NUTRIRE IL PIANETA, ENERGIA PER LA VITA È un coro di voci a cantare sulla terra: “beati voi”. L’acqua che sazia i giusti è quella della fontana pubblica del paese, che disseta tutti, senza chiederci di conoscere dove sia la sorgente di quell’acqua che ci disseta. La terra dei giusti è bagnata ogni giorno, nutrita dalle tante voci che ci sussurrano dentro: “felice”, “beato”, “coraggio”, “hai fatto bene”, “stai combattendo una buona battaglia”. Una beatitudine che sazia, disseta, a volte inebria di una gioia diversa ma fortissima. Che si 14 avverte più chiara e forte quando incrociamo gli occhi di altri giusti che lottano accanto a noi. Solo con mille voci diverse tutti i giusti possono sentirsi chiamati “beati”. (Articolo di Luigino Bruni su Avvenire, 4 ottobre 2015) APPROFONDIMENTO Cambiare la prospettiva e spaziare sull’universo Ogni mattina il mondo è creato L a poesia è una forza che ha cara la vita. E richiede una visione una fede, per usare un termine vecchio stile. Sì, proprio così. Perché le poesie non sono parole, dopo tutto, ma fuochi per il freddo, corde calate a chi è perso, qualcosa di così necessario come il pane nelle tasche dell’affamato. Sì, proprio così»1. Questa è una sorta di definizione fondamentale della poesia data da Mary Oliver; una definizione che ha presente la fede, e che si nutre di essa per comprendere il valore e il significato delle parole. È come se la preghiera fosse chiamata in causa per spiegarci che cosa sia davvero la poesia2. Cosa significa nutrire il pianeta? Vengono in mente le parole del beato Luigi Monza: questa terra è un giardino! Un giardino che va nutrito quotidianamente; che noi stessi, ognuno nel suo posto - di lavoro, di attesa, di studio, di riposo e di svago, di relazioni ristrette o estese - contribuisce a curare, coltivare, far crescere. Perché siamo tutti - noi e le cose, il nostro nulla, il tutto universale e ciò che in esso vive - tenere pianticelle che abbisognano di sole, acqua, nutrimento. Ogni mattina il mondo è creato (M. Oliver) e va accolto, quale dono, con tutto ciò che in esso è presente: consegnato alla nostra custodia, all’attenzione che poniamo alle semplici cose che ci vivono attorno, all’impegno di assolvere compiti e doveri; un mondo per cui vale la pena alzarsi presto (M. Oliver) e in cui tutto diventa specchio della gloria della creazione. Cosa significa allora nutrire il pianeta? Una possibile risposta sta nel fatto di restituire alle cose - ad ogni cosa - il suo giusto valore e il suo vero significato. In altri termini, apprezzando la « bontà di tutto poiché il bene o il male non risiede nelle cose stesse, tutte sane e senza veleno di morte (cf Sap 1,14) ma nell’uso che ne facciamo, e nel come le raggiungiamo in quanto creature. Qualcuno diceva che le cose, quando non vengono utilizzate per lo scopo per cui sono state pensate e create, piangono. Di queste lacrime siamo purtroppo invasi quale conseguenza di tutti gli insulti al “bene comune” degli ultimi decenni e ben rappresentati anche nella Lettera enciclica Laudato si’: «La continua accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta… contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica» (n.18). Non dovremmo mai dimenticare che «Dio perdona sempre, noi - gli uomini - perdoniamo alcune volte, la natura non perdona mai»: saggezza di un contadino che, indirettamente, offre non solo stimoli per custodire, ma anche per dare nutrimento corretto ed efficace. Negli scritti di don Luigi abbondano le metafore di riferimento alle cose, associate con originale simbolismo ad elementi della natura, della persona, del Creatore: le piogge della grazia, la nebbia di amor proprio, le tempeste della vita, la moneta d’acquisto ecc.. C’è una pagina che richiama da vicino uno stile poetico: «Conosceva Iddio / il cuore dell’uomo / inclinato a misere cose / e lo volle nobilitare. / Creò pertanto i cieli stellati / gli uccelli dell’aria / i gigli del campo / perché l’uomo / contemplando queste creature / assurgesse al Creatore. / L’uomo / dimenticando il Creatore / si innamora / delle cose create / ma queste gli ripetono / continuamente: / ama l’amante Creatore». Uomo con la testa rovesciata, Marc Chagall 1919. come persone; un atteggiamento che ci permette di prestare attenzione alla natura che ci circonda: nel riconoscimento del nostro stato di creature, con un’accettazione vissuta in modestia e pienezza. Anche se creature affaticate o stanche, che devono lottare ogni giorno con improvvisi cambi di direzione e ricerche di senso: «Abbandonate in lui ogni fatica, ogni dolore, ogni luce e gioia: questo diventerà fonte di amore; allora voi gli ripeterete il grazie perenne della riconoscenza». Una gratitudine che si concretizza nella lode, nella celebrazione di ciò che è umile, piccolo, ordinario, ma che se osservato con la giusta inclinazione dello sguardo rivela la propria appartenenza ad una realtà più grande, portatrice di senso. Si tratta, in fondo, di un’accoglienza gioiosa e piena del proprio esistere nel mondo, di un incondizionato consenso alla “terrestrità” intesa come dono, come opportunità. Si tratta di coltivare una profonda spiritualità della gratitudine, che dà voce ad un’anima sintonizzata, tramite il contatto con la natura - con l’intero pianeta - sulla frequenza d’onda della trascendenza5. Come è possibile alimentare i due atteggiamenti evidenziati? Rimanendo ancorati essenzialmente a grandi desideri, puntando in alto e, come rappresentato in un quadro di Marc Chagall, rovesciando la testa per spaziare sull’intero universo. C’è una fame e una sete che tutti noi, le cose, il pianeta avvertiamo quotidianamente quando fissiamo lo sguardo sui valori di cui riconosciamo carente il nostro habitat, ma è proprio paradossalmente in questa forma di indigenza che i valori si nutrono e ricominciano a vivere. «Ci sono persone che nelle dittature, nei lager e nei gulag; nelle prigioni dove sono finite solo perché povere e indifese; dentro lavori sbagliati e immeritati, riescono a non morire perché si nutrono della loro fame e sete di giustizia… trasformando la mancanza in nutrimento»6; nutrono cioè la loro vita di valori e di significati che ammortizzano e azzerano tutte le forme di “cattiverie” inflitte loro malgrado. Sono persone che «sentono il cielo sulla terra, in mezzo a mille ostacoli…e diventano generose senza limiti, costasse la vita». Del resto è la felicità dentro le stesse sofferenze, fatiche, impedimenti il grande motore della vita dei giusti. Come di chi si mise in viaggio duemila anni fa con lo sguardo rivolto ad una stella, ad una luce diversa dalle altre, difficilmente riconoscibile oggi, dato l’inquinamento luminoso fuori e dentro di noi. Ma il cielo, insieme alla rugiada, insieme al sole che sorge, alla luce che guida i nostri passi incerti, ci dona una manna tutte le mattine, che nutre la fame del mondo, del pianeta. Basta alzare lo sguardo per capire che «le piogge della grazia cadono sopra gli umili» ed «ecco che Iddio si abbassa fino alla terra perché l’uomo arrivi fino al cielo». Fino alle stelle! «Figliuoli miei carissimi… quando provate dolore nell’anima, guardate le stelle oppure l’azzurro del cielo. Quando vi sentite tristi, quando qualcuno vi offende, quando non vi riesce qualcosa oppure vi sopraffà la tempesta 15 NUTRIRE IL PIANETA, ENERGIA PER LA VITA L’attenzione a un mondo esterno all’io è l’atteggiamento necessario perché la persona rinnovi la propria consapevolezza di appartenere alla “famiglia delle cose”3 nutrendo se stessa e l’intero pianeta nella direzione di un senso e di una vocazione dentro un ampio contesto cosmico: «Non devi essere bravo. / Non devi camminare sulle ginocchia / Per cento miglia nel deserto, in penitenza. / Devi solo lasciare che il morbido animale del tuo corpo / Ami quel che ama. / Intanto il mondo va avanti. / Chiunque tu sia, non importa quanto solo, / il mondo offre se stesso alla tua immaginazione, / ti richiama a sé… / annunciando ancora e ancora il tuo posto / nella famiglia delle cose» (M. Oliver)4. Sono due le parole chiave, o meglio gli atteggiamenti perché il pianeta possa essere davvero nutrito: stupore e gratitudine. C’è un universo che l’uomo può ascoltare solo se riscopre in sé l’innata capacità di meraviglia. Ciò ha radici antiche: «Se guardo il cielo, la luna e le stelle - opere che Tu con le dita hai modellato - che cosa è l’uomo perché te ne curi, perché te ne ricordi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli!» (canto liturgico riferito al Salmo 8). Una disposizione spirituale capace, attraverso la bellezza del creato, di riscoprire e conoscere la figura del Creatore. Per questo: «Gli occhi di tutti sono rivolti a te in attesa e tu provvedi loro il cibo a suo tempo. Tu apri la tua mano e sazi la fame di ogni vivente» (Salmo 145). Per questo: «Noi abbiamo un cuore capace di amare le cose belle; abbiamo un’anima che penetra gli spazi e contempla le cose celestiali». Per questo: «Gloria / alle rose e alle foglie, ai semi, ai / pesci argentati. Gloria al tempo e ai campi selvatici» (M. Oliver). Per questo: «Vive in fondo alle cose la freschezza più cara» (Gerard Manley Hopkins). C’è un secondo atteggiamento - di gratitudine, di riconoscenza - che va costantemente e assiduamente coltivato; utile non solo al nutrimento del pianeta, ma al nutrimento di noi stessi APPROFONDIMENTO 16 interiore, uscite fuori e rimanete a tu per tu con il cielo. Allora la vostra anima si placherà. Il resto non sono che particolari secondari» (dal Testamento di Pavel Florenskkij). Un invito a rovesciare il capo in cerca della nostra stella? «Con-siderare, stare-con-le-stelle, in cerca della propria è l’origine del pensare e dell’agire umano. Solo quando uno ha trovato la propria stella, desidera, smette di considerare, perché sa la direzione verso cui muoversi. Ma dove andare?»7. Una domanda a cui si può rispondere facendosi aiutare da una constatazione e un interrogativo: «Quando mi sveglio, e Tu stai già ripulendo il cielo dalle stelle, mi alzo di fretta, sperando di essere il tuo bimbo selvaggio / … / un uccello che urla la sua gioia mentre si libra / per il dono che ci hai offerto: un altro giorno. Questo è il punto: come il mondo, umido e fertile, chiama ciascuno di noi a dare una nuova e seria risposta. Questa è la grande domanda, quella che il mondo ci pone con forza ogni mattina: “Eccoti, vivo. Vuoi commentare questo fatto?”» (M. Oliver). A Natale abbiamo un motivo in più per farlo. Gianna Piazza 1 MARY OLIVER, A Poetry Handbook, New York 1994. Espressione riportata in un Articolo di Civiltà Cattolica, 27 giugno 2015. 2 Cfr Articolo sopra citato. 3 Ibidem. 4 Il lettore può ascoltare la poesia direttamente dalla voce della Oliver in un video su YouTube: http://youtu.be/lv_4xmh_ WtE. 5 Articolo già citato di Civiltà Cattolica. 6 LUIGINO BRUNI, Le beatitudini che non sappiamo, Articolo di Avvenire del 4 ottobre 2015. 7 SILVANO FAUSTI, Occasione o tentazione, Milano 1997. Indagine in 14 centri de La Nostra Famiglia E a noi chi pensa? Il benessere delle persone non dipende solo da una buona alimentazione. Una ricerca del Medea ha indagato risorse e bisogni di chi si prende cura delle persone con disabilità. Con risultati sorprendenti. G ià negli anni Sessanta, negli Stati Uniti, lo studio della qualità di vita veniva affrontato non solo considerando il livello economico ma introducendo una serie di indicatori sociali, che implicavano nel concetto di benessere dimensioni come la coesione sociale, lo sviluppo umano, il capitale sociale. Oggi l’elenco dei fattori considerati è molto più ampio: riguarda l’abitazione, il lavoro, il reddito, l’ambiente fisico ed ecologico, la rete di relazioni sociali e culturali, l’istruzione e il sistema educativo, l’efficacia dei servizi sociali e sanitari, la sicurezza sociale e la protezione sociale, il grado di libertà, giustizia e democrazia presenti nello Stato ed altro; in tutti questi casi si tratta di indicatori oggettivi della qualità di vita. Vi sono però altri fattori che influiscono sulla vita di una persona e prevedono una valutazione soggettiva: essi prendono in considerazione la percezione e il giudizio che gli individui danno della propria esistenza e della realizzazione di sé nei diversi ambiti della vita quotidiana. La soddisfazione per la propria vita viene spesso identificata con il benessere e la felicità; in realtà tale equivalenza risulta impropria, poiché questi termini non hanno lo stesso significato: la felicità, intesa come stato momentaneo di piacere, è solo una delle componenti del benessere psicologico, che si alimenta con altre percezioni di sé. Oltre alla presenza di emozioni positive e di un basso livello di emo- zioni negative, la persona deve saper riconoscere nelle attività della sua vita una congruenza con i propri valori più profondi e il soddisfacimento dei propri bisogni. Questi bisogni, come già Fromm affermava nel 1981, non sono orientati alla realizzazione di un piacere momentaneo, ma alla possibilità che il loro appagamento conduca ad una crescita personale. Oggi molte ricerche di psicologia positiva sono basate sul concetto di benessere eudaimonico (fondato su un processo continuo di crescita delle proprie potenzialità, in relazione ai propri valori più profondi); incrociano dati ricavati da studi sulla capacità individuale di fronteggiare le situazioni (il cosiddetto coping); rilevano l’esistenza di una condizione di benessere personale composta da sintomi di affettività positiva e funzionamento ottimale; individuano la presenza di bisogni psicologici di base. Questi ultimi sono composti dal senso di capacità ed efficacia personali (percezione di competenza); dal grado di autonomia, inteso come il desiderio di organizzare da sé la propria esperienza e il proprio comportamento in modo libero e dal bisogno di “relazionalità” rappresentato dal senso di legame con gli altri, dalla capacità di amare e prendersi cura del prossimo e, nello stesso tempo, essere ricambiati. Il tema scelto per l’Expo Milano 2015 “Nutrire il pianeta, energia per la vita” si richiama alla fondamentale