Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini Lezione 27 del 24 Maggio 2006 VI.2. L’opera geometrica di Clairaut (Continuazione) VI.2.3. La prefazione. (Continuazione) Un altro rimprovero che si potrebbe farmi, sarebbe d’avere omesso varie proposizioni, che trovano il loro posto negli ordinari Elementi, e di accontentarmi, quando tratto le proposizioni, di darne solo i principi fondamentali. A ciò rispondo che in questo trattato si trova tutto ciò che può servire a portare a termine il mio progetto, e che le proposizioni che ho trascurato sono quelle che non possono essere d’alcuna utilità, per se stesse e che, d’altra parte, non saprebbero contribuire a facilitare la comprensione di quelle di cui ci interessa avere conoscenza: che per quanto riguarda le proporzioni, ciò che ne ho detto deve bastare per fare comprendere le proposizioni elementari che le riguardano. E’ un argomento che tratterò in modo più approfondito negli Elementi di Algebra che pubblicherò in seguito. Infine, poiché ho scelto la misura dei Terreni per interessare i principianti, non dovrei preoccuparmi che si confondano questi Elementi con i soliti trattati di Agrimensura? Questo pensiero non può venire che a coloro che non considereranno che la misura dei terreni non è il vero oggetto di questo Libro, ma che mi serve solo come occasione per fare scoprire le principali verità geometriche. Avrei potuto risalire a queste verità, facendo la Storia della Fisica, dell’Astronomia o di ogni altra parte delle Matematiche che avessi voluto scegliere; ma allora la molteplicità delle idee estranee di cui ci sarebbe stato bisogno d’occuparsi, avrebbe come soffocato le idee geometriche, alle quali soltanto io dovevo fissare l’attenzione del Lettore.» Clairaut, sicuramente non digiuno di conoscenza geometrica né incapace di fornire dimostrazioni, esprime in questa prefazione le scelte forti che ha fatto, con l’intento di rendere più appetibile la Geometria al palato nobile della Marchesa di Châtelet, cioè di fare più riferimento all’intuizione che alla deduzione, per offrire la possibilità di apprendere in modo semplice i fondamenti della Geometria. Il suo tentativo è discutibile, ma ad alcune critiche cerca di rispondere in anticipo. L’analisi del testo permetterà di comprendere se effettivamente riesce nel suo intento, oppure l’opera rimane sbilanciata nei confronti dell’intuizione. Da Euclide in poi il testo degli Elementi è servito a fare apprendere due punti importanti della Matematica: da una parte il contenuto geometrico, dall’altra il veicolo logico sotto forma di ragionamento stringente e verificabile. Clairaut accentua l’attenzione sul primo aspetto a discapito del secondo. Un punto abbastanza critico della Prefazione è l’oscillazione sulla natura dell’indagine del matematico, che ha riferimento con la posizione ontologica degli enti e degli oggetti matematici. Infatti l’autore francese oscilla tra la scoperta e l’invenzione. Parla infatti di scoperta quando afferma :«accoutumera l’esprit à chercher et à découvrir », ma anche di invenzione, o meglio di inventori : - 300 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini «la raison qui détermine l’Inventeur». Non è quindi chiaro se le figure geometriche, enti astratti che hanno una loro essenza ideale, siano presenti negli oggetti (i Terreni) o siano il prodotto di uno o più inventori che hanno posto, sulla base dell’osservazione, le fondamenta di quella loro invenzione che si è deciso di chiamare Geometria, perché applicabile ai problemi catastali. Proprio per quanto detto, si tratta di un testo essenzialmente didattico, con anche intenti di pratica applicazione. Il linguaggio usato in esso è piano e scorrevole e non lascia punti di difficile comprensione. VI.2.4. La prima parte. E’ in questa parte che più di ogni altra, appaiono le scelte espositive di Clairaut. La parte ha un titolo. “Sui mezzi che era più naturale impiegare per giungere alla misura dei terreni”. A questo titolo si aggiunge come brevissima introduzione la frase «Ciò che sembra che si sia dovuto misurare all’inizio, questo sono le lunghezze e le distanze.» VI.2.4.1. Definizione di retta e perpendicolarità. Ovviamente da questa brevissima introduzione si può già comprendere che il problema della distanza è legato alla descrizione delle rette e alla perpendicolarità, in connessione con la distanza. «Articolo I.1. Per misurare una lunghezza qualunque, l’espediente che fornisce una sorta di Geometria naturale, è quello di paragonare la lunghezza di una misura comune a quella della lunghezza che si vuole conoscere.» Già qui si vede un distacco dalla geometria euclidea, che non utilizza mai una misura campione, ma parla sempre di rapporto tra due grandezze (omogenee). Il ruolo della misura comune è, a questo punto, assai radicato nella cultura francese (ed europea), a partire da Cartesio in poi. «Articolo I.2. La linea retta è la più corta da un punto a un altro, e, di conseguenza, la misura della distanza tra i due punti. Riguardo alla distanza, si vede che per misurare quella che c’è tra due punti, bisogna tirare una linea retta dall’uno all’altro, e che è su questa linea che bisogna riportare la misura comune, perché tutte le altre fanno una deviazione più o meno grande, sono più lunghe della linea retta che non fa alcuna [deviazione].» Il corsivo del testo mette in evidenza il punto centrale di questo articolo. Non è chiaro (e non lo sarà mai in tutto il testo) se si tratta di una definizione o di una proprietà da assumere come assioma, o ancora una Proposizione da dimostrare. La parte scritta non in corsivo non chiarisce come considerare l’incipit dell’Articolo. Ci sono alcuni aspetti importanti: la retta sembra data come un termine ben noto, così come il concetto di punto. La definizione ricalca una posizione di Archimede a riguardo delle rette. La retta sembra però quella ‘terminata’ di Euclide, dato che si afferma che la retta è la misura della distanza tra i due punti. Se si pensasse alla retta illimitata bisognerebbe introdurre la nozione di - 301 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini segmento, che qui non appare. È ovvio che l’impostazione presenta un circolo vizioso: la retta è la più breve ed è la distanza, ma per trovare la distanza si opera sulla retta. Assunto il testo di questo articolo come una definizione-postulato, si potrebbe costruire un modello diverso in cui al posto delle rette intuitive si considerano archi di curva e dire che questi sono i più brevi, misurando la distanza su essi. la ‘retta’ vera e propria presenterebbe allora delle ‘deviazioni’, per cui sarebbe più lunga. Questa non è ‘fantascienza’, ma quello che avviene sulla superficie della Terra, ovviamente se non la si considera piatta, come tra l’altro doveva essere ben noto a Clairaut che cinque anni prima della pubblicazione del testo di Geometria, era andato in Lapponia per provarlo! Insomma in questo Articolo non è chiaro se la nozione di retta sia una conseguenza di quella di distanza o sia viceversa. La stessa critica sarà applicabile alla definizione di retta che Legendre adotterà. «Articolo I.3. Una linea che cade su un’altra senza pendere su di essa da nessun lato, è perpendicolare a tale linea. Oltre alla necessità di misurare la distanza di un punto dall’altro, capita spesso che si è, inoltre, obbligati a misurare la distanza di un punto da una linea. Un uomo, per esempio, posto in D sul bordo di un fiume (fig. 1), si propone di sapere quanto c’è dal luogo in cui lui è posto all’altro bordo AB. E’ chiaro che, in questo caso, per misurare la distanza cercata, bisogna prendere la più corta di tutte le linee rette DA, DB, ecc. che si possa tirare dal punto D alla retta AB. Ora è facile vedere che questa linea più corta di cui si ha bisogno, è la linea DC, che si suppone non pendere né verso A, né verso B. E’ dunque su questa linea, alla quale è stato dato il nome di perpendicolare, che bisogna riportare la misura nota, per avere la distanza DC, dal punto D, alla retta AB. Ma si vede altresì, che per ‘portare’ questa misura sulla linea DC, bisogna che questa misura sia stata precedentemente tirata. Era dunque necessario avere un metodo per tracciare delle perpendicolari. » In questo articolo sono dati per scontati vari fatti: che si possano tracciare le infinite rette che si ottengono congiungendo D con i punti di AB e non considerare solo DA e DB, ma ciò fa pensare ad una retta (segmento) costituita di punti. Clairaut non si sbilancia su quanti siano questi punti, nascondendo l’infinito sotto un eccetera. Poi dà per scontato che sia possibile realizzare il confronto sugli infiniti enti così trovati e che esista e sia unica la ‘retta’ più breve. Un’ulteriore osservazione è relativa alla frase «à la quelle on a donneé le nom de perpendiculaire» in cui sembra scaricarsi della responsabilità di avere utilizzato un termine colto, dandone ‘la colpa’ all’impersonale autore di tale decisione, da cui pare quasi dissentire. Compare inoltre una nozione di tipo angolare, la pendenza, non definita, su cui si basa la teoria della perpendicolarità. Ma ciò significa che i suoi Éléments non possono prescindere dalla tradizione geometrica accademica, si tratta solo di una rivisitazione in linguaggio piano, con intenti didattici. - 302 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini E’ assai importante l’uso dei verbi di visione: «il est aisé de voir […] on voit aussi» che stanno ad indicare il ruolo fondamentale del disegno; anche le affermazioni di chiarezza o ovvietà «Il est clair» hanno, in questa presentazione un ruolo didattico importante, richiamando un principio di autorità che è un po’ in opposizione su una delle finalità riconosciute all’insegnamento della geometria, vale a dire l’educazione allo spirito critico. Si può riscontrare, inoltre, un uso del Principio di ragione sufficiente di Leibniz nel fatto che la perpendicolare non penda né da una parte né dall’altra. VI.2.4.2. Rettangoli e alcune costruzioni. Il testo continua presentando i rettangoli ed alcune costruzioni basate sulla perpendicolarità. «Articolo I.4. Il rettangolo è una figura di quattro lati perpendicolari gli uni agli altri, e il quadrato è un rettangolo i cui quattro lati sono uguali. C’era ancora bisogno di tracciarne in un’infinità di altre occasioni. Si sa, per esempio, che la regolarità delle figure quali ABCD, FGHI (fig. 2 e 3), chiamate rettangoli e composte di quattro lati perpendicolari, gli uni agli altri, costringe a dare le loro forme alle case, ai loro interni, ai giardini, alle camere, ai pezzi di muri, ecc. La prima di queste figure ABCD, di cui i quattro lati sono uguali, si chiama comunemente quadrato. L’altra, FGHI, che ha solo i lati opposti uguali, ha nome di rettangolo.» Non è che in questo Articolo Clairaut dia la risposta alla richiesta con cui terminava l’articolo precedente, vale a dire di come fare per costruire una perpendicolare, ma qui presenta due figure fondamentali, con una sorta di definizione. La definizione è diversa da quella di Euclide in quanto si considerano i quadrati come particolari rettangoli. Si noti però che l’esistenza di un rettangolo è equivalente alla accettazione del postulato della parallele che quindi implicitamente viene assunto dall’autore francese senza particolari remore. «Articolo I.5. Modo di elevare una perpendicolare. In operazioni diverse che richiedono che si conduca delle perpendicolari, si tratta, o di abbassarne una su una linea, da un punto preso fuori, o di elevarne una da un punto situato sulla linea stessa. Infatti, se dal punto C (fig. 4), preso sulla linea AB, si voglia elevare la linea CD perpendicolare ad AB, sarà necessario che questa linea non penda né verso A né verso B. Supponendo dapprima che C sia a uguale distanza da A e da B, e che la retta CD non penda da nessun lato, è chiaro che ciascuno dei punti di questa linea sarà ugualmente distante da A e da B; non si tratterà quindi che di trovare un punto D, tale che la sua distanza dal punto A, sia uguale alla distanza dal punto B: poiché in tale caso congiungendo C e questo punto mediante un linea retta CD, questa linea sarà la perpendicolare richiesta. Infatti poiché il punto D apparterrà ugualmente ai due archi PDM, QDN descritti per mezzo di una misura comune, la sua distanza dal punto A uguaglierà la sua distanza dal punto B. Dunque CD non penderà né verso A, né verso B. Dunque questa linea sarà perpendicolare su AB. - 303 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini Se il punto C non si trova ad uguale distanza da A e da B (fig. 5), bisogna prendere altri due punti a e b , ugualmente distanti da C, e servirsene al posto di A e B, per descrivere gli archi PDM, QDN.» In questo articolo è da segnalare il fatto che lo spazio di Clairaut non è uno spazio isotropo, dato che sono frequenti i termini ‘innalzare’ ed ‘abbassare’, che trovano riscontro nelle figure allegate, sottintendendo quindi un ‘alto’ e un ‘basso’ sulla base di una nozione di verticalità non esplicitata. Non specifica l’apertura del compasso che, a priori può non essere nota e quindi i due archi potrebbero non intersecarsi in un punto D. Il fatto che ciò accada nella figura allegata, non è una garanzia, se il fatto non viene opportunamente commentato ed integrato. Sono poi utilizzati implicitamente i Criteri di congruenza dei triangoli, che saranno introdotti ben dopo. «Articolo I.6. Il cerchio è la traccia intera che descrive la punta mobile di un compasso mentre essa ruota intorno ad un’altra punta. - Il centro è il luogo della punta fissa. Il raggio è l’intervallo di cui il compasso è aperto. - Il diametro è il doppio del raggio. Se una delle tracce, quale ad esempio PDM (fig. 4), era continuata in O, in E, in R, ecc., finché quella [la punta] ritorna allo stesso punto P, la traccia intera si chiamerà circonferenza del cerchio, o semplicemente il cerchio. Il punto fisso A, il suo centro o quello del cerchio. E l’intervallo AD, il suo raggio. Ogni linea, come DAE, che passa per il centro A, e che finisce sulla circonferenza, è chiamata diametro; è evidente che questa linea è doppia del raggio e talvolta è chiamata semidiametro. » Si tratta di una costruzione – definizione dell’oggetto geometrico. La parte in corsivo confonde tra circonferenza e cerchio. Nella parte non in corsivo, viene specificato cosa si debba intendere per circonferenza (del cerchio) e cerchio, per poi, di nuovo confondere i due concetti. Il compasso di Clairaut non è quello teorico che traspare da Euclide, ma quello meccanico che ha una punta fissa ed una punta scrivente, il compasso meccanico di cui ci si serve anche oggi. La sua rigidità strutturale è garanzia che tutti i punti della circonferenza siano equidistanti dal centro. Spesso nel testo si parla di linea sottintendendo retta, ma talvolta non è così chiaro che si parli proprio della retta, dato che, ad esempio nell’Art. I.13. parla di linee curve, dunque non si può ritenere che linea per antonomasia sia quella retta. «Articolo I.7. Modo di abbassare una perpendicolare. Il modo di innalzare una perpendicolare su una linea AB (fig. 6), fornisce quella d’abbassarne una da un punto qualunque E, preso al di fuori di questa linea; poiché, piazzando in E, o l’estremità di un filo, o la punta del compasso e con uno stesso intervallo [raggio] Eb, marcando due punti a e b sulla linea AB, si cercherà, come nell’articolo precedente, un altro punto D, la cui distanza , dal punto a e al punto b sia la stessa, e mediante questo punto e attraverso E, si condurrà la retta DE, che avendo ciascuna delle - 304 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini sue estremità ugualmente distanti da a e da b, e non pendendo verso l’uno o l’altro di questi punti, sarà perpendicolare su AB. » Anche in questo testo, che è poi quello da cui si è preso il nome di ‘Articolo’, non si pone attenzione che la corda sia abbastanza lunga, o che il compasso sia sufficientemente aperto perché effettivamente esistano intersezioni con AB e neppure troppo lunga oppure con il compasso troppo aperto perché sia necessario prolungare AB. Condizioni e discussioni di questo tipo (diorismi, secondo l’antica definizione) compaiono assai raramente nell’opera in esame. «Articolo I.8. Tagliare una linea in due parti uguali. Dall’operazione precedente segue la soluzione di un nuovo problema. Se si trattasse di dividere una linea retta AB in due parti uguali (fig. 7); i punti A, B, presi come centri, e con un’apertura di compasso qualunque, si descriveranno gli archi REI, GEF, poi con gli stessi centri, e con la stessa, oppure di una altra apertura che si vorrà, si descriveranno gli archi PDM, QDN, allora la linea ED che congiungerà i punti di intersezione E e D, taglierà AB in due parti uguali, nel punto C. » I due articoli precedenti hanno in comune il fatto che sono esplicite costruzioni che troverebbero posto in un trattato di Disegno tecnico, più che in uno di Geometria, sia per la mancanza di attenzione alla problematica esistenziale (per le aperture arbitrarie del compasso) sia perché dal testo senza la figura non si potrebbe escludere che la ‘retta’ ED non prolungata, potrebbe non tagliare la ‘retta’ AB se i punti E e D non fossero in semipiani diversi, cosa che appare chiara nel disegno, ma non si evince dal testo. Il fatto di considerare implicitamente i semipiani porta con sé l’intuizione dell’ordine e della continuità, di cui non si fa menzione. Altre due costruzioni sono date nei due seguenti Articoli: «Articolo I.9. Fare un quadrato avendone il suo lato. Avendo trovato il modo di tracciare delle perpendicolari, niente sarebbe più facile che servirsene per fare queste figure che si chiamano rettangoli o quadrati di cui si è parlato nell’Articolo I.4. Si vede che per fare un quadrato ABCD (fig. 2), di cui i lati siano uguali alla linea data K, bisogna prendere sulla retta GE, un intervallo AB, uguale a K, poi elevare (Articolo I.5.) dai punti A e B delle rette perpendicolari AD, BC, ciascuna uguale a K, e poi tirare DC. Articolo I.10. Fare un rettangolo, di cui la lunghezza e la larghezza sono date. Se si vuole tracciare un rettangolo FGHI (fig.3), di cui la lunghezza fosse K, e la larghezza L, si farà FG uguale a K, poi si eleveranno le perpendicolari FI e GH, ciascuna uguale a L, poi si tirerà HL. » Si sono raggruppati questi due articoli per la somiglianza delle costruzioni descritte. Di fatto si tratta delle costruzioni del quadrilatero birettangolo isoscele di Saccheri (apparso nel testo Euclides ab omni nævo vindicatus, del 1733) e il fatto che si ottenga un quadrato o un rettangolo, vale a dire che anche i due altri angoli siano retti (e che DC nel primo caso, HL nel secondo, siano uguali a K) è equivalente al postulato delle parallele. Nelle costruzioni presentate si adopera il trasporto rigido, eventualmente realizzato mediante il compasso (meccanico). - 305 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini «Articolo I.11. Le parallele sono linee sempre ugualmente distanti le une dalle altre. – Condurre una parallela ad una linea data da un punto assegnato. Nella costruzione di opere, come bastioni, canali, strade, ecc., si ha bisogno di condurre linee parallele, vale a dire, linee di cui la posizione sia tale che i loro intervalli abbiano ovunque per misura perpendicolari della stessa lunghezza. Ora per condurre queste parallele, nulla, ci sembra, è più naturale di ricorrere ai metodi per tracciare i rettangoli. Infatti, sia AB (fig. 8), per esempio, uno delle rive di un qualche canale, o di qualche bastione, ecc., al quale si voglia dare la larghezza CA; o, per enunciare il quesito in modo più geometrico e più generale, si suppone che si voglia condurre da C, la parallela CD a AB, si prenderà a piacere un punto B nella linea, e si opererà nella stessa maniera di quanto visto se avendo la base AB, si volesse fare un rettangolo ABCD, che avesse AC per altezza. Allora le linee CD, AB, essendo prolungate all’infinito, sarebbero sempre parallele, o, ciò che consegue ugualmente, esse non si incontrerebbero mai.» L’Articolo si apre con una definizione di rette parallele basate sulla distanza e promette una costruzione di rette parallele. Poi si rifà ad un Articolo precedente (I.4.). Compare il fatto di dovere prolungare all’infinito le linee (rette). VI.2.4.2. Misura dell’estensione di Rettangoli. Dopo questi primi Articoli che trattano alcune figure elementari, Clairaut passa a introdurre la misura dell’area e, si può dire, che lo faccia come i maestri d’oggi. Non è facile sapere se egli incorpori una tradizione didattica o la stia creando. Nelle Geometria greca le argomentazioni dell’Autore francese sono solo suggerite implicitamente dai risultati sulla proporzionalità tra lati e area del rettangolo. «Articolo I.12. La misura di un rettangolo è il prodotto della sua altezza per la sua base. La regolarità delle figure rettangolari, facendole utilizzare spesso, come si è già detto, fa sì che si presentino molti casi in cui si ha bisogno di conoscere la loro estensione. Si tratterà, per esempio, di determinare quanta tappezzeria serve per una camera, o la recinzione di una casa, avente una forma rettangolare, quanti arpenti comprenda, ecc. Ci si accorge che per giungere a questi tipi di determinazioni, i mezzi più semplici e più naturali sono quelli di servirsi d’una ordinaria forma di misura, che applicata più volte sulla superficie da misurare, la copra interamente.: Metodo che riprende, in modo analogo, quello di cui ci si è già serviti per misurare la lunghezza delle linee. Ora è evidente che la misura ordinaria delle superficie deve essere essa stessa una superficie, per esempio, quella di una tesa quadrata, d’un piede quadrato, ecc. Così, misurare un rettangolo è determinare il numero di tese quadrate, o di piedi quadrati, ecc. che contiene la sua superficie. Prendiamo un esempio, per rinfrancare un poco lo spirito. Supponiamo che il rettangolo dato ABCD (fig. 9), abbia 7 piedi di altezza su una base - 306 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini di 8 piedi, si potrà guardare questo rettangolo come suddiviso in 7 fasce a, b, c, d, e, f, g che conterranno ciascuna 8 piedi quadrati; il valore del rettangolo sarà dunque 7 volte 8 piedi quadrati, vale a dire, 56 piedi quadrati. Ora, se ci si ricorda dei primi elementi di calcolo aritmetico, e che torni alla mente che moltiplicare due numeri è prendere l’uno tante volte quante l’unità è contenuta nell’altro, si troverà un’analogia perfetta tra la moltiplicazione ordinaria e l’operazione mediante la quale si misura un rettangolo. Si vedrà che moltiplicando il numero delle tese o dei piedi, ecc., che dà l’altezza, per il numero di tese o piedi, ecc. che dà la sua base, si determinerà la quantità di tese quadrate, o di piedi quadrati, ecc. che contiene la sua superficie.» In questa determinazione dell’area è evidente che si presenti un’argomentazione basata sulla figura e su conoscenze aritmetiche. Potrebbe sembrare che Clairaut abbia scelto la presentazione di un esempio generalizzabile, ma la generalizzazione (introdotta da verbi di visione: «On verra […]») può essere applicabile solo a rettangoli con i lati tra loro commensurabili, ciò che costituisce una restrizione effettiva molto particolare. L’accenno a misure ‘ordinarie’ di lunghezze e di estensioni agrarie (gli arpenti) permette di dire che qui più che Geometria si tratti di Estimo catastale. «Articolo I.13. Le figure rettilinee sono quelle che terminano con linee rette. – Il triangolo è una figura terminata [delimitata] da tre linee rette. Le figure che si devono misurare, non sono sempre regolari, come i rettangoli, tuttavia c’è spesso bisogno della loro misura; talvolta si tratterà di determinare l’estensione di un’opera costruita su un terreno che mancherà di regolarità, talvolta si vorrà sapere quanti arpenti costituiscono una terra con un contorno irregolare: c’era dunque bisogno che al metodo di determinazione l’estensione dei rettangoli si aggiungesse quella di misurare le figure che non sono rettangolari. Si vede dapprima che, per la pratica, la difficoltà non è altro che quella di determinare la misura di figure rettilinee quale ABCDE (fig. 10), vale a dire [la misura] delle figure terminate da linee rette; infatti se nel contorno di un terreno, si trova qualche linea curva, come nella figura ABCDEFG (fig. 11), è evidente che queste linee, suddivise in tante parti quante sarà necessario per evitare ogni errore sensibili, potranno sempre essere prese per una assemblaggio di linee rette. Posto ciò, si vede che, malgrado l’infinita varietà di figure rettilinee, si possono misurarle tutte nello stesso modo, suddividendole il figure di tre lati, chiamate comunemente triangoli; ciò che si farà nel modo più semplice e più comodo, se, da un punto qualunque A del contorno della figura ABCDE (fig. 10), si conducono le rette AC, AD, ecc., ai punti C, D, ecc.» L’impressione dell’utilizzazione di strumenti per l’Estimo si conferma nel fatto che ci si avvale di approssimazioni che rendano percorribili, in pratica le misure dei terreni. Ovviamente Clairaut non si pone i problemi generati dalla Geometria frattale, per cui una linea potrebbe essere tale da non poter essere suddivisa «in tante parti quante sarà necessario per evitare ogni errore sensibile». C’è sotto - 307 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini anche un’intuizione di limite: fissato l’errore sensibile trovare una scomposizione della linea in modo che l’errore commesso sia minore di quello fissato, una tipica affermazione dl tipo ∀-∃ . In questo articolo compaiono, senza alcuna definizione, le linee curve. Ci sarebbe stata la possibilità di parlarne anche prima, ad esempio nell’Art. I.6. in cui si introduce il cerchio e la circonferenza, ma le uniche linee di cui si parla in detto articolo sono i diametri. Quando utilizza delle circonferenze parla di archi, Artt. I.5, I.8. Compare qui dunque per la prima volta la nozione di linea curva, ovviamente senza una definizione appropriata, al di là del disegno. Compare anche la nozione di triangolo come poligono a tre lati. Il problema delle determinazione dell’estensione di una figura poligonale, o quasi, è quindi ridotta a quella dei triangoli. Inizia qui una serie di Articoli volti a mostrare, con una certa ‘pesantezza’ espositiva, che è possibile ricondurre lo studio dei triangoli a quello dei rettangoli. Tale ‘pesantezza’ deriva dall’avere evitato di introdurre i parallelogrammi. «Articolo I.14. La Diagonale d’un rettangolo è la linea che divide in due triangoli uguali. – I triangoli rettangoli sono quelli che hanno due dei loro lati perpendicolari l’uno all’altro. – Un triangolo è la metà del rettangolo che ha la stessa base, e la stessa altezza; dunque la sua misura è la metà del prodotto della sua altezza per la sua base. Non si tratterà dunque che d’avere la misura dei triangoli che si saranno formati. Ora si sa che per trovare ciò che si ignora, il mezzo più sicuro è quello di cercare se in ciò che si conosce, ci sia qualcosa che si riferisca a ciò che si voglia conoscere; ma si è già visto che per ogni rettangolo ABCD (fig. 12), è uguale al prodotto della sua base AB per la su altezza CB. D’altra parte è facile scorgere che questa figura tagliata trasversalmente dalla linea AC, chiamata diagonale, si trovi divisa in due triangoli uguali, e da ciò si inferisce che ciascuno dei due triangoli uguaglierà la metà del prodotto della loro base AB o DC, per le loro altezze CB o DA. E’ vero che non capita spesso che i triangoli da misurare, abbiano lati rispettivamente perpendicolari, come nei triangoli ABC, ADC, che si chiamano triangoli rettangoli; ma nulla impedisce di ridurre tutti i triangoli a questa specie. Infatti, se dal punto A, vertice d’un triangolo qualunque ABC (fig. 13), si abbassa la perpendicolare AD, sulla base BC, il triangolo ABC si troverò suddiviso in due triangoli rettangoli ABD, ADC. Riprendendo dunque ciò che si è appena detto, è evidente che come i due triangoli ABD, ADC saranno la metà dei rettangoli AEBD, ADCF, il triangolo proposto ABC, sarà, ugualmente, la metà del rettangolo EBCF, che avrà BC per base, e AD per altezza: ma poiché la superficie del rettangolo ABCF uguaglierà il prodotto dell’altezza EB o AD per la base BC, il triangolo ABC avrà per misura la metà del prodotto della base BC per la perpendicolare AD, altezza del triangolo. Si ha quindi un modo per misurare tutti i terreni terminati da linee rette, poiché non se ne trova alcuno che non possa ridursi a questi triangoli e poiché si sa abbassare dai vertici delle perpendicolari alle loro basi. » - 308 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini In questo articolo vi sono vari motivi di interesse. La ‘definizione’ di diagonale così come viene formulata, viene ripresa da Gergonne nel 1818 come esempio specifico di definizione implicita. L’argomentazione di Clairaut sottintende, come cosa ovvia, l’additività della misura, ma questa solitamente è parte integrante della nozione di misura. Poi quando afferma «Infatti, se dal punto A, vertice d’un triangolo qualunque ABC (fig. 13), si abbassa la perpendicolare AD, sulla base BC, il triangolo ABC si troverò suddiviso in due triangoli rettangoli ABD, ADC.» sa di mentire, come provano alcuni articoli successivi e non ne avrà più abbastanza di accettare strettamente solo l’additività della misura, ma gli servirà fare la differenza tra misure. Ciò perché se dal vertice A si conduce la perpendicolare alla retta BC, può darsi che tale perpendicolare non incontri il segmento BC perché il triangolo è ottusangolo. C’è poi un brano che riveste importanza come preannuncio delle idee di Pólya sul problem-solving: «Ora si sa che per trovare ciò che si ignora, il mezzo più sicuro è quello di cercare se in ciò che si conosce, ci sia qualcosa che si riferisca a ciò che si voglia conoscere» e ciò è in piena sintonia con una parte importante della prefazione: «mi è sembrato molto più appropriato di impegnare continuamente i miei Lettori a risolvere problemi: vale a dire, George Pólya (1887 – 1985) di cercare i mezzi di fare alcune operazioni, oppure di scoprire alcune verità sconosciute, determinando il rapporto che intercorre tra grandezze date e grandezze incognite, che ci si propone di trovare. Seguendo questa via, i Principianti colgono, ad ogni passo che li si conduce a fare, la ragione che determina l’Inventore; e in questo modo possono acquisire più facilmente uno spirito di inventiva.» Inizia di qui ad emergere l’idea che l’apprendimento avvenga mediante problemi e che di fronte ad un problema bisogna cercare di rielaborare le informazioni note per risolvere problemi incogniti, proprio secondo una di quelle regole che verranno poste alla base dell’attività di risoluzione dei problemi da Polya. VI.2.4.3. Area dei triangoli. A completamento di quanto visto nell’Articolo precedente «Articolo I.15. I triangoli che hanno la stessa altezza e la stessa base, hanno delle superficie uguali. Da ciò che era presente nel metodo che abbiamo appena dato, per misurare l’area o la superficie dei triangoli, non si adopera altro che le loro basi e le loro altezze, senza porre attenzione alla lunghezza de[gli altri] lati, si ottiene questa proposizione, o questo teorema, che tutti i triangoli come ECB, ACB (fig. 14), che hanno una base comune CB, e di cui le altezze EF, AD, sono uguali, hanno la stessa superficie. Articolo I.16. Per facilitare la comprensione del principio che fornisce la misura dei triangoli, abbiamo creduto che bastasse scegliere per base un lato sul quale poteva cadere la perpendicolare abbassata dal vertice opposto, ciò che si ha sempre la libertà di fare, quando si tratta della misura dei terreni. Ma nel paragone tra triangoli che hanno la stessa base, le perpendicolari abbassate dai loro vertici possono cadere fuori del triangolo, come nella figura 15, sembra che sia necessario vedere se i triangoli quali BCG sono nel caso rientra negli altri casi; vale a dire, se sono sempre la metà dei rettangoli ECBF, che hanno la perpendicolare GH per altezza. - 309 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini Ma è ciò di cui è facile assicurarsi, osservando che il triangolo CGH, somma dei due triangoli CGB, GBH, è la metà del rettangolo ECHG, somma dei due rettangoli ECBF, FBHG, e, che così i due triangoli CGB, GBH, presi assieme, valgono la metà del rettangolo ECHG: ora il triangolo GBH, è la metà del rettangolo FBHG; dunque il triangolo proposto BCG, è la metà dell’altro rettangolo ECBF, che ha BC per base, e GH per altezza. Articolo I.17. I triangoli che hanno la stessa base, e che sono rinchiusi entro le stesse parallele, sono uguali in superficie. La proposizione dimostrata nei tre articoli precedenti, può enunciarsi ancora generalmente in questi termini: i triangoli EBC, ABC, GBC, (fig. 16), sono uguali, qualora abbiano una base comune BC e che sono tra le stesse parallele EAG, CBH; vale a dire allorché i loro vertici E, A, G, si trovano in una stessa linea retta EAG, parallela alla retta CB. Poiché allora (Art. I.11.) le loro altezze, misurate mediante le perpendicolari EF, AD, GH, sono le stesse. » Si conclude con questi due ultimi tre articoli il problema dell’area dei triangoli. Quello che Clairaut non prova è che se si cambia di ‘base’ e di ‘altezza’ in un triangolo, l’area non cambia, anche se sembra accennarvi quando afferma «abbiamo creduto che bastasse scegliere per base un lato sul quale poteva cadere la perpendicolare abbassata dal vertice opposto, ciò che si ha sempre la libertà di fare». Dà inoltre per scontato che se due triangoli sono la metà di due rettangoli, assemblando e disassemblando i due rettangoli i si conservi il rapporto di metà. Sotto c’è l’intuizione algebrica, cui tra l’altro fa riferimento nell’Art. I.12, che era assai più sviluppata al tempo di Clairaut di quanto non fosse ai tempi di Euclide. E’ interessante osservare che al complesso degli Artt. I.15 – I.16, attribuisce il valore di dimostrazione di una Proposizione o Teorema. Si tratta certamente di un’argomentazione abbastanza elaborata, ma troppo basata sulla rappresentazione grafica per annetterle il valore di dimostrazione. I due articoli successivi introducono e studiano i parallelogrammi, e si riportano solo le parti in corsivo dei testi di tali articoli. «Articolo I.18. I Parallelogrammi sono figure di quattro lati, di cui i due lati opposti sono paralleli. Si misurano moltiplicando la loro altezza per la loro base.» «Articolo I.19. I Parallelogrammi che hanno una base comune e sono entro le stesse parallele, sono uguali in superficie.» Per queste figure si applica la tecnica proposta nell’Art. I.14 di suddividere la figura in triangoli e di lavorare sulle aree dei triangoli per risalire a quella dei parallelogrammi che ne sono il doppio. VI.2.4.4. Area dei poligoni regolari. Clairaut passa poi ai poligoni. «Articolo I.20. I Poligoni regolari sono figure che terminano con lati uguali, ed ugualmente inclinati gli uni sugli altri. - 310 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini Ci sono ancora altra figure rettilinee che è facile misurare, e che si chiamano poligoni regolari, figure che terminano con lati uguali, ce hanno tutti la medesima inclinazione gli uni sugli altri. Tali sono le figure ABDEF, ABDEFG, ABDEFGH (fig. 20, 21 e 22). Dato che si ha l’abitudine di dare la forma simmetrica di queste figure a bacini, fontane, piazze pubbliche, ecc., credo che prima di apprendere a misurarle, bisogni vedere come si tracciano. Articolo I.21. Maniera di descrivere un poligono con un numero determinato di lati. – Il Pentagono ha 5 lati, l’Esagono 6, l’Ettagono 7, l’Ottagono 8, l’Ennagono 9, il Decagono 10, ecc. Si descriva una circonferenza di cerchio; la si divida in tante parti uguali quanti si vorranno dare lati al poligono; poi si conducano le linee AB, BD, DE, ecc. dai punti A, B, D, E, ecc. che suddivideranno la circonferenza, si avrà il poligono cercato, che si chiamerà o pentagono, o esagono, o ettagono, o ottagono, o ennagono, o decagono, ecc., a secondo che avrà o cinque, o 6, o 7, o 8, o 9, o 10, ecc. lati.» Nel primo Articolo i poligoni regolari vengono dati con le condizione di uguaglianza dei lati e con l’inclinazione, invece che la condizione di isogonia. La nozione di angolo verrà presentata solo nel successivo Art. 27. Questi due Articoli sono presentati assieme perché il primo dei due si conclude con la promessa di indicare come tracciare i poligoni regolari. Nel secondo Articolo ciò non avviene in modo effettivo, per cui sembra che l’attenzione sia più sul piano linguistico di precisazione dei termini da utilizzare per individuare i poligoni, termini colti di origine greca. C’è, è vero, la connessione tra il problema della costruzione dei poligoni regolari e quello della ciclotomia, ma non è affrontato, dato che non ci sono indicazioni su come ottenere la suddivisione della circonferenza in parti uguali. Il problema ai tempi di Clairaut era assai dibattuto. De Moivre aveva ottenuto una soluzione in termini trigonometrici, Gauss pochi anni dopo risolverà il problema generale della ciclotomia con riga e compasso. Abraham de Moivre (1667 – 1754) E’ da notare la presenza di una ipostatizzazione ‘fantasma’: nel primo Articolo vengono indicati i vertici dei poligoni evitando la lettera C, iniziale di centro, che invece compare nella figura 22. Una diversa interpretazione di questa scelta è quella poi di leggere il successivo Art. I.22, come una possibile generalizzazione anche ad altri poligoni. «Articolo I.22. Misura della superficie d’un Poligono regolare. – L’apotema è la retta perpendicolare abbassata dal centro della figura su uno dei suoi lati. Per avere la misura d’un poligono regolare, si potrebbe impiegare il metodo che si è già dato (Art. I.13.) per ogni figura rettilinea; ma ci si avvede facilmente che è più breve di suddividere il poligono in triangoli uguali, che abbiano tutti il centro C per vertice. Infatti, prendendo uno di questi triangoli, CBD per esempio (fig. 22), e tirando sulla base BD la perpendicolare CK, che d’ora in poi, sarà chiamato l’apotema del poligono, come l’area del - 311 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi Carlo Marchini triangolo varrà il prodotto della base BD, per la metà di CK, questo prodotto, preso tante volte quanti lati ha il poligono, darà l’area della figura intera. » Segue un Articolo sulla costruzione del triangolo equilatero di cui si accenna alla possibilità di suddividere la circonferenza in tre parti uguali. Mostra poi come costruire un triangolo equilatero così come fa Euclide nella Eucl. Prop. I.1. (cfr. II.4.6). Di un certo rilievo geometrico è il successivo Articolo. «Al metodo di descrivere geometricamente il triangolo equilatero e il quadrato, i primi di tutti i poligoni, potrò aggiungere quello di tracciare geometricamente un pentagono, come hanno fatto più Autori negli Elementi che ci hanno dato; ma dato che i Principianti, per i quali solo noi lavoriamo qui, non scorgeranno che con molta fatica la strada che ha dovuto seguire l’intelletto, cercando il modo di tracciare questa figura, strada che l’Algebra ci ha messo alla portata di scoprirla, noi ci crediamo obbligati di rinviare la descrizione del pentagono al Trattato [di Algebra] che seguirà questo, e nel quale si aggiungerà questa descrizione a quella di tutti gli altri poligoni che avranno un numero più grande di lati, e che senza il soccorso dell’Algebra, non potrebbero essere descritti geometricamente. Dei poligoni che hanno più di cinque lati, e che ha detto non poter essere descritti che per mezzo del calcolo algebrico, ne fanno eccezione quelli di 6, di 12, di 24, di 48, ecc., e quelli di 8, di 16, di 32, di 64, ecc. lati, che si possono facilmente descrivere mediante i metodi che fornisce la Geometria elementare, come si vedrà alla fine di questa prima Parte.» Come si vede, una delle prime volte che sono indispensabili le grandezze incommensurabili, per realizzare una costruzione, tra l’altro ben nota e stabilita in ambito geometrico, Clairaut evita il problema rimandando ad un trattato di Algebra, che apparirà nel 1746. La giustificazione è quella che il suo trattato è riservato ai principianti. Si comprende così perché l’autore francese abbia limitato la considerazione dei rettangoli con i lati commensurabili. - 312 -