Fryderyk Chopin (1810-1849)
Preludio op. 45, per pianoforte
Salvatore Sciarrino (1947)
All'aure in una lontananza, per flauto
Museo della Musica di Bologna
sabato 26 febbraio 2011 - ore 17.00
EXITIME 07
VOCI DEL CONTEMPORANEO
Lavinia Guillari, flauto
Violetta Mesoraca, violino
Chie Yoshida, viola
Enrico Bernardi, pianoforte
Mino Marani, pianoforte e direzione
INGRESSO LIBERO FINO AD ESAURIMENTO DEI POSTI DISPONIBILI
Una produzione:
FontanaMIXensemble
Karol Szymanowski (1882-1937)
dalle Mazurche op. 50, per pianoforte
n. 1 - Sostenuto. Molto rubato
n. 3 - Moderato
n. 7 - Poco vivace
Bruno Maderna (1920-1973)
Viola, per viola sola
Karol Szymanowski
dalle Mazurche op. 50, per pianoforte
n. 9 - Tempo moderato
n. 11 - Allegretto
Karol Szymanowski
Mythes
Tre poemi op. 30, per violino e pianoforte
I. La Fontaine d'Arethuse
II. Narcisse
III. Dryades et Pan
Andrea Agostini (1975 - )
Cinque movimenti, per ensemble
Prima esecuzione assoluta
Con i sostegno di:
P RO S S I M O C O N C E RTO S A B ATO 2 6 M A R Z O
Corrado Carnevali, viola | Franco Venturini, pianoforte
musiche di Beethoven, Hindemith, Nono, Venturini
Museo della Musica di Bologna
sabato 26 febbraio 2011 - ore 17.00
EXITIME 07
P RO S S I M O C O N C E RTO S A B ATO 2 6 M A R Z O
Corrado Carnevali, viola | Franco Venturini, pianoforte
VOCI DEL CONTEMPORANEO
FontanaMIX/solisti
musiche di Beethoven, Hindemith, Nono, Venturini
Lavinia Guillari, flauto
Violetta Mesoraca, violino
Chie Yoshida, viola
Enrico Bernardi, pianoforte
Mino Marani, pianoforte e direzione
Una produzione:
FontanaMIXensemble
Con i sostegno di:
www.fontanamix.it
Fryderyk Chopin (1810-1849)
Preludio op. 45, per pianoforte
Salvatore Sciarrino (1947)
All'aure in una lontananza, per flauto
Karol Szymanowski (1882-1937)
dalle Mazurche op. 50, per pianoforte
n. 1 - Sostenuto. Molto rubato
n. 3 - Moderato
n. 7 - Poco vivace
Bruno Maderna (1920-1973)
Viola, per viola sola
Karol Szymanowski
dalle Mazurche op. 50, per pianoforte
n. 9 - Tempo moderato
n. 11 - Allegretto
--------------- intervallo --------------Karol Szymanowski
Mythes
Tre poemi op. 30, per violino e pianoforte
I. La Fontaine d'Arethuse
II. Narcisse
III. Dryades et Pan
Andrea Agostini (1975 - )
Cinque movimenti, per ensemble
Prima esecuzione assoluta
ll mondo crepuscolare dell'ultima stagione creativa di Frédéric Chopin (1810-1849) si delinea in
una serie di opere per lo più isolate, sempre più emancipate dalle influenze Biedermeier dei primi
capolavori. Il pianista francese Alfred Cortot ipotizzò che Chopin, se fosse vissuto oltre i quarant'anni,
avrebbe anticipato le scoperte armoniche di Debussy e della musica francese di fine secolo. Il
Preludio op. 45, in do diesis minore, è un esempio caratteristico di questo tardo stile. Si tratta di
un'opera isolata che risale al 1841; cinque minuti di musica vaga e malinconica, una sola melodia che
procede per frammenti su arpeggi scuri ed espressivi. In questo breve tempo, dalla tonalità iniziale di
do diesis minore, appena affermata, si contano non meno di sedici modulazioni ad altre tonalità,
alcune delle quali lontanissime. Questa ricchezza armonica si concentra in una forma semplicissima: un
lied con ripresa e una breve cadenza conclusiva, che si spegne sfumando nel registro acuto.
Se Frédéric Chopin, nato Fryderyk Franciszek, portò i caratteri e i modi della tradizione musicale
polacca nella Francia del primo ottocento, francesizzando il suo nome e adattando almeno in
superficie la sua arte alle esigenze della consuetudine, il connazionale Karol Szymanowski
(1882-1937) cercò invece di fondare una vera scuola nazionale polacca, libera da condizionamenti e
convenzioni della cultura dominante mitelleuropea.
In realtà, le sue radici culturali erano più legate al mondo dell'Europa orientale: Szymanowski naque da
famiglia polacca, ma in un paese che si trova nell'odierna Ucraina, e la sua educazione musicale
avvenne alla scuola locale di Gustav Neuhaus, padre del celebre didatta Heinrich Neuhaus, fondatore
della grande scuola pianistica russa del secolo scorso. Nell'affacciarsi alla nuova scena musicale, cercò
di coniugare la tradizione del suo paese con le innovazioni del modernismo culturale che stava
trasformando il volto delle arti in Europa - tenendo presente, allo stesso tempo, l'eredità del suo
grande predecessore.
Le Mazurke op. 50 rappresentano una vasta raccolta di brani di piccole dimensioni, concentrati ed
estremamente caratteristici. Composte nel 1923, Szymanowski con questa opera realizza
un'interpretazione personale e contemporanea di una forma legata in modo forte tanto alla
tradizione nazionale quanto al modello di Chopin, che aveva composto più di 60 Mazurke.
Si trova qui l'estrema varietà di ritmi e disposizioni metriche tipiche di questa danza, con radicali
innovazioni nel linguaggio armonico: là dove Chopin immetteva alcuni elementi derivati dalle scale
popolari in un contesto per altri versi convenzionale, Szymanowski modella un intero vocabolario
fatto di aspre dissonanze, politonalità, modi desueti, fusi in un pianismo ricco di colori e sonorità
audaci. Il legame con lo spirito nazionale non è più una aggiunta ad uno stile già consolidato, ma
diventa un linguaggio madre attraverso cui esplorare nuove possibilità espressive, come avveniva nello
stesso periodo per il ceco Leóš Janáček e l'ungherese Béla Bartòk.
L'opera più famosa di Karol Szymanowski è rappresentata però dal trittico Mythes, per violino e
pianoforte, composto nel 1915. Si tratta di tre brani di medie dimensioni ma di forte impatto
evocativo, dove la scrittura cameristica si dissolve in una sorta di impressionismo misto a caratteri
espressivi voluttuosi, di sapore slavo. La soprendente strumentazione di questi pezzi combina una
scintillante coloritura pianistica legata a Ravel e al primo Bartòk con una scrittura violinistica di
grande impegno virtuosistico, utilizzando mezzi e sonorità (come i suoni armonici) che al tempo
erano ancora spesso considerati - e utilizzati - come piccoli trucchi per stupire le platee. La novità
consiste qui nell'utilizzo di questi mezzi strumentali in un contesto armonico ed espressivo di
inesauribile ricchezza: su uno sfondo tonale si stagliano campi armonici misti di consonanza e
dissonanza, che scaturiscono e si dissolvono l'uno nell'altro.
L'intento programmatico non è definito, quanto piuttosto evocato dai titoli delle tre leggende cui si
riferisce il titolo. La Fontaine d'Arethuse è il primo dei tre Miti proposti, greci per tradizione, ma
italiani per suggestioni e frequentazioni dell'autore. Su uno sfondo liquido e sfaccettato si staglia il
canto della ninfa Aretusa, e uno sviluppo agitato racconta la sua trasformazione in uno specchio
d'acqua, che secondo la leggenda è quello che ancora oggi si trova a Siracusa, in Sicilia. Una seconda
evocazione acquatica è quella di Narcisse, una lenta salmodia sospesa sulle rifrazioni di accordi
fissamente ripetuti, che raccontano l'ammirazione per la propria immagine di Narciso, filtrata
attraverso le increspature delle onde. L'ultimo brano, Dryades et Pan, che è anche il più sviluppato,
presenta una immagine orgiastica e selvaggia del dio fauno. Là dove il mito narra la scoperta del Flauto
di Pan, con il timbro velato delle canne che suonano al vento, si aprono nella musica delle finestre
dove una cadenza immaginifica di armonici evoca una sonorità altra e antica, che si apre in un canto
malinconico. Una coda imprevedibile, prima malinconica e poi beffarda, conclude il trittico in
un'atmosfera di luminosa fissità.
(Mino Marani)
AS:
Bene, senti, ti ringrazio molto, se non hai altro da aggiungere.
AA:
Un'ultima osservazione: prima dicevi qualcosa sul fatto che filtra un certo divertimento. Ecco, questo
per me è molto importante. È un pezzo ludico. Molte parti sono scritte di getto, ho utilizzato
tecniche e criteri e gabbie insolite per curiosità – soprattutto nel quarto movimento. Ci sono anche
alcuni omaggi sparsi in giro... E ho voluto confrontarmi in qualche modo con la musica del '700 e
'800, essere meno « angry young man » e più classico rispetto ad altre cose che ho fatto (sarà l'età
che avanza?) - però, appunto, in maniera leggera, non parruccona!
Ecco, questo è un punto che rivendico con forza: mi rifiuto di pensare che non possiamo divertirci
con quello che facciamo. Vedo troppo spesso nel nostro mondo un atteggiamento grigio,
quaresimale. E un desiderio di razionalizzazione estrema, sostenuto dall'idea che la complessità sia
un valore in se stessa – cosa che mi sembra paradossale, alla luce dei percorsi di tutte le arti
nell'ultimo secolo: ma in certi ambienti è ancora una specie di dogma...
Io sono convinto che una scrittura più spensierata possa portare ricchezza alla musica che
scriviamo. Ovvio, non sempre è così... Moth e Legno sabbia vetro cenere sono costati lacrime e
sangue! Però Cinque movimenti no, e questa mi sembra una chiave di lettura fondamentale.
Salvatore Sciarrino si vanta di essere nato libero e non vincolato ad una particolare scuola
compositiva. Ha cominciato a comporre dodicenne, da autodidatta; primo concerto pubblico, 1962.
Ma Sciarrino considera apprendistato acerbo i lavori anteriori al 1966, perché è allora che si rivela il
suo stile personale. C’è qualcosa di veramente particolare che caratterizza questa musica: essa
induce un diverso modo di ascoltare, un’emozionante presa di coscienza della realtà e di sé. E dopo
quarant’anni il gigantesco catalogo delle composizioni di Sciarrino è tuttora in una fase di
sorprendente sviluppo creativo.
All’aure in una lontananza fu iniziato durante una visita a Capri fuori stagione, nei giorni
malinconici di una primavera leggermente piovosa. Il risultato è paragonabile ad una elegia, che si
percepisce velata di malinconico lirismo ed insieme “di un’arcaica ansietà quasi ferina...” “Le
dinamiche estremamente ridotte - dice Sciarrino - i pianissimi, nascono anzitutto dalla necessità d’un
tipo di suono, e dalla spinta irrefrenabile a trasformarlo”.
Premessa che ci introduce ad un modo nuovo di percepire questo mondo musicale che fluisce
continuo come respiro ininterrotto del quale partecipiamo, liberando la nostra mente dagli stimoli
obbligati della quotidianità, disponendola a ricevere la rivelazione del suono.
A sette anni il piccolo Bruno si esibiva come solista nel concerto per violino di Max Bruch mentre a
otto anni dirigeva l'orchestra del Teatro alla Scala e dell'Arena di Verona. Dopo questi precocissimi
esordi, Bruno Maderna proseguì i suoi studi musicali presso i conservatori di Milano, Roma e
Venezia diplomandosi e perfezionandosi sotto la guida di Alessandro Bustini, Gian Francesco
Malipiero, Antonio Guarnieri e Hermann Scherchen. Durante la Seconda guerra mondiale aderì alla
resistenza partigiana, fu in seguito catturato ed imprigionato dai nazisti.
Gian Francesco Malipiero lo chiamò successivamente ad insegnare composizione presso il
Conservatorio "Benedetto Marcello" di Venezia nel 1947, anche se ne riconobbe i meriti come
autore di musica solo molto più tardi. Il direttore del conservatorio veneziano ammirò invece
sempre Maderna come acuto conoscitore e studioso della musica antica. In questi anni Maderna
incontrò Luigi Nono, allora studente di giurisprudenza, che divenne suo allievo privato. Nono fu
l'unico allievo importante di Maderna, attorno al quale si coagulò un importante nucleo di musicisti
veneziani.
Poco più tardi iniziò anche a partecipare ad alcuni concerti esteri in qualità di direttore d'orchestra,
carriera incessante che lo rese apprezzabile soprattutto in Europa centrale: Karl Amadeus
Hartmann, ad esempio, lo chiamò, primo direttore straniero, a un concerto della serie Musica Viva a
Monaco di Baviera nel 1950. Questo evento diede inizio, di fatto, alla sua carriera internazionale di
direttore d'orchestra, carriera che si svolse sotto l'insegna di un salutare eclettismo: il suo
repertorio infatti andava da Purcell ai contemporanei, passando per Wagner, Debussy, Mahler e molti
altri. Nel 1951 fondò il Internationales Kranichsteiner Kammerensemble, di cui fu direttore stabile.
Durante i corsi estivi di Darmstadt presentò le B.A.C.H. Variationen per due pianoforti. A
Darmstadt Maderna entrò in contatto con molti autori che rivestiranno un ruolo importante
nell'evoluzione della musica del secolo XX: Pierre Boulez, Olivier Messiaen, John Cage, Karlheinz
Stockhausen e Henri Pousseur. Inoltre numerose furono le frequentazioni con importanti interpreti
della nuova musica come il flautista Severino Gazzelloni per il quale scrisse Musica su due
dimensioni.
Dopo l'incarico a Venezia, assieme a Luciano Berio ed al tecnico Marino Zuccheri fondò lo Studio di
Fonologia Musicale della RAI a Milano; inoltre assieme a Berio fondò la rivista Incontri musicali.
Parallelamente a ciò, tenne diversi congressi e promosse manifestazioni e concerti con lo scopo di
promuovere la musica contemporanea, facendo anche attività didattica.
Nel 1973 gli venne diagnosticato un cancro ai polmoni e da lì a poco morì a Darmstadt.
Il vasto cordoglio suscitato dalla sua prematura scomparsa è testimoniato anche dal numero di
composizioni che furono dedicate alla sua memoria, tra cui il Rituel in Memoriam Bruno Maderna di
Pierre Boulez, Calmo di Luciano Berio ed il Duo pour Bruno di Franco Donatoni.
Viola per viola sola (o viola d'amore) del 1971 è un tipico esempio della personalissimo stile
maderniano, capace di piegare i materiali armonici e melodici della nuova musica alle ragioni della
più profonda espressività lirica.
QUASI UN’INTERVISTA
dialogo fra due giovani compositori sul comporre
Andrea Sarto:
Come scorre il tempo (se scorre?)
Andrea Agostini:
Scorre, eccome. Tendo sempre più a pensare che scorra in maniera continua, ho un po' perso
interesse nella "figura".
Nuñes mi ha detto, con tono critico, "sei legato ad una tradizione elettroacustica che pensa il
tempo in termini di durata piuttosto che di ritmo". Ed è assolutamente vero, ma caso mai ne vado
fiero; da ritmo a figura a tema mi pare che il passo sia molto breve!
Poi c'è un'altro lato della questione: mi interessa un approccio "energetico" al tempo, e - allora sì al ritmo. Voglio dire, mi interessano moltissimo concetti di accelerazione, decelerazione, densità; un
uso estremo della velocità – o della lentezza. E poi, più astratta, un'idea di propulsione - penso alla
batteria rock, al fraseggio del jazz, ma anche a Beethoven...
AS:
Pensavo proprio a quello.
AA:
Però vedi che il ritmo non diventa figura. lo gioco ad un livello che mi sembra più primitivo, ma
anche più archetipico, più universale.
AS:
Che cosa è per te la figura: un oggetto che la memoria ritiene e che dunque "impone" la sua
presenza nel discorso musicale, oppure è altro? Cioè, cos'è, quale è il suo ruolo?
AA:
Guarda, come sempre le parole nascondono realtà complesse... Una risposta onesta sarebbe che sì,
la figura è quello che dici tu.
Però io penso piuttosto a un oggetto organico, che coinvolge idealmente tutti i parametri musicali,
e che in qualche modo marca una divisione temporale del discorso.
AS:
Divisione temporale significa segmentazione della forma?
AA:
Sì. Segmentazione e quindi necessariamente creazione, definizione della forma.
Vedila così: nel mio terrore di un certo post-espressionismo che - mi pare - influenza ancora
tantissima nuova musica, sono molto molto sospettoso nei confronti di un approccio "respiratorio"
al tempo. Non che sia un male in sé, ovviamente: ma è facile farlo scivolare verso un senso di
fraseggio che porta esattamente dove non voglio.
In qualche modo, semplificando all'osso, la musica si pensa per rettangoli: ecco, io preferisco che i
miei rettangoli siano lunghi e stretti, piuttosto che alti e corti. Mi spiego?
AS:
Ciò significa che la musica (nel rettangolo stretto e lungo) non porta con sé un tempo
"tradizionale" nel senso legato alle logiche di tensione/distensione - levare/battere - cadenzali,
insomma; o mi sbaglio?
AA:
Esattamente come dici tu. Oppure, dove ci sono, sono talmente dilatate da mal sopportare queste
etichette.
Una nota a margine: mi sembra che questo tipo di concezione, quella che Nuñes mi rimprovera,
laddove si distacca con forza da un certo stereotipo classico-romantico (ma non da Bach, non da
Beethoven, non da Chopin...) abbia un sacco di referenze altrove - nella nostra musica pre-classica,
per esempio, ma anche nelle musiche di altre culture (il gamelan, la musica indiana...), e poi ancora
ovviamente nel jazz, nel rock...
AS:
In pratica Murail è romanticone!
AA:
Questo non scriverlo, ma hai appena citato un grande compositore che non amo particolarmente!
Poi in pratica non sono assolutamente così bacchettone... diciamo che quello di cui ti sto parlando
è una specie di contesto ideale da cui scelgo di partire. Ma se prendi il terzo movimento, quello è
tutto basato esattamente su "figure", e anche il quinto, e la prima parte di Moth... (un brano per
pianoforte) però allora quando mi muovo in questo terreno cerco di essere controllatissimo. È un
lavoro di riduzione, in questi casi, e magari di spostamento del punto di vista - dove per esempio il
cuore della figura, la sua tesi, è minimo, e sono invece la sua anacrusi e la sua desinenza a diventare
preponderanti... oppure c'è tutto un lavoro sugli spazi che dividono le figure, sul silenzio e quasisilenzio...
AS:
Qual è dunque il ruolo, se esiste, dell'inferenza, del ciò che si attende nel discorso musicale, se si
attende qualcosa; per contro, l'eliminazione o quasi eliminazione della "tesi" e la focalizzazione sulla
"preparazione" e sulla "desinenza" favorisce o non favorisce una prospettiva (proiettiva a livello
percettivo) dell'ascolto; o è una questione irrilevante?
AA:
Il ruolo dell'inferenza è uno dei miei grandi problemi! Però per me la questione si pone su piani
diversi. Ora ci stiamo occupando di un livello se vuoi microformale (anche se non ancora il più
piccolo di tutti), ma lo stesso problema si pone a nella grande forma. Voglio affrontare il discorso da
un punto un po' più lontano: credo che ci sia un equilibrio difficilissimo da trovare tra la
soddisfazione dell'aspettativa e la sorpresa; non si può scrivere musica che non soddisfi nessuna
aspettativa, o meglio è stato fatto, è il serialismo integrale puro, fascinoso ma anche lontanissimo da
me - se vai al sodo, il punto era proprio questo...
AS:
Infatti.
AA:
Al tempo stesso, se scrivi musica (ma se realizzi qualsiasi opera d'arte) dove tutto cade esattamente
dove te l'aspetti stai fallendo miseramente; però ovviamente questa cosa si può giocare in modi
molto diversi. Il minimalismo americano è stupefacente esattamente nel modo in cui sfida il tuo
desiderio di sorpresa; ma per guardare più vicino a noi, anche l'ultimo Romitelli gioca questa partita
- benché in maniera più sfumata. Io sono irresistibilmente attratto dall'iterazione e dalla staticità dove magari abbiamo strutture estremamente statiche o ripetitive che sostengono un'attività
superficiale frenetica.
Ma non ti sto rispondendo: sì, mi pongo il problema dell'inferenza. Me lo pongo costantemente, e
ogni nuovo pezzo che scrivo è in un certo senso una risposta. Ti direi che scrivo cercando di
tenerlo sempre davanti alla mente, ma la risposta avviene direttamente in partitura...