19 TRA (PARENTESI DIARIO GIUSEPPE ZOIS ‘ ArmandoDadò ‘ DavideGai EDITORE NicolettaOssannaCavadini IMPRENDITORE HI-TECH Più che disordine creativo regna il disordine tout court. Libri, fascicoli, appunti e carte ovunque. Mia moglie non vi si avvicina nemmeno DIRETTORE MAX MUSEO Ho un rapporto bipolare con la mia scrivania, passo da fasi di completo disordine a periodi di ordine maniacale. E uso due monitor come muraglia cinese È una stratificazione di interessi, di passioni e di emozioni. In qualche modo sembra un’opera d’arte. Fortunatamente ho una grande memoria fotografica e trovo tutto PER L’ANTROPOLOGO IL DESK È... COME UNA PLANCIA DI COMANDO “È LA METAFORA DELLA VITA, RIFUGIO, GROTTA, CORAZZA” M acché status symbol, macché strumento di lavoro, la scrivania è un’estensione del nostro io. Anzi è il “carbonio 14 della nostra vita”, secondo l’antropologo Marino Niola, che non esita ad usare l’isotopo radioattivo (lo stesso usato in archeologia per datare i reperti costituiti da materia organica) per descrivere un vero e proprio processo d’identificazione. “Sì, perchè si tratta di una sorta di stratificazione ideologica di chi ci lavora, indipendente che questa avvenga volontariamente o involontariamente - commenta il docente di Antropologia culturale e mitologia contemporanea all’università di Napoli -. Potremmo anche definirla il teatro di una continua lotta tra memoria e oblio; infatti basta farci caso, inevitabilmente nello strato superiore delle carte, degli argomenti accumulati, galleggiano le cose più importanti in quel momento. Sotto, invece, finiscono le cose dimenticate. E nella maggior parte dei casi perché é anche giusto che vengano dimenticate, se lo meritano”. Ma le figure simboliche che l’antropologo riesce ad attribui- suo lavoro alla scrivania di casa, non c’è dubbio che mette al primo posto questa piuttosto che l’auto - assicura l’autore di “Miti d’oggi” edito da Bompiani -. Sicuramente la scrivania non è LO PSICOTERAPEUTA PARLA DEL RAPPORTO CON L’OGGETTO “Nei momenti di stanchezza è lì che ci ritiriamo, un po’ come per difenderci” re alla scrivania sono molteplici. Diventa guscio, corazza, bastione e qualsiasi altra cosa meno di quello che apparentemente dovrebbe essere: un mobile. “Infatti è vissuta come una grotta, un rifugio, una trincea difensiva o offensiva - spiega Niola -. Perché la viviamo proprio come un’estensione del nostro io. E parlo soprattutto delle scrivanie di casa, che offrono molte più possibilità di ‘personalizzazione’ di quelle d’ufficio. È il nostro rifugio, ed è lì che nei momenti di difficoltà, di stanchezza ci ritiriamo perché coincide esattamente col nostro sitema difensivo, la nostra plancia d’interazione con il mondo visto che diventa postazione di comando. Insomma il desk come metafora della nostra vita”. Se dovesse stilare una classifica dei luoghi-oggetto che diventano culto, l’antropologo metterebbe addirittura la scrivania prima dell’automobile. Un altro “oggetto simbolo” che, se letto come metafora e specchio della nostra esistenza, certo non scherza. “Soprattutto per chi svolge una professione intellettuale, e passa buona parte del più sinonimo di lavoro, ma è il tutto perchè seduti o meno al suo fianco possiamo fare tutte le attività, comunicare, produrre, interagire, giocare. Anzi, comprendiamo pure quelle ludiche anche meno ortodosse, visto che l’uso della scrivania include pure i giochi erotici”. E fortunatamente l’antropologo della contemporaneità sorvola sulla varietà dell’oggettistica, che sull’argomento “scrivania” fa capitolo a sè. “Eh sì, perchè qui i simboli si moltiplicano nota divertito -. Parliamo di un tempio, all’interno di un altro tempio che é l’abitazione. Fotografie, soprammobili, souvenir vari contribuiscono alla stessa stratificazione ideologica e sulla scrivania assumono ancor più significato, più valore. Almeno finché non ci chiediamo perché diamine li abbiamo tenuti...”. e.r.b. “D “LO SCRITTOIO NON SI PUÒ CONDIVIDERE” iffido delle persone che hanno la scrivania sgombra: vuol dire che mettono tutto nei cassetti”, diceva Walter Matthau nel film “Una notte con vostro onore” del 1981. La scrivania è un posto importante, perché rappresenta il luogo di casa dove si pensa, ci si arrabbia, ci si diverte, si compra, si lavora e si prendono decisioni fondamentali. C’è chi la tiene in perfetto ordine, senza niente sopra tranne computer, telefono e portapenne. Così come c’è chi ama stiparla di gadget, peluche, foto e aggeggi vari. “La scrivania come posto dove si trova il “Anche una semplice pulizia può venir vissuta come un’intrusione” computer, dove si scrive e lavora è diventato il sancta sanctorum – spiega al Caffè Fulvio Scaparro, psicoterapeuta, apprezzato anche in Ticino per i suoi libri e i numerosi interventi a incontri e conferenze pubbliche -. Centro dello studio e luogo dove ci si siede per fare cose che sono ‘nostre’. Non si può condividere. Io, ad esempio, ho l’impressione di essere un comandante nella plancia di comando che sta davanti alla console con tutta l’attrezzatura e porta avanti il convoglio. In questo caso il convoglio è da intendersi come il mio lavoro: ciò che faccio e produco”. I sostenitori dell’una o dell’altra fazione si sfidano ormai dalla notte dei tempi. Scrivania ordinata o meno, dipende da chi è l’osservatore. “Io, per esempio ce l’ho solo nello studio – prosegue lo psicoterapeuta -. Perché per me lo studio rap- presenta un rifugio dove sono in rapporto con me stesso, in solitudine. È organizzata in modo piuttosto confusionario, ma per me è ordinatissima, perché so perfettamente come sono sistemate tutte le cose. Ad un estraneo può dare l’impressione di essere un’ammucchiata. Ma ricordate, la scrivania non è fatta per il pubblico. È totalmente nostra, privata”. Nel corso degli anni ci si affeziona alla propria scrivania. La componente affettiva può diventare molto importante. Tant’è che poi si sceglie con estrema cura tutto ciò che ha a che fare con quel luogo: dal tavolo perfetto, alla sedia ideale fino ad eventuali ornamenti e foto che la arricchiscono e abbelliscono. “La scrivania dovrebbe essere un oggetto inanimato, ma in realtà è tutt’altro continua Scaparro -. Per noi è animatissima. Se non si è attaccati alla propria scrivania probabilmente è perché non ci si lavora spesso o perché è una di quelle in condivisione”. E veniamo ai “maniaci”, quelli che la tengono in super ordine, che, addirittura, vanno a mettere a posto quelle degli altri. O a fare pulizia... Un atteggiamento che fa letteralmente impazzire il legittimo proprietario perché, spiega lo psicologo, vive questo gesto come una vera e propria intrusione. Ci si arrabbia se le cose non sono più al loro posto e si fa attenzione ad ogni minimo cambiamento. L’importante, però, è non esagerare con le ossessioni e le manie. “Per carità, prima di patologizzare una scrivania prendiamola per quello che è - conclude Fulvio Scaparro -. D’altronde, rimane pur sempre una scrivania! Le patologie sono ben altro”. c.c. Un passo indietro davanti al conclave Caro Diario, ci mancava solo Roger Mahony ad agitare ulteriormente le acque di un mare già in tempesta, dopo l’abdicazione a sorpresa di Benedetto XVI al papato. Il cardinale, che oggi ha 77 anni, quand’era arcivescovo di Los Angeles (1985-2011), avrebbe insabbiato almeno 129 casi di pedocriminalità. La giustizia ha smascherato quasi 500 storie di molestie e abusi sessuali su minori, costati un fiume di denaro alla più grande diocesi Usa, 600 milioni di dollari. Ben più gravi restano le ferite che nessun risarcimento cancellerà. Il suo successore, José Horacio Gomez, non è andato per il sottile, rimuovendo Mahony da ogni incarico. Un gesto di rottura inequivocabile con il passato. A RIDARE FUOCO alla miccia è la partecipazione del prelato al prossimo conclave che dovrà eleggere il nuovo Papa. In America è stata lanciata una petizione, con raccolta di firme, per impedire che l’ex-arcivescovo sia tra i 117 porporati che entreranno nella Cappella Sistina. In Italia il settimanale “Famiglia Cristiana“, il più diffuso a livello nazionale, con molto coraggio ha promosso un sondaggio via internet; responso quasi unanime: che il cardinale se ne stia a casa. Va detto, a onor del vero, che il “Los Angeles Time“ ha difeso Mahony, scrivendo che le denunce partivano ma si infrangevano ogni volta contro un muro di gomma. Con Papa Ratzinger le cose sono cambiate e la fermezza nel colpire “chi deturpa il volto della Chiesa“ ha portato alla rimozione di ben 60 vescovi. Una svolta epocale. Dicono che per evitare fughe di notizie o qualche incauta confessione agli psichiatri curanti, il cardinale di Los Angeles inviasse i preti pedofili lontano dalla California. Come può entrare in conclave una persona ritenuta responsabile di aver assicurato coperture e protezioni a troppi suoi preti indegni e colpevoli? SPESSO LE GERARCHIE ecclesiali hanno fatto ricorso a sotterfugi e mezzucci per soffocare ogni rischio di scandalo: atteggiamenti con cui si sono - e si rendono - complici di reati gravi, che devono finire dritti davanti al giudice. Forse una linea dura, di tolleranza zero, diventerebbe un efficace metodo dissuasivo per chi fosse incline a certi comportamenti, di cui si sa e si finge di non sapere. Ben difficilmente le autorità e il movimento d’opinione potranno impedire a Mahony l’entrata in conclave. Dovrebbe esser lui ad avvertire il dovere morale di un passo indietro, con un sussulto di decenza e di coerente umiltà. Il cardinale può anche sentirsi in pace con la coscienza, ma le troppe vittime di orchi travestiti da pastori esigerebbero una rinuncia esemplare. In genere però l’ambizione difficilmente arretra davanti a un salutare nascondimento, cui s’è votato lo stesso Papa.