2006
Teatro Municipale Valli, 9 maggio 2006
i solisti dell’orchestra mozart
Wolfgang Amadeus Mozart
Quartetto per flauto e archi in do maggiore K 171 (K 285b)
I. Allegro
II. Thema: Andantino. Variazioni I-VI
I SOLISTI
DELL’ORCHESTRAMOZART
Jacques Zoon flauto . Hans Liviabella violino . Anitta Rajakoski viola . Iseut Chuat violoncello
Antonín Dvorák
Quintetto per archi in sol maggiore op. 77
I. Allegro con fuoco
II. Scherzo: Allegro vivace
III. Poco andante
IV. Finale: Allegro assai
Anton Barahovsky, Yunna Shevchenko violini . Diemut Poppen viola
Enrico Bronzi violoncello . Erik Knut Sundquist contrabbasso
[intervallo]
Teatro Municipale Valli, 9 maggio 2006, ore 20,30
Felix Mendelssohn
Ottetto per archi in mi bemolle maggiore op. 20
I. Allegro moderato ma con fuoco
II. Andante
III. Scherzo: Allegro leggerissimo
IV. Presto
Lorenza Borrani, Etienne Abelin, Jana Kuhlmann, Yunna Shevchenko violini
Danusha Waskiewicz, Simone Jandl viole . Iseut Chuat, Benoît Grenet violoncelli
Edizioni del Teatro Municipale Valli
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2006.
A cura dell’Ufficio stampa, comunicazione e promozione.
Ricerche e documentazione a cura di Giulia Bassi.
un saggio
di Roberto Favaro
Mozart
intrecci
Franco Pulcini, Antonín Dvorák e la musica ceca, in “Amadeus” n. 104, luglio 1998 (Rizzoli, Milano)
J. P. Eckermann, Colloqui con Goethe, traduzione T. Gnoli, Sansoni, Firenze.
Alfred Enstein, Mozart il carattere e l’opera, Ricordi, Milano.
Mendelssohn
saggio
Dvorák
L’attenzione riservata da Mozart alla musica da
camera, o ai diversi generi di musica cameristica,
è notevolissima e attraversa tutti i periodi della
sua crescita e affermazione compositiva. In
particolare, occorre aggiungere che sul piano
dei risultati, il camerismo mozartiano eguaglia,
per sublimi traguardi artistici e vertiginosa altezza
estetica, gli altri due campi in cui di più l’opera
del salisburghese determina innovazioni decisive
sul linguaggio contemporaneo e segna indelebilmente il futuro della storia musicale, vale a
dire l’opera e il concerto per pianoforte e orchestra. E il riferimento a diversi generi o gruppi di
musica cameristica significa altresì che lo sforzo
ideativo di Mozart in questo specifico campo si
allarga ad ampio raggio fino a esplorare tutte le
diverse possibili formazioni (se si esclude forse
solo la sonata per violoncello e pianoforte), sia
di strumenti omogenei (quartetti e trii d’archi,
gruppi di fiati), sia di strumenti eterogenei (pianoforte insieme agli archi, questi ultimi con
strumenti a fiato), alla ricerca di tavolozze sempre
più variopinte e timbricamente stimolanti. Ed è
proprio forse in questo terreno cameristico,
nella speciale regione strumentale in cui gli archi
si incontrano con gli strumenti a fiato, che di
più Mozart, accanto ai capolavori quartettistici
e ai quintetti con pianoforte, esplica la sua
maestria inventiva. Il Quartetto K 285b in do
maggiore per flauto, violino, viola e violoncello
viene scritto da Mozart nel 1781-82, dunque nei
primi tempi del periodo viennese, gli anni della
progressiva presa di coscienza piena del proprio
nuovo ruolo di musicista libero. Altri tre quartetti
con flauto arricchiscono il catalogo d’opera
mozartiano: i due Quartetti con uguale numerazione (K 285 e K 285a) scritti tra dicembre del
1777 e febbraio del 1778, commissionati dal
ricco olandese Ferdinand De Jean (l’“indiano
olandese”, come lo chiama il compositore); il
Quartetto K 298 in la maggiore scritto a Vienna
nel 1786, quello che porta scritta nell’autografo,
intrecci
Vi sono taluni che rinuncerebbero a un atto del
Tannhäuser o del Lohengrin o anche a un’intera
sinfonia romantica per
un solo di questi pezzi di
Mozart, paradiso perduto
della musica
(Alfred Einstein)
Se passi un anno intero
a Salisburgo diventi matto; se ne passi due diventi imbecille; se ne passi
tre diventi un vero salisburghese.
(Mozart)
Ci diamo tanta pena per
vivere onestamente, ma
spesso non è facile conservar la calma. Grazie
al merito che godo come
pianista e maestro di musica, mi accollo una dozzina e più di allievi, senza
preoccuparmi del loro
merito, purchè ciascuno
versi il loro bravo tallero.
(Mozart)
invece della parola Rondò, il noto dileggio
“rondieaoux, allegretto grazioso, ma non troppo
presto, però non troppo adagio, così così, con
molto garbo ed espressione”. Così come il
Quartetto K 285a, anche questo in do maggiore
è composto di due soli movimenti, e il secondo
(un tema con variazioni) risulta ripreso dal Finale
della Serenata K 370a scritto a metà del 1781.
Colpisce di questa non estesa composizione
proprio la capacità mozartiana di intercettare le
possibilità intrinseche ai quattro strumenti di
delineare uno scenario acustico non certo sperimentale, ma tuttavia foriero di tracce compositive avanzate nel modo di intendere i rapporti
di reciprocità e di interscambio tra i singoli
strumenti e al tempo stesso tra il gruppo del
trio d’archi e la voce “altra” del flauto che in
questa cornice trova una propria presenza e un
proprio ruolo altamente significante anche in
prospettiva proprio di una nuova strategia di
accostamenti coloristici e di trattamento delle
parti. Infine, in questo come negli altri lavori
cameristici con flauto, si assiste da un lato allo
sforzo altissimo di una coniugazione del tessuto
quartettistico con l’impianto sonatistico più
complesso, e dall’altro alla capacità di spingere
l’atmosfera musicale verso zone espressive
eterogenee, non solo di accesa sentimentalità,
ma anche di più distensiva ed evasiva ricreatività.
Il Quintetto in sol maggiore op. 77 viene composto da Antonín Dvorák nel 1875, all’età di 34
anni, e presenta subito, fin dalla scelta di organico
strumentale, un tratto di originalità indiscutibile:
alla consueta formazione del quartetto classico,
costituita da due violini, viola e violoncello, viene
aggiunto il contrabbasso, la voce più grave della
famiglia degli archi, così come essa si presenta
e si codifica nella più ampia compagine orchestrale. Questo pone subito all’attenzione dell’ascoltatore una serie di questioni di grande
interesse relative alla personalità timbrica del
brano, alla selezione specifica della materia
sonora, alla consistenza più sensibile, perfino
quasi tattile, della grana e della pronuncia fonica,
infine anche alla più complessa articolazione del
discorso compositivo. Viene subito da rilevare
che questa scelta di colore e di voci non va
intesa come un allargamento del quartetto attraverso l’inclusione di un quinto parente, non si
tratta insomma di un 4+1 che semplicemente
ricompone e adatta e per lo più arricchisce lo
scenario già di per sé stabile e consolidato del
quartetto classico con una voce aggregata. Qui
la scelta di Dvorák è chiara, indubitabile: restituire
attraverso la scelta strumentale una più vasta e
riconcepita omogeneità sonora la quale implica,
a cascata, anche tutte le altre ragioni originali
e affascinanti che abbiamo indicato. Infatti,
l’estensione delle gamme timbriche e delle frequenze verso il basso, non solo espande e
arricchisce la personalità del brano, ma lo porta
a modificare fortemente le possibilità di colore,
di luce e di ombra, di sfumature e di atmosfere
emotive, ambientali, materiche. Modificando la
pronuncia e la grana fonica della formazione
attraverso l’intera famiglia degli archi al completo,
Dvorák porta anche il piano compositivo a una
diversa articolazione: poiché le parti si devono
ora regolare sulla base di una dialettica aumentata, perché lo spostarsi del baricentro timbrico
un po’ più verso il basso implica una diversa
economia del piano fraseologico, del progetto
formale, della narratività musicale in senso più
ampio e comuncativo. Perciò occorre aggiungere
che come per altri casi ottocenteschi, e in particolare come vedremo nel caso dell’Ottetto op.
20 di Mendelssohn, se come detto non si tratta
qui di un elemento (il contrabbasso) aggregato,
ospite cioè del quartetto classico, ma di una
nuova formazione nel quadro della produzione
cameristica, con una propria specifica personalità
compositiva in tutti i sensi, allora non si deve
nemmeno equivocare immaginando in questa
È notevole – disse Eckermann discorrendo con
Goethe – che di tutte le
genialità, quella musicale
si manifesti al più presto;
talché Mozart a cinque
anni, Beethoven a otto.
Ecco la risposta di Goethe: si comprende che il
talento musicale si mostri prima degli altri in
quanto la musica è qualcosa di innato, di intimo
che non abbisogna di
nessun grande nutrimento, dal di fuori, di nessuna esperienza tratta dalla
vita. Ma certo un fenomeno come Mozart rimane pur sempre un miracolo che non è dato
spiegare. Ma poiché la
divinità, opera miracolo
ovunque se ne presenti
l’opportunità, come non
produrrebbe anche di
questi individui straordinari che ci meravigliano
e non sappiamo donde
vengano?
Ho grande stima della
vostra opinione, non solo
perché siete un grande
artista, ma perché siete
un uomo schietto e sincero.
(Ciajkovskij, a Dvorak)
Dvorak si può considerare a pieno diritto il più
grande compositore slavo dell’Occidente.
(Un giornale di Mosca)
scelta una sorta di proiezione riduttiva, da salotto,
dell’orchestra. Che i cinque strumenti partecipi
del Quintetto siano poi di fatto i componenti
della struttura di base dell’orchestra, ovvero
siano (presenti per singole unità) l’intero gruppo
degli archi, non deve portare a questa forma di
strabismo prospettico e sostanzialmente dequalificante (un’orchestra d’archi in miniatura)
di una scrittura che invece offre un’altra possibile
linea interpretativa. Qui i cinque strumenti sono
cinque unità individuali che conducono insieme,
dialetticamente, secondo il progetto dvorákiano,
un discorso coerente capace di trarre proprio
dal tipo e dal numero di strumenti le ragioni
compositive stesse. Dunque il contrario di una
riduzione, di una sottrazione, di un ridimensionamento fonico per ragioni spaziali, ambientali,
occasionali. Verrebbe da dire allora il contrario,
che il Quintetto di Dvorák stimola l’ascoltatore
a verificare la possibilità alternativa, opposta, di
un quintetto di archi che viene portato a comportamenti orchestrali, sinfonici, non come
riduzione di qualcosa, ma come risorsa inedita
dell’immaginazione musicale. In tutto questo
complesso di riflessioni, che sono poi alla base
dell’interesse del Quintetto op.77 e in fondo del
più generale camerismo ottocentesco, si innesta
poi il contenuto dvorákiano, la sua narratività,
la sua lingua, il suo marchio inconfondibile. I
fattori di selezione timbrica e di articolazione
del discorso sono il terreno su cui viene veicolato
quello stile personalissimo che coniuga, secondo
un indirizzo importante della musica europea
del secondo Ottocento, due registri tra di loro
complementari, due lingue portate a una sorta
di alchemica fusione: quella colta, la lingua
musicale eurocentrica, romantica, di impronta
soprattutto tedesca; quella popolare, la lingua
musicale boema, assunta non sulla base di criteri
scientifici ma di più libera, sentimentale ispirazione atmosferica, con richiami tematici, modi
di dire, inclinazioni di colore e di ritmo tipici
della tradizione popolare boema. Non serve
ricordare che Dvorák, con Smetana e più tardi
con Janácek, è il rappresentante più autorevole
della corrente nazionale céca, una corrente che
d’altra parte si innesta e coniuga con l’insorgenza
europea di uno spirito nazionale (musicale,
politico, culturale), disseminato nelle diverse
province e periferie del continente, spinto alla
rivendicazione di autonomia, autodeterminazione,
riconoscimento delle particolari identità. Così il
lavoro di Dvorák non va disgiunto, per una
visione prospettica più completa, dall’azione
non solo di Smetana, ma di quegli altri artisti
che per lo più nello stesso scorcio di secolo, o
comunque dopo la metà dell’Ottocento, affermano, ognuno nel proprio territorio, l’idea di
una presa di coscienza anche linguisticomusicale, praticata, come sentiamo bene in
questo Quintetto op. 77, proprio sul terreno di
una considerazione e valorizzazione dell’idioma
popolare. La lingua musicale di Dvorák, il suo
personale apporto a questa storia dei nazionalismi musicali, si esplica tuttavia attraverso la
suggestione di impressioni e spunti popolari,
mai di citazioni esplicite, dove l’impronta, la
pronuncia ritmica e melodica, viene confezionata
ex-novo (grazie anche alla fervidissima vena
inventiva del compositore) attraverso una stilizzazione mimetica dei modi di dire popolari. Per
meglio intendere il senso e il valore eccellente
del Quintetto, poi, occorre ribadire il percorso
di assimilazione e di coniugazione da parte di
Dvorák di questo intento nazionale e popolare
con le linee di sviluppo della musica colta europea del secondo Ottocento: in particolare, l’ascoltatore dovrà considerare l’influsso certo di Wagner e di Liszt, della loro ricchezza di colore e
di rappresentazione espressiva romantica, ma
poi anche, soprattutto nel genere cameristico,
della più sofisticata elaborazione compositiva
offertagli dall’amico Johannes Brahms. L’esito,
come si sente in questo capolavoro, è in ogni
Dvorák ha incorporato la
musica popolare nelle
sue opere di più vasto
respiro, ed è chiaro che
la sua immaginazione è
stata talmente arricchita
da quella fonte d’ispirazione, da risultare queste
fra le sue imprese creative più grandiose.
L’opera di Dvorák abbraccia tutte le forme di
composizione, dalle più
piccole alle più grandi.
[...] Tuttavia è la musica
da camera a provocare
tanta ammirazione da
parte di tutti i suoi contamporanei. [...] I suoi
quartetti e quintetti per
archi sono capolavori
che gli sopravviveranno
senza ombra di dubbio.
(Edvard Grieg, necrologio di Dvorák, 1904)
Prima ero figlio di un padre, adesso sono padre
di un figlio.
(Abraham Mendelssohn,
figlio del filosofo Moses
e padre di Felix)
Persino la più piccola frase musicale può assorbire e trasportarci via dalle
città, dal mondo e da tutte le sue cose terrene. È
un dono di Dio.
(Mendelssohn)
caso un prodotto originalissimo, eccellente nel
mostrare le qualità migliori di Dvorák: la sincera,
spontanea vena melodica, assimilabile all’esempio di Schubert anche per il senso di inesauribile
autosufficienza che porta a eludere spesso, in
entrambi, eventuali processi di sviluppo e di
maggiore complessità costruttiva; una visione
genuina dell’uomo e della natura, una lettura
ottimistica della vita, ma anche una acuta, emotiva sensibilità romantica, concretizzata in questo
suo aderire (reinventandolo) a uno spirito musicale panslavo reso vivo, originale, luminoso.
Felix Mendelssohn compone l’Ottetto op. 20 nel
1825, dunque alla giovane età di sedici anni.
L’opera viene scritta poco dopo il trasferimento
della facoltosa famiglia Mendelssohn nella grande
e lussuosa dimora in Leipzigerstrasse, a Berlino.
In questo contesto, in un palazzo dotato di uno
spazio per la musica, il giovane Felix affina la
propria educazione musicale, come ascoltatore
e come interprete. E non c’è dubbio che proprio
questa ideale condizione formativa ed esistenziale, questa opportunità preziosa di recepire il
senso della musica in un contesto architettonico
ottimale, siano da vedersi come fatti influenti
sulla genesi dell’Ottetto op. 20. Gli otto strumenti
coinvolti sono infatti quattro violini, due viole e
due violoncelli. In altre parole, si potrebbe trattare
di un quartetto raddoppiato, o di un Doppio
Quartetto, per citare la dizione di alcune celebri,
importanti composizioni per otto archi scritte
da Louis Spohr in quegli stessi anni e di certo
presenti nell’immaginazione del giovane Mendelssohn. Tuttavia, per cogliere in pieno l’originalità e la pregnanza estetica di questo lavoro,
occorre subito precisare l’estraneità dell’ottetto
ad una visione sdoppiante della formazione
quartettistica. Gli otto strumenti ad arco vengono
trattati come otto parti reali, come otto vivissime
personalità individuali che determinano nell’immaginazione mendelssohniana un processo
compositivo tutto particolare dalle formidabili,
già da qui personalissime qualità. D’altra parte
è lo stesso Spohr, nella sua autobiografia, a
confermare questa lettura: “I miei quattro doppi
quartetti restano gli unici del loro genere. L’ottetto
per strumenti ad arco di Mendelssohn appartiene
a un genere artistico del tutto diverso, nel quale
i due quartetti non concertano e non si scambiano tra loro in doppio coro, ma tutti gli strumenti lavorano insieme”. In questo si vede
dunque, come già per il Quintetto di Dvorák, il
senso di una modernità innovativa, dove non si
assiste a una somma di 4+4, o a un rinforzo
fonico delle singole unità del quartetto, o dunque
a una riduzione della forma orchestrale a beneficio di uno spazio ridotto, bensì a un vero e
proprio modulo 1+1+1+1+1+... poiché ogni
singolo strumento porta il proprio personale
contributo alla definizione di un quadro formato
da una sostanziale indipendenza di linee interne
certamente inedito e inusuale per l’epoca. Mendelssohn stesso, poi, rimarca questo principio,
scrivendo: “Questo Ottetto va suonato da tutti
gli strumenti nello stile di un’orchestra sinfonica.
I piani e i forti vanno rispettati attentamente e
sottolineati con più forza di quanto si usi in
opere di questo genere”. Anche qui, allora,
l’opzione compositiva mira non a una diminuzione (orchestra ridotta), quanto semmai a una
amplificazione mirata a espandere il tessuto
strumentale nella prospettiva di un ricchissimo
(e particolare) scenario orchestrale, facendo di
questo lavoro, in buona sostanza, un caso unico
nel suo genere. Mai prima si era concepita questa
individualizzazione dei singoli otto strumenti. Al
più, abbiamo detto, poteva trattarsi di un raddoppio, o di un secondo quartetto posto a servire
da accompagnamento del primo. Qui, invece,
occorre notare da subito la ricchezza di intreccio,
la sostanza polifonica, o più in generale
“multifonica” (o appunto “sinfonica”) dell’Ottetto.
Inoltre, l’ascoltatore noterà, proprio in funzione
Se il geniale esperto e
pronto Felix mi vedesse
talvolta volgere il capo
verso il pianoforte, capirebbe come io senta la
sua mancanza e quale
piacere mi abbia procurato la sua presenza...
Tutto intorno a me è muto e silenzioso... e ora la
tristezza delle fosche e
brevi giornate invernali
si fa molto sentire... La
ringrazio di cuore per
avermi affidato così a
lungo quel dolce pegno.
Non vi è nulla di più confortante, nell’età avanzata, che vedere dei talenti
in boccio, i quali promettono di percorrere un
lungo e notevole cammino. (Goethe)
i solisti
Questo ragazzo [Mendelssohn] è ricco è farà
bene; anzi fa già bene,
ma spende troppo denaro, mette troppa stoffa al
suo vestito.
(Cherubini)
Tu povero Felix, fin dall’età di dieci anni non eri
più giovane!
(Zia Henriette)
La gente di qui [Boemia
e Moravia] è incancrenita
in una visione antidiluviana dell’arte. Mozart è il
suo ideale, anche se non
lo comprende. Beethoven la spaventa, Mendelssohn la disgusta e le
nuove correnti sono
ignorate.
(Smetana, a Liszt)
e in vista di questo progetto, l’equilibrio perfetto
che si stabilisce tra i diversi strumenti che
possono così manifestare le diverse sfumature
e valenze timbriche più caratterizzanti. Questo
equilibrio e queste variegate sfumature servono
allora a valorizzare la qualità eccellente della
composizione sotto il profilo dell’invenzione
melodica, della sostanza poetica, dell’atmosfera
emotiva che ne trapela: la qualità e la freschezza,
talvolta spumeggiante e contagiosa delle idee
melodiche, dei tratti decorativi, degli impulsi
ritmici, è poi supportata da un principio costruttivo piuttosto sofisticato e drammaturgicamente
evoluto per un giovane adolescente, dove l’elaborazione ciclica dei temi porta a una coerenza
e solidità interna dell’intera composizione, come
si potrà notare per esempio con il ritorno del
tema dello Scherzo nel finale, o ancora, sempre
in conclusione, la ricomparsa di un tema secondario derivato in modo piuttosto evidente da
un’idea proposta nel primo movimento. Occorre
segnalare, ancora, che lo Scherzo porta in sé
un riferimento letterario, ispirato alla “Notte di
Walpurga” del Faust di Goethe. Ricorda la sorella
di Mendelssohn, Fanny, che lo “Scherzo veniva
suonato staccato e pianissimo”, dando l’idea
che “tutto è nuovo e straniero, profondamente
convincente ma anche incantatore. Ci si sente
molto prossimi al mondo degli spiriti, sollevati
nell’aria, inclini ad agguantare un manico di
scopa per seguire la processione aerea. Alla
fine, il primo violino prende il volo, leggero come
una piuma, e tutto è dissolto”. Così viene emergendo già da questa pagina giovanile (a dimostrazione della sua straordinaria solidità artistica)
la cifra compositiva più caratteristica dell’intero
percorso musicale di Mendelssohn: una magistrale classicità coniugata con i tratti speciali di
un romanticismo mai spinto verso i lati oscuri
della coscienza o della drammatizzazione, quanto
semmai verso le zone più eteree del sogno e
dell’immaginazione fantastica.
Il piacere del far musica insieme è lo spirito
con cui Claudio Abbado ha delineato il profilo
dell’Orchestra Mozart, affiancando giovani
e giovanissime promesse a strumentisti di
rilievo internazionale, come Alessio Allegrini,
Mario Brunello, Giuliano Carmignola, Daniel
Gaede, Andrea Oliva, Alois Posch, Danusha
Waskiewicz, Jacques Zoon. Questa impronta
abbadiana, unica nel panorama italiano ma
che si ritrova anche in altre sue orchestre
come la Mahler Chamber o la Luzerne Festival
Orchester, si realizza nella gioia di ritrovarsi
da tutte le parti del mondo per il piacere di
suonare insieme, vivendo del più intimo
spirito dell'ensemble cameristico, elastico e
variabile, dove gli elementi, oltre a suonare
tra le fila dell’Orchestra, si alternano in varie
formazioni, dal trio all'ottetto al gruppo da
camera. Così prendono forma I Solisti dell’Orchestra Mozart, una forma sempre diversa, a differenza dei normali ensemble da
camera, anche e soprattutto nel corso di una
stessa serata.
L’attività cameristica dei Solisti affianca normalmente quella sinfonica dell’Orchestra
Mozart, e i cartelloni prevedono sempre,
accanto alle serate con l’Orchestra Mozart,
diretta da Abbado o da grandi direttori come
John Eliot Gardiner o Trevor Pinnock, programmi da camera con ospiti altrettanto
importanti, come i pianisti Till Fellner, Bruno
Canino, Lilya Zilberstein, o strumentisti del
calibro di Brunello, o gruppi da camera come
il Trio di Parma e il Trio Rosamunde.
L’Orchestra Mozart nasce nell’autunno del
2004 in seno all'Accademia Filarmonica di
Bologna, la gloriosa istituzione musicale
sede da quattro secoli di iniziative destinate
soprattutto alla formazione dei giovani. Fu
qui che Amadeus, quattordicenne, studiò
composizione sotto la guida di Padre Martini.
Da un’idea di Carlo Maria Badini, già sovrintendente del Teatro alla Scala e del Comunale
di Bologna, figura storica del mondo musicale
italiano, l’orchestra nasce grazie all'apporto
della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, che ha contribuito con entusiasmo
alla sua realizzazione.
La dedica a Mozart si lega a un grande progetto internazionale, l'European Mozart Ways,
nel 2006, 250° anniversario della nascita del
Salisburghese. Fra le città europee che vi
aderiscono, Bologna è in primo piano, grazie
anche alla tradizione che l'Accademia Filarmonica ha sempre coltivato, come sede di
concerti nella sua bellissima Sala Mozart e
di memorie mozartiane conservate nel suo
museo, tra cui il manoscritto autografo per
l’esame d'ammissione del quattordicenne
Wolfgang Amadeus, datato 1770.
Fonti: Cronologia universale, Roma, Newton Compton, 1996. Dizionario della musica e dei musicisti, Utet, 1994. www.musicweb.uk.net/Classpedia/index.htm. http://it.wikipedia.org/wiki2004
coincidenze
1781
1825
1875
Mozart: Quartetto con flauto K
171 (K 285b)
Mendelssohn: Ottetto op. 20
Dvorák: Quintetto op. 77
Mendelssohn: Capriccio brillante
per pianoforte e archi. Die Hochzeit
des Camacho. Kyrie.
Nasce J.Strauss jr.
Beethoven: Grande Fuga op.133
per archi. Quartetto n. 13. Rondo
e capriccio.
Paganini: Sonata militare.
Rossini: Il viaggio a Reims.
Schubert: Sonate per pianoforte
nn. 15-17.
Bellini: Adelson e Salvina. Bianca
e Fernando.
Chopin: Polacca n. 8.
Dvorak: Sinfonia n. 5. Serenata per archi.
Quartetto con pianoforte. Trio per pianoforte.
Duetto Moravo per voce e pianoforte.
Nasce Ravel.
Muore Bizet.
Borodin: Quartetto per archi n. 1.
Brahms: Liebeslieder Waltzer per 2 pianoforti.
Quartetto per archi n. 3.
Ponchielli: “A Gaetano Donizetti”, cantata.
Cuj: Angelo, opera.
Saint-Saëns: Concerto n. 4 per pianoforte.
Musorgskij: Canzoni e Danze sulla morte.
Ciajkovskij: Sinfonia n. 3. Il lago dei cigni.
Quartetto per archi in si bemolle minore.
Boito: La Notte difonde.
Massenet: Eva, oratorio.
Grieg: Peer Gynt.
Rimskij-Korsakov: Quartetto n. 1.
Tre pezzi per pianoforte. Sei fughe.
Fauré: Allegro sinfonico. Suite per orchestra.
Les Djinns, per coro e orchestra.
Mozart: Idomeneo. Rondo
per violino e orchestra K 373.
Concerto Rondo per corno
K 371. Variazioni su “La bergère
Celimene” per violino
e pianoforte K 359. Sonata
per due pianoforti K 448.
Cinque Sonate per violino
K 376 - K 380.
Haydn: Sinfonia n. 73
“La caccia”. Concerto n. 2
per corno e archi. Sei Quartetti
Russi.
Cimarosa: Alessandro
nelle Indie. Il pittore parigino.
Il capriccio drammatico.
Beethoven: “Schilderung eines
Madchen”.
Saint-Simon: Il nuovo
cristianesimo.
Vincenzo Monti: Sermone
sulla mitologia.
Kant: Critica della ragion pura.
Antonio Canova: Teseo
e il Minotauro.
Vincenzo Monti: La bellezza
dell’universo.
Johann Heinrich Pestalozzi:
Leonardo e Gertrude.
Friedrich Schiller: I Masnadieri.
In Russia muore lo zar Alessandro.
Viene approvata in Francia
la “legge del miliardo” con cui
vengono risarciti i nobili per
le perdite subite durante
la rivoluzione
Il Perù si proclama indipendente;
nasce la repubblica di Bolivia.
Gli spagnoli fondano
Los Angeles.
Gorge Stephenson inaugura
la prima linea ferroviaria (StocktonDarlington) con la sua motrice
a vapore Locomotion.
Antonio Stoppani: Il bel Paese.
Giovanni Ruffini: Il dottor Antonio.
Giovanni Faldella: Figurine.
Luigi Settembrini: Ricordanze della mia vita.
Gino Capponi: Storia della repubblica di Firenze.
Josè Maria de Eça de Queiros: La colpa
di prete amaro.
In Bosnia Erzegovina scoppia la rivolta
contro l’occupazione turca.
In Germania viene fondato il Partito
Socialdemocratico tedesco (SPD).
coincidenze
L’astronomo inglese di origine
tedesca Wilhelm Herschel
scopre il pianeta Urano.
Il medico Oscar Hertwig scopre
il meccanismo della fecondazione.
Carl von Linde costruisce il primo frigorifero.