2006 Teatro Municipale Valli, 9 maggio 2006 i solisti dell’orchestra mozart Wolfgang Amadeus Mozart Quartetto per flauto e archi in do maggiore K 171 (K 285b) I. Allegro II. Thema: Andantino. Variazioni I-VI I SOLISTI DELL’ORCHESTRAMOZART Jacques Zoon flauto . Hans Liviabella violino . Anitta Rajakoski viola . Iseut Chuat violoncello Antonín Dvorák Quintetto per archi in sol maggiore op. 77 I. Allegro con fuoco II. Scherzo: Allegro vivace III. Poco andante IV. Finale: Allegro assai Anton Barahovsky, Yunna Shevchenko violini . Diemut Poppen viola Enrico Bronzi violoncello . Erik Knut Sundquist contrabbasso [intervallo] Teatro Municipale Valli, 9 maggio 2006, ore 20,30 Felix Mendelssohn Ottetto per archi in mi bemolle maggiore op. 20 I. Allegro moderato ma con fuoco II. Andante III. Scherzo: Allegro leggerissimo IV. Presto Lorenza Borrani, Etienne Abelin, Jana Kuhlmann, Yunna Shevchenko violini Danusha Waskiewicz, Simone Jandl viole . Iseut Chuat, Benoît Grenet violoncelli Edizioni del Teatro Municipale Valli Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2006. A cura dell’Ufficio stampa, comunicazione e promozione. Ricerche e documentazione a cura di Giulia Bassi. un saggio di Roberto Favaro Mozart intrecci Franco Pulcini, Antonín Dvorák e la musica ceca, in “Amadeus” n. 104, luglio 1998 (Rizzoli, Milano) J. P. Eckermann, Colloqui con Goethe, traduzione T. Gnoli, Sansoni, Firenze. Alfred Enstein, Mozart il carattere e l’opera, Ricordi, Milano. Mendelssohn saggio Dvorák L’attenzione riservata da Mozart alla musica da camera, o ai diversi generi di musica cameristica, è notevolissima e attraversa tutti i periodi della sua crescita e affermazione compositiva. In particolare, occorre aggiungere che sul piano dei risultati, il camerismo mozartiano eguaglia, per sublimi traguardi artistici e vertiginosa altezza estetica, gli altri due campi in cui di più l’opera del salisburghese determina innovazioni decisive sul linguaggio contemporaneo e segna indelebilmente il futuro della storia musicale, vale a dire l’opera e il concerto per pianoforte e orchestra. E il riferimento a diversi generi o gruppi di musica cameristica significa altresì che lo sforzo ideativo di Mozart in questo specifico campo si allarga ad ampio raggio fino a esplorare tutte le diverse possibili formazioni (se si esclude forse solo la sonata per violoncello e pianoforte), sia di strumenti omogenei (quartetti e trii d’archi, gruppi di fiati), sia di strumenti eterogenei (pianoforte insieme agli archi, questi ultimi con strumenti a fiato), alla ricerca di tavolozze sempre più variopinte e timbricamente stimolanti. Ed è proprio forse in questo terreno cameristico, nella speciale regione strumentale in cui gli archi si incontrano con gli strumenti a fiato, che di più Mozart, accanto ai capolavori quartettistici e ai quintetti con pianoforte, esplica la sua maestria inventiva. Il Quartetto K 285b in do maggiore per flauto, violino, viola e violoncello viene scritto da Mozart nel 1781-82, dunque nei primi tempi del periodo viennese, gli anni della progressiva presa di coscienza piena del proprio nuovo ruolo di musicista libero. Altri tre quartetti con flauto arricchiscono il catalogo d’opera mozartiano: i due Quartetti con uguale numerazione (K 285 e K 285a) scritti tra dicembre del 1777 e febbraio del 1778, commissionati dal ricco olandese Ferdinand De Jean (l’“indiano olandese”, come lo chiama il compositore); il Quartetto K 298 in la maggiore scritto a Vienna nel 1786, quello che porta scritta nell’autografo, intrecci Vi sono taluni che rinuncerebbero a un atto del Tannhäuser o del Lohengrin o anche a un’intera sinfonia romantica per un solo di questi pezzi di Mozart, paradiso perduto della musica (Alfred Einstein) Se passi un anno intero a Salisburgo diventi matto; se ne passi due diventi imbecille; se ne passi tre diventi un vero salisburghese. (Mozart) Ci diamo tanta pena per vivere onestamente, ma spesso non è facile conservar la calma. Grazie al merito che godo come pianista e maestro di musica, mi accollo una dozzina e più di allievi, senza preoccuparmi del loro merito, purchè ciascuno versi il loro bravo tallero. (Mozart) invece della parola Rondò, il noto dileggio “rondieaoux, allegretto grazioso, ma non troppo presto, però non troppo adagio, così così, con molto garbo ed espressione”. Così come il Quartetto K 285a, anche questo in do maggiore è composto di due soli movimenti, e il secondo (un tema con variazioni) risulta ripreso dal Finale della Serenata K 370a scritto a metà del 1781. Colpisce di questa non estesa composizione proprio la capacità mozartiana di intercettare le possibilità intrinseche ai quattro strumenti di delineare uno scenario acustico non certo sperimentale, ma tuttavia foriero di tracce compositive avanzate nel modo di intendere i rapporti di reciprocità e di interscambio tra i singoli strumenti e al tempo stesso tra il gruppo del trio d’archi e la voce “altra” del flauto che in questa cornice trova una propria presenza e un proprio ruolo altamente significante anche in prospettiva proprio di una nuova strategia di accostamenti coloristici e di trattamento delle parti. Infine, in questo come negli altri lavori cameristici con flauto, si assiste da un lato allo sforzo altissimo di una coniugazione del tessuto quartettistico con l’impianto sonatistico più complesso, e dall’altro alla capacità di spingere l’atmosfera musicale verso zone espressive eterogenee, non solo di accesa sentimentalità, ma anche di più distensiva ed evasiva ricreatività. Il Quintetto in sol maggiore op. 77 viene composto da Antonín Dvorák nel 1875, all’età di 34 anni, e presenta subito, fin dalla scelta di organico strumentale, un tratto di originalità indiscutibile: alla consueta formazione del quartetto classico, costituita da due violini, viola e violoncello, viene aggiunto il contrabbasso, la voce più grave della famiglia degli archi, così come essa si presenta e si codifica nella più ampia compagine orchestrale. Questo pone subito all’attenzione dell’ascoltatore una serie di questioni di grande interesse relative alla personalità timbrica del brano, alla selezione specifica della materia sonora, alla consistenza più sensibile, perfino quasi tattile, della grana e della pronuncia fonica, infine anche alla più complessa articolazione del discorso compositivo. Viene subito da rilevare che questa scelta di colore e di voci non va intesa come un allargamento del quartetto attraverso l’inclusione di un quinto parente, non si tratta insomma di un 4+1 che semplicemente ricompone e adatta e per lo più arricchisce lo scenario già di per sé stabile e consolidato del quartetto classico con una voce aggregata. Qui la scelta di Dvorák è chiara, indubitabile: restituire attraverso la scelta strumentale una più vasta e riconcepita omogeneità sonora la quale implica, a cascata, anche tutte le altre ragioni originali e affascinanti che abbiamo indicato. Infatti, l’estensione delle gamme timbriche e delle frequenze verso il basso, non solo espande e arricchisce la personalità del brano, ma lo porta a modificare fortemente le possibilità di colore, di luce e di ombra, di sfumature e di atmosfere emotive, ambientali, materiche. Modificando la pronuncia e la grana fonica della formazione attraverso l’intera famiglia degli archi al completo, Dvorák porta anche il piano compositivo a una diversa articolazione: poiché le parti si devono ora regolare sulla base di una dialettica aumentata, perché lo spostarsi del baricentro timbrico un po’ più verso il basso implica una diversa economia del piano fraseologico, del progetto formale, della narratività musicale in senso più ampio e comuncativo. Perciò occorre aggiungere che come per altri casi ottocenteschi, e in particolare come vedremo nel caso dell’Ottetto op. 20 di Mendelssohn, se come detto non si tratta qui di un elemento (il contrabbasso) aggregato, ospite cioè del quartetto classico, ma di una nuova formazione nel quadro della produzione cameristica, con una propria specifica personalità compositiva in tutti i sensi, allora non si deve nemmeno equivocare immaginando in questa È notevole – disse Eckermann discorrendo con Goethe – che di tutte le genialità, quella musicale si manifesti al più presto; talché Mozart a cinque anni, Beethoven a otto. Ecco la risposta di Goethe: si comprende che il talento musicale si mostri prima degli altri in quanto la musica è qualcosa di innato, di intimo che non abbisogna di nessun grande nutrimento, dal di fuori, di nessuna esperienza tratta dalla vita. Ma certo un fenomeno come Mozart rimane pur sempre un miracolo che non è dato spiegare. Ma poiché la divinità, opera miracolo ovunque se ne presenti l’opportunità, come non produrrebbe anche di questi individui straordinari che ci meravigliano e non sappiamo donde vengano? Ho grande stima della vostra opinione, non solo perché siete un grande artista, ma perché siete un uomo schietto e sincero. (Ciajkovskij, a Dvorak) Dvorak si può considerare a pieno diritto il più grande compositore slavo dell’Occidente. (Un giornale di Mosca) scelta una sorta di proiezione riduttiva, da salotto, dell’orchestra. Che i cinque strumenti partecipi del Quintetto siano poi di fatto i componenti della struttura di base dell’orchestra, ovvero siano (presenti per singole unità) l’intero gruppo degli archi, non deve portare a questa forma di strabismo prospettico e sostanzialmente dequalificante (un’orchestra d’archi in miniatura) di una scrittura che invece offre un’altra possibile linea interpretativa. Qui i cinque strumenti sono cinque unità individuali che conducono insieme, dialetticamente, secondo il progetto dvorákiano, un discorso coerente capace di trarre proprio dal tipo e dal numero di strumenti le ragioni compositive stesse. Dunque il contrario di una riduzione, di una sottrazione, di un ridimensionamento fonico per ragioni spaziali, ambientali, occasionali. Verrebbe da dire allora il contrario, che il Quintetto di Dvorák stimola l’ascoltatore a verificare la possibilità alternativa, opposta, di un quintetto di archi che viene portato a comportamenti orchestrali, sinfonici, non come riduzione di qualcosa, ma come risorsa inedita dell’immaginazione musicale. In tutto questo complesso di riflessioni, che sono poi alla base dell’interesse del Quintetto op.77 e in fondo del più generale camerismo ottocentesco, si innesta poi il contenuto dvorákiano, la sua narratività, la sua lingua, il suo marchio inconfondibile. I fattori di selezione timbrica e di articolazione del discorso sono il terreno su cui viene veicolato quello stile personalissimo che coniuga, secondo un indirizzo importante della musica europea del secondo Ottocento, due registri tra di loro complementari, due lingue portate a una sorta di alchemica fusione: quella colta, la lingua musicale eurocentrica, romantica, di impronta soprattutto tedesca; quella popolare, la lingua musicale boema, assunta non sulla base di criteri scientifici ma di più libera, sentimentale ispirazione atmosferica, con richiami tematici, modi di dire, inclinazioni di colore e di ritmo tipici della tradizione popolare boema. Non serve ricordare che Dvorák, con Smetana e più tardi con Janácek, è il rappresentante più autorevole della corrente nazionale céca, una corrente che d’altra parte si innesta e coniuga con l’insorgenza europea di uno spirito nazionale (musicale, politico, culturale), disseminato nelle diverse province e periferie del continente, spinto alla rivendicazione di autonomia, autodeterminazione, riconoscimento delle particolari identità. Così il lavoro di Dvorák non va disgiunto, per una visione prospettica più completa, dall’azione non solo di Smetana, ma di quegli altri artisti che per lo più nello stesso scorcio di secolo, o comunque dopo la metà dell’Ottocento, affermano, ognuno nel proprio territorio, l’idea di una presa di coscienza anche linguisticomusicale, praticata, come sentiamo bene in questo Quintetto op. 77, proprio sul terreno di una considerazione e valorizzazione dell’idioma popolare. La lingua musicale di Dvorák, il suo personale apporto a questa storia dei nazionalismi musicali, si esplica tuttavia attraverso la suggestione di impressioni e spunti popolari, mai di citazioni esplicite, dove l’impronta, la pronuncia ritmica e melodica, viene confezionata ex-novo (grazie anche alla fervidissima vena inventiva del compositore) attraverso una stilizzazione mimetica dei modi di dire popolari. Per meglio intendere il senso e il valore eccellente del Quintetto, poi, occorre ribadire il percorso di assimilazione e di coniugazione da parte di Dvorák di questo intento nazionale e popolare con le linee di sviluppo della musica colta europea del secondo Ottocento: in particolare, l’ascoltatore dovrà considerare l’influsso certo di Wagner e di Liszt, della loro ricchezza di colore e di rappresentazione espressiva romantica, ma poi anche, soprattutto nel genere cameristico, della più sofisticata elaborazione compositiva offertagli dall’amico Johannes Brahms. L’esito, come si sente in questo capolavoro, è in ogni Dvorák ha incorporato la musica popolare nelle sue opere di più vasto respiro, ed è chiaro che la sua immaginazione è stata talmente arricchita da quella fonte d’ispirazione, da risultare queste fra le sue imprese creative più grandiose. L’opera di Dvorák abbraccia tutte le forme di composizione, dalle più piccole alle più grandi. [...] Tuttavia è la musica da camera a provocare tanta ammirazione da parte di tutti i suoi contamporanei. [...] I suoi quartetti e quintetti per archi sono capolavori che gli sopravviveranno senza ombra di dubbio. (Edvard Grieg, necrologio di Dvorák, 1904) Prima ero figlio di un padre, adesso sono padre di un figlio. (Abraham Mendelssohn, figlio del filosofo Moses e padre di Felix) Persino la più piccola frase musicale può assorbire e trasportarci via dalle città, dal mondo e da tutte le sue cose terrene. È un dono di Dio. (Mendelssohn) caso un prodotto originalissimo, eccellente nel mostrare le qualità migliori di Dvorák: la sincera, spontanea vena melodica, assimilabile all’esempio di Schubert anche per il senso di inesauribile autosufficienza che porta a eludere spesso, in entrambi, eventuali processi di sviluppo e di maggiore complessità costruttiva; una visione genuina dell’uomo e della natura, una lettura ottimistica della vita, ma anche una acuta, emotiva sensibilità romantica, concretizzata in questo suo aderire (reinventandolo) a uno spirito musicale panslavo reso vivo, originale, luminoso. Felix Mendelssohn compone l’Ottetto op. 20 nel 1825, dunque alla giovane età di sedici anni. L’opera viene scritta poco dopo il trasferimento della facoltosa famiglia Mendelssohn nella grande e lussuosa dimora in Leipzigerstrasse, a Berlino. In questo contesto, in un palazzo dotato di uno spazio per la musica, il giovane Felix affina la propria educazione musicale, come ascoltatore e come interprete. E non c’è dubbio che proprio questa ideale condizione formativa ed esistenziale, questa opportunità preziosa di recepire il senso della musica in un contesto architettonico ottimale, siano da vedersi come fatti influenti sulla genesi dell’Ottetto op. 20. Gli otto strumenti coinvolti sono infatti quattro violini, due viole e due violoncelli. In altre parole, si potrebbe trattare di un quartetto raddoppiato, o di un Doppio Quartetto, per citare la dizione di alcune celebri, importanti composizioni per otto archi scritte da Louis Spohr in quegli stessi anni e di certo presenti nell’immaginazione del giovane Mendelssohn. Tuttavia, per cogliere in pieno l’originalità e la pregnanza estetica di questo lavoro, occorre subito precisare l’estraneità dell’ottetto ad una visione sdoppiante della formazione quartettistica. Gli otto strumenti ad arco vengono trattati come otto parti reali, come otto vivissime personalità individuali che determinano nell’immaginazione mendelssohniana un processo compositivo tutto particolare dalle formidabili, già da qui personalissime qualità. D’altra parte è lo stesso Spohr, nella sua autobiografia, a confermare questa lettura: “I miei quattro doppi quartetti restano gli unici del loro genere. L’ottetto per strumenti ad arco di Mendelssohn appartiene a un genere artistico del tutto diverso, nel quale i due quartetti non concertano e non si scambiano tra loro in doppio coro, ma tutti gli strumenti lavorano insieme”. In questo si vede dunque, come già per il Quintetto di Dvorák, il senso di una modernità innovativa, dove non si assiste a una somma di 4+4, o a un rinforzo fonico delle singole unità del quartetto, o dunque a una riduzione della forma orchestrale a beneficio di uno spazio ridotto, bensì a un vero e proprio modulo 1+1+1+1+1+... poiché ogni singolo strumento porta il proprio personale contributo alla definizione di un quadro formato da una sostanziale indipendenza di linee interne certamente inedito e inusuale per l’epoca. Mendelssohn stesso, poi, rimarca questo principio, scrivendo: “Questo Ottetto va suonato da tutti gli strumenti nello stile di un’orchestra sinfonica. I piani e i forti vanno rispettati attentamente e sottolineati con più forza di quanto si usi in opere di questo genere”. Anche qui, allora, l’opzione compositiva mira non a una diminuzione (orchestra ridotta), quanto semmai a una amplificazione mirata a espandere il tessuto strumentale nella prospettiva di un ricchissimo (e particolare) scenario orchestrale, facendo di questo lavoro, in buona sostanza, un caso unico nel suo genere. Mai prima si era concepita questa individualizzazione dei singoli otto strumenti. Al più, abbiamo detto, poteva trattarsi di un raddoppio, o di un secondo quartetto posto a servire da accompagnamento del primo. Qui, invece, occorre notare da subito la ricchezza di intreccio, la sostanza polifonica, o più in generale “multifonica” (o appunto “sinfonica”) dell’Ottetto. Inoltre, l’ascoltatore noterà, proprio in funzione Se il geniale esperto e pronto Felix mi vedesse talvolta volgere il capo verso il pianoforte, capirebbe come io senta la sua mancanza e quale piacere mi abbia procurato la sua presenza... Tutto intorno a me è muto e silenzioso... e ora la tristezza delle fosche e brevi giornate invernali si fa molto sentire... La ringrazio di cuore per avermi affidato così a lungo quel dolce pegno. Non vi è nulla di più confortante, nell’età avanzata, che vedere dei talenti in boccio, i quali promettono di percorrere un lungo e notevole cammino. (Goethe) i solisti Questo ragazzo [Mendelssohn] è ricco è farà bene; anzi fa già bene, ma spende troppo denaro, mette troppa stoffa al suo vestito. (Cherubini) Tu povero Felix, fin dall’età di dieci anni non eri più giovane! (Zia Henriette) La gente di qui [Boemia e Moravia] è incancrenita in una visione antidiluviana dell’arte. Mozart è il suo ideale, anche se non lo comprende. Beethoven la spaventa, Mendelssohn la disgusta e le nuove correnti sono ignorate. (Smetana, a Liszt) e in vista di questo progetto, l’equilibrio perfetto che si stabilisce tra i diversi strumenti che possono così manifestare le diverse sfumature e valenze timbriche più caratterizzanti. Questo equilibrio e queste variegate sfumature servono allora a valorizzare la qualità eccellente della composizione sotto il profilo dell’invenzione melodica, della sostanza poetica, dell’atmosfera emotiva che ne trapela: la qualità e la freschezza, talvolta spumeggiante e contagiosa delle idee melodiche, dei tratti decorativi, degli impulsi ritmici, è poi supportata da un principio costruttivo piuttosto sofisticato e drammaturgicamente evoluto per un giovane adolescente, dove l’elaborazione ciclica dei temi porta a una coerenza e solidità interna dell’intera composizione, come si potrà notare per esempio con il ritorno del tema dello Scherzo nel finale, o ancora, sempre in conclusione, la ricomparsa di un tema secondario derivato in modo piuttosto evidente da un’idea proposta nel primo movimento. Occorre segnalare, ancora, che lo Scherzo porta in sé un riferimento letterario, ispirato alla “Notte di Walpurga” del Faust di Goethe. Ricorda la sorella di Mendelssohn, Fanny, che lo “Scherzo veniva suonato staccato e pianissimo”, dando l’idea che “tutto è nuovo e straniero, profondamente convincente ma anche incantatore. Ci si sente molto prossimi al mondo degli spiriti, sollevati nell’aria, inclini ad agguantare un manico di scopa per seguire la processione aerea. Alla fine, il primo violino prende il volo, leggero come una piuma, e tutto è dissolto”. Così viene emergendo già da questa pagina giovanile (a dimostrazione della sua straordinaria solidità artistica) la cifra compositiva più caratteristica dell’intero percorso musicale di Mendelssohn: una magistrale classicità coniugata con i tratti speciali di un romanticismo mai spinto verso i lati oscuri della coscienza o della drammatizzazione, quanto semmai verso le zone più eteree del sogno e dell’immaginazione fantastica. Il piacere del far musica insieme è lo spirito con cui Claudio Abbado ha delineato il profilo dell’Orchestra Mozart, affiancando giovani e giovanissime promesse a strumentisti di rilievo internazionale, come Alessio Allegrini, Mario Brunello, Giuliano Carmignola, Daniel Gaede, Andrea Oliva, Alois Posch, Danusha Waskiewicz, Jacques Zoon. Questa impronta abbadiana, unica nel panorama italiano ma che si ritrova anche in altre sue orchestre come la Mahler Chamber o la Luzerne Festival Orchester, si realizza nella gioia di ritrovarsi da tutte le parti del mondo per il piacere di suonare insieme, vivendo del più intimo spirito dell'ensemble cameristico, elastico e variabile, dove gli elementi, oltre a suonare tra le fila dell’Orchestra, si alternano in varie formazioni, dal trio all'ottetto al gruppo da camera. Così prendono forma I Solisti dell’Orchestra Mozart, una forma sempre diversa, a differenza dei normali ensemble da camera, anche e soprattutto nel corso di una stessa serata. L’attività cameristica dei Solisti affianca normalmente quella sinfonica dell’Orchestra Mozart, e i cartelloni prevedono sempre, accanto alle serate con l’Orchestra Mozart, diretta da Abbado o da grandi direttori come John Eliot Gardiner o Trevor Pinnock, programmi da camera con ospiti altrettanto importanti, come i pianisti Till Fellner, Bruno Canino, Lilya Zilberstein, o strumentisti del calibro di Brunello, o gruppi da camera come il Trio di Parma e il Trio Rosamunde. L’Orchestra Mozart nasce nell’autunno del 2004 in seno all'Accademia Filarmonica di Bologna, la gloriosa istituzione musicale sede da quattro secoli di iniziative destinate soprattutto alla formazione dei giovani. Fu qui che Amadeus, quattordicenne, studiò composizione sotto la guida di Padre Martini. Da un’idea di Carlo Maria Badini, già sovrintendente del Teatro alla Scala e del Comunale di Bologna, figura storica del mondo musicale italiano, l’orchestra nasce grazie all'apporto della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, che ha contribuito con entusiasmo alla sua realizzazione. La dedica a Mozart si lega a un grande progetto internazionale, l'European Mozart Ways, nel 2006, 250° anniversario della nascita del Salisburghese. Fra le città europee che vi aderiscono, Bologna è in primo piano, grazie anche alla tradizione che l'Accademia Filarmonica ha sempre coltivato, come sede di concerti nella sua bellissima Sala Mozart e di memorie mozartiane conservate nel suo museo, tra cui il manoscritto autografo per l’esame d'ammissione del quattordicenne Wolfgang Amadeus, datato 1770. Fonti: Cronologia universale, Roma, Newton Compton, 1996. Dizionario della musica e dei musicisti, Utet, 1994. www.musicweb.uk.net/Classpedia/index.htm. http://it.wikipedia.org/wiki2004 coincidenze 1781 1825 1875 Mozart: Quartetto con flauto K 171 (K 285b) Mendelssohn: Ottetto op. 20 Dvorák: Quintetto op. 77 Mendelssohn: Capriccio brillante per pianoforte e archi. Die Hochzeit des Camacho. Kyrie. Nasce J.Strauss jr. Beethoven: Grande Fuga op.133 per archi. Quartetto n. 13. Rondo e capriccio. Paganini: Sonata militare. Rossini: Il viaggio a Reims. Schubert: Sonate per pianoforte nn. 15-17. Bellini: Adelson e Salvina. Bianca e Fernando. Chopin: Polacca n. 8. Dvorak: Sinfonia n. 5. Serenata per archi. Quartetto con pianoforte. Trio per pianoforte. Duetto Moravo per voce e pianoforte. Nasce Ravel. Muore Bizet. Borodin: Quartetto per archi n. 1. Brahms: Liebeslieder Waltzer per 2 pianoforti. Quartetto per archi n. 3. Ponchielli: “A Gaetano Donizetti”, cantata. Cuj: Angelo, opera. Saint-Saëns: Concerto n. 4 per pianoforte. Musorgskij: Canzoni e Danze sulla morte. Ciajkovskij: Sinfonia n. 3. Il lago dei cigni. Quartetto per archi in si bemolle minore. Boito: La Notte difonde. Massenet: Eva, oratorio. Grieg: Peer Gynt. Rimskij-Korsakov: Quartetto n. 1. Tre pezzi per pianoforte. Sei fughe. Fauré: Allegro sinfonico. Suite per orchestra. Les Djinns, per coro e orchestra. Mozart: Idomeneo. Rondo per violino e orchestra K 373. Concerto Rondo per corno K 371. Variazioni su “La bergère Celimene” per violino e pianoforte K 359. Sonata per due pianoforti K 448. Cinque Sonate per violino K 376 - K 380. Haydn: Sinfonia n. 73 “La caccia”. Concerto n. 2 per corno e archi. Sei Quartetti Russi. Cimarosa: Alessandro nelle Indie. Il pittore parigino. Il capriccio drammatico. Beethoven: “Schilderung eines Madchen”. Saint-Simon: Il nuovo cristianesimo. Vincenzo Monti: Sermone sulla mitologia. Kant: Critica della ragion pura. Antonio Canova: Teseo e il Minotauro. Vincenzo Monti: La bellezza dell’universo. Johann Heinrich Pestalozzi: Leonardo e Gertrude. Friedrich Schiller: I Masnadieri. In Russia muore lo zar Alessandro. Viene approvata in Francia la “legge del miliardo” con cui vengono risarciti i nobili per le perdite subite durante la rivoluzione Il Perù si proclama indipendente; nasce la repubblica di Bolivia. Gli spagnoli fondano Los Angeles. Gorge Stephenson inaugura la prima linea ferroviaria (StocktonDarlington) con la sua motrice a vapore Locomotion. Antonio Stoppani: Il bel Paese. Giovanni Ruffini: Il dottor Antonio. Giovanni Faldella: Figurine. Luigi Settembrini: Ricordanze della mia vita. Gino Capponi: Storia della repubblica di Firenze. Josè Maria de Eça de Queiros: La colpa di prete amaro. In Bosnia Erzegovina scoppia la rivolta contro l’occupazione turca. In Germania viene fondato il Partito Socialdemocratico tedesco (SPD). coincidenze L’astronomo inglese di origine tedesca Wilhelm Herschel scopre il pianeta Urano. Il medico Oscar Hertwig scopre il meccanismo della fecondazione. Carl von Linde costruisce il primo frigorifero.