Relazione generale - Polo museale della Campania

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Napoli - Museo e Certosa di San Martino
RELAZIONE GENERALE
Indice:
IL SITO
L'ARCHITETTURA
LA STORIA
IMPOSTAZIONE E CRITERI PROGETTUALI
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IL SITO
Costruita a partire dal 1325 a ridosso dell'imponente mole del Castello di Belforte, la
Certosa di San Martino costituisce uno dei capo saldi -visivi oltre che monumentali nel disegno urbano della città angioina. La scelta logistica della scoscesa collina di
Sant'Erasmo comporta la !necessità di complessi interventi relativi alla creazione di
un pianoro sufficientemente esteso per la realizzazione delle sottostrutture su cui
poggiare il chiostro. Assecondando l'orografia del colle, infatti, una vasta area viene
"sfettata" allo scopo di innalzare la doppia fila di poderosi pilastri collegati da archi e
volte a sesto acuto e da archi a tutto sesto in corrispondenza dei prospetti: soluzione
formale, questa, che caratterizzerà nel tempo l'immagine codificata della Certosa
rispetto alla città.
Un progetto ardito quello di Tino da Camaino, che modifica radicalmente l'originaria
configurazione del sito e che, d'altra parte, ne segna l'inizio della progressiva
urbanizzazione: il moltiplicarsi delle iniziative -sia sotto il profilo architettonico che
dal punto di vista paesaggistico -è chiaramente leggibile nello sviluppo
dell'iconografia urbana, che mostra il progressivo espandersi del tessuto edilizio
lungo le pendici; contemporaneamente vengono aperti varchi e strade d'accesso.
Così, alla fine del Cinquecento -come mostrano le vedute urbane dell'epoca l'espansione edilizia sulla collina di Sant'Erasmo tende a fondere i borghi in un unico
omogeneo abitato, mentre sorgono nella zona nuovi e numerosi complessi religiosi.
Tale processo di urbanizzazione di nuovi spazi prosegue nel secolo successivo,
alterando completamente il rapporto tra costruito e aree libere a danno di queste
ultime: il blocco dei “quartieri", con la monotona scacchiera dei palazzi, emerge
compatto sotto San Martino, interrotto solo dal convento di Montecalvario e dal
palazzo Cariati. Solo la parte alta della zona collinare presenta ampie superfici verdi,
ma la città tende comunque a erodere il verde visibile nelle vedute di Baratta e
Stopendael.
Un altro dato importante emerge dalla serie di vedute che, a partire dalla
quattrocentesca Tavola Strozzi, ritraggono la città, nelle quali appare come una
costante dell'immagine urbana la Certosa di San Martino. Indipendentemente dal
punto di vista adottato nella costruzione delle immagini, il bianco volume di San
Martino è sempre rappresentato -dal Lafrery , dal Baratta, dal Van Wittel -come
fulcro visivo di immediato rilievo e di riferimento topografico nella lettura del tessuto
urbano della Napoli dal Quattrocento all'Ottocento.
L' ARCHITETTURA
La "domus Cartusiae" -come viene generalmente indicata nei documenti antichi - si
articola, secondo uno schema fisso, intorno a tre nuclei architettonici strettamente
connessi tra loro: la chiesa, il chiostro piccolo con la sala capitolare e il refettorio, il !
grande chiostro con le celle. Intorno a tale nucleo principale si articolano le
cosiddette "obbedienze", vale a dire fabbricati collegati alle attività pratiche, di
economia rurale e artigiana compiute dai conversi.
La Certosa di San Martino rispecchia sostanzialmente tale impostazione
architettonica e concettuale, adeguandola -come accade peraltro in tutti gli
insediamenti certosini alla particolare natura del luogo: la limitata estensione delle
superfici disponibili comporta una contrazione dimensionale di alcuni spazi, specie
quelli esterni e quelli di filtro o destinati ad attività minori, pur nel rispetto, come si è
detto, dello schema planimetrico codificato.
Dal largo San Martino -su cui affaccia la Chiesa delle Donne -si accede al
cinquecentesco cortile, in asse con il Chiostro dei Procuratori e con l'androne, sul cui
lato sinistro sorge la Chiesa, preceduta dal pronao trecentesco modificato
dall'intervento fanzaghiano. AI termine dell'unica navata, ai due lati dell'abside, si
aprono gli spazi destinati, da un lato, alla Sacrestia, al Tesoro Vecchio e al Tesoro
Nuovo, e dall'altro al Coro dei Conversi, al Capitolo e al Colloquio, quest'ultimo
accessibile anche dal Chiostro Grande. Dal Coro dei Conversi, inoltre, un corridoio
conduce alla piccola cappella della Maddalena e all'elegante chiostrino disegnato da
Niccolò Tagliacozzi Canale nel cui vestibolo è il monumentale lavamano marmoreo
precedentemente scolpito da Fanzago.
Dal Chiostro dei Procuratori, a portico e loggia, opera di Giovanni Antonio Dosio, si
passa, attraverso il lungo corridoio adiacente al Refettorio - dove sono evidenti tracce
della primitiva struttura trecentesca - fino al Chiostro Grande, la cui veste attuale
rappresenta l'esito del rimaneggiamento messo in atto, nell'intero complesso, da
Dosio prima a livello progettuale e da Fanzago poi. In sintesi, l'odierno aspetto della
Certosa è segnato da alcune tappe fondamentali che vanno dalla fondazione (1325) al
1578 - anno di avvio dei lavori di ampliamento e ammodernamento promossi dal
Priore Severo Turboli - e fino al rimaneggiamento barocco. Gli ambienti a ridosso del
Chiostro Grande e del fronte orientale della Certosa ospitavano originariamente le
celle rispettivamente del Priore (ala sud), dei monaci (ala est e ala nord) e dei novizi
(fronte est, in prosecuzione del braccio ovest del Chiostro). In seguito all'istituzione,
dopo il 1866, del Museo Nazionale di San Martino, i medesimi spazi, dal "Quarto del
Priore" alle celle dei certosini, alla zona del Noviziato, vengono adattati -in alcuni
casi con alterazioni irreversibili - a sedi espositive delle diverse raccolte artistiche.
L'ingresso alla sezione museale avviene dall'androne adiacente al Chiostro dei
Procuratori, che conduce anche all'antica Farmacia e, sul fondo, ai giardini della
Certosa.
Strutturati a terrazze, questi spazi aperti costituivano una parte integrante dei percorsi
quotidiani dei certosini. Il primo terrazzamento cui si accede, direttamente,
dall'androne era in origine l'erbario della Farmacia; quello intermedio, collegato al
Quarto del Priore dalla scala a doppia rampa del Fanzago, costituiva, appunto, l'orto
del Priore e rivela un'impostazione architettonica più accurata, dalla sistemazione del
verde e del pergolato ai sedili in battuto di lapillo; le terrazze inferiori; infine, erano
le vigne dei monaci, contornate dalla passeggiata.
LA STORIA
La Certosa di San Martino fu fondata per volere di Carlo l'illustre Duca di Calabria,
figlio di Re Roberto d'Angiò, ne1 1325.
L'ordine dei Certosini era stato fondato da San Brunone nel 1085, nella Francia
meridionale; nei pressi di Grenoble, nella stessa regione dalla quale venivano i re
Angioini, Conti di Marsiglia prima ancora che Re di Napoli. Per la costruzione della
Certosa di San Martino Carlo chiamò Tino da Camaino senese, scultore e architetto.
I lavori cominciarono nel 1333; già nel 1335 giunsero i primi monaci da Trisulti,
vicino Roma. Poi i lavori rallentarono e la chiesa potè essere inaugurata solo nel
1378.
L'impianto era quello canonico delle Certose, ben rispondente alle regole dettate da
Guigo I e Guigo II, due Priori generali dell'Ordine, successori di San Bruno. Il
monastero era grande, come sono grandi tutte le Certose; per consentire alla fabbrica
di spaziare su una larga superficie, furono necessarie poderose opere di ingegneria,
ancora oggi leggibili nei sotterranei gotici.
La Certosa fu trasformata ed abbellita dalla fine del secolo XVI in poi. Quando tutti i
monasteri napoletani si rinnovarono per tener fede ai nuovi dettami del Concilio di
Trento, anche San Martino volle adeguarsi; chiamò il dotto e famoso architetto
Giovanni Antonio Dosio che aveva lavorato a Firenze ed a Roma. La Certosa cambiò
aspetto da vecchio convento gotico si trasformò in una ben armonizzata successione
di chiostri e corridoi tardo manieristi.
Mentre ancora fervevano i lavori di ristrutturazione, giunse a lavorare in San Martino
Cosimo Fanzago. Dal 1623 al 1656, sulla spinta del fantasioso cavaliere bergamasco
l'architettura della Certosa divenne man mano più vivace, più fantasiosa, un
susseguirsi di episodi sempre più esplosivi, una concorrenza alle esplosive eruzioni
del Vesuvio che proprio in quegli stessi anni dava spettacolo di sè dall'altra parte del
golfo. Oltre a Fanzago, e dopo di lui, lavorarono a San Martino: Giovan Giacomo di
Conforto, Bonaventura Presti, Michelangelo Naccherino, Domenico Antonio
Vaccaro, Nicola Tagliacozzi Canale e tanti altri pittori decoratori e scultori; per quasi
due secoli a San Martino confluì il meglio dell'arte napoletana.
Il portale della chiesa è di Cosimo Fanzago ed è un capolavoro del secolo XVII, ma
dietro i marmi si intravedono gli archi gotici originari del Trecento in tufi gialli ben
squadrati, tinteggiati in nero e rosso. La chiesa conserva le volte gotiche originarie,
decorate in seguito da Giovanni Lanfranco. Nelle Certose le volte della chiesa hanno
un forte significato simbolico, esse rappresentano il Cielo; quindi, nonostante tutti i
rifacimenti le volte della chiesa venivano conservate, perchè simboleggiavano la
forza incrollabile della fede dei Certosini. E' così alla Certosa di San Martino, come a
Capri ed a Padula. Gli altri ambienti, in cui è conservata integra la struttura
dell'architettura gotica, sono i sotterranei. I corridoi e gli archi di controspinta
servono per contenere la grande massa di terreno del Chiostro Grande. I sotterranei
sono il capolavoro di Tino da Camaino come architetto e costruttore, paragonabili
solo alle grandi opere di ingegneria di epoca romana.
La Certosa non ha mai modificato la disposizione planimetrica di insieme, la
distribuzione degli ambienti, la successione degli spazi ed i collegamenti.
La costanza nella distribuzione è conseguenza del fatto che l'Ordine Certosino non ha
mai cambiato la propria Regola fin dalla fondazione.
Dalla fine del '500 i più famosi architetti ed i più grandi pittori e scultori hanno
lavorato per abbellire la Certosa di San Martino.
Le tranquille facciate del primo cortile sono riferibili all'ordinato intervento
manierista di Dosio, mentre la composizione irruenta del pronao della chiesa è opera
di pieno barocco di Cosimo Fanzago.
L'impianto della chiesa fu impostato dal Dosio e Di Conforto sulla preesistenza
gotica. Nella chiesa e nelle cappelle si sovrappongono i più ricchi e fastosi panneggi
decorativi che il barocco napoletano ha saputo immaginare. Nella volta, il "Paradiso"
di Giovanni Lanfranco con ampia stesura di colori chiari fortemente illuminati dalle
grandi finestre aperte da Cosimo Fanzago. L'altare, attribuito a Francesco Solimena,
avrebbe dovuto essere di ori e argenti, ma, siamo già in pieno Settecento, la grande
potenza economica dei certosini avvertiva i primi segni di declino, per le immense
spese e per il clima politico che cominciava a mutare. L'altare rimase come un
modello al vero in legno e stucco.
Nella Cappella del Tesoro sulla volta è dipinto uno straordinario affresco di Luca
Giordano raffigurante il “Trionfo di Giuditta"; nel dipinto dai colori chiari e dai
riflessi luminosissimi, Giuditta mostra al Cielo e agli Israeliti la testa decapitata del
nemico Oloferne, in un turbinio di angeli, cavalieri, guerrieri, simboli, nuvole,
bandiere e santi. Eseguito nel 1703, è uno degli ultimi capolavori del grande maestro.
La leggenda vuole che l'intero affresco sia stato dipinto in sole 24 ore.
Passando dal Capitolo e dal Parlatorio si giunge al Chiostro Grande; è un'improvvisa,
immensa esplosione di luce; in lontananza si sentono i rumori della città di Napoli,
ma qui, dove vivevano i monaci, la città non si vede, il chiostro sembra librarsi da
solo nel cielo azzurrissimo. Si avverte uno dei più profondi temi della spiritualità
certosina: ogni Certosa era costruita ad immagine della città di Dio. Certo non poteva
avere la perfezione della Città Celeste, ma tendeva costantemente alla perfezione, alla
vita angelica. La Certosa era il tramite tra la città terrena e Dio.
Dal chiostro si entrava nelle celle dove i Padri vivevano in solitudine pregando e
meditando. Dai terrazzini e probabilmente da piccoli giardini pensili, i Padri
vedevano la città lontana sotto di loro.
Si comprende così il significato della scelta del luogo dove San Martino fu costruita,
fisicamente sospesa tra la città e il cielo, intermediaria tra la Città di Dio e la città
terrena, e Napoli allora come oggi è una città drammaticamente terrena, quanto
nessun'altra.
Nel 1866 il giovane Stato Italiano entrò in possesso della Certosa di San Martino;
soppressi i beni ecclesiastici, furono allontanati gli ultimi monaci. Il Monastero
attraversò anni di abbandono e corse anche il pericolo di essere demolito. Fino al
1867, quando per iniziativa di Giuseppe Fiorelli fu trasformato in Museo ed annesso
al Museo Archeologico Nazionale come sezione staccata.
IMPOSTAZIONE E CRITERI PROGETTUALI
Il complesso della Certosa di San Martino si estende per oltre 28.000 metri quadrati
di cui circa 14.000 di superficie coperta, articolati su quattro livelli oltre cortili e
chiostri e giardini circostanti. Dal 1992 è stato oggetto di interventi che hanno
restituito, progressivamente, parti complete e fruibili, in base a criteri di percorso, di
contiguità tra sezioni museali, e di urgenza di restauro di zone particolarmente
degradate.
I progetti oggetto del presente intervento riguardano differenti aree del complesso
monumentale, localizzabili dal grafico di seguito riportato, e consistenti nelle seguenti
opere architettoniche:
A. LM : Largo san Martino e chiesa delle Donne
A. CG : Chiostro grande secondo e terzo ordine
A. F : Facciate Est e Nord
Tali interventi, pur nella loro evidente diversità storico artistica, rispondono a esigenze
manutentive imposte per un complesso monumentale di tale estensione e valenza
artistica al fine di garantire la conservazione e valorizzazione del bene. Le scelte
progettuali intraprese seguono logiche in continuità e coerenza con l’impostazione e
approccio agli interventi di restauro e d’adeguamento funzionale finora realizzati nel
complesso monumentale.
Il criterio progettuale è finalizzato al recupero dei manufatti nel rispetto delle originarie
strutture murarie, delle tecniche di esecuzione tradizionali, pur contemplando l’impiego
di materiali e metodologie compatibili e rispondenti alle esigenze contemporanee al fine
di perseguire le più corrette finalità conservative.
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