Comune di Poviglio Assessorato alla Cultura Anpi di Poviglio Istoreco (Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Reggio Emilia) Elia ed Emmere Azzolini, partigiani caduti per la libertà. Un profilo storico Ricerca e testo a cura di Glauco Bertani 27 dicembre 1944, sera: «Nella stalla c’eravamo tutti, anche il sig Moreschi, proprietario del podere, due vecchietti di Reggio, che erano sfollati per i bombardamenti, erano venuti qua...»1. Così quella sera nei ricordi di Ermelinda, la sorella. «La banda Pelliccia, informata da una spia locale, alle ore 20, irrompeva nella casa dei fratelli Elia ed Emmere Azzolini di Seta». «Sono entrati – racconta Ermelinda – dal di dietro della stalla... hanno cominciato a picchiare... mia cognata è andata ad aprire e mia madre ha cominciato a dire “perché vai ad aprire? Lascia chiuso!”, magari, pensava che fossero altre persone e non quei delinquenti...». «I due fratelli erano esperti partigiani ai quali non mancava la prudenza. Numerose notti dormivano fuori e per interi periodi si assentavano da casa, ma quella sera la spia li aveva visti rientrare». I fascisti hanno indicato i due fratelli: «Voi e voi venite con noi!», ricorda così Ermelinda. «Elia si oppose recisamente e gli assassini lo freddarono davanti agli occhi terrorizzati dei familiari. La madre del partigiano, che si buttò davanti al figlio col preciso proposito di salvarlo dalle raffiche dei fascisti, restò anch’essa gravemente ferita». «Mia madre – racconta Ermelinda – ha cominciato a dire “Ma no, non hanno fatto niente” ... ha cominciato a gridare, allora le hanno sparato in faccia, sul braccio... mah! era ridotta male...». «Emmere venne invece trascinato in località Casaletto di Novellara presso il ponte delle Briciole. Dopo numerose torture lo assassinarono. Il cadavere fu rinvenuto il mattino successivo abbandonato sulla strada. Poiché i fascisti proibirono i funerali, della sepoltura dei due partigiani assassinati si occuparono, incuranti dei pericoli, la signora Elide Bonvicini e i signori Angelo e Giuseppe Soncini». Le parole usate per raccontare gli avvenimenti, con alcune modifiche, sono quelle che Giuseppe Carretti ha scritto nel suo libro I giorni della grande prova2, una ricostruzione, quasi a caldo, di un avvenimento drammatico che sconvolse un’intera famiglia riunita, come usava allora, nella stalla, il luogo più caldo delle case coloniche. I due fratelli, insieme al padre Dalmazio, alla madre Adalgisa Tincani e alla sorella Ermelinda, nata nel 1921, si erano trasferiti a Villa Seta in piena guerra, il 16 novembre 1942, provenienti da Poviglio, dove, sempre a mezzadria, avevano lavorato nei poderi Iemmi e Chiussi, quest’ultimo in località Casalpò. Il «san martino» dei mezzadri da un podere all’altro era usuale e coincideva, all’incirca, con il santo del calendario, che si festeggia nel mese di novembre. Anche il ritorno della famiglia Azzolini da Villa Seta a Poviglio, come ricorda benissimo Ermelinda, coincise con quel periodo. In quel momento, il dicembre 1944, l’Italia è liberata fino alle porte di Bologna. Il famoso proclama del generale Alexander, comandante delle truppe angloamericane per l’Italia, diffuso il 13 novembre, dichiarava sospesa l’offensiva e invitava i partigiani a rallentare la guerriglia in attesa della nuova offensiva prevista per la primavera. Un ordine che non fu eseguito. Il Comitato di liberazione nazionale provinciale (Clnp) scriverà: «In nessun caso dovrà essere presa in considerazione la prospettiva di varcare le linee»3, di passare cioè nelle zone liberate dalle truppe alleate. La lotta continua, grazie anche alle scelte compiute dal Comando partigiano nel corso dei quindici mesi di Resistenza fino ad allora consumata: le formazioni combattenti in montagna, i Gap4 (Gruppi d’azione patriottica), attivi in città e nei paesi, e le Sap (Squadre d’azione patriottica), operanti nella pianura i cui appartenenti conducevano una doppia vita, anonimi lavoratori di giorno e sabotatori di notte. Innumerevoli le azioni delle Sap povigliesi5. Alle Squadre d’azione patriottica operanti a nord della via Emilia – che dal gennaio 1945 furono denominate 77a Sap «Fratelli Manfredi»6 – appartenevano Elia ed Emmere. Dal 1922, l’anno della marcia su Roma con la conquista manu militari dello Stato liberale, complice la monarchia, il fascismo raggiunge, alla seconda metà degli anni Trenta, il massimo del consenso popolare, in coincidenza con la conquista coloniale dell’Etiopia – attuata anche attraverso l’uso terroristico dei gas7 – e la costituzione dell’impero. È di quegli anni lo scoppio della guerra civile in Spagna (1936-1939), provocata dalla rivolta armata del generale Franco contro il legittimo governo repubblicano. Mussolini invierà a sostegno del golpista un contingente militare. L’antifascismo costituirà in favore della repubblica spagnola le Brigate internazionali. Inoltre, il ’38, non dimentichiamolo, è l’anno delle leggi razziali contro gli ebrei, che portano la firma non solo di Mussolini, ma anche quella di Vittorio Emanue III, re e imperatore. Tuttavia, se per quegli anni si è parlato di consenso al regime fascista, c’era chi dissentiva, basti pensare alle uccisioni e alle condanne subite da molti antifascisti 8, e all’adesione di tanti, poi, alla Resistenza9. Partigiani, Elia ed Emmere, non per caso. Un essere contro, quello dei due fratelli, maturato all’interno di una famiglia antifascista. Il padre Dalmazio era un «socialista prampoliniano». «Noi – racconta Ermelinda – i fascisti non li abbiamo mai potuti vedere». È su questo tessuto contadino antifascista di lunga data – stroncato dalla violenza squadristica del primo dopoguerra, ma le cui braci continuarono ad ardere sotto la cenere per vent’anni – che si costruisce la Resistenza della pianura organizzata nelle Sap, il cui scopo, oltre a quello ricordato, era di provvedere ai rifornimenti delle formazioni combattenti in montagna e di impedire gli ammassi alimentari e la requisizione di bestiame e altro destinati alla Germania e alla Repubblica sociale10. Quella sera nella stalla, ha ricordato Ermelinda, c’erano «due vecchietti» sfollati da Reggio a causa dei bombardamenti alleati. Infatti, man mano che il fronte avanzava – gli alleati erano sbarcati in Sicilia all’inizo del luglio ’43 – le incursioni aeree aumentavano. Gli obiettivi erano le vie di comunicazione, le industrie, che spesso non erano lontane dalle città. Il primo grande bombardamento di Reggio avvenne il 7 e l’8 gennaio del 1944, obiettivo le Reggiane, e distrusse anche buona parte del quartiere di Santa Croce esterna e le zone adiacenti la stazione ferroviaria11. La guerra era arrivata pesantemente anche a Reggio. La caduta del fascismo, il 25 luglio, e l’armistizio, l’8 settembre 1943, avevano cambiato il quadro politico e le alleanze dell’Italia: da partner della Germania a cobelligerante degli alleati. I tedeschi risposero con l’occupazione, iniziata in sordina in agosto e portata massicciamente a termine in settembre. Anche a Reggio qualche reparto dell’esercito resistette12 mentre il re, Vittorio Emanule III, e Badoglio, il capo del governo, fuggivano a Bari. Con il passare dei giorni si andava organizzando la Resistenza – è di metà settembre la costituzione del Cln provinciale (Clnp)13 – ma anche il fascismo rimasto fedele a Mussolini non perdeva tempo: alla fine di settembre si costituisce la Repubblica sociale italiana, nota anche come Repubblica di Salò, località sulla riva occidentale del lago di Garda in cui si installò il governo. Se i Cervi furono tra i primi resistenti a muoversi attivamente, furono anche i primi a cadere: arrestati il 25 novembre verranno fucilati il 28 dicembre ’43 al poligono di tiro di Reggio. Elia è del 1913. Per vari motivi non fa il servizio di leva, si sposa. Emmere, invece, viene arruolato il 5 giugno 1935 – è del 1916 – nel corpo dei Granatieri di Sardegna; è chiamato alle armi nel marzo del 1938. Nel luglio del ’43 è a casa in licenza di convalescenza. L’8 settembre lo coglie lontano dal fronte e il certificato medico lo mette, probabilmente, al sicuro dall’internamento nei campi di concentramento tedeschi, sorte che toccherà a circa seicentomila militari italiani. I due fratelli, all’insaputa della famiglia, entrano quasi subito nelle file della resistenza organizzata. Sono partigiani all’inizio del gennaio ’44, con i nomi di battaglia «Nino» per Elia e «Giulio» per Emmere, pochi giorni dopo l’uccisione dei Cervi e di Camurri e poco prima di quella di don Pasquino Borghi e di altri otto patrioti, avvenuta il 30 gennaio. Ermelinda racconta: «Elia negli ultimi anni scappava da una parte e dall’altra, non era mai a casa ... sono venuti tante volte i fascisti a guardare dappertutto... buttavano all’aria tutte le cose...». «Quando mia madre ha visto Emmere si è messa le mani nei capelli: “Ma perché sei venuto a casa?”,“Non vuoi vedermi?” “Ma no! non è per quello, perché ci sono dei movimenti che non mi piacciono... vengono a cercare tuo fratello di continuo”...». «Elia, il giorno di Santo Stefano [26 dicembre], era qui a Poviglio a casa dei parenti di sua moglie, qui alla Noce, si era fermato con mio cugino Ioffre, che gli ha detto: “Elia rimani qui con noi, lo sai che ti cercano...” »: era il corpo di polizia ausiliaria comandata da Giovacchino Pelliccia, commissario della squadra di pronto intervento della questura di Reggio Emilia, attiva per dare la caccia ai resistenti. Fra le sue vittime i fratelli Azzolini...14. Alcuni giorni prima del loro assassinio, era stato consumato dai fascisti di Salò l’eccidio di Villa Sesso a Reggio Emilia15. Ora una piccola lapide, posta sulla casa di via Ponte Forca (già via Luigi Cadorna), ricorda l’omicidio di Elia: «Al patriota Azzolini Elia barbaramente assassinato dalla brigata nera la sera del 27 dicembre 1944 di anni 32». Un cippo, a San Giovanni di Novellara, in via Casaletto, in prossimità di via Levata, a circa cinque chilometri dalla casa di famiglia, ricorda Emmere: «Al patriota Azzolini Emmere assassinato dai fascisti il 27 dicembre 1944. P.R.»16. Aveva 28 anni. Ai fratelli Azzolini è stato intitolato il 2° Battaglione della 77a Brigata Sap. ________________________ NOTE 1 Intervista rilasciata da Ermelinda Azzolini all’autore del presente saggio, così tutti gli altri passi citati in corsivo. 2 Giuseppe Carretti, I giorni della grande prova. Appunti per una storia della Resistenza a Cadelbosco, Tecnostampa, Reggio Emilia 19742, p. 146. (La prima edizione è del 1964). 3 Guerrino Franzini, Cronologia dei fatti militari e politici più importanti o significativi della guerra di Liberazione nel reggiano, Istituto per la storia della Resistenza e della Guerra di Liberazione a Reggio Emilia, 1978, p. 22. Per un approfindimento della Resistenza a Reggio si veda Storia della Resistenza reggiana, Anpi, Reggio Emilia 19823. Per una storia di Poviglio Antonio Zambonelli, Poviglio. Storie di lotte (Dall’unità d’Italia alla Liberazione), Reggio Emilia 1978. 4 Si veda la voce «Gap» in Massimo Rendina, Dizionario della Resistenza italiana, prefazione di Arrigo Boldrini, Editori Riuniti, Roma 1995 p. 68. 5 Per le azioni delle Sap povigliesi si veda Glauco Bertani, Antonio Canovi (a cura di) Fascismo, antifascismo e resistenza a Poviglio. Mappa storica, Comune di Poviglio, 1996; per un approfondimento si veda Guerrino Franzini, Storia della Resistenza reggiana, cit, pp. 196-200, anche Antonio Zambonelli, op. cit. e Massimo Rendina, Dizionario della Resistenza italiana, cit., p. 169. 6 Mentre le Sap attive a sud della via Emilia furono raggruppate nella 76a Brigata Sap «Angelo Zanti». 7 «[In Etiopia] le forze armate italiane usarono i gas. Lo fecero per direttive che risalirono allo stesso Mussolini e in spregio alla convenzione di Ginevra del 1925 ... I gas furono usati anche se in realtà non furono necessari per vincere la guerra, e nemmeno per avere il sopravvento in uno specifico combattimento. Furono usati spesso a scopi terroristici, contro le retrovie ...» (Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione colniale italiana, il Mulino, Bologna 2002, p. 192). 8 Persecuzioni subite dagli antifascisti reggiani dal 1920 al 1943: assassinati dal fascismo, 85; caduti in Spagna, 16; uccisi alla officine meccaniche Reggiane , 9; condannati dal Tribunale speciale, 214; confinati politici, 206; ammoniti, 260; vigilati speciali, 196; coop.ve di consumo incendiate, 18; case del popolo, sciolte 32; 45 uffici di collocamento, sciolti 44; 76 cooperative di lavoro con 10.225 soci, sciolte 35; comuni amministrati dai socialisti (anno 1920), sciolti 38; sedi culturali-circoli giovanili-sedi di partito, devastate 7; Amministrazione provinciale di Reggio Emilia su 40 seggi, 35 socialisti, sciolta il 31 ottobre 1992. (fonte archivio Anppia Reggio Emilia, Istoreco). 9 Per le cifre si veda Cronologia dei fatti militari e politici più importanti o significativi della guerra di Liberazione nel reggiano, cit., p. 39. La cronologia e le cifre dell’adesione alla Resistenza reggiana sono anche consultabili nel sito internet di Istoreco: www.istoreco.re.it 10 Su come viveva la popolazione in tempo di guerra e sul fenomeno del mercato nero è interessante il saggio di Marco Paterlini Mercato nero: colpa vostra! Una questione di morale e politica, pubblicato sul n. 94 di RS-Ricerche storiche, pp. 137-169. 11 Una testimonianza di quel giorno si trova in Afro Lancellotti, E il sole si oscurò, Bizzocchi, Reggio Emilia 2002. 12 Si veda Guerrino Franzini, Storia della Resistenza reggiana, cit. pp. 3-15. 13 La prima riunione si tenne presso la parrocchia di San Pellegrino a Reggio Emilia il 16 settembre 1943. 14 Originario di Firenze, arrivò a Reggio Emilia nel giugno del 1944. Alla testa della sua “banda” commise omicidi, si rese responsabile di torture, organizzò rastrellamenti e operò arresti in tutta la provincia. “Le uccisioni: a Campegine per rappresaglia uccisione milite Uccelli furono fucilati, su indicazione del Segr. Politico del Fascio e Ten. della BN Campeginese Sigifredo Gabbi, i F.lli Tagliavini, Manghi e Cervi. A Cerredolo ucciso Bigiarelli. A Villa Seta i F.lli Azzolini. A Novellara (Villa Carolina) torturato e ucciso il Partigiano Zavaroni. Uccisione di Capretti, Melli e Sigarelli. Pelliccia e Bertani uccidono Grassi Egamo. Arresto e incendio della casa alla famiglia Bonini a Villa Argine. Rastrellamenti e incendio a S. Bartolomeo e Codemondo. rastrellamento a Ciano” (fonte, Corte Assise Straordinaria Reggio Emilia. Schede processuali 1945-1946, Archivio Istoreco). Processato dalla Corte d’appello di Bologna, nel maggio del ’47, fu condannato all’ergastolo. Al processo d’appello a Roma, nel marzo 1949, fu condannato a dieci anni con la pena ridotta poi di due terzi. Per una ricostruzione coeva dell’attività di Pelliccia si veda Il criminale Pelliccia è da ieri in S. Tomaso, «Reggio Democratica» 23 marzo 1947; per un resconto della prima udienza al processo svoltosi a Bologna si veda Le raccapriccianti testimonianze al processo della «banda Pelliccia», «Reggio Democratica» 11 maggio 1947. (fonte, Corte Assise Straordinaria Reggio Emilia. Schede processuali 1945-1946, Archivio Istoreco) Il tema della mancata giustizia (e della persecuzioni dei partigiani a partire dal 1947) nei confronti della violenza fascista e delle stragi dei civili è una pagina nera della storia d’Italia. Solo di recente è venuto alla luce lo scandalo dell’“armadio della vergogna” in cui giacevano i rapporti d’indagine relativi ai massacri della popolazione civile operati dagli occupanti tedeschi in stretta collaborazione coi fascisti repubblicani. La Bettola di Vezzano s/C, solo per restare nell’ambito provinciale, è un capitolo che si sta faticosamente riaprendo. Istoreco, insieme al comune di Vezzano s/C., sta raccogliendo, in copia, la documentazione giacente presso il tribunale militare di La Spezia. 15 Per una ricostruzione dell’episodio si veda Antonio Zambonelli, Cronache di una guerra civile. L’eccidio di Villa Sesso: 17-21 dicembre 1944, Ricerche Storiche, 1994/74-75, pp. 5-14. 16 Nicola Brugnoli, Antonio Canovi, Le pietre dolenti. Dopo la Resistenza: i monumenti civili, il pantheon delle memorie a Reggio Emilia, prefazione di Leonardo Paggi, Istoreco-RS Libri, Reggio Emilia 2000, p.159. Sul cippo, inaugurato il 19 marzo 1946, è erroneamente scritto Emore anziché Emmere. Nella citazione riportata il nome è stato corretto.