero di
partita IVA, salvo che – entro tale termine – l’Agenzia
delle entrate abbia negato l’autorizzazione. Il provvedimento di diniego viene emesso in caso di esito negativo dei controlli sull’esattezza dei dati forniti e/o a seguito dell’analisi del rischio oggettivo e soggettivo
connesso al richiedente; in assenza del diniego, l’Amministrazione finanziaria, trascorsi 30 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione, include il soggetto passivo nell’archivio VIES.
Nel secondo caso (soggetti già titolari di partita IVA,
non iscritti nell’archivio VIES), entro 30 giorni dalla
ricezione della dichiarazione di volontà a porre in es-
sere operazioni intracomunitarie, l’Agenzia delle entrate verifica che i dati forniti siano completi ed esatti
ed effettua una valutazione preliminare degli stessi dati e del rischio; in caso di esito negativo, l’Agenzia, entro i suddetti 30 giorni, emana provvedimento di diniego, altrimenti include il soggetto passivo nell’archivio VIES.
Dal punto di vista oggettivo, l’art. 35, comma 2, lett. ebis), del D.P.R. n. 633/1972, nel disciplinare la manifestazione di volontà ad effettuare operazioni intracomunitarie, si riferisce espressamente alle operazioni
previste dal Titolo II, Capo II del D.L. 30 agosto 1993,
n. 331, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427.
Trattandosi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari di beni, individuati dagli artt. 41 e 38 del D.L. n.
331/1993, era sorto il dubbio se nella nuova disciplina
rientrassero anche le prestazioni di servizi «generiche» scambiate con soggetti passivi stabiliti in altri
Paesi membri (9); sul punto, è stato chiarito che il regime autorizzatorio si applica anche alle prestazioni di
servizi «generiche» territorialmente rilevanti ai fini
IVA nel Paese di stabilimento del committente, in
quanto le disposizioni comunitarie in materia non distinguono tra soggetti che effettuano forniture intracomunitarie di beni o prestazioni intracomunitarie di
servizi (10).
Soggettività passiva IVA nelle operazioni
intracomunitarie
Senza iscrizione nell’archivio VIES, la soggettività
passiva per l’effettuazione di operazioni intracomunitarie è sospesa.
La sospensione, pertanto, opera non solo nel periodo
di 30 giorni entro il quale l’Agenzia delle entrate può
eventualmente negare l’iscrizione, ma anche nell’ipotesi in cui l’autorizzazione sia negata o revocata e fino
a quando il contribuente ottenga l’iscrizione nell’archivio a seguito di annullamento in autotutela o in sede giudiziale del provvedimento di diniego o di revoca, ovvero a seguito di una nuova istanza, il cui esame
abbia portato a constatare il venire meno dei fattori di
rischio di finalità evasive o di frode.
Senza iscrizione, le operazioni intracomunitarie vanno trattate, ai fini IVA, alla stessa stregua delle operazioni interne e, quindi, assoggettate ad imposta nel
Paese di origine, anziché in quello di destinazione.
(8) Anche i soggetti non residenti possono manifestare l’intenzione di effettuare operazioni intracomunitarie, se identificati direttamente, ex
art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972, ovvero per mezzo della nomina di un rappresentante fiscale. In caso di identificazione diretta, l’intenzione
deve essere espressa attraverso un’apposita istanza, da presentare al Centro operativo di Pescara.
(9) Tali operazioni, infatti, risultano richiamate da alcune disposizioni contenute nel citato Titolo II, Capo II del D.L. n. 331/1993, come l’art.
50, comma 6, riguardante gli elenchi riepilogativi degli scambi intracomunitari sia di beni, sia di servizi.
(10) Cfr. Circ. Agenzia delle entrate 21 giugno 2011, n. 28 (par. 2.5) e Circ. Agenzia delle entrate 1° agosto 2011, n. 39 (par. 3).
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Di conseguenza:
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il cedente/prestatore italiano deve emettere fattura con IVA, in quanto – in caso contrario – si applica la sanzione dal 100 al 200% dell’imposta, con
un minimo di 516,00 euro, di cui all’art. 6, commi
1 e 4, del D.Lgs. n. 471/1997;
il cessionario italiano non deve effettuare la doppia registrazione della fattura intracomunitaria
o dell’autofattura, perché in tal caso l’IVA applicata deve essere comunque versata, mentre la
detrazione è illegittima e, se esercitata, è punita
con la sanzione di importo pari all’imposta detratta, di cui all’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n.
471/1997 (11).
Novità introdotte dal disegno
di legge «semplificazioni»
L’art. 23, comma 1, lett. b), del disegno di legge «semplificazioni», nel sostituire l’art. 35, comma 7-bis, del
D.P.R. n. 633/1972, dispone che, per i soggetti che
hanno espresso l’intenzione di effettuate operazioni
intracomunitarie, il termine entro il quale l’Agenzia
delle entrate può emettere provvedimento di diniego
dell’autorizzazione si riduce da 30 giorni a 15 giorni.
Con un’ulteriore modifica, il citato art. 23, comma 1,
lett. b), sostituisce anche l’art. 35, comma 15-quater,
del D.P.R. n. 633/1972, prevedendo che, ai sensi del
Reg. UE 7 ottobre 2010, n. 904/2010/UE, ai fini del
contrasto alle frodi sull’IVA intracomunitaria, con
provvedimento dell’Agenzia delle entrate saranno
stabiliti i criteri e le modalità di inclusione o di revoca
delle partite IVA nell’archivio VIES. In particolare, si
prevede che:
–
–
l’Agenzia delle entrate presume che un soggetto
passivo non intende più effettuare operazioni intracomunitarie qualora non abbia presentato alcun elenco riepilogativo per quattro trimestri
consecutivi, successivi alla data di inclusione nella
suddetta banca dati. A tal fine l’Agenzia delle entrate comunica agli stessi che provvederà alla revoca d’ufficio;
il soggetto passivo che rilevi eventuali elementi
non considerati o valutati erroneamente può fornire i chiarimenti necessari all’Agenzia delle en-
trate nei 30 giorni successivi al ricevimento della
comunicazione.
LIMITE MONETARIO PER LA DETRAZIONE
DELL’IVA SULLE SPESE DI RAPPRESENTANZA
L’art. 23, comma 1, lett. a), del disegno di legge «semplificazioni», modificando l’art. 19-bis1, comma 1,
lett. h), del D.P.R. n. 633/1972, eleva a 50,00 euro la soglia, attualmente fissata a 25,82 euro, entro la quale è
ammessa la detrazione dell’IVA relativa alle spese per
l’acquisto o l’importazione di beni da cedere gratuitamente.
Regime IVA delle cessioni gratuite di beni
non di propria produzione o commercio
L’art. 2, comma 2, n. 4), del D.P.R. n. 633/1972 considera «assimilate» alle cessioni di beni a titolo oneroso,
imponibili ai fini IVA, le cessioni gratuite di beni, fatta
eccezione per quelle aventi ad oggetto:
–
–
i beni la cui produzione o il cui commercio non
rientra nell’attività propria dell’impresa, se di costo unitario non superiore a 25,82 euro;
i beni per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’imposta ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. n.
633/1972.
Tale disposizione deve essere coordinata con l’art. 19bis1, comma 1, lett. h), del D.P.R. n. 633/1972, che vieta la detrazione per le spese di rappresentanza, come
definite ai fini delle imposte sui redditi (12). Di conseguenza, la nozione di spesa di rappresentanza recata
dal D.M. 19 novembre 2008, attuativo del secondo periodo del secondo comma dell’art. 108 del T.U.I.R., si
estende direttamente e automaticamente ai fini IVA,
con il risultato che:
–
–
gli acquisti di beni e servizi che vengono qualificati
come spese di rappresentanza non attribuiscono il
diritto alla detrazione dell’IVA, anche nell’ipotesi
in cui siano indeducibili dal reddito d’impresa (ad
esempio, in quanto viene superato il plafond di deducibilità);
per gli acquisti di beni e servizi che non vengono
qualificati come spese di rappresentanza, si applicano le regole generali secondo le quali l’IVA è
(11) Cfr. Ris. dell’Agenzia delle entrate 27 aprile 2012, n. 42, secondo la quale, in sede di cooperazione amministrativa e a seguito di richiesta da
parte dello Stato membro del fornitore, l’Agenzia delle entrate provvederà a segnalare l’operazione come irregolare, mentre l’Autorità fiscale di tale Stato membro potrà, eventualmente, decidere di recuperare l’IVA non assolta per effetto dell’errata qualificazione dell’operazione
come intracomunitaria.
(12) Cfr. artt. 108, comma 2, e 54, comma 5 del T.U.I.R., rispettivamente in tema di redditi d’impresa e di redditi di lavoro autonomo.
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ammessa in detrazione se detti acquisti sono inerenti, vale a dire se presentano un nesso con l’attività generatrice di operazioni imponibili ed equiparate.
L’indetraibilità oggettiva per le spese di rappresentanza risulta, però, derogata per i beni di costo unitario
non superiore a 25,82 euro.
In definitiva, per i beni ceduti gratuitamente, la detassazione opera sia «a valle», sia «a monte», purché si
tratti di beni:
–
–
la cui produzione o il cui commercio non rientra
nell’attività propria dell’impresa;
di costo unitario non superiore a 25,82 euro.
In base, infatti, alla C.M. 16 luglio 1998, n. 188/E, gli
acquisti di beni destinati ad essere ceduti gratuitamente, la cui produzione o il cui commercio non rientra
nell’attività propria dell’impresa, costituiscono sempre spese di rappresentanza, indipendentemente dal
costo unitario dei beni stessi; sicché, in base al combinato disposto degli artt. 2, comma 2, n. 4) e 19-bis1,
comma 1, lett. h), del D.P.R. n. 633/1972, per i beni
non rientranti nell’attività propria dell’impresa (non
essendo di propria produzione o commercio), la cessione gratuita è sempre esclusa da IVA, mentre l’imposta assolta «a monte» è detraibile solo se il costo (o
valore) unitario del bene non è superiore a 25,82 euro.
Illegittimità comunitaria della detrazione
IVA delle spese di rappresentanza
L’indetraibilità dell’IVA relativa alle spese di rappresentanza, fatta eccezione per quelle relative a beni di
costo unitario non superiore a 25,82 euro, è stata introdotta nella legislazione IVA nazionale, con effetto
dal 1° gennaio 1998, dall’art. 3 del D.Lgs. 2 settembre
1997, n. 313.
Il suddetto divieto di detrazione sembrerebbe allineato all’art. 17, par. 6, comma 1, della Direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE (cd. VI Direttiva CEE), trasfuso nell’art. 176, comma 1, della Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, in base al quale «il Consiglio,
deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, stabilisce le spese che non danno diritto a detrazione dell’IVA. In ogni caso, saranno escluse dal diritto
a detrazione le spese non aventi un carattere strettamente professionale, quali le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza».
Resta, tuttavia, il fatto che, ad oggi, il Consiglio europeo non ha individuato le spese rispetto alle quali è
preclusa la detrazione. Sul punto, infatti, la Corte di
Giustizia ha affermato che, «allo stato attuale del diritto comunitario, non esiste alcun atto del Consiglio che
escluda il diritto alla deduzione per le spese non aventi
carattere strettamente professionale, quali le spese per
fini di lusso, di svago o di rappresentanza» (13).
Se, quindi, l’indetraibilità oggettiva dell’IVA prevista dall’art. 19-bis1, comma 1, lett. h), del D.P.R. n.
633/1972 non trova riscontro nel diritto comunitario vigente, occorre tuttavia osservare che, in base
all’art. 17, par. 6, comma 2, della VI Direttiva CEE,
corrispondente all’art. 176, comma 2, della Direttiva
n. 2006/112/CE, dispone che, «fino all’entrata in vigore delle disposizioni di cui al primo comma, gli Stati
membri possono mantenere tutte le esclusioni previste dalla loro legislazione nazionale al 1° gennaio
1979 o, per gli Stati membri che hanno aderito alla
Comunità dopo tale data, alla data della loro adesione».
Ne consegue l’illegittimità del divieto di detrazione relativo alle spese di rappresentanza, in quanto l’indetraibilità oggettiva, come detto, è stata introdotta
nell’ordinamento interno soltanto a decorrere dal 1°
gennaio 1998, né – del resto – la stessa risulta giustificata dall’art. 17, par. 7, della VI Direttiva CEE, corrispondente all’art. 177, comma 1, della Direttiva n.
2006/112/CE, dal momento che, oltre a non essere stata preceduta dalla consultazione del Comitato IVA,
non ha carattere temporaneo (14); allo stesso modo,
l’indetraibilità in esame non costituisce una misura
derogatoria autorizzata ai sensi dell’art. 27 della VI Direttiva CEE, corrispondente dell’art. 395 della Direttiva n. 2006/112/CE.
Novità del disegno di legge «semplificazioni»
Come anticipato, l’art. 23, comma 1, lett. a), del disegno di legge «semplificazioni», modificando l’art. 19bis1, comma 1, lett. h), del D.P.R. n. 633/1972, eleva a
50,00 euro la soglia, attualmente fissata a 25,82 euro,
entro la quale è ammessa la detrazione dell’IVA relativa alle spese per l’acquisto o l’importazione di beni da
cedere gratuitamente.
Dato, tuttavia, che il limite previsto dall’art. 2, comma
2, n. 4), del D.P.R. n. 633/1972 resta fermo a 25,82 euro, ne discende che – in assenza di un corrispondente
aumento a 50,00 euro anche della soglia in esame – fer-
(13) Cfr. Sent. 21 aprile 2005, causa C-25/03, HE.
(14) La citata disposizione prevede che, «previa consultazione del comitato IVA, ogni Stato membro può, per motivi congiunturali, escludere totalmente o in parte dal regime delle detrazioni la totalità o parte dei beni di investimento o altri beni».
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ma restando la detrazione riconosciuta «a monte» per
i beni di costo unitario non superiore a 50,00 euro, verranno assoggettati a IVA, in sede di cessione gratuita,
quelli di costo unitario superiore a 25,82 ma non a
50,00 euro.
SEPARAZIONE DELLE ATTIVITÀ IN AMBITO
IMMOBILIARE
L’art. 23, comma 1, lett. c), del disegno di legge «semplificazioni», nel sostituire il penultimo periodo del
terzo comma dell’art. 36 del D.P.R. n. 633/1972, prevede che i settori separabili nell’ambito dell’attività di locazione o di cessione di immobili sono individuati
esclusivamente in base al regime IVA (di imponibilità
o di esenzione), a prescindere dalla tipologia di immobile (abitativo o strumentale).
Attività separabili in via facoltativa
L’art. 57 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla
L. 24 marzo 2012, n. 27, modificando la disciplina della separazione delle attività di cui all’art. 36 del D.P.R.
n. 633/1972, ha previsto la facoltà di optare per l’applicazione separata dell’IVA per i «soggetti che effettuano
sia locazioni o cessioni, esenti da imposta, di fabbricati
o porzioni di fabbricato a destinazione abitativa che
comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell’art. 19, comma 5, e dell’art. 19-bis, sia
locazione o cessioni di altri fabbricati o di altri immobili, con riferimento a ciascuno di tali settori di attività».
Questa possibilità era, in precedenza, prevista soltanto
per i soggetti passivi che realizzavano sia locazioni di
fabbricati abitativi esenti da imposta sia locazioni di
altri fabbricati imponibili ed era ammessa nonostante
si trattasse di un’unica attività.
È noto, infatti, che – in base alla regola di carattere generale di cui all’art. 36, comma 3, del D.P.R. n.
633/1972 – sono suscettibili di essere separate, ai fini
dell’applicazione dell’imposta, soltanto le attività sostanzialmente diverse fra loro, di regola individuate da
diversi codici della tabella ATECO (15).
La nuova formulazione dell’art. 36, comma 3, del
D.P.R. n. 633/1972, dopo avere confermato la possibilità di separare le locazioni di fabbricati abitativi esenti
dalle locazioni di altri fabbricati, estende, simmetricamente, tale facoltà anche in relazione alle cessioni di
fabbricati.
In linea generale, in caso di esercizio di attività sia di
locazione sia di cessione di immobili, è possibile applicare la regola di carattere generale di cui al terzo comma dell’art. 36, e, conseguentemente, separare tali attività, in quanto le stesse sono contraddistinte da due diversi codici di attività.
I sub-settori di attività ulteriormente separabili nell’ambito di ciascun settore sono costituiti, rispettivamente, dalle locazioni di fabbricati abitativi esenti e locazioni di altri fabbricati o immobili e dalle cessioni di
fabbricati abitativi esenti e cessioni di altri fabbricati o
immobili.
In sostanza, così come chiarito dalla Circ. Agenzia delle entrate 28 giugno 2013, n. 22 (par. 9), la formulazione letterale della norma presuppone un criterio di separazione basato non solo sul regime IVA (esenzione
o imponibilità) applicato all’operazione, ma anche
sulla categoria catastale del fabbricato (abitativo, ovvero diverso dall’abitativo).
I sub-settori di attività delle cessioni di altri fabbricati
e delle locazioni di altri fabbricati saranno costituiti,
pertanto, non solo da operazioni imponibili ma, altresì, da operazioni esenti (ad esempio, rispettivamente,
cessioni e locazioni di fabbricati strumentali in regime
di esenzione).
Novità del disegno di legge «semplificazioni»
L’art. 23, comma 1, lett. c), del disegno di legge «semplificazioni», modificando l’art. 36, comma 3, del
D.P.R. n. 633/1972, dispone che «le disposizioni del
presente comma si applicano anche ai soggetti che effettuano sia locazioni o cessioni di immobili esenti da imposta, che comportano la riduzione della percentuale di
detrazione a norma dell’art. 19, comma 5, e dell’art. 19bis, sia locazioni o cessioni di immobili imponibili».
Ne consegue che i settori separabili all’interno delle attività di locazione o di cessione di immobili dipendono esclusivamente dal regime applicabile (di imponibilità o di esenzione), a prescindere dalla tipologia di
immobile (abitativo o non abitativo).
n
(15) Cfr. Riss. Agenzia delle entrate 20 agosto 2010, n. 87 e 28 marzo 2008, n. 112, rispettivamente in tema di prestazioni di ricovero/cura e prestazioni sanitarie rese ambulatorialmente e di cessioni di immobili abitativi e strumentali. Una diversa conclusione, ossia la separazione facoltativa delle attività anche nell’ambito dello stesso codice ATECO, discenderebbe, invece, da altre interpretazioni dell’Amministrazione
finanziaria, in base alle quali l’applicazione separata dell’IVA presuppone che le attività siano “effettivamente” distinte ed obiettivamente autonome, ancorché svolte nell’ambito della stessa impresa» (cfr. Ris. Agenzia delle entrate 5 maggio 2008, n. 184 e R.M. 22 luglio 1998, n. 83/E).
Le attività separabili, in altri termini, devono essere sostanzialmente diverse fra loro (Ris. Agenzia delle entrate 18 novembre 2003, n. 211).
28
Consulenza n. 43/2013
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Contenzioso tributario
LE PROCEDURE PER EVITARE
IL CONTENZIOSO: CONCILIAZIONE
GIUDIZIALE E MEDIAZIONE
D.Lgs. 31 dicembre 1992, n.
Le vertenze tra contribuenti
In ambito fiscale, tra gli istituti
546, è una procedura che si
e Amministrazione finanvolti alla chiusura agevolata
pone tra l’ambito amminiziaria sono la diretta consee consensuale delle liti
strativo (ufficio) e quello
guenza delle attività di congiurisdizionale (commissiotrollo e accertamento, quanne esistono alcuni che
ne tributaria provinciale).
do i contribuenti intendono
intervengono quando
La conciliazione giudiziale
controargomentare e resile possibilità di definizione
può essere applicata:
stere alle pretese manifestate
sono già esaurite in ambito
dagli uffici.
– a tutte le controversie triLa possibilità di opporsi a
amministrativo, cioè all’esordio
butarie, comprese quelle
un’attività autoritativa codella fase giudiziale, quando
che possono dar luogo alme quella del fisco è espresla restituzione di tributi;
i
contribuenti
si
predispongono
sione del più generale diritto
–
con riferimento a tutti gli
a impugnare l’atto impositivo
di difesa, che deve essere gaatti compresi nell’elenco
rantito a tutti i cittadini in
di cui all’art. 19, D.Lgs. n.
sede giurisdizionale ma può
546/1992;
essere anticipato, per così dire, anche nella fase ammi– non oltre la prima udienza della CTP nella quale
nistrativa del contraddittorio con l’ufficio.
sia fissata la trattazione del merito della controInoltre, l’Amministrazione stessa può avere interesse
versia (con la possibilità, da parte del presidente
(alla luce dei principi di diritto amministrativo che cadella sezione, di fissare un termine non superiore a
ratterizzano il suo funzionamento) alla definizione ra60 giorni per la formulazione di una proposta).
pida e certa di controversie potenzialmente generatrici di incertezze e oneri.
L’introduzione del reclamo/mediazione, come verrà
In ambito fiscale, tra gli istituti volti alla chiusura agechiarito più avanti, esclude la possibilità di ricorrere
volata e consensuale delle liti ne esistono alcuni che inalla conciliazione giudiziale per le controversie di vatervengono quando le possibilità di definizione sono
lore non superiore a 20.000 euro, relative a tutti gli atti
già esaurite in ambito amministrativo, cioè all’esordio
impugnabili emessi dall’Agenzia delle entrate e notifidella fase giudiziale, quando i contribuenti si predicati a partire dal 1° aprile 2012.
spongono a impugnare l’atto impositivo.
In particolare, si esaminano nel presente contributo
Il procedimento di conciliazione
le procedure di mediazione obbligatoria, riservata alLa conciliazione giudiziale può essere realizzata sia «in
le liti di minor ammontare innescate da atti dell’Audienza» che «fuori udienza».
genzia delle entrate, e di conciliazione giudiziale, che
Nel primo caso, possono verificarsi le seguenti ipotesi:
consentono ai contribuenti di ottenere una rideter1) il contribuente oppure l’ufficio tributario, con una
minazione delle maggiori imposte richieste nell’atto
domanda di discussione in pubblica udienza deimpositivo e una riduzione fissa delle sanzioni tribupositata presso la segreteria della CTP e notificata
tarie.
alla controparte entro i 10 giorni precedenti la
trattazione, chiede di conciliare in tutto o in parte
LA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE
La conciliazione giudiziale, incardinata nell’art. 48 del
la controversia;
Consulenza n. 43/2013
29
Fisco & Società
di Fabio Carrirolo
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Contenzioso tributario
Fisco & Società
2) l’ufficio, dopo la data di fissazione dell’udienza di
trattazione e prima che questa si sia svolta, deposita
una proposta scritta già concordata con il ricorrente;
3) il giudice tributario, con intervento autonomo, invita le parti a conciliare la controversia.
Se l’accordo viene raggiunto, è redatto un verbale, in
udienza, contenente i termini della conciliazione e la
liquidazione delle somme dovute.
La conciliazione fuori udienza viene invece formalmente avviata dopo che è intervenuto l’accordo tra
l’ufficio e il contribuente sulle condizioni alle quali si
può chiudere la controversia.
In questa ipotesi, lo stesso ufficio tributario, prima
della fissazione della data di trattazione, provvede a
depositare presso la segreteria della CTP una proposta
di conciliazione con l’indicazione dei contenuti dell’accordo. Se l’accordo viene confermato, il Presidente
della commissione dichiara con decreto l’estinzione
del giudizio.
Il perfezionamento della conciliazione
Il versamento delle somme dovute per la conciliazione
delle controversie tributarie deve essere effettuato:
–
–
con modello F24 per le imposte sui redditi, per l’IRAP, per le imposte sostitutive e per l’IVA;
con modello F23 per le altre imposte indirette.
Nei modelli di pagamento devono essere indicati gli
appositi codici tributo reperibili sul sito Internet
dell’Agenzia delle entrate, nonché il codice atto relativo all’istituto conciliativo a cui si è aderito.
Per le imposte sui redditi, l’IRAP, le imposte sostitutive e l’IVA i contribuenti possono effettuare, mediante
il modello F24, la compensazione di tutte le somme
dovute per effetto della conciliazione giudiziale con i
crediti di imposta spettanti al contribuente.
Non è possibile compensare, invece, le imposte dovute
per effetto della conciliazione giudiziale che vengono
versate con il modello F23.
Il pagamento può essere eseguito:
–
–
in unica soluzione, entro 20 giorni dalla data del
verbale (conciliazione in udienza) o della comunicazione del decreto del presidente della CTP (conciliazione fuori udienza);
in forma rateale, in un massimo di 8 rate trimestrali di uguale importo, o in un massimo di 12 rate
trimestrali, se le somme dovute superano 50.000
euro.
La prima delle rate deve essere versata entro il termine
di 20 giorni dalla data del processo verbale o della comunicazione del decreto presidenziale.
Gli interessi sulle rate sono calcolati dal giorno succes-
30
sivo a quello del processo verbale di conciliazione o a
quello di comunicazione del decreto di estinzione del
giudizio, e fino alla scadenza di ciascuna rata.
Il contribuente deve consegnare all’ufficio una copia
dell’attestazione del versamento.
Il mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della
rata successiva comporta l’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione prevista dall’art.
13 del D.Lgs. n. 471/1997, applicata in misura doppia
(60%), sul residuo importo dovuto a titolo di tributo.
Il D.L. 8 aprile 2013, n. 35, convertito dalla L. 6 giugno
2013, n. 64 (relativo al pagamento dei debiti scaduti
della P.A.) ha introdotto la possibilità per il contribuente di utilizzare i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati al 31 dicembre 2012 nei confronti dello Stato, degli enti pubblici nazionali, delle
Regioni, degli enti locali e degli enti del SSN, per somministrazioni, forniture e appalti, per compensare le
somme dovute a seguito di accertamento con adesione, adesione all’invito al contraddittorio o al processo
verbale di constatazione, acquiescenza, definizione
agevolata delle sanzioni, conciliazione giudiziale e
mediazione. Per dare concretezza a tale possibilità occorre però un decreto ministeriale attuativo del quale
si attende l’emanazione.
A cosa conduce la conciliazione?
La motivazione dell’accordo conciliativo, formatosi
sia in udienza che fuori udienza, parte da quella dell’atto impositivo che ne costituisce il presupposto, ma
ne deve fare una sorta di rilettura critica, che possa giustificare, per l’Amministrazione finanziaria, la revisione della propria pretesa originaria.
La conciliazione giudiziale si presenta come il risultato di una discrezionalità che non incide sulla determinazione dell’imposta, ma piuttosto sulla disponibilità
dell’Amministrazione a rinunciare a una parte delle
proprie pretese in sede giudiziale, in base alla considerazione di un maggior vantaggio per le ragioni erariali
rispetto a quello che verrebbe conseguito perseverando nella lite.
L’atto principale (in genere, avviso di accertamento o
di rettifica) non viene insomma toccato: esso è efficace, perfetto, esecutivo.
Ma ciò a cui la parte pubblica eventualmente rinuncia
non è neanche il proprio credito nei confronti del contribuente, il quale – in assenza di accordo – rimarrebbe
sub iudice, tutto da determinare in sede giurisdizionale.
Si rinuncia invece al sostenimento delle ragioni erariali – o, meglio, di una loro parte – in presenza, alternativamente o congiuntamente:
–
di carenze nella motivazione dell’atto impositivo;
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–
di vizi procedimentali;
di vizi di merito (inerenti, ad esempio, alla scarsa
opportunità di procedere in situazioni di «incapienza» del debitore).
Da quanto appare, la conciliazione – come pure, in parte, l’accertamento con adesione – può insomma rappresentare una valida e onorevole alternativa al ritiro o alla
revoca dell’atto viziato nella legittimità o nel merito, e
dunque, per l’Amministrazione, produttivo più di oneri che di vantaggi (anche alla luce della sempre più generalizzata tendenza delle commissioni tributarie alla
condanna della parte soccombente alle spese di lite).
E ciò, in considerazione del generale principio di buon
andamento dell’attività amministrativa e ai principi di
efficacia ed economicità che da esso promanano e che
sono stati trasfusi nell’art. 1, primo comma, della legge
n. 241/1990.
L’effetto positivo della procedura di conciliazione giudiziale è riconducibile, oltre che alla rideterminazione
della pretesa tributaria, alla riduzione delle sanzioni
applicate nella misura del 40% del minimo edittale.
LA MEDIAZIONE TRIBUTARIA
L’art. 39, nono comma, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 –
convertito dalla L. 15 luglio 2011, n. 111 – ha inserito
nel D.Lgs. n. 546/1992 il nuovo art. 17-bis, in forza del
quale è stato introdotto l’istituto della mediazione tributaria obbligatoria.
Questo si pone come uno strumento deflattivo del
contenzioso tributario finalizzato a prevenire ed evitare le controversie che possono essere risolte senza ricorrere al giudice, tenendo conto degli orientamenti
della giurisprudenza e quindi dell’esito ragionevolmente prevedibile del giudizio.
Come la conciliazione giudiziale, anche la mediazione
tributaria consente agli uffici di compiere una serie di
valutazioni in sede di contraddittorio, orientate sulla
sostenibilità della lite e su ragioni di economicità dell’azione amministrativa.
A ogni modo, per le liti al di sotto di una determinata
soglia di ammontare il previo ricorso alla mediazione
tributaria è stato configurato come obbligatorio per
effetto dell’art. 39, nono comma, del menzionato D.L.
n. 98/2011, che ha inserito l’art. 17-bis nel D.Lgs. n.
546/1992.
In dettaglio, la disposizione normativa di riferimento
stabilisce che per tali atti deve essere obbligatoriamente presentato un reclamo preliminarmente al ricorso,
e che per essi è esclusa la conciliazione giudiziale.
Il reclamo può contenere una motivata proposta di
mediazione, con la rideterminazione dell’ammontare
della pretesa, e la sua presentazione è condizione di legittimità del successivo ed eventuale ricorso.
In ragione dell’intercorsa fusione tra l’Agenzia delle
entrate e la preesistente Agenzia del territorio, rientrano tra gli atti per i quali è obbligatorio presentare
istanza di mediazione anche gli atti emessi a partire dal
1° dicembre 2012 dagli uffici provinciali - Territorio
dell’Agenzia.
La mediazione può riguardare le controversie relative
ai seguenti atti:
–
–
–
–
–
–
–
Possono essere oggetto di mediazione anche le controversie relative al silenzio-rifiuto alla restituzione di
tributi, sanzioni, interessi o altri accessori (art. 21, secondo comma, del D.Lgs. n. 546 del 1992).
L’istanza di mediazione è improponibile in caso di impugnazione:
–
–
–
–
–
–
–
Le controversie oggetto di mediazione
La mediazione tributaria può essere applicata solo per
le controversie di valore non superiore a 20.000 euro,
relative a tutti gli atti impugnabili, individuati dall’art.
19 del D.Lgs. n. 546/1992, emessi esclusivamente
dall’Agenzia delle entrate e notificati a partire dal 1°
aprile 2012.
Consulenza n. 43/2013
avvisi di accertamento;
avvisi di liquidazione;
provvedimenti di irrogazione di sanzioni;
ruoli;
rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori
non dovuti;
diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
ogni altro atto emanato dall’Agenzia delle entrate,
per il quale la legge preveda l’autonoma impugnabilità innanzi alle commissioni tributarie.
–
–
di valore superiore a ventimila euro;
di valore indeterminabile;
riguardanti attività dell’agente della riscossione
(ADR);
riguardanti atti non impugnabili;
di atti in cui non è legittimata passivamente l’Agenzia delle entrate;
di atti notificati prima del 1° aprile 2012;
di rifiuti taciti di rimborso con riferimento ai quali
alla data del 1° aprile 2012 (30 novembre 2012 per
le istanze presentate agli uffici dell’ex Agenzia del
territorio) siano già decorsi 90 giorni dalla presentazione della domanda di rimborso;
di atti riguardanti recupero di aiuti di Stato;
di provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 21 (sanzioni accessorie) del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.
472;
31
Fisco & Società
Contenzioso tributario
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Contenzioso tributario
–
Fisco & Società
–
di atti riguardanti istanze di cui all’art. 22 (ipoteca
e sequestro conservativo) del D.Lgs. n. 472/1997;
del diniego della chiusura delle liti fiscali «minori»
prevista dall’art. 39, dodicesimo comma, del D.L.
n. 98/2011.
Il valore della controversia deve essere determinato
con riferimento a ciascun atto impugnato ed è dato
dall’importo del tributo contestato dal contribuente
con l’impugnazione, al netto degli interessi, delle
eventuali sanzioni e di ogni altro eventuale accessorio.
In caso di impugnazione di atti di irrogazione delle
sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
Come avviene la mediazione
L’atto contenente sia il ricorso che l’istanza di mediazione deve essere notificato alla direzione regionale o
provinciale dell’Agenzia delle entrate, ovvero al centro operativo, oppure all’ufficio provinciale - Territorio che ha emanato l’atto, con le modalità ed entro il
termine previsti per il ricorso (in generale, 60 giorni
dalla notificazione dell’atto al contribuente).
Il termine temporale si interrompe dal 1° agosto al 15
settembre per effetto della sospensione feriale.
Inoltre, se con riferimento allo stesso atto è anche presentata istanza di accertamento con adesione, il termine rimane sospeso per un periodo di 90 giorni dalla
data di presentazione da parte del contribuente dell’istanza di accertamento con adesione.
All’istanza devono essere allegati in copia i documenti
che il contribuente intende depositare al momento
dell’eventuale costituzione in giudizio.
L’istanza di mediazione si fonda sugli stessi motivi del
ricorso e può contenere una motivata e documentata
proposta, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa.
Con riferimento alle controversie definibili mediante
questo strumento, quindi, l’articolata motivazione che
può ordinariamente trovare spazio nella conciliazione
giudiziale, ovvero, se il contribuente non intraprende
la strada del contenzioso, nel contraddittorio finalizzato all’adesione, viene a esistenza nella proposta, portatrice sia di una rideterminazione quantitativa, sia delle
relative giustificazioni fattuali e giuridiche.
L’istanza di mediazione non è soggetta all’imposta di
bollo, e il contributo unificato è dovuto solamente nel
momento in cui il contribuente dovesse eventualmente depositare il ricorso presso la segreteria della CTP, in
caso di esito negativo del procedimento di mediazione.
La mancata presentazione dell’istanza
determina l’inammissibilità del ricorso
alla CTP
L’istanza di mediazione deve essere presentata, se sus-
32
sistono le condizioni di obbligatorietà, anche qualora
sia stata precedentemente presentata istanza di accertamento con adesione.
In questa ipotesi, è conseguente pensare che gli elementi e i riscontri forniti dai contribuenti in seno al
contraddittorio con l’ufficio tributario verranno trasfusi nell’istanza come allegati della stessa, ed eventualmente (auspicabilmente) incrementati con ulteriori prove e considerazioni, in grado di sostenere meglio le tesi e le ricostruzioni prospettate.
È chiaro altresì che questi strumenti deflattivi – adesione e mediazione, ma anche la conciliazione giudiziale ove possibile – non verranno concretamente perfezionati dai contribuenti i quali ritengano che la pretesa dell’ufficio debba essere archiviata o annullata
senza alcuna rideterminazione.
In questa ipotesi, è ragionevole piuttosto aspettarsi il
ricorso dapprima all’autotutela (tramite specifica
istanza all’ufficio), e quindi alla lite in sede giudiziale,
sicché la proposizione di istanza di mediazione si pone
solamente come un passaggio incidentale del percorso
che dovrebbe condurre (secondo il contribuente) alla
piena vittoria con annullamento dell’atto.
L’istruttoria relativa al procedimento di mediazione è
attribuita a strutture diverse e autonome rispetto a
quelle che curano l’istruttoria degli atti impugnabili.
Si tratta in particolare:
–
–
–
degli uffici legali istituiti presso ciascuna direzione regionale o provinciale dell’Agenzia delle entrate;
del centro operativo di Pescara dell’Agenzia delle
entrate;
per gli uffici provinciali - Territorio dell’Agenzia,
da apposite strutture di staff, alle dirette dipendenze del direttore.
L’ufficio competente può accogliere, anche parzialmente, o rigettare l’istanza, ovvero può formulare una
proposta di mediazione.
Può essere instaurato un eventuale contraddittorio
con il contribuente in base all’incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e
al principio di economicità dell’azione amministrativa.
Come si perfeziona la mediazione
Anche se non avviene alcuna riduzione della pretesa
dell’ufficio e quindi il contribuente si adegua in toto riconoscendo la debenza della maggiore imposta contestatagli, la mediazione comporta il beneficio dell’automatica riduzione delle sanzioni amministrative al
40%.
L’accordo di mediazione si conclude con la sottoscrizione da parte dell’ufficio e del contribuente e si perfeConsulenza n. 43/2013
06) Carrirolo - Contenzioso tributario:06) Carrirolo - Contenzioso tributario 04/12/13 14.20 Pagina 33
ziona con il versamento entro 20 giorni dell’intero importo dovuto ovvero della prima rata, in caso di pagamento rateale in un massimo di otto rate trimestrali di
pari importo.
Il pagamento deve essere effettuato anche tramite
compensazione con il modello F24.
In caso di mancato versamento delle rate successive alla prima, l’atto di mediazione costituisce titolo per la
riscossione coattiva.
Come anche per la conciliazione giudiziale, il pagamento delle some previste per il perfezionamento della mediazione potrà avvenire tramite compensazione
secondo il D.L. n. 35/2013. Allo stato, manca tuttavia
ancora il decreto attuativo.
Il ricorso alla CTP
Trascorsi 90 giorni, ai quali non si applica la sospensione feriale dei termini, dal ricevimento dell’istanza
da parte della direzione regionale o provinciale o del
centro operativo o dell’ufficio provinciale - Territorio
dell’Agenzia, senza che sia stata conclusa la mediazione ovvero che sia intervenuto l’accoglimento, anche
parziale, o il diniego dell’istanza, inizia a decorrere il
Consulenza n. 43/2013
termine di 30 giorni per l’eventuale costituzione in
giudizio del contribuente, a cui invece si applica la sospensione feriale dei termini.
La costituzione avviene con il deposito presso la commissione tributaria provinciale del ricorso con l’istanza, con le stesse modalità previste per il ricorso non
preceduto da mediazione tributaria obbligatoria.
Se il contribuente riceve il diniego o l’accoglimento
parziale entro il novantesimo giorno, il termine per
l’eventuale costituzione in giudizio decorre dalla data
di ricevimento.
In caso di esito negativo del procedimento di mediazione, nell’eventuale successivo giudizio tributario la
parte soccombente è condannata a pagare, in aggiunta
alle spese di giudizio, una somma pari al 50% delle spese di giudizio, a titolo di rimborso delle spese del procedimento di mediazione.
Al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, la CTP
può compensare parzialmente o per intero le spese tra
le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente
indicati nella motivazione, che abbiano indotto la
parte soccombente a rifiutare la proposta di mediazione.
n
33
Fisco & Società
Contenzioso tributario
07) Fiaccola - Antiriciclaggio:07) Fiaccola - Antiriciclaggio 04/12/13 14.20 Pagina 34
Antiriciclaggio
DISCIPLINA ANTIRICICLAGGIO:
LE INNOVAZIONI IN ARRIVO
DALL’EUROPA
Fisco & Società
di Luigi Fiaccola
Preliminarmente osserviamo che il tema della valutazione del rischio è tenuto in
alta considerazione a livello
comunitario.
LA VALUTAZIONE
DEL RISCHIO
La Direttiva valorizza l’utilizzo del cosiddetto «risk based approach».
Al tal fine indica i seguenti
principi generali:
–
–
–
La disciplina antiriciclaggio
subirà, a breve, rilevanti
modifiche, in relazione
all’emananda IV direttiva
europea destinata ad adeguare
le disposizioni attualmente
vigenti nei singoli Stati membri.
In tale ambito, il Consiglio
Nazionale dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti
Contabili ha emanato la circolare
n. 35/IR, che analizza le future
innovazioni in tema
di adempimenti antiriciclaggio
gli Stati membri devono
individuare, comprendere e mitigare i rispettivi rischi di riciclaggio e
finanziamento del terrorismo (in sigla FDT);
i soggetti obbligati devono essere in grado di individuare, comprendere e mitigare i propri rischi,
nonché documentare e aggiornare le valutazioni
del rischio effettuate, in maniera tale che le autorità competenti degli Stati membri possano riesaminarle e comprenderne le motivazioni;
le autorità di vigilanza devono avere il potere di
utilizzare le proprie risorse per concentrarsi sulle
aree esposte a maggior rischio di riciclaggio.
Attualmente l’art. 20 del Decreto antiriciclaggio
(D.Lgs. n. 231/2007) fissa una serie di criteri generali
per la valutazione del rischio, riferiti al cliente e all’operazione senza tuttavia prevedere specifiche procedure.
La Direttiva si sofferma proprio sulla valutazione del
rischio, richiedendo agli Stati membri di provvedere
affinché gli organi preposti dispongano di vere e proprie procedure per la gestione efficace del rischio di riciclaggio.
Con il preciso scopo di graduare le misure antiriciclaggio ai vari livelli, in relazione al grado di rischio va-
34
lutato, si auspica che tale
obiettivo possa essere raggiunto, alternativamente:
– attraverso l’individuazione a livello sovranazionale, con l’ausilio degli Stati
membri, dei reali rischi di
riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
– rimettendo a ciascuno
Stato membro la definizione dell’analisi del rischio, da valutare successivamente a livello UE.
Conformemente a quanto
già disciplinato, nella ridefinizione del sistema preventivo dei reati di riciclaggio e
di finanziamento del terrorismo, il legislatore nazionale non dovrà omettere di considerare la profonda
diversità dei soggetti destinatari degli obblighi.
In buona sostanza, gli Stati membri dovranno tener
conto delle caratteristiche e delle necessità dei piccoli
soggetti obbligati, assicurando loro un trattamento
adeguato alle esigenze specifiche e alla natura delle attività svolte.
Con riferimento agli adempimenti degli studi professionali, si esorta il legislatore nazionale ad impostare
in modo più corretto l’approccio basato sul rischio, tenendo conto delle peculiarità delle professioni rispetto agli altri soggetti obbligati.
Nel caso dei professionisti, la valutazione delle procedure antiriciclaggio da porre in essere non può prescindere da una attenta considerazione delle differenze – che sussistono, in termini di struttura organizzativa, rispetto ad esempio alle banche – e dell’equilibrio
dei costi/benefici.
Ciò impone una conseguente semplificazione degli
obblighi, nel rispetto dei principi generali comunitari
Consulenza n. 43/2013
07) Fiaccola - Antiriciclaggio:07) Fiaccola - Antiriciclaggio 04/12/13 14.20 Pagina 35
di necessità e proporzionalità. Peraltro, il principio di
proporzionalità delle misure antiriciclaggio è già previsto dal 4° comma dell’art. 3 del Decreto antiriciclaggio, laddove si è stabilito che le misure da adottare devono essere rapportate alle diverse caratteristiche di
ciascuna professione, nonché ai parametri dimensionali dei soggetti tenuti all’adempimento.
Tale principio viene recepito anche dall’art. 8 della Direttiva, che impone agli Stati membri di provvedere
«affinché gli enti obbligati adottino opportune misure
– proporzionate alla natura e alle dimensioni dell’ente
obbligato – volte a individuare e valutare i rispettivi rischi di riciclaggio/FDT, tenendo conto di fattori di rischio quali clienti, Paesi o aree geografiche, prodotti,
servizi, operazioni o canali di distribuzione.
Tali valutazioni devono essere documentate e aggiornate al fine di poter essere messe a disposizione delle
autorità competenti e degli organi di autoregolamentazione».
Il citato art. 8 prescrive, altresì, che gli Stati membri
dovranno provvedere affinché gli enti obbligati dispongano di procedure per la gestione efficace del rischio di riciclaggio/FDT, anch’esse commisurate alla
natura e alle dimensioni delle varie categorie di soggetti.
Quindi il legislatore nazionale dovrà modificare il dettato normativo vigente, poiché l’art. 20 del Decreto
antiriciclaggio non impone l’adozione di vere e proprie procedure per la valutazione del rischio, ma si limita a indicare una serie di criteri generali connessi al
cliente quali: natura giuridica, prevalente attività svolta, comportamento tenuto al momento dell’instaurazione della prestazione professionale, area geografica
di residenza o sede del cliente o della controparte e alla
prestazione professionale, tipologia, modalità di svolgimento, ammontare, frequenza e durata, ragionevolezza in rapporto all’attività svolta dal cliente, area
geografica di destinazione.
Attenzione però, perché il predetto art. 20 ha previsto
l’inversione dell’onere della prova; infatti, i soggetti
obbligati devono essere in grado di dimostrare alle autorità competenti o all’ordine professionale che le misure adottate sono adeguate all’entità del rischio di riciclaggio/FDT.
GLI OBBLIGHI DI VERIFICA SEMPLIFICATI
E RAFFORZATI
In tema di adeguata verifica della clientela, la Direttiva
ribadisce che occorre effettuare la verifica dell’identità
del cliente e del titolare effettivo prima che si instauri il
rapporto o che sia svolta la transazione.
In deroga, tale verifica potrà essere effettuata anche
nel corso del rapporto o in fase di svolgimento della
transazione, ove ciò sia necessario per non comproConsulenza n. 43/2013
metterne il normale svolgimento e sempre che il rischio di riciclaggio/FDT sia minimo; in tali fattispecie,
le procedure di verifica dovranno essere portate a termine quanto prima possibile dall’inizio del rapporto
con il cliente.
In tale ambito, la Direttiva invita gli Stati membri ad
operare delle revisioni finalizzate ad inasprire l’adeguata verifica semplificata, da un lato subordinando
alla valutazione del rischio ogni decisione in merito a
casi e modalità di applicazione dell’obbligo e, dall’altro, fissando i requisiti minimi dei fattori da prendere
in considerazione.
Conseguentemente l’art. 13 della Direttiva prevede
che gli Stati membri, laddove individuino settori a
basso rischio, possono consentire ai soggetti obbligati
l’applicazione di misure semplificate di adeguata verifica della clientela.
Tuttavia, prima di applicare gli obblighi semplificati, i
soggetti interessati devono verificare che il rapporto
con il cliente o l’operazione presentino un basso grado
di rischio.
Gli Stati membri dovranno, altresì, provvedere affinché i soggetti obbligati esercitino sull’operazione o sul
rapporto «un controllo sufficiente a consentire la rilevazione di operazioni anomale o sospette».
Operativamente, l’allegato II della Direttiva contiene
un elenco non tassativo di fattori sintomatici di «situazioni potenzialmente a basso rischio» di cui gli Stati
membri e i soggetti obbligati devono tenere conto.
Per quel che concerne la clientela sono da considerare
«a basso rischio»:
–
–
–
le società quotate;
le amministrazioni o imprese pubbliche;
i clienti residenti in aree geografiche a loro volta
considerate a basso rischio tra cui vi rientrano, ad
esempio, gli Stati membri dell’UE e i Paesi terzi
dotati di efficaci sistemi contro il riciclaggio/FDT.
La Direttiva, comunque, prevede l’emanazione, entro due anni dalla sua entrata in vigore, di orientamenti indirizzati alle autorità competenti e ai soggetti obbligati, in merito ai fattori di rischio da prendere
in considerazione e alle misure da adottare nelle situazioni in cui è opportuna l’applicazione di obblighi
semplificati di adeguata verifica, tenendo in particolare considerazione la natura e le dimensioni dell’attività svolta.
Sul punto, anche il nostro Ministero dell’economia e
delle finanze (MEF) ha evidenziato come l’emananda
Direttiva incida notevolmente sugli obblighi di adeguata verifica della clientela, considerando necessario
un accrescimento della chiarezza e della trasparenza
delle relative norme, al fine di disporre di controlli e
procedure adeguate che consentano una migliore co-
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Fisco & Società
Antiriciclaggio
07) Fiaccola - Antiriciclaggio:07) Fiaccola - Antiriciclaggio 04/12/13 14.20 Pagina 36
Fisco & Società
Antiriciclaggio
noscenza del cliente e una maggiore comprensione
della natura delle attività svolte da quest’ultimo.
Nel nuovo sistema disegnato dalla Direttiva, l’adeguata verifica semplificata non si tradurrà mai in una
esenzione totale dall’obbligo, motivata dalla valutazione di un livello di rischio molto basso.
Per tali fattispecie, il legislatore nazionale dovrà fornire indicazioni specifiche sul tipo di procedura da applicare a ciascun operatore, essendo il soggetto destinatario degli obblighi tenuto a valutare se il rischio di
riciclaggio sia effettivamente basso.
Per quel che concerne le misure rafforzate di adeguata
verifica, l’art. 3 della Direttiva contiene una nuova e
più dettagliata definizione di «persona politicamente
esposta» (PEP).
Nel merito, la novità più interessante è senz’altro costituita dalla parificazione delle PEP nazionali a quelle
straniere; infatti la Direttiva estende le disposizioni in
materia di PEP anche ai cittadini residenti in ciascuno
degli Stati che applicano la disciplina; pertanto, oltre
alle persone fisiche cittadine di altri Stati comunitari o
di Stati extracomunitari, potranno essere ritenute politicamente esposte anche quelle domestiche.
Nei confronti di tali persone occorrerà procedere attraverso strumenti quali la cosiddetta «due diligence» e
il monitoraggio delle attività svolte. In dettaglio, vengono disciplinati gli obblighi nei confronti delle PEP
straniere e di quelle nazionali.
Per le PEP straniere, l’art. 18 della Direttiva prevede la
predisposizione di adeguate procedure basate sul rischio per determinare se il cliente o il suo titolare effettivo rientrino in tale categoria, l’ottenimento dell’autorizzazione da parte dei dirigenti preposti prima di
instaurare o proseguire il rapporto, l’adozione di misure adeguate per stabilire l’origine del patrimonio e
dei fondi impiegati.
Nei casi di rapporti a rischio con PEP nazionali, l’art.
19 impone l’applicazione delle misure rafforzate previste dall’art. 18, previa opportuna verifica riguardo
all’appartenenza del cliente o del suo titolare effettivo
a tale categoria.
L’allegato III alla Direttiva contiene, nel merito, un
elenco dei fattori sintomatici di «situazioni potenzialmente ad alto rischio» di cui gli Stati membri e i soggetti obbligati devono tenere conto.
In relazione alla clientela sono tali, ad esempio, i rapporti d’affari condotti in circostanze anomale, le società con azioni fiduciarie o al portatore, le attività economiche connotate da alta intensità di contante, gli assetti proprietari anomali; invece, in relazione all’area
geografica, sono considerati ad alto rischio i Paesi ad
elevato livello di corruzione, quelli che finanziano o
sostengono attività terroristiche, oppure quelli privi di
efficaci sistemi di prevenzione del riciclaggio/FDT.
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Anche per tale situazione è prevista l’emanazione, entro un biennio dall’entrata in vigore della Direttiva, di
orientamenti riguardanti i fattori di rischio da prendere in considerazione e le misure da adottare qualora sia
richiesta l’applicazione di obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela.
IDENTIFICAZIONE DEL TITOLARE EFFETTIVO
Per quel che concerne la definizione di titolare effettivo l’art. 3 della Direttiva ribadisce essenzialmente i
contenuti della normativa vigente.
Il titolare effettivo è «la persona o le persone fisiche
che, in ultima istanza, possiedono o controllano il
cliente e/o la persona fisica per conto della quale è realizzata un’operazione o un’attività».
Per le società, vengono riaffermati i criteri vigenti;
operativamente si applica il criterio quantitativo, in
virtù del quale, il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le persone fisiche che possiedono o controllano, direttamente o indirettamente, una percentuale di partecipazione o di diritti di voto pari al 25%
più uno del capitale sociale, anche per mezzo di azioni
al portatore, purché non si tratti di una società quotata
e sottoposta a obblighi di comunicazione, in conformità alla normativa dell’Unione europea o a standard
internazionali equivalenti.
Nei casi dubbi, il titolare effettivo si identificherà nella
persona fisica o nelle persone fisiche che esercitano, in
altri modi, il controllo sulla gestione della società.
Rimangono confermati anche i criteri per l’individuazione del titolare effettivo in caso di soggetti giuridici
come le fondazioni e di istituti giuridici, come i trust,
che amministrano e distribuiscono fondi; in tali fattispecie, il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le persone fisiche che esercitano il controllo sul
25% o più del patrimonio dell’ente o dell’istituto giuridico.
Qualora i futuri beneficiari sono già stati determinati,
il titolare effettivo coincide con i soggetti che beneficiano del 25% più uno del patrimonio dell’ente o dell’istituto giuridico.
Nei casi in cui i beneficiari non sono stati ancora determinati, il titolare effettivo coincide con la categoria di
persone nel cui interesse è istituita o agisce l’ente o l’istituto giuridico.
Nel merito, la Direttiva specifica che il riscontro di una
percentuale di partecipazione azionaria, ancorché
non corrisponda automaticamente all’identificazione
del titolare effettivo, costituisce un elemento di fatto
da tenere in considerazione.
In ogni caso l’identificazione e la verifica dell’identità
del titolare effettivo devono essere estese, se necessario, agli enti giuridici che controllano altri soggetti
giuridici, «risalendo la catena dei controlli fino ad arriConsulenza n. 43/2013
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Antiriciclaggio
LA CONSERVAZIONE DEI DATI
L’art. 39 della Direttiva non detta, sostanzialmente,
nuove regole in tema di conservazione di documenti e
informazioni.
Al riguardo, i soggetti obbligati hanno un mero obbligo di conservazione dei documenti e delle informazioni, anche per facilitare l’attività di accertamento e indagine da parte dell’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) o di altra autorità competente.
L’obbligo di conservazione riguarda:
1) le copie o i riferimenti dei documenti richiesti per
l’adeguata verifica, per cinque anni dalla fine del
rapporto d’affari con il cliente;
2) le scritture e le registrazioni inerenti ai rapporti
d’affari e alle operazioni, consistenti nei documenti originali o in copie autentiche, per cinque
anni dall’esecuzione delle operazioni o, se la scadenza è precedente, dalla cessazione del rapporto
d’affari.
In entrambi i casi, decorsi i cinque anni, i dati personali possono essere cancellati a meno che i singoli Stati
membri non individuino specifiche situazioni in cui i
soggetti obbligati continuino a conservarli.
Il termine di conservazione quinquennale può essere
innalzato dai singoli Stati membri solo se lo si ritenga
necessario a fini di prevenzione, accertamento o indagine su riciclaggio/FDT.
Comunque il termine massimo di conservazione non
può superare i dieci anni dall’esecuzione delle operaConsulenza n. 43/2013
zioni o, se la scadenza è precedente, dalla cessazione
del rapporto d’affari.
L’INCLUSIONE DEI REATI FISCALI
A nostro avviso, l’innovazione più importante, prevista dalla Direttiva, è costituita dall’inclusione dei reati
fiscali tra quelli presupposto del reato di riciclaggio.
Quindi, i reati fiscali connessi alle imposte dirette e indirette rientrano nella definizione generale di «attività
criminosa».
Con tale espressione, il legislatore europeo intende il
coinvolgimento criminale nella perpetrazione di alcuni
reati gravi, tra cui quelli fiscali relativi a imposte dirette
e indirette, punibili con una pena privativa della libertà
o con una misura di sicurezza privativa della libertà di
durata massima superiore ad un anno ovvero, per gli
ordinamenti degli Stati membri che prevedono una soglia minima per i reati, punibili con una pena privativa
della libertà, di durata minima superiore a sei mesi.
La scelta del legislatore europeo, in altri termini, è stata
quella di inserire i reati fiscali nella categoria dei reati
gravi, con riferimento alla misura della pena, al fine di
definire in modo omogeneo a livello UE il perimetro
delle attività criminose, costituenti presupposto del
reato di riciclaggio.
Ciò risulterà senz’altro utile per l’individuazione di
una definizione di «reato fiscale» comune a tutti gli
Stati membri, che valga ai soli fini della disciplina di
prevenzione del riciclaggio e che sia connessa esclusivamente alla natura del reato, indipendentemente
dalla normativa penale-tributaria di cui ciascun Paese
è dotato e dalla sanzione che ciascun Paese ritiene di
dover applicare,.
LA SEGNALAZIONE DELLE OPERAZIONI
SOSPETTE
Anche per le segnalazioni sospette, la Direttiva conferma la vigente disciplina. Ferma restando la necessità di
segnalare l’operazione sospetta di riciclaggio/FDT
all’UIF di ciascuno Stato membro, viene confermata la
possibilità di designare specifici organi di autoregolamentazione delle professioni come autorità cui trasmettere le segnalazioni in luogo dell’UIF.
Sul punto, viene confermato che i predetti organismi
di autoregolamentazione, nel porsi come veicolo della
segnalazione, non devono fungere da filtro della medesima, poiché essi non avranno il potere di intervenire nella valutazione del contenuto della segnalazione.
Per quanto concerne le segnalazioni di operazioni sospette da parte dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, riteniamo opportuno ricordare che allo
stato attuale esse possono essere trasmesse esclusivamente all’UIF secondo le modalità descritte nel provvedimento emanato da Banca d’Italia il 4 maggio 2011.
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Fisco & Società
vare alla persona fisica che esercita la proprietà o il
controllo della persona giuridica cliente».
La Direttiva prescrive, pertanto, alle persone giuridiche di acquisire e mantenere informazioni adeguate,
accurate e aggiornate sui propri titolari effettivi, da
rendere disponibili alle autorità competenti. In buona
sostanza, la Direttiva ritiene necessario costruire un
sistema di informazioni legali sulla proprietà formale
di una società, incentrate sui registri pubblici; quindi
gli Stati membri dovranno garantire l’accesso a tali
informazioni da parte delle autorità competenti e degli enti obbligati.
Obblighi similari dovranno essere posti dagli Stati
membri in capo ai fiduciari di trust espressi, che dovranno ottenere e mantenere informazioni adeguate,
accurate e aggiornate sulla titolarità effettiva del trust.
Tali informazioni comprendono l’identità del fondatore, del fiduciario o dei fiduciari, dei beneficiari e delle altre persone che esercitano il controllo effettivo sul
trust. Anche in questo caso gli Stati membri dovranno
garantire l’accesso a tali informazioni da parte delle
autorità competenti e degli enti obbligati.
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Antiriciclaggio
Peraltro con il D.M. del 4 maggio 2012, il MEF ha disposto che il CNDCEC possa ricevere le segnalazioni
dai propri iscritti e trasmetterle alla UIF. Tuttavia, l’operatività di tale disposizione è subordinata alla stipula di un protocollo d’intesa CNDCEC-UIF, recante le
necessarie specifiche tecniche.
Il legislatore europeo ha ribadito, altresì, l’opportunità
di assicurare ai soggetti obbligati un riscontro sull’utilità e sull’eventuale seguito delle segnalazioni effettuate, suggerendo a tal fine agli Stati membri di continuare a tenere statistiche in materia, migliorandole se possibile.
In tale ambito, la nostra normativa è per cosi dire in
sintonia, poiché nel nostro sistema, i principali dati relativi all’attività di prevenzione del riciclaggio/FDT
sono pubblicati periodicamente dall’UIF, in conformità a quanto disposto dall’art. 6 del Decreto antiriciclaggio.
GLI ASPETTI SANZIONATORI
La Direttiva indica una gamma di sanzioni che gli Stati
membri devono prevedere per la violazione sistematica dei principali obblighi imposti ai soggetti destinatari delle disposizioni in materia di adeguata verifica
della clientela, conservazione dei documenti, segnalazione di operazioni sospette e controlli interni.
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Al sistema sanzionatorio è dedicata grande attenzione
nel 41° Considerando della Direttiva, laddove si prende atto dell’estrema eterogeneità delle misure e delle
sanzioni amministrative imposte dagli Stati membri
per la violazione degli obblighi antiriciclaggio, suscettibile di rivelarsi fortemente lesiva degli sforzi compiuti per contrastare il riciclaggio/FDT, rendendo
frammentaria la risposta a livello europeo.
È stata fornita, conseguentemente, una vasta gamma
di misure e sanzioni amministrative, tale da consentire agli Stati membri e alle autorità competenti di tenere conto delle differenze tra i diversi soggetti tenuti al
rispetto degli obblighi antiriciclaggio, in termini di dimensioni, caratteristiche e settori di attività.
Gli Stati membri, pertanto, dovranno garantire un sistema sanzionatorio conforme alle prescrizioni della
Direttiva, verificando in particolare che le sanzioni penali previste dal diritto nazionale non violino il principio del «ne bis in idem», evitando una duplice sanzione
per la stessa violazione.
Le sanzioni amministrative e penali nel nostro ordinamento, in conformità ai principi europei, dovranno
essere effettive, proporzionali e dissuasive. Il recepimento della Direttiva ben potrà, quindi, rappresentare un’occasione per la revisione complessiva del nostro attuale sistema sanzionatorio.
n
Consulenza n. 43/2013
08) Grimaldi - Giurisprudenza Fisco:08) Grimaldi - Giurisprudenza Fisco 04/12/13 14.20 Pagina 39
Giurisprudenza tributaria
PANORAMA DI GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
a cura di Carmelo Grimaldi Su Consulenza on-line alla categoria Giurisprudenza Tributaria sono disponibili tutte le sentenze
ACCERTAMENTO
Parametri - Studi di settore - Contraddittorio - Necessità - Motivazione - Contenuto - Art. 39, D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600
La procedura di accertamento tributario standardizzato
mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di
settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la
cui gravità, precisione e concordanza non è «ex lege» determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli «standards» in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di
mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che
giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli «standards» o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in
esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento
non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve
essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in
concreto dello «standard» prescelto e con le ragioni per le
quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal
contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non
condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo
il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli «standards» al caso concreto, da dimostrarsi
dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal
contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a
presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando
inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di
questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli «standards«, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il
rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.
Cass. civ., Sez. V, 28-08-2013, n. 19710
Consulenza n. 43/2013
Strumenti statistici - Parametri - Art. 3, L. 28 dicembre 1995, n. 549 - Contraddittorio - Necessità - Effetti
Nell’accertamento mediante l’applicazione dei parametri, assume rilievo primario il contraddittorio con il
contribuente, dal quale possono emergere elementi
idonei a commisurare alla concreta realtà economica
dell’impresa la «presunzione» indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri e pertanto la motivazione dell’atto di accertamento non può
esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento dai
parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in
sede di contraddittorio.
Cass. civ., Sez. V, 28-08-2013, n. 19767
Procedimento - Questionario - Omesso invio - Effetti - Artt. 32 e 38, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
Il mancato invio del questionario contemplato dall’art.
32, D.P.R. n. 600 del 1973 non inficia la perfezione e la
validità del procedimento di rettifica che restano subordinate alla sola carenza dei presupposti dettati dall’art. 38 del medesimo decreto.
Cass. civ., Sez. V, 04-09-2013, n. 20256
Controlli e verifiche - Accertamento induttivo - Documentazione - Onere probatorio - Su contribuente - Art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 e art. 54 del D.P.R. n.
633/1972
È pienamente legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di documentazione acquisita durante
una verifica fiscale nei confronti di un contribuente. Si è
di fronte infatti ad una presunzione semplice dotata dei
caratteri della gravità e della precisione, implicante l’inversione dell’onere probatorio, che spetta al contribuente, di dimostrare l’infondatezza della pretesa fiscale.
Cass. civ., Sez.VI, 05-09-2013, n. 20437
Accertamento anticipato - Valido - Se imminenza
decadenza - Art. 12, comma 7 della legge n. 212/2000
L’accertamento «anticipato», ovvero l’accertamento
emesso senza il rispetto dei sessanta giorni dalla forma-
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Fisco & Società
pubblicate nel 2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e nel 2012.
08) Grimaldi - Giurisprudenza Fisco:08) Grimaldi - Giurisprudenza Fisco 04/12/13 14.20 Pagina 40
Giurisprudenza tributaria
zione del «PVC», è valido se vi è imminenza dei termini
di decadenza dal potere di accertamento (urgenza disciplinata dall’art. 12, comma 7 della legge n. 212/2000 è in
re ipsa); la ratio di evitare la decadenza si inserisce in un
contesto di carattere pubblicistico, «connesso all’efficiente esercizio della potestà amministrativa nel fondamentale settore delle entrate tributarie», e ben può giustificare l’emanazione anticipata dell’atto.
Fisco & Società
Cass. civ., Sez.VI, 10-09-2013, n. 20739
Processo verbale di constatazione - Memorie difensive - Termine - Violazione - Ragioni di necessità ed
urgenza - Decadenza dall’azione - Art. 12, L. 27 luglio
2000, n. 212 - Operazioni imponibili - Prestito di denaro - Obbligazioni tributarie - Fatturazione - Artt.
3 e 10, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
La notifica dell’avviso di accertamento senza il rispetto
del termine dilatorio di sessanta giorni dalla consegna
del «PVC» non rende invalido il provvedimento quando sia dimostrata la «particolare e motivata» urgenza.
Tale requisito sussiste quando vi è imminenza del decorso dei termini di decadenza dal potere di accertamento, in quanto la ratio di evitare la decadenza risponde a esigenze di carattere pubblicistico, connesse
all’efficienza della Pubblica amministrazione nel recupero dei tributi. Nemmeno può essere affermata la superiorità del disposto contenuto nell’art. 12, comma 7,
della legge n. 212/2000, in quanto norma che non ha
un valore superiore alle altre leggi ordinarie, non essendo di rango costituzionale.
La ragione di necessità ed urgenza rappresentata dall’imminente scadenza dei termini di decadenza dalla
potestà accertativa, esplicitata nell’atto impositivo notificato al contribuente, giustifica il sacrificio dello
spatium deliberandi previsto dall’art. 12, legge n. 212
del 2000.
Non rientrano nel campo di applicazione dell’imponibilità IVA le operazioni aventi per oggetto il denaro o
crediti in denaro né la restituzione di una somma concessa a titolo di mutuo può essere soggetta all’obbligo
di fatturazione non potendo rappresentare la retrocessione del capitale un corrispettivo.
Cass. civ., Sez.V, 11-09-2013, n. 20769
Accessi, ispezioni e verifiche - Processo verbale di
constatazione - Redazione - Necessità - Atto impositivo - Emissione - Limiti - Art. 52, D.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633 - Art. 7, L. 27 luglio 2000, n. 212 - Principio
del contraddittorio
L’Amministrazione finanziaria è tenuta alla redazione
del processo verbale di constatazione – ed alla relativa
consegna al contribuente – in caso di accessi, ispezioni
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o verifiche anche solo finalizzati all’acquisizione di documenti, dati, elementi o notizie e senza la formulazione di addebiti o rilievi dovendosi ritenere tale adempimento altresì propedeutico all’attivazione del contraddittorio precontenzioso e delle facoltà accordate al
contribuente dall’art. 7, legge n. 212 del 2000.
Cass. civ., Sez.V, 11-09-2013, n. 20770
Accertamento sintetico - Art. 38, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - Capacità contributiva - Presunzioni - Onere della prova
Nell’ambito dell’accertamento sintetico, il contribuente ha facoltà di assolvere all’onere della prova contraria
– atta contrastare le presunzioni gravi, precise e concordanti opposte dall’Amministrazione finanziaria –
attraverso una prova documentale che può consistere
nell’allegazione di operazioni di dismissione patrimoniale e nella stipulazione di un contratto di mutuo per
l’acquisto di un’immobile al pari della dimostrazione
della circostanza di indisponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere, l’atto
stipulato, in ragione della sua natura simulata, una
causa gratuita anziché quella onerosa apparente.
Cass. civ., Sez.V, 11-09-2013, n. 20800
Compagini sociali - Ristretta base partecipativa Utili - Distribuzione - Presunzione - Modalità
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel
caso di società di capitali a ristretta base partecipativa,
è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli
eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva – qui si aggiunge – la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono
stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero
da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente né la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili, né il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi contabilizzati, non risultando né accantonati né investiti, siano stati distribuiti
ai soci. Tale presunzione impone il riscontro, conseguente ad un accertamento sulle movimentazioni finanziarie ovvero gli atti giuridico-economici di una
società ovvero dei suoi soci, che vi sia stata formazione
di utili non contabilizzati.
Cass. civ., Sez.V, 11-09-2013, n. 20806
Parametri - Studi di settore - Art. 3, L. 23 dicembre
1996, n. 662 - Art. 3, D.L. 30 agosto 1993, n. 331 - Natura - Applicazione - Limiti
L’accertamento fondato sui parametri e studi di settore
Consulenza n. 43/2013
08) Grimaldi - Giurisprudenza Fisco:08) Grimaldi - Giurisprudenza Fisco 04/12/13 14.20 Pagina 41
Giurisprudenza tributaria
costituisce un sistema di strumenti frutto di un processo di progressivo affinamento della rilevazione della
normale redditività, che giustifica la prevalenza in
ogni caso dello strumento più recente su quello precedente con la conseguente applicazione retroattiva dello standard più affinato e, pertanto, più affidabile.
devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo
un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa.
Cass. civ., Sez.V, 20-09-2013, n. 21564
Indagini finanziarie - Movimentazioni bancarie Giustificate - Prova - Analiticità - Specificità - Dichiarazioni di terzi - Ammissibilità - A titolo cautelativo
- D.P.R. n. 600/1973, art. 32 - D.P.R. n. 633/1972, art. 51
Le movimentazioni bancarie devono essere giustificate, portando come causale la prova specifica e analitica
per ognuna di esse; in caso contrario si presume che le
stesse siano da considerarsi effettuate a fronte di ricavi
o compensi non dichiarati, o di operazioni imponibili
ai fini IVA non fatturate. Avendo a disposizione degli
elementi indiziari, occorre che questi vengano supportati da elementi esterni che ne provino l’attendibilità. È
ammessa, in via prudenziale, la produzione di dichiarazioni di terzi se apprezzabili nella sostanza e nel contesto.
Cass. civ., Sez.V, 18-09-2013, n. 21302
Questionario - Esibizione di documenti - Preclusione - Effetti - Art. 32, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
Il divieto di prendere in considerazione, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, i libri, le scritture e i documenti di cui si è rifiutata l’esibizione, opera sia nell’ipotesi di rifiuto – per definizione
«doloso» – dell’esibizione, sia nei casi in cui il contribuente trascuri l’esibizione della documentazione in
suo possesso, non al deliberato scopo di impedirne la
verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto e, quindi, per colpa.
La preclusione contemplata dall’art. 32, D.P.R. n. 600
del 1973 impone all’Amministrazione finanziaria di
adeguare la propria condotta al canone di lealtà richiamato dalla giurisprudenza costituzionale e codificato
dall’obbligo di avvertimento riguardo alle conseguenze dell’inottemperanza.
Cass. civ., Sez.V, 27-09-2013, n. 22126
Indagini finanziarie - Art. 32, D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600 - Presunzione - Operatività
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari
vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del
reddito imponibile, ai sensi dell’art. 32, D.P.R. n. 600
del 1973, se il titolare del conto non fornisca adeguata
giustificazione a prescindere dalla prova preventiva
che il contribuente eserciti una determinata attività e
dalla natura lecita o illecita dell’attività stessa. La presunzione postula che tanto i prelevamenti, quanto i
versamenti operati sui conti correnti bancari vadano
imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella
propria attività, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile, oppure se non fornisce la prova che le operazioni analizzate sono estranee
alla produzione del reddito.
Cass. civ., Sez.V, 18-09-2013, n. 21305
Motivazione - Redazione - Contenuto - Funzione
L’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il
fine di porre il contribuente in condizione di conoscere
la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di
valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente
l’an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi
Consulenza n. 43/2013
Abuso del diritto - Componenti positivi e negativi Congruità - Inerenza - Sindacato - Principio di economicità dell’impresa - Limiti
Rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la
valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti
nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste
ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici
compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della
deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa.
In merito alla questione di legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria che provveda alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti, considerando
antieconomiche talune scelte imprenditoriali, in virtù
del principio secondo il quale chiunque svolge un’attività economica dovrebbe indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti, rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e
dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni. Ne
discende che anche la rettifica di queste ultime rientra
nei poteri dell’Amministrazione e ciò anche nel caso in
cui non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’impresa.
41
Fisco & Società
Cass. civ., Sez.V, 11-09-2013, n. 20809
08) Grimaldi - Giurisprudenza Fisco:08) Grimaldi - Giurisprudenza Fisco 04/12/13 14.20 Pagina 42
Fisco & Società
Giurisprudenza tributaria
In tema di deducibilità dell’imposta sul valore aggiunto, qualora la cessione di beni o la prestazione di
servizi avvenga ad un prezzo artificialmente basso o
elevato tra le parti che godano entrambe del diritto a
detrazione dell’IVA, non può configurarsi, in tal fase,
alcuna elusione o evasione fiscale. Infatti, è soltanto
al livello del consumatore finale che un prezzo artificialmente basso o elevato, può comportare una perdita di gettito fiscale. Sia l’art. 11 della sesta Direttiva
CEE che l’art. 73 della Direttiva n. 2006/112/CEE,
precisano che la base imponibile per la cessione di un
bene o la prestazione di un servizio effettuato a titolo
oneroso è costituita dal corrispettivo effettivamente
ricevuto a tal fine dal soggetto passivo e tale importo
costituisce il valore soggettivo, ovvero quello realmente percepito e non un valore stimato secondo criteri oggettivi.
Non è consentito all’Amministrazione di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati
dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione
per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da
considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico. Tuttavia, in applicazione del principio dell’abuso del diritto, l’Amministrazione finanziaria può dedurre l’antieconomicità
quale indizio di non verità della fattura, nel senso di
42
non verità dell’operazione, oppure di non verità del
prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè
della destinazione del bene o del servizio acquistati
ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad
IVA.
Cass. civ., Sez.V, 27-09-2013, n. 22130
Metodo induttivo - Comportamento antieconomico - Sindacato - Limiti - Art. 39, D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600
Non è consentito all’Amministrazione di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le
ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico. Tuttavia, in applicazione del principio dell’abuso del diritto, l’Amministrazione finanziaria può dedurre l’antieconomicità quale indizio di non
verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non
esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA.
Cass. civ., Sez.V, 27-09-2013, n. 22132
Consulenza n. 43/2013
09) Cioffi - Prima pagina:09) Cioffi - Prima pagina 04/12/13 14.20 Pagina 43
IL MINISTERO DEL LAVORO
CONFERMA L’ACCESSO «LIMITATO»
ALLE DICHIARAZIONI DEI
LAVORATORI RESE AGLI ISPETTORI
di Gianfranco Cioffi - Avvocato e funzionario ispettivo coordinatore del Ministero del lavoro (*)
to, pur entro certi limiti e
Nell’ambito della «difesa»
Il Ministero del lavoro
previa valutazione motivata
del datore di lavoro nei con(Circ. n. 43 dell’8 novembre 2013)
caso per caso, la legittimità di
fronti delle verifiche ispettisulla scorta dell’ultima pronuncia
sottrarre all’accesso le dive in materia di lavoro, la cochiarazioni dei lavoratori renoscenza delle dichiarazioni
del Consiglio di Stato, riconferma
se durante l’ispezione.
rilasciate dai lavoratori agli
che, in tema di diritto di accesso,
ispettori del lavoro risulta
le dichiarazioni rese dai lavoratori
essere di rilevante interesse
LA CIRC. N. 43/2013
durante l’attività ispettiva non
ma, molto spesso, tale possiDEL MINLAVORO
bilità risulta vanificata dalla
In particolare, con la Circ. n.
sono, quasi mai, accessibili, anche
inclusione di tali atti in quei
43 dell’8 novembre 2013 il
se la valutazione deve essere
documenti «sottratti al diritMinistero del lavoro illustrancondotta «caso per caso»
to di accesso», di cui al D.M.
do la Sent., Cons. Stato, sez.
n. 757/1994; su tale scelta, si è
VI, n. 4035 del 31 luglio 2013
aperto un contenzioso, oramai quasi ventennale, che
(1) interviene in maniera decisa sul tema dell’accesso agli
la giurisprudenza ha risolto in modo «oscillante».
atti della ispezione del lavoro per sancire la odierna valiL’ultimo (ma solo in ordine temporale) orientamento
dità dei limiti sanciti dal Regolamento adottato dal Minidella giurisprudenza amministrativa è la Sent. n.
stero del lavoro con D.M. 4 novembre 1994, n. 757 (2).
4035/2013 del Consiglio di Stato, che riafferma, pur enLa Circ. n. 43/2013, nel riconoscere che la sentenza antro certi limiti e previa valutazione motivata caso per canotata «si inserisce in un quadro giurisprudenziale conso, la legittimità di sottrarre all’accesso le dichiarazioni
notato da orientamenti contrastanti ed oscillanti nel
dei lavoratori rese durante l’ispezione e che il Ministero
tempo», evidenzia come talora i giudici amministratidel lavoro ha ritenuto di dover prendere «a paradigma»
vi e lo stesso Consiglio di Stato abbiano affermato «la
per invitare le proprie Direzioni territoriali a tenere
prevalenza del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della
conto di tale orientamento, che riafferma, come già detCostituzione» (3), mentre in altre occasioni siano state
(*) Ai sensi della circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 18 marzo 2004, il presente contributo è da considerarsi di natura personale e non impegnativo per la Pubblica amministrazione (N.d.A.).
(1) La Sent., Cons. Stato, sez. VI, n. 4035/2013 del 31 luglio 2013, di conferma della sentenza TAR Lazio, sez. III, n. 168/2013, riguarda la legittimità o meno di un provvedimento di diniego della P.A. rispetto ad una richiesta di accesso ad alcune dichiarazioni rese da alcuni lavoratori, rilasciate nel corso di una verifica ispettiva. La richiesta era stata avanzata, nel caso di specie, da un soggetto che era coobbligato in solido
col datore di lavoro.
(2) Decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 4 novembre 1994, n. 757 - «Regolamento concernente le categorie di documenti
formati o stabilmente detenuti dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale sottratti al diritto d’accesso, ai sensi dell’art. 24, comma
4, della L. 7 agosto 1990, n. 241».
(3) Diverse pronunce (ex multa si richiama Cons. St., sez. VI, n. 3798/2008 del 29 luglio 2008) ritenevano, infatti, ammissibile l’accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di verifica ispettiva ritenendo che l’esigenza di riservatezza e di protezione dei lavoratori intervistati
fosse recessiva di fronte al diritto esercitato dal richiedente per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso risultasse necessario
alla difesa di quell’interesse.
Consulenza n. 43/2013
43
Lavoro & Previdenza
Prima pagina
09) Cioffi - Prima pagina:09) Cioffi - Prima pagina 04/12/13 14.20 Pagina 44
Lavoro & Previdenza
Prima pagina
riconosciute le «esigenze di tutela della riservatezza dei
lavoratori unitamente a quella di preservazione della
pubblica funzione di vigilanza».
In alcuni casi le decisioni si fondavano sulla possibilità, evidentemente non esercitata da parte dell’Amministrazione, di intervenire con opportuni accorgimenti (cancellature o apposizione di omissis attraverso cui ottenere l’espunzione dei nominativi dei dipendenti interessati), in modo da consentire il giusto
compendio tra gli opposti interessi in gioco.
Di contro, e sempre con riferimento alle argomentazioni poste dal Consiglio di Stato contro l’accesso alle
dichiarazioni rilasciate dai lavoratori in sede di attività
ispettiva, si è ritenuto che i predetti accorgimenti (cancellature, omissis) potessero risultare del tutto insufficienti a tutelare la riservatezza dei lavoratori dichiaranti, soprattutto se dipendenti di piccole imprese.
Infatti, in questi casi, il solo contenuto delle dichiarazioni avrebbe potuto consentire al datore di risalire alla persona che le aveva rilasciate, attraverso il richiamo
alle mansioni ricoperte, oppure tramite l’indicazione
dell’orario di lavoro osservato o dei colleghi di reparto,
e così via.
Mentre, altre pronunce giurisprudenziali (4), invece,
hanno stabilito che, in materia di accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di verifica ispettiva, è
legittimo il diniego opposto dall’Amministrazione
«a motivo della salvaguardia di possibili azioni pregiudizievoli, recriminatorie o di pressione nei confronti dei
lavoratori e collaboratori della società» (in base agli
artt. 2 e 3 del già richiamato D.M. n. 757/1994).
LE DICHIARAZIONI SPONTANEE
DEL LAVORATORE
In effetti, la centralità della questione dell’accesso agli
atti amministrativi formati o acquisiti in sede di ispezione acquisisce connotati di particolare evidenza,
con riguardo alle dichiarazioni rese spontaneamente
dai lavoratori in occasione della verifica ispettiva agli
ispettori del lavoro o previdenziali.
Proprio sulla accessibilità delle dichiarazioni raccolte
in seguito alla ispezione in materia di lavoro e previdenza si sono formate, nella prassi amministrativa ed
in giurisprudenza, per lungo tempo, impostazioni for-
temente differenziate dalle quali promanano orientamenti dissonanti e confliggenti.
In particolare, si ricorda che l’art. 2 del citato decreto
inserisce nella categoria dei documenti non accessibili
(al datore di lavoro) quelli contenenti le richieste di intervento dell’ex Ispettorato del Lavoro, nonché i documenti che riportano notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, se dalla loro eventuale divulgazione
possono derivare azioni di tipo discriminatorio, pressioni o pregiudizi a carico dei lavoratori interessati.
Inoltre, l’art. 12, comma 11, del D.D. 20 aprile 2006 (5)
contiene l’esplicito divieto per il personale ispettivo di
rilasciare copia della dichiarazione al lavoratore dichiarante e al soggetto ispezionato «in sede di ispezione
e sino alla conclusione degli accertamenti», per sancire
l’accessibilità dopo che sia concluso il procedimento
ispettivo (la richiesta di «accesso alle dichiarazioni può
essere rivolta all’Amministrazione»).
Il «Codice di comportamento del personale ispettivo»,
tutt’ora vigente (6), impone, dunque, al personale
ispettivo il divieto di rilasciare copia delle dichiarazioni, soprattutto, va comunque ricordato, per aspetti di
tutela relativi ai diritti personalissimi del dichiarante,
nonché alla incidenza di quanto risulti penalmente rilevante, in piena sintonia con i contenuti precettivi
della L. 7 agosto 1990, n. 241.
D’altro canto, il menzionato D.M. n. 757/1994, all’art.
2, elenca, come già accennato in precedenza, analiticamente quali siano i documenti sottratti al diritto di accesso, ai sensi dell’art. 24, comma 4, legge n. 241/1990,
prevedendo, fra l’altro, l’esclusione dall’accesso per
quelli «contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano
derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o
pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi» [lett. c)],
nonché per quelli «riguardanti il lavoratore e contenenti notizie sulla sua situazione familiare, sanitaria,
professionale, finanziaria, sindacale o di altra natura,
sempreché dalla loro conoscenza possa derivare effettivo pregiudizio al diritto alla riservatezza» [lett. g)].
Tuttavia, tali limitazioni devono essere rapportate con
quanto previsto dall’art. 24, ultimo comma, legge n.
241/1990, a norma del quale «deve comunque essere
garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti ammini-
(4) Ad esempio la Sent., Cons. Stato., sez. VI, n. 1842/2008.
(5) Cd. «Codice di comportamento del personale ispettivo».
(6) Art. 12, comma 11, che recita: «Nessuna copia delle dichiarazioni deve essere rilasciata al lavoratore e/o al soggetto ispezionato in sede di
ispezione e sino alla conclusione degli accertamenti. In caso di richiesta il personale ispettivo informa il richiedente che l’eventuale accesso
alle dichiarazioni può essere rivolta all’Amministrazione».
A solo scopo di completezza espositiva, si ricorda che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta rielaborando, alla luce delle novità
legislative intervenute, il predetto Codice comportamentale. Anche se si deve evidenziare che il divieto di accesso sia alla richieste di intervento che alle dichiarazioni rese dai lavoratori resiste alla «revisione» ministeriale, con la perentoria previsione di cui all’art. 12, comma 9,
del redigendo nuovo Codice comportamentale.
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Consulenza n. 43/2013
09) Cioffi - Prima pagina:09) Cioffi - Prima pagina 04/12/13 14.20 Pagina 45
strativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per
difendere i propri interessi giuridici».
PREVALENZA DEL DIRITTO DI DIFESA SULLA
RISERVATEZZA
L’interesse da cui sorge il diritto ad accedere ai documenti amministrativi deve, dunque, essere diretto,
concreto, attuale e motivato.
Fermi restando, dunque, i casi particolari di esclusione dal diritto di accesso, la legge n. 241/1990 contiene,
poi, un generale riconoscimento del potere di «differire» l’accesso ai documenti per periodi di tempo determinati (art. 24, comma 4).
Per tali motivi, nella disamina della questione dell’accesso agli atti dell’ispezione assumono peculiare rilievo le pronunce della giurisprudenza amministrativa, come correttamente ricordato dalla Circ. n.
43/2013 in esame.
In particolare, si deve ricordare la Sent. n. 2366/2002,
Cons. Stato, sez. VI, del 3 maggio 2002, che ha statuito
l’accessibilità degli atti raccolti dagli ispettori, dichiarando la prevalenza del diritto di difesa sulla riservatezza, sancito dalla norma primaria, che impone di disapplicare le norme regolamentari in contrasto e riconoscendo la natura di controinteressati dei terzi le cui
dichiarazioni formano oggetto di richiesta di accesso.
Il Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza del 10
aprile 2003, n. 1923, ha, poi, emesso una sentenza in
senso conforme.
Con speciale riferimento all’esercizio del diritto di accesso nei confronti di atti relativi ad una fattispecie connessa ad evidenze di rilievo penale, la circolare richiama
anche la Sent. n. 7391, del Cons. Stato, sez. VI, del 13 dicembre 2006, che affermava il principio secondo il quale se l’organo ispettivo trasmette all’Autorità giudiziaria
una notizia di reato lo fa nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuitegli dall’ordinamento, pertanto, in questo caso, si è in presenza di atti
di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.p. e quindi sottratti all’accesso.
La circolare in commento ritiene opportuno, poi, richiamare recenti orientamenti del Consiglio di Stato (7) più
attenti alle esigenze di riservatezza e di tutela del lavoratore, che conferiscono, invece, maggiore rilievo all’interesse pubblico «all’acquisizione di ogni possibile informa-
zione, a tutela della sicurezza e della regolarità dei rapporti di lavoro», riconosciuto come prevalente rispetto al diritto di difesa delle imprese sottoposte ad ispezione.
Ed infatti, ci ricorda la circolare, che a supporto di tale interpretazione del Consiglio di Stato sembra muoversi
anche la Corte di Cassazione che, in alcune pronunce, ha
ribadito come, ai fini dell’esigenza di tutela del destinatario dei provvedimenti ispettivi (datore di lavoro e obbligato solidale), è sufficiente la possibilità per lo stesso di
proporre, davanti al Giudice, le censure o le contestazioni in merito alla documentazione che l’Amministrazione, in quella sede, è tenuta ad esibire ai fini processuali.
Pertanto, è proprio in tale sede che sarà sempre possibile
al datore di lavoro azionare le proprie difese, anche in relazione a tali fonti di prova esibite in giudizio.
D’altro canto, sempre la stessa giurisprudenza amministrativa (8) aveva ammesso l’accesso al contenuto
delle dichiarazioni dei lavoratori rese al personale
ispettivo, seppure «con modalità che escludano l’identificazione degli autori delle medesime», quale conseguenza di una indispensabile valutazione «caso per caso» che può consentire di considerare prevalenti le esigenze difensive del datore di lavoro (9).
LA SENT. N. 4035/2013 DEL CONSIGLIO
DI STATO
Di contro, più recentemente, il Consiglio di Stato (10),
aveva sancito che l’accesso ai documenti amministrativi relativi ad un accertamento ispettivo, che comprendono anche le dichiarazioni rese dai lavoratori,
costituisce la regola e il diniego l’eccezione (11).
Da ultimo, la richiamata Sent., Cons. Stato n.
4035/2013 del 31 luglio 2013, in controtendenza rispetto all’orientamento appena esaminato, interviene,
dopo un biennio di giurisprudenza favorevole all’accesso, riaffermando, pur entro certi limiti e previa
valutazione motivata caso per caso, la legittimità per
le Direzioni territoriali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di sottrarre all’accesso le dichiarazioni dei lavoratori rese durante l’accesso ispettivo.
Anche se, immediatamente dopo, la circolare in esame
sottolinea che «Ferma restando, dunque, una possibilità di valutazione caso per caso, che potrebbe talvolta
consentire di ritenere prevalenti le esigenze difensive in
questione, non può però affermarsi in modo aprioristico
una generalizzata recessività dell’interesse pubblico
(7) Come, ad esempio, la Sent. n. 1842/2008, sez. VI, del 22 aprile 2008; la Sent. n. 736/2009, sez. VI, del 9 febbraio 2009 e la Sent. n. 7678/2009,
sez. VI, del 13 ottobre 2009.
(8) Sent., Cons. Stato, sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3798.
(9) In senso conforme, si richiama la Sent. TAR Emilia Romagna, n. 7498 del 16 agosto 2010.
(10) Sent., Cons. Stato, sez. VI, 16 dicembre 2010, n. 8124.
(11) Alle stesse conclusioni era già giunto il TAR Emilia Romagna.
Consulenza n. 43/2013
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Lavoro & Previdenza
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Lavoro & Previdenza
Prima pagina
all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione (...)».
È, infatti, la stessa Sent. n. 4035/2013, che riafferma, in
primo luogo, come «le disposizioni in materia di diritto
di accesso mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale
fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell’Amministrazione (…) con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti e fra questi – specificamente – quelli dei soggetti individuati o facilmente
individuabili (…) che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza» (12).
Tale ultima pronuncia, d’altronde, riassume i contrasti
giurisprudenziali precedenti – anche con riferimento
alla medesima Sezione VI del Consiglio di Stato – affermando che, rispetto al quadro normativo, la giurisprudenza («benché con indirizzo non univoco»), ha più volte «confermato la sottrazione al diritto di accesso della
documentazione, acquisita dagli ispettori del lavoro
nell’ambito dell’attività di controllo loro affidata» (13).
La sentenza, richiamata e commentata dalla Circ. n.
43/2013 del Ministero del Lavoro, riconosce, dunque,
che «le necessità difensive – riconducibili ai principi tutelati dall’art. 24 della Costituzione – sono ritenute prioritarie rispetto alla riservatezza di soggetti terzi» (14), ma
sottolinea come la legge n. 241/1990 specifichi con nettezza che non bastano «esigenze di difesa genericamente
enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo
corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi», ammettendo solo nei limiti in
cui risulti «strettamente indispensabile» la conoscenza
di documenti che contengano dati sensibili.
Su tale premessa giuridica, dunque, pur riconoscendosi «una possibilità di valutazione “caso per caso”, che
potrebbe talvolta consentire di ritenere prevalenti le esigenze difensive in questione» (15), si giunge all’affermazione del principio secondo cui «non può però affermarsi in modo aprioristico una generalizzata recessività dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni
possibile informazione, per finalità di controllo della
regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti),
rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione» (16).
Il Consiglio di Stato, in effetti, sottolinea come l’interesse pubblico ad acquisire informazioni per finalità
di ispezione e controllo «non potrebbe non risultare
compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute».
Inoltre, sempre la stessa Sent., Cons. Stato, sez. VI, n.
4035/2013 riconosce che il diritto di difesa delle imprese ispezionate «risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni,
dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere, nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria».
La Circ. n. 43/2013, peraltro, evidenzia ulteriormente che
«eventuali accorgimenti (cancellature, omissis) che, in sede
di ostensione dei dati, l’Amministrazione potrebbe adottare» non sono sufficienti «a tutelare la riservatezza dei dichiaranti laddove, soprattutto in ipotesi di imprese di piccole dimensioni, il semplice contenuto delle dichiarazioni
possa far risalire alla persona che le ha rilasciate, facilmente
individuabile attraverso, per esempio, l’individuazione
delle mansioni ricoperte oppure la puntuale indicazione
dell’orario di lavoro osservato, ovvero l’indicazione degli
altri colleghi appartenenti al medesimo reparto».
Secondo il Ministero del lavoro, dunque, la sentenza
richiamata «riafferma, pur entro certi limiti e previa
valutazione motivata caso per caso, la legittimità per le
Direzioni territoriali di questo Ministero di sottrarre
all’accesso le dichiarazioni dei lavoratori rese durante
l’accesso ispettivo».
Infine, sul piano operativo, si deve evidenziare che il
Consiglio di Stato riconosce come «soggetti realmente controinteressati» i lavoratori che hanno reso in
sede ispettiva le dichiarazioni in ordine alle richieste di
accesso alle stesse, per cui la Circ. n. 43/2013 sottolinea
«il conseguente riconoscimento, anche dal punto di vista del procedimento amministrativo, di tutti i diritti
inerenti a tale qualificazione».
Da qui l’invito contenuto nella circolare ministeriale alle Direzioni territoriali del lavoro a «voler tener conto
dell’orientamento» della Sent. n. 4035/2013 in occasione della «istruttoria e decisione» delle richieste di accesso alle dichiarazioni rese in ispezione dai lavoratori. n
(12) Anche se si ritiene opportuno osservare che, nella predetta sentenza, i giudici amministrativi richiamano il regolamento ministeriale che
governa il tema dell’esclusione dall’accesso per gli atti del Ministero del lavoro in una controversia che vede coinvolto l’INPS, senza richiamare, invece, la regolamentazione amministrativa dell’Istituto previdenziale.
(13) Citando anche i precedenti della medesima sezione come la Sent. n. 65 del 27 gennaio 1999; la Sent. n. 1604 del 19 novembre 1996; la Sent.
n. 1842 del 22 aprile 2008 e la Sent. n. 736 del 9 febbraio 2009.
(14) Il richiamo in questo senso è al pronunciamento del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, del 4 febbraio 1997, n. 5.
(15) Il richiamo, invece, in questo caso, è alla già citata Sent., Cons. St., sez. VI, n. 3798/2008.
(16) Come già anticipato, sul punto la pronuncia n. 4035/2013, peraltro, è già stata fatta propria da Tar Lombardia - Milano, Sez. III, con Sent. 17
ottobre 2013, n. 2314.
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Consulenza n. 43/2013
10) Quintavalle - Rapporto di lavoro:10) Quintavalle - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 47
Rapporto di lavoro
LA TREDICESIMA MENSILITÀ 2013
suppone un’attività contiA risollevare, anche se di poLa doppia retribuzione offre
nuativa presso lo stesso daco, le tasche degli italiani in
ai lavoratori un vantaggio non
tore di lavoro di un anno inquesto periodo di austerity,
indifferente; la tredicesima
tero che va dal 1° gennaio al
arriverà a dicembre, seppure
31 dicembre e consiste in
con qualche incertezza, la treapparentemente semplice si rileva
una mensilità calcolata sulla
dicesima mensilità, la quale
all’attenta analisi dell’operatore
retribuzione corrispondenrisulta essere invariata rispetun istituto complicato, le cui
te all’ultima mensilità in atto allo scorso anno. I lavoracondizioni e sistemi di calcolo
to ma con alcuni accorgitori dipendenti e i pensionati
menti.
che riceveranno una doppia
sono qui ripercorsi alla luce
Alcuni contratti ne differenmensilità a dicembre sembra
della situazione economica
ziano il calcolo (vedi ad es. il
siano poco più di 33 milioni
e normativa del 2013
CCNL dei giornalisti) o ne
per un totale di 37 miliardi di
differenziano la corresponeuro, di cui una parte verrà risione a seconda dell’anzianità di servizio (vedi ad es. il
versata nelle casse dell’erario sotto forma di imposte.
CCNL aziende grafiche editoriali) o ancora ne stravolSono comunque esclusi da tale «surplus» i lavoratori
gono la corresponsione (vedi ad es. contratto edili).
impegnati in contratti di collaborazione coordinata e
Generalmente la disciplina contrattuale ne prevede
continuativa anche a progetto. Introdotta nel 1937 in
l’erogazione in prossimità delle festività natalizie, soliItalia dal regime fascista (art. 13 del CCNL 5 agosto
tamente tra il 15 e il 20 dicembre e prima delle feste na1937), fu estesa nel 1946 a tutti gli operai (Accordo Intalizie proprio per permettere ai lavoratori di far fronterconfederale per l’industria del 27 ottobre 1946) e
te a maggiori spese che oggi non sono più ahimè rivolinfine a tutti i lavoratori dipendenti dopo l’emanaziote ai regali, ma a far fronte alle ristrettezze economiche
ne del D.P.R. n. 1070 del 1960.
del periodo dovute dalla crisi occupazionale diffusa e
Fu allora ribattezzata «gratifica natalizia» perdendo
agli eccezionali aumenti di tasse e imposte in un Nataperò negli anni il fine istitutivo per effetto della depaule 2013 che si prospetta di austerità.
perazione delle tasche dei percettori causa i numerosi
tributi che si incentrano proprio alla fine dell’anno.
Rientra, tale mensilità aggiuntiva, nella cd. «retribuLA RETRIBUZIONE DI RIFERIMENTO
zione differita» e cioè in quella parte della retribuzione
Per valutare quale siano gli elementi da prendere a bache il lavoratore matura nel corso dell’anno e percepise per il calcolo della tredicesima mensilità occorre vesce normalmente una sola volta nell’arco dei 12 mesi,
rificare la retribuzione utile, in quanto non tutti gli elediversamente dalla cd. «retribuzione diretta» percepimenti che mensilmente concorrono a formare la retrita mensilmente. Alla retribuzione differita fanno parbuzione hanno per loro natura la capacità di incidere
te anche l’eventuale quattordicesima, premi feriali e di
sulle mensilità aggiuntive; a tale scopo solitamente
produzione e il TFR.
viene incontro il CCNL applicato al lavoratore.
A dicembre i lavoratori godranno dunque di una
Ci si può comunque trovare di fronte a due diverse
mensilità in più calcolata sulla retribuzione globale o
ipotesi:
comunque sugli elementi indicati dalla contrattazione
– il contratto fornisce tutti gli elementi retributivi
collettiva che comunque non può derogare in pejus la
che la costituiscono;
previsione del D.P.R. n. 1070/1960 che, nel recepire il
– il contratto non fornisce indicazioni specifiche, e
contenuto dell’accordo interconfederale del 1946, staquindi per nozione di retribuzione si rinvia a nobilisce che la mensilità aggiuntiva deve essere calcolata
zioni generiche come retribuzione globale di fatto,
sulla base della retribuzione globale di fatto (Cass. 24
retribuzione normale, retribuzione base, ecc.
giugno 1981, n. 4119).
La percezione di una integrale gratifica natalizia preNella maggior parte dei casi, salvo diversa disposizioConsulenza n. 43/2013
47
Lavoro & Previdenza
di Rossella Quintavalle - Consulente del lavoro in Roma
10) Quintavalle - Rapporto di lavoro:10) Quintavalle - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 48
Rapporto di lavoro
Lavoro & Previdenza
ne dei CCNL, nella retribuzione da prendere a base per
il calcolo della tredicesima si deve ricomprendere:
–
–
–
–
–
la paga base;
l’indennità di contingenza;
i terzi elementi nazionali o provinciali;
eventuali scatti di anzianità;
altri elementi retributivi erogati con continuità
quali: superminimo, assegno ad personam, straordinari forfetizati, provvigioni, cottimo, indennità
sostitutiva di mensa, indennità per maneggio denaro e premi legati alla produzione o alla produttività nella media annua se nel calcolo del premio
non sia già stata considerata l’incidenza delle
mensilità aggiuntive.
Non fanno parte della retribuzione, salvo diversa disposizione del CCNL:
–
–
lavoro straordinario, notturno e festivo effettuati
saltuariamente;
somme concesse una tantum, rimborsi spese.
MATURAZIONE DELLA TREDICESIMA
Nel caso il lavoratore abbia compiutamente prestato
la sua attività lavorativa per dodici mesi nell’anno di
erogazione, la tredicesima spetterà per intero salvo
assenze che non ne permettano la maturazione. Viceversa, se la prestazione lavorativa non è stata prestata per l’intero anno, la tredicesima è erogata calcolando un dodicesimo per ogni mese intero di servizio
prestato (intendendosi per mese intero la frazione
pari o superiore a 15 giorni o comunque come indicato nel contratto collettivo applicato). Nel caso di
periodo lavorativo inferiore all’anno, l’ammontare
sarà riproporzionato a dodicesimi in base alla data di
assunzione o di cessazione del rapporto di lavoro o
tenendo conto di eventuali assenze che ne pregiudicano la maturazione. La gratifica natalizia corrisponde ad una retribuzione fissa mensile globale di fatto
per i mensilizzati e a un importo determinato dalla
paga oraria moltiplicata per il divisore orario mensile
indicato in contratto, per i lavoratori retribuiti ad
ore.
Per i lavoratori che prestano la loro attività con orario
part-time, la gratifica natalizia subirà la percentualizzazione in proporzione all’orario di lavoro svolto e calcolata in base agli eventuali periodi part-time e full-time effettivamente lavorati durante l’anno.
Nel calcolo occorre esaminare la tipologia di assenza
dal lavoro, la quale può o meno incidere sull’importo o
far sorgere, in capo al datore di lavoro, l’obbligo di integrazione dello stipendio finanche a raggiungere il
100%. Da escludere in assoluto le assenze non retribuite.
48
ASSENZE UTILI PER LA MATURAZIONE
La tredicesima mensilità viene erogata a carico del datore di lavoro per intero nelle assenze dovute a:
–
–
–
–
–
congedo matrimoniale;
ferie;
festività;
permessi riduzione orario;
preavviso non lavorato.
ASSENZE NON UTILI PER LA MATURAZIONE
La mensilità aggiuntiva non matura affatto nei seguenti casi:
–
–
–
–
–
–
–
–
–
congedo parentale;
malattia e infortunio oltre il periodo gestibile da
contratto;
malattia bambino;
congedo straordinario biennale;
sciopero;
servizio militare;
sospensione dal lavoro per provvedimento disciplinare;
aspettative e permessi non retribuiti;
assenze non giustificate.
MATURAZIONE: INPS E INAIL
Nella maggior parte delle assenze tutelate con previsione di intervento da parte degli Istituti previdenziali
e assistenziali, una percentuale della maturazione della tredicesima mensilità è garantita dagli istituti stessi
in quanto calcolata direttamente nei dati forniti dal
datore di lavoro all’ente di turno per il calcolo del trattamento a suo carico, anche se anticipato dallo stesso.
Il datore di lavoro, dunque, nel mese in cui cade la
mensilità aggiuntiva, terrà conto di quanto già anticipato dall’INPS e INAIL.
Le principali assenze a carico degli Istitui sono:
–
–
–
–
–
–
–
malattia;
congedo di maternità e paternità;
infortunio sul lavoro per inabilità temporanea;
cassa integrazione ordinaria e straordinaria ad
orario ridotto;
permessi per allattamento;
permessi retribuiti per familiari con handicap;
indennità per richiamo alle armi.
Per quanto sopra esposto, quando nei contratti collettivi di lavoro è disciplinato che la retribuzione dovuta
al dipendente assente debba essere integrata a cura del
datore di lavoro fino a garantire la retribuzione netta
che sarebbe spettata in caso di effettiva prestazione, il
datore di lavoro determinerà la quota parte a suo carico tenendo conto che quanto corrisposto dall’Istituto
non è soggetto a contributi previdenziali.
Consulenza n. 43/2013
10) Quintavalle - Rapporto di lavoro:10) Quintavalle - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 49
Alcuni contratti prevedono espressamente la lordizzazione mentre altri non ne fanno alcuna menzione.
La prassi di uso comune è quella dell’applicazione del
sistema della lordizzazione quando il contratto non
preveda il contrario.
Con l’applicazione di tale sistema si ottiene una riduzione del valore dell’integrazione a carico del datore di
lavoro.
Il fine è quello di far sì che, in presenza di integrazioni
da parte dell’azienda e di indennità erogate da enti
previdenziali e assistenziali, il lavoratore assente non
percepisca una retribuzione più alta di quella di un altro lavoratore presente al lavoro per tutto l’anno di
maturazione.
La formula della lordizzazione
La formula per il calcolo dei coefficiente di lordizzazione, diverso a seconda della percentuale del contributo previdenziale c/lavoratore, è la seguente:
100 : 100 – la percentuale contributi a carico lavoratore
I coefficienti di lordizzazione sono i seguenti:
–
–
–
aziende con una forza lavoro di – 15 dipendenti:
100/(100-9,19) = 100/90,81 = 1,101201;
aziende con una forza lavoro di + 15 dipendenti:
100/(100-9.49) = 100/90,51 = 1,104851;
per gli apprendisti o lavoratori cui si applica la
contribuzione valida per gli apprendisti:
100/(100 - 5,84) = 100/94,16 = 1,062022.
TRATTAMENTO PREVIDENZIALE E FISCALE
L’importo erogato in aggiunta a dicembre è regolarmente assoggettato a contributi nel mese di erogazione attraverso il cumulo con la normale retribuzione del mese.
Fiscalmente la mensilità aggiuntiva concorre alla formazione della base imponibile a norma dell’art. 51 del
D.P.R. n. 917/1986 e successive modificazioni, dopo
essere stata decurtata del contributo previdenziale obbligatorio. Generalmente, l’imposta calcolata sulle
mensilità aggiuntive, in modo particolare quando viene erogata con cedolino a parte, deve essere determinata autonomamente e non in cumulo con la ordinaria mensilità in scadenza, onde evitare l’innalzamento
dell’aliquota che diminuirebbe il netto a pagare per
poi concludersi in un conguaglio a favore del dipendente nei calcoli di fine anno.
La mensilità aggiuntiva non dà diritto ad alcuna detrazione ulteriore per lavoro dipendente o familiare, concesse solamente su dodici mensilità.
A norma dell’art. 2120 c.c., la somma erogata a titolo di
tredicesima, per il suo carattere non occasionale, concorre alla formazione del trattamento di fine rapporto.
LA TREDICESIMA DEI COLLABORATORI
DOMESTICI
Anche ai collaboratori domestici spetta la tredicesima
mensilità.
Il calcolo è semplice per coloro che erogano al collaboratore familiare uno stipendio fisso ogni mese, un po’
più complesso per chi paga la retribuzione a ore.
Per i primi la tredicesima è pari a uno stipendio calcolato sulla mensilità di dicembre mentre per i secondi
occorre ricondurre la paga oraria ad una retribuzione
mensile che si può esprimere nell’esempio che segue.
Se un collaboratore familiare lavora presso la famiglia
per tre ore la settimana a 8 euro l’ora, il calcolo dovrà
essere così effettuato:
–
–
8 euro x 3 ore = 24 euro la settimana; 24 euro per 52
settimane in un anno = 1.248 euro l’anno; 1.248 :
12 mesi = 104 euro di media mensile e 104 euro
sarà l’importo della tredicesima dovuta;
se il rapporto di lavoro è inferiore ad un anno, verranno corrisposti tanti dodicesimi quanti sono i
mesi di lavoro prestato. Il periodo del mese pari o
superiore a quindici giorni va calcolato un mese
intero.
ESEMPIO
Per un collaboratore familiare assunto il quattordici aprile per tre ore la settimana, l’importo della tredicesima sarà pari a 104 euro : 12 x 9 = 78 euro.
Nel calcolo della tredicesima del collaboratore convivente andrà incluso anche il valore del vitto e dell’alloggio, o di uno dei due pasti se non convivente
e ne usufruisce.
Il valore del vitto nel 2013 è pari a 1,81 euro ciascun pasto mentre il valore dell’alloggio è pari a 1,57 euro.Valore totale giornaliero è pari a 5,19 giornaliere.
Valore totale mensile per vitto e alloggio è pari a euro 155,70.
Può infine accadere che durante l’anno l’orario e/o la
retribuzione siano variati per qualche mese; in questo
caso occorrerà sviluppare una media, sommando le
diverse retribuzioni erogate nel corso dell’anno e diviConsulenza n. 43/2013
dere l’importo per 12; il risultato ottenuto sarà l’importo della tredicesima dovuta.
Se il lavoratore domestico presta servizio presso più
famiglie, ogni datore di lavoro è tenuto ad effettuare il
49
Lavoro & Previdenza
Rapporto di lavoro
10) Quintavalle - Rapporto di lavoro:10) Quintavalle - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 50
Rapporto di lavoro
Lavoro & Previdenza
calcolo della quota di tredicesima sulla base della retribuzione oraria corrisposta.
La tredicesima corrisposta costituirà parte della somma sulla quale verrà calcolato il trattamento di fine rapporto. Nessun contributo aggiuntivo andrà versato entro il 10 gennaio 2014 sull’ulteriore corresponsione.
–
–
–
LA TREDICESIMA IN EDILIZIA
Nel settore edile la corresponsione della tredicesima
mensilità segue una disciplina differente. Il datore di
lavoro non corrisponde direttamente all’operaio la
tredicesima ma accantona, presso la Cassa Edile, la
quota mensile corrispondente. Invece di erogare la
tredicesima a dicembre, il datore di lavoro, ogni mese,
deve maggiorare la retribuzione di una percentuale
prestabilita che attualmente è pari al 18,50%, di cui
l’8,50% a titolo di ferie e il 10% a titolo di gratifica natalizia.
Questa maggiorazione fa parte integrante della retribuzione e quindi concorre a formare sia l’imponibile
previdenziale che l’imponibile fiscale del lavoratore.
Tali importi sono accantonati al netto delle ritenute di
legge.
Sarà poi l’Ente, gestito pariteticamente da lavoratori e
datori di lavoro, ad erogare direttamente al lavoratore
gli importi accantonati sul suo conto (anche da più datori di lavoro), alle scadenze e secondo le modalità stabilite dagli accordi locali
Calcolo della maggiorazione in edilizia
Per il calcolo della maggiorazione e dell’accantonamento occorre:
a) determinare la retribuzione oraria relativa a:
–
–
–
–
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–
–
–
minimo contrattuale;
eventuale superminimo;
indennità di contingenza;
indennità territoriale di settore;
elemento economico territoriale;
utile minimo contrattuale di cottimo ovvero
utile medio od effettivo di cottimo secondo
quanto previsto dal CCNL;
elemento distinto dalla retribuzione;
eventuale maggiorazione dovuta ai capisquadra.
Nel calcolo non devono essere considerati i seguenti elementi:
–
–
–
50
l’eventuale indennità per apporto di attrezzi
di lavoro;
le quote supplementari dell’indennità di caropane non conglobate nella paga base (cioè per
lavori pesantissimi, per minatori e boscaioli);
la retribuzione e la relativa maggiorazione per
–
–
lavoro straordinario, sia esso diurno, notturno o festivo;
la retribuzione e la maggiorazione per lavoro
normale festivo;
le maggiorazioni sulla retribuzione per lavoro
normale o notturno;
la diaria e le indennità di cui all’art. 22 del
CCNL;
i premi ed emolumenti similari;
le indennità per lavori speciali disagiati, per
lavori in alta montagna e in zona malarica, in
quanto nella determinazione delle misure
percentuali attribuite a ciascuna delle predette
indennità è stato tenuto conto dell’incidenza
di tali titoli;
b) moltiplicare la quota oraria così determinata per:
–
–
–
–
le ore di lavoro normale contrattuale effettivamente prestate;
le ore di festività, escluso il 4 novembre;
le ore lavorative comprese nel periodo di malattia;
le ore lavorative comprese nel periodo di
infortunio o malattia professionale.
La maggiorazione Cassa edile costituisce retribuzione a tutti gli effetti. Concorre pertanto a determinare
anche la retribuzione utile ai fine del calcolo del
TFR.
L’IMPORTO AGGIUNTIVO ALLA TREDICESIMA
DEI PENSIONATI
La legge Finanziaria per il 2001 (art. 70, comma 7, legge n. 388/2000) ha previsto, già dal 2001, il pagamento
di un importo aggiuntivo pari a euro 154,94 ai titolari
di una o più pensione il cui importo complessivo non
supera l’importo annuo del trattamento minimo del
fondo pensioni lavoratori dipendenti maggiorato
dell’importo aggiuntivo stesso. Si tratta dei cittadini
cd. «incapienti» in quanto la loro rendita pensionistica
annua è inferiore o pari al trattamento minimo dell’INPS e, pur avendo diritto alle detrazioni fiscali, non
possono goderne in quanto il loro importo è superiore
alle imposte che dovrebbero pagare. Una sorta dunque di rimborso fiscale a favore di chi non può godere
di tutte le detrazioni perché titolari di una pensione di
importo minimo.
Tale somma aggiuntiva è corrisposta unitamente alla
tredicesima mensilità, ma solo in presenza di particolari condizioni reddituali.
Ogni anno tale somma viene indicata in misura provvisoria ad inizio anno sul modello ObisM e non costituendo reddito, non viene certificato nell’imponibile
fiscale della pensione e non deve neppure essere diConsulenza n. 43/2013
10) Quintavalle - Rapporto di lavoro:10) Quintavalle - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 51
Rapporto di lavoro
–
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–
invalidità civile (cat. INVCIV);
pensione sociale (cat. PS);
assegno sociale (cat. AS);
rendita facoltativa di vecchiaia (cat. VOBIS) o di
invalidità (cat. IOBIS);
pensione di vecchiaia (cat. VMP) o di invalidità
(Cat. IMP) a favore delle casalinghe;
pensione di vecchiaia, di invalidità o ai superstiti a
carico della gestione speciale per il personale degli
Enti pubblici creditizi (cat. VOBANC, IOBANC e
SOBANC);
assegno straordinario di sostegno al reddito per i
dipendenti delle aziende di credito ordinario (cat.
VOCRED);
assegno straordinario di sostegno al reddito per i
dipendenti delle aziende di credito cooperativo
(cat. VOCOP);
assegno straordinario di sostegno al reddito per i
dipendenti delle aziende di credito delle esattorie
(cat. VOESA);
indennizzo per attività commerciale (cat. INDCOM) (Circ. n. 183 del 18 ottobre 2001);
pensioni erogate ai dirigenti iscritti all’ex fondo
INPDAI (cat. VDAI, IDAI e SDAI) (Circ. n. 144
del 25 ottobre 2004).
Sono esclusi inoltre i titolari di:
–
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–
–
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–
–
pensione eliminata;
pensione supplementare;
pensione detassata per convenzione contro la
doppia imposizione;
pensione con sostituzione dello Stato o rivalsa degli Enti locali;
pensione con pagamento localizzato presso uffici
pagatori di Sede (999, E9E, ELI, ELB, MOB, RED,
INV, 99V, Z4E, INE, EST, 94Z, 99R);
assegno di invalidità scaduto e non rinnovato;
pensione ai superstiti con l’intestatario scaduto
(Circ. n. 183 del 18 ottobre 2001);
–
pensioni con importo a dicembre uguale a zero
(Circ. n. 119 del 14 dicembre 2005).
Condizioni necessarie
Essendo la corresponsione subordinata all’accertamento dei requisiti reddituali, è stabilito che:
–
–
–
l’importo aggiuntivo non spetta, se l’importo
complessivo delle pensioni supera l’importo annuale del trattamento minimo maggiorato dell’importo aggiuntivo;
l’importo aggiuntivo spetta in misura parziale,
cioè fino a concorrenza del predetto limite se l’importo delle pensioni risulta annuo del trattamento
minimo e l’importo annuo del trattamento minimo maggiorato di 154,96 euro;
l’importo aggiuntivo spetta in misura intera se
l’importo complessivo delle pensioni è minore o
uguale all’importo annuo del trattamento minimo.
Le disposizioni valide per il 2013
Sono cambiati per il 2013 i limiti di reddito per poter
ottenere il beneficio così come comunicato dall’INPS
con Mess. n. 18100 dell’8 novembre 2013. Per aver diritto all’importo aggiuntivo bisogna verificare due parametri reddituali:
1) l’importo complessivo della pensione comprese
eventuali maggiorazioni sociali;
2) il reddito personale o coniugale.
Importo pensione per il 2013
Se l’importo complessivo delle pensioni comprensivo
delle maggiorazioni sociali è maggiore di 6.595,53 euro (T.M. anno 2013 + importo aggiuntivo) non spetta
nulla.
Se l’importo complessivo delle pensioni comprensivo delle maggiorazioni sociali è inferiore a 6.440,59
euro spetta l’intero importo aggiuntivo se risultano
soddisfatte le condizioni reddituali proprie e del coniuge.
Se l’importo complessivo delle pensioni comprensivo
delle maggiorazioni sociali è compreso tra 6.440,59
euro e 6.595,53 euro spetta la differenza tra 6.595,53
euro e l’importo delle pensioni se risultano soddisfatte
le condizioni reddituali proprie e del coniuge.
LIMITI DI REDDITO 2013
Anno pensionato solo
9.660,88 euro
Pensionato coniugato 2013
19.321,77 euro
Consulenza n. 43/2013
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Lavoro & Previdenza
chiarato per la corresponsione delle prestazioni previdenziali e assistenziali. Non occorre presentare alcuna
domanda per ottenere l’importo aggiuntivo in quanto
l’INPS, attraverso la campagna RED, è già in possesso
di tutti i dati necessari per procedere alla corresponsione in presenza dei requisiti necessari.
Sono esclusi da tale provvidenza i pensionati titolari di:
10) Quintavalle - Rapporto di lavoro:10) Quintavalle - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 52
Rapporto di lavoro
Lavoro & Previdenza
I redditi da considerare sono quelli assoggettabili ad
IRPEF e coincidono con quelli da prendere in considerazione per l’integrazione al trattamento minimo.
LE AZIENDE IN CRISI
Soprattutto con i tempi che corrono, molti lavoratori si
sono trovati senza lavoro ma fortunatamente tutelati
dall’intervento degli ammortizzatori sociali anche in
deroga alle normali previsioni normative. Generalmente quando non si lavora la tredicesima potrebbe
non maturare ma tale principio, abbiamo visto, non
vale per tutte le assenze. Alcune, infatti, consentono la
maturazione della tredicesima intera da parte del datore di lavoro e altre ancora invece sono assenze che vengono coperte da trattamenti salariali già comprensivi
della mensilità aggiuntiva. In un periodo di crisi occupazionale come quello che stiamo vivendo è utile dunque fare un quadro di ciò che succede in caso di intervento degli ammortizzatori sociali per crisi aziendale.
Tredicesima e integrazione salariale
Il calcolo della mensilità aggiuntiva nei periodi in cui
vi sia un intervento di cassa integrazione è diverso a seconda si tratti di sospensione a zero ore o ad orario ridotto.
L’indennità corrisposta dall’INPS è comprensiva anche della quota di retribuzione relativa alla tredicesima mensilità per tutte le ore in cui il lavoratore è posto
in CIG. Il datore di lavoro, quindi, erogherà la tredicesima trattenendo dall’ammontare intero, il numero di
ore annue trascorse in CIG.
In caso di cassa integrazione ad orario ridotto occorre
verificare l’importo spettante al lavoratore calcolato
all’80% della retribuzione e raffrontarlo con i massimali previsti ogni anno per legge dall’INPS.
Una volta ottenuto l’importo su cui calcolare l’80%,
avendo avuto cura di considerare anche tutti gli elementi continuativi della retribuzione del dipendente,
il datore di lavoro dovrà conteggiare i ratei delle mensilità aggiuntive maturati nel periodo di CIG o CIGS.
Questi ratei, che sono al 100% a carico del datore di lavoro per le ore lavorate, restano a carico dell’INPS per
le ore di sospensione del lavoro e quindi calcolati anch’essi all’80%, nel seguente modo: importo della
mensilità aggiuntiva diviso 2.000 (ore lavorabili in un
anno, riproporzionabili per periodo inferiore all’anno).
Fatti i dovuti calcoli, se l’80% della retribuzione ordinaria supera il massimale orario di integrazione, dovrà essere corrisposto il massimale orario per ogni ora di intervento di CIG/CIGS, non rimanendo spazio per l’integrazione salariale relativa alle mensilità aggiuntive.
52
Se invece il massimale non viene raggiunto con la sola
retribuzione ordinaria, al lavoratore potrà essere corrisposta, oltre alla quota calcolata, anche una parte
delle mensilità aggiuntive fino al limite del massimale
stabilito. In questo caso il datore di lavoro porterà a
rimborso, nel momento dell’erogazione della mensilità aggiuntiva, la quota a carico dell’INPS per non raggiungimento del limite mensile con la sola retribuzione ordinaria.
Calcolo dell’integrazione
80% della paga oraria x n. ore autorizzate = tot. integrazione – 5,84% = trattamento CIG da corrispondere
se non superiore al massimale.
Cassa integrazione con sospensione a zero ore
Nel caso di sospensione dal lavoro a zero ore, i ratei
maturano a carico dell’INPS. Se l’ammontare dell’integrazione salariale è inferiore al massimale della CIG,
il rateo matura a carico dell’Istituto di previdenza fino
al raggiungimento del massimale.
Tredicesima e contratto di solidarietà
In caso di integrazione salariale dovuta a intervento
del contratto di solidarietà difensivo si dovranno distinguere i ratei maturati ante adozione orario ridotto
da quelli maturati in un periodo di applicazione di
contratto di solidarietà adottando due contatori e accantonando due quote:
–
–
una di spettanza del datore di lavoro corrispondente alle ore di prestazione e di assenza tutelata;
una quota di spettanza dell’INPS riferita alle ore
non prestate, per effetto della riduzione concordata nel contratto di solidarietà.
Tredicesima e indennità di mobilità
In caso di lavoratore in mobilità, non sussiste il diritto
alla percezione della tredicesima mensilità in quanto
gli importi massimali e minimali stabiliti annualmente dall’istituto di previdenza sono già comprensivi della mensilità aggiuntiva.
Valori massimali 2013 - Cassa Integrazione
e Mobilità
Come da Circ. INPS n. 20 dell’8 febbraio 2012 i massimali per l’anno 2013 sono i seguenti:
–
–
per una retribuzione inferiore o uguale ad
2.014,77 = euro 931,28 lordi (al netto del 5,84%
= euro 876,89);
per un retribuzione superiore a 2.014,77 = euro
1.119,32 (al netto del 5,84% = euro 1.053,95). n
Consulenza n. 43/2013
11) Zurri - Rapporto di lavoro:11) Zurri - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 53
Rapporto di lavoro
CONGUAGLIO FISCALE 2013
stionali utilizzati nell’ambiNel mese di dicembre di
Il conguaglio fiscale è la procedura
to di una normativa in conogni anno il datore di lavoattraverso la quale il datore
tinua evoluzione, purtropro, in quanto sostituto d’imdi lavoro, calcolato il reddito
po anche in corrispondenposta, è chiamato ad effetza con la fine dell’anno e a
tuare il conguaglio fiscale.
di ogni lavoratore, trattiene
cedolini paga del mese di
Questa attività si rende nela somma stabilita dall’imposta
dicembre, magari già chiucessaria in quanto è solo alla
sul reddito (IRPEF). Il reddito
si. Qui viene in soccorso il
scadere del periodo d’impoimponibile si calcola tenendo
legislatore con la previsiosta che il reddito di ciascun
ne di cui all’art. 23, comma
dipendente è diventato deficonto di precise condizioni,
3 del D.P.R. n. 600 del 1973:
nitivo.
di seguito descritte, insieme
i sostituti d’imposta devoInfatti, il datore di lavoro
alle corrispondenti modalità
no effettuare le attività di
da gennaio a novembre efdi calcolo, tenuto conto delle
conguaglio entro il 28 febfettua le trattenute relative
braio dell’anno successivo
all’Imposta sul Reddito delprocedure previste per il 2013
al periodo di imposta conle Persone Fisiche (d’ora in
siderato (entro il 28 febpoi IRPEF) sulla base di un
braio 2014 per il periodo di imposta 2013). All’interreddito presunto, che può essere quello dell’anno
no di questo conguaglio possono rientrare anche le
precedente o, ad es., quello esatto del mese, comsomme di competenza del periodo di imposta 2013
prensivo delle voci variabili dello stipendio, someventualmente corrisposte ai lavoratori, entro il 12
mato alle mensilità che residuano, comprese le
gennaio 2014 (art. 51, comma 1 del T.U.I.R., cd. prinmensilità aggiuntive e applica delle detrazioni, per
cipio di cassa allargato).
lavoro dipendente e per carichi familiari, tenendo
conto del numero di giornate che possono dare diritto a tali detrazioni. Quindi con il mese di dicemREDDITO IMPONIBILE
bre, si ha il dato certo del reddito complessivamente
Le somme oggetto di conguaglio fiscale di fine anno
percepito dal lavoratore ed è possibile calcolare
sono quelle corrisposte a titolo di reddito per il lavol’imposta totale da questi effettivamente dovuta nel
ro dipendente (art. 49 del D.P.R. n. 917 del 1986,
periodo di imposta considerato. Una volta calcolato
T.U.I.R.) e i redditi ad esso assimilati (indicati nelil reddito complessivo, verranno calcolate anche le
l’art. 50 del T.U.I.R.), quali i compensi erogati per
addizionali comunali e regionali all’IRPEF, che sacollaborazioni a progetto, borse di studio, ecc. Sono
ranno trattenute a decorrere dal successivo periodo
inoltre considerati reddito da lavoro dipendente gli
d’imposta.
importi corrisposti a titolo di cassa integrazione
Il risultato dell’attività di conguaglio sarà una somma
guadagni, l’indennità di mobilità, le indennità corria debito o a credito del lavoratore a seconda se il reddisposte dagli Enti previdenziali ed assicurativi per la
to presunto assunto come parametro nel corso delmalattia, la maternità e per l’inabilità temporanea.
l’anno sia stato inferiore o superiore a quello effettivaRientrano tra i redditi imponibili fiscalmente i commente percepito dal lavoratore a conclusione del pepensi in natura (fringe benefit) per la quota determiriodo d’imposta, alla luce della corretta applicazione
nata nel loro «valore normale» al netto di eventuali
delle detrazioni in concreto.
somme trattenute al dipendente per la cessione del
Alla luce di quanto sopra, occorre poi tenere conto
bene o la prestazione del servizio, le prestazioni sodel fatto che le articolate operazioni di conguaglio,
stitutive della mensa (cd. ticket) per l’importo eccesono anche il risultato di un buon lavoro di controllo
dente gli euro 5,29 al giorno, le erogazioni liberali in
e di adeguamento del corretto funzionamento, nel
natura eccedenti gli euro 258,23, le pensioni di ogni
corso di tutto l’anno fiscale, ormai, dei software gegenere, gli assegni equiparati alle pensioni, gli inteConsulenza n. 43/2013
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Lavoro & Previdenza
di Angela Zurri
11) Zurri - Rapporto di lavoro:11) Zurri - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 54
Lavoro & Previdenza
Rapporto di lavoro
ressi e le rivalutazioni su crediti di lavoro dipendente.
Le trasferte effettuate nell’ambito del territorio comunale in cui si trova la sede di lavoro concorrono
interamente alla formazione del reddito imponibile,
tuttavia sono esclusi da tassazione i rimborsi spese
di trasporto documentati idoneamente. Le trasferte
al di fuori del territorio comunale sono imponibili
nella parte eccedente gli importi di euro 46,48 al
giorno in caso di trasferta in territorio nazionale e di
euro 77,47 per le trasferte all’estero qualora venga
corrisposta un’indennità forfettaria, cioè che prescinda dall’ammontare delle spese di vitto e alloggio
effettivamente sostenute. In caso di rimborso misto,
cioè di rimborso delle spese in parte a piè di lista e in
parte mediante l’erogazione di un’indennità forfettaria, l’importo su cui calcolare l’eccedenza imponibile viene ridotto di un terzo (rispettivamente diventano euro 30,99 e 51,65) qualora vengano rimborsate le spese di vitto e alloggio o in caso questi
vengano forniti gratuitamente, mentre viene ridotta
di due terzi (euro 15,49 e euro 25,82). Sia in caso di
rimborso forfettario che rimborso misto, i rimborsi
per spese di viaggio, anche in forma di indennità chilometrica, analiticamente ed idoneamente documentati non concorrono alla formazione del reddito. In caso di rimborso analitico le spese, appunto,
analiticamente documentate e dettagliate di vitto,
alloggio, viaggio e trasporto, non concorrono a formare il reddito: i rimborsi per altre spese, anche non
documentabili, ma analiticamente dettagliate dal
dipendente (quali ad esempio spese telefoniche, parcheggio, mance, ecc.) sono imponibili nella misura
che eccede il limite giornaliero di euro 15,49, elevabili ad euro 25,82 per le trasferte effettuate all’estero.
Le indennità per il trasferimento della sede di lavoro
del dipendente sono imponibili per il 50% del loro
importo, solo per il primo anno e nel limite di euro
1.549,37 per il trasferimento sul territorio nazionale
ed euro 4.648,11 per le trasferte verso e dall’estero.
Devono, altresì, essere prese in considerazione le retribuzioni convenzionali attribuite, in luogo dell’effettiva retribuzione, ai lavoratori che hanno prestato
attività lavorativa all’estero, in via continuativa e ed
esclusiva, per un periodo superiore a 183 giorni
nell’arco di 12 mesi (art. 51, comma 8-bis, del
T.U.I.R.).
Nel reddito complessivo è compreso anche l’eventuale
reddito dei fabbricati assoggettato alla cedolare secca
sulle locazioni.
In caso di pluralità di rapporti di lavoro e, quindi, di
pluralità di somme corrisposte ad un medesimo percettore, il datore di lavoro dovrà, a prescindere dal fatto che il lavoratore ne abbia fatto richiesta, provvedere
54
a considerare le somme complessivamente corrisposte. Allo stesso modo, in caso di operazioni societarie
straordinarie, in cui si sia verificato il passaggio di lavoratori da un datore di lavoro all’altro, senza interruzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro che subentra dovrà effettuare le operazioni di conguaglio tenendo conto di quanto già eseguito dal datore di lavoro precedente.
SOMME ESCLUSE DALL’IMPONIBILE
A TASSAZIONE ORDINARIA
Sono escluse dall’imponibile assoggettato a tassazione
ordinaria le somme correlate alla produttività tassate
al 10% e riconosciute sulla base della contrattazione
decentrata (legge n. 228/2012). Per avere diritto a tale
misura agevolativa, per il 2013, il lavoratore deve aver
conseguito nel 2012 un reddito complessivo, assoggettato a tassazione ordinaria, sommato all’importo
agevolato in tale anno non superiore ad euro
40.000,00. La retribuzione «di produttività» agevolabile è pari ad euro 2.500,00 al netto dei contributi a carico del dipendente e al lordo della ritenuta del 10%. È
opportuno che in sede di conguaglio fiscale si provveda ad un nuovo controllo delle situazioni che possono
comportare o meno il diritto a questa agevolazione,
con particolare riferimento ai lavoratori che nel corso
dell’anno abbiano avuto rapporti di lavoro con altri
sostituti percependo già somme assoggettate ad imposta sostitutiva o che nel corso dell’anno precedente abbiano avuto altri rapporti di lavoro, oltre a quello con
l’attuale sostituto, superando eventualmente il limite
di euro 40.000,00 di reddito complessivo oltre il quale
gli importi «di produttività» sono assoggettati a tassazione ordinaria.
Sono altresì esclusi dal computo dell’imponibile gli
emolumenti da assoggettare a tassazione separata,
quali gli arretrati di anni precedenti, corrisposti nel
periodo di imposta che stiamo esaminando.
CALCOLO DELL’IMPOSTA
Una volta determinato il reddito imponibile fiscale
annuo attraverso la somma di tutti i redditi precedentemente descritti percepiti mese per mese dal lavoratore, compresi quelli ulteriori da questi eventualmente comunicati, e sottraendo allo stesso gli
oneri deducibili (principalmente i contributi previdenziali e assistenziali a carico del lavoratore), il sostituto d’imposta datore di lavoro provvede al calcolo
dell’imposta lorda IRPEF dovuta, che si ottiene applicando al reddito complessivo, le seguenti aliquote
IRPEF progressive per scaglioni di reddito (art. 11
del T.U.I.R.) e nei limiti della capienza dell’imposta
lorda:
Consulenza n. 43/2013
11) Zurri - Rapporto di lavoro:11) Zurri - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 55
fino a euro 15.000,00
aliquota 23% sull’intero importo
oltre 15.000,00 e fino a euro 28.000,00
aliquota 27% - 3.450,00 + 27% sulla parte eccedente i 15.000,00
oltre 28.000,00 e fino a euro 55.000,00
aliquota 38%
oltre 55.000,00 e fino a euro 75.000,00
aliquota 41%
oltre a euro 75.000,00
aliquota 43% - 25.420,00 + 43% sulla parte eccedente i 75.000,00
DETERMINAZIONE DELLE DETRAZIONI
DI IMPOSTA
Una volta calcolata l’imposta lorda dovuta dal lavoratore, il sostituto dovrà determinare le detrazioni spettanti per produzione di reddito (art. 11 del T.U.I.R.) e
per carichi di famiglia (art. 12 del T.U.I.R.), nonché
eventuali oneri detraibili (art. 15 del T.U.I.R.), detrazioni per canoni di locazione (art. 16 del T.U.I.R.) e il
credito per le imposte pagate all’estero.
Il D.L. n. 70 del 2011 ha abolito l’obbligo di comunicazione annuale sulle detrazioni fiscali. Al datore di lavoro devono essere comunicate solo le eventuali variazioni (come ad esempio la nascita di un figlio) e il lavoratore può fare richiesta al datore di lavoro di effettuare mensilmente le trattenute ed effettuare il conguaglio fiscale tenendo conto anche di altri redditi oppure
mediante l’applicazione di un’aliquota diversa, laddove vi ravvisi la convenienza. Vi è anche la possibilità di
vedersi riconosciute ulteriori detrazioni, oltre a quella
per lavoro dipendente, quali ad esempio l’eventuale
detrazione minima garantita, che spetta ai lavoratori
che hanno meno di 8.000 euro di reddito, oppure la
detrazione per canoni di locazione. Una detrazione
IRPEF spetta al lavoratore giovane dai 20 ai 30 anni
che paghi un canone di locazione.
Le detrazioni devono essere rapportate al periodo di lavoro (art. 13 del T.U.I.R.). In particolare, la Circ. Agenzia delle entrate n. 15/E del 16 marzo 2007, confermando i chiarimenti forniti dalla C.M. n. 3 del 9 gennaio
1998, precisa che i giorni per i quali spetta la detrazione
coincidono con quelli che hanno dato diritto alla retribuzione che è stata assoggettata a ritenuta. Pertanto,
nel numero di giorni in virtù dei quali va calcolata la
detrazione devono essere comprese le festività, i riposi
settimanali e gli altri giorni non lavorativi, mentre de-
vono essere sottratti i giorni per i quali non spetta alcuna retribuzione (ad esempio, in caso di assenza per
aspettativa non retribuita, sospensione disciplinare,
ecc.), sempre che l’assenza sia ininfluente sulla maturazione dei ratei di mensilità aggiuntive, in tal caso la detrazione spetta per intero. Nessuna riduzione delle detrazioni è effettuata in caso di articolazione dell’orario
di lavoro, quali il part-time (orizzontale, verticale,
ecc.), né in presenza di giornate di sciopero. Ai fini
dell’attribuzione delle detrazioni da lavoro, l’anno deve essere sempre assunto come composto di 365 giorni,
anche quando è bisestile, mentre per le detrazioni per
familiari a carico si ha riguardo al numero di mesi in cui
tale condizione si verifica.
La condizione di familiare a carico presuppone l’esistenza di un rapporto di parentela ed è riconosciuta a
prescindere dal requisito della residenza, purché il
soggetto che si vuole assumere a carico del lavoratore
abbia un reddito complessivo annuo lordo non superiore ad euro 2.840,51. Quindi, ad esempio, non potrà
essere considerato a carico del coniuge, il figlio dell’altro coniuge nato da precedente matrimonio.
La detrazione per coniuge a carico è prevista nella misura di euro 800,00 se il reddito complessivo non supera gli euro 15.000,00, si applica la detrazione teorica,
che si ottiene attraverso la seguente formula:
800 - [(100 x reddito complessivo) : 15.000,00]
Se il rapporto è uguale a 1 la detrazione compete per intero, se uguale a zero non compete, negli altri casi il risultato della precedente formula si assume con troncamento alla quarta cifra decimale (quindi non si arrotonda).
Se il reddito complessivo è superiore a euro 15.000,00
ed inferiore ad euro 40.000,00:
da euro 15.001,00 a euro 29.000,00
importo detrazione euro 690,00
da euro 29.001,00 a euro 29.200,00
importo detrazione euro 700,00
da euro 29.201,00 a euro 34.700,00
importo detrazione euro 710,00
da euro 34,701,00 a euro 35.000,00
importo detrazione euro 720,00
da euro 35.001,00 a euro 35.100,00
importo detrazione euro 710,00
da euro 35.101,00 a euro 35.200,00
importo detrazione euro 700,00
da euro 35.201,00 a euro 40.000,00
importo detrazione euro 690,00
Consulenza n. 43/2013
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Lavoro & Previdenza
Rapporto di lavoro
11) Zurri - Rapporto di lavoro:11) Zurri - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.20 Pagina 56
Rapporto di lavoro
Se il reddito complessivo è superiore a euro 40.000,00
ed inferiore ad euro 80.000,00, si applica la detrazione
teorica, che si ottiene attraverso la seguente formula:
Lavoro & Previdenza
690 x [(80.000 - reddito complessivo) : 40.000]
Anche qui, se il rapporto è uguale ad 1 la detrazione
compete per intero, se uguale a zero non compete, negli altri casi il risultato della precedente formula si assume con troncamento alla quarta cifra decimale
(quindi non si arrotonda).
euro 0 se il reddito complessivo è superiore ad euro 80.000,00
La detrazione ordinaria per ogni figlio a carico è pari
ad euro 800,00, euro 900,00 per ogni figlio di età inferiore ai tre anni, euro 1.020,00 per ogni figlio disabile
di età superiore ai tre anni ed euro 1.120,00 per ogni figlio disabile di età inferiore ai tre anni. Nel caso i figli
siano in numero superiore a tre tali detrazioni sono
aumentate di euro 200,00 per ciascun figlio. Anche in
questo caso le detrazioni sono teoriche e si ottengono
mediante la seguente formula:
importo detrazione x [(95.000,00 - reddito complessivo) : 95.000,00]
Quanto all’importo della detrazione deve essere indicata quella che interessa nel caso di specie, mentre il
valore 95.000 sarà eventualmente aumentato di
15.000,00 tante volte quanti sono gli ulteriori figli a carico, tenendo presente comunque che, oltre il quinto
figlio, resterà invariato l’importo delle detrazioni a seconda dell’età (euro 1.100,00 o euro 1.000).
Quanto al risultato (uguale a 1, uguale a zero o altro risultato) ci si regola qui come sopra descritto.
Per quel che riguarda le modalità di ripartizione delle detrazioni tra i coniugi, è da rilevare che dal 2007 vengono
stabiliti dei criteri fissi di ripartizione. La regola generale
prevede che la detrazione sia ripartita al 50% tra i genitori, salvo che essi si accordino (il modulo delle detrazioni
che si consegnerà al dipendente dovrà essere opportunamente compilato e sottoscritto, nel caso, da entrambi
i genitori) nell’attribuire al genitore con il reddito complessivo più elevato l’intera detrazione. Questa sarà attribuita anche al genitore che abbia il coniuge a carico.
In caso di genitori legalmente ed effettivamente separati, la detrazione spetta nella misura del 100% al genitore affidatario (fatto salvo l’eventuale diverso accordo tra essi), nella misura del 50% per ciascun genitore
in caso di affidamento congiunto, anche qui salvo diverso accordo che possa intervenire tra i genitori (Ris.
Agenzia delle entrate n. 143/E/2010): in caso di accordo, comunque, la scelta rimane tra una ripartizione al
56
100% oppure al 50%. La circolare dell’Agenzia delle
entrate n. 34/E/2008 ha, inoltre, precisato che la possibilità di attribuire per intero la detrazione al genitore
con il reddito più basso ricorre solo nell’ipotesi di genitori separati nel caso in cui il genitore con il reddito
complessivamente più alto non possa fruire della stessa per incapienza dell’imposta. Con riferimento, invece, ai genitori non coniugati, la Circ. n. 15/E/2007 ha
specificato l’applicabilità della medesima disciplina
prevista in caso di separazione legale dei coniugi, sempre che siano presenti provvedimenti di affidamento,
in assenza dei quali la detrazione deve essere attribuita
a ciascun genitore nella misura del 50%, salvo diverso
accordo. In tal caso la detrazione dovrà essere attribuita al genitore con il reddito più alto.
Con la legge n. 244/2007, con l’inserimento del comma
1-bis all’art. 12 T.U.I.R., è stata introdotta un’ulteriore
detrazione per famiglie numerose. Essa spetta ai lavoratori con almeno quattro figli a carico e nella misura
complessiva tra i due genitori di euro 1.200,00, rapportato a ciascun periodo di paga (potrà essere nella misura
di euro 100,00 o euro 50,00, da utilizzare fino a capienza
dell’imposta netta del mese) e di sussistenza della condizione di familiare a carico dei figli. La detrazione spetta in misura intera al coniuge che ha carico l’altro genitore, mentre è in ogni caso ripartita al 50% in tutte le altre situazioni che possono venirsi a creare. Questo in
quanto, anche in caso di incapienza, viene comunque
riconosciuto al lavoratore un credito d’imposta di importo pari a quello che nella stessa non ha trovato capienza. Ed è proprio in occasione del conguaglio di fine
anno che il datore di lavoro dovrà procedere a rideterminare l’ulteriore credito spettante e quindi il credito
effettivamente da riconoscere, dopo aver scomputato
quello già riconosciuto nel corso dei mesi precedenti.
Determinata a questo punto l’imposta effettivamente
dovuta, sulla base dell’ammontare definitivo e complessivo delle somme corrisposte, tenuto conto degli
oneri deducibili, delle detrazioni fiscali e per oneri, anch’esse ormai calcolate sulla base del reddito complessivo, il datore di lavoro provvederà a scomputarvi gli
importi trattenuti a titolo d’acconto durante l’anno.
Il risultato di tale operazione potrà essere un conguaglio a debito del lavoratore, che si vedrà trattenuta la
maggior imposta, o a credito, caso in cui l’imposta sarà
rimborsata.
Il datore di lavoro provvederà al versamento di quanto
trattenuto, secondo i principi generali, entro il 16 del
mese successivo: se l’operazione di conguaglio è stata
effettuata il 31 dicembre, il versamento tramite il modello F24 delle imposte a conguaglio sarà effettuato
entro il 16 gennaio successivo, se le operazioni di conguaglio sono calcolate nelle buste paga di gennaio, il
versamento sarà da effettuare entro il 16 febbraio. n
Consulenza n. 43/2013
12) Romano - Rapporto di lavoro:12) Romano - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 57
Rapporto di lavoro
di Alberto Romano - Consulente del lavoro in Salerno
Al fine di agevolare e promuovere l’integrazione sociale dei disabili e il pieno
sviluppo della loro persona
anche nell’ambito professionale, la legge si preoccupa di
favorirne l’inserimento nel
mondo del lavoro attraverso
incentivi e misure di sostegno al loro collocamento e,
soprattutto, imponendo ad
aziende di certe dimensioni,
l’assunzione di una certa
quota di categorie protette.
Per proteggere specifiche
categorie di lavoratori affette
da svantaggi che potrebbero
compromettere l’approccio con
il mondo del lavoro, la legislazione
obbliga determinate categorie
di datori di lavoro a riservare
una quota della assunzioni
agli appartenenti alle categorie
protette. Il cosiddetto
«Collocamento obbligatorio»
necessita di specifiche condizioni e
procedure, qui di seguito descritte
CATEGORIE PROTETTE
Possono iscriversi nell’apposito elenco del Centro per l’ Impiego territorialmente competente «Collocamento obbligatorio» le persone disabili, che abbiano compiuto 15 anni di età e non ancora raggiunto l’età pensionabile, appartenenti ad una delle seguenti categorie:
–
–
–
invalidi civili: persone in età lavorativa, affette da
minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e i portatori di handicap intellettivo con una riduzione della
capacità lavorativa superiore al 45% o non vedenti
(cecità assoluta o con residuo visivo non superiore a
un decimo a entrambi gli occhi, con correzione) o
sordomute (colpite da sordità dalla nascita o prima
dell’apprendimento della lingua parlata);
invalidi del lavoro: persone con grado di invalidità
superiore al 33%, a seguito di infortunio sul lavoro
o malattia professionale, accertata dall’INAIL in
base alle disposizioni vigenti;
invalidi di guerra, civili di guerra o per servizio: persone con minorazioni rientranti tra la prima e l’ottava delle categorie indicate in allegato al Testo Unico
delle norme in materia di pensioni di guerra (D.P.R.
n. 915/1978). Possono ottenere l’iscrizione nell’elenco dei disabili anche i coniugi ed i figli dei grandi invalidi per causa di servizio, di guerra o di lavoro a
condizione che essa avvenga in via sostitutiva dell’avente diritto a titolo principale.
Consulenza n. 43/2013
–
–
–
–
–
Con il sistema del Collocamento obbligatorio tutti i
datori di lavoro che occupano almeno 15 dipendenti sono obbligati ad assumere un numero di soggetti appartenenti alle categorie protette che varia in base al numero dei lavoratori
validi occupati e computabili.
DATORI DI LAVORO
ESCLUSI
Sono esclusi dall’obbligo i
datori di lavoro operanti nei
seguenti settori:
edilizia, limitatamente al personale di cantiere e
agli addetti al trasporto del settore (art. 1, comma
53, legge n. 247/2007; Nota MinLav. 29 gennaio
2008 n. 13/III/002256);
trasporto aereo, marittimo e terrestre, limitatamente al personale viaggiante e navigante;
impianti a fune, in relazione al personale direttamente adibito alle aree operative di esercizio e regolarità dell’attività di trasporto;
autotrasporto, per quanto concerne il personale
viaggiante;
minerario, limitatamente al personale di sottosuolo e quello adibito alle attività di movimentazione e
trasporto del minerale (art. 2, comma 12-quater,
D.L. n. 225/2010, conv. in legge n. 10/2011).
Per determinare il numero di soggetti disabili da assumere è necessario individuare la dimensione occupazionale dell’azienda.
Rientrano nel calcolo della quota di riserva, di norma,
tutti i lavoratori assunti con contratto a tempo pieno e
indeterminato con la esclusione dei seguenti soggetti:
–
–
–
lavoratori già occupati ai sensi della legge n.
68/1999;
soci di cooperative di produzione e lavoro;
dirigenti;
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Lavoro & Previdenza
CATEGORIE PROTETTE
E INVIO PROSPETTO INFORMATIVO
12) Romano - Rapporto di lavoro:12) Romano - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 58
Rapporto di lavoro
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Lavoro & Previdenza
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apprendisti;
assunti con contratti di inserimento e reinserimento;
i lavoratori assunti a tempo determinato, con contratto di durata inferiore a 6 mesi. I contratti con
durata superiore si computano pro-quota e qualora il loro inserimento sia indispensabile per la realizzazione del ciclo produttivo, con esclusione,
quindi di quelli assunti per ragioni sostitutive;
soggetti appartenenti alle categorie protette di cui
all’art. 18, comma 2, legge n. 68/1999, quali orfani,
vedove e profughi nei limiti della percentuale prevista e già assunti al 18 gennaio 2000;
il personale viaggiante e navigante delle aziende
che operano nel settore del trasporto aereo, marittimo o terrestre;
il personale di cantiere delle aziende edili (che
opera all’interno del luogo in cui si effettuano i lavori) e addetti al trasporto (autisti) del settore edile. Per i lavoratori occupati in aziende del settore
laterizi, addetti alla fabbricazione di manufatti in
cemento armato, l’esclusione non si applica in
quanto svolgono attività all’esterno del cantiere
(Risp. Int. MinLav. 15 ottobre 2010, n. 36);
i lavoratori occupati in somministrazione presso
l’impresa utilizzatrice;
i lavoratori assunti per attività da svolgersi all’estero per la durata del lavoro stesso;
i soggetti impegnati in lavori socialmente utili;
i lavoratori che aderiscono al programma di emersione;
i lavoratori a domicilio;
i lavoratori di particolari settori quali gli impianti
a fune, settore minerario e personale di sottosuolo;
il personale di partiti politici, organizzazioni sindacali e senza scopo di lucro eccezion fatta per il
personale tecnico esecutivo, con funzioni amministrative, e solo in caso di nuove assunzioni.
I lavoratori part-time si computano per la quota di
orario effettivamente svolta, tenendo conto dell’orario previsto dalla contrattazione collettiva di settore. Il
Ministero del lavoro, con la Circ. n. 41/2000 ha chiarito che tali lavoratori si computano in proporzione all’orario svolto riferito alle ore ordinarie effettuate in
azienda, arrotondando alla unità le frazioni di orario
superiori alla metà di quello normale. Il calcolo aritmetico, quindi, verrà effettuato sommando le ore di
tutti i contratti part-time e rapportando la somma così
ottenuta al totale delle ore prestate a tempo pieno, in
base al CCNL di categoria, con il successivo arrotondamento ad unità delle frazioni superiori al 50%.
La quota di riserva così calcolata serve ad individuare
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il numero di assunzioni obbligatorie imposto alle imprese, sia pubbliche che private. In particolare, i datori
di lavoro che occupano:
–
–
–
–
da 15 a 35 dipendenti devono assumere 1 disabile
entro 12 mesi dalla prima nuova assunzione e entro 60 giorni dalla seconda nuova assunzione (non
sono considerate nuove assunzioni quelle effettuate per la sostituzione di lavoratori assenti con
diritto alla conservazione del posto, per la durata
dell’assenza, quelle dei lavoratori cessati dal servizio qualora siano sostituiti entro 60 giorni e quelle
effettuate ai sensi della legge n. 68/1999);
da 36 a 50 dipendenti devono assumere 2 disabili;
da 51 a 150 dipendenti devono assumere il 7% dei
soggetti disabili e 1 soggetto delle categorie protette ex art. 18, comma 2, legge n. 68/1999;
oltre 151 dipendenti devono assumere il 7% dei
soggetti disabili e l’1% dei soggetti delle categorie
protette.
Per quanto riguarda il computo dei lavoratori disabili
occupati part-time a copertura della quota di riserva,
deve considerarsi singolarmente l’orario prestato da
ciascun lavoratore, rapportato al normale orario a
tempo pieno, con arrotondamento ad unità qualora
l’orario prestato sia superiore al 50% dell’orario ordinario (Circ. MinLav. 26 giugno 2000, n. 41).
Rientrano nella quota di riserva, riducendo il numero
di assunzioni obbligatorie, le seguenti categorie:
–
–
–
–
–
–
centralinisti e terapisti della riabilitazione non vedenti;
massaggiatori e massofisioterapisti ciechi;
orfani e coniugi superstiti nei limiti della percentuale dell’1% e solo se assunti prima del 18 gennaio
2000;
lavoratori divenuti inabili allo svolgimento delle
proprie mansioni per infortunio o malattia con
una riduzione della capacità lavorativa in misura
pari o superiore al 60%;
lavoratori divenuti inabili, successivamente all’assunzione, per infortunio sul lavoro o malattia professionale con riduzione della capacità lavorativa
in misura pari o superiore al 33%;
lavoratori già invalidi prima della costituzione del
rapporto di lavoro, ma assunti fuori dalla procedure che regolano il collocamento obbligatorio, se
il grado di invalidità civile risulta superiore al 60%
o superiore al 33% se l’invalidità è derivante da
infortunio su lavoro o malattia professionale.
Gli obblighi relativi all’assunzione di soggetti appartenenti alle categorie protette devono essere rispettati a
livello nazionale.
Consulenza n. 43/2013
12) Romano - Rapporto di lavoro:12) Romano - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 59
Rapporto di lavoro
Consulenza n. 43/2013
dente la necessità di prorogare il termine per non più
di 30 giorni.
Gli obblighi di assunzione delle categorie protette sono temporaneamente sospesi in determinate situazioni di crisi aziendale quali:
–
–
CIGS e contratti di solidarietà: gli obblighi sono
sospesi per la durata dei programmi, per il singolo
ambito provinciale e in proporzione all’attività lavorativa effettivamente sospesa;
procedure di mobilità: gli obblighi sono sospesi
per la durata della procedura di mobilità e, nel caso in cui la stessa procedura si concluda con meno
di 5 licenziamenti, per 6 mesi.
Per fruire della sospensione il datore di lavoro deve
presentare comunicazione al servizio provinciale per
il collocamento mirato competente sul territorio dove
si trova la sede legale dell’impresa, allegando copia del
provvedimento amministrativo che riconosce la sussistenza delle condizioni previste dalla legge.
Le imprese in possesso del provvedimento amministrativo che riconosce la CIGS in deroga possono beneficiare della sospensione degli obblighi relativi al
collocamento obbligatorio presentando apposita richiesta, con allegata la copia del provvedimento stesso.
Una volta individuato il numero di assunzioni delle
categorie protette da effettuare, verificata la possibilità
di esoneri e/o sospensioni, se non vi è la copertura della quota d’obbligo è necessario presentare, agli uffici
competenti, le richieste di avviamento al lavoro.
PROSPETTO INFORMATIVO
Inoltre, le aziende soggette alla disciplina delle assunzioni obbligatorie devono presentare in via telematica,
entro il 31 gennaio, agli Uffici competenti un prospetto informativo contenente informazioni riguardanti
il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il
numero e i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva e i posti di lavoro e le mansioni disponibili per tali lavoratori. La situazione occupazionale aziendale deve essere riferita e fotografata al 31 dicembre dell’anno precedente. Con l’invio del prospetto si intende presentata anche la richiesta di avviamento al lavoro.
Se, rispetto all’ultimo prospetto inviato, non avvengono cambiamenti nella situazione occupazionale tali da
modificare l’obbligo o da incidere sul computo della
quota di riserva, il datore di lavoro non è tenuto ad inviare il prospetto.
L’obbligo ha comunque cadenza annuale; il prospetto
non deve essere ripresentato in corso d’anno in caso di
insorgenza di nuovi obblighi di assunzione: in tale
ipotesi infatti il datore di lavoro, entro 60 giorni dal ve-
59
Lavoro & Previdenza
LE IMPRESE «MULTILOCALIZZATE»
Ciò significa che i datori di lavoro che occupano il loro
personale in diverse unità operative dislocate sul territorio nazionale (cd. imprese «multilocalizzate») possono assumere in un’unità produttiva un numero di
lavoratori avviati obbligatoriamente superiore a quello prescritto dalla legge, portando le eccedenze in
compensazione con il minor numero di lavoratori assunti nelle altre unità produttive.
Inoltre, le imprese che fanno parte di un gruppo (cd.
«collegate o controllate»: art. 31 D.Lgs. n. 276/2003),
con sede in Italia – ferma restando la quota di riserva
obbligatoria per ciascuna impresa – possono assumere un numero di lavoratori avviati obbligatoriamente
superiore a quello previsto per legge, portandolo in
compensazione con le minori assunzioni effettuate in
altre imprese del gruppo, operanti in Italia.
La compensazione territoriale è effettuata dal datore
di lavoro direttamente, in via automatica con l’unico
onere formale di presentare il prospetto informativo
dal quale risulta l’adempimento dell’obbligo di assunzioni obbligatorie a livello nazionale, in base ai dati di
ciascuna unità produttiva (o di ciascuna impresa).
Il prospetto va inviato ai servizi competenti delle province in cui hanno sede le diverse unità produttive della stessa azienda (o le diverse imprese dello stesso
gruppo).
Le aziende con più di 35 dipendenti che dimostrino,
per le speciali condizioni della loro attività (faticosità,
pericolosità o particolari modalità di svolgimento), di
non potere occupare l’intera percentuale dei lavoratori svantaggiati prevista dalla legge, possono chiedere
di essere parzialmente esonerate dall’obbligo dell’assunzione.
La misura massima di esonero è determinata nel 60%
della quota di riserva (80% per i datori di lavoro operanti nei settori sicurezza e vigilanza e trasporto privato).
Per ottenere l’esonero parziale è necessario presentare una domanda al Servizio provinciale per l’impiego
del luogo in cui ha sede l’impresa versando, contestualmente, un contributo esonerativo per ciascuna
unità non assunta, fissato nella misura di euro 30,64
per ogni giorno lavorativo e per ogni disabile non occupato da versare al Fondo nazionale per l’occupazione dei disabili.
Nel caso in cui l’autorizzazione non venga concessa,
l’azienda dovrà presentare la richiesta di assunzione
entro 60 giorni e i contributi versati verranno conteggiati ai fini della regolarizzazione delle scoperture.
Il provvedimento definitivo di autorizzazione, che ha
una validità limitata nel tempo, deve essere emanato
entro 120 giorni dalla data di ricevimento della domanda, salvo che il Servizio non comunichi al richie-
12) Romano - Rapporto di lavoro:12) Romano - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 60
Lavoro & Previdenza
Rapporto di lavoro
rificarsi della scopertura, ha solo l’obbligo di inviare la
richiesta di assunzione e non anche quello di inviare il
prospetto.
Il datore di lavoro può provvedere all’invio telematico
del prospetto direttamente o per mezzo di un soggetto
abilitato (come ad esempio i consulenti del lavoro o altri professionisti abilitati).
È necessario avvalersi dei servizi informatici messi a disposizione dalle regioni e province autonome interessate (https://www.co.lavoro.gov.it/prospettoinformativo), accreditandosi con le modalità indicate dalle stesse. All’esito dell’invio la piattaforma rilascia una ricevuta dell’avvenuta trasmissione, recante la data e l’ora
di ricezione nel rispetto della normativa vigente. Tale
ricevuta fa fede, salvo prova di falso, per documentare
l’adempimento di legge e non deve essere seguita dalla
trasmissione di alcun documento cartaceo.
Il ritardato o il mancato invio del prospetto informativo è punito con una sanzione amministrativa.
Se la sede legale dell’azienda e le unità produttive sono
ubicate in due o più regioni, il datore di lavoro deve inviare il prospetto al Servizio informatico ove è ubicata
la sede legale dell’azienda (Lett. Circ. MinLav. 14 dicembre 2010, n. 7966).
La mancata indicazione nel prospetto informativo
delle mansioni disponibili per i lavoratori disabili non
è soggetta alla sanzione prevista per mancato o ritardato invio del prospetto (art. 15, comma 1, legge n.
68/1999), ma può essere ricondotta alla fattispecie che
punisce i comportamenti che si concretizzano di fatto
nella mancata copertura della quota di riserva per cause imputabili al datore di lavoro (art. 15, comma 4, legge n. 68/1999), in quanto il prospetto sia da considerarsi quale «richiesta di avviamento» e risulti una scopertura in capo al datore di lavoro a fronte di un prospetto lacunoso e carente degli elementi essenziali tali
da impedire la possibilità di un effettivo avviamento
lavorativo del disabile (Risp. Int. MinLav. 20 marzo
2009, n. 26).
Nel caso dei gruppi d’impresa per i quali è possibile
operare la compensazione territoriale, le singole
aziende facenti parte del gruppo e interessate dalla
compensazione devono presentare il prospetto informativo tutti gli anni, anche quando non sono intervenuti nell’anno precedente cambiamenti della situazione occupazionale. Il prospetto può essere inviato, per
le aziende facenti parte del gruppo, dall’impresa capogruppo abilitata ad agire in nome e per conto delle
stesse.
Il datore di lavoro, quando non lo fa tramite il prospetto informativo, deve presentare la domanda di assunzione obbligatoria agli uffici provinciali competenti,
entro 60 giorni da quello successivo alla data in cui
sorge l’obbligo stesso.
60
Generalmente l’obbligo di assunzione dei disabili
scatta in relazione al numero dei dipendenti presenti
in azienda.
Un particolare regime di favore è, tuttavia, previsto
per le aziende che occupano da 15 a 35 dipendenti. Infatti la legge ha previsto una disposizione che permette
di dilazionare il momento dell’assunzione obbligatoria: l’obbligo sorge, infatti, solo in caso di nuove assunzioni.
Tali aziende, infatti, qualora effettuino una nuova assunzione – aggiuntiva rispetto al numero di dipendenti in servizio – sono tenute ad assumere un lavoratore disabile entro i 12 mesi successivi a partire dalla
data in cui si effettua la predetta assunzione.
Tuttavia, se prima dell’assunzione del disabile l’azienda effettua una seconda nuova assunzione, è tenuta ad
assumere il lavoratore disabile, anche in un momento
precedente la scadenza del termine di 12 mesi (art. 3,
comma 2, legge n. 68/1999; art. 2, commi 2 e 3, D.P.R.
n. 333/2000). La richiesta di avviamento deve essere
inoltrata entro 60 giorni dalla data della seconda nuova assunzione.
Infine, l’obbligo di assunzione del disabile viene meno
quando, dopo una nuova assunzione cui seguono, repentinamente, le dimissioni del nuovo assunto o la
cessazione di altro dipendente, viene ripristinato il
precedente organico e non si provvede a sostituzione
entro 60 giorni dalle predette cessazioni (Circ. MinLav. 26 giugno 2000, n. 41).
MODALITÀ DI ASSUNZIONE
L’assunzione di una categoria protetta può avvenire
con le seguenti modalità:
–
richiesta nominativa:
-
–
per aziende che occupano da 15 a 35 dipendenti;
nel limite del 50% per aziende che occupano
da 36 a 50 dipendenti;
nel lmite del 60% per aziende che occupano
più di 50 dipendenti;
a prescindere dal numero di dipendenti nel
caso di stipula di apposita convenzione di inserimento lavorativo con gli uffici provinciali;
richiesta numerica: prevista, in via residuale, per
le assunzioni che non ammettono la nominativa.
In tal caso il datore di lavoro deve presentare agli
uffici provinciali competenti la richiesta di avviamento, indicando solo la qualifica del lavoratore
da assumere. Gli uffici provvedono a rilasciare il
nulla osta di avviamento attingendo dalle graduatorie dell’elenco dei lavoratori appartenenti alle
categorie svantaggiate. L’invio annuale del proConsulenza n. 43/2013
12) Romano - Rapporto di lavoro:12) Romano - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 61
–
–
spetto informativo vale quale richiesta numerica
di assunzione;
passaggio diretto di lavoratori appartenenti alle
categorie protette, al verificarsi di determinate
condizioni;
stipula di convenzioni: sono considerate accordi
aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento di obiettivi occupazionali e all’inserimento dei disabili.
Nelle convenzioni volte all’inserimento e all’integrazione dei soggetti disabili, sono stabiliti i tempi entro i
quali si deve procedere all’assunzione e le modalità
della stessa, come ad esempio la facoltà di scelta nominativa, lo svolgimento di periodi di prova più ampi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva,
svolgimento di tirocini, assunzione con contratto di
lavoro a termine.
Qualora la convenzione preveda l’inserimento a tempo indeterminato del disabile in azienda possono essere riconosciute (da parte di Regioni e Province autonome) particolari agevolazioni economiche (art. 13,
legge n. 68/1999).
Nell’ipotesi di inserimento lavorativo temporaneo
con finalità formative (art. 12, legge n. 68/1999), il datore di lavoro assume a tempo indeterminato il disabile (che viene computato nelle quote di riserva) e lo invia per essere impiegato presso un soggetto ospitante
(cooperative sociali, imprese sociali, disabili liberi
professionisti o datori di lavoro non soggetti all’obbligo di riserva) con oneri retributivi, previdenziali ed assistenziali a carico di quest’ultimo, per la durata della
convenzione (massimo 12 mesi, prorogabili di ulteriori 12 mesi). A fronte di ciò il datore di lavoro si impegna ad affidare al soggetto ospitante un determinato
ammontare di commesse. Tali convenzioni, non ripetibili per lo stesso soggetto, possono riguardare al massimo un lavoratore disabile se il datore di lavoro occupa meno di 50 dipendenti, oppure il 30% dei lavoratori
disabili se il datore di lavoro occupa più di 50 dipendenti.
La stipula della convenzione è ammessa esclusivamente a copertura dell’aliquota d’obbligo e, in ogni ca-
Consulenza n. 43/2013
so, nei limiti del 10% della quota di riserva. La convenzione prevede un piano personalizzato di inserimento
lavorativo e deve avere una durata non inferiore a 3
anni. Alla scadenza il datore di lavoro committente
può rinnovare la convenzione (una sola volta per un
periodo non inferiore a due anni), oppure assumere il
lavoratore disabile a tempo indeterminato mediante
chiamata nominativa. In tal caso il datore di lavoro potrà accedere al Fondo nazionale per il diritto al lavoro
dei disabili (art. 13, comma 4, legge n. 68/1999), con
diritto di prelazione nell’assegnazione delle risorse.
Infine le Convenzioni-quadro sono volte a promuovere l’inserimento dei lavoratori disabili nell’ambito
delle cooperative sociali attraverso il conferimento di
commesse di lavoro alle cooperative da parte delle imprese associate o aderenti (art. 14, D.Lgs. n. 276/2003;
art. 39, commi 10 e 11, D.L. n. 112/2008, conv. in legge
n. 133/2008). Sono stipulate, su base territoriale, dagli
organismi individuati dalle Regioni (art. 6, comma 1,
legge n. 68/1999) con le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori (comparativamente più
rappresentative a livello nazionale) e con le associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative [art. 1, comma 1, lett. b), legge n. 381/1991] e con i
consorzi (art. 8, legge n. 381/1991) e devono essere
convalidate dalle Regioni.
I lavoratori disabili inseriti nelle cooperative sociali
sono considerati utili ai fini della copertura della quota
di riserva a cui sono tenute le imprese conferenti.
La quota di riserva per ciascuna impresa è data dall’ammontare annuo delle commesse dalla stessa conferite diviso per il coefficiente fissato nella convenzione quadro precisando che tali limiti non devono essere
applicati nei confronti delle imprese che occupano da
15 a 35 dipendenti.
Sarà compito della Commissione provinciale del lavoro verificare che le cooperative sociali applichino correttamente detti limiti percentuali.
In ogni caso le imprese conferenti saranno tenute ad
adempiere l’obbligo di assunzione di lavoratori disabili ai fini della copertura della restante quota d’obbligo a loro carico.
n
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Lavoro & Previdenza
Rapporto di lavoro
13) Mancini - Rapporto di lavoro:13) Mancini - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 62
Rapporto di lavoro
Lavoro & Previdenza
ADOZIONE NAZIONALE
E INTERNAZIONALE (2a Parte)
di Edoardo Mancini - Consulente del lavoro in Roma
L’adozione è l’istituto giuridico che permette a un soggetto (adottante)
di trattare un altro soggetto (adottato) come figlio, dandogli il cognome.
La norma prevede che «l’adozione fa assumere, al minore adottato,
lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali porta anche il cognome»
TUTELE E GARANZIE PER I LAVORATORI
Lavoratori dipendenti
Ai lavoratori dipendenti sia in caso di adozione che affidamento è riconosciuta una protezione
analoga a quella prevista per la maternità naturale.
Astensione obbligatoria e Congedo di maternità (artt. 26 e 31, D.Lgs. 151/2001; art. 2, commi 452-454,
legge n. 244/2007; Circ. INPS 4 febbraio 2008, n. 16, Circ. INPS 7 maggio 2001, n. 97)
la data di ingresso in famiglia del minore
Le lavoratrici o, alternativamente, i
lavoratori che abbiano adottato un
minore hanno diritto ad un congedo di maternità (o di paternità) della
durata massima di 5 mesi, anche
qualora durante il congedo il minore raggiunga la maggiore età.
Il genitore deve presentare all’INPS e al
datore di lavoro, la domanda di congedo, corredata dalla certificazione
dell’Ente autorizzato all’adozione dalla
quale si rilevi
la durata delle assenze dal lavoro
l’avvio del procedimento presso il Tribunale
per la conferma della validità dell’adozione
62
Consulenza n. 43/2013
13) Mancini - Rapporto di lavoro:13) Mancini - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 63
Fruizione
Le modalità di fruizione del congedo
di maternità (o di
paternità) variano,
a seconda che si
tratti di adozione
nazionale o internazionale
in caso di adozione
nazionale il congedo
deve essere fruito
durante i primi cinque mesi successivi
all’effettivo ingresso
del bambino nella
famiglia
se l’adozione è internazionale, il congedo può essere
fruito anche prima dell’ingresso del minore in Italia,
durante il periodo di permanenza all’estero richiesto
per l’incontro con il minore
e gli adempimenti relativi
alla procedura adottiva
Ferma restando la durata
complessiva del congedo,
questo può essere fruito
entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore
in Italia. Ai cinque mesi va
aggiunto il giorno di ingresso del minore in Italia
Adozione Internazionale - precisazioni
L’astensione obbligatoria e il congedo di paternità trovano applicazione anche qualora il minore, al momento dell’ingresso nella famiglia o dell’ingresso in Italia si trovi in affidamento preadottivo (artt. 22-24, legge n. 184/1983).
L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione internazionale certifica la durata del periodo di permanenza all’estero della lavoratrice o del lavoratore. I periodi di congedo per adozione internazionale possono essere utilizzati in modo frazionato.
In caso di adozione ed affidamento preadottivo internazionale è prevista la possibilità per entrambi i genitori di usufruire anche di un congedo non
retribuito della durata corrispondente al periodo di permanenza nello Stato straniero richiesto per l’adozione o l’affidamento (artt. 27, comma 2, e
31, comma 2, D.Lgs. n. 151/2001; Circ. INPS 7 maggio 2001, n. 97).
Nell’ipotesi di eventuale interruzione della procedura di adozione – a causa dell’esito negativo degli incontri – il periodo trascorso all’estero prima
dell’ingresso del minore in Italia è comunque riconosciuto quale periodo di congedo di maternità, sempreché sussista idonea certificazione da parte
dell’ente autorizzato (Risp. Interpello Min. Lav. 5 novembre 2010, n. 39).
Astensione facoltativa (art. 36, D.Lgs. n. 151/2001; art. 2, comma 455, legge n. 244/2007;
Circ. INPS 4 febbraio 2008, n. 16, Circ. INPS 17 gennaio 2003, n. 8)
Sia in caso di adozione
nazionale che in quello
internazionale l’astensione facoltativa può
essere fruita
alle medesime condizioni
e con le stesse modalità
previste per i genitori
naturali
Consulenza n. 43/2013
entro otto anni dall’ingresso del
minore nel nucleo familiare e,
comunque, non oltre il raggiungimento della maggiore età
Nell’ipotesi di adozione (nazionale
o internazionale) di due o più
minori (anche non fratelli), si applica la disciplina prevista per il parto
gemellare o plurigemellare: sicché
la madre adottiva potrà godere dei
mesi di astensione facoltativa per
ciascun bambino, sempreché l’ingresso dei bambini nella nuova
famiglia sia avvenuto nella medesima data.
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Lavoro & Previdenza
Rapporto di lavoro
13) Mancini - Rapporto di lavoro:13) Mancini - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 64
Rapporto di lavoro
Lavoro & Previdenza
Riposi giornalieri (art. 45 D.Lgs. 151/2001; art. 8, comma 1, D.Lgs. 119/2011; Circ. INPS 26 maggio 2003, n. 91)
La madre ed il padre adottivi hanno diritto a fruire dei riposi
giornalieri, secondo le modalità valide per i genitori naturali,
entro il primo anno dall’ingresso del minore in famiglia. I permessi devono essere accordati per la seguente durata
due ore (due riposi di un’ora ciascuno, anche cumulabili) quando l’orario di
lavoro giornaliero sia pari o superiore alle sei ore
un’ora (un solo riposo), se l’orario giornaliero è inferiore a sei ore
Permessi per malattia del bambino (art. 50 D.Lgs. 151/2001)
per i periodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio di età non superiore a 6 anni;
I genitori adottivi o affidatari hanno diritto di assentarsi dal lavoro, senza diritto alla retribuzione
nel limite di 5 giorni lavorativi all’anno, per le malattie di ciascun figlio fino
agli 8 anni di età;
tuttavia, qualora, all’atto dell’adozione, il minore abbia un’età compresa tra
i 6 e i 12 anni, il congedo può essere fruito nei primi 3 anni dall’ingresso
del minore nel nucleo familiare.
Tutela del posto di lavoro (artt. 54, comma 9, 55, comma 3, e 56 comma 4, D.Lgs. n. 151/2001; art. 2 D.Lgs. n. 5/2010)
divieto di licenziamento e di
sospensione del genitore che
fruisca dell’astensione obbligatoria o del congedo di paternità, fino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare. In caso di adozione internazionale il divieto opera dal
momento della comunicazione
della proposta di incontro con
il minore adottando, o dalla
comunicazione dell’invito a
recarsi all’estero per ricevere
la proposta di abbinamento
nullità del licenziamento
causato dalla domanda o
dalla fruizione dell’astensione facoltativa e dei permessi
per malattia del bambino
diritto alla conservazione delle
mansioni
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disciplina delle dimissioni
GARANZIE NORMATIVE IN
CAPO ALL’ADOTTANTE
diritto a percepire le indennità previste per l’ipotesi del licenziamento, in
caso di dimissioni presentate entro un
anno dall’ingresso del minore nel
nucleo familiare
diritto alla conservazione
del posto di lavoro durante l’astensione obbligatoria e facoltativa, il congedo di paternità, i riposi
giornalieri ed i permessi
per malattia del bambino
diritto di rientro al lavoro
al termine del periodo di
astensione obbligatoria o
di congedo di paternità e
di permanenza fino ad un
anno dall’ingresso del
minore nel nucleo familiare
diritto di rientro al lavoro al termine
dell’astensione facoltativa e dei permessi per malattia del bambino
Consulenza n. 43/2013
13) Mancini - Rapporto di lavoro:13) Mancini - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 65
Rapporto di lavoro
Le nuove misure a sostegno della genitorialità si applicano anche in caso di adozione
Beneficiari
Padre lavoratore
Tutela
Trattamento economico
Astensione (non frazionabile a ore) entro i 5 mesi dall’affidamento:
Indennità INPS pari al
- obbligatoria, aggiuntiva rispetto al congedo di maternità o
100% della retribuzione
paternità, per un giorno;
- facoltativa, per massimo 2 giorni (anche continuativi) (1).
Adempimento
Comunicazione scritta
al datore di lavoro dei
giorni di astensione,
con preavviso di almeno 15 giorni
(1) Fruibile anche contemporaneamente all'astensione obbligatoria della madre che in tal caso termina l'astensione 1 o 2 giorni prima (tale mancata fruizione deve essere dichiarata al datore di entrambi i genitori).
Voucher baby sitting e contributo asilo nido
(art. 4, commi 24-26, legge n. 92/2012; D.M. 22 dicembre 2012; Circ. INPS n. 48 del 28 marzo 2013)
I benefici sono concessi, in via sperimentale, per i figli nati nel periodo 2013-2015
Lavoratrici beneficiare:
- che siano ancora negli 11 mesi successivi al termine del periodo di congedo di maternità obbligatorio;
- beneficiarie del congedo di maternità obbligatorio, per le quali la data presunta del parto sia fissata entro il 10 novembre 2013.
Possono inoltrare domanda anche le lavoratrici che abbiano già fruito di parte del congedo parentale: in tal caso il contributo può essere chiesto
per un numero di mesi pari ai mesi di congedo non ancora fruiti.
Lavoratrici escluse:
- esentate dal pagamento dei servizi pubblici o privati accreditati per l’infanzia;
- che usufruiscono dei benefici del Fondo per le politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità;
- le lavoratrici autonome.
Misura del contributo:
l’importo del contributo è pari a € 300. Le lavoratrici part-time ne possono fruire in misura riproporzionata in ragione della prestazione lavorativa ridotta.
Durata del contributo:
il contributo è erogato per un massimo di 6 mesi negli 11 mesi successivi il congedo di maternità ed in alternativa al congedo parentale (se il congedo è già stato fruito in parte, per il periodo residuo (es. se la lavoratrice ha usufruito di 4 mesi e 1 giorno di congedo parentale, potrà accedere
al beneficio per un solo mese, utilizzando i residui 29 giorni come congedo parentale).
Modalità di erogazione del contributo:
- per la fruizione della rete pubblica (o privata convenzionata) dei servizi per l’infanzia (asili nido), il contributo viene erogato con il pagamento diretto
da parte dell’INPS della struttura prescelta, dietro esibizione della documentazione attestante l’effettiva fruizione del servizio da parte del bambino;
- per il servizio di baby sitting il contributo viene erogato sotto forma di voucher, i voucher devono essere ritirati presso l’INPS territorialmente competente in un’unica soluzione, in parte o con cadenza mensile. Al momento del ritiro la lavoratrice deve indicare espressamente il codice fiscale
del figlio per cui è concesso il beneficio. I voucher possono essere restituiti alla sede INPS in cui sono stati ritirati. La restituzione vale come manifestazione implicita di non voler fruire del beneficio per il numero di mesi corrispondenti all’importo dei voucher riconsegnati. I voucher non restituiti sono considerati come fruiti, con la conseguenza che la rinuncia non ha effetto e la lavoratrice non può chiedere i periodi di congedo parentale a cui aveva rinunciato per accedere al beneficio.
Il servizio può essere utilizzato anche dalle lavoratrici iscritte alla gestione separata, per un periodo massimo di 3 mesi.
Consulenza n. 43/2013
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Lavoro & Previdenza
Nuovi congedi per il padre lavoratore (provvedimento in via sperimentale per le nascite avvenute nel periodo 2013-2015 – art. 4, commi 24-26, L.
92/2012; D.M. 22 dicembre 2012; Circ. INPS n. 40 del 14 marzo 2013)
13) Mancini - Rapporto di lavoro:13) Mancini - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 66
Rapporto di lavoro
Le nuove misure a sostegno della genitorialità si applicano anche in caso di adozione
Lavoro & Previdenza
INDENNITÀ DI MATERNITÀ (art. 59, comma 16, legge n. 449/1997; D.M. 4 aprile 2002;
art. 1, comma 791, legge n. 296/2006; D.M. 12 luglio 2007; Circ. INPS 21 dicembre 2007, n. 137)
Ipotesi
Beneficiari
Condizioni
Lavoratrice madre
• iscrizione alla gestione;
• versamento aliquota 0,72% (1) per almeno 3 mensilità nei 12
mesi precedenti i 2 mesi anteriori alla data del parto;
• età del bambino al momento dell'adozione o dell'affidamento:
- in caso di adozione o di affidamento nazionale: fino ai 6 anni
- in caso di adozione o affidamento preadottivo internazionale
(legge n. 184/1983): fino al compimento della maggiore età (2).
Adozione
e affidamento
Padre lavoratore
Durata
Per i 5 mesi successivi
all'effettivo ingresso
nella famiglia (C. Cost.
22 novembre 2012, n.
Sussistenza dei requisiti sopra indicati per la madre e, in alterna- 257) (3).
tiva: quest'ultima non ne faccia richiesta; morte o grave infermità
della madre o abbandono da parte della stessa, nonché affidamento esclusivo del bambino al padre.
(1) Restano pertanto escluse le lavoratrici iscritte ad altre forme previdenziali obbligatorie e le pensionate.
(2) L'ente incaricato dell'adozione certifica la data di ingresso del minore e l'avvio presso il tribunale delle procedure di conferma della validità dell'adozione o di riconoscimento dell'affidamento.
(3) Il congedo deve essere fruito entro 5 mesi dall'ingresso in famiglia del minore (sia in caso di adozione nazionale che internazionale). L'estensione del
periodo di congedo è applicabile, in presenza dei requisiti richiesti, a tutti i rapporti non esauriti (mancanza di sentenza passata in giudicato o estinzione del diritto per prescrizione: Mess. INPS 30 gennaio 2013, n. 1785).
Il diritto all'indennità di maternità si prescrive entro un anno dalla fine del periodo indennizzabile
Indennità per congedo parentale (art. 1, comma 788, legge n. 296/2006; Circ. INPS 21 dicembre 2007, n. 137)
CONDIZIONI PER ACCEDERE AL TRATTAMENTO
Durata del trattamento: 3 mesi entro l’anno di ingresso in famiglia.
Il collaboratore deve presentare la domanda in via telematica.
Le condizioni per ottenere l’indennità sono le medesime previste per il diritto all’indennità di maternità/paternità.
La misura dell’indennità è pari al 30% del reddito preso a riferimento per la corresponsione dell’indennità di maternità.
Per i periodi di congedo è previsto l’accredito della contribuzione figurativa (Circ. INPS 13 maggio 2010, n. 64).
L’indennità è corrisposta al collaboratore direttamente dall’INPS.
66
Consulenza n. 43/2013
13) Mancini - Rapporto di lavoro:13) Mancini - Rapporto di lavoro 04/12/13 14.19 Pagina 67
Rapporto di lavoro
Lavoratori autonomi iscritti alla gestione INPS artigiani e commercianti
Trattamento di maternità (artt. 66-68, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 151/2001; Circ. INPS 26 luglio 2002, n. 136)
indipendentemente dall’effettiva astensione dal lavoro
(Cass. 12 gennaio 2000, n.
289).
se la lavoratrice è in regola
con i versamenti contributivi.
previa domanda della lavoratrice, da inoltrare in via telematica
(nella documentazione da inviare vi sarà anche la copia del
provvedimento di adozione o di
affidamento e la copia del provvedimento che attesta la data
d’ingresso in famiglia del minore
adottato o affidato).
Il diritto all’indennità giornaliera si prescrive in un
anno, calcolato dal giorno
successivo al termine
dell’evento indennizzabile.
i 6 anni di età nel caso di adozione nazionale o
affidamento preadottivo e non preadottivo
Durata del trattamento
3 mesi successivi alla data di ingresso
del bambino nella famiglia purché il
bambino stesso non abbia superato,
all’atto dell’adozione o affidamento
i 18 anni di età nel caso di adozione internazionale o affidamento preadottivo
Congedo parentale
(art. 69 D.Lgs. n. 151/2001; Circ. INPS 6 giugno 2000, n. 109; Circ. INPS 17 marzo 2006, n. 46)
Il congedo spetta
Consulenza n. 43/2013
a prescindere dall’età del minore all’atto dell’adozione o affidamento, e comunque fino al compimento del
diciottesimo anno di età del minore adottato o affidato (Mess. INPS 17 giugno 2011 n. 13041).
67
Lavoro & Previdenza
IL TRATTAMENTO VIENE EROGATO
14) Panizzi - Agenti e rappresentanti:14) Panizzi - Agenti e rappresentanti 04/12/13 14.19 Pagina 68
Lavoro & Previdenza
Agenti e rappresentanti
INTERMEDIARI COMMERCIALI:
DICHIARAZIONE DI FINE ANNO
E AGEVOLAZIONI FISCALI
di Pietro Panizzi - Consulente Aimpes in Milano
(agenzie viaggi e turismo,
Per categorie professionali
Esaminiamo le modalità
secondo casistica agenti di
quali intermediari commere i criteri di compilazione
assicurazione e di banche,
ciali, agenti e rappresentanti
della dichiarazione di fine anno
ecc.).
di commercio, è prevista una
che gli intermediari commerciali
riduzione della ritenuta fiscale, con base di calcolo del
RITENUTA FISCALE:
che si avvalgono di collaboratori
20%; questo beneficio può esALIQUOTA VIGENTE
devono produrre per beneficiare
sere richiesto se è soddisfatta
In applicazione alla Finandella ritenuta fiscale ridotta
una particolare condizione:
ziaria 1998, per l’anno 1998,
l’avvalersi, per gli interessati,
l’aliquota della prevista rite(con base di calcolo 20% anziché
con continuità di collaboranuta fiscale è stata innalzata
50% sulle provvigioni comunque
tori (dipendenti o terzi).
dall’«originale» 10% ad un
denominate)
La legge n. 53/1983 ha introprefissato 19,00%.
dotto, su tutte le provvigioni
Peraltro fu allora stabilito che
comunque denominate, una ritenuta di acconto (oridal 1° gennaio 1999 la stessa sarebbe stata «parificata» a
ginariamente del 10%), interessante tutte le figure
quella IRPEF del primo scaglione di reddito delle persone
dell’intermediazione, in particolare gli agenti/rapprefisiche (ex art. 11 del T.U.I.R.).
sentanti di commercio.
Conseguentemente nel tempo si sono succedute queUn abbattimento della stessa, mediante una minore
ste percentuali:
base di calcolo (base del 20%, anziché dell’ordinario
– dal 1° gennaio 1999 la ritenuta è scesa dal 19% al
50%), è stato previsto per coloro che si avvalgono con
18,5%;
carattere «continuativo» di «collaboratori».
– dal 1° gennaio 2001 è ulteriormente scesa dal
Tale riconoscimento è subordinato ad una «dichiara18,5% al 18%;
zione» che l’interessato deve produrre alla propria ca– dal 1° gennaio 2003 è salita al 23%, sinora vigente a
sa mandante, di norma entro il 31 dicembre dell’anno
tutto il 2013;
precedente e che deve essere trasmessa a mezzo racco– da eventualmente «a seguire» per possibili novità ex
mandata AR.
«Manovra di stabilità» attualmente in discussione.
Il decreto 16 aprile 1983 ha regolamentato i termini e
le modalità di tale dichiarazione apportando i dovuti
MODALITÀ DELLA «DICHIARAZIONE»
chiarimenti (C.M. n. 24 del 10 giugno 1983).
(FAC-SIMILE)
Per la loro dichiarazione gli intermediari interessati
TERMINI DELLA DICHIARAZIONE
(oltre ad agenti e rappresentanti anche la generalità
E BENEFICIARI
degli intermediari commerciali) potranno utilizzare il
Entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di
fac-simile proposto a pagina seguente.
riferimento i soggetti sopra richiamati che si avvalgoPer la dichiarazione in questione non sono stabilite
no di collaboratori, devono presentare le relative «diparticolari forme o modalità e gli interessati la potranchiarazioni» che serviranno per l’anno successivo ai
no predisporre in carta semplice tenuto conto che la
fini della ritenuta fiscale in forma ridotta (base di calstessa:
colo al 20%, anziché al normale 50%).
– deve riportare i vari dati identificativi dell’agenLe esclusioni, a questo regime, sono marginali
68
Consulenza n. 43/2013
14) Panizzi - Agenti e rappresentanti:14) Panizzi - Agenti e rappresentanti 04/12/13 14.19 Pagina 69
Agenti e rappresentanti
Spettabile (casa mandante)
Via .....................
Cap .....città ..........
...................... lì ................
Oggetto: Dichiarazione ai fini della ritenuta alla fonte, su provvigioni comunque denominate, in forma ridotta
Il/la sottoscritto/a sotto la propria completa responsabilità dichiara che per lo svolgimento della propria attività di intermediazione
commerciale si avvale in via continuativa della opera e della collaborazione di dipendenti e/o di collaboratori terzi.
In applicazione alla vigente normativa rilascia la presente dichiarazione affinché nel corso del prossimo anno solare ___________ le ritenute alla fonte sulle provvigioni corrisposte allo/alla scrivente siano effettuate nella misura prevista in forma ridotta secondo normativa.
In fede
...................................
firma e timbro
Pro-memoria
Riportare:
- i dati identificativi del dichiarante,
- l’indirizzo completo,
- il codice fiscale e la partita IVA.
–
–
–
te/rappresentante o degli intermediari in genere;
deve riportare l’attestazione di avvalersi in via
continuativa di dipendenti e/o di terzi;
deve essere debitamente sottoscritta;
deve essere trasmessa solamente a mezzo raccomandata AR (questo in effetti è quanto specificamente
previsto dalle «storiche» disposizioni vigenti).
INIZIO E CESSAZIONE DEL DIRITTO
ALLA RITENUTA IN FORMA RIDOTTA:
COMUNICAZIONI
Nel caso in cui i presupposti al diritto si verifichino ad
anno inoltrato, il termine per la dichiarazione è stabilito «non oltre 15 giorni dal loro verificarsi».
Per contro nell’ipotesi di inizio di attività, per il soggetto che presume il verificarsi delle condizioni richieste per il beneficio nel corso dell’anno, il termine dei 15
giorni decorre dalla data di stipula dello stesso contratto.
Consulenza n. 43/2013
Anche il venir meno del diritto deve essere comunicato nel termine di 15 giorni dal suo verificarsi.
Per eventuali prestazioni occasionali, la dichiarazione
deve essere presentata nel più breve tempo possibile e
in ogni caso non oltre il termine entro cui si prevede la
prestazione.
NATURA E CARATTERISTICA
DELLA CONTINUITÀ
DELLA COLLABORAZIONE DI DIPENDENTI
E DI TERZI
Sulla base delle disposizioni ministeriali a suo tempo
diramate, l’attività dei percepenti le provvigioni si
considera esercitata con l’ausilio «in via continuativa»
dell’opera di «dipendenti» e di «terzi» qualora la stessa
dia luogo a prestazioni per la prevalente parte dell’anno, ovvero nel minore periodo nel quale si è svolta.
Non riveste particolare importanza che tali soggetti
siano o meno sempre gli stessi.
69
Lavoro & Previdenza
FAC-SIMILE - DICHIARAZIONE PER RITENUTE FISCALI IN FORMA RIDOTTA
Intermediari commerciali (in particolare agenti e rappresentanti)
14) Panizzi - Agenti e rappresentanti:14) Panizzi - Agenti e rappresentanti 04/12/13 14.19 Pagina 70
Lavoro & Previdenza
Agenti e rappresentanti
A fronte di collaborazione di soli terzi, il requisito
della continuità sussiste se l’intermediario ha sostenuto, nel periodo di imposta precedente, costi per prestazioni di terzi in misura superiore al 30% dell’ammontare complessivo delle provvigioni imputabili a tale
periodo.
Per «dipendenti» vanno intesi i lavoratori secondo le
norme della legislazione del lavoro, mentre sono «terzi»
coloro che svolgono attività autonome quali sub-agenti,
procacciatori di affari, mediatori, produttori, ecc.
Collaboratori familiari e associati
Rientrano tra i terzi anche i collaboratori familiari,
nonché gli associati che prestano lavoro.
ASPETTI VARI - SUGGERIMENTI DIFFERENZIAZIONE CON ALTRA
RITENUTA 20%
Premesso che nessuno specifico obbligo è a carico della
casa mandante, nell’ambito di un fattivo spirito di reciproca collaborazione in senso lato peraltro caratteristica di questo rapporto, la stessa può farsi promotrice richiamando l’attenzione dei potenziali interessati della
cui opera si avvale, rammentando l’adempimento e
magari fornendo loro copia del fac-simile proposto.
70
Tenuto conto che le case mandanti sono sostituti di
imposta, è bene che le norme siano applicate senza
«tolleranza», tanto più che le sanzioni, almeno sulla
carta, possono essere rilevanti.
La dichiarazione deve essere via via presentata a cadenza annuale, anche se nel frattempo non si sono verificate novità.
Formalmente e storicamente la trasmissione è solamente a mezzo raccomandata AR della quale conviene
conservare agli atti la regolare trasmissione postale
(busta, ecc.).
Non è possibile riconoscere benefici con effetto retroattivo nel tempo, tantomeno restituire maggiori
trattenute già effettuate.
La ritenuta deve essere applicata al momento di pagare le provvigioni ed il relativo versamento (codice di
versamento 1038) deve avvenire entro i normali termini fiscali (attualmente entro il gg. 16 del mese successivo).
La ritenuta fiscale in questione nulla ha a che vedere
con l’altra specifica del 20% (codice di versamento ora
1040, ex 1042) che interessa solamente gli agenti e rappresentanti e le indennità di fine rapporto (sostitutiva
del preavviso, di clientela, e FIRR direttamente erogato a mani degli interessati).
n
Consulenza n. 43/2013
15) Micaroni - CCNL:15) Micaroni - CCNL 04/12/13 14.19 Pagina 71
L’ISTITUTO DELLA TRASFERTA
NELLA CONTRATTAZIONE
COLLETTIVA
di Marco Micaroni - Responsabile Ufficio Relazioni Sindacali e Contenzioso del Lavoro
di Autostrade per l’Italia S.p.A.
IL LAVORATORE
La trasferta è lo spostaLa trasferta del lavoratore
COMANDATO
mento temporaneo del laè stata oggetto di contrattazione
IN TRASFERTA
voratore in una sede divercollettiva, affinché se ne fissassero
Il lavoratore non può rifiusa da quella dove normaltarsi di effettuare la propria
mente svolge la sua prestale condizioni generali e più delicate:
prestazione in trasferta.
zione lavorativa; la definitia partire dal trattamento
A volte capita che qualcuno
va collocazione del dipeneconomico, per il quale
sostenga tesi opposte, prive
dente in un’altra sede di lasono previste più possibilità
di qualsiasi fondamento.
voro costituisce invece un
Si riportano alcuni stralci di
trasferimento del lavoradi risarcimento, all’autonomia
una sentenza del Tribunale
tore.
delle parti, è proposta una
di Viterbo (n. 717/2005)
Il distacco si realizza invece
descrizione di come contrattazione
chiamato a giudicare su una
quando un datore di lavoro,
collettiva e giurisprudenza abbiano
impugnativa di licenziaper soddisfare un proprio inmento di un dipendente di
teresse, mette temporaneadefinito questo istituto
società Autostrade che si era
mente a disposizione di un
ripetutamente rifiutato di
altro soggetto il proprio dieseguire la prestazione in trasferta, per eseguirne
pendente, per l’esecuzione di una determinata attività
un’altra non richiesta nella sua normale sede di lavoro,
lavorativa.
dove non serviva.
Precisate le differenze tra gli istituti, si intende proporIl Giudice ricorda che è «indiscutibile che spetti alla
re una panoramica su quanto i contratti collettivi preparte datoriale il potere di organizzare il lavoro e quinvedono per disciplinare la trasferta dei propri dipendi di stabilire dove è necessaria una certa prestazione
denti, ponendo anche in evidenza alcune pronunce
lavorativa e che non può pertanto riconoscersi al lavogiurisprudenziali in materia.
ratore alcun diritto ad ingerirsi in detta organizzazioIntanto è bene chiarire che non esiste una nozione lene, rifiutando l’una o l’altra prestazione o sostituendogale di trasferta: l’unico riferimento generico di legge è
la a suo piacimento».
l’art. 1182 c.c. che prevede che la prestazione oggetto
Il Magistrato prosegue ricordando alcuni importanti
di una obbligazione debba essere eseguita nel luogo
principi generali sanciti dalla Cassazione. Il rifiuto
determinato dal contratto, dagli usi o desumibile dalla
della prestazione può essere giustificato solo quando il
natura della prestazione.
comportamento di controparte sia inadempiente riNei rapporti di lavoro, solitamente coincide con la
spetto alle obbligazioni principali assunte, ovvero
sede legale e/o con le sedi operative del datore di laquelle retributive (cfr. Cass. n. 6564/2004) o quelle
voro: esistono però rapporti di lavoro particolari docontributive (cfr. Cass. n. 19689/2003) o quelle relative questo non si realizza, per esempio nel lavoro a
ve alla sicurezza del lavoro e quindi volte a garantire
domicilio, nel telelavoro o nel lavoro in somminil’incolumità personale, ma non certo quando riguarstrazione.
dino aspetti meramente accessori e ben lungi dal riLa mancanza di una disciplina legale comporta il fatto
guardare aspetti fondamentali del rapporto.
che, in materia, assume grande rilevanza quanto disciSempre nella sentenza di Cassazione del 2003 sopra ciplinato nei contratti collettivi.
Consulenza n. 43/2013
71
Lavoro & Previdenza
CCNL
15) Micaroni - CCNL:15) Micaroni - CCNL 04/12/13 14.19 Pagina 72
Lavoro & Previdenza
CCNL
tata, viene precisato che «all’interno del rapporto di lavoro subordinato non è legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa nei modi e nei
termini precisati dal datore di lavoro in forza del suo
potere direttivo a causa di una sua ritenuta dequalificazione, quando il datore di lavoro, da parte sua,
adempia a tutti gli obblighi derivatigli dal contratto
(pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa, ecc.) essendo giustificato il rifiuto
di adempiere alla propria prestazione, ex art. 1460 c.c.,
solo se l’altra parte sia totalmente inadempiente e non
se vi sia una potenziale controversia su una non condivisa scelta organizzativa aziendale che non può essere
sindacata dal lavoratore ove essa non incida sulle sue
immediate esigenze vitali».
IL TRATTAMENTO ECONOMICO:
LE DIVERSE POSSIBILITÀ PREVISTE
NEI CONTRATTI COLLETTIVI
Prassi consolidata affida alla contrattazione collettiva
nazionale di settore la disciplina delle eventuali spettanze economiche a fronte di prestazioni in trasferta.
Diverse e le più varie sono le soluzioni che i vari contratti collettivi hanno individuato: tentiamo una estrema sintesi, mettendo in particolare evidenza quanto
previsto in materia nel contratto Autostrade.
Il rimborso a piè di lista
Il dipendente viene rimborsato a fronte della presentazione analitica di tutte le spese sostenute per la trasferta. Ovviamente, tale importo non concorre a formare il reddito.
Per il controllo di tali spese di solito il contratto collettivo nazionale specifica che le stesse saranno rimborsate «nei limiti della normalità»; nulla vieta inoltre che
il datore di lavoro possa fissare, attraverso una specifica norma o regolamento aziendale, degli specifici limiti di spesa.
La documentazione delle spese dovrà essere consegnata all’imprenditore che provvederà al rimborso e
alla obbligatoria conservazione delle fatture e/o delle
ricevute fiscali.
Se sono stati fissati limiti di spesa per giorno o per singolo pasto o pernottamento possono configurarsi due
ipotesi:
–
–
se il dipendente non arriva al tetto, il rimborso ha
luogo nei limiti delle spese sostenute e documentabili;
se il tetto è superato, il rimborso dovrà avvenire
comunque entro i limiti fissati, essendo inutilizzabile la parte del rimborso eccedente; anche in questo caso, dovranno essere allegati e conservati i relativi attestati di pagamento.
72
Alcuni contratti prevedono anche il rimborso di altre
spese, non documentabili, eventualmente sostenute
dal dipendente; in questo caso le somme che non concorrono a formare reddito si fermano all’importo
massimo giornaliero di euro 15,49, elevate ad euro
25,82 per le trasferte all’estero. Ogni altro eventuale
rimborso spese corrisposto fuori dei suddetti limiti è
assoggettato interamente a tassazione.
Il trattamento forfettario
Molte volte, in aggiunta o in alternativa, viene prevista
una indennità di trasferta (anche chiamata diaria): la
«ratio» è quella di una compensazione del disagio che
il lavoratore deve affrontare a causa dello spostamento
dalla sua abituale sede di lavoro.
L’importo di tale indennità può essere stabilito in cifra
fissa o in percentuale sulla retribuzione giornaliera o
mensile e normalmente è proporzionata alla durata
della trasferta.
Per esempio il CCNL Metalmeccanici Industria prevede che ai lavoratori comandati a prestare la propria
opera fuori dalla sede nella quale sono stati assunti
compete una indennità che ha «lo scopo di risarcire
forfettariamente le spese sostenute nell’interesse del
datore di lavoro relative al pernottamento e ai pasti».
Nello specificare che tale indennità non ha natura retributiva ed è esclusa dal calcolo della retribuzione
spettante per tutti gli istituti di legge e/o di contratto, si
stabiliscono gli importi: la trasferta intera «vale» 40
euro (dal 1° gennaio 2014: 42,80 euro); la quota per il
pasto meridiano o serale è pari a 11,30 euro mentre
quella per il pernottamento equivale a 17,40 euro (dal
1° gennaio rispettivamente portate a euro 11,72 e euro
19,36).
Il CCNL Legno e Arredamento prevede una indennità
pari al 30% della retribuzione giornaliera.
Il CCNL Commercio stabilisce una diaria non inferiore al doppio della quota giornaliera della retribuzione;
qualora non vi sia pernottamento fuori sede la indennità viene ridotta di un terzo.
Il CCNL Autostrade, fino al 1° agosto 2013, prevedeva
un rimborso spese giornaliero convenzionalmente
commisurato al 10% del minimo tabellare mensile ed
indennità di contingenza del livello di inquadramento
C1. Tale importo, arrotondato ai 50 centesimi superiori, era ripartito in: pranzo 2,2%; cena 2,2%; pernottamento 5,6%.
L’importo del pranzo e della cena veniva riconosciuto
al lavoratore che partiva dalla propria sede rispettivamente prima delle ore 13 e delle ore 20 e che fosse rientrato dopo le stesse ore.
Gli importi corrispondenti erano pari a circa 38 euro
per ogni pasto e 140 per il pernottamento.
Le parti sociali, con il rinnovo del contratto collettivo
Consulenza n. 43/2013
15) Micaroni - CCNL:15) Micaroni - CCNL 04/12/13 14.19 Pagina 73
CCNL
Il rimborso misto
Si può riconoscere al dipendente una indennità giornaliera ridotta e il rimborso delle spese di vitto o alloggio, oppure si può decidere una formula «mista»; per
esempio il contratto Autostrade, prima della riforma
sopra ricordata, prevedeva la possibilità che il dipendente potesse chiedere la copertura per le spese di pernottamento a piè di lista ed il rimborso forfettario per
il pranzo e per la cena.
L’indennità chilometrica
Al dipendente autorizzato ad effettuare la trasferta
con il mezzo proprio, di solito viene corrisposto un ulteriore rimborso.
In molti contratti si prendono a riferimento le tabelle
Aci, in altri casi esiste una specifica regolamentazione.
Il CCNL Autostrade per esempio prevede un meccanismo piuttosto complicato:
–
–
per incidenza lubrificanti, pneumatici, manutenzione, assicurazione, ecc. un rimborso forfettario
per ogni chilometro effettuato, suddividendo persino gli automezzi in tre categorie a seconda delle
cilindrate (per esempio per i veicoli oltre i 1.300 cc.
euro 0,090 a chilometro);
sempre per le tre categorie, il rimborso della benzina (per esempio, un litro di benzina super ogni 8
chilometri di percorrenza per gli automezzi con
oltre 1300 cc.).
Le ore viaggio
L’autonomia collettiva può anche disciplinare il trattamento retributivo spettante durante le ore viaggio.
Nel CCNL Autostrade le ore viaggio – fuori dal normale orario di lavoro – trascorso alla guida di un mezzo sociale o privato di proprietà, purché preventivaConsulenza n. 43/2013
mente autorizzate, svolte da personale che non sia adibito a mansioni di autista, vengono retribuite con
quote orarie normali, mentre quelle trascorse come
trasportato su mezzi pubblici o privati vengono retribuite con il 40% della quota oraria normale.
Il trasfertista
Il lavoratore che si impegna per contratto a prestare la
propria attività lavorativa sempre in luoghi diversi si
definisce trasfertista.
In questi casi i contratti collettivi possono prevedere
trattamenti diversi.
Sempre nell’esempio delle società autostradali, per tali
tipologie di personale, così pure per spostamenti che
comportano un permanenza fuori sede piuttosto lunga (superiore a 15 giorni consecutivi) ovvero per le trasferte all’estero si prevede esplicitamente la possibilità
di diversi trattamenti, da concordare tra il singolo lavoratore e l’azienda.
Eventuali diversi trattamenti di trasferta
per categorie di personale
I contratti collettivi possono anche disciplinare un diverso trattamento retributivo per le trasferte di particolari tipologie di personale.
Nell’esempio del CCNL Autostrade esiste uno specifico trattamento per le trasferte degli esattori, valutata la
particolare tipologia delle mansioni, delle sedi di lavoro e della loro frequenza.
In estrema sintesi, oltre il normale rimborso spese di
locomozione e le ore guida, si prevede il seguente trattamento forfettario:
–
per le trasferte inferiori ai 35 km dalla propria normale sede di lavoro:
-
–
euro 2,58 allorché l’esattore inizi o termini il
proprio turno in una stazione diversa da quella in cui
è normalmente assegnato;
euro 4,65 allorché l’esattore effettui un turno
completo in altra stazione o posto di lavoro;
per le trasferte superiori ai 35 km, oltre il rimborso
spese viaggio, un compenso forfettario pari a euro
9,04.
L’AUTONOMIA COLLETTIVA
Come appare chiaro da quanto finora riportato, per la
disciplina delle trasferte l’autonomia delle parti sociali
è «sacra ed inviolabile».
Interessante sotto questo profilo analizzare brevemente una recente sentenza del Tribunale di Firenze
del 9 gennaio 2013.
Un gruppo di 57 lavoratori con mansioni di esattore
73
Lavoro & Previdenza
nazionale di lavoro del 1° agosto 2013 hanno completamente abrogato il trattamento forfettario; da tale data le Società autostradali che per esigenze di servizio
comandano il lavoratore in trasferta, corrispondono
esclusivamente il rimborso delle spese viaggio e quello
per vitto e alloggio, con il trattamento a piè di lista di
spese documentate, nei limiti della normalità. Solo in
caso di trasferta che preveda la necessità del pernottamento, in aggiunta a quanto sopra, viene corrisposta
una indennità di trasferta pari a euro 20.
Da un punto di vista fiscale, le indennità di trasferta
sono escluse dall’imponibile IRPEF fino all’importo di
euro 46,48 al giorno, elevate ad euro 77,47 per le trasferte all’estero, a nulla rilevando che la durata della
trasferta sia superiore o inferiore alle 24 ore, o più in
generale che la trasferta non comporti un pernottamento fuori sede.
15) Micaroni - CCNL:15) Micaroni - CCNL 04/12/13 14.19 Pagina 74
Lavoro & Previdenza
CCNL
dipendenti di Società autostrade nella Direzione 4
Tronco - Firenze, lamentandosi della frequenza delle
trasferte, del fatto che il loro trattamento economico
fosse obsoleto e mai rinnovato né attualizzato nel corso degli anni e quindi inadeguato ad indennizzare il
costo effettivo dello spostamento, chiedeva al Giudice
del Lavoro di ricevere un rimborso per l’utilizzo del
mezzo proprio parametrato alle tabelle Aci (sostenendo che ciò avviene in quasi tutti i CCNL) o comunque
una diversa forma di indennizzo, anche maggiore, ritenuta di giustizia.
Il Tribunale, nel rigettare il ricorso, condannando i lavoratori anche al pagamento delle spese di lite, motiva
con le seguenti argomentazioni:
–
–
la pretesa di riconoscere una voce retributiva o
indennitaria in misura diversa da quella prevista
nel CCNL si scontra radicalmente con il ruolo essenziale che, nell’attuale sistema del diritto del
lavoro privato, è assegnato all’autonomia collettiva quale sede unica della negoziazione realizzata attraverso il contemperamento degli opposti
interessi;
di conseguenza non è possibile chiedere al Giudice un intervento integrativo-correttivo della contrattazione collettiva, in funzione di modificare in
senso più favorevole ai lavoratori alcuni aspetti del
trattamento economico; infatti, il carattere più o
74
–
meno favorevole della disciplina per una parte o
l’altra della contrattazione può essere apprezzato
soltanto nel suo complesso, con valutazione inscindibile fra singole clausole (invece che isolando
un solo trattamento e censurandone l’inadeguatezza);
il riferimento dei ricorrenti alla sentenza di Cass.
n. 2245/2006 secondo la quale, alla stregua dell’art. 36 della Costituzione, il lavoratore ha diritto
ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa non appare degna di rilievo; la stessa sentenza sopra citata specifica che ove la retribuzione
sia prevista da un contratto collettivo e non da un
contratto individuale, il Giudice è tenuto ad usare
la discrezionalità prevista ex art. 1419 c.c. (annullamento della clausola del contratto per adeguare
la retribuzione secondo i criteri dell’art. 36 della
Costituzione) con la massima prudenza e comunque con adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottese all’assetto degli interessi
concordato dalle parti sociali (principio affermato
dalla Suprema Corte con riferimento al compenso
per lavoro straordinario diurno e notturno previsto dal CCNL dei lavoratori delle aziende municipalizzate di igiene urbana).
n
Consulenza n. 43/2013
16) Documentazione:16) Documentazione 04/12/13 14.19 Pagina 75
Accertamento - Società di comodo (Agenzia delle entrate - Ris. n. 68/E del 16 ottobre 2013) ...........................................
75
IVA - Aliquota agevolata (Agenzia delle entrate - Ris. n. 69/E del 16 ottobre 2013) .............................................................
76
Imposte dirette - IRES (Agenzia delle entrate - Ris. n. 70/E del 23 ottobre 2013) ..................................................................
78
Rapporto di lavoro - Licenziamento (C. Cass - Sent. 15 ottobre 2013, n. 23365) .................................................................
79
ACCERTAMENTO - SOCIETÀ DI COMODO
Istanza di disapplicazione presentata ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973 Disciplina delle società in perdita sistematica (art.
2, commi da 36-decies a 36-duodecies del D.L. 13
agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,
dalla L. 14 settembre 2011, n. 148)
(Agenzia delle entrate - Ris. n. 68/E del 16 ottobre 2013)
Fattispecie rappresentata
ALFA S.r.l., esercente l’attività alberghiera e di ristorazione,
si è disfatta, nel corso dell’anno 2010, di un proprio asset patrimoniale, costituito da un appartamento ad uso abitazione,
separato fisicamente dall’attività ricettiva, ma a suo tempo
effettivamente e amministrativamente incluso nello svolgimento della attività stessa.
La società istante dichiara di aver concordato il prezzo di cessione dell’immobile suddetto in euro 205.000,00, registrando così una plusvalenza patrimoniale pari ad euro
149.014,82 che ha comportato per il 2010 un utile di esercizio
pari ad euro 35.221,22 ma una perdita fiscale di euro
25.522,00, in conseguenza dell’adozione della rateizzazione
in 5 anni prevista dall’art. 86, comma 1, lett. a), b) e comma 4
del D.P.R. n. 917 del 1986.
L’istante evidenzia che la non applicazione della citata normativa avrebbe comportato per l’esercizio in parola un utile
fiscale pari ad euro 93.734,00 (invece della perdita predetta)
con la conseguenza di far fuoriuscire la società dal campo di
applicazione della disciplina antielusiva.
Inoltre, l’istante richiama il Provvedimento Direttoriale n.
87956/2012, lett. h), che prevede la disapplicazione della
disciplina delle società in perdita sistematica «… per quelle
società per le quali risulta positiva la somma algebrica della perdita fiscale di peri.o e degli importi che non concorrono a formare il reddito imponibile per effetto di proventi
esenti, esclusi o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, ovvero di disposizioni agevolative».
ALFA S.r.l. ritiene che tra le disposizioni agevolative può essere senz’altro ricondotta la facoltà prevista dall’art. 86, comma 4, del T.U.I.R., ossia la possibilità concessa al contribuente di rateizzare le plusvalenze realizzate nell’occasione di ces-
Consulenza n. 43/2013
sioni di beni strumentali in quote costanti in alternativa alla
tassazione normale delle stesse interamente nel periodo di
imposta del loro realizzo.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
La società istante ritiene che nel caso rappresentato le disposizioni antielusive contenute nell’art. 2, comma 36-decies,
del D.L. n. 138 del 2011 possano essere disapplicate trovandosi in presenza di «oggettive situazioni» che hanno comportato la presentazione di dichiarazioni in perdita fiscale
nel triennio di osservazione.
Parere dell’Agenzia delle entrate
Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate protocollo n. 87956/2012 dell’11 giugno 2012, sono state
individuate «determinate situazioni oggettive in presenza
delle quali è consentito disapplicare le disposizioni sulle società in perdita sistematica di cui all’art. 2, commi da 36- decies a 36-duodecies, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella L. 14 settembre 2011, n. 148,
senza assolvere all’onere di presentare istanza di interpello ai
sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973,
n. 600».
In particolare, alla lett. h) di tale Provvedimento è previsto
che, tra le cause di disapplicazione automatica, rientri il caso
relativo a «società per le quali risulta positiva la somma algebrica della perdita fiscale di periodo e degli importi che non
concorrono a formare il reddito imponibile per effetto di
proventi esenti, esclusi o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo
d’imposta o ad imposta sostitutiva, ovvero di disposizioni
agevolative».
La questione posta dall’interpellante verte sulla possibilità di
includere nell’alveo delle «disposizioni agevolative» la modalità, prevista all’art. 86, comma 4, del T.U.I.R., di rateizzazione nel termine massimo di cinque anni, in quote costanti,
delle plusvalenze realizzate a seguito di cessione di beni strumentali detenuti da almeno tre anni.
Al riguardo, si osserva che la disposizione di cui all’art. 86,
comma 4, del T.U.I.R. consente al contribuente di tassare le
plusvalenze patrimoniali realizzate, diverse da quelle rientranti nel regime di participation exemption di cui al successivo art. 87, alternativamente:
a) per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono realizzate;
b) in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma
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Documentazione
In questa sezione pubblichiamo una selezione dei documenti più rilevanti emanati nel periodo
Documentazione
16) Documentazione:16) Documentazione 04/12/13 14.19 Pagina 76
non oltre il quarto, «se i beni sono stati posseduti per un
periodo non inferiore a tre anni».
Tale norma, lasciando la facoltà al contribuente di scegliere
la modalità e la tempistica di tassazione delle plusvalenze, è
qualificabile, pertanto, quale «disposizione agevolativa», a
condizione che risulti rispettato il requisito del possesso dei
beni per un periodo di almeno tre anni.
In senso analogo si era espressa l’Amministrazione finanziaria
con la Ris. n. 110/2007, laddove si afferma che «tale principio è
rilevante agli effetti dell’applicazione di alcune disposizioni
agevolative, quali la facoltà di rateizzazione delle plusvalenze
ai sensi dell’art. 86, comma 4, del T.U.I.R. o ai fini della fruizione del regime di participation exemption relativamente all’eventuale successiva cessione ad opera del conferente della partecipazione ricevuta a fronte del conferimento».
Sotto altro profilo, va osservato come la prassi dell’Agenzia
sul punto si sia espressa anche con la Circ. n. 25/E del 2007, in
materia di società di comodo di cui all’art. 30 della legge n.
724 del 1994; in tale sede è stato affermato che, tra gli importi che non concorrono a formare il reddito imponibile devono essere considerati, ad esempio:
1) i proventi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo
d’imposta o ad imposta sostitutiva;
2) il reddito esente ai fini IRES per effetto di specifiche disposizioni, quale, ad esempio, quella di parziale detassazione delle plusvalenze da realizzo di cui all’art. 87 del
T.U.I.R.;
3) i dividendi parzialmente esclusi da imposizione ai sensi
dell’art. 89 del T.U.I.R.
Stante l’analogia sostanziale delle predette disposizioni con
la norma qui in questione, di cui all’art. 86, comma 4, del
T.U.I.R., si può ritenere esteso anche all’ambito della disposizione in parola il principio espresso con la succitata Circolare n. 25/E del 2007.
Va, tuttavia, osservato che la casistica cui fa espresso riferimento la suddetta circolare appare accomunata dal fatto di
avere quale minimo comune denominatore la circostanza
per cui l’«agevolazione» in questione si manifesta riducendo
la tassazione in maniera definitiva nell’ambito del periodo
d’imposta in cui l’operazione stessa viene posta in essere,
senza che ciò comporti alcuna ripresa a tassazione nei periodi d’imposta successivi.
Al contrario, nell’ipotesi prospettata nell’istanza, alla riduzione della base imponibile nell’anno in cui viene posta in essere la cessione – tramite una variazione in diminuzione da
operare in dichiarazione – corrispondono le relative variazioni in aumento da effettuare per i successivi periodi d’imposta per i quali si è optato per la rateizzazione della plusvalenza.
La non definitività degli effetti derivanti dall’applicazione
della «disposizione agevolativa» in questione comporta, in
sostanza, che gli effetti fiscali della disposizione agevolativa
legata all’esercizio dell’opzione per la rateizzazione delle plusvalenze ex art. 86, comma 4, del T.U.I.R., devono essere sterilizzati, ai fini dell’applicazione della disciplina relativa alle
società in perdita sistematica, non solo con riferimento al periodo di imposta in cui avviene il realizzo, ma anche in quelli successivi ai quali viene attribuita la quota parte della plusvalenza realizzata.
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Alla luce di quanto sopra, si ritiene, pertanto, che la società
istante possa determinare il risultato di periodo di riferimento per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 2, comma 36-decies, del D.L. n. 138 del 2011:
– per il periodo d’imposta in cui viene realizzata la plusvalenza (2010), incrementando il risultato fiscale di periodo dell’importo pari alle quote di plusvalenza rinviate
agli esercizi successivi, in virtù dell’esercizio dell’opzione
di cui all’art. 86, comma 4, del T.U.I.R.;
– per i periodi d’imposta successivi, rispetto ai quali è stato
operato il rinvio della tassazione, riducendo il risultato
fiscale di periodo dell’importo corrispondente alla variazione in aumento effettuata in dichiarazione, in relazione alla quota di plusvalenza rinviata.
Ne consegue che la società istante potrà disapplicare automaticamente la disciplina delle società in perdita sistematica, senza quindi necessità di presentare l’istanza di disapplicazione, qualora a seguito del calcolo sopra indicato vengano
meno le condizioni richieste dall’art. 2, commi da 36-decies a
36-duodecies, per essere considerata società in perdita sistematica.
IVA - ALIQUOTA AGEVOLATA
Consulenza giuridica - Art. 2, comma 5, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 - IVA - Aliquota agevolata - Opere
di urbanizzazione primaria - Infrastrutture destinate all’installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica
(Agenzia delle entrate - Ris. n. 69/E del 16 ottobre 2013)
Con la richiesta di consulenza giuridica indicata in oggetto,
l’Associazione ALFA ha chiesto chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 2, comma 5, del D.L. 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n.
133.
Quesito
L’Associazione ALFA si propone di rappresentare e di promuovere, a livello nazionale, il comparto delle aziende a partecipazione regionale a capitale interamente pubblico, operanti nel settore dell’informatica e delle telecomunicazioni
per la Pubblica amministrazione secondo il modello «in
house providing», nonché la tutela degli interessi delle aziende predette e la cura delle relazioni delle stesse con le istituzioni. Nell’ambito di tale attività, espone il seguente caso relativo all’interpretazione della disposizione di cui all’art. 2,
comma 5, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, in base al quale
«Le infrastrutture destinate all’installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui
all’art. 16, comma 7, del testo unico di cui al D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380».
Una propria associata, che svolge per conto della Regione
funzioni e compiti in materia di esecuzione e gestione della
Consulenza n. 43/2013
rete regionale a banda larga delle pubbliche amministrazioni, deve realizzare, tra l’altro, la costruzione e il collaudo di
reti in fibra ottica e la fornitura di servizi di connettività sulla rete regionale a banda larga delle pubbliche amministrazioni. In tale contesto le è stata affidata dalla Regione la realizzazione della «MAN - Metropolitan Area Network in fibra
ottica», con l’esecuzione, nello specifico, di «tutti i lavori, le
prestazioni, le forniture e i materiali necessari per dare l’opera completamente compiuta», oltre che «la fornitura dei cavi
per telecomunicazioni, armadi e telai di terminazione, materiali per scavi e ripristini, pozzetti di diverse dimensioni e
chiusini, la posa dei cavi in fibra ottica».
La questione concerne, pertanto, l’applicabilità o meno dell’aliquota IVA ridotta, a norma del n. 127-quinquies della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai
corrispettivi di appalto afferenti i lavori qualificabili come
opere di urbanizzazione primaria in base al citato art. 2,
comma 5, del D.L. n. 112 del 2008 (ad esempio, gli scavi per la
collocazione dei cavi in fibra ottica), fermo restando il regime IVA ordinario per le cessioni di beni o le prestazioni di
servizi che, pur inerenti la realizzazione di reti di telecomunicazione, non risultino qualificabili come opere di urbanizzazione primaria in base alle disposizioni vigenti in materia
di edilizia pubblica.
Soluzione interpretativa prospettata
A parere dell’istante, la locuzione «ad ogni effetto» riferita all’assimilazione della realizzazione della rete in fibra ottica alle opere di urbanizzazione primaria, contenuta nell’art. 2,
comma 5, del citato D.L. n. 112 del 2008, avrebbe portata generale, valida anche ai fini tributari e, pertanto, consentirebbe l’applicazione dell’aliquota prevista per tali opere dal n.
127- quinquies della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. n.
633 del 1972.
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’art. 2, comma 5, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito,
con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, prevede che
«Le infrastrutture destinate all’installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui
all’art. 16, comma 7, del testo unico di cui al D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380».
Il n. 127-quinquies, della tabella A, parte III, allegata al
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, prevede l’applicazione dell’aliquota ridotta del 10%, tra l’altro, alle «opere di urbanizzazione primaria e secondaria elencate nell’art. 4, della L. 29 settembre 1964, n. 847 integrato dall’art. 44 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (...)». La medesima aliquota è inoltre applicabile, ai sensi del successivo n. 127-septies, anche alle prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto relativi
alla costruzione delle opere, degli impianti e degli edifici di
cui al n. 127-quinquies.
Com’è noto, le categorie di beni che costituiscono opere di
urbanizzazione ai sensi della citata legge n. 847 del 1964 sono
le seguenti:
– opere di urbanizzazione primaria:
a) strade residenziali;
b) spazi di sosta o di parcheggio;
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c) fognature;
d) rete idrica;
e) rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas;
f) pubblica illuminazione;
g) spazi di verde attrezzato;
– opere di urbanizzazione secondaria:
a) asili nido e scuole materne;
b) scuole dell’obbligo, nonché strutture e complessi per
l’istruzione superiore dell’obbligo;
c) mercati di quartiere;
d) delegazioni comunali;
e) chiese ed altri edifici religiosi;
f) impianti sportivi di quartiere;
g) centri sociali (...);
h) aree verdi di quartiere.
Le medesime opere vengono considerate dal Testo Unico in
materia edilizia, approvato con il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
(di seguito T.U. dell’edilizia), che, tra l’altro, nella rubrica dell’art. 16, cita proprio l’art. 4 della legge n. 847 del 1964.
La scrivente, per avere piena cognizione della locuzione «ad
ogni effetto», riferita alla assimilazione delle opere in esame
a quelle di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma
7, del T.U. dell’edilizia, ha richiesto elementi istruttori alle
Amministrazioni competenti.
In particolare, al fine di chiarire se tale espressione abbia portata generale e possa pertanto produrre effetti anche ai fini
tributari, ha chiesto al Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti, competente in materia urbanistica ed edilizia, se
per la individuazione delle opere di urbanizzazione debba
farsi riferimento al T.U. dell’edilizia ed, inoltre, in quale rapporto si pone tale normativa rispetto a quella speciale che dispone l’assimilazione di altre opere a quelle ivi indicate.
In esito a tale istruttoria il Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti, ha osservato che «l’art. 16 del D.P.R. n. 380 del
2001 recante “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, contiene l’elencazione degli
interventi di urbanizzazione primaria e secondaria, sostanzialmente riproduttiva degli interventi di cui alla legge n. 847
del 1964. Il predetto art. 16 prevede, poi, che tra gli interventi di urbanizzazione primaria rientrano anche i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazione …», mentre «l’art. 86 comma 3, del D.Lgs. 1° agosto
2003, n. 259, recante “Codice delle comunicazioni elettroniche” dispone, altresì, che “Le infrastrutture di reti pubbliche
di comunicazioni, di cui agli artt. 87 e 88, sono assimilate ad
ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia”»; infine «l’art. 2, comma 5
del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 prevede che “Le infrastrutture destinate all’installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16,
comma 7, del Testo unico di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n.
380”».
Lo stesso Ministero ha, quindi, richiamato la sentenza della
C. Cost. 27 luglio 2005, n. 336, laddove la Corte, in relazione
all’art. 86, comma 3, del D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 259, recan-
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Documentazione
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Documentazione
16) Documentazione:16) Documentazione 04/12/13 14.19 Pagina 78
te «Codice delle comunicazioni elettroniche», ha affermato
che «La scelta di inserire le infrastrutture di reti di comunicazione tra le opere di urbanizzazione primaria esprime un
principio fondamentale della legislazione urbanistica, come
tale di competenza dello Stato, al pari dell’analoga scelta legislativa di carattere generale che ha portato il citato art. 16,
commi 7 e 7-bis del D.P.R. n. 380 del 2001, a classificare come
opere di urbanizzazione primaria, tra le altre, le strade residenziali, gli spazi di sosta e di parcheggio, le fognature, nonché i cavedi multi servizi e i cavidotti per il passaggio di reti di
telecomunicazioni.
Non si tratta, pertanto, di una norma di dettaglio, ma di una
norma che fissa un principio basilare nella materia del governo del territorio …».
Da quanto riportato risulta, quindi, che attualmente l’elenco
delle opere di urbanizzazione è recato dal T.U. dell’edilizia
cui al D.P.R. n. 380 del 2001, e che il legislatore nell’ampliare
la categoria delle opere di urbanizzazione ha operato una
scelta legislativa di carattere generale, e non di dettaglio, al
pari di quella operata nel classificare come opere di urbanizzazione primaria le strade residenziali, gli spazi di sosta e di
parcheggio, le fognature, ecc., menzionate dalla precedente
normativa.
Per tale motivo, si deve ritenere che allorquando il legislatore richiami tale testo per introdurre nell’ordinamento
giuridico altre opere da assimilare «ad ogni effetto» a quelle di urbanizzazione ivi già elencate, tale rinvio riguarda
anche le disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, nonostante il fatto che nel D.P.R. n. 633 (n. 127quinquies) il riferimento testuale sia alla legge n. 847 del
1964.
Si ritiene, infatti, che l’utilizzo della locuzione «ad ogni effetto» esprima esplicitamente la volontà del legislatore di ampliare il novero delle opere di urbanizzazione anche ai fini
dell’applicabilità dell’aliquota IVA agevolata.
Tali considerazioni, valide anche in riferimento ai cavedi
multiservizi e cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, portano a ritenere superata la Ris. 20 marzo 2006, n.
41/E.
IMPOSTE DIRETTE - IRES
Rivalutazione dei beni immobili delle imprese che
non adottano i principi contabili internazionali Art. 15, commi da 16 a 23, del D.L. n. 185 del 2008
- Chiarimenti in merito alle modalità di versamento delle imposte sostitutive
(Agenzia delle entrate - Ris. n. 70/E del 23 ottobre 2013)
Sono pervenute richieste di chiarimento in merito alle modalità di versamento delle imposte sostitutive di cui all’art.
15, commi 19 e 20, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2.
In particolare le problematiche segnalate riguardano:
a) la misura del tasso di interesse da applicare in caso di pagamento rateale delle anzidette imposte sostitutive;
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b) l’applicabilità alle stesse della modalità di versamento rateale prevista dall’art. 20 del D.Lgs. n. 241 del 1997.
a) Misura del tasso di interesse
Il secondo periodo del comma 22 dell’art. 15 del citato D.L. n.
185, prevede che in caso di versamento rateale delle imposte
sostitutive di cui ai commi 19 e 20 «sulle rate successive alla
prima sono dovuti gli interessi legali con la misura del 3% annuo da versarsi contestualmente al versamento di ciascuna
rata».
In sede di controllo della congruità e tempestività dei versamenti relativi alle anzidette imposte sostitutive, è stata più
volte riscontrata l’applicazione degli interessi sulle rate successive alla prima, anziché nella misura del 3% indicata nella
norma, nella misura (inferiore) del saggio legale di cui all’art.
1284 c.c., vigente alla data di scadenza dei predetti versamenti.
In proposito si osserva che la norma in esame, pur facendo
riferimento agli «interessi legali», ne fissa la misura al 3%. Tale misura coincide con quella del saggio degli interessi legali
in vigore dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2009 (1), ma
non con la misura del predetto saggio vigente negli anni successivi (2).
Al riguardo si ritiene che, con l’espressa indicazione della
«misura del 3%», il legislatore abbia voluto prevedere l’utilizzo di un tasso fisso per tutte le rate delle imposte sostitutive.
Infatti, la misura del saggio degli interessi legali, per sua natura variabile, mal si concilia con l’indicazione di uno specifico tasso di interesse. Pertanto, ove il legislatore avesse voluto far riferimento al saggio degli interessi legali, non ne
avrebbe indicato l’esatta misura.
Per quanto sopra, si ritiene che gli interessi previsti dall’art.
15, comma 22, del D.L. n. 185 del 2008, siano dovuti, per entrambe le rate successive alla prima, nella misura fissa del 3%
annuo, a prescindere dalle diverse misure del saggio degli interessi legali in vigore alle date di scadenza delle predette rate.
Considerato che l’ambigua formulazione della norma può
aver indotto dubbi interpretativi circa la corretta misura degli interessi da corrispondere, si ritiene che sussistano le condizioni per escludere l’applicazione della sanzione relativa ai
maggiori interessi dovuti al tasso del 3% rispetto alle misure
inferiori del saggio legale in vigore alle scadenze della seconda e terza rata. Ciò, in ossequio al principio di tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente, sancito dall’art.
10 della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente).
b) Modalità di versamento rateale
Il primo periodo del comma 22 dell’art. 15 del citato decreto
legge n. 185, prevede che le imposte sostitutive in argomento
devono essere versate, a scelta del contribuente«in un’unica
soluzione entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita ovvero in tre rate di
cui la prima con la medesima scadenza di cui sopra e le altre
con scadenza entro il termine rispettivamente previsto per il
versamento a saldo delle imposte sui redditi relative ai periodi d’imposta successivi».
La norma in commento disciplina in sostanza una specifica
Consulenza n. 43/2013
modalità di rateazione applicabile per il versamento delle
imposte sostitutive disciplinate dallo stesso art. 15.
È stato tuttavia riscontrato che alcuni contribuenti hanno
provveduto al pagamento delle somme dovute avvalendosi
anche dell’ulteriore modalità di versamento rateale prevista
dall’art. 20 del D.Lgs. n. 241 del 1997. La disposizione richiamata stabilisce che le somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte possono essere versate in rate mensili di
uguale importo, con la maggiorazione degli interessi nella
misura del 4% annuo (3).
Ciò premesso, si osserva che l’art. 15 dispone espressamente
che il pagamento delle anzidette imposte sostitutive deve avvenire «in unica soluzione» oppure, in alternativa, «in tre rate» aventi cadenza annuale, senza richiamare – neanche indirettamente – le disposizioni dell’art. 20 del citato D.Lgs. n.
241 del 1997.
Si rileva, inoltre, che come già precisato in passato (cfr. Circ.
n. 50 del 16 giugno 2002) le imposte sostitutive non sono rateizzabili ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. n. 241 del 1997, relativo alle sole somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle
imposte scaturenti dalle dichiarazioni, ma tali imposte possono essere dilazionate «qualora sia previsto dalle singole
leggi istitutive e con le modalità da esse stabilite».
Ne consegue, pertanto, che i versamenti delle imposte sostitutive in argomento, effettuati in rate mensili ai sensi del citato art. 20 del D.Lgs. n. 241 del 1997, sono eseguiti in ritardo
rispetto alle scadenze previste dalla norma.
Tutto ciò precisato, occorre considerare che la citata Circ. n.
50 risale al 2002 e che l’adozione di anomale modalità di versamento potrebbe essere stata indotta da indicazioni suscettibili di essere interpretate in maniera non univoca.
Per quanto sopra esposto, in ossequio al richiamato principio di tutela dell’affidamento e della buona fede, si ritiene che
sussistano le condizioni per escludere l’applicazione delle
sanzioni per tardivo versamento nei confronti dei contribuenti che si sono avvalsi della modalità di pagamento rateale di cui all’art. 20 del D.Lgs. n. 241 del 1997.
Note:
(1) Misura fissata dal D.M. 12 dicembre 2008.
(2) Dal 1° gennaio 2010 il saggio degli interessi legali è sceso all’1%
(D.M. 4 dicembre 2009), per poi risalire all’1,5% dal 1° gennaio
2011 (D.M. 7 dicembre 2010). Dal 1° gennaio 2012 il saggio degli interessi legali è fissato al 2% (D.M. 12 dicembre 2011).
(3) Misura fissata dall’art. 5 del D.M. 21 maggio 2009.
RAPPORTO DI LAVORO - LICENZIAMENTO
Lavoro - Estinzione del rapporto - Svolgimento di
altra attività lavorativa durante il periodo di
malattia - Impossibilità di classificare lo svolgimento dell’attività come lavoro - Mancanza di prove da
parte dell’azienda
(C. Cass - Sent. 15 ottobre 2013, n. 23365)
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale del lavoro di Avellino M.G. espone-
Consulenza n. 43/2013
va di aver lavorato alle dipendenze della A.T. S.r.l. quale operaio comune e di aver ricevuto in data 1° settembre 2006 una
contestazione disciplinare cui era seguito il 15 settembre
20076 il licenziamento. Veniva al lavoratore contestato di
avere esercitato attività lavorativa in Trani ove si trovava in
malattia. Deduceva il M., invece, di essersi reso utile occasionalmente con un proprio congiunto, titolare di una agenzia
immobiliare in Trani, solo per non rimanere inattivo svolgendo attività del tutto saltuaria e compatibile con la malattia
sofferta e quindi senza pregiudicare in alcun modo il recupero delle normali attività lavorative. Chiedeva quindi dichiararsi l’illegittimità del recesso con condanna della convenuta
alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del
danno. Si costituiva in giudizio parte convenuta che contestava la fondatezza del ricorso e ribadiva la legittimità del recesso. Con sentenza del 26 gennaio 2010 il Tribunale di Avellino dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare
ed ordinava la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro con condanna al pagamento delle retribuzioni medio
tempore maturate. La Corte di appello di Napoli con sentenza 24 marzo 2011 rigettava l’appello dell’A.T. S.r.l.
La Corte territoriale rilevava che effettivamente, come già ritenuto dal Giudice di prime cure, la contestazione fosse generica in quanto non offriva elementi precisi circa i fatti contestati e posti a base del licenziamento, non essendo stato
specificato il numero di volte in cui l’appellato era stato visto
lavorare in Trani e la presunta attività computa. Dalla contestazione quindi non emergevano, non essendo indicate le
mansioni ed i periodi in cui tali mansioni sarebbero state
espletate, le possibili conseguenze pregiudizievoli sul processo di guarigione. Anche dal rapporto investigativo di una
società privata, prodotto tardivamente, emergevano attività
le più varie e poco impegnative e comunque compatibili con
la patologia sofferta dall’appellato così come certificata. L’investigazione comunque era durata talmente poco da non poter provare alcuna attività lavorativa così come genericamente contestata. Posto che era emerso che l’appellato era
andato nell’Agenzia di Trani solo tre giorni svolgendo prestazioni varie e non per tutto il tempo dell’apertura si doveva
concludere nel senso che la condotta addebitata era caratterizzata da occasionalità e sporadicità sia dal punto di vista
quantitativo che qualitativo e si doveva escludere che fosse
stata espletata una attività qualificabile come di tipo « lavorativo». Inoltre alla luce di tali risultanze istruttorie doveva ritenersi che i canoni di correttezza e buona fede non fossero
stati violati in quanto lo stato di malattia era indubitabile e le
marginali attività espletate in Trani non avrebbero, in realtà,
potuto rendere più difficile il processo di guarigione, anzi
poteva affermarsi che tali attività potevano avere un’ incidenza funzionale e positiva per la stessa guarigione.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la A.T.
S.r.l. con tre motivi; resiste l’intimato con controricorso che
ha depositato anche memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si allega la violazione della legge n.
300/70, artt. 7 e 18, la violazione degli artt. 1218, 1223, 1225,
1226 e 1227; la violazione ed errata interpretazione degli artt.
112, 115 e 116 c.p.c. e del CCNL e l’omessa e comunque erra-
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ta ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata. La
contestazione mossa al M. era chiara e specifica; erano stati
individuati tutti gli elementi per consentire al lavoratore di
difendersi e per valutare la gravità dell’accaduto.
Il motivo appare infondato in quanto effettivamente la lettera di contestazione riportata a pag. 6 della sentenza impugnata appare assolutamente generica perché non individua
né i giorni né l’attività in concreto svolta presso l’Agenzia Immobiliare Mo. e quindi non offre gli elementi di ordine qualitativo e quantitativo per consentire al lavoratore di difendersi adeguatamente ad al Giudice per valutare la gravità dei
fatti addebitati, considerato anche che la detta contestazione
fa anche riferimento ad un atteggiamento non coerente con
lo stato di malattia, il che non emerge idoneamente in base ad
una contestazione che non offre alcun riferimento al tipo di
mansioni pretesamente svolte «dall’incolpato». La motivazione pertanto appare congrua e logicamente coerente ed individua lacune effettivamente sussistenti nella contestazione, in violazione dell’art. 7, legge n. 300/1970. Il richiamato
CCNL non è stato prodotto, né è stato indicato l’incarto processuale ove eventualmente lo stesso sia disponibile in versione integrale.
Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1375, 2110, 2119 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio avendo la
Corte ritenuto lo stato fisico del lavoratore compatibile con
attività lavorative. La malattia sofferta dall’intimato «epatopatia cronica evolutiva» comportava uno stato di prostrazione fisico e psichico, come ritenuto dai medici curanti, incompatibile con l’attività di collaborazione con l’Agenzia immobiliare sita in Trani.
Il secondo motivo appare infondato in quanto la Corte di appello ha già mostrato con riferimento agli accertamenti tardivamente prodotti dalla società di una Agenzia investigativa privata che era emersa solo un’attività sporadica ed occasionale e non durante l’intero orario di apertura dell’Agenzia
da parte dell’intimato, non assimilabile ad una prestazione
lavorativa e certamente poco impegnativa dal punto di vista
fisico e psichico che, anzi, non solo – stante la sua dimensione qualitativa e quantitativa – era del tutto compatibile con la
malattia sofferta, ma addirittura poteva dirsi funzionale ad
una più pronta guarigione. La motivazione appare congrua e
logicamente coerente e strettamente ancorata alle risultanze
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probatorie, mentre le censure in realtà sono di merito ed appaiono dirette ad una «rivalutazione del fatto», inammissibile in questa sede. La Corte territoriale ha, quindi, esaurientemente motivato in ordine alla mancanza di un pericolo che
l’attività contestata, così come emersa in base alle prove, potesse pregiudicare o rallentare il processo di guarigione.
Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione
dell’art. 18 della legge n. 300/1970 come novellato dall’art. 1
della legge n. 108/1990 e degli artt. 1223, 1227, 2727, 2729
comma 2 c.c., nonché dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli
artt.342, 414, 416, 163, 164, 167, e 359 c.p.c. I Giudici di merito avrebbe dovuto sottrarre all’entità del risarcimento l’aliunde perceptum. La società aveva dato prova che il M. possedeva quote societarie dell’Agenzia «Mo.» e certamente aveva proseguito nell’attività di collaborazione svolta pendente
lo stato di malattia.
Il motivo va dichiarato inammissibile in quanto non ricostruisce, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso in cassazione, come la questione dell’aliunde perceptum sia stata posta nelle precedenti fasi del giudizio ed in
particolare se sia stata oggetto di uno specifico motivo di appello (la sentenza di appello non fa alcun cenno a tale doglianza). In ogni caso il motivo appare inammissibile per genericità in quanto non offre alcun elemento concreto in ordine al preteso aliunde perceptum: anche se l’intimato avesse
avuto delle quote (ma sul punto non vi è stata alcuna produzione in merito alla detta allegazione, unitamente al ricorso
in cassazione) nell’Agenzia già ricordata, questo certamente
non prova che vi avesse poi svolto attività lavorativa retribuita. Nella seconda parte del motivo si reiterano, in modo assolutamente generico, censure già esposte con i precedenti motivi.
Conclusivamente si deve rigettare il ricorso.
Le spese di lite – liquidate come al dispositivo della sentenza
– seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento
in favore di controparte delle spese del presente giudizio di
legittimità che si liquidano in euro 50,00 per spese, nonché in
euro 3.000,00 per compensi oltre accessori.
Consulenza n. 43/2013