Contributo n. 18 - Beato Luigi Monza

NUTRIRE IL PIANETA,
ENERGIA PER LA VITA
È un coro di voci a cantare
sulla terra: “beati voi”.
L’acqua che sazia i giusti
è quella della fontana
pubblica del paese, che
disseta tutti, senza chiederci
di conoscere dove sia la
sorgente di quell’acqua che
ci disseta. La terra dei giusti
è bagnata ogni giorno,
nutrita dalle tante voci
che ci sussurrano dentro:
“felice”, “beato”, “coraggio”,
“hai fatto bene”, “stai
combattendo una buona
battaglia”. Una beatitudine
che sazia, disseta, a volte
inebria di una gioia diversa
ma fortissima. Che si
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avverte più chiara e forte
quando incrociamo gli
occhi di altri giusti che
lottano accanto a noi. Solo
con mille voci diverse tutti
i giusti possono sentirsi
chiamati “beati”.
(Articolo di Luigino Bruni su
Avvenire, 4 ottobre 2015)
APPROFONDIMENTO
Cambiare la prospettiva e spaziare sull’universo
Ogni mattina
il mondo è creato
L
a poesia è una forza che ha cara
la vita. E richiede una visione una fede, per usare un termine vecchio stile. Sì, proprio così. Perché le
poesie non sono parole, dopo tutto,
ma fuochi per il freddo, corde calate a
chi è perso, qualcosa di così necessario
come il pane nelle tasche dell’affamato. Sì, proprio così»1.
Questa è una sorta di definizione fondamentale della poesia data da Mary
Oliver; una definizione che ha presente la fede, e che si nutre di essa per
comprendere il valore e il significato
delle parole. È come se la preghiera
fosse chiamata in causa per spiegarci
che cosa sia davvero la poesia2.
Cosa significa nutrire il pianeta? Vengono in mente le parole del beato Luigi Monza: questa terra è un giardino!
Un giardino che va nutrito quotidianamente; che noi stessi, ognuno nel
suo posto - di lavoro, di attesa, di
studio, di riposo e di svago, di relazioni ristrette o estese - contribuisce
a curare, coltivare, far crescere. Perché
siamo tutti - noi e le cose, il nostro
nulla, il tutto universale e ciò che in
esso vive - tenere pianticelle che abbisognano di sole, acqua, nutrimento.
Ogni mattina il mondo è creato (M.
Oliver) e va accolto, quale dono, con
tutto ciò che in esso è presente: consegnato alla nostra custodia, all’attenzione che poniamo alle semplici cose
che ci vivono attorno, all’impegno di
assolvere compiti e doveri; un mondo
per cui vale la pena alzarsi presto (M.
Oliver) e in cui tutto diventa specchio
della gloria della creazione.
Cosa significa allora nutrire il pianeta?
Una possibile risposta sta nel fatto di
restituire alle cose - ad ogni cosa - il
suo giusto valore e il suo vero significato. In altri termini, apprezzando la
«
bontà di tutto poiché il bene o il male
non risiede nelle cose stesse, tutte
sane e senza veleno di morte (cf Sap
1,14) ma nell’uso che ne facciamo, e
nel come le raggiungiamo in quanto
creature.
Qualcuno diceva che le cose, quando
non vengono utilizzate per lo scopo
per cui sono state pensate e create,
piangono. Di queste lacrime siamo
purtroppo invasi quale conseguenza
di tutti gli insulti al “bene comune”
degli ultimi decenni e ben rappresentati anche nella Lettera enciclica Laudato si’: «La continua accelerazione
dei cambiamenti dell’umanità e del
pianeta… contrasta con la naturale
lentezza dell’evoluzione biologica»
(n.18). Non dovremmo mai dimenticare che «Dio perdona sempre, noi - gli
uomini - perdoniamo alcune volte, la
natura non perdona mai»: saggezza di
un contadino che, indirettamente, offre non solo stimoli per custodire, ma
anche per dare nutrimento corretto
ed efficace.
Negli scritti di don Luigi abbondano
le metafore di riferimento alle cose,
associate con originale simbolismo ad
elementi della natura, della persona,
del Creatore: le piogge della grazia, la
nebbia di amor proprio, le tempeste
della vita, la moneta d’acquisto ecc..
C’è una pagina che richiama da vicino
uno stile poetico: «Conosceva Iddio /
il cuore dell’uomo / inclinato a misere cose / e lo volle nobilitare. / Creò
pertanto i cieli stellati / gli uccelli
dell’aria / i gigli del campo / perché
l’uomo / contemplando queste creature / assurgesse al Creatore. / L’uomo
/ dimenticando il Creatore / si innamora / delle cose create / ma queste
gli ripetono / continuamente: / ama
l’amante Creatore».
Uomo con la testa rovesciata,
Marc Chagall 1919.
come persone; un atteggiamento che
ci permette di prestare attenzione alla
natura che ci circonda: nel riconoscimento del nostro stato di creature, con
un’accettazione vissuta in modestia e
pienezza. Anche se creature affaticate o stanche, che devono lottare ogni
giorno con improvvisi cambi di direzione e ricerche di senso: «Abbandonate
in lui ogni fatica, ogni dolore, ogni
luce e gioia: questo diventerà fonte di
amore; allora voi gli ripeterete il grazie
perenne della riconoscenza».
Una gratitudine che si concretizza
nella lode, nella celebrazione di ciò
che è umile, piccolo, ordinario, ma
che se osservato con la giusta inclinazione dello sguardo rivela la propria appartenenza ad una realtà più
grande, portatrice di senso. Si tratta,
in fondo, di un’accoglienza gioiosa e
piena del proprio esistere nel mondo,
di un incondizionato consenso alla
“terrestrità” intesa come dono, come
opportunità. Si tratta di coltivare una
profonda spiritualità della gratitudine, che dà voce ad un’anima sintonizzata, tramite il contatto con la natura
- con l’intero pianeta - sulla frequenza d’onda della trascendenza5.
Come è possibile alimentare i due atteggiamenti evidenziati? Rimanendo
ancorati essenzialmente a grandi desideri, puntando in alto e, come rappresentato in un quadro di Marc Chagall, rovesciando la testa per spaziare
sull’intero universo.
C’è una fame e una sete che tutti noi, le cose, il pianeta avvertiamo
quotidianamente quando fissiamo lo
sguardo sui valori di cui riconosciamo
carente il nostro habitat, ma è proprio
paradossalmente in questa forma di
indigenza che i valori si nutrono e ricominciano a vivere.
«Ci sono persone che nelle dittature,
nei lager e nei gulag; nelle prigioni
dove sono finite solo perché povere e
indifese; dentro lavori sbagliati e immeritati, riescono a non morire perché
si nutrono della loro fame e sete di
giustizia… trasformando la mancanza
in nutrimento»6; nutrono cioè la loro
vita di valori e di significati che ammortizzano e azzerano tutte le forme
di “cattiverie” inflitte loro malgrado.
Sono persone che «sentono il cielo
sulla terra, in mezzo a mille ostacoli…e diventano generose senza limiti,
costasse la vita». Del resto è la felicità
dentro le stesse sofferenze, fatiche,
impedimenti il grande motore della
vita dei giusti. Come di chi si mise in
viaggio duemila anni fa con lo sguardo rivolto ad una stella, ad una luce
diversa dalle altre, difficilmente riconoscibile oggi, dato l’inquinamento
luminoso fuori e dentro di noi.
Ma il cielo, insieme alla rugiada, insieme al sole che sorge, alla luce che
guida i nostri passi incerti, ci dona una
manna tutte le mattine, che nutre la
fame del mondo, del pianeta. Basta
alzare lo sguardo per capire che «le
piogge della grazia cadono sopra gli
umili» ed «ecco che Iddio si abbassa
fino alla terra perché l’uomo arrivi
fino al cielo». Fino alle stelle!
«Figliuoli miei carissimi… quando provate dolore nell’anima, guardate le
stelle oppure l’azzurro del cielo. Quando vi sentite tristi, quando qualcuno
vi offende, quando non vi riesce qualcosa oppure vi sopraffà la tempesta
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NUTRIRE IL PIANETA, ENERGIA PER LA VITA
L’attenzione a un mondo esterno all’io
è l’atteggiamento necessario perché
la persona rinnovi la propria consapevolezza di appartenere alla “famiglia
delle cose”3 nutrendo se stessa e l’intero pianeta nella direzione di un senso
e di una vocazione dentro un ampio
contesto cosmico: «Non devi essere
bravo. / Non devi camminare sulle ginocchia / Per cento miglia nel deserto,
in penitenza. / Devi solo lasciare che il
morbido animale del tuo corpo / Ami
quel che ama. / Intanto il mondo va
avanti. / Chiunque tu sia, non importa
quanto solo, / il mondo offre se stesso
alla tua immaginazione, / ti richiama
a sé… / annunciando ancora e ancora
il tuo posto / nella famiglia delle cose»
(M. Oliver)4.
Sono due le parole chiave, o meglio gli
atteggiamenti perché il pianeta possa
essere davvero nutrito: stupore e gratitudine. C’è un universo che l’uomo
può ascoltare solo se riscopre in sé
l’innata capacità di meraviglia. Ciò ha
radici antiche: «Se guardo il cielo, la
luna e le stelle - opere che Tu con le
dita hai modellato - che cosa è l’uomo
perché te ne curi, perché te ne ricordi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli!» (canto liturgico riferito al
Salmo 8). Una disposizione spirituale
capace, attraverso la bellezza del creato, di riscoprire e conoscere la figura
del Creatore.
Per questo: «Gli occhi di tutti sono rivolti a te in attesa e tu provvedi loro il
cibo a suo tempo. Tu apri la tua mano
e sazi la fame di ogni vivente» (Salmo 145). Per questo: «Noi abbiamo un
cuore capace di amare le cose belle;
abbiamo un’anima che penetra gli
spazi e contempla le cose celestiali».
Per questo: «Gloria / alle rose e alle foglie, ai semi, ai / pesci argentati. Gloria al tempo e ai campi selvatici» (M.
Oliver). Per questo: «Vive in fondo alle
cose la freschezza più cara» (Gerard
Manley Hopkins).
C’è un secondo atteggiamento - di
gratitudine, di riconoscenza - che va
costantemente e assiduamente coltivato; utile non solo al nutrimento del
pianeta, ma al nutrimento di noi stessi
APPROFONDIMENTO
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interiore, uscite fuori e rimanete a tu
per tu con il cielo. Allora la vostra anima si placherà. Il resto non sono che
particolari secondari» (dal Testamento
di Pavel Florenskkij).
Un invito a rovesciare il capo in cerca
della nostra stella?
«Con-siderare, stare-con-le-stelle, in
cerca della propria è l’origine del pensare e dell’agire umano. Solo quando
uno ha trovato la propria stella, desidera, smette di considerare, perché
sa la direzione verso cui muoversi. Ma
dove andare?»7.
Una domanda a cui si può rispondere
facendosi aiutare da una constatazione e un interrogativo: «Quando mi
sveglio, e Tu stai già ripulendo il cielo
dalle stelle, mi alzo di fretta, sperando
di essere il tuo bimbo selvaggio / … /
un uccello che urla la sua gioia mentre
si libra / per il dono che ci hai offerto: un altro giorno. Questo è il punto:
come il mondo, umido e fertile, chiama ciascuno di noi a dare una nuova e
seria risposta. Questa è la grande domanda, quella che il mondo ci pone
con forza ogni mattina: “Eccoti, vivo.
Vuoi commentare questo fatto?”» (M.
Oliver).
A Natale abbiamo un motivo in più
per farlo.
Gianna Piazza
1
MARY OLIVER, A Poetry Handbook, New
York 1994. Espressione riportata in un
Articolo di Civiltà Cattolica, 27 giugno
2015.
2
Cfr Articolo sopra citato.
3
Ibidem.
4
Il lettore può ascoltare la poesia direttamente dalla voce della Oliver in un video
su YouTube: http://youtu.be/lv_4xmh_
WtE.
5
Articolo già citato di Civiltà Cattolica.
6
LUIGINO BRUNI, Le beatitudini che non
sappiamo, Articolo di Avvenire del 4 ottobre 2015.
7
SILVANO FAUSTI, Occasione o tentazione,
Milano 1997.
Indagine in 14 centri de La Nostra Famiglia
E a noi chi pensa?
Il benessere delle persone non dipende solo
da una buona alimentazione.
Una ricerca del Medea ha indagato risorse
e bisogni di chi si prende cura delle persone
con disabilità. Con risultati sorprendenti.
G
ià negli anni Sessanta, negli Stati Uniti, lo studio della qualità
di vita veniva affrontato non solo
considerando il livello economico ma
introducendo una serie di indicatori
sociali, che implicavano nel concetto
di benessere dimensioni come la coesione sociale, lo sviluppo umano, il
capitale sociale. Oggi l’elenco dei fattori considerati è molto più ampio:
riguarda l’abitazione, il lavoro, il reddito, l’ambiente fisico ed ecologico,
la rete di relazioni sociali e culturali,
l’istruzione e il sistema educativo,
l’efficacia dei servizi sociali e sanitari, la sicurezza sociale e la protezione
sociale, il grado di libertà, giustizia e
democrazia presenti nello Stato ed
altro; in tutti questi casi si tratta di
indicatori oggettivi della qualità di
vita. Vi sono però altri fattori che influiscono sulla vita di una persona e
prevedono una valutazione soggettiva: essi prendono in considerazione
la percezione e il giudizio che gli individui danno della propria esistenza
e della realizzazione di sé nei diversi
ambiti della vita quotidiana.
La soddisfazione per la propria vita
viene spesso identificata con il benessere e la felicità; in realtà tale equivalenza risulta impropria, poiché questi
termini non hanno lo stesso significato: la felicità, intesa come stato momentaneo di piacere, è solo una delle
componenti del benessere psicologico,
che si alimenta con altre percezioni
di sé. Oltre alla presenza di emozioni
positive e di un basso livello di emo-
zioni negative, la persona deve saper
riconoscere nelle attività della sua vita
una congruenza con i propri valori più
profondi e il soddisfacimento dei propri bisogni. Questi bisogni, come già
Fromm affermava nel 1981, non sono
orientati alla realizzazione di un piacere momentaneo, ma alla possibilità
che il loro appagamento conduca ad
una crescita personale.
Oggi molte ricerche di psicologia
positiva sono basate sul concetto
di benessere eudaimonico (fondato
su un processo continuo di crescita
delle proprie potenzialità, in relazione ai propri valori più profondi); incrociano dati ricavati da studi sulla
capacità individuale di fronteggiare
le situazioni (il cosiddetto coping);
rilevano l’esistenza di una condizione
di benessere personale composta da
sintomi di affettività positiva e funzionamento ottimale; individuano
la presenza di bisogni psicologici di
base. Questi ultimi sono composti dal
senso di capacità ed efficacia personali (percezione di competenza); dal
grado di autonomia, inteso come il
desiderio di organizzare da sé la propria esperienza e il proprio comportamento in modo libero e dal bisogno
di “relazionalità” rappresentato dal
senso di legame con gli altri, dalla
capacità di amare e prendersi cura
del prossimo e, nello stesso tempo,
essere ricambiati.
Il tema scelto per l’Expo Milano 2015
“Nutrire il pianeta, energia per la
vita” si richiama alla fondamentale