FORME DI SEPARAZIONE PERSONALE

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CAPITOLO SECONDO
FORME DI SEPARAZIONE PERSONALE
di Gisella Pignataro
SOMMARIO: 1. Separazione giudiziale: presupposti. – 2. Il problema dell’addebito: il
dato normativo ed i problemi interpretativi. – 3. Conseguenze dell’addebito nella
separazione personale. – 4. Conclusioni: limitazione concettuale dell’addebito ed
ambito operativo. – 5. Separazione consensuale: natura dell’accordo e disciplina
giuridica. – 6. Contenuto necessario ed eventuale del negozio di separazione. – 7.
Limiti alle pattuizioni traslative di diritti: configurabilità. – 8. Revoca del consenso
prima del decreto di omologazione. – 9. Omologazione e oggetto del controllo. –
10. Accordi di separazione non omologati. – 11. Mutamento del titolo della separazione. – 12. Separazione di fatto: rilevanza giuridica della fattispecie. – 13. Accordi di separazione e allontanamento dalla residenza familiare. – 14. Effetti della
separazione di fatto. – 15. Separazione temporanea. – 16. Separazione provvisoria: natura giuridica e poteri del giudice. – 17. Separazione c.d. d’urgenza.
1.
Separazione giudiziale: presupposti.
La separazione giudiziale può essere chiesta da entrambi i coniugi o
da uno soltanto, adducendo l’esistenza di una causa che, anche indipendentemente dalla volontà dei coniugi, renda intollerabile la prosecuzione
della convivenza o rechi grave pregiudizio all’educazione della prole (art.
151 c.c.). La lettera della disposizione si presta a contrapposte interpretazioni in ordine a due profili problematici: il rapporto tra i singoli presupposti e la loro valenza, oggettiva o soggettiva.
L’uso della disgiunzione “o” consente di considerare il “grave pregiu1
dizio alla educazione della prole” come autonoma causa di separazione .
1
Ritiene configurabili ipotesi in cui “la convivenza sia tollerabile per i coniugi, ma
di grave pregiudizio all’educazione della prole” proprio per l’utilizzazione della disgiuntiva “o” da parte del legislatore P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità co-
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LA SEPARAZIONE – IL DIVORZIO – L’AFFIDO CONDIVISO
Non mancano però opinioni contrarie secondo cui i fatti pregiudizievoli
per l’educazione della prole rilevano soltanto come indirette manifesta2
zioni dell’intollerabilità della convivenza . Quest’ultima tesi si basa prevalentemente sulla natura personalissima del diritto di separarsi e sull’esistenza di specifici strumenti normativi idonei ad arginare il rischio di
condotte pregiudizievoli per i figli: se il diritto di separarsi spetta esclusivamente ai coniugi, l’azione è strumentale alla tutela di un interesse personale; inoltre, poiché i provvedimenti di decadenza o limitativi della potestà, di cui agli artt. 330 e 333 c.c., apprestano un efficace sistema di tu3
tela nei rapporti tra genitori e figli , il grave pregiudizio all’educazione
della prole legittimerebbe la separazione giudiziale soltanto se determina
anche l’intollerabilità della convivenza.
Invero, la natura personalissima del diritto di separarsi giustifica la titolarità esclusiva del diritto senza condizionare le motivazioni che ne legittimino l’esercizio, che ben possono identificarsi con il solo interesse
4
dei figli . Per i provvedimenti di decadenza o di limitazione della potestà,
poi, il pregiudizio che ne legittima l’applicazione trova causa nella con-
stituzionale, Napoli, 1984, p. 592. L’autore qui ribadisce quanto già espresso in precedenza: ID., Sui rapporti personali nella famiglia, in Dir. fam. e pers., 1979, p. 1261 ss.
Concordano C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, Milano, 1996,
p. 142 ss.; P. ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei
coniugi, in Tratt. Rescigno, III, Torino, 1982, p. 148 ss.; F. SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia. Il matrimonio, in Comm. c.c., I, 1, 2, Torino, 1978, p. 959.
2
U. BRECCIA, Separazione personale dei coniugi, in Digesto, disc. priv., IV, Torino,
1998, p. 383 ss.; M. DOGLIOTTI, Separazione e divorzio. Il dato normativo. I problemi interpretativi, Torino, 1995, p. 35 ss.; C. GRASSETTI, Scioglimento del matrimonio e separazione personale dei coniugi, in Comm. dir. it. fam. Cian-Oppo-Trabucchi, II, Padova, 1992,
p. 291. Per A. e M. FINOCCHIARO, Riforma del diritto di famiglia, I, Milano, 1975, p. 354
ss. i fatti pregiudizievoli all’educazione della prole rilevano in via puramente subordinata
e quando si è già accertata l’intollerabilità della convivenza. Peculiare è la posizione di F.
SCARDULLA, La separazione personale dei coniugi e il divorzio, Milano, 1996, p. 129 ss., il
quale collega i due presupposti in una differente prospettiva: per conciliare l’autonoma
rilevanza del pregiudizio all’educazione della prole con le previsioni di intervento del giudice di cui agli artt. 145 e 316 c.c., assume che intanto la domanda di separazione può essere proposta, in quanto si sia provocato inutilmente l’intervento del giudice e le sue soluzioni siano state disattese.
3
M. DOGLIOTTI, La separazione personale dei coniugi, in Il diritto di famiglia, I, Famiglia e matrimonio, Tratt. Bonilini-Cattaneo, Torino, 1999, p. 479.
4
Sottolinea però P. ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio, cit., p. 148,
che i fatti gravemente pregiudizievoli per l’educazione della prole assumono valore di
fondamento per la separazione soltanto se si connettono alla situazione di convivenza,
nel senso che solo l’interruzione della stessa sia idonea ad evitare il pregiudizio.
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dotta illecita del genitore, non nella convivenza; la ricorrente sovrapponibilità degli episodi concreti non può dunque annullare una evidente
distinzione concettuale.
La giurisprudenza sembra indirettamente confortare l’assunto, allorché si preoccupa
di individuare un criterio oggettivo di collegamento nell’ipotesi di grave pregiudizio arrecato alla prole che giustifichi la separazione (Cass., 17 luglio 1997, n. 6566, in Fam. e
dir., 1998, p. 82).
Per quanto concerne l’intollerabilità della convivenza, alla dottrina
che opta per un’interpretazione oggettiva delle circostanze addotte a fon5
damento della domanda di separazione si oppone chi, al contrario, propone una lettura soggettiva che valorizzi la volontà individuale nell’in6
terruzione della convivenza . A fondamento della valenza oggettiva dei
presupposti si adduce il valore dell’unità della famiglia e la giuridicità del
vincolo coniugale, la cui efficacia può esser modificata soltanto in pre7
senza di circostanze che alterino la serenità del rapporto coniugale ; più
attenta alla tutela dell’individuo, la tesi soggettivistica considera rilevanti
anche fattori soggettivamente avvertiti come capaci di influire negativamente sulla personalità, a prescindere dalla violazione di doveri matri8
moniali .
5
C. GRASSETTI, Scioglimento del matrimonio, cit., p. 683; F. MOROZZO DELLA ROCCA, Separazione personale (dir. priv.), in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, p. 1383; L. BARBIERA, Separazione e divorzio: profili sostanziali e processuali, in Rapporti personali della
famiglia, Roma, 1980, p. 88; F. SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia, cit., p. 949,
che indica quali criteri utilizzabili per definire il concetto di intollerabilità quelli della
dannosità, della gravità e della insuperabilità dei fatti; G. CIAN, Sui presupposti storici e
sui caratteri generali del diritto di famiglia riformato, in Comm. rif. dir. fam. CarraroOppo-Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 43. Si veda altresì M. DOGLIOTTI, La separazione
personale dei coniugi, cit., p. 477, anche se successivamente (p. 484) afferma che l’intollerabilità va intesa in senso soggettivo.
6
U. BRECCIA, op. cit., p. 383; G. AUTORINO STANZIONE, Diritto di famiglia, Torino,
1997, p. 139 ss.; M. TORRINI FERRARI LELLI, Separazione incolpevole e dichiarazione di
addebito, in Riv. dir. civ., 1981, II, p. 256; G. FURGIUELE, Libertà e famiglia, Milano,
1979, p. 266; G. VETTORI, L’unità della famiglia e la nuova disciplina della separazione
giudiziale fra coniugi (profili interpretativi degli artt. 151 e 156), in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 1978, p. 731.
7
F. SCARDULLA, op. cit., pp. 116 e 149. La tesi finisce per limitare le novità della riforma al passaggio da una tipizzazione espressa delle cause di separazione ad una tipizzazione indiretta, identificando nella violazione dei doveri matrimoniali il limite di rilevanza dei fatti che legittimano la crisi del rapporto.
8
G. FURGIUELE, op. cit., p. 266, secondo cui dell’intollerabilità dovrà giudicarsi sol-
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Si ritiene che in merito, come per la soluzione di tutte le problematiche familiari, determinante è la nozione di famiglia accolta, formazione
sociale che riceve tutela dall’ordinamento se e in quanto è idonea a svolgere la funzione essenziale di garantire in ogni circostanza l’effettività e il
9
pieno sviluppo della personalità dei suoi componenti . Non è concepibile pertanto il ricorso a criteri oggettivi di valutazione, secondo il parametro dell’uomo medio o dell’uomo normale, che sostituiscano l’“astratta
10
tollerabilità” alla “tollerabilità concreta” della convivenza , non potendosi prescindere dall’autonoma valutazione della crisi coniugale che spet11
ta a ciascuno dei coniugi . Il rispetto della sensibilità individuale del coniuge non rende comunque superfluo l’esame giurisprudenziale della
domanda, da incentrare sia sull’esistenza dei fatti addotti dall’attore che
sulla serietà della domanda, poiché il diritto non tutela il capriccio o
12
l’imponderatezza della stessa ; in difetto, si avrebbe un’ingiustificata let13
tura abrogativa dei presupposti della separazione giudiziale .
La tesi trova recente conferma (Cass., 9 ottobre 2007, n. 21099, in Foro it., 2008, I, c.
128; Cass., 14 febbraio 2007, n. 3356, in Mass. Giust. civ., 2007, f. 9) allorché si attribuisce rilevanza anche alla condizione di disaffezione e di distacco spirituale di una sola
delle parti. Peraltro soltanto apparentemente la giurisprudenza di legittimità (Cass., 14
giugno 2000, n. 8106, in Mass. Giust. civ., 2000, n. 1295; Cass., 17 luglio 1997, n. 6566,
in Fam. e dir., 1998, p. 82; Cass., 10 giugno 1992, n. 7148, in Dir. fam. e pers., 1993, p.
tanto alla stregua di un criterio non oggettivo, bensì conforme alle aspettative di ogni
singolo soggetto. L’intento normativo di assecondare la volontà dei coniugi, condizione
necessaria per tutelarne la personalità, è sostenuto da R. CORONA, Convivenza intollerabile e separazione dei coniugi, Napoli, 1984, p. 265 ss., purché a fondamento dell’istanza
non si deducano fatti inesistenti o considerati futili, banali e pretestuosi. Il rischio è di
svuotare il ruolo del giudice, il cui intervento si ridurrebbe a prendere atto della decisione unilaterale del coniuge istante.
9
G. AUTORINO STANZIONE, Diritto di famiglia, cit., p. 2.
10
Contra, G. TAMBURRINO, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino,
1988, p. 269, per il quale la separazione non può essere autorizzata in presenza di un
qualsiasi contrasto, ma solo se questo abbia reso impossibile la convivenza e non soltanto per il soggetto agente, ma per qualunque altra persona che si fosse trovata nelle medesime condizioni.
11
G. VETTORI, op. cit., p. 711.
12
R. CORONA, op. cit., p. 265.
13
S. BALDASSARI, La separazione personale dei coniugi, Torino, 2003, p. 138, che rileva come la tesi soggettivistica è giunta talvolta a ritenere “non indispensabile la prova dei
fatti che rendono intollerabile la convivenza, poiché l’intollerabilità cui fa cenno l’art.
151 c.c., è qualcosa di schiettamente soggettivo, di cui il giudice deve limitarsi a prendere atto in base alla semplice allegazione dei fatti”.
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21
68; Cass., 10 gennaio 1986, n. 67, ivi, 1986, p. 487 e in Giust. civ., 1986, I, p. 2213;
Cass., 9 agosto 1977, n. 3637, ivi, 1978, p. 132) e di merito (Trib. Genova, 15 aprile
1980, in Giur. merito, 1981, p. 939 e in Dir. eccl., 1981, II, p. 632; Trib. Napoli, 8 febbraio
1980, in Dir. e giur., 1981, p. 661; Trib. Belluno, 6 maggio 1976, in Giust. civ., 1976, I, p.
1165) sembra privilegiare la tesi oggettivistica. A tutt’oggi infatti, salvo rare eccezioni
(Cass., 10 gennaio 1986, n. 67, in Dir. fam. e pers., 1986, p. 487; App. Genova, 10 agosto 1987, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, p. 245, che ai fini della pronuncia di separazione non considera sufficiente il mero rifiuto della convivenza, occorrendo circostanze
che rendano obiettivamente apprezzabile, e quindi giudizialmente controllabile, la situazione di intollerabilità nella sua essenza e nella sua dinamica causale), non è dato individuare nella prassi giudiziaria sentenze che, di là dalle dichiarazioni di principio, abbiano negato la separazione in nome di un’astratta tollerabilità della convivenza. Quando si
adotta a fondamento della pronuncia non solo il contrasto fra differenti culture, ideologie, credo religioso, ma concetti più evanescenti quali l’incompatibilità di carattere, la
disaffezione o addirittura lo spirito di autonomia dei coniugi, al criterio oggettivo si sovrappone una maggiore considerazione delle reazioni soggettive dell’individuo (Trib.
Catania, 8 giugno 1994, in Dir. fam. e pers., 1995, p. 222; Trib. Napoli, 8 febbraio 1978,
in Giur. merito, 1979, p. 593; Trib. Firenze, 25 ottobre 1980, in Giur. merito, 1982, p.
1187 e Trib. Belluno, 6 maggio 1976, in Giust. civ., 1976, I, p. 1165, dove si desume
l’intollerabilità della convivenza da uno stato di separazione di fatto consolidato; Trib.
Bari, 5 ottobre 1976, in Giur. it., 1980, I, 2, c. 750, che esclude l’addebito ma non l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza in un caso di adulterio dovuto all’incapacità sessuale dell’altro coniuge, condotta umanamente comprensibile).
Diversamente, ha esclusiva valenza oggettiva il grave pregiudizio all’educazione della prole, dove ridotto è l’ambito di discrezionalità del
giudice, il cui giudizio va ancorato ad indici normativi di sicura determinazione che fanno capo all’interesse del minore, secondo le circostanze
del caso concreto, da valutare tutt’al più in relazione all’efficienza causale
14
di tale condotta sulla intollerabilità della convivenza .
La prospettiva conferma altresì il superamento di un modello sanzionatorio, che collegava la separazione alla grave e tipizzata violazione dei
doveri matrimoniali, in favore di un modello incentrato sul consenso, che
la riforma pone a fondamento dell’intera disciplina familiare, nella fisio15
logia come nella patologia dei rapporti . Riflesso immediato della mutata impostazione è la legittimazione attribuita ad entrambi ad instaurare il
procedimento di separazione.
14
15
P. ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio, cit., p. 148.
G. AUTORINO STANZIONE, Diritto di famiglia, cit., passim.
LA SEPARAZIONE – IL DIVORZIO – L’AFFIDO CONDIVISO
22
Il problema dell’addebito: il dato normativo ed i problemi interpretativi.
2.
Centrale in tema di separazione giudiziale è la controversa questione
16
sulla corretta interpretazione del comma 2 dell’art. 151 c.c. . L’iniziale e
più semplicistica affermazione, che identificava l’addebito con la separa17
zione per colpa e le fattispecie tipiche della normativa abrogata , è oggi
ampiamente superata in considerazione della mancanza di qualsiasi influenza dell’accertamento dell’addebito sul diritto di chiedere e di ottenere
la separazione giudiziale e del carattere eventuale della dichiarazione, subordinata com’è ad una specifica richiesta ed al concorso delle “circostanze” menzionate dall’art. 151, comma 1, c.c.
Il problema interpretativo nasce dall’evidente contrasto tra l’addebito
ed i principi ispiratori della disciplina in tema di separazione che, incentrando le vicende del rapporto matrimoniale sulla nozione di comunione
di vita materiale e spirituale, affidano al consenso la conservazione del
rapporto coniugale. Ne deriva la natura eccezionale della previsione
18
dell’addebito , tesi non da tutti condivisa in conformità anche ad approcci giurisprudenziali influenzati da convinzioni formatesi con la normativa pregressa.
16
Secondo tale disposizione, “Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove
ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri scaturenti dal matrimonio”.
17
È quanto è stato affermato da alcuni autori nei primi commenti alla riforma: così P.
GRASSI, La separazione personale dei coniugi nel nuovo diritto di famiglia. L. 19 maggio
1975, n. 151, Napoli, 1975, p. 57; analogamente, A. DE CUPIS, Postilla sul nuovo diritto
di famiglia, in Riv. dir. civ., 1975, I, p. 310, afferma “benché la separazione per causa obiettiva abbia sostituito la separazione per colpa, la colpa stessa conserva, sotto altro
nome e per specifici effetti, una sua rilevanza giuridica”.
18
Già i primi commentatori della normativa riformata avevano esattamente colto,
seppure con valutazioni differenti, il carattere di eccezionalità della previsione dell’addebito, tanto da dedurne l’impossibilità di considerare validamente poste le istanze di
separazione per colpa avanzate sotto il vigore della disciplina abrogata e non ancora
concluse: F. DALL’ONGARO, Prime impressioni sul testo definitivo della riforma del diritto di famiglia, in Dir. fam. e pers., 1975, p. 584; P. RESCIGNO, Manuale del diritto privato
italiano, Napoli, 1975, p. 385; P. GRASSI, “Jus superveniens” e dichiarazione di addebito
nei giudizi di separazione, in Dir. e giur., 1976, p. 611 ss. ove l’autore annota criticamente
Cass., 6 febbraio 1976. n. 414 che, considerando equivalente la pronuncia “di addebito”
a quella “per colpa”, affermava non si doveva modificare la domanda a causa dello jus
superveniens nei procedimenti di separazione per colpa già promossi.
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23
In giurisprudenza, soprattutto all’indomani della riforma, troviamo sentenze che identificano la vecchia “colpa” con l’attuale nozione di “addebito” (Cass., 9 dicembre
1976, n. 4584, in Rep. giur. it., 1976, voce Separazione dei coniugi, n. 19; Cass., 18 novembre 1977, n. 3046, ivi, 1977, voce cit., n. 61; Cass., 8 maggio 1978, n. 2225, ivi, 1978,
voce cit., n. 78). Sottolinea invece il carattere eccezionale dell’addebito la prima giurisprudenza di merito (Trib. Parma, 31 dicembre 1975, in Giur. it., 1977, 1, 2, c. 157 ss.).
19
Nel timore di “debilitare” la famiglia legittima sottraendo sanzione,
e dunque giuridicità, ai doveri scaturenti dal matrimonio e di ridurre il
20
richiamo ai doveri matrimoniali a sterile enunciazione di principi , parte
della dottrina ha interpretato l’addebito secondo le logiche di un modello sanzionatorio rimasto immutato con la riforma, che avrebbe determinato soltanto l’ampliamento delle ipotesi tassative che legittimavano la
separazione per colpa. Su questa premessa si delineano differenti orientamenti interpretativi: per taluni il giudice, richiesto di addebitare la separazione ad uno dei coniugi, dovrebbe limitarsi a verificare la fondatezza dell’asserita violazione dei doveri matrimoniali e non anche l’efficienza
21
causale di tale condotta sull’intollerabilità della convivenza ; altri rilevano una differenza sostanziale tra colpa ed addebito, identificata nell’irrilevanza dell’elemento soggettivo nell’addebito, la cui pronuncia prescinde dall’imputabilità della condotta e consente di sanzionare anche una
condotta non imputabile se oggettivamente contraria ai doveri matrimo22
niali fino ad affermare che si ha mera intollerabilità della convivenza se
la crisi non pregiudica i rapporti personali che sopravvivono alla separa23
zione; addebito se si superano tali limiti . Ancor più radicale è quel19
L’espressione è di A. DE CUPIS, Debilitazione legislativa della famiglia legittima, in
Riv. dir. civ., 1972, I, p. 317 ss.
20
G. GABRIELLI, Premessa agli artt. 224-239. Art. 226, in Comm. rif. dir. fam. CarraroOppo-Trabucchi, II, cit., p. 14 ss. ed E. PROTETTÌ, Dello scioglimento del matrimonio e della
separazione dei coniugi. Del regime patrimoniale della famiglia, artt. 149-230 bis, in Comm.
teorico-pratico al c.c., diretto da. De Martino, I, 1973, p. 26. G. CIAN, Introduzione generale.
Sui presupposti storici e sui caratteri generali del diritto di famiglia riformato, in Comm. rif.
dir. fam. Carraro-Oppo-Trabucchi, I, 1, cit., p. 42, ritiene espressamente che con l’addebito
si sia riaffermato “il principio della giuridicità” degli obblighi nascenti dal matrimonio; egualmente anche A. TRABUCCHI, ivi, p. 268 e F. SANTORO PASSARELLI, ivi, p. 223 ss.
21
A. e M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, Milano, 1984, p. 498, per il quale l’addebitabilità presuppone la riferibilità di un atto alla condotta volontaria di un soggetto capace di intendere e di volere; G. TAMBURRINO, op. cit., p. 271; P. TARTAGLIA, La separazione con addebito, a qualche anno dall’entrata in vigore della legge di riforma, in Scritti in
onore di Nicolò, Milano, 1982, p. 178.
22
P. ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio, cit., p. 172.
23
È quanto afferma P. ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio, cit., p.
24
LA SEPARAZIONE – IL DIVORZIO – L’AFFIDO CONDIVISO
l’orientamento che, sempre nella stessa logica sanzionatoria, suggerisce di
interpretare l’inciso “ove ne ricorrano le circostanze” con una valutazio24
ne complessiva di tutta la vicenda coniugale , dando rilievo ad ogni
condotta sgradita all’altro coniuge, per cui anche violazioni lievi, purché
capaci di acquisire spessore in una valutazione complessiva del comportamento coniugale, potrebbero giustificare l’addebito.
In giurisprudenza ritroviamo la stessa varietà di orientamenti interpretativi: l’interdipendenza tra addebito e violazione dei doveri matrimoniali a prescindere dall’incidenza della condotta sull’intollerabilità della convivenza (Cass., 11 dicembre 1998, n. 12489, in Mass.
Giust. civ., 1998, p. 2566; Trib. Torino, 7 giugno 1983, in Giur. it., 1987, I, 2, c. 320); la valenza oggettiva dell’addebito che prescinde dall’imputabilità della condotta (Cass., 3 gennaio
1991, n. 25, in Foro it., 1991, I, c. 1135; Cass., 8 agosto 1990, n. 8013, in Dir. fam. e pers.,
1991, p. 511; Cass., 6 settembre 1985, n. 4639, in Foro it., 1986, I, c. 119; Trib. Genova, 11
marzo 1986, in Giur. it., 1986, I, 2, c. 356); la rilevanza dell’intera vicenda coniugale nella
valutazione dell’addebitabilità della separazione (Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618, in Guida al diritto., 2008, 7, p. 31; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592, in Il civilista, 2008, 11, p. 6;
Cass., 12 aprile 2006, n. 8512, in Mass. Giust. civ., 2006, f. 4; Cass., 1 marzo 2005, n. 4290,
in Foro it., 2005, I, c. 2994; Cass., 18 settembre 2003, n. 13747, in Mass. Giust. civ., 2003, f.
9; Cass., 18 settembre 1997, n. 9287, in Giust. civ., 1997, I, p. 2383; Cass., 2 dicembre 1988,
n. 6967, in Corr. giur., 1989, p. 273; Cass., 7 maggio 1983, n. 3106, in Giur. it., 1983, I, 1, c.
1228; Trib. Napoli, 30 giugno 1981, in Giur. merito, 1982, I, p. 266).
Discutibile è però la stessa premessa, la sanzione come condizione di
giuridicità del precetto normativo e la funzione sanzionatoria dell’addebito
per attestare la giuridicità dei doveri matrimoniali. L’esistenza di norme
prive di sanzione ma non di efficacia giuridica è un dato ormai acquisito
alla teoria generale del diritto, dipendendo la giuridicità di una norma non
25
dalla sanzione, bensì dalla sua appartenenza all’ordinamento giuridico .
159. Contra, M. DOGLIOTTI, La separazione personale dei coniugi, cit., p. 484, per il quale la tesi contrasta con la lettera della norma e riflette una considerazione fattuale ispirata
ai rapporti di civiltà o inciviltà tra i coniugi, come tale priva di valenza giuridica.
24
È la tesi di G. DETTORI, L’unità della famiglia e la nuova disciplina della separazione personale tra i coniugi, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, p. 870; E. ZANETTI VITALI,
Il mutamento del titolo della separazione, in Dir. fam. e pers., 1980, p. 273. In posizione
critica sottolinea il rischio di ampliare in tal modo a dismisura le violazioni di obblighi
matrimoniali che giustificano l’addebito e, con esse, la discrezionalità del giudice M.
DOGLIOTTI, La separazione personale dei coniugi, cit., p. 482.
25
N. BOBBIO, Teoria della norma giuridica, Torino, 1958, p. 206 ss. che ciò dimostra
con riferimento anche alle norme costituzionali, norme tutte prive di sanzione eppure
giuridicamente sovraordinate. Peraltro significativamente l’autore definisce la questione
“una delle controversie più tradizionali, più dibattute e anche più sterili della teoria generale del diritto”: ID., Sanzione, in Noviss. dig. it., XVI, Torino, 1969, p. 539 ss.
FORME DI SEPARAZIONE PERSONALE
25
In materia familiare poi, dove maggiore è la frequenza di norme prive di
sanzione, la necessaria correlazione tra giuridicità e sanzione è contraddetta proprio dall’analisi dei doveri scaturenti dal matrimonio.
Alcun problema pongono i doveri a contenuto patrimoniale: l’obbligo
di contribuire ai bisogni della famiglia, quantificato dal legislatore in relazione alle sostanze individuali e alla capacità di lavoro di entrambi, risulta determinato nell’an e nel quantum, seppure con rinvio ad una ripar26
tizione proporzionale tra gli obbligati ed affidando agli stessi coniugi la
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scelta sulle modalità di riparto . La determinazione dei contenuti del
dovere di contribuzione consente infatti una valutazione economica della
prestazione e dell’inadempimento, e dunque la sua classificazione nella
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categoria degli obblighi o più correttamente delle obbligazioni . Lo stesso dicasi per tutte le altre obbligazioni a contenuto patrimoniale assunte
nell’interesse della famiglia.
Con la riforma si abbandona il riferimento al vecchio dovere di mantenimento, troppo legato a una visione di interesse individuale e di subordinazione materiale di un coniuge rispetto all’altro, in contrasto con il principio di solidarietà e per questo caduto
sotto gli strali della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 145 c.c. nella parte in cui sanciva l’obbligo del marito di provvedere al mantenimento della moglie a prescindere dall’insufficienza dei mezzi economici della stessa
(Corte cost., 13 luglio 1970, n. 133, in Giur. it., 1970, I, 1, c. 1516). In attuazione del principio di pari dignità morale, sociale e giuridica tra i coniugi, oggi identica dignità viene
26
A. FALZEA, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv.
dir. civ., 1977, I, p. 614 ss.; S. ALAGNA, Famiglia e rapporti tra coniugi nel nuovo diritto,
II ed., Milano, 1983, p. 318; A. JANNARELLI, L’allontanamento dalla residenza familiare e
i rapporti patrimoniali tra i coniugi, in Foro it., 1980, I, c. 1139 ss.; A. DI MAJO, Doveri di
contribuzione e regime dei beni nei rapporti patrimoniali tra coniugi, in Riv. trim. dir. e
proc. civ., 1981, I, p. 349. L’obbligo di contribuire è relativizzato dal legislatore con riferimento alla controversa nozione di “bisogni familiari” (art. 143, comma 3, c.c.), oggetto
di due distinti indirizzi interpretativi: il primo, più formalistico, volto a definire il contenuto della formula in base ad indici obiettivi e quindi generalmente applicabili; il secondo, più rispettoso dell’autonomia negoziale familiare, incline a riconoscere ai coniugi un
autonomo potere di determinazione.
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Il riparto dei compiti nella contribuzione ai bisogni familiari rientra nell’indirizzo
della vita familiare, oggetto di decisione congiunta ai sensi dell’art. 144 c.c. Tale regola è
infatti l’unica che può garantire una partecipazione a pari titolo nella conduzione della
vita familiare ed è l’unica compatibile con i principi di eguaglianza e di pari dignità. Per
approfondimenti sulla natura di tali accordi relativi al governo della famiglia si rinvia a
quanto ampiamente riportato in quella sede.
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Sulla patrimonialità della prestazione si leggano le puntualizzazioni e valutazioni
critiche di M. GIORGIANNI, L’obbligazione, Milano, 1968, p. 33 ss.; P. RESCIGNO, Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, spec. p. 137 ss.
3.
LA SEPARAZIONE – IL DIVORZIO – L’AFFIDO CONDIVISO
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attribuita al lavoro del coniuge, svolto tra le mura di casa o all’esterno a seconda degli
accordi intervenuti sulla ripartizione di compiti (Cass., 21 ottobre 1980, n. 564, in Dir.
fam. e pers., 1981, p. 96; Trib. Napoli, 30 giugno 1981, in Giust. civ., 1981, I, p. 2742):
non è pertanto causa di addebito per la giurisprudenza di legittimità il fatto che la moglie svolga un’attività lavorativa esterna, purché ciò non comprometta irreparabilmente
e in modo grave l’unità della famiglia e non pregiudichi in modo apprezzabile lo sviluppo psicofisico della prole (Cass., 21 ottobre 1980, n. 5641, cit.).
Alle regole generali in tema di obbligazioni, che fondano direttamente
l’azione tendente ad ottenere l’adempimento anche in via coercitiva, si
aggiungono altri possibili effetti, come la pronunzia della separazione se
la loro violazione abbia reso intollerabile la convivenza o recato grave
pregiudizio alla prole o una differente regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi indotta dal reiterato inadempimento, nel regime
primario o secondario, nella fisiologia come nella patologia del rapporto.
Ne deriva che non è necessario forzare la normativa della separazione
giudiziale, riconducendola nuovamente al tipo sanzionatorio, per assicu29
rare giuridicità a siffatti doveri .
Più complesso è il problema della giuridicità nei doveri a contenuto
personale, perché non sono suscettibili di coercizione né tanto meno di
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valutazione economica , al punto da discutere se sia corretto definirli
giuridicamente come doveri ovvero sia preferibile qualificarli come oneri, considerato che la loro inosservanza è sottratta ad una specifica sanzione. Rinviando alla trattazione specifica il problema della natura giuridica, si ritiene che, oltre all’asserita indipendenza della giuridicità dalla
sanzione, se il rapporto familiare e coniugale non è una monade del sistema ma parte dell’ordinamento giuridico ed espressione dei suoi principi fondamentali, i doveri di natura familiare non solo hanno valenza
giuridica, ma vincolano i coniugi al loro adempimento se non altro in conformità ai principi costituzionali, ed in particolare al principio di pari dignità, morale, sociale e giuridica che costituisce principio di ordine pub31
blico costituzionale . Non è pertanto necessario attribuire alla normativa
in tema di separazione personale la finalità di sanzionare obblighi e doveri che trovano in altre fonti giuridicità, soprattutto se si considera che la
29
G. AUTORINO STANZIONE, Divorzio e tutela della persona. L’esperienza francese, italiana e tedesca, Camerino, 1981, p. 202.
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Diverso è il discorso della risarcibilità del danno causato con la violazione dei doveri personali, ammissibile secondo quanto già precisato.
31
G. AUTORINO STANZIONE, Sui rapporti familiari nel vigente ordinamento spagnolo,
Napoli, 1984, p. 151.
FORME DI SEPARAZIONE PERSONALE
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pronunzia è subordinata al mero accertamento dell’intollerabilità della
convivenza.
Anche il diritto vivente oggi accoglie questa soluzione, affermando che gli obblighi
ex art. 143 c.c. costituiscono regole di condotta imperative oltre che direttive morali di
particolare valore sociale (Cass., 9 giugno 2000, n. 7859, in Giur. it., 2001, p. 239).
Nella diversa prospettiva che affida alla separazione la funzione sanzionatoria della violazione della solidarietà familiare, qualsivoglia comportamento dei coniugi riconducibile a un esasperato contrasto decisionale o, più genericamente, alla c.d. incompatibilità di carattere potrebbe
giustificare l’addebito. In tal modo si capovolgerebbe il rapporto tra regola ed eccezione posto dal legislatore tra comma 1 e 2 dell’art. 151 c.c.,
perché l’addebito finirebbe per identificarsi con la crisi coniugale e diventerebbe l’elemento qualificante dell’intera disciplina, in contraddizione con la legittimazione concessa ad entrambi i coniugi di chiedere ed
ottenere la separazione sull’esclusiva base dell’intollerabilità della convivenza e del grave pregiudizio per la prole e con il carattere eventuale della valutazione da parte del giudice dell’illiceità del comportamento, subordinato ad una richiesta ad hoc.
Anche la giurisprudenza di legittimità più datata ha interpretato sia il rifiuto della
moglie di aderire alla decisione del marito in merito alla fissazione della residenza familiare che l’atteggiamento rivolto ad impedire che egli si incontrasse con il figlio come
aspetti “del più profondo dissenso esistente tra i coniugi” e come “manifestazioni esteriori della pregressa incompatibilità di carattere”, rifiutando perciò di emettere il giudizio
di addebito a carico dell’uno o dell’altro coniuge (Cass., 11 ottobre 1978, n. 4519, in
Giust. civ., 1979, I, p. 66 ss.). Più di recente, non mancano sentenze che condizionano
l’addebito non alla sola violazione, ma alla violazione particolarmente grave dell’obbligo
coniugale (nella specie l’obbligo di fedeltà) oltre che all’efficienza causale della crisi coniugale (Cass., 18 settembre 2003, n. 13747, cit.).
3.
Conseguenze dell’addebito nella separazione personale.
Alle medesime conclusioni si giunge partendo dalla diversa prospettiva
del raffronto delle conseguenze della separazione personale con o senza
addebito, che pur sono esclusivamente a carattere patrimoniale (artt. 156 e
548, comma 2, c.c.) ed incidono soltanto sui rapporti reciproci tra i coniugi. In entrambi i casi la separazione costituisce una vicenda modificativa
del dovere di contribuzione, nel senso che determina il passaggio dalla re-
LA SEPARAZIONE – IL DIVORZIO – L’AFFIDO CONDIVISO
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gola dell’accordo all’autonomia decisionale e patrimoniale nella propria
sfera giuridica, ma incide in modo differenziato sulla regola della solidarietà familiare che, per quanto attenuata, sopravvive nella sola separazione
non addebitata. Si spiega così la funzione riequilibratrice dell’obbligo di
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mantenimento in favore del coniuge privo di adeguati redditi propri .
Il fondamento solidaristico si evince dai requisiti che condizionano il
diritto al mantenimento, l’esistenza di uno squilibrio in misura rilevante
tra le reciproche posizioni patrimoniali che impedisca di conservare un
livello di vita per quanto possibile equiparato tra i coniugi e la non imputabilità della condizione al coniuge creditore, benché l’assegno debba essere commisurato all’esigibilità di un’attività lavorativa adeguata, oltre
alla non addebitabilità della separazione. Estranea è dunque la valutazione dei comportamenti reciproci dei coniugi; inoltre la mancanza di addebito consente al coniuge separato di conservare i diritti successori nei
confronti dell’altro.
L’attitudine del coniuge al lavoro dev’essere valutata, per costante orientamento giurisprudenziale, non in termini astratti ed ipotetici, ma solo se venga riscontrata
un’effettiva possibilità di svolgere un’adeguata attività lavorativa retribuita, secondo le
circostanze del caso concreto (Cass., 6 maggio 1976, n. 1618, in Dir. fam. e pers., 1976,
p. 1135 ss.; Cass., 29 settembre 1977, n. 4163, in Giust. civ., 1978, I, p. 87 ss.; Cass., 24
novembre 1978, n. 5516, in Foro pad., 1978, I, c. 367 ss.; Cass., 6 luglio 1978, n. 3341,
in Rep. Foro it., 1978, voce Separazione di coniugi, c. 2428, n. 62).
Al contrario, l’addebito della separazione priva il coniuge “colpevole”
del diritto al mantenimento, mentre residua l’obbligazione alimentare
qualora versi in stato di bisogno (art. 156 c.c.), e dei diritti successori; costui conserva a carico della successione un mero legato ex lege per la
somministrazione di una rendita alimentare, qualora ne godeva prima
della morte del de cuius (art. 548, comma 2, c.c.). Già il passaggio dal diritto al mantenimento ad una residua obbligazione alimentare dovrebbe
collegare l’addebito ad un grave attentato alla solidarietà familiare, tale
da equiparare le conseguenze patrimoniali della separazione a quelle del
divorzio, dove l’obbligazione trova fondamento nella pregressa solidarietà familiare, anche se da tempo dottrina e giurisprudenza tendono ad avvicinare le due figure di obbligazione.
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Per un’indagine sulla distinzione tra il rapporto di solidarietà economica tra i coniugi
durante la convivenza e quello nella separazione, corredata da ampie citazioni dottrinali e
giurisprudenziali, A. JANNARELLI, L’allontanamento dalla residenza familiare ed i rapporti patrimoniali tra coniugi, nota a Cass., 25 ottobre 1978, n. 4842, in Foro it., 1980, I, c. 1135 ss.
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