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 17-­‐04-­‐10 RASSEGNA STAMPA 17-­‐04-­‐10 MUCCA SPA, IL BUSINESS DA 90 MILIARDI CHE HA SPINTO TRUMP ALLA GUERRA DEI DAZI Affari e finanza 17-­‐04-­‐10 IL FORAGGIO DEI CAMMELLI DEL GOLFO HA IL PROFUMO DELLA VIA EMILIA Corriere imprese PRIMOPIANO
8
10 APRILE 2017
L’INCHIESTA
I BOVINI
DELLA DISCORDIA
Mucca spa, il business da 90 miliardi
che ha spinto Trump alla guerra dei dazi
I TRATTAMENTI CON ORMONI
E ANTIBIOTICI HANNO
TRASFORMATO LE VACCHE
USA IN MACCHINE DA CARNE E
LATTE. WASHINGTON DEVE
ESPORTARE DI PIÙ MA
L’EUROPA FA MURO: CON LE
ANNUNCIATE RITORSIONI
LA NUOVA AMMINISTRAZIONE
HA APERTO IL SUO PRIMO
SCONTRO COMMERCIALE
Ettore Livini
U
1
2
3
Il presidente
americano
Donald Trump
(1); Peter
Navarro, capo
del Consiglio
per il
commercio (2);
il capo nei
negoziatori
commerciali
dell’Ue Michel
Barnier (3)
segue dalla prima
na sorpresa? Mica tanto.
I numeri in ballo parlano
da soli: la Bovini Spa in Usa è un
affare da 88 miliardi l’anno, più
o meno i ricavi di Google. Le aree
rurali sono state la chiave del successo di Trump che tra Corn belt
e stalle di Texas e Nebraska ha
portato a casa il 66% dei voti. Risultato: appena insediato, il presidente è sceso in campo in difesa della gallina dalle uova d’oro
dei suoi grandi elettori. Non un
bipede pennuto, nel loro caso,
ma vacche e manzi trasformati
negli ultimi decenni – con l’aiutino di ormoni e selezioni genetica - in Terminator da bistecche e
da latte. Una mandria di simil-Ogm a quattrozampe economicamente iper-efficienti, diventati l’incubo degli allevatori nel
vecchio continente, che hanno
scatenato l’ira (e i dazi) di Trump
alzando le barricate contro l’importazione di carne (anche
“bio”) delle rivali made in Usa.
Nessuno, naturalmente, è senza peccato. Anche le stalle europee - come testimoniano le recenti diagnosi dell’Efsa, l’authority alimentare di Bruxelles hanno i loro scheletri nell’armadio e spremono troppo le vacche in nome del profitto. Le regole nel Vecchio continente però
sono chiare: l’uso degli ormoni è
bandito e quello degli antibiotici
(una sorta di placebo curatutto
oltreatlantico) molto contingentato. E la differenza, portafoglio
alla mano, si vede: il ricorso intensivo alla farmaceutica - calcola uno studio dell’Università del
Minnesota - ha aumentato di oltre 300mila tonnellate l’anno la
produzione di carne statunitense, consentendo un risparmio di
6 miliardi circa (-10%) dei costi
per la gestione delle stalle. E i superbovini forgiati da questa cura, non a caso, sono entrati nel
mirino della Ue fin dal 1988, anno in cui per la prima volta il Vecchio continente ha imposto un
bando sulla bistecca americana,
scatenando quella guerra dei dazi resuscitata ora da Trump.
I numeri
La mutazione ormonale dei
quattrozampe a stelle e strisce
ha trasformato in effetti la competizione tra Europa e Usa nel
settore in una gara senza storia,
una sorta di Gran Premio dove
una vettura con il motore truccato e la benzina pompata di addittivi corre contro un’utilitaria di
serie. I numeri dell’effetto ormone sono pietre: l’impianto su
una bestia accelera del 10-15%
l’aumento di peso. Come dire
che un manzo trattato guadagna 150 grammi in più al giorno
rispetto al suo simile nato sull’altra sponda dell’Atlantico. Non
solo. L’aiuto farmaceutico agevola la produzione di carne magra,
la più pregiata, che cresce a ritmi superiori dell’8-20% a seconda dei casi, come testimoniano
diversi studi universitari.
Il peso dei bovini
E quando è l’ora di portare la
povera bestia al macello, i risultati si vedono: nel 1985 il peso
medio dei capi pronti per il
commercio era di 280 chili, oggi di 382. La carne media ricavata da ogni animale grazie a questa dieta al contrario è balzata
Il presidente di
Federalimentare
Luigi
Scordamaglia
da 240 a 294 chili con evidenti
ritorni economici per l’allevatore. Nel 1975 nelle stalle e sui
prati americani pascolavano
131 milioni di capi. Oggi sono
“solo” 96 milioni ma per il fabbisogno alimentare nazionale
e le esportazioni (circa 6 miliardi l’anno verso Giappone, Mes-
DARE LA RESPONSABILITÀ
ALL’AMERICA, DICE LUIGI
SCORDAMAGLIA, SIGNIFICA
SOLO TROVARE UN CAPRO
ESPIATORIO. “VENT’ANNI DI
EQUIVOCI E PASSIVITÀ DELL’UE
HANNO RESO IL CASO UN
CONFLITTO INESTRICABILE”
Eugenio Occorsio
«È
facile cercare sempre
un capro espiatorio, in
questo caso il neoprotezionista
Trump, ma va ricordato da cosa
derivano le minacce di dazi
su motocicli e agroalimentare esportato verso gli Usa».
E da cosa derivano? «Da
un pasticcio burocratico
che ha combinato la
commissione
europea». Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, prende le distanze
da chi grida “la guerra commercial è colpa di Trump” e
ci spiega la sua opinione controcorrente.
Allora, cosa è successo?
«Come sapete la miccia
che ha fatto esplodere il caso riguarda la carne bovina.
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfTW9ucmlmIyMjZDExZTRkNTYtZjg4Yy00NjMyLTk2ODAtY2UyOGRmY2UzYjM3IyMjMjAxNy0wNC0xMFQwODoxMjoyMiMjI1ZFUg==
Nel grafico, il
business dei
bovini, spinti
alla massima
produttività
dalle cure
ormonali; sotto
la sede della Ue
sico, Cina, Corea e Medio
Oriente) non c’è problema, visto che si è riusciti ad aumentare di molto la redditività di ogni
singolo capo. La sola cura ormonale, secondo le stime della
Cornell University, rende 15 euro netti l’anno a bestia senza
contare i risparmi sui costi.
Macchine da latte
Risultati simili, grazie a un
mix di elementi più eterogeneo, sono stati raggiunti anche
lungo la filiera del latte. Gli ormoni in questo caso sono stati
affiancati dalla selezione genetica delle specie più produttive
e dall’overdose di luce artificia-
Federalimentare accusa
“Tutta colpa di Bruxelles”
È una disputa annosa. È successo
che più di vent’anni fa l’America
chiese di esportare la sua carne arricchita con gli ormoni, ancorché naturali. L’Europa, su input italiano, rispose con un no secco. Del caso fu investito il Wto che chiese a Bruxelles
di produrre evidenze scientifiche
che quest’arricchimento faceva male alla salute. La documentazione fu
ritenuta insufficiente e il panel del
Wto sentenziò che si arrecava un
danno ingiustificato agli Usa. L’Europa però insistette e così alla fine l’America disse che avrebbe investito
per creare filiere di carne non trattata per nulla, e così fece. Intanto passavano gli anni. Alla fine fu concessa
una quota di 48mila tonnellate, un’inezia di fronte agli 8 milioni di carne
prodotti in Europa. Non solo: la commissione Ue aprì all’interno di questa quota a tutti gli altri Paesi esportartori, dall’Argentina all’Australia,
che vi si precipitarono, spiazzando
ancora una volta gli Stati Uniti e riportando a zero la questione».
Come finirà questa storia?
«L’Assocarni, una delle nostre associate, ha proposto a Bruxelles la
più semplice delle soluzioni: riservare ai soli Stati Uniti almeno una parte di questa quota di import. Ci sem-
bra abbastanza doveroso, e in fondo
accettabile, oltre che fattibile: già nel
Ceta sono state riservate 3200 tonnellate di questo contingente al Canada. Ma Bruxelles, stretta fra le proprie lungaggini e l’intenso lobbying
pare dei produttori francesi, non riesce a decidere e assiste passivamente all’inasprirsi del confronto. Già
Obama se ne lamentò, e ora Trump
che è più decisionista è passato all’azione. Ma come dargli torto? I responsabili stanno a Bruxelles. Stiamo parlando di carne assolutamente non trattata, come è giusto che
sia. Il guaio è che l’Italia rischia di pagare il prezzo più alto perchè particolarmente colpiti dall’annuncio di
Trump sono settori vitali per noi a
partire appunto dall’alimentare».
Anche lei come il ministro
Calenda pensa che se ci fosse
stato il Ttip tutto questo non sarebbe successo?
Corriere Imprese
Lunedì 10 Aprile 2017
13
BO
FOOD VALLEY
Il foraggio dei cammelli del Golfo
ha il profumo della via Emilia
Parma
L’agenda
 10 aprile
A Bologna è in
programma
«Verso un nuovo
mondo del lavoro:
quali nuovi patti
lavorativi tra
azienda e
dipendente/indivi
duo legati alla
trasformazione
social e digital?».
Alla Bologna
Business School, a
Villa Guastavillani
in via degli Scalini
18, dalle 16
L’appuntamento
Tre aziende hanno conquistato gli allevatori arabi con la qualità dei loro erbaggi
I
l foraggio della nostra regione è uno dei migliori
«carburanti» dei cammelli
che fanno spettacolo nelle
corse e nei tornei dei Paesi
arabi. Un prodotto di alta
qualità esportato in Medio
Oriente dagli anni 90, una
nicchia di mercato che alimenta il fatturato delle aziende emiliano-romagnole. «Prima lo consumavamo in casa,
ma con la crisi dell’allevamento abbiamo chiuso le stalle e
da una decina d’anni lo conferiamo alle imprese che lo
vendono in Arabia dove vanno matti per il nostro prodotto». Parola di Matteo Cesarini ex escavatorista che, nonostante l’andamento alterno
dell’economia agricola, riesce
a tirare avanti grazie alla coltivazione dei terreni di famiglia
a Miratoio di Pennabili, in
provincia di Rimini.
I mercati arabi sono una
ricchezza anche per il Gruppo Carli — 75 milioni di euro
di fatturato e 250 dipendenti
— che dedica al foraggio
40mila ettari, metà gestiti direttamente. Materia prima,
300mila tonnellate all’anno,
lavorata in 5 stabilimenti: 4 in
Emilia-Romagna (Rimini, Ravenna e due a Ferrara) e uno
nel Lazio (Ponzano Romano).
Le relazioni commerciali con
i Paesi del Golfo stanno per
tagliare un traguardo ventennale come racconta Lucia
Ugolini dell’ufficio commerciale: «Le esportazioni hanno
preso il via nel 1999 e non si
limitano ai foraggi per la nutrizione dei cammelli: in
quelle regioni vi è una presenza fortissima di allevamenti di bovini, vacche da latte, ed ovi-caprini. Lavoriamo
con Emirati Arabi ed Arabia
Saudita, dove si trovano le
stalle più grandi del mondo,
ma pure con Kuwait, Qatar,
Bahrein ed Oman».
Insomma, in Arabia non si
vende solo fieno per cammelli. Il cibo per questi animali
però presenta specifiche particolarità a causa dei diversi
usi che ne fanno le comunità
locali. «Ci sono numerose gare con in palio premi per milioni di dirham — svela il fe-
Cibus Connect
debutta mercoledì
con 700 top buyer
in visita grazie all’Ice
T
nomeno l’addetto commerciale —. I proprietari prestano
una grande cura a questi
esemplari e sono disposti a
spendere tanto per la loro nutrizione e comfort». Conquistare gli arabi non è facile,
dietro le forniture c’è un preciso piano di marketing frutto
di studi ed innovazione continua. «Visto il grande numero
di corse è necessario avere a
disposizione il foraggio in un
formato maneggevole e comodo da trasportare per avere
sempre a disposizione un
prodotto di alta qualità. Per
poter essere all’altezza degli
alti standard richiesti è importante investire costantemente in ricerca e sviluppo,
sia per la coltivazione e lavorazione del prodotto, che per
il suo confezionamento e promozione».
Oltre che per sport, il cam-
mello viene allevato anche
per il latte, la carne, per gli
show o tenuto come animale
da affezione in giardino.
Cambia la funzione, cambia il
cibo: «Si tratta sempre e comunque di foraggio, ma essenze botaniche diverse come
il loietto o l’erba medica ed
una lavorazione adeguata, lo
rendono adatto alle diverse
esigenze dell’animale – spiega
Ugolini -. Il foraggio per il
cammello da latte è molto simile a quello impiegato per le
vacche perché ha le caratteristiche nutrizionali giuste per
aumentare la produzione e
migliorare la qualità. Lo stesso concetto viene applicato al
cammello da carne, per il
quale vengono scelti foraggi
con un inferiore contenuto
proteico nell’ottica di valorizzare l’accrescimento e l’ingrasso. Per gli animali da cor-

Lucia Ugolini (Gruppo Carli)
Essenze botaniche diverse come il loietto o l’erba medica
e una lavorazione adeguata rendono il nostro foraggio
adatto alle diverse esigenze dell’animale
Stagione per stagione
sa e show si usano foraggi
accuratamente selezionati e
lavorati, molto simili a quelli
presenti nella linea cavalli.
Anche in questo caso, per entrambi gli animali, si deve rispondere allo stesso obiettivo:
dare un nutrimento che permetta di migliorarne l’aspetto
e la forma fisica, fornendo
energia sufficiente a correre
più velocemente o avere più
resistenza».
Ed è boom di foraggi certificati biologici, «una forte richiesta anche dai paesi in via
di sviluppo», sottolinea ancora Ugolini che dà i numeri
aziendali: «Corrisponde a metà della nostra produzione».
Cibo naturale come conferma
Agostino Migiani della Saltarelli & Migiani Group, azienda marchigiana, opera con il
marchio Bio Agri Trade, ma
che si rifornisce di materia
prima anche tra gli agricoltori
della nostra regione, «non
usiamo concimi o trattamenti
chimici particolari rendendo
così il nostro foraggio molto
vicino ad un prodotto completamente organico».
Gian Basilio Nieddu
Esotico
Il foraggio della
nostra regione
dà un
nutrimento che
permette di
migliorare
l’aspetto e la
forma fisica,
fornendo
energia
sufficiente a
correre anche
più
velocemente
© RIPRODUZIONE RISERVATA
utto pronto per la prima
edizione di Cibus Connect.
Il 12 e 13 aprile, al salone
espositivo di Parma, debutta
infatti il nuovo format ideato
per promuovere sui mercati internazionali food e retail Made
in Italy: sarà negli anni dispari,
in alternanza con il tradizionale Cibus. Presenti 50 produttori
di Slow Food, un migliaio di
buyer esteri e oltre 500 aziende
alimentari italiane che, rispetto
alla storica manifestazione organizzata ogni due anni da Fiere di Parma e Federalimentare,
promotori anche di Cibus Connect, saranno suddivise in
stand leggermente più piccoli.
Tra i numerosi eventi in calendario spicca sicuramente un dibattito sul posizionamento dei
prodotti italiani nell’evoluzione
internazionale dei consumi, organizzato in collaborazione con
il Forum Ambrosetti. Tra i relatori ci saranno Marco Lavazza
(nella foto), Giampiero Calzolari (presidente Granarolo), Francesco Mutti (Mutti), Luigi Scordamaglia (presidente Federalimentare) e Ines Aronadio dell’ufficio agroalimentare e vini
dell’Ice, che per la prima volta,
consentirà a 700 top buyer stranieri di visitare sia Cibus Connect che Vinitaly, a Verona dal
9 al 12 aprile. Altra novità è
infine Origo, il primo forum
internazionale B2B sui prodotti
ad indicazione geografica protetta, organizzato da Ministero
dell’Agricoltura, Regione e patrocinio della Commissione
Europea, che in collaborazione
con Cibus Connect, inaugurerà
l’11 aprile alle Fiere di Parma
un’intensa tre giorni dedicata
al cibo.
Beppe Facchini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
 10 aprile
A Parma si parla
di digital big bang
e di
comunicazione
efficace nell’era
digitale. Dalle 15
al Wopa, Workout
Pasubio, in via
Catania 3
 11 aprile
A Reggio Emilia
Alessandro
Rimassa presenta
il seminario
«Digitali is not an
option». In via
Toschi 30/a,
dalle 17
 12 aprile
A Modena una
giornata
formativa
sull’origine delle
merci e il nuovo
codice doganale
organizzata dalla
Camera di
Commercio.
Iscrizioni entro il 6
aprile
 12 aprile
A Cesenalab
appuntamento
con «Smart
Home: spunti
innovativi per
startup di
successo». Con
Manuel Silva,
innovation project
manager di
Electrolux. Dalle
18 in via Martiri
della Libertà, 14c
 12 aprile
A Bologna
seminario
informativo
sull’efficienza
energetica
nell’industria.
Dalle 14 in via San
Domenico 4
Forma non arcata e colore verde brillante
La zucchina Amorgos guadagna consensi
di Barbara Bertuzzi
A
rchiviato l’inverno horribilis delle zucchine, causa la penuria di prodotto dovuta alle gelate nel Centro-Sud e il conseguente innalzamento dei prezzi fino a
toccare punte da record, adesso si riparte con
il raccolto delle nostre terre.
Tra le cultivar, ci segnalano i produttori,
spicca Amorgos. Sul mercato da un anno soltanto, sta già guadagnando consensi lungo la
penisola. «È destinata a diventare — in EmiliaRomagna e in generale al Nord — la varietà
leader del suo segmento, quello dello zucchino
verde medio-scuro di forma cilindrica» avverte
Giuseppe Circella, product manager Cucurbitacee di Syngenta.
Nata per il pieno campo sia per la stagione
primaverile che estiva autunnale, ha risposto
molto bene anche nella serra primaverile della
Romagna. Si connota «per la buona precocità
produttiva con adattamento al ciclo medio lun-
go di coltivazione, con impianti a partire dal
mese di marzo (in coltivazione protetta) fino
alla prima metà di agosto (in pieno campo)».
Punti di forza: «Rusticità e resistenze genetiche; buona vigoria e portamento della pianta;
elevata resa e affidabilità anche in presenza di
stress e sbalzi termici».
In coltura protetta «le legature consentono
una maggior luminosità e quindi sanità della
pianta. Se paragoniamo Amorgos ad altre varietà, essa è in grado di garantire un numero
di stacchi superiore».
Il frutto è uniforme quasi perfetto, arriva
lucente sui banchi del mercato. Insomma si
presenta meglio delle altre zucchine. Dice Riccardo degli «Orti di Astolfi» che lo produce in
serra da aprile ad agosto, un ettaro circa sulle
colline di Coriano di Rimini. Produttività 2016:
sui 500 quintali ad ettaro. Il prezzo? «Al di
sopra delle aspettative ovvero una media di 1.10
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfTW9ucmlmIyMjZDExZTRkNTYtZjg4Yy00NjMyLTk2ODAtY2UyOGRmY2UzYjM3IyMjMjAxNy0wNC0xMFQwODo0MzowMiMjI1ZFUg==
La pianta
La varietà Amorgos è destinata a diventare —
in Emilia-Romagna e in generale al Nord — la varietà
leader del suo segmento, quello dello zucchino
verde medio-scuro di forma cilindrica
euro al chilo rispetto al prodotto «standard»
che si è fermato a 80 centesimi».
I mercati pagano la qualità, aggiunge l’imprenditore ortofrutticolo. «Finiamola di pensare che lo zucchino è un prodotto povero da
non valorizzare. «In verticale» non solo rende
di più, ma è anche più facile da raccogliere a
tutto beneficio della superficie che resta integra».
Tra i primi a puntare sulla Amorgos in pieno
campo anche Aldo Rizzoglio a Castenaso (Bologna). Bene la resistenza alle patologie (soprattutto l’oidio). Inoltre, «i frutti ben visibili
allontanano il rischio di lasciarne indietro
qualcuno, per ritrovarlo poi il giorno successivo quando oramai è fuori calibro». Bene
l’aspetto esterno: «forma non arcata e colore
verde brillante non troppo scuro, l’ideale per il
gusto del territorio».
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