2019: proposta per un museo Autunno alle porte, il tempo migliore per una visita a un museo; del resto, in questi tempi di crisi, pare una scelta che in tanti condividono, ad ulteriore dimostrazione che con la cultura ci si mangia, come si potrebbe rispondere ad un ex- ministro della Repubblica. Così in tanti si riversano, spesso affrontando lunghe file, nei tanti musei della penisola e qualcuno fa altrettanto in giro per il mondo. Gli Italiani sono fra i maggiori visitatori di musei in tutti i paesi e ci sarà pur un motivo. Così si entra nella piramide del Louvre o in piccole strutture di provincia, si resta affasci nati da l Guggenheim di Bilbao o si entra gratis in stanzette allestite da intrepide Pro Loco. Ce n’è per tutti i gusti, si potrebbe essere amanti delle toilette e visitare il museo ad esse de dicate a Ne w Delhi, oppure appassionati alle mille forme dei parassiti intestinali andando a Tokyo ma, volendo rimanere in Italia, ci si potrebbe fermare per sapere tutto sui rubinetti dalle parti di Novara o innamorarsi della bora a Trieste al punto da visitare il locale museo dei venti. Ma c’è un museo che ancora non c’è. E forse potrebbe essere un’occasione per Ravenna 2019, dato che si potrebbero creare le condizioni per realizzarlo. Si tratta di un Museo della Filosofia. Talmente semplice da dirsi che nessuno l’ha ancora fatto. Non c’è in Europa o in America o almeno, se c’è, non ce n’è traccia evidente. Cercando su Google o volendo una recensione su TripAdvisor, la ricerca torna indietro desolatamente vuota di risultati significativi in gran parte delle lingue principali. Pure sarebbe una bella scommessa, solo se si abbandonasse la vecchia idea di una filosofia di chi acchi e re , di grandi discorsi sui massimi sistemi del mondo e la si provasse invece a confrontare con le scienze e la realtà quotidiana. Il museo che ho in testa forse piacerebbe ai grandi maestri del passato, quando filosofia e scienza, speculazione e vita pratica erano ancora congiunte e le domande di uno potevano essere le domande di tutti. Allora proviamo a mettere giù alcune idee di come potrebbe essere. Alcune parole chiave stare bbero al l a sua origine. Le prime sono: interattivo, multigenerazionale, aperto, contemporaneo. Interattivo perché dovrebbe mettere alla sua base il rifiuto ad essere un museo che non mostra oggetti che non si possono toccare, di cui non si può fare esperienza, di cui resta soltanto, al termine de ll a vi sita, una foto quando va bene. Essere invece un luogo dove si producono esperienze, dove si è coinvolti con tutti i sensi, con la ragione e con il proprio vissuto. Basterebbe confrontare i musei inglesi pieni di scolaresche vocianti e attive e i nostri dove molto spesso anche solo avvicinarsi ad un metro dall’opera esposta fa scattare l’allarme. Certo, senza essere banali, è anche questione di qualità delle opere esposte ma que sto museo non necessita dei Girasoli di Van Gogh per far riflettere sul senso di sé, sulla follia, su ciò che è normale o no o sul perché diciamo che quel quadro è bello. Multigenerazionale perché deve essere pensato per permettere un’esperienza piena a tutte le classi di e tà, non solo ad adulti consenzienti e ordinati ma anche a bambini e adolescenti, ognuno con il suo spazio e pensato per lui. Sono ormai molti anni che si è capito (in Italia un po’ meno, negli Stati Uniti o in Franci a di più) che la filosofia è un’esperienza che si può e si deve fare sin da giovani e che anzi proprio i giovani sono più capaci di domande che gli adulti ormai non fanno più, presi dal necessario adeguarsi ad una vita che nessuno sente ormai più come sua. Le esperienze di Philosophy for Children sono lì a dimostrare quanto può essere ricco un dialogo filosofico con bambini in età da scuola elementare e quanto sia drammatico constatare invece la scarsa propensione ad un pensiero logico ben strutturato già nella tarda adolesce nza. Per cui spazio per i bambini e spazio per gli adolescenti, con attività pensate proprio per loro. E poi , ce rto, gli adulti, che possano trovare elementi per interrogarsi ancora, per continuare a chiedersi il pe rché de l le cose. Le esperienze nate in Germania di Consulenza filosofica (Philosophische Praxis) hanno gi à ape rto da qualche decennio prospettive interessanti. Un museo aperto : un po’ perché tutti dovrebbero esserlo e anche la più grande raccolta di impre ssi onisti può essere sempre riletta a distanza di tempo, rimontata per dare origini a esperienze nuove . Ma que sto deve essere per sua natura aperto, contrario ad ogni verità assodata, acquisita, impertinente nella sua ricerca di nuovi orizzonti. Perché la filosofia potrebbe essere questo, come già Aristotele diceva: “Infatti gl i uomini hanno iniziato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia. Mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo poco a poco, giunse ro a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’universo intero. Ora, chi prova un senso di dubbi o e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in un certo se nso, filosofo: il mito infatti è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia.” Ma oggi non è più il tempo di meravigliarsi del sole che si alza o del cellulare che mi fa parlare con un al tro uomo a migliaia di chilometri a distanza. Per questo c’è la scienza che può indicare alcune risposte, per quanto approssimative le si voglia vedere. C’è dunque ancora spazio per la meraviglia? Sì, perché come diceva Aristotele, la sete di domande non si arresta, si sposta sempre più avanti e coinvolge sempre la nostra vita, se è vero che tutto ciò che è umano non può non interessare me, uomo. Contemporaneo, perché la filosofia non ha smesso di interrogarsi nel Novecento e in questo secolo e saranno quindi presenti non solo riferimenti alla grande stagione dei classici imparati a scuola ma anche ai filosofi contemporanei e pure ai maestri viventi. Ma è giunto il momento di individuare un altro gruppo di parole chiave: scienze, gioco, tecnologia, oggetti. Scienze. All’inizio la filosofia era la riflessione su tutto, su se stessi come sull’universo, e anche più avanti ci si è interrogati sulla caduta dei gravi o la ghiandola pineale. Oggi un museo che prese ntasse l e i dee de gli antichi, o anche solo degli uomini del Seicento, farebbe un’opera meritoria di indagine sul come gl i uomi ni si inventino soluzioni senza riscontri concreti ma non sarebbe quello che andiamo cercando. Questo museo invece deve affrontare le questioni sotto un altro punto di vista, dire cosa sappiamo oggi, quali sono le domande aperte e perché ci riguardano tutti. Un esempio: le neuroscienze e la biologia evoluzionistica stanno aprendo finalmente le porte sulle nostre strutture celebrali e comportamentali e oggi possiamo dire con più autorevolezza di quanto non affermasse Francis Bacon che riusciamo a percepire il col ore “re al e ” degli oggetti anche quando i nostri occhi vedono colori diversi perché c’è uno schema comportamentale nel nostro cervello che permette di interpretare il colore anche quando sembra tutt’altro. È un’esperienza che facciamo quotidianamente: il verde delle foglie dell’albero lo vediamo verde anche al buio o con luce accecante o con i riflessi del tramonto. Così, guardando la figura sotto, sappiamo ugualmente che il nostro cervello si inganna nonostante noi gl i diciamo che si sta ingannando, perché non possiamo vedere le linee come vogliamo noi, quella di sinistra ci sembrerà sempre più lunga di quella di destra anche dopo averla misurata col righello. Con tanti saluti al mito del libero arbitrio, fra parentesi… Allo stesso modo, la scienza può dirci molto anche in quei campi dove il mito dell’unicità dell’essere umano unica creatura fatta a somiglianza di Dio ha impedito di interrogarsi sui nostri comportamenti, come la solidarietà o il desiderio di potere. Ma anche qui è possibile dire molto, e interrogarsi ancora di più, non perdendo tempo sul chiedersi quale sia il senso della vita (semplicemente: non ce l’ha) e dedicando i nvece tutte le nostre risorse a rendere meno gravosa questa vita, la nostra e quella degli altri, come sugge riva i l più grande fra i filosofi italiani, quel Giacomo Leopardi che ancora viene etichettato banalmente come pessimista. “Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Si bene attendiamo a tenerci compagnia l'un l'altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la mo rte verrà, allora non ci dorremo: e anche in quell'ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà i l pe nsie ro che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora. ” Gioco perché il gioco è un’attività estremamente seria, basti guardare quanto lo prendano sul serio i bambini (beh, a dire il vero anche i nostri ravegnani doc quando si accapigliano durante le interminabili partite di racchettone non scherzano…). Così è possibile attraverso il gioco (per adulti e per più giovani) simulare situazioni in cui mettere a prova le nostre formae mentis e scoprire qualcosa di pi ù su di noi , sui nostri valori, sui nostri modi di ragionare. Ce ne sono molti, uno di quelli che preferisco lo chiamo l’esperimento di Big Bunny. La storia è questa. Sono su una ferrovia, vicino ad uno scambio che posso azionare. Poco oltre, il binario si divide e scompare sia a destra sia a sinistra dietro una collina. Sul binario di destra si trovano cinque operai che stanno lavorando, su quello di sinistra c’è un bambino molto obeso, Bi g Bunny. Arriva un treno impazzito, senza guidatore, a tutta velocità diretto a destra e che non può essere fermato. Io posso però azionare lo scambio. Cosa faccio? Prima di proseguire la lettura, cercate di dare una risposta argomentata sul perché azionate o no lo scambio. Secondo scenario: stesso treno, ma senza scambio, diretto inevitabilmente di nuovo verso i cinque operai. Io sono sul ponte e anche se mi buttassi (sono troppo magro) non fermerei il treno. Però, qui vicino c’è… Big Bunny che sta saltellando. Se lo buttassi giù (e ce la farei perché è distratto e canticchia il Pulcino pio e non c’è parapetto), il treno deraglierebbe e gli operai si salverebbero senza altri danni ai passeggeri. Che faccio? (Esiste anche una versione più avventurosa ambientata in una mongolfiera che sta precipitando i n me zzo all’oceano infestato di squali con a bordo cinque magrissimi bambini e il nostro eroe…) Pare che due terzi degli intervistati azionino lo scambio e un terzo no nel primo scenario mentre la proporzione si inverta nel secondo. Perché? Non c’è logica apparente: è sempre uno contro cinque e chi ama il calcolo utilitaristico può pensare che cinque vite sono meglio di una o cinque famigl ie me gli o di un single per giunta grasso o che altro; solo che, nel primo caso, pare che il non vedere le conse guenze de ll e nostre azioni ci permetta un’azione puramente di calcolo mentre nel secondo caso, dovendo esser noi a buttare fisicamente giù il malcapitato Big Bunny, ci rendiamo conto delle nostre azioni e si amo tratte nuti biologicamente dal farlo. Alcuni di quelli che non buttano il nostro amico nel secondo caso rispondono dicendo: “Non voglio sostituirmi al caso” (o a Dio, a seconda delle convinzioni religiose). Fatto sta che questo esperimento mentale ci può aiutare a capire chi siamo per quali valori siamo disposti ad agi re i n un modo o nell’altro. E così per centinaia di altri casi. Il nostro museo sarà ricco di questi esperimenti mentali, alcuni anche pratici, in cui l’esperienza sarà proprio concreta. Il gioco delle carte mostra ad esempio come sia debole la nostra logica. Sei un tecnico di controllo di qualità per un produttore di giochi di carte e devi controllare una determinata regola che dice: Se una carta ha la lettera S su un lato, allora ha un numero dispari sul lato opposto. Ogni carta ha una lettera su un lato e un numero sull'altro lato. Si deve indicare, in questo contesto, quale carta o quali occorre girare, e solo quella o quelle carte, al fine di determinare se la regola è stata infranta S Q 3 8 Ora, dopo aver scelto, passate al secondo scenario. Sei un ispettore del governo e vuoi assicurarti che il divieto di alcolici ai minorenni sia rispettato. La norma afferma che: Se una persona beve una bevanda alcolica, allora deve avere più di 16 anni. Le carte qui sotto rappresentano la bevanda di scelta e l'età di quattro clienti del bar. (Ogni carta rappresenta una persona. Un lato mostra quello che stanno bevendo, l'altro lato la loro età) Si deve indicare quale carta o quali carte occorre girare, e solo quella o quelle carte, al fine di determinare se la regola è stata infranta. 13 18 Pare che ¾ degli intervistati rispondano non correttamente al primo esempio (risposte corrette 1 e 4 nel primo caso, 1 e 3 nel secondo) mentre la percentuale di errori cali vistosamente nel secondo scenario che è identico dal punto di vista logico. Fra le interpretazioni più accreditate pare che questo dipenda da un nostro difetto funzionale del cervello che è più bravo ad affrontare oggetti concreti (cosa be re ) pi uttosto che questioni totalmente teoriche (numeri pari-dispari). In ogni caso, è un’esperienza che possi amo fare tutti i giorni, si tratta di un errore logico frequente. Se dico: “se mi butto giù dalla finestra, allora mi facci o male” e chiedo: “dato che mi sono fatto male, mi sono buttato dalla finestra?”, circa 2/3 degl i i nte rvistati risponderà sì, prendendo un vistoso abbaglio, dato che potrei, purtroppo, farmi male in tanti altri modi… Tecnologia, perché colpisce questa distanza che persiste fra una cultura ingessata per quanto nobi l e e una tecnologia sfavillante per quanto povera di contenuti. Mentre invece sarebbe indispensabile far parlare giovani e adulti un linguaggio comune, nativi e immigranti digitali. Il nostro museo dovrà fare l argo uso di tecnologie multimediali proprio perché cercherà di sondare con coraggio tutte le vie della conoscenza e non imitare Talete, che aprì per primo gli occhi sul significato delle cose mentre li chiudeva sul pozzo nel quale stava cadendo per la sua disattenzione. disegno di Franco Matticchio per la copertina del libro di Maurizio Ferraris, Anima e iPad, Guanda 2011 Oggetti, perché molto spesso è proprio maneggiando gli oggetti che si può aprire la nostra mente a nuove esperienze. È facile pensare ad una filosofia tutta parole, senza fisicità, senza oggetti. Invece sono tanti quelli che sono stati costruiti o anche solo immaginati e che hanno mantenuto intatta la loro potenza iconica. Che siano i solidi platonici o il diavoletto di Cartesio, la macchina di Turing o la vasca di Putnam, sempre, attraverso gli oggetti, è possibile vivere la propria esperienza attorno alla domanda che si sta ponendo. Diceva Amleto: «Ci sono più cose fra la terra e il cielo che in tutte le nostre filosofie». Ole Worm (1588-1654), Museum Wormianum, 1655 – Smithsonian Institute [collezione di oggetti filosofici] Ecco quindi delineati alcuni degli aspetti del museo. Si tratta ora di indicarne la struttura dei contenuti. Tre dovrebbero essere le aree principali: il percorso permanente, le esposizioni temporanee, le aree laboratoriali. In linea di massima, dovrebbero essere toccate cinque aree della filosofia, non di pi ù; ce rto, non perché non vi siano altri campi ove farsi domande ma perché un museo non è un’enciclopedia e questo men che meno: è soprattutto uno spazio di riflessione. Quindi cinque aree: la gnoseologia, le condizioni della possibilità, della validità e dei limiti della conosce nza come già Kant si proponeva; la logica, l’analisi delle strutture del ragionamento; l’etica, ove si i ndaghi sui principi che mettiamo a fondamento delle nostre azioni; la politica, l’arte di vivere insieme, e l’e stetica, l e ragioni che ci portano a vedere il bello ove esso per sua natura non è. Ogni area dovrebbe essere incentrata su alcune sale, dove dovrebbero essere presenti questi componenti: il nucleo del problema, le citazioni dei filosofi, lo stato delle conoscenze scientifiche, i problemi aperti, l’esposizione degli oggetti, la parte interattiva, gli esperimenti mentali. Ad esempio per la sala dedicata al “come conosciamo” potrebbe contenere: la definizione del problema: come entrano le informazioni in noi, come le memorizziamo, come l e ricordiamo, come le usiamo gli oggetti e i testi: la caverna di Platone, la statua di Condillac, il cervello in una vasca di Putnam scene da film come The Truman show e Matrix, opere d’arte un testo di riferimento: Discorso sul metodo di Cartesio lo stato della scienza: la macchina del cervello, struttura ed evoluzione gli inganni: inganni delle percezioni , illusioni ottiche, fallacie, i filmati del gorilla esperimenti mentali: test di Turing, la stanza cinese infine attività, per bambini: come ci facciamo le prime idee: uguale /diverso, uno/mol teplice ; pe r adolescenti: come costruiamo una regola; per tutti, test e quiz. Anche il negozio dovrebbe essere completamente ripensato rispetto a tanti pessimi esempi in circolazione: un negozio con oggetti filosofici unici, pensati appositamente per continuare a casa le riflessioni ed esclusivi del museo. E anche il bar interno dovrebbe riflettere l’intera “filosofia” del progetto, come capita in bellissimi musei all’estero dove spesso è più raffinata l’esperienza di questo spazio della visita all’esposizione. Il tutto, senza pensare ad un’archistar tanto di moda, potrebbe essere ospitato in una struttura cittadina ripensata, meglio se non in un edificio storico che la ingesserebbe troppo. Spazi ideali, se fossero disponibili, sarebbero stati l’ex macello di via Renato Serra o l’ex mercato coperto, ma andrebbero bene anche luoghi come l’ex cinema Mariani come pure un edificio di recupero nella nuova Darsena. Infine, sarebbe opportuno che il museo fosse inserito in un network accademico di alto respiro; si potrebbe pensare ad es. ad uno stretto legame con il Consorzio per il Festival Filosofia di Modena, che organi zza un Festival della Filosofia che ogni anno a metà settembre registra decine di migliaia di presenze (senza dimenticare il festival della Mente di Sarzana di questi giorni o il Popsophia di Civitanova Marche appe na concluso) e nel contempo a rendere più stretti i già ricchi rapporti instaurati in questi anni sia a Ravenna si a a Cervia con un gruppo di filosofi contemporanei di area milanese. Certo, sarebbe un impegno che richiederebbe risorse importanti e idee brillanti. Ma si tratterebbe anche di un progetto unico, che potrebbe contribuire in modo determinante all’aumento dei flussi turistici in ci ttà e alla candidatura 2019. Del resto, uno dei compito dei filosofi, dal tempo di Platone, non è forse proprio quello di stimolare i politici e immaginare scenari dove gli altri vedono solo assi di legno?