protocolli per sito 2015 LAB CAR

Laboratorio mobile:
le proposte didattiche
Anno scolastico 2015/2016
Microscopia
• Mitosi in apici radicali di cipolla
Biologia, chimica e fisica
• Energia rinnovabile da sistemi biologici: celle a combustibile
microbico e cella di Grätzel
Biologia cellulare
• Valutazione dell’attività fotosintetica in cloroplasti di spinacio
Alimentazione
• Determinazione del contenuto di antiossidanti in alcuni alimenti
• Sofisticazioni alimentari: il caso dei solfiti nelle bevande e fermentazione
alcolica
Tecniche avanzate di biologia molecolare
• Identificazione della specie carnea
• Polimorfismi genetici mediante Alu PCR
• Screening di prodotti OGM
Caratterizzazione delle proteine
• Immobilizzazione enzimatica e attività della β-Galattosidasi
Scienze forensi
• DNA fingerprinting
Chimica
• Cromatografia a scambio ionico di amminoacidi
• Cosmetica
• Cucina molecolare
Mitosi in apici radicali di cipolla
Difficoltà
Durata 2 o 4 ore
Obiettivi didattici
Osservare nelle cellule di apice radicale di cipolla le diverse fasi della divisione mitotica
in atto.
Prerequisiti
Caratteristiche delle cellule eucariotiche, ciclo cellulare e mitosi.
Descrizione
“La continuità della vita è affidata alla divisione cellulare”: così si espresse nel 1858 il
medico tedesco Rudolf Virchov citando la frase “omnis cellula e cellula” (tutte le cellule
derivano da altre cellule). Su questo importante, anche se apparentemente semplice,
principio biologico si basano tutti i processi legati al mantenimento della specie. La
divisione cellulare assicura la moltiplicazione delle cellule coinvolte nella riproduzione
asessuata e sessuata, e garantisce il numero di cellule necessario per la sopravvivenza
dell’organismo adulto. Nei procarioti il ciclo cellulare, la serie di eventi che avvengono
in una cellula tra una divisione cellulare e quella successiva, è semplice e rapido e, in
condizioni di accrescimento ideale nella cellula batterica, dura 30 minuti. Le cellule
eucariotiche di piante ed animali, a differenza delle cellule procariotiche, di norma
impiegano 10-20 ore per effettuare la loro duplicazione.
Gli apici radicali del bulbo di cipolla sono caratterizzati da una costante crescita e
quindi da un'intensa attività di moltiplicazione cellulare e per tale motivo sono i
campioni ideali per lo studio della mitosi. Tale processo si inserisce all’interno del ciclo
cellulare e consiste nella formazione di due cellule figlie identiche tra loro e uguali alla
cellula madre che ha dato loro origine.
I singoli apici radicali di cipolla vengono colorati grazie all’utilizzo di coloranti, i quali
permettono di visualizzare i cromosomi ed osservare le quattro fasi distinte della
mitosi. Ogni studente potrà osservare il proprio preparato al microscopio e le
colorazioni più belle e significative verranno osservate collettivamente mediante l'uso
di un microscopio collegato tramite una telecamera ad un monitor.
La versione di 4 ore prevede anche un approfondimento sui cromosomi e le anomalie
cromosomiche.
Energia rinnovabile da sistemi biologici: celle a combustibile microbico
e cella di Grätzel
Durata 4 ore
Celle a combustibile microbico
Difficoltà
Durata 2 ore
Obiettivi didattici
Costruire una cella elettrolitica che utilizzi come combustibile dei microrganismi.
Prerequisiti
Funzionamento della pila di Daniell e ossidoriduzioni.
Descrizione
All’inizio del secolo scorso M. C. Potter, professore di botanica alla Durham University,
fu il primo ricercatore in grado di produrre elettricità da un batterio, Escherichia coli. In
seguito Barnet Cohen negli anni Trenta costruì alcune pile alimentate da microrganismi
che, connesse in serie, erano in grado di produrre oltre 35 Volt, anche se con una
corrente di soli 2 milliampere.
Tali pile conosciute come celle a combustibile microbico, Microbial Fuel Cell (MCF),
sono sistemi elettrochimici in grado di produrre corrente elettrica grazie al
metabolismo dei microrganismi quali batteri, alghe o lieviti.
Tali microrganismi possono scomporre la materia organica producendo acqua pulita e
corrente elettrica.
Per materia organica si intende lo zucchero grezzo, ma anche la frutta marcia o i rifiuti
organici, e per tale motivo l’interesse per le MCF è aumentato negli ultimi anni.
Il substrato, inoltre, può essere ottenuto anche da molecole sintetizzate da piante
(soprattutto dalle radici delle stesse) disperse nelle acque o nel terreno. Organismi in
grado di svolgere questo lavoro sono le alghe, il riso, il pomodoro, i lupini e l’erba. Le
celle che sfruttano questi meccanismi vengono chiamate Plant Microbial Fuel Cells, ma
va sottolineato che a produrre corrente sono comunque microrganismi delle piante e
del terreno poiché le piante forniscono solamente il substrato necessario alla reazione.
In ambiente privo di ossigeno, si è visto che è possibile far passare gli elettroni che gli
organismi viventi normalmente generano durante il metabolismo ad un elettrodo e da
questo ad un circuito elettrico, generando così una corrente.
Le MCF, considerate un valido aiuto per eliminare i combustibili convenzionali nel
trasporto urbano, per ora si caratterizzano ancora per costi di produzione troppo alti a
fronte di una bassa efficienza.
Gli studenti dovranno costruire celle a combustibile microbico che metteranno in serie
per riuscire ad accendere una lampadina.
Cella di Grätzel
Difficoltà
Durata 2 ore
Obiettivi didattici
Costruire un particolare tipo di cella solare e capirne il funzionamento.
Prerequisiti
Fotosintesi e ossidoriduzioni.
Descrizione
Le celle di Grätzel sono delle particolari celle fotoelettrochimiche, costituite da due
vetrini conduttori che fungono da elettrodi, separati da uno strato di biossido di titanio
(TiO2), dal materiale attivo e dalla soluzione elettrolitica. Questo nuovo tipo di cella
fotovoltaica senza silicio è stata inventata nel 1991 da Michael Grätzel e Brian
O'Regan.
Gli studenti dovranno assemblare una cella solare e misurare il voltaggio da essa
generato sotto illuminazione. Il principio alla base del funzionamento delle celle solari
è per certi versi analogo a quello che utilizzano le piante nel processo della fotosintesi
clorofilliana per produrre l’energia ad esse necessaria. Molto semplicemente si può
dire che la clorofilla, un pigmento contenuto nelle foglie di tutti i vegetali e che
conferisce loro il caratteristico colore verde, assorbe l’energia della radiazione solare e
la converte in glucosio utile per la vita delle piante. Nel caso delle celle solari costruite
dagli studenti, invece, l’energia non viene immagazzinata, ma resa immediatamente
disponibile sotto forma di energia elettrica. In questa esperienza, al posto della
clorofilla verranno utilizzate delle antocianine: una classe di coloranti naturali
responsabili del colore di molti fiori e frutti, contenute in quantità apprezzabili nelle
more, mirtilli e lamponi. Nel dispositivo che verrà realizzato le antocianine assorbono
l’energia dalla radiazione luminosa e danno inizio ad una serie di processi, in cui sono
coinvolte le altre componenti della cella solare, durante i quali l’energia luminosa
viene convertita in energia elettrica. L’energia elettrica si manifesta come un flusso di
elettroni (corrente elettrica) che si muove lungo un circuito esterno e la cui presenza
sarà segnalata da una differenza di potenziale tra i due elettrodi.
Valutazione dell’attività fotosintetica in cloroplasti di spinacio
Difficoltà
Durata 4 ore
Obiettivi didattici
Estrarre i cloroplasti di spinacio e analizzare una parte del processo fotosintetico
utilizzando uno spettrofotometro.
Prerequisiti
Fotosintesi, cloroplasti, pigmenti fotosintetici e spettrofotometria.
Descrizione
I cloroplasti sono organuli presenti nelle cellule delle piante e nelle alghe eucariotiche
deputati ai processi fotosintetici. Hanno forma ovoidale o sferica, sono presenti in
numero variabile dai 20 ai 40 per cellula e sono delimitati da due membrane. La
membrana esterna è permeabile alla maggior parte delle molecole, mentre quella
interna è più selettiva ed è attraversata da specifiche proteine di trasporto. I due doppi
strati lipidici sono separati da uno spazio intermembrana, in cui è racchiuso uno
stroma all’interno del quale sono presenti, impilati gli uni sopra agli altri, dei sacchetti
membranosi - i tilacoidi - dove avvengono le prime fasi della fotosintesi.
In laboratorio gli studenti isoleranno i cloroplasti da spinaci e ne valuteranno l’attività
fotosintetica tramite lo spettrofotometro, come descritto da Robert Hill nel 1937. Hill,
infatti, scoprì che un omogenato di foglia è in grado di emettere ossigeno se viene
illuminato in presenza di un sale ferrico come l'ossalato. Nel 1954 venne dimostrato
come il sistema in grado di svolgere ossigeno fosse localizzato nei tilacoidi dei
cloroplasti. Il sistema tilacoidale dei cloroplasti è dunque in grado di catalizzare la
cosiddetta reazione di Hill, definita come la fotoriduzione di un accettore di elettroni a
spese dell'acqua (che libera il prodotto dell'ossidazione, l'ossigeno molecolare).
In vitro, se si aggiunge ai cloroplasti sotto illuminazione un accettore di elettroni non
fisiologico, (come il ferricianuro di potassio) questo può essere ridotto da uno dei
componenti della catena di trasporto degli elettroni. Tale reazione, oltre a chiarire e
dimostrare una parte della fotosintesi, è utile per studiare l’impiego di nuovi diserbanti
in grado di interferire con il processo fotosintetico.
Determinazione del contenuto di antiossidanti in alcuni alimenti
Difficoltà
Durata 4 ore
Obiettivi didattici
Determinare l'attività
spettrofotometrico.
antiossidante
di
un
alimento
tramite
un
metodo
Prerequisiti
Reazioni di ossido-riduzione, struttura atomica, distribuzione degli elettroni nei vari
orbitali e nozioni fondamentali di biologia cellulare.
Descrizione
Ogni alimento è una miscellanea di composti a potenziale attività antiossidante. Il
numero di molecole che, almeno in linea teorica, possiedono questa proprietà è
talmente elevato da non aver permesso, almeno fino ad ora, lo studio di ciascuna di
esse in modo esaustivo. Molti dubbi permangono, pertanto, sia sulla biodisponibilità di
alcune molecole, sia sulle trasformazioni chimiche a cui esse sono sottoposte nel
nostro organismo prima o dopo l’assorbimento. Inoltre, sebbene sia noto che il
contenuto di antiossidanti, oltre ad essere diverso a seconda degli alimenti, è anche
influenzato dai processi di trasformazione - sia industriale che casalinga - cui l’alimento
stesso va incontro, poche sono le informazioni specifiche a questo riguardo.
Conoscere il potere antiossidante teorico dei diversi alimenti, rappresenta in ogni caso
un punto di partenza importante; infatti, calcolare il contenuto delle singole vitamine
antiossidanti, di polifenoli e di carotenoidi di un alimento non è sufficiente a
determinarne la capacità antiossidante, perché esistono fenomeni di cooperazione tra
le diverse molecole che possono modificare il risultato totale. Diventa quindi
fondamentale valutare l’attività antiossidante dell’alimento pronto al consumo per
conoscere l’entità della protezione dietetica dal danno ossidativo.
Gli studenti dovranno misurare il potere antiossidante di vari alimenti tramite l’utilizzo
di uno spettrofotometro (strumento che permette la determinazione di concentrazioni
di sostanze che presentano assorbimenti caratteristici a determinate lunghezze
d'onda). Il metodo si basa sull’uso di una sostanza radicalica (ABTS°+) la cui assorbanza,
ad una determinata lunghezza d’onda, diminuisce in maniera proporzionale alla
quantità di sostanza antiossidante aggiunta. La forma monocationica radicalica ABTS°+,
colorata, se trattata con un agente antiossidante si converte nella forma radicalica
dell'ABTS incolore. L'osservazione di un calo del colore che corrisponde ad una
diminuzione dell’assorbanza alla lunghezza d'onda specifica per il radicale libero
ABTS°+, permette di calcolare il potere antiossidante dell'alimento analizzato.
Sofisticazioni alimentari: il caso dei solfiti nelle bevande e fermentazione
alcolica
Durata 4 ore
Il caso dei solfiti nelle bevande
Difficoltà
Durata 2 ore
Obiettivi didattici
Misurare la concentrazione dei solfiti presenti in diverse bevande alcoliche utilizzando
lo spettrofotometro.
Prerequisiti
Nozioni di base di spettroscopia.
Descrizione
L'anidride solforosa (E220) ed i solfiti (da E221 a E228) trovano impiego nell'industria
alimentare come conservanti antimicrobici ed antiossidanti. Come tali, vengono
utilizzati per inattivare muffe, lieviti e batteri, nonché per preservare il colore dei cibi e
proteggerli dall'imbrunimento. I solfiti vengono utilizzati soprattutto nel processo di
vinificazione per impedire la crescita di batteri lattici e acetici che altererebbero il
prodotto finale.
Per poter agire efficacemente su un ceppo batterico indesiderato è necessario
aggiungere al mosto quantità minime di solfiti pari a 100 mg/l; tuttavia, la legge da
alcuni anni obbliga a scrivere "contiene solfiti" su tutti gli alimenti (non solo il vino) che
contengono solfiti in concentrazione superiore a 10 mg/l.
Negli individui sani, nelle dosi comunemente impiegate nell'industria alimentare,
l'anidride solforosa è considerata un additivo sicuro; si tratta, infatti, di un composto
naturale, prodotto anche dal nostro organismo durante il metabolismo di alcuni
amminoacidi e facilmente inattivato dai sistemi di detossificazione endogeni (grazie
agli enzimi solfito-ossidasi che la trasformano nell'innocuo solfato). Nonostante questa
sicurezza d'uso, l'anidride solforosa ed i solfiti possono arrecare qualche problema,
talvolta grave, alle persone per così dire "sensibili".
Gli strumenti di misurazione attualmente utilizzati sono in grado di misurare la
presenza di solfiti al di sopra dei 7 mg/l. Tradizionalmente la concentrazione di solfiti in
una bevanda veniva misurata tramite titolazione del campione con una soluzione di
iodio-ioduro di potassio.
Il sistema utilizzato nel laboratorio in oggetto utilizza lo spettrofotometro e permette
quindi letture rapide. Nel test i solfiti vengono fatti reagire con un composto
cromogenico che produce un prodotto stechiometricamente correlato con la
concentrazione di solfiti totali presenti nel campione.
Fermentazione alcolica
Difficoltà
Durata 2 ore
Obiettivi didattici
Verificare il processo di fermentazione alcolica, da parte di Saccharomices cerevisiae
immobilizzato, utilizzando diversi substrati.
Prerequisiti
Fermentazione e pH.
Descrizione
La fermentazione è un processo utilizzato da microrganismi anaerobi obbligati o
facoltativi e può portare alla produzione di diversi prodotti terminali quali etanolo,
acido lattico, acido acetico, acido butirrico, ecc…
La fermentazione alcolica è alla base della panificazione e della produzione di bevande
alcoliche come vino e birra. Le cellule di lievito aggiunte all’impasto o ai tini per la
vinificazione si trovano inizialmente in un ambiente aerobico; crescendo però
consumano ossigeno mediante la respirazione cellulare, causandone un progressivo
calo nell’ambiente con conseguente inizio della fermentazione. I lieviti, così come
qualsiasi altro microrganismo o enzima utilizzato nelle trasformazioni industriali,
possono essere fissati ad un supporto. Tali biocatalizzatori immobilizzati forniscono
molti vantaggi quali un aumento di stabilità, la possibilità di riciclo o di uso in continuo
dei microrganismi/enzimi e una facile separazione dalla miscela di reazione.
Esistono diverse tecniche di immobilizzazione, ma quella particolarmente adatta per
cellule integre prevede l'intrappolamento in gel polimerici che fungono da barriera
fisica alla fuoriuscita dei biocatalizzatori che conservano la propria attività e reagiscono
con i substrati che permeano attraverso la struttura del gel.
In questa esperienza l'attività del lievito Saccharomices cerevisiae, immobilizzato in
alginato di calcio, sarà valutata rilevando, con un indicatore universale di pH,
l’acidificazione della soluzione iniziale dovuta all’anidride carbonica prodotta dalla
reazione. La fermentazione sarà effettuata utilizzando diversi substrati quali: fruttosio,
glucosio, saccarosio e lattosio. Il fruttosio e il glucosio sono monosaccaridi; il
saccarosio, un disaccaride, deve essere idrolizzato dall'enzima invertasi, prodotto dal
lievito, in glucosio e fruttosio prima di essere fermentato. Saccharomyces cerevisiae
non è invece in grado di fermentare il lattosio poiché privo della β-galattosidasi che
scinde il lattosio in glucosio e galattosio. Attualmente, anche l'industria dei
biocombustibili impiega Saccharomyces cerevisiae per convertire zuccheri, farine o
altri carboidrati semplici in etanolo. L'ingegnerizzazione di lieviti in grado di utilizzare
sia il lattosio, presente nel siero di latte, residuo del processo di caseificazione, che la
cellulosa dagli scarti vegetali rende più realizzabile l'obiettivo di produrre etanolo in
modo facile, economico ed efficiente.
Identificazione della specie carnea
Difficoltà
Durata 2 mezze giornate consecutive di 4 ore
Obiettivi didattici
Identificare la specie animale utilizzata nella produzione di alimenti carnei,
evidenziando la presenza di sequenze nucleotidiche specie-specifiche.
Prerequisiti
Cellula eucariota, struttura del DNA, polimorfismo, enzimi di restrizione e funzione
della DNA polimerasi.
Descrizione
Nella sua universalità, il DNA presenta differenze che consentono di associare
specifiche sequenze nucleotidiche ad una singola specie. Per rilevare questi
polimorfismi occorre analizzare geni rintracciabili in tutti gli eucarioti. Un esempio
utilizzato è il gene del citocromo b (cyt b) appartenente al genoma mitocondriale.
Questo gene, molto conservato a livello interspecifico, presenta comunque delle
differenze che permettono di risalire alla specie di appartenenza. L'esperimento
prevede dapprima l'estrazione e la purificazione del DNA dei campioni in esame;
quindi, tramite la reazione a catena della polimerasi (PCR), l'amplificazione di un
frammento del gene cyt b (una sequenza nucleotidica di 359 bp particolarmente ricca
di mutazioni puntiformi); infine, la digestione del frammento con enzimi di restrizione
specifici ed elettroforesi del DNA tagliato.
Bande di DNA, individuabili nel gel elettroforetico, vengono messe a confronto con
profili di bande note: marker di peso molecolare, che indicano per ciascuna la
lunghezza dei frammenti prodotti dagli enzimi di restrizione utilizzati. E' così possibile
identificare la specie animale presente nel campione alimentare.
Polimorfismi genetici mediante Alu PCR
Difficoltà
Durata 6 ore (una mezza giornata di 4 ore + 2 ore in un giorno successivo)
Obiettivi didattici
Conoscere e sperimentare le principali tecniche di biologia molecolare quali:
estrazione, amplificazione, separazione e confronto di sequenze di DNA.
Prerequisiti
Struttura del DNA e funzione della DNA polimerasi.
Descrizione
L'esperimento intende individuare la presenza sul Locus PV92 del cromosoma 16
dell'elemento trasponibile Alu, ovvero di una particolare sequenza di DNA che si
"riproduce" copiando se stessa e si inserisce in nuove ubicazioni cromosomiche. Dopo
aver isolato il proprio DNA dalla mucosa boccale, una specifica sequenza - che avrà
lunghezza diversa a seconda che la sequenza Alu si sia integrata o meno nel Locus
PV92 del cromosoma 16 - verrà amplificata tramite la reazione a catena della
polimerasi (PCR).
Alu può essere presente (allele +) o assente (allele -) in entrambi i membri della coppia
cromosomica o presente in uno e assente in quello omologo. Dunque, in un individuo,
le possibili combinazioni genotipiche di questi due alleli sono tre: +/+, +/-, -/-.
Le sequenze di DNA amplificate verranno visualizzate attraverso l'elettroforesi su gel di
agarosio, tecnica che separa i frammenti di DNA in base al loro peso molecolare, e
dunque in base alle loro dimensioni.
Poiché i campioni che vengono utilizzati per la PCR sono prelevati dai singoli studenti,
sarà possibile evidenziare la frequenza genotipica di Alu PV92 all'interno della classe.
Dall'analisi dei gel è possibile, infatti, osservare se ciascun individuo è omozigote +/+, /- o eterozigote +/- , confrontare il risultato con quelli di gruppi di nazionalità diverse
mediante l'utilizzo di specifiche banche dati e ricostruire in piccolo un esperimento di
genetica delle popolazioni.
Screening di prodotti OGM
Difficoltà
Durata 6 ore (4 ore + 2 ore in un giorno successivo)
Obiettivi didattici
Verificare la presenza, in alimenti di origine vegetale, di elementi di controllo, associati
a modificazioni genetiche, come il promotore P35S appartenente al Virus del Mosaico
del Cavolfiore (CaMV).
Prerequisiti
Cellula eucariota, struttura del DNA e DNA polimerasi.
Descrizione
L'esperimento, condotto su farine vegetali, prevede l'individuazione di un frammento
del promotore P35S, e si articola in tre fasi: estrazione e purificazione del DNA dei
campioni in esame, amplificazione della sequenza nucleotidica indagata attraverso la
reazione a catena della polimerasi (PCR) e analisi dei frammenti amplificati tramite gel
elettroforesi.
Il P35S è un promotore, ovvero una sequenza nucleotidica che consente all'RNA
polimerasi di trascrivere il gene ad essa associato. Nei casi di manipolazione del DNA è
necessario abbinare al gene, che viene inserito nel genoma della cellula ospite, un
promotore che ne garantisca l'espressione fenotipica. Promotore e gene vengono
trasferiti nell'ospite previo inserimento in un plasmide vettore, in grado di veicolare il
costrutto (promotore-gene) nell'organismo bersaglio.
Se nel gel elettroforetico è presente una banda di 195 bp, si può concludere che il
prodotto analizzato contiene un frammento del P35S, associato al gene esogeno, e
quindi il vegetale di provenienza è un OGM. Se non appare nessuna banda si può
concludere che il prodotto in esame non è stato manipolato. Come controllo della
corretta esecuzione dell’esperimento, si analizza anche una sequenza nucleotidica che
fa parte del corredo genetico dei plastidi (cloroplasti, cromoplasti…), presenti in tutte
le cellule vegetali. Questa sequenza, che si trova all'interno del gene trnL (gene legato
alla sintesi delle proteine), subisce le stesse procedure a cui viene sottoposto il P35S.
Se nel gel appare una banda di circa 500 bp (il numero delle basi varia a seconda della
specie), l'esperimento è stato condotto correttamente.
Immobilizzazione enzimatica e attività della β-Galattosidasi
Durata 4 ore
Immobilizzazione enzimatica
Difficoltà
Durata 2 ore
Obiettivi didattici
Utilizzare β-galattosidasi (lattasi) immobilizzata per produrre latte privo di lattosio.
Prerequisiti
Proteine, enzimi e attività enzimatica.
Descrizione
La β-galattosidasi (lattasi) è un enzima della classe delle idrolasi che catalizza la
reazione di idrolisi del lattosio a glucosio e galattosio. Entrambi questi zuccheri sono
più dolci del lattosio e risultano anche più digeribili. E’ stato stimato che il 75% degli
adulti nel mondo mostrano una diminuzione dell’attività della lattasi nell’età adulta.
Per tale motivo sul mercato sono sempre più presenti latte e derivati privi di lattosio.
In questa attività gli studenti dovranno immobilizzare l’enzima lattasi in biglie di
alginato di calcio che saranno poste in una colonna attraverso la quale verrà fatto
passare il latte. In seguito alla scissione del lattosio catalizzata dall’enzima si formerà
una maggiore concentrazione di glucosio misurabile con metodo colorimetrico.
L’immobilizzazione enzimatica è una tecnica ampiamente utilizzata sia come
strumento per la ricerca di base, che per applicazioni analitiche ed industriali. Questo
protocollo permette di applicare tale tecnica all’enzima β-galattosidasi per ottenere un
prodotto presente anche in commercio e avere una stima della concentrazione di
glucosio prodotto in seguito alla reazione di idrolisi del lattosio ad opera dell’enzima.
Attività della β-Galattosidasi
Difficoltà
Durata 2 ore
Obiettivi didattici
Studiare la regolazione dell’ attività enzimatica della β-galattosidasi.
Prerequisiti
Struttura delle proteine, sito attivo negli enzimi, inibitori competitivi e non competitivi,
spettrofotometria e legge di Lambert Beer.
Descrizione
La β-galattosidasi o lattasi è un enzima localizzato principalmente nella parete
intestinale e responsabile della scissione del lattosio a glucosio e galattosio. Il
protocollo analizza l’attività enzimatica della β-galattosidasi mediante uno
spettrofotometro. Come substrato dell’enzima viene utilizzato l’ONPG (2-Nitrophenilβ-D-Galactopyranoside), un analogo del lattosio. Tale composto è incolore, ma in
presenza dell’enzima viene idrolizzato a ortonitrofenile (ONP) (un composto dal colore
giallo) e galattosio. La velocità della reazione di idrolisi può essere calcolata allo
spettrofotometro misurando l’intensità della colorazione gialla. La velocità di reazione
verrà misurata in assenza e in presenza di sostanze che riducono l’attività dell’enzima,
gli inibitori. Gli inibitori possono impedire al substrato di entrare nel sito attivo o
intralciare la reazione di catalisi dell'enzima.
Il protocollo utilizza un inibitore competitivo e uno non competitivo. Il primo tipo di
inibitore si lega in maniera reversibile al sito attivo diminuendo la quantità di enzima
libero con una riduzione della velocità alla quale avviene la reazione. Un aumento della
concentrazione di substrato, aumenta la velocità di reazione. L’inibitore non
competitivo, invece, si lega ad un sito distinto da quello preposto a legare il substrato
senza interferire quindi con il legame enzima-substrato; questo legame, tuttavia,
inattiva l’enzima perché ne cambia il sito attivo. L’inibitore non competitivo riduce la
quantità di enzima attivo abbassando di fatto la velocità di reazione. Aumenti di
substrato in presenza di inibitori non competitivi non variano la velocità di reazione.
DNA fingerprinting
Difficoltà
Durata 4 ore
Obiettivi didattici
Confrontare le dimensioni dei frammenti di DNA generati dalla digestione enzimatica
di plasmidi diversi, sfruttando le caratteristiche di unicità proprie del genoma degli
organismi (fingerprinting).
Prerequisiti
Struttura del DNA, plasmidi e enzimi di restrizione.
Descrizione
La tecnica del fingerprinting, proprio per la sua peculiarità di consentire il confronto fra
genomi appartenenti ad individui diversi, trova applicazione in un vasto numero di
campi: medico, forense e genetico, solo per citarne alcuni. Questa esperienza,
condotta a scopo didattico, utilizza DNA batterico quale fonte di materiale da
analizzare. La prova riproduce i passaggi chiave dei primi test di fingerprinting eseguiti
nei laboratori di ricerca: digestione con enzimi di restrizione, elettroforesi e
visualizzazione delle bande di DNA.
L'osservazione delle bande prodotte dalla migrazione dei frammenti di DNA durante la
corsa elettroforetica, permette di confrontare e discriminare i diversi profili genetici e
comprendere le varie applicazioni della tecnica in ambito forense, medico ed
evoluzionistico.
Infine, sotto la guida dei tutor gli studenti potranno preparare dei gel di agarosio simili
a quelli che utilizzeranno o hanno già utilizzato durante l'attività del fingerprinting,
concludendo così in maniera più completa l'attività di laboratorio. Il gel di agarosio è
una sorta di setaccio che viene sfruttato per separare fra di loro e visualizzare i
frammenti di DNA. In questa fase dell'esperimento si analizzerà la natura e la scopo dei
gel nell'ambito della biologia molecolare, ed in particolare si valuterà la funzione delle
varie componenti che costituiscono il gel.
Cromatografia a scambio ionico di amminoacidi
Difficoltà
Durata 2 ore
Obiettivi didattici
Separare tramite cromatografia a scambio ionico alcuni amminoacidi da una miscela
complessa.
Prerequisiti
Struttura degli amminoacidi, concetti generali di cromatografia e pH.
Descrizione
La cromatografia è un metodo che permette la separazione dei componenti di una
miscela in base alle loro caratteristiche chimico-fisiche. Essa si basa sulla differente
migrazione di una soluzione (fase mobile) che contiene le molecole da separare
attraverso un mezzo (fase stazionaria) generalmente impaccato in una colonna.
Ogni soluto passa nella fase mobile tanto più rapidamente quanto meno fortemente
interagisce con la fase stazionaria.
Le tecniche cromatografiche possono essere usate a scopo preparativo, per separare
materiali in gran quantità, o a scopo analitico, per isolarne piccole quantità. I metodi
cromatografici sono classificati sulla base della natura delle interazioni che si
instaurano tra le molecole da separare e la fase stazionaria.
Il presente protocollo prevede l’isolamento e la rilevazione di alcuni amminoacidi da
una miscela utilizzando la cromatografia a scambio ionico.
Tale tecnica permette di separare i componenti di una miscela sulla base delle cariche
presenti sulle molecole in grado di interagire con lo scambiatore di ioni. Lo
scambiatore di ioni è costituito da una matrice, che può essere una resina sintetica,
una cellulosa o un destrano, che porta legati covalentemente dei gruppi in grado di
ionizzarsi in uno ione fisso, che rimane attaccato alla matrice, ed in un contro-ione
(Na+ o Cl-), che può essere scambiato con qualsiasi altro ione di egual segno, presente
in soluzione. Una volta applicato il campione sulla colonna, l’eluizione differenziale dei
componenti si otterrà modificando o la forza ionica o il pH (talvolta entrambi) del
tampone, ossia effettuando un’eluizione in gradiente.
L’esperimento permetterà di separare una miscela di amminoacidi quali Fenilalanina,
Prolina e uno zucchero su resina cationica.
Gli eluati, frazionati in diverse provette, saranno fatti reagire con la ninidrina: una
sostanza che si combina con gli amminoacidi dando un colore porpora nel caso della
Fenilalanina o giallo nel caso della Prolina.
Cosmetica
Difficoltà
Durata 2 o 4 ore
Obiettivi didattici
Studiare, attraverso la preparazione di forme cosmetiche, le caratteristiche generali
delle soluzioni, delle emulsioni, il ruolo dei tensioattivi nelle preparazioni ad uso
cosmetico, i concetti di sistema monofasico e bifasico.
Prerequisiti
Caratteristiche generali delle soluzioni e delle emulsioni.
Descrizione
Numerosi sono i prodotti cosmetici utilizzati quotidianamente: dai semplici saponi a
preparazioni più ricercate con azioni specifiche. La scienza cosmetica si occupa dei
costituenti chimici che entrano nella composizione dei cosmetici e delle loro proprietà
chimico-fisiche, dell’azione e degli effetti dei cosmetici sull’uomo, della sicurezza e
della corretta etichettatura del prodotto stesso. Se oggi l’obiettivo della cosmetologia
è quindi di indicare un uso sapiente e corretto del prodotto cosmetico, punto
indispensabile per mantenere la pelle nelle sue condizioni ottimali di barriera dalle
aggressioni esterne, allora la scienza cosmetica non riguarda più solo una parte
dell’universo femminile, ma tutta la popolazione. Il laboratorio prevede la
preparazione di alcune forme cosmetiche. Si partirà dalle forme più semplici, come
uno shampoo (un tensiolita liquido nel quale le componenti che costituiscono la
soluzione sono entrambe acquose). Successivamente si passerà a forme cosmetiche
più complesse come i geli: soluzioni acquose che, grazie alla presenza di un agente
gelificante, formeranno un gel fissante per capelli. Infine, si preparerà un sistema più
complesso come quello bifasico, in cui la preparazione è costituita da una fase acquosa
e una oleosa, preparate come fasi distinte ed emulsionate grazie all’aumento della
temperatura e all’azione di un agente emulsionante. Esempi di questo sistema sono il
tonico bifasico - che si presenta con le due fasi stratificate ben distinte tra loro oppure la crema per il corpo - un’emulsione olio in acqua.
Il laboratorio vuole fornire agli studenti un’occasione pratica per esplorare da vicino la
cosmetologia e soffermarsi su alcuni concetti di base della chimica.
Negli stage di 2 ore gli studenti svolgeranno solo alcune preparazioni, rispetto allo
stage di 4 ore.
Cucina molecolare
Difficoltà
Durata 2 ore
Obiettivi didattici
Osservare alcuni fenomeni chimici che avvengono durante la preparazione dei cibi,
spiegarli scientificamente e sfruttare queste conoscenze per dare vita a divertenti
creazioni culinarie utilizzando strumentazione e materiali di laboratorio.
Prerequisiti
Caratteristiche delle soluzioni e proprietà delle macromolecole biologiche.
Descrizione
Cosa accade quando cuociamo dei cibi, perché acquistano sapore e profumo, come
cambia la loro consistenza? Quotidianamente in cucina si applicano regole scientifiche:
la preparazione e la cottura dei cibi, infatti, implicano procedimenti descrivibili
attraverso le leggi della fisica, della chimica e della biologia. “Che cos'è la Gastronomia,
se non l'arte dei processi fisici e chimici che avvengono durante la preparazione e la
degustazione dei cibi?”. Così descrive la cucina Hervé This, fisico e gastronomo, che
insieme a Pierre Gilles de Gennes (Premio Nobel per la Fisica nel 1991) e altri scienziati
promosse lo sviluppo della Gastronomia Molecolare, disciplina che si prefigge di
spiegare il perché delle reazioni che avvengono tra pentole e fornelli, cosa avviene a
livello molecolare, quali sono le trasformazioni di proteine, grassi carboidrati contenuti
negli alimenti.
Gli studenti potranno eseguire alcune delle preparazioni inserite nel menù molecolare.
Con l'alcol etilico a 95°C si potrà ottenere una cagliata d'uovo (l'alcol denatura le
proteine del tuorlo e dell'albume che assumeranno così l'aspetto dell'uovo cotto);
sfruttando le reazioni dei liquidi miscelati ad alginati e immersi in soluzioni di cloruro di
calcio, si potrà preparare il caviale molecolare con una consistenza rigida all'esterno e
liquida all'interno; partendo dalla panna, si potrà preparare il burro; infine, si potranno
preparare delle gelatine alla menta, usando l’agar come gelificante.
Servendosi di reagenti sicuri e tecniche utilizzate in laboratorio gli studenti
sperimenteranno nuovi metodi di cottura e nuove consistenze degli alimenti.