La scommessa del sistema sanitario: innovazione

Anonimo (anno 1951) - Hospital room - Tempera
La scommessa del sistema sanitario: innovazione istituzionale ed
organizzativa
di Loredana Luzzi
La scommessa dei sistemi sanitari in genere, in particolare di quello italiano, è cercare ed attuare la modalità più appropriata per
gestire quella parte di popolazione affetta da patologie croniche, ora e negli anni futuri.
Dati epidemiologici nazionali e regionali ci dimostrano che la “fetta di popolazione” affetta da una o più patologie croniche, anche oltre
quattro, è in costante aumento. Non ci si dilunga qui sulle motivazioni anche se abbastanza intuitive: prima fra tutte l’allungamento della
aspettativa di vita e poi il continuo sviluppo tecnologico e terapeutico che consente oggi, a differenza del passato, di gestire per un
lungo periodo, patologie croniche allora molto più invalidanti e mortali.
“L'approccio di Population-Management rappresenta un caposaldo della letteratura sulle patologie croniche. La sua finalità è la
differenziazione della popolazione affetta in sub-popolazioni (sub-target) identificate sulla base della complessità assistenziale (disease
staging) in relazione allo stadio di sviluppo della malattia, all'esistenza o meno di complicanze, di specifici fabbisogni legati a
coesistenza di altre patologie, necessità di devices, scarsa risposta alle terapie, etc.
Questa differenziazione risulta indispensabile per definire le strategie e gli interventi specifici più efficaci per i singoli sub-target di
pazienti e "personalizzare" l'assistenza e il Piano di cura, nel rispetto del principio di centralità del paziente e delle sue scelte, ma è
anche requisito di efficacia e di efficienza attraverso la riduzione degli interventi inappropriati.
La circostanza che i malati cronici assorbono quote progressivamente crescenti di risorse al crescere del numero di malattie è
confermata dai dati rilevati in ambito regionale. In base ai dati di Regione Lombardia7, nel 2013 il rapporto tra la spesa sanitaria procapite di un paziente non cronico e la spesa pro-capite di un paziente con 4 patologie croniche è stata di circa 1/21,5; per un paziente
con 3 patologie lo stesso rapporto è di circa 1/12, per due patologie è 1/7,3 per una patologia 1/4. Nel corso del tempo la spesa totale
della Regione per le malattie croniche risulta aumentata dal 2005 al 2013 del 36%, con incrementi percentuali molto più marcati per
pazienti poli-patologici”, secondo il Piano Nazionale della cronicità approvato in Conferenza Stato Regioni nel settembre 2016.
Vi è da considerare inoltre che la regolamentazione nazionale e gli standard internazionali tendono a ridurre sempre più il numero di
posti letto ospedalieri per privilegiare livelli di assistenza e cura alternativi all’ospedale tradizionale. Sono un esempio di questi setting:
la cure domiciliari e la c.d. rete delle “strutture intermedie” cioè formule alternative al ricovero che possono valorizzare anche la rete
specialistica ambulatoriale.
L’ospedale viene quindi concepito come uno nodo di alta specializzazione del sistema di cure a rete per la cronicità, che deve
interagire con la specialistica ambulatoriale e con l’assistenza primaria (i medici di medicina generale). Fin qui nulla di nuovo, sulla
integrazione ospedale – territorio si sono versati fiumi di inchiostro e scritte leggi, regolamenti e circolari. Purtroppo però,
nell’esperienza comune di molti noi, sappiamo che tale integrazione è presente, appunto, solo sulla carta e che l’effettiva integrazione
fra i diversi livelli di servizi offerti nell’ambito del sistema sanitario e socio sanitario è lasciato spesso al singolo malato o al suo care
giver cioè la persona che si prende cura di lui. Sono i pazienti, nel nostro sistema, che fanno da tramite fra il medico di famiglia e i
diversi specialisti cui vengono inviati o da cui si recano spontaneamente.
E’ chiaro che servono oggi nuove formule organizzative che realizzino effettivamente reti multispecialistiche dedicate e “dimissioni
assistite” nel territorio che consentano di poter gestire in modo coerente ed appropriato questi pazienti e fornire ai loro care giver il
supporto più adeguato.
Come fare ciò? Vi è carenza regolatoria nel sistema o piuttosto quello che serve è un approccio sperimentale ed empirico che
effettivamente realizzi questa nuova organizzazione? Servono riforme importanti nel sistema? Nuove figure professionali?
Di certo non possiamo lamentare carenza di atti programmatori e regolatori: a livello nazionale è stato approvato il Piano Nazionale
della cronicità e molte Regioni hanno adottato una propria programmazione specifica. Quanto agli aspetti più propriamente operativi,
da una parte potremmo augurarci interventi “di dettaglio” dei singoli sistemi regionali, dall’altro è ragionevole ritenere che gli strumenti
regolatori a disposizione del sistema siano ad oggi sufficienti per poter attuare quella gestione dei malati cronici che viene auspicata nei
provvedimenti di programmazione. L’assistenza sanitaria del resto è rimasta materia “a legislazione concorrente” visto il fallimento del
referendum costituzionale dello scorso dicembre e pertanto l’orizzonte di riferimento operativo resta quello regionale.
Quanto a importanti riforme del sistema, da una parte e per certi versi sarebbe auspicabile un ridisegno importante della ingegneria
istituzionale del Sistema Sanitario Nazionale – pensiamo ad esempio alla differenza di livelli e strumenti contrattuali fra i medici di
medicina generale ed i medici ospedalieri.
Regione Lombardia ha nei mesi scorsi proposto un provvedimento regolatorio volto ad organizzare la c.d. “presa in carico” dei pazienti
cronici, proponendo un sistema di classificazione dei pazienti correlato ad un sistema di tariffazione complessiva per la gestione degli
stessi. Certamente si tratta di un approccio innovativo e volto a superare la frammentazione della erogazione delle cure. E’ di questi
giorni la contestazione, da parte di organismi di rappresentanza della medicina generale, rispetto al fatto che tale sistema rischierebbe
di innescare una sorta di “business sui pazienti cronici” a scapito del tradizionale rapporto di fiducia che contraddistingue la scelta del
medico di medicina generale da parte del cittadino.
E’ certo che il nostro sistema riconosce al medico di medicina generale una particolare centralità nell’organizzazione, non sempre però
completamente agita, a partire dagli stessi pazienti che, in molti casi, invece di avere come riferimento il proprio medico di famiglia
tendono a rivolgersi agli specialisti sostituendosi in qualche modo al ruolo del professionista di fiducia. Dopo decenni di inno alla libertà
di scelta ed alla equiparazione dei servizi sanitari a logiche pure di mercato, è forse il caso di scommettere su sistemi organizzativi
innovativi che vedano tutti i professionisti della sanità rappresentati e coinvolti nel processo di gestione del sistema. Un ritorno al
“governo clinico”?