La ricerca della felicità, un diritto di tutti. Tutte le costituzioni ne parlano, i film e la letteratura la raccontano, ma poi effettivamente che ruolo ricopre nella nostra vita? L’articolo 3 della Costituzione italiana recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” In tempi recenti, come afferma M. Pellizzari, anche gli economisti si sono interessati al tema del benessere e della felicità degli individui. E’ interessante notare come “nel lungo periodo mentre il reddito pro capite aumentava costantemente, la felicità è rimasta sostanzialmente invariata.” Le indagini Eurostat-Eurobarometro hanno evidenziato che sebbene vi siano state molte oscillazioni, “la soddisfazione media riportata dagli europei era, nel 1992, praticamente allo stesso livello di 20 anni prima, a fronte di un considerevole aumento del reddito procapite nello stesso periodo.” Il primo problema che sorge è la veridicità dei dati: ognuno infatti dichiara la maggiore o minore felicità in relazione al suo personale parametro, che, di solito, coincide con il raggiungimento o meno dei suoi obiettivi. Se cambiano le aspettative cambia il livello di raggiungimento della felicità. Questa concezione però riduce la felicità ad una mera accezione economica, senza esaminarne le sfumature più essenziali, per questo Z. Bauman, nel suo saggio “L’arte della vita”, si interroga se soldi e potere economico danno la felicità, in una società in cui i marchi e i loghi identificano il ruolo e la posizione sociale dell'individuo-consumatore. Bauman osserva che la felicità individuale è strettamente connessa al rapporto con gli altri e alla stima che essi nutrono nei suoi confronti. Come Maggioni e Pellizzari possiamo chiederci: “Ma allora cosa ci rende felici?” La Dichiarazione americana ci offre uno spunto per riflettere sulla questione: «Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità.» Quindi, non è il potere economico a rendere l’uomo felice, ma il fatto di essere possessori di diritti inalienabili: «La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo […] porci delle sfide difficili […]. Dobbiamo tentare l’impossibile. […]. Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.» L’errore principale dell’individuo, per Zamagni, è credere utilità e felicità siano connesse. Ridurre la categoria della felicità a quella dell’utilità è “all’origine della credenza secondo cui l’avaro sarebbe, dopotutto, un soggetto razionale. Eppure un gran numero di interazioni sociali acquistano significato unicamente grazie all’assenza di strumentalità. Il senso di un’azione cortese o generosa verso un amico, un figlio, un collega sta proprio nel suo essere gratuita. Se venissimo a sapere che quell’azione scaturisce da una logica di tipo utilitaristico e manipolatorio, essa acquisterebbe un senso totalmente diverso, con il che verrebbero a mutare i modi di risposta da parte dei destinatari dell’azione.” In conclusione,possiamo desumere che l’homo oeconomicus è condannato all’infelicità, perché l’economia da sola non può essere base fondante della felicità dell’uomo, un uomo che come dice Zamagni, è nato per mettere in pratica il suo diritto di reciprocità.