CACCIARI: LA FILOSOFIA CONTINUA AD ESSERE PASSIONE, AMORE, FATICA
Daniele Bondi, Gazzetta di Modena 15/09/2013
La lectio magistralis di Massimo Cacciari, intitolata “Philo-Sophia”, scollina ripetutamente lungo il
crinale fra filosofia e filologia e cerca di sviscerare non solo l’origine ideale e pratica della
disciplina, ma anche il suo destino nell’epoca contemporanea.
Dopo aver discusso delle differenze fra Philia, Eros e Agàpe, il professore di Estetica del San
Raffaele sostiene che il termine filosofia, pur se inventato da Pitagora, fu espresso in modo
compiuto, per primo, da Eraclito, per il quale «Per diventare filosofo è necessaria la “historei”» cioè il vedere molto, il conoscere molto, il fare esperienza diretta di molte cose – oltre al saper
collegare (col logos) i dati raccolti attraverso l’esperienza (historìa). Quindi il filosofo è colui che fa
esperienza diretta delle cose e poi le sa rendere chiare, cogliendone il senso, armonizzando il
molteplice. Il termine “Philo-Sophia” diventa così amore per la evidenza con cui si riesce a
collegare e chiarire ciò di cui vi è historìa. C’è dunque una origine prassistica della filosofia: mentre
in altri contesti (induismo, tradizioni mesopotamiche,…) il sapiente è separato dal demos e ha un
ruolo iniziatici-sacerdotale, nella Grecità la Sophia ha a che fare con la capacità di saper fare bene
qualcosa. Non c’è dunque, in Philo-Sophia, solo l’amore per l’evidenza, per ciò che appare
inconfutabile alla ragione, ma anche l’amore per tutto ciò che viene fatto bene. L’oggetto del
filosofo è il fare, il fare bene, e dunque non ha nulla di esoterico, di ermetico. Nell’ambito della
polis, la filosofia ha questo triplice ruolo: a) partire dall’esperienza; b) far amare la sophia; c)
promuovere l’amicizia fra i sophoi (sapienti) e bocciare chi fa male le cose (i nemici della polis). La
filosofia deve accusare costoro di essere ospiti ingrati della città. Se filosofia ha questo significato,
allora non la si può accomunare a una prospettiva erotica: essa ha una valenza razionale, ha un fine
razionale, ha un fine dettato dal logos in vista della costruzione della polis. Ma questa filosofia può
davvero mettere in sordina l’eros? Nella filosofia moderna e contemporanea, soprattutto con Hegel,
si afferma l’idea secondo cui la filosofia non deve più avere la connotazione di “amante” perché è
diventata scienza, sapere assoluto. Se si possiede il sapere, la sophia, l’oggetto dell’amore, che
senso ha continuare ad esserne amanti? Rimane qualcosa da amare nella missione della filosofia?
Cosa non può essere posseduto-conosciuto e dunque amato? Cosa non può essere ridotto alla
dimensione del sapere? Se resta qualcosa, possiamo rimanere amanti, sennò diventiamo solo
scienziati che possiedono il sapere. Ma se torniamo a Platone scopriamo che nella philia della
filosofia resta una dimensione erotica che indica un pathos, che la costituisce originariamente, che
ci agita continuamente ed è la questione della libertà. Ecco allora la philia per qualcosa che non può
diventare oggetto di un sapere determinato e definito. E questo qualcosa resta nella prospettiva del
pathos, dell’eros, della passione. La filosofia è allora riducibile alla Philo-Sophia di cui all’inizio?
No, la grande fatica del filosofo contemporaneo è mantenere la prospettiva iniziale insieme con
l’amore per qualcosa di non determinabile, non definibile. La filosofia continua ad essere passione,
amore, fatica di congiungere le due dimensioni: oltre che Philo-Sophia è “Ero-Sophia”.