INFORMAZIONE FILOSOFICA FILOSOFICA Rivista bimestrale a cura di: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Edizione Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r.l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano Reg. n. 634 del 12/10/90 Tribunale di Milano. Sped. abb. post. 50%, Milano. Singola copia: lire 10.000 Copia arretrata: 15.000 Abbonamento a 5 fascicoli: Italia: 45.000, enti 50.000, studenti 35.000; Europa: 55.000, enti 60.000, studenti 45.000; Extra-Europa: 85.000, enti 90.000, studenti 75.000. Redazione, direzione, amministrazione: Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r. l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. (02) 55190714 fax (02) 55015245 ccp 17707209 - intestato a: Cooperativa Edinform Informazione e Cultura s. r. l. 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DIRETTORE EDITORIALE Riccardo Ruschi COMITATO SCIENTIFICO Mario Agrimi Remo Bodei Giuseppe Cantillo Franco Chiereghin Girolamo Cotroneo Jacques D'Hondt Hans Dieter Klein Antonio Gargano Domenico Losurdo Giovanni Mastroianni Aldo Masullo Vittorio Mathieu Adriaan Peperzak Roberto Racinaro Enrico Rambaldi Paul Ricoeur Paolo Rossi Pasquale Salvucci Hans-Jörg Sandkühler Livio Sichirollo Franco Volpi SEGRETERIA DI REDAZIONE Mariangela Giacomini Anna Malafarina Diana Soregaroli RELAZIONI ESTERNE Luisa Santonocito CONSULENZA GRAFICA Gianluca Poletti IMPAGINAZIONE Katia Belli COLLABORATORI* Romilde Aragiusto Marco G. Battaglia Maurizio Brignoli Eddy Carli Gerardina Cesarano Sergio Cicatelli Enrico Ferri Marco Gaetani Raffaella Giovagnoli Angela Maria Graziano Roberto Garaventa Francisco José Martìn Angela Losco Marco Milella Concetta Notarile Giuseppe Patella Riccardo Pozzo PUBBLICITÀ Vittorio Duregon C.so Galileo Ferraris 150 10129 Torino Tel. (011) 3188854 Fax (011) 3188855 STAMPA Pirovano. Tecnologie grafiche Via della Pace 19 20098 San Giuliano Milanese DISTRIBUZIONE Joo Distribuzione Via Argelati 35, 20143 Milano 1 * Nel numero 24 le traduzioni in italiano delle bibliografie internazionali per la rubrica “Novità in libreria” sono di Laura Troiero 25 EDITORIALE Tra i motivi su cui da tempo gli interpreti dell’opera heideggeriana si affaticano vi è sicuramente il complesso rapporto che a lungo legò Heidegger a Nietzsche e che culminò nella stesura dei due volumi del Nietzsche, pubblicati dall’editore Neske di Pfullingen nel 1961. Di questa edizione è recentemente apparsa la traduzione italiana integrale ad opera di Franco Volpi (Adelphi, Milano 1994). Nel presentarla in questo numero della rivista vorremmo cogliere un passaggio significativo nella ricostruzione storico-critica della genesi di quest’opera. I rapporti di Heidegger con l’Archivio-Nietzsche, e il suo coinvolgimento nel progetto di una riedizione dei frammenti postumi della Volontà di potenza, sono, secondo Volpi, un’importante circostanza per comprendere i presupposti del volgersi di Heidegger a Nietzsche e del travagliato lavoro interpretativo che ne seguirà. Riportiamo qui di seguito le considerazioni di Volpi in proposito. L’attività principale di Heidegger per l’Archivio-Nietzsche - come si ricava dalla lettera di dimissioni- sarebbe dovuta consistere nella preparazione di una «nuova edizione della Volontà di potenza», un lavoro, questo, che Walter F. Otto, in una riunione del 5 dicembre 1934, aveva auspicato come «straordinariamente importante, ma altrettanto difficile» in quanto avrebbe dovuto «presentare per la prima volta i frammenti stesi nel contesto della Volontà di potenza senza interventi redazionali, esattamente così come si trovano nei quaderni manoscritti, estremamente difficili da leggere e che vanno ora decifrati di nuovo». É difficile stabilire in che misura Heidegger si impegnò nel lavoro di edizione vero e proprio, anche perché l’interesse che lo animava era sicuramente più speculativo che filologico. Il 20 dicembre 1935 scrive per esempio a Elisabeth Blochmann: «Dovrei far parte del comitato per la grande edizione di Nietzsche; anche in questo non sono ancora deciso; in ogni caso collaborerei solo come consulente ». E il 16 maggio 1936 Già alla fine degli anni Venti Heidegger annunciava a Jaspers, congratulandosi aveva avuto qualche contatto con l’Archiper il suo libro su Nietzsche, fresco di vio, anche per via dell’edizione delle opere stampa: « Dall’autunno scorso - assai di di Scheler il cui direttore, Richard Oehler malavoglia, ma per amore della cosa stes(1878-1948), parente di Nietzsche, era consa - sono nella commissione per l’ediziotemporaneamente uno dei principali collane di Nietzsche. Mi preoccuperò, seconboratori di Elisabeth Förster-Nietzsche e do le mie forze, che i Suoi desiderata non dell’Archivio di Weimar. La prima visita restino dei meri auspici». Sta di fatto che di Heidegger all’Archivio ebbe luogo nel dal 1936 al 1938 Heidegger si recò a maggio del 1934 per una circostanza caWeimar un paio di volte l’anno per partesuale: Carl August Emge, docente di filocipare alle riunioni del comitato scientisofia del diritto nella vicina Jena e presifico. É certo inoltre che lavorò sui manodente del comitato scientifico dell’edizioscritti e che inoltrò all’Archivio diverse ne storico-critica delle opere e delle lettere interrogazioni circa la datazione precisa di Nietzsche, pubblicata dall’editore Beck, di alcuni frammenti, a cui rispose Karl aveva convocato presso l’Archivio di Schlechta, il principale curatore dell’ediWeimar, dal 3 al 5 maggio 1934, la riunione zione storico-critica in corso. Questo del comitato di filosofiadel dirittodell’Akadeperaltro, ci consente di capire meglio mie für Deutsches Recht, di cui Heidegger perché Heidegger, nelle sue lezioni, in era membro. In quell’occasione Heidegger punti decisivi entri dettagliatamente nel fu ricevuto da Elisabeth, visitò l’Archivio merito di questioni cronologiche e filoloe prese visione dei manoscritti. giche e giudichi criticamente, con cogniDopo la morte di Elisabeth (8 novembre zione di causa, l’edizione della Volontà 1935) Emge in seguito al fallimento del di potenza. Da quanto Heidegger afferma suo tentativo di contrastare l’influenza dei nella lettera di dimissioni sembra comunparenti di Nietzsche, cioè degli Oehler, que che i «lavori preliminari», durati nella direzione dell’Archivio, annettendo anni, fossero stati «condotti a termine». quest’ultimo all’Accademia Prussiana delle Le ragioni per le quali Heidegger abbanScienze - si dimise sia dal di rettivo, sia dal donò il progetto della nuova edizione e comitato scientifico. Fu seguito da Spenuscì dal comitato scientifico non risultagler, che già il 22 settembre aveva comunino dalla lettera a Leutheußer, nella quale cato a Elisabeth le proprie dimissioni dal le di missioni sono presentate semplicedirettivo e che, con Emge, uscì anche dal mente come «un passo resosi oggettivacomitato scientifico. A rimpiazzare queste mente necessario». Ci si può attenere, per defezioni venne eletto nel direttivo Walter ora, all’ipotesi formulata da Marion F. Otto, già membro del comitato scientifiHeinz, curatrice del corso universitario co dal 1933; questi, a sua volta, fece elegdel 1937. Da un appunto manoscritto gere nel comitato scientifico Heidegger, il Originale della lettera di Heidegger annotato da Heidegger su una comunicaquale rimase in carica fino al 26 dicembre al Ministro Leutheußer zione circolare dell’Archivio-Nietzsche 1942, data in cui comunicò al presidente del 27 ottobre 1938 la Heinz inferisce che Richard Leutheußer le proprie dimissioni la ragione delle dimissioni di Heidegger stia nell’esito del conflitto con la seguente lettera: che insorse nel 1938 tra l’Archivio-Nietzsche e la Reichsschriftumskammer. Per evitare che l’edizione di Nietzsche fosse esclusa dalle «Egregio signor Ministro, rendo nota con la presente la mia uscita dal comitato scientifico per opere sovvenzionabili, si decise - sembra contro il parere dl Heidegger, che proponeva una diversa strategia - di sottoporre i volumi, prima l’edizione delle opere di Friedrich Nietzsche. I miei lavori preliminari per la nuova edizione della Volontà di potenza, della pubblicazione, all’approvazione dell’organo nazionalsocialista. Sulla circolare summenzionata Heidegger annota: «C’era da aspettardurati anni, sono stati condotti a termine. I volumi, da me ricevuti, dell’edizione pubblicata fino a questo momento selo; di conseguenza diventa impossibile la mia collaborazione alla commissione per l’edizione, d’ora in poi lavorerò soltanto per l’opera sono a disposizione dell’Archivio. La prego personalmente, signor Ministro, di voler scusare questo passo di Nietzsche - indipendentemente dall’edizione». A questo si può aggiungere la testimonianza di Ernesto Grassi, al quale Heidegger resosi oggettivamente necessario. Al tempo stesso La prego di voler rendere nota la mia uscita ai signori avrebbe un giorno dichiarato: «Ho lavorato a lungo a una nuova sistemazione degli scritti nietzscheani della Volontà di potenza, in del comitato. contrapposizione a quella lasciataci dalla sorella di Nietzsche, Rimango, signor Ministro, con esimia stima il Suo devotissimo Elisabeth Förster: stamane ho distrutto i miei appunti». [firmato:] M. Heidegger». 2 SOMMARIO 5 RESOCONTO 5 Il Nietzsche di Martin Heidegger 47 Manoscritti “americani” di de Saussure 47 Illuminismo e matematica nel Settecento francese 48 Scritti di Seneca 9 CONFRONTO 9 Liberismo, federalismo, postfascismo 49 La logica ermeneutica di Georg Misch 51 NOTIZIARIO 19 AUTORI E IDEE 53 CONVEGNI E SEMINARI 19 La città, il paesaggio: sociologia della cultura 53 Proust e i filosofi 20 Etica esistenziale e logica delle norme 54 Marx: interpretare e mutare il mondo 20 I sentieri della comprensione 54 Sul simbolo 21 La verità della storia 55 Storia della logica e storia della filosofia 23 Locke tra conservatorismo e liberalismo 56 La fondazione dell’estetica filosofica 24 Sulla comunicazione umana 56 Neoplatonismo di Vico 25 In memoria di Raffaello Franchini 57 Memoria, abitudine, esperienza 26 Ontologia e libertà in Pareyson 58 La ‘Dottrina della scienza’ compie 200 anni 27 Malinconia e filosofia della storia 59 La relatività del vero 27 Analisi e riflessioni su Rosmini 60 L’individualismo moderno di Stirner 28 Pensare il marxismo 61 Epoca e dialettica 29 Interpretazioni di Nietzsche 62 Essere, nulla, progetto: Sartre e Merleau-Ponty 29 Il sapere dell’anima 63 Teoria della mente 30 L’ultima opera di Popper 31 Ortega y Gasset 64 CALENDARIO 32 Itinerari fenomenologici 65 DIDATTICA 33 TENDENZE E DIBATTITI 65 Classici della filosofia 33 Riflessioni sull’etica 65 Proposte, interventi, ricerche 36 Analisi crociane 37 Cabbala e Romanticismo 67 STUDIO 37 Per una storia della filosofia cristiana 67 La filosofia della scienza fino ad oggi 38 Adorno tra estetica ed etica 67 Donne e filosofia 39 Tra idealismo e ermeneutica: Otto Pöggeler 68 Il Medioevo 40 La modernità in Augusto Del Noce 68 Filosofia ellenistica 41 Femminismo e filosofia 42 La filosofia europea nel Nuovo Mondo 69 RASSEGNA DELLE RIVISTE 42 Itinerari medici ed epistemologici 44 L’inconscio di Freud 74 NOVITÀ IN LIBRERIA 45 PROSPETTIVE DI RICERCA 45 Meyer Schapiro: storia dell’arte, marxismo e psicanalisi 3 RESOCONTO Friedrich Nietzsche (“Friedrich l’inattuale”) 4 RESOCONTO Nietzsche, fi- scrivere a Jaspers: «Ho l’impressione di losofo del- crescere ormai solo nelle radici, non più l ’ a v v e n i r e , nei rami», e a ripetere ossessivamente: l’inattuale che «Der Nietzsche hat mich kaputt gemaannunciava la cht!» (Il Nietzsche mi ha distrutto!). morte di Dio, Un’opera grandiosa, che ha segnato una accusandone i svolta nella storia della filosofia, assecontempora- gnando a Nietzsche quel posto di rilievo di nei dell’assas- che lo pone a fondamento di qualsiasi Eddy Carli sinio; Nietz- tentativo di superamento della metafisische l’ambi- ca. Un lavoro a cui Heidegger si dedicò guo, l’anticristo, che insieme definiva per un intero decennio, durante il quale Cristo «l’uomo più nobile»; Nietzsche, rimase sempre impegnato in una lotta filosofo della trasvalutazione di tutti i per “strappare” all’enunciazione - talvalori, l’antiplatonico e l’antimetafisi- volta enigmatica, talvolta così folgoranco, la “medusa che pietrifica gli sguardi te da risultare di nuovo oscura - dello metafisici” e dalla quale gli sguardi dei sforzo speculativo di Nietzsche la “verifilosofi che verranno dopo non riusci- tà” di quel pensiero. ranno a distogliersi e a passare oltre. E se l’opera di Heidegger risulta impresNemmeno quelli di Martin Heidegger, sionante per la mole di pagine e per lo che a Friedrich Nietzsche dedicherà un’opera esegetica di oltre mille pagine, raccolte nell’arco di un decennio (sono comprese le lezioni tenute all’Università di Friburgo dal 1936 al 1940 e scritti composti tra il 1940 e il 1946). Quest’opera di Heidegger è ora pubblicata in edizione italiana, a cura di Franco Volpi, con il titolo: Nietzsche (Adelphi, Milano 1994); un’opera che è destinata a sollevare nuove questioni e problemi con un’intervista a Franco Volpi sul “caso Nietzsche”, proprio perché implica l’inevitabile confronto tra due dei maggiori pensatori della storia del pensiero occidentale. Millecento pagine che non sono né una monografia su Nietzsche, né una semplice interpretazione del suo pensiero, ma piuttosto un confronto serraa cura di Riccardo Ruschi to e totale, una lotta che porterà Heidegger a sprofondare nell’ “abis- scrupolo filologico che l’autore vi ha so di Nietzsche”, fino ad una profonda impiegato, altrettanto sorprendente ricrisi filosofica e personale, che gli farà sulta la traduzione dell’opera in italiano. Heidegger e “l’abisso Nietzsche” Il Nietzsche di MartinHeidegger D. Professor Volpi, tradurre Heidegger è arduo. Tradurre poi una tale mole di pagine, come quella del Nietzsche, credo spaventerebbe chiunque. Come è riuscito a portare a compimento questa impresa e quali sono state le difficoltà incontrate? Una vera e propria impresa, che porta a compimento quell’ambizioso progetto editoriale che, ancora alla fine degli anni Settanta, aveva spinto Franco Volpi a proporre la pubblicazione di quest’opera a Roberto Calasso, direttore della Casa Editrice Adelphi di Milano. Un progetto che avrebbe potuto spaventare, se non persino gettare nella disperazione. Heidegger affronta il problema della speculazione nietzscheana leggendo minuziosamente, oltre alle opere compiute, una singolare e controversa opera postuma di Nietzsche, La volontà di potenza. E si rimane stupiti nel vedere con quale agilità filologica Heidegger si muova su un materiale così frammentario, finché non veniamo a sapere da Volpi che il filosofo lavorò all’edizione di quell’opera, frequentando a lungo gli archivi e i manoscritti, così da acquisire una perizia sorprendente sul rapporto tra i singoli momenti della riflessione di Nietzsche e gli eventi biografici ed editoriali che li accompagnarono. Ed è su questo studio filologico rigoroso che si innesta la radicalità del domandare filosofico, la violenza dell’interp retazio ne di Heidegger. Si impone così il metodo heideggeriano di lettura: domandare partendo dalla cosa stessa, per pervenire al concetto e al corretto uso della parola e dell’immagine. A Franco Volpi, docente di Storia della Filosofia all’Università di Padova e di Filosofia all’Università di WittenHerdecke (Germania), traduttore e curatore dell’edizione italiana del Nietzsche di Heidegger, Eddy Carli ha rivolto alcune domande. tempo stesso essere flessibili per non cadere in quello stile legnoso, illeggibile, incomprensibile che viene volentieri imputato a Heidegger, anziché ai traduttori. Una cosa di cui poi spesso i traduttori di Heidegger e in genere di filosofia si preoccupano poco è la resa stilistica: Heidegger non è un maestro di stile, ma di pensiero, e a di volte sacrifica volutamente il primo al secondo: nel Eddy Carli tradurre risulta talvolta difficile trovare il giusto equilibrio tra la fedeltà al suo pensiero e alle sue scelte terminologiche R. È stato effettivamente un lavoro e le esigenze dello stile e della leggibilità. Spesso bisogna lungo e faticoso alla fine del quale anch’io potrei dire: «Il girare e rigirare una frase prima di arrivare alla soluzione Nietzsche mi ha distrutto!». La mole e le difficoltà della ottimale. traduzione hanno richiesto molta disciplina, pazienza, rigore e precisione. Difficile da rendere sono soprattutto i giochi D. Quest’opera su Nietzsche sovrasta, con la sua di parole di cui Heidegger si compiace e il fatto che, dal grandiosità, tutte le altre. Perché? momento che ogni vocabolo è in lui soppesato, bisogna mantenere una coerenza terminologica massima, ma al R. Si tratta di un’opera impressionante per l’ampiezza e Intervista a Franco Volpi 5 RESOCONTO la profondità delle riflessioni che intesse. Come tutte le grandi opere, trasmette stimoli a pensare molto forti. Non si tratta di una delle tante monografie su Nietzsche, e nemmeno di una semplice interpretazione del suo pensiero. Come dichiarano le parole con cui l’opera esordisce, qui il nome di Nietzsche sta a indicare la cosa che nel suo pensiero è in questione. Siamo dunque di fronte ad un vasto e serrato confronto filosofico, che Heidegger ingaggia con Nietzsche e che richiede da parte del lettore disponibilità e impegno. contemporaneo e delle sue avanguardie intellettuali. Non occorre essere nicciani per riconoscere che il suo fantasma si aggira ancora ovunque nella cultura del nostro tempo. Né si deve arrivare a dire, con Heidegger, che il nichilismo è l’accadere stesso della storia occidentale, per riconoscere che «chi non ha sperimentato su di sé l’enorme potenza del nulla e non ne ha subìto la tentazione conosce ben poco la nostra epoca». Il nichilismo è oggi espressione di un profondo malessere della nostra cultura: che ha le sue cause, sul piano storicosociale, nei processi di secolarizzazione e di razionalizzazione, cioè di disincanto e frantumazione della nostra immagine del mondo, e che ha provocato sul piano filosofico il diffondersi del relativismo e dello scetticismo. E quale che sia l’atteggiamento che si assume nei suoi confronti, di accettazione o di rifiuto, chiunque può vedere quanto la storia abbia riempito il nichilismo «di sostanza, di vita vissuta, di azioni e di dolori». La domanda che s’impone è se il nichilismo sia davvero - come pensava Heidegger - un approdo inevitabile del razionalismo occidentale, una sorta di inveramento essenziale del potere distruttivo della ragione, nata con i Greci, o se esso non sia piuttosto - come pensava Husserl - un tradimento dell’originaria idea di ragione, un imbarbarimento e impoverimento di quel logos, che con Socrate, Platone e Aristotele aveva saputo affermarsi sul nichilismo di un Gorgia. Ora, se è vero che il nichilismo comincia là dove cessa la volontà di autoingannarci, possiamo prendere la lezione che esso ci impartisce come un vigoroso invito alla lucidità del pensiero e alla radicalità del domandare. Il nichilismo ci ha trasmesso in effetti un insegnamento corrosivo e inquietante, ma al tempo stesso profondo e coerente. Ci ha insegnato che noi non disponiamo più di una prospettiva privilegiata - non la religione, non la metafisica, non la morale, né l’arte - in grado di parlare per tutte le altre; che non abbiamo più un punto archimedico, facendo leva sul quale potremmo di nuovo dare un nome all’intero. È questo il senso più profondo della terminologia negativa - “perdita del centro”, “svalutazione dei valori”, “crisi di senso” - che il nichilismo ha fatto fiorire e che evidentemente esprime la “crisi d’autodescrizione” del nostro tempo. Il nichilismo ci ha dato la consapevolezza che noi moderni stiamo navigando a vista negli arcipelaghi della vita, del mondo, della storia: perché nel disincanto non v’è più bussola che orienti; non vi sono più rotte, percorsi, misurazioni pregresse utilizzabili, non più mete prestabilite a cui approdare. Il nichilismo, che ha corroso le verità e indebolito le religioni, ma anche dissolto i dogmatismi e fatto cadere le ideologie, ci ha insegnato a mantenere quella “ragionevole prudenza del pensiero” che consente di navigare nel mare della precarietà, nella traversata del divenire, nella transizione da un isola all’altra. Ancora non sappiamo però quando potremo dire di noi stessi quello che Nietzsche osava pensare di sé, quando diceva di essere «il primo perfetto nichilista d’Europa, che però ha già vissuto in sé fino in fondo il nichilismo stesso - che lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé». D. Quest’interpretazione rispecchia davvero l’immagine di Nietzsche? Non potrebbe Heidegger avere usato una sorta di violenza ai testi, volendoli unificare a tutti i costi in una trama unitaria? R. Heidegger stringe in effetti i testi in una presa tentacolare e li interroga con martellante insistenza, domanda su domanda, per estorcere loro la confessione di una appartenenza alla tradizione della metafisica occidentale. Mira insomma a mostrare che il pensiero di Nietzsche rappresenta l’ultimo capitolo della storia della metafisica occidentale, cioè del platonismo. Ma, al di là della risposta che si può dare alla questione sulla appartenenza o meno di Nietzsche alla metafisica, va sottolineato che con la sua interrogazione Heidegger riesce a valorizzare - meglio di ogni altra interpretazione - i contenuti speculativi dell’opera nietzscheana e a mostrarne, al di là della fin troppo evidente contraddittorietà di molte sue tesi, la profonda coerenza e unità delle dottrine fondamentali: la “morte di Dio” e la svalutazione dei valori tradizionali, l’avvento del “nichilismo europeo” e l’esigenza del suo superamento mediante una “trasvalutazione di tutti i valori”, l’arte come “attività metafisica”, il “superuomo”, ma soprattutto la volontà di potenza e l’eterno ritorno dell’uguale. Lungo un itinerario che, attraversando la storia della filosofia, risale all’indietro fino a Platone, e da Platone ritorna a noi, Heidegger mostra che tutte queste dottrine non sono lo stravagante parto della mente ormai malata del pensatorepoeta, ma costituiscono il compimento della metafisica occidentale, rigorosamente pensata fino alle sue estreme conseguenze. Oggi, noi possiamo naturalmente impegnarci in senso inverso a decostruire l’unità del pensiero di Nietzsche, oppure a mostrare che Nietzsche non sta dentro la metafisica, ma ne esce fuori, anzi, la rovescia radicalmente e apre la possibilità del suo superamento. Ma lo possiamo fare solo proprio perché Heidegger ci ha mostrato quell’unità e indicato quell’appartenenza, che nessuno prima di lui era riuscito a esibire con tanta forza. D. Ritiene che i reiterati tentativi di superamento del nichilismo che, dopo Nietzsche, continuano a caratterizzare gran parte della filosofia contemporanea potranno mai approdare ad un esito effettivo? R. Il nichilismo, cioè la morte di Dio e la svalutazione dei valori tradizionali, ha avuto sul nostro secolo una presa tanto tenace che esso rappresenta, probabilmente, qualcosa di più di una semplice avventura del pensiero 6 RESOCONTO Presso la sede di Ca’ Dolfin, il 10 maggio 1995, in un incontro pubblico organizzato dal Dipartimento di Filosofia e di Teoria delle Flavio Cassinari Scienze dell’Università degli Studi di Venezia, è stata presentata la recente edizione italiana dell’opera di Martin Heidegger, Nietzsche. Al dibattito hanno partecipato, oltre a Franco Volpi, curatore dell’edizione italiana, Mario Ruggenini ed Emanuele Severino. Franco Volpi ha evidenziato i due snodi concettuali decisivi di quest’opera di Heidegger: la dottrina della volontà di potenza e quella dell’eterno ritorno, attraverso i quali Heidegger giunge a collocare Nietzsche nell’orizzonte della tradizione metafisica. Volpi ha ricordato che in Heidegger il filosofo dello Zarathustra non risulta, quanto al suo tratto definitorio, né un esponente della crisi del soggetto, né un detrattore del valore tradizionalmente attribuito al rigore logico dell’argomentazione. La riflessione di Nietzsche, per come essa emerge dalla lettura heideggeriana, appare accostabile, per le sue caratteristiche e la sua centralità nei confronti della storia della metafisica, alla teorizzazione aristotelica del principio di non contraddizione. Secondo Volpi, per Heidegger il confronto con Nietzsche non fu un confronto dall’esito già scontato, finalizzato a costringere l’interlocutore sul letto di Procuste della metafisica. All’interno del dialogo istituito con Nietzsche, Heidegger cerca, invece, di rintracciare in questi un “compagno di strada”, come si può evincere dall’ampiezza e qualità dei materiali che hanno dato luogo a questo testo heideggeriano. Volpi ricorda, a questo proposito, che Heidegger, nel contesto della preparazione dell’edizione critica delle opere di Nietzsche, si occupò anche di questioni filologico-testuali. Lungi da una condanna aprioristica di Nietzsche, in quanto “metafisico della volontà”, Heidegger legge lo Zarathustra alla luce delle proprie acquisizioni teoriche guadagnate in Essere e tempo. A riprova di ciò, Volpi sottolinea il fatto che l’antitesi tra apollineo e dionisiaco, configurata dal giovane Nietzsche, viene interpretata da Heidegger come il tentativo, attraverso la determinazione dell’ebbrezza, di uscire dall’antitesi fra soggetto e oggetto. Della nozione nietzscheana di Wille (volontà), Heidegger mette inoltre in evidenza il carattere di affettività, ovvero di passività. In questo, Heidegger coglie sia il residuo di eraclitismo persistente in Nietzsche, nel suo tener fermo alla realtà del divenire, sia la consustanziale funzione unitaria (contro l’interpretazione relativista del filosofo) della categoria di Wille zur Macht (volontà di potenza), in quanto creatrice di forme di Il Nietzsche di Heidegger vita. L’appartenenza di Nietzsche alla metafisica della soggettività risiede nel dualismo, che si configura fra la donazione di senso, effettuata dalla volontà di potenza, e ciò che, invece, il proprio senso può soltanto ricevere. Ancora: l’importanza che, per la conversione dall’atteggiamento naturale a quello filosofico, riveste la categoria di thaumazein nella riflessione heideggeriana già dalla fine dagli anni Venti, trova un suo riscontro nell’interpretazione del sottotitolo dello Zarathustra. Il “libro per tutti e per nessuno” appare infatti, secondo Heidegger, offerto a tutti coloro, e soltanto a essi, che hanno conosciuto la conversione interiore dallo sguardo ordinario. Heidegger individua due diverse valenze della dottrina dell’eterno ritorno. Esistentiva l’una, cosmologica l’altra, rivelano anch’esse, per Volpi, il tentativo di appropriazione delle tesi nietzscheane da parte di Heidegger. A suo parere, Zarathustra non formula la tematica dell’eterno ritorno come una tesi al fine di evitare di trasformare un’indicazione di carattere pratico in una dottrina. Anche qui, Heidegger tenta di recuperare Nietzsche alle proprie posizioni; ciò accade anche nel caso del concetto nietzscheano di caos, sottratto alle ascendenze positiviste, ed eletto invece come il luogo dell’emergere di ciò che è ineffabile, assolutamente differente. Si perviene così a una sorta di teologia negativa, dalla quale è però scomparso il Dio cristiano. A Nietzsche, e a sé medesimo, Heidegger obietta che la categoria di nulla, alla quale questa nozione di caos fa riferimento, costituisce un antropomorfismo. Emanuele Severino ha sollevato la questione relativa all’effettivo sviluppo, nell’interpretazione heideggeriana, delle potenzialità antimetafisiche intrinseche al pensiero di Nietzsche. Quest’ultimo, secondo Heidegger, indietreggerebbe di fronte alla propria stessa acquisizione; in particolare, nel caso della dottrina dell’eterno ritorno, a fronte della riduzione di quest’ultima a simulacro della prospettiva seriale, che sorge a opera della tecnica. Severino sottolinea l’esigenza di mettere in relazione la dottrina dell’eterno ritorno con quella della morte di Dio: proprio nel non aver percepito il fatto che la seconda implichi la prima risiede la lacuna fondamentale dell’interpretazione heideggeriana. Per questa via, l’argomentazione di Severino mira a mettere in luce l’aporìa del divenire, che egli ritrova enunciata nel testo nietzscheano. Se si accetta l’esistenza degli dei, non resta nulla da creare, poiché tutto sarebbe già stato deciso. Poiché la dottrina nietzscheana della volontà di potenza postula il nostro essere creatori, seguendone coerentemente le premesse, appare necessario affermare che non esistono gli dei, non esiste l’immutabile. Questa conclusione (condivisa, secondo Severino, da tutto il pensiero contemporaneo che ritiene il divenire l’unica realtà) nasconde tuttavia un’aporìa. La tesi che afferma l’esistenza del divenire 7 pone capo, infatti, all’assolutizzazione del divenire medesimo: ammettere il trascorrere del passato significa rendere quest’ultimo un blocco monolitico, un macigno irremovibile, del quale l’uomo non può che sopportare il peso. Ma qual è la verità ultima della connessione, in Nietzsche, tra la dottrina dell’eterno ritorno e quella della volontà di potenza? L’uomo deve essere superato, per attingere al livello di creatività del superuomo; ciò significa che il passato non può essere considerato un immutabile, fisso nella sua irrevocabilità, in quanto ammettere l’esistenza del passato significa escludere la possibilità di creazione. Esprimendo la questione in termini più radicali: si esclude la possibilità di creare laddove si ammette l’esistenza del divenire. Tener fermo alla dottrina della volontà di potenza e a quella dell’eterno ritorno comporta dunque, per Severino, la negazione del divenire. È questa l’acquisizione a fronte della quale Nietzsche, a parere di Severino, indietreggia: per questo occorre seguire l’indicazione heideggeriana, più di quanto non abbia fatto Heidegger medesimo, relativa all’accostamento di Nietzsche e Aristotele, in qualità di poli della tensione che dà luogo alla metafisica occidentale. Colmata dunque la grande lacuna della lettura heideggeriana, consistente nella mancata connessione fra la dottrina della volontà di potenza e quella dell’eterno ritorno, Nietzsche appare come colui che coglie l’impossibilità del divenire: assolutizzata la funzione di quest’ultimo, si produce una contraddizione che pone in contrasto l’ammissione del divenire come unica realtà con la necessità di considerare, in questa prospettiva, il passato come irrevocabile. Mario Ruggenini ritiene che dal confronto tra Heidegger e Nietzsche emerga una configurazione concettuale aporetica, caratteristica della modernità, che riguarda il problema del soggetto. A partire dalla questione della verità si produce la rottura del pensiero moderno nei confronti di quello greco: alla nozione di aletheia viene attribuito il carattere che fa risiedere la verità dell’oggetto nella certezza che di esso ha il soggetto. Su questo punto, la lettura di Kant nell’opera heideggeriana dedicata a Nietzsche appare, per Ruggenini, sintomatica; essa segnala, infatti, il progressivo imporsi a Heidegger della questione del soggetto, quale cifra della prospettiva metafisica nella modernità. Dopo l’esaltazione di Kant quale teorico della finitezza, nei testi heideggeriani appartenenti al periodo della fine degli anni Venti, l’assegnazione di Heidegger all’ambito della tradizione metafisica avviene proprio a partire dal suo ruolo di teorico della soggettività. Per definire gli elementi della propria riflessione di fronte ai quali, stando a Heidegger, Nietzsche indietreggerebbe, secondo Ruggenini occorre porre la dottrina della volontà di potenza al suo giusto posto nella storia della metafisica. Nietzsche RESOCONTO non si colloca nella serie delle figure della metafisica, bensì al suo estremo, in quanto rivela la verità di quelle che la precedono. Il problema messo a fuoco dalla riflessione nietzscheana riguarda la questione del nichilismo, ovvero la questione del senso della realtà. Tale questione si pone, in Nietzsche, come il tentativo di salvaguardare il senso del divenire, non di conferirglielo. Nietzsche rifiuta la figura del dio creatore: essa è necessaria soltanto se, come vuole la teologia cristiana, Dio è totale perfezione, conclusa in se stessa. Soltanto in questo caso il mondo diventa superfluo. L’obiettivo di Nietzsche risiede dunque nel salvare il senso del mondo; ma la soluzione proposta, sottolinea Ruggenini, consiste in un sillogismo fondato sul presupposto soggettivista. La volontà di potenza è creatrice di senso; “creare” significa volere ogni cosa del passato, anche il dolore, redimendolo dalla sua monoliticità. Volere il passato significa riscattarlo dal non senso in cui esso ci precipita, trasformando ogni “così fu” in un “così volle che fosse”. In questo senso, l’autentica crux teoretica consiste per Nietzsche nel Cristianesimo, ovvero nella figura del dio creatore, in quanto essa destituisce di senso il mondo. A parere di Ruggenini, Heidegger prende atto di ciò, ma non fino in fondo, a causa di una prospettiva continuistica che individua un’unica linea, senza soluzione di continuità, da Platone al Cristianesimo, e da esso a Nietzsche medesimo. Il limite dell’interpretazione heideggeriana consiste dunque nel non fare i conti con il fatto che il principio cristiano di creazione rappresenta, rispetto alla grecità, un elemento di novità; laddove Nietzsche, a ragione secondo Ruggenini, individua invece nella metafisica cristiana l’autentico responsabile della svalutazione del mondo. L’interesse di Nietzsche non appare rivolto al pensiero greco, bensì alla metafisica cristiana; la sua riflessione si presenta come l’atto estremo dell’ultimo teologo cristiano che tragicamente tenta, attraverso la fedeltà all’eterno, e la risacralizzazione del mondo, un’ultima esperienza religiosa dopo il Cristianesimo. In questa prospettiva prende forma l’ateismo di Nietzsche, la sua accettazione di Dioniso, cioè il suo tentativo di indicare una via d’uscita dal nichilismo, anziché il compiaciuto permanere in esso. A parere di Ruggenini, occorre non assolutizzare l’affermazione della vita, che caratterizza il superuomo: essa va infatti mantenuta in tensione con la fedeltà alla terra, e ciò comporta il sottolineare la finitezza dell’uomo. Heidegger tenta di definire concettualmente questa tensione, anche se il suo giudizio su Nietzsche pone quest’ultimo, comunque, nell’ambito del soggettivismo. Nel confronto con Nietzsche Heidegger tenta, inoltre, di pervenire alla comprensione dell’essere in quanto storia, ovvero di definire la necessità storica del nichilismo. In ciò consiste il tentativo di pensare la differenza dell’essere, attuato interpretando il nichilismo come necessità dell’essere medesimo. Martin Heidegger e Fanco Volpi 8 CONFRONTO Nel passaggio mocratica dal basso; non può sfuggire però dalla prima che il “patriottismo della Costituzione”, a alla seconda cui egli invita, deve essere inteso come Repubblica si nesso inscindibile di senso di appartenenza rende necessa- nazionale e di riconoscimento dei diritti ria una ricogni- sociali, e cioè come circolarità del rapporto zione storica e tra fedeltà alle istituzioni nazionali (dal teorica per in- basso) e pratiche della cittadinanza sociale di dividuare le (dall’alto). Si comprende perciò come, per GiuseppeBalistreri tendenze e i converso, Losurdo possa puntare il dito sul modelli ideo- fatto che la messa in discussione del valore logici che sono all’opera e che ne stanno della nazione e lo smantellamento dello guidando i processi. È ciò che propone stato sociale procedono di pari passo: «mito Domenico Losurdo con il suo saggio La federalista e processi reali di de-emancipaSeconda Repubblica. Liberismo, federali- zione» sono strettamente intrecciati tra loro. smo, postfascismo (Bollati Boringhieri, Per non dar adito ad equivoci, Losurdo si Torino 1994). lancia, a questo proposito, in una ricogniInnanzitutto l’intero quadro dell’assetto zione storica dell’idea federalista e delle istituzionale e costituzionale della repub- sue espressioni politiche per mostrare blica uscita dalla Resistenza è stato minato come, malgrado quanto si creda comunedall’idea federalista, divenuta ormai, avverte Losurdo, un mito che pervade tutti gli schieramenti politici, compresa la sinistra nella sua componente maggioritaria. L’intento principale di Losurdo è di smascherare questo mito mostrando come in esso agiscano prepotentemente motivi razzisti, dei quali però sembra non si voglia tenere sufficientemente conto. Losurdo mostra come il nocciolo razzista del federalismo intervengono Francesco M. De Sanctis, nostrano si sposi ad una tenAlberto Burgio, Roberto Esposito, denza più generale dell’OcciDomenico Losurdo dente a considerarsi la parte privilegiata del mondo per propria superiorità costitutiva, a mettere in discussione la validità dei diritti umani al di fuori della sua area, ed in sostanza a rilanciare un neocolonialismo ammantato di “interventismo a cura di Riccardo Ruschi democratico”. Al successo del mito federalista fa riscontro, secondo Losurdo, la nuova ondata di libe- mente, ben raramente federalismo e derismo che si è imposta a livello internazio- mocrazia (principalmente nelle sue connale e sotto il cui segno si è posto in Italia notazioni sociali) sono andati d’accordo il passaggio alla seconda Repubblica. Qui (il federalista Proudhon era poco sensibile è presente un antistatalismo non solo in all’oppressione dei popoli e non nasconsenso territoriale, ma anche in senso socia- deva simpatie bonapartiste), e quando ciò le, che mira allo smantellamento dei diritti è accaduto, come negli esponenti del fedee delle garanzie conquistati dai ceti più ralismo democratico del Risorgimento, non deboli della popolazione e dalle classi la- sono pochi i risvolti corporativisti (Cattavoratrici. neo), regionalisti (Ferrari), che devono Il federalismo italiano dei giorni nostri, indurre ad una presa di distanza critica. avverte Losurdo, mira all’attacco delle aree Il nesso tra new wave federalista e neolibedepresse del nostro paese, privandole del- rismo va ancora più in profondità. Losurdo le possibiltà di sviluppo, che solo uno mostra infatti che quanto nella prima si Stato nazionale può offrire, per abbando- muove dentro una prospettiva razzista, nel narle al loro destino di arretratezza. La secondo è spinto da un’ideologia di fondo “controrivoluzione liberista”, da parte sua, di tipo socialdarwinista. Sia le regioni arintende invece liquidare gli elementi di retrate sia “i falliti della vita” tendono solidarietà sociale, che le esigenze stesse infatti ad essere presentati, dall’uno e daldi fare della nazione un quadro comune di l’altro versante, come il prodotto di una appartenenza hanno imposto. Losurdo, in limitatezza, anzi di una vera e propria realtà, coglie la costruzione dello stato inferiorità costitutiva che riguarda i sogsociale soprattutto come conquista de- getti interessati. Sulla base di una serie di Pensare una seconda Repubblica Liberismo federalismo postfascismo 9 dichiarazioni rinvenibili in autorevoli esponenti della tradizione liberale, Losurdo intende mostrare come si annidi nello stesso nocciolo ideologico del liberalismo una visione che porta a “razzizzare” i ceti sociali svantaggiati come non capaci. Il proposito quindi di derubricare la questione meridionale dall’ambito delle emergenze nazionali e la tendenziale cancellazione dello Stato sociale costituiscono dei processi convergenti. Come non vi è discontinuità tra federalismo e neoliberismo, così, prosegue Losurdo, non ve n’è tra liberalismo e fascismo. Ciò che si compie oggi in Italia sarebbe quindi una ripetizione, una prosecuzione della svolta autoritaria-conservatrice di fine secolo sollevata dai cannoni di Bava-Beccaris e, ad altro livello, significativamente teorizzata da Sonnino nel suo famoso articolo Torniamo allo Statuto! (non a caso ripreso in uno scritto di Gentile alla fine del 1924). Si tratta sostanzialmente del fatto che lo stesso fascismo si è voluto presentare come momento di affermazione del liberalismo in lotta contro la democrazia, e non come sua antitesi tout court. Così, in continuità con la storia d’Italia dell’ultimo secolo, nell’avvento della seconda Repubblica, fa notare Losurdo, si può riscontrare il prodursi di un “terzo colpo di stato”, dopo quello dell’Ottocento e quello sfociato nella dittatura mussoliniana. In tutte e tre i momenti sono individuabili alcune caratteristiche comuni: gli attacchi portati contro la democrazia considerata come una sorta di degenerazione (con i suoi partiti di massa e i sindacati) nei confronti del regime liberale puro; l’alleggerimento del carico fiscale a favore delle classi abbienti e la redistribuzione della ricchezza a svantaggio delle classi popolari; l’esclusione dai diritti politici dei non proprietari. Alla svolta politica si accompagna il revisionismo storico, che ha di mira la cancellazione dei caratteri popolari, democratici, nazionali, contenuti nei tre eventi storici fondamentali che hanno segnato la storia d’Italia (anche se il primo solo di riflesso): la Rivoluzione Francese, il Risorgimento, la Resistenza. Di fatto, sostiene Losurdo, nel nostro Risorgimento convergono i due versanti della Rivoluzione Francese, quello delle aspirazioni nazionali e quello delle aspirazioni sociali o democratiche. Lo Stato nazionale uscito dal Risorgimento costituisce per le masse popolari un nuovo terreno più avanzato in cui far valere le loro richieste. Per Losurdo la rivoluzione nazionale e democratica italiana non può dunque che mantenere come suo antecedente e come ideale punto di riferimento il model- CONFRONTO lo della Rivoluzione Francese, che va pertanto difesa dagli attacchi dei revisionismi storici, poiché ad essa spetta «il merito di aver promosso l’abolizione della schiavitù nelle colonie, la proclamazione dei diritti dell’uomo e la connessa emancipazione, oltre che dei neri in catene, anche degli ebrei confinati nei ghetti, l’estensione dei diritti politici a quasi tutta la popolazione adulta maschile, la teorizzazione del “dirit- to alla vita”, del diritto all’istruzione, ecc.». Allo stesso modo, avverte Losurdo, anche la Resistenza va messa al riparo dai tentativi di farne un mero evento di guerra civile, che tende a rimuoverne il significato di movimento di liberazione nazionale, rivoluzione sociale e democratica, orizzonte ideale antimperialistico, anticolonialistico, antirazzistico. Svalutare il significato della Resistenza è stravolgere l’identità che si è data il il nostro paese dopo la fine del fascismo, e in antitesi ad esso. L’opera di Domenico Losurdo è stata presentata l’11 febbraio 1995 in un incontro pubblico presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, a cui hanno partecipato, oltre all’autore, Francesco M. De Sanctis, Alberto Burgio e Roberto Esposito. Dei loro interventi presentiamo qui di seguito i testi. La tesi del secondo capitolo è che tale ritorno alle forme più crude del liberismo scandisce la storia dell’Italia unita, attraverso tre stadi, che s’identificano con altrettanti tentativi di colpo di stato; uno tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, un altro con il fascismo e l’ultimo con l’avvento della seconda Repubblica. Tre colpi di stato accomunati, sotto il profilo della strategia complessiva, da una critica delle degenerazioni della democrazia, da una presa di distanza della Rivoluzione Francese, dalla revisione di tutte le organizzazioni di massa, in primis i partiti ed i sindacati. In ognuno dei colpi di stato la democrazia è specificamente criticata come democrazia sociale legata ai diritti sociali, cui consegue un’avversione radicale nei confronti dei soggetti del pluralismo, ed un recupero sinistro di vecchi sistemi e metodi elettorali. Sul piano delle procedure decisionali, la situazione che si determina è prossima al “doppio stato” di Fraenkel, nel senso che lo stato normativo, di diritto, il Normenstaat, è svuotato dall’interno dal Massnahmenstaat, dallo Statoprovvedimento, da una prassi che non opera attraverso i canali costituzionali della discussione e del controllo parlamenatre, ma attraverso un’ “eccezionalità”, normata per decreti. Tutto questo si svolge entro un quadro sociale che vede l’Italia trasformata in una società dei due terzi, nella quale la bipolarità politica, giocata all’interno di un ceto sociale omogeneo, tende a refluire in un monopartitismo competitivo. Nel capitolo terzo campeggia la critica radicale del federalismo. Gli esempi selezionati da Losurdo (la Germania, gli Stati Uniti, in parte la Svizzera) mostrano come il federalismo, allorquando anteponga il particolarismo all’unità, subisca una torsione de-emancipativa. La stessa tradizione risorgimentale italiana, e nella sua versione conservatrice ed antidemocratica, - Gioberti, Rosmini e Balbo - e in quella democratica - Cattaneo, in particolare -, propone un federalismo costantemente estraneo alla prospettiva dell’unità d’Italia. Prospettiva che, invece, ben colgono Silvio e Bertando Spaventa, antifederalisti e precursori non solo dello stato unitario, ma anche dello stato sociale. Anche se, occorre qui obiettare, sono proprio gli Spaventa ad attestare una parentela con quella linea del liberalismo tedesco, da Lorenz Von Stein a Robert Von Mohl, che in un certo senso usava lo stato sociale in funzione correttiva della Rivoluzione Francese, cercando di ricuperarne i principi sotto il governo dell’idea di Stato. Parimenti, quando Losurdo afferma, nel quarto capitolo, che la libertà moderna si è costituita a partire da un nucleo di diritti inalienabili, sottratti allo scambio, al contratto ed al mercato, sostiene quella che rimane una grande prestazione del pensiero liberale - penso a Guizot -, che tuttavia Edmond Cherer, nel 1860 circa, designava la Democrazia in Francia di Guizot come un libro dettato dalla collera. Ebbene, anche il volume di Domenico Losurdo potrebbe dirsi dettato da un sentimento analogo e fondamentalmente condivisibile, che trascorre in una forte passione civile. Apparentemente, il libro di Losurdo si sofferma sulla nostra storia più recente. Ma il presente è qui legato ad una logica di sviluppo di un certo tipo di storia italiana, che ha radici molto lontane e che si iscrive in un complesso anche più vasto di sviluppo storico-ideologico di marca antiprogressista, in un’accezione ampia, non strettamente politica. Dinanzi alle tre parole d’ordine che compongono il sottotitolo (liberismo, federalismo, postfascismo) Losurdo prende polemicamente partito con grande probità intellettuale, privilegiando una precisa tradizione culturale e politica, interpretata e, verrebbe da dire, vissuta in una prospettiva antagonistica ed emancipativa. Da qui la matrice culturale del libro stesso, che individuerei nel binomio Rousseau-Marx, non in opposizione ad Hegel come in un certo marxismo teorico italiano - , ma completatosi con Hegel e, attraverso l’intermediazione degli Spaventa, radicatosi nella tradizione marxista, di cui qui si privilegia la linea Gramsci-Togliatti. La nettezza della scelta di campo, insieme alla forza della matrice culturale, conferisce a Losurdo una chiave di analisi molto sicura di una reatà confusa, rispetto alla quell’intera sinistra italiana che appare, a sua volta, disorientata. Nel primo capitolo Losurdo prende spunto da tre figure emblematiche della nostra storia recente, che sono il picconatore, il maestro e il leader. Dove il picconatore rappresenterebbe colui che sferra il primo attacco ad un certo assetto costituzionale; il maestro colui che avrebbe lanciato la parola d’ordine federalista; il leader, infine, colui che avrebbe affossato una repubblica, di cui è il continuatore di una parte molto poco luminosa. Denominatore comune di queste figure, che si consolidano in un movimento politico sociale, non è solo il federalismo, quanto una weberiana legittimazione etica della posizione sociale dei più abbienti e felici. A questo processo si accompagnerebbe, da un lato, la rimozione dello stato sociale, dall’altro la marginalizzazione e l’espulsione degli “infelici” come esito del tutto naturale di una dinamica selettiva. Il passo verso la “razzizzazione” diviene, così, molto breve e tende a coincidere con il postulato secondo cui gli infelici meritano l’infelicità e devono permanervi. Francesco M. De Sanctis 10 CONFRONTO riabilita l’idea fortemente centralistica dell’amministrazione, tipica del modello francese. Analoga sfiducia nella società civile e nel mercato come dimensioni salvifiche è manifestata, hegelianamente, ancora da Stein e da Mohl. Il principio di sussidiarietà che oggi si applica al federalismo nasce all’interno della teoria mohliana, di cui costituisce una sorta di trasposizione dal piano dei rapporti tra individuo e Stato alla dialettica tra Stato unitario e Stati confederati. Nel capitolo quinto, Losurdo dirige la polemica contro la storiografia revisionistica, che, lungo la linea tracciata da Furet, mirerebbe a sovvertire tre nodi fondamentali che innervano la costituzione e la storia unitaria italiana: la Rivoluzione Francese, il Risorgimento italiano e la Resistenza. Programmaticamente, nel sesto capitolo, Losurdo rivendica l’urgenza di mantenere forte la continuità tra Risorgimento, Resistenza e valori costituzionali, contro ogni revisionismo che interpreti il Risorgimento in una prospettiva imperialistica e la Resistenza come guerra civile e non come conflitto di liberazione nazionale e di rivoluzione sociale. Riannodando questi momenti della storia nazionale al pettine del presente, l’autore, in aperto contrasto con la subalternità della sinistra italiana, formula una critica serrata del sistema maggioritario, del congedo dai partiti di massa, del coro di consensi che ha accompagnato l’intervento italiano nella guerra del Golfo. dalla borghesia europea tra Seicento e Settecento) emerge con la massima evidenza nella sua variante liberista, dove la battaglia per la libertà economica si salda al rifiuto di qualsiasi intervento pubblico contro la povertà, considerata come diretto effetto dell’incapacità o dell’ignavia degli indigenti. Il razzismo (nella sua variante socialdarwinistica in particolare) si inserisce qui: la trascrizione in chiave naturalistica delle gerarchie sociali e iinternazionali agisce come teodicea della disuguaglianza sociale e della violenza del sistema economico. In questo senso tra razzismo e liberismo vige un legame necessario, stretto all’insegna di quello che Rousseau chiama pensiero servile, riferendosi a quanti ritengono che in società la disuguaglianza naturale e quella sociale vadano di pari passo e che quest’ultima non sia se non il riflesso immediato della prima. Contro la vulgata che nega l’esistenza di un razzismo italiano, bene fa Losurdo a riprendere le “spiegazioni” naturalistiche del sottosviluppo meridionale (e più in generale delle gerarchie sociali) fornite dall’antropologia lombrosiana, “spiegazioni” alla base del senso comune (la vocazione all’ignavia e all’illegalità dei “terroni”) oggi trasfigurato come “scienza” e legittimato politicamente dal “leghismo”. Il carattere particolaristico della posizione liberale costituisce la premessa dell’analisi della seconda grande questione, il tema dello Stato e dello “statalismo”, politicamente cruciale in una vicenda, come quella italiana, segnata dal tardivo approdo all’unificazione nazionale. La generale avversione allo “statalismo” e l’altrettanto generale opzione per una maggiore libertà della società civile (per il “mercato”) fanno riferimento, di norma, all’eccesso di vincoli posti dallo Stato e agli effetti perversi generati dalla presunta ipertrofia della macchina statale (lentezze e disfunzioni della burocrazia; inefficienza, parassitismo; sprechi, ecc.). Losurdo mostra come, ben più che dalle disfunzioni e dagli sprechi, l’avversione per lo Stato tragga spunto dall’insofferenza nei confronti di qualsiasi interferenza nella gestione del capitale finanziario e della proprietà privata dei mezzi di produzione. Qualsiasi critica “antistatalistica” viene meno di fronte ad uno Stato che assume le funzioni del finanziatore dell’impresa e che risponde con la violenza legale ai contraccolpi sociali della deregolazione in campo economico. Quanto emerge dall’analisi dell’ambivalenza dell’“antistatalismo” è l’attuale subalternità ideologica di una sinistra fermamente attestata sulle posizioni del proprio avversario storico, di una sinistra che, introiettato nel profondo il mito del privato, non si avvede di lavorare, con uno zelo degno di miglior causa, per la svendita del patrimonio pubblico e per lo smantellamento dello stato sociale. I miti dell’efficenza del privato e della libertà economica impongono la rinuncia a difendere le componenti più deboli della società. Il mito federalista è la terza grande questione che Losurdo mette a fuoco, e non è senza significato che l’analisi del federalismo segua quella della posizione liberale-liberista e della polemica antistatalista. In tale sequenza è leggibile, invece, un’indicazione precisa e rilevante: l’idea che l’ipotesi federalistica costituisca il trionfo della di- Il motivo delle aspre polemiche suscitate da questo libro risiede a prima vista nel sue essere un libro politico. In realtà, tale asprezza si deve al fatto che non si tratta di un libro politico nel senso comune del termine, bensì di un libro di “critica storica” del presente politico. Questo libro costringe a fare i conti con la storia, grande assente - come sempre nelle fasi di regressione individuale e collettiva - dal dibattito politico contemporaneo, italiano e non solo. Il libro affronta in prospettiva storica tre temi teorici (liberalismo, Stato e unità nazionale) ritenuti cruciali nella costruzione di quella “cultura del particolare” che per Losurdo sembra costituire l’ideologia portante del movimento regressivo in atto in questi anni nel nostro paese. L’analisi di tali temi teorici mira a porre in rilievo, alla luce della vicenda storica degli ultimo centocinquant’anni, la carica ideologica che ne caratterizza l’immagine recepita. Cos’è il liberalismo? Alla definizione condivisa, che in esso legge un sinonimo di intransigente difesa della libertà individuale, la storia che Losurdo ricostruisce mostra viceversa come la tradizione teorica e politica liberale si sviluppi intorno alla rivendicazione della libertà “della proprietà”, e come a quest’ultima determinazione si accompagni inevitabilmente la tendenza a contrastare le istanze non compatibili con il pieno godimento dei possessi privati, a cominciare dai diritti del lavoro. Il carattere particolaristico del liberalismo (che rivela l’ambivalenza della stessa lotta di emancipazione combattutta Alberto Burgio 11 CONFRONTO namica di frammentazione del legame sociale propria del All’analisi teorica sin qui richiamata Losurdo intreccia liberalismo e, per così dire, la sua “verità”. Anche qui una sintesi per molti versi originale della storia italiana l’ideologia (l’ingenua equivalenza tra federalismo e auto- dal 1848 a oggi. La cultura del particolare di cui abbiamo nomia, autogoverno e libertà) si scontra con la realtà di un sin qui discusso si è manifestata lungo l’intero arco della movimento antinazionale tradizionalmente teso alla riven- storia unitaria, per Losurdo comprensibile solo come dicazione del diritto alla particolarità: è la “sollevazione dei terreno di un incessante conflitto tra emancipazione e dericchi” di Max Frisch, dove l’istanza base - coerente con la emacipazione, tra dinamiche progressive, innescate da lotta aristocratico-feudale contro la centralizzazione statua- lotte operaie e di massa tese alla “generalizzazione” dei le - è il rifiuto di socializzare le condizioni di vantaggio benefici della cooperazione sociale, e fasi di regressione, acquisite. Riconoscere l’essenza del federalismo nella fram- caratterizzate dallo svuoramento delle conquiste popolamentazione sociale permette di scorgere una sostanziale ri e dalla “privatizzazione” della ricchezza sociale. In affinità tra federalismo e fascismo, dove è tutt’altro che questo contesto spicca la ricostruzione dei tre momenti: dirimente la forma specifila “normalizzazione” proca in cui tale frammentamossa dalle cannonate di zione viene attuata, se in Bava-Beccaris e sancita virtù di una formale ristrutdalle leggi Pelloux; il fasciturazione “geopolitica” delsmo (e , alle sue spalle, il lo Stato o in forza di politicolpo di forza della monarche economiche e sociali chia per imporre l’ingresso funzionali a determinare dell’Italia nella grande forti e difficilmente reverguerra europea); e infine la sibili sperequazioni tra le “deriva autoritaria” in cordiverse regioni del paese. so, inaugurata formalmente dalla riforma elettorale e Se nei processi in atto - in favorita dal monopolio sui particolare nel nesso tra rimedia. forma elettorale maggioritaria e progetti di riforma L’accenno ai media evoca costituzionale in senso feun problema scabrosissimo. deralistico (nesso rinsaldaAlludo al problema della to dall’assetto oligopolisti“forza straordinaria della co del sistema delle comunipubblicità” (per riprendere cazioni di massa) - Losurdo l’espressione di Le Bon cara scorge un «ambizioso proa Mussolini), al problema getto di controrivoluzione» “politico” e “teorico” rapcaratterizzato dal «tentatipresentato dalla capacità vo di procedere a una giche un formidabile mezzo gantesca epurazione della di liberazione qual è di per società “liberaldemocratisé il sistema delle comunica” dagli elementi [...] di cazioni di massa ha di divedemocrazia e, a maggior, nire strumento di governo ragione, di democrazia soautoritario: luogo di origiciale», è perché - facendo ne della trasformazione del tesoro della lezione grampubblico in “folla solitaria” sciana (e, alle spalle, lenie dunque fondamento delniana) - egli considera inel’“individualismo repressiAlcide De Gasperi di ritorno dagli USA ludibile e decisivo il rapvo” tipico di regimi plebi(aereoporto di Vergiate, dicembre 1945) porto tra questione nazioscitari caratterizzati dal rapnale (difesa dell’unità dello Stato democratico) e questio- porto immediato tra singoli e capo carismatico. Questo ne sociale (tutela degli interessi deboli ed emancipazione schema pone grandi difficoltà teoriche e politiche: afdelle classi subalterne). In virtù della sua unità lo Stato frontare il problema della potenza egemonica dei media nazionale è lo spazio della lotta per l’emancipazione implica appellarsi alla coscienza comune, affinché prendelle masse popolari: lotta per due ragioni generale, da “atto della sua stessa inadeguatezza”. Da questa perché di massa e perché tesa alla generalizzazione dei contraddizione reale trae da sempre forza la posizione benefici (diritti e condizioni materiali) dell’interazione demagogica: oggi, in particolare, la polemica “antipartisociale. Su questa base Losurdo coglie un nesso saldo tra tocratica” e l’argomento “democratico” delle elezioni rottura dell’unità nazionale, smantellamento dello Stato subito e dell’elezione diretta del premier o del presidente sociale e de-emancipazione delle masse popolari; in della Repubblica. questo senso, ancora, nel venire meno della sinistra a una Ma è un altro il tema su cui vorrei, in chiusura, soffermarfunzione nazionale egli legge il segno di un totale oscurarsi mi; un tema in relazione al quale Losurdo mi pare offrire della stessa coscienza di classe della parte politica chiamata un contributo molto rilevante. Mi sembra infatti che a rappresentare gli interessi popolari. questo libro aiuti a impostare correttamente il problema 12 CONFRONTO “storico” dei rapporti tra fascismo (ventennio mussoIl rischio cui questo libro di LoRoberto liniano), regime liberale e Stato repubblicano, e per ciò surdo espone il lettore è quello di Esposito stesso la questione “teorica” del valore categoriale una risposta irriflessa dettata più (idealtipico) del termine “fascismo” (cioè della possida una sintonia - o distonia bilità di assumere tale termine quale “nome comune” immediata che da un giudizio atto a designare un assetto sociale e una forma del critico. Esso è talmente carico di dominio politico). phatos e di passione civile, talmente schierato su una posizioIl fascismo italiano diede vita a un sistema di comando ne netta e intransigente, che spinpolitico tendenzialmente monocratico volto a realizge ad una valutazione altrettanto zare, attraverso la gestione particolaristica dello Stato, la privatizzazione della ricchezza sociale e la sterilizza- secca, o tutta positiva o tutta negativa. Ebbene, quello che zione del conflitto sociale e politico. Di ciò Losurdo tenterò di fare è sfuggire a questa alternativa bloccata, fornisce ampia documentazione. Ora, il punto è che in guadagnando uno spazio di distinzione e di differenza: entrambi i casi il fascismo si pone in sostanziale conti- intanto rispetto ai piani sui quali il libro si muove, vale a nuità con le tradizioni politiche liberali, che il regime di dire quello storico, quello filosofico e quello politico. So Mussolini si limita, in ultima analisi, a “radicalizzare”. bene che in questo modo - predicando non solo la necesLosurdo ricorda Togliatti secondo cui il fascismo va sità, ma anche l’opportunità della distinzione tra questi inquadrato nella vicenda del “liberalismo storpio” italia- piani - mi pongo dentro un quadro ermeneutico che non no e la responsabilità storica del suo avvento incombe su è quello dell’autore, assai più portato ad unire che a «quei democratici, quei liberali che, in fondo, avevano separare storia, filosofia e politica. Ma rivendico fin tutti nel cuore il fascismo». Soprattutto, alla luce di tali dall’inizio la legittimità di un metodo, diciamo così, premesse sembra possibile affermare che “elementi di altrettanto kantiano quanto quello di Losurdo è hegeliano. fascismo” (ambiti, soggetti, interessi avversi alla logica Partiamo dal primo livello di discorso: quello storico. generalizzante democrazia) innervano la normalità quo- Non ho esitazioni, da questo punto di vista, a condividere tidiana della società liberale; che se il fascismo storico la battaglia di Losurdo per una riconquista della memoria segna un mutamento rispetto al regime liberale, è tuttavia storica in una stagione in cui, dietro il revisionismo sbagliato istituire tra fascismo e ordine liberale una imperante, si cela, neanche tanto occultamente, un vero cesura “ontologica”, scorgere tra loro, secondo quanto e proprio progetto di cancellazione della storia. E Losursuggerisce la metafora crociana della parentesi, una do fa bene a sollevare una polemica esplicita e ben radicale alterità. Non in una pretesa “mutazione geneti- argomentata ad esempio sulla riduzione della Resistenza ca” del regime liberale prende forma il fascismo, bensì dalla categoria di rivoluzione nazionale a quella di guerra quale espressione radicale del classico, insuperabile con- civile. Ciò che conta è la natura e la direzione di tale flitto tra liberalismo e democrazia. “guerra civile”, la sua iscrizione o meno in un quadro di Questo conflitto rende ragione della ricorrenza dei tenta- liberazione nazionale. Ora è proprio questa profondità di tivi che la borghesia compie allo scopo di «depurare il più campo che la storiografia - e, tanto più, la cronaca - va possibile il regime liberale dagli elementi di natura perdendo in una sorta di livellamento superficiale in cui democratica o sociale». E rende conto altresì del fatto che sembra nuovo ciò che ha invece una lunga storia; o questi tentativi - nei quali si riassume la logica stessa del addirittura ciò che ci riporta indietro nel tempo, come conflitto di classe - non vengono mai meno. Il che, per accade per molte delle vicende politiche, sociali e istituvenire alla più recente vicenda italiana, spiega perché, zionali dell’Italia di oggi. come scrive ancora Losurdo, «la storia della Prima Rileggere tutto quanto è avvenuto in questi anni nel Repubblica è la storia dei tentativi eversivi che hanno nostro paese come il semplice effetto di “tangentopoli” cercato di affossarla». continua giustamente Losurdo - significa schiacciare un L’ultimo tentativo si affermare il principio della partico- passaggio storico di grande complessità e articolazione larità (il privilegio di pochi a prezzo della sudditanza sull’immagine più ravvicinata, essa stessa effetto, e non civile e politica dei molti) è quello con il quale, in questi causa, di qualcosa di retrostante: e cioè di quella ristrutmesi cruciali per la nostra democrazia, si vorrebbe dare turazione dei poteri assai più profonda che ha trovato vita a una nuova Repubblica nella quale la politica si espressione nell’alleanza strategica di liberalismo e federisolva nell’immediato confronto tra masse atomizzate e ralismo. Questa, almeno, è la tesi di Losurdo, appoggiata capi plebiscitati e il “pubblico” si riduca a una quantità di ad un’analisi di lungo periodo che rintraccia le radici individui esteriormente e passivamente collegati dalla ideologiche di quanto sta accadendo in una genelaogia scelta per un medesimo prodotto sul mercato delle merci che arriva ai classici della tradizione liberale, da Hayek a o della politica. È l’ultimo tentativo, ancora in corso: se Von Mises, fino a Mill, Constant, Tocqueville e addiritfallirà lo dovremo in massima parte al tempestivo costi- tura a Locke. Devo dire, tuttavia, che proprio nella tuirsi di una consapevolezza diffusa della sua logica e dei ricostruzione di questa genealogia retrospettiva si cela un suoi eventuali effetti devastanti, una consapevolezza rischio non indifferente di appiattimento storico-concetalla cui diffusione questo libro dà un contributo fon- tuale. Losurdo si diverte - così a volte sembra - a evidenziare la radice antidemocratica, a volte addirittura razzidamentale. stica, del liberalismo di alcuni grandi autori. La cosa non è difficile, visto che l’individualismo, e dunque anche il liberalismo, nascono dentro la cornice dello Stato assolu13 CONFRONTO to. È ovvio che in tutti i pensatori sei, sette e anche demarcazione tra destra e sinistra in ordine al parametro ottocenteschi ci siano venature, toni, contenuti oggi asso- epocale costituito dalla modernizzazione. L’oscillazione lutamente inaccettabili in ambito di diritti umani, civili, e l’indecisione filosofica della destra e della sinistra nei sociali. Il problema è quello di inserire tali elementi nel confronti della modernità è costante. Ad esempio: Nietzcontesto da cui provengono e valutarli in base ad esso. sche, Bataille, Benjamin, Simone Weil, Canetti, BlanAltrimenti dovremmo concludere che Machiavelli era un chot sono autori di destra o di sinistra? La verità è che essi pericoloso criminale, Agostino un affossatore dei diritti sono autori essenzialmente impolitici e che, se “tradotti” umani e Aristotele un bieco schiavista. Lo stesso Hegel in politica, sono resi contemporaneamente di destra e di riteneva l’America qualcosa di irrilevante nella storia del sinistra dalla loro estraneità alla tradizione liberaldemomondo; e Husserl escludeva francamente esquimesi e cratica. zingari dall’autentico genere umano. E veniamo alla politica. Anche da questo lato sono molti Certo - potrebbe osservare Losurdo - la questione è anche i punti d’accordo con Losurdo; soprattutto nei confronti filosofica. Io - da questo punto di vista - mi spingerei dell’ingenuità di coloro che hanno confuso una serie di ancora più in là di quanto non faccia l’autore nel rifiutare una passaggi istituzionali, quali il mutamento del sistema eletreale consistenza filosofica al recupero del liberalismo. torale, con l’acquisizione di una moderna democrazia. Filosofia e politica, oggi, non sono più sovrapponibili Francamente non saprei quanto il federalismo leghista concettualmente, categorialmente, linguisticamente. Da giochi in questa vicenda. Certo è innegabile che la cancelun lato l’autentica filosofia non può pensare la politica lazione della questione meridionale come questione nache nella figura della comunità; ma appunto la parola zionale costituisca un oggettivo punto d’intersezione tra “comunità” è impronunciabile nell’Occidente liberale; federalismo e liberalismo antisociale. Sarei meno proclidall’altro la “libertà” della tradizione liberale è assoluta- ve, tuttavia, ad avvicinare entrambi a una prospettiva mente piatta, non ha alcuno spessore filosofico, non è neofascista. La questione di fondo resta un’altra. In Italia traducibile in un linguaggio filosofico. lo scontro in atto è tra due schieramenti borghesi che si Le uniche due potenze filosofico-politiche di questo affrontano senza esclusione di colpi. Ma ciò significa che secolo sono state comunismo e fascismo, rispetto alle ci si debba tenere fuori da questa competizione? Io non quali sia il liberalismo di tradizione settecentesca, sia la credo. Non lo credo perché comunque tra questi due democrazia di tradizione ottocentesca non sono stati schieramenti ce n’è, se non uno migliore, certamente uno “filosoficamente” pensati. Nel nostro secolo la filosofia, peggiore. E in politica la prima regola è evitare il peggio; per così dire, è appartenuta agli estremi, quasi mai al almeno in una politica che voglia assumere l’etica della centro. È questo che rende questo secolo filosoficamente responsabilità come proprio principio. Per chi voglia, corto, stretto tra le due date “metafisiche” del 1917 e del invece, scegliere l’etica della convinzione vi sono tante 1989: né prima né dopo c’è stata una vera filosofia della altre strade. Ma nessuna di esse passa per la politica. politica del Novecento. Certo, questo vale soprattutto per il liberalismo. Per la La mia rilettura del liberalismo Domenico democrazia le cose sono già diverse; ma ciò proprio prende le mosse dal riconosciLosurdo perché la democrazia, almeno in una sua parte - quella mento di un punto forte di queldi derivazione roussoviano-marxiana - è paradossalla tradizione di pensiero: conmente più vicina al totalitarismo che al liberalismo: è trariamente alla vulgata marxiil suo rovescio, nel senso che è sempre sospesa al sta, non intendo affatto minirischio di ricadere in esso, come ben sanno i teorici mizzare il ruolo della «libertà della “democrazia totalitaria”. Ora è proprio questo negativa»; si tratta invece di che Losurdo nega quando avvicina al totalitarismo il mettere in evidenza le clausole liberalismo, ma non la democrazia: la mia impressione d’esclusione che per secoli hanè che su questo punto si sbagli. Il liberalismo è nato no accompagnato la sua definizione. Locke parla come dall’assolutismo, ma, come del resto quest’ultimo, non di un fatto ovvio e pacifico dei «piantatori delle Indie ha nulla a che vedere con il totalitarismo, appunto perché Occidentali», i quali posseggono schiavi e cavalli in incapace di pensare in termini di comunità. E proprio base ai diritti acquisiti con regolare contratto di comperché filosoficamente inabilitato a pensare la comunità, pravendita. Il grande teorico della limitazione del il liberalismo è sempre politicamente in salvo dallo potere statale vorrebbe veder sancito nella costituzioscivolamento totalitario. ne di una colonia inglese in America il principio per E questa è una prima obiezione di merito alla tesi di cui «ogni uomo libero della Carolina deve avere assoLosurdo. Ce n’è poi una seconda, logicamente legata alla luto potere e autorità sui suoi schiavi negri qualunque prima. Nel nostro secolo destra e sinistra sono state tra sia la loro opinione e religione». D’altro canto, dalla loro più vicine di quanto Losurdo non voglia ammettere; biografia di Maurice Cranston sappiamo degli investie anzi avvicinate proprio dalla comune contrapposizione menti effettuati dal filosofo liberale inglese nella alla liberaldemocrazia. Per negare questo dato - proposto tratta dei neri. Basta già questo per rendersi conto di non solo da Nolte e Del Noce, ma ormai da una vasta quanto sia agiografica la tesi di Bobbio, secondo cui storiografia - Losurdo è costretto a sfumare i caratteri bisognerebbe far risalire a Locke «l’idea che l’uomo sociali del fascismo e quelli totalitari del comunismo. Ma in quanto tale ha dei diritti per natura». le cose non cambiano: si pensi solo alla difficoltà e, in Se esaminiamo la concreta realtà politico-sociale del ultima analisi, all’arbitrarietà, di individuare una stabile mondo proto-liberale vediamo che, oltre agli schiavi 14 CONFRONTO delle colonie, dal godimento della libertà negativa sono Nell’Inghilterra liberale del diciottesimo secolo, una esclusi, nella metropoli capitalistica, anche i poveri o canzone divenuta assai popolare (Rule Britannia) così “vagabondi”, rinchiusi in massa nelle “case di lavoro”. inneggia all’Impero che ha da poco strappato alla Spagna Nei confronti di tale istituzione totale non ha obiezione l’Asiento, il monopolio della tratta dei neri: «Questo fu il alcuna Locke, il quale anzi esige il pugno di ferro nei suo privilegio divino, /che gli angeli cantarono in coro: / confronti dei “vagabondi” cui, nei casi più gravi di “Oh Britannia, comanda alle onde, /Mai gli inglesi saranindisciplina, dovrebbe essere inflitto il taglio delle orec- no schiavi”. A distanza di un secolo, negli USA dove chie, la deportazione nelle colonie o la pena capitale. A ancora è vivo e vitale l’istituto della schiavitù, Francis ben guardare, è il lavoro in quanto tale ad essere escluso Lieber, interlocutore di Tocqueville, parla della «razza dalla libertà. Se Grozio distingue tra servitus perfecta (la “anglicana”» come dell’unica capace realmente di intenschiavitù propriamente detta) e servitus imperfecta (pro- dere e volere i principi della libertà autentica, la «libertà pria sia dei servi della gleba sia dei mercenarii o salaria- “anglicana”». ti), Locke distingue tra la Rileggiamo alcuni testi condizione dello schiavo, classici della tradizione lila perfect condition of slaberale alla luce della realtà very, e la condizione del politico-sociale in cui si colservant salariato, il quale, locano. Ad apertura del suo in virtù del contratto di laprimo Trattato sul govervoro, rinuncia alla libertà: no, Locke condanna con pa«Un uomo libero si fa serrole di fuoco il dispotismo vo di un altro». Pur con le monarchico come una fordifferenze specifiche che lo ma di “schiavitù” e una caratterizzano, il lavoro in condizione “vile e spregequanto tale continua ad esvole”, apparentemente per sere sussunto, anche dal fil’ “uomo” in generale, ma, losofo liberale inglese, sotin realtà, soprattutto per to la categoria di servitus. Il l’Englishman e in modo servant è assoggettato alla tutto particolare per il genpatria potestas del master tleman: è per questo che il della cui famiglia entra a filosofo non avverte confar parte: il modello è ancotraddizione tra tale celebrara una volta anticheggianzione della libertà e l’afferte, è la famiglia aristotelica mazione contenuta nel secoi suoi famuli, servi e condo Trattato ( 85), seschiavi. condo cui ci sono uomini Un illustre studioso delle «per legge di natura soglingue e delle istituzioni getti al dominio assoluto e indo-europee, E. Benveniall’incondizionato potere ste, ha fatto un’importante dei loro padroni». osservazione a proposito Allorché presenta, nel dell’etimologia del termi1775, la sua «mozione di ne “libero”: «Il senso origiconciliazione» con le colonario non è, come si sarebnie americane, Burke scribe portati a credere, “sbave indubbiamente una parazzato da qualche cosa”, gina alta della storia della Benedetto Croce e Don Luigi Sturzo (1952) bensì è quello di appartetradizione liberale. Ma sanenza a un gruppo etnico, rebbe errato sorvolare sulle designata mediante una metafora di crescita vegetale. motivazioni addotte: non si può negare la libertà a coloro Tale appartenenza conferisce un privilegio che lo stranie- che fanno parte di «una nazione nelle cui vene circola il ro e lo schiavo non posseggono». Liberi sono coloro che sangue della libertà», ai membri della «razza eletta dei «sono nati e si sono sviluppati congiuntamente». D’altro figli d’Inghilterra», tutti adoratori della «libertà». È una canto, i termini servus e doulos fanno riferimento in questione di “genealogia”, contro la quale impotenti si primo luogo ad una condizione di non appartenenza, di rivelano gli “artifici umani”. Legata com’è ad una comuesclusione. E cioè, la dicotomia libertà/schiavitù si con- nità determinata, la libertà non costituisce un valore figura originariamente come la dicotomia comunità dei propriamente universale: essa è particolarmente cara, liberi/comunità (o non comunità) degli schiavi, ovvero «nobile» e «liberale» proprio ai coloni americani procome la dicotomia razza dei liberi/razza dgli schiavi. prietari di schiavi. Al whig inglese sembra riallacciarEcco allora che la celebrazione della libertà può ben si John C. Calhoun, il quale dichiara, alla vigilia della coniugarsi con l’autoproclamazione da parte di un grup- Guerra di Secessione, che «la difesa dell’umana libertà po etnico e sociale di essere l’interprete privilegiato o contro le aggressioni del potere dispotico è sempre stata esclusivo del valore della libertà. massimamente efficiente negli Stati dove si è affermata 15 CONFRONTO la schiavitù domestica». Dobbiamo negare la qualifica di liberale a questo autore e statista americano, teorico intransigente del governo limitato e dello Stato minimo ma, al tempo stesso, inflessibile avversario dell’abolizionismo? Ma allora tale qualifica bisognerebbe negarla anche a Locke. Il fatto è che la giustificazione della schiavitù non è un semplice incidente di percorso della tradizione liberale. La celebrazione della libertà come segno di elezione comporta talvolta l’esclusione, oltre che dei “barbari”, persino di popoli collocati all’interno della comunità occidentale. Dalla “razza” e dalla «libertà “anglicana”», Lieber esclude non solo i neri, ma anche, sia pure in modo meno rigido, «gli spagnoli, i portoghesi, i napoletani» e gli stessi i francesi, capaci di innalzarsi solo ad una spuria «libertà gallica» o «gallicana» che in realtà è sinonimo di centralizzazione estrema e di dispotismo. In modo analogo argomenta John Stuart Mill: inadatti al «governo rappresentativo» (che s’incarna in primo luogo negli anglosassoni) risultano le «razze» considerate «minorenni», ovvero la «grande maggioranza della razza umana»; ma scarsamente adatti si rivelano anche i popoli del «mezzogiorno d’Europa» e le «nazioni continentali» (in particolare la Francia). Infine, la comunità dei liberi può escludere da sé i barbari collocati nell’ambito dello stesso territorio nazionale. Gli afro-americani o i pellerossa non sono affatto le uniche vittime di tale logica. Oggetto di razzizzazone possono essere sia gruppi etnici che sociali. Nell’Inghilterra proto-liberale, l’atteggiamento dominante nei confronti del «nuovo proletariato industriale» è così duro - sottolinea il grande sociologo inglese Tawney - «da non trovare riscontro ai nostri tempi se non nel comportamento dei più abietti colonizzatori bianchi verso i lavoratori di colore.» In effetti, Locke afferma che un lavoratore salariato «non è in grado di ragionare meglio di un indigeno»; l’uno e l’altro non hanno ancora raggiunto il «livello di creature ragionevoli e di cristiani». A sua volta, Sieyès così si esprime: «Una grande nazione è necessariamente composta di “due popoli”», in qualche modo di due razze differenti e di diverso valore, dato che da una parte abbiamo i «capi della produzione», dall’altra gli «strumenti umani della produzione», ovvero le «macchine da lavoro», questa «folla immensa di strumenti bipedi, priva di libertà, priva di moralità, priva di vita intellettuale», e quindi incapace di libertà. L’esclusione che si è rivelata la più tenace è quella a danno dei “barbari” del mondo coloniale. Forse è vivo e vitale ancora ai giorni nostri il «sentimento di razza occidentale» di cui parla criticamente Toynbee. Dà comunque da pensare il pathos con cui Hayek celebra l’ “uomo occidentale”. Il patriarca del neoliberismo è un dichiarato ammiratore di Lieber: si direbbe che la «libertà anglicana» sia ora divenuta la libertà occidentale e soprattutto anglosassone e la «razza anglicana» la comunità occidentale diretta dagli USA. Non ha senso descrivere la storia della libertà come la marcia vittoriosa della tradizione liberale la quale, dopo aver brillantemente superato gli ostacoli frapposti da altre tradizioni di pensiero (tutte ignare del valore della libertà), si conclude col trionfo definitivo dei giorni nostri. Al proto-liberalismo risulta estranea la tesi cara invece a Marx e Engels secondo cui non può essere libero un popolo che ne opprime un altro, una tesi che ha alle spalle la filosofia classica tedesca e la proclamazione dei diritti dell’uomo scaturita dalla Rivoluzione Francese. Ad abolire per prima la schiavitù nelle colonie è la Convenzione giacobina, mentre i liberali inglesi e americani gridano allo scandalo, e i coloni bianchi di S. Domingo minacciano la secessione dalla Francia per poter essere accolti tra gli States dell’Unione americana, dove la proprietà in schiavi neri continua a svilupparsi indisturbata. Possiamo d’altro canto comprendere il processo di decolonizzazione senza tener presente la tradizione rivoluzionaria che va da Toussaint Louverture (il “giacobino nero” che, prendendo sul serio la dichiarazione dei diritti dell’uomo, guida la rivolta degli schiavi di S. Domingo) a Lenin (che lancia l’appello agli “schiavi delle colonie” a spezzare le loro catene), o dobbiamo escludere dalla storia della libertà l’emancipazione delle «razze» a suo tempo considerate “minorenni” da John Stuart Mill? E invece, per la vulgata ideologica oggi dominante il giacobinismo è solo il padre del totalitarismo, il quale ultimo reintroduce - afferma Hayek - una sorta di schiavitù o di serfdom. Ma se così stanno le cose, non è dalla schiavitù propriamente detta che bisognerebbe prendere le mosse per comprendere la storia delle istituzioni totali? Elementi essenziali dell’universo concentrazionario novecentesco non hanno forse un precedente in certe pratiche (deportazioni, campi di concentramento) largamente presenti nella storia del colonialismo, e quindi nella storia di paesi-chiave della tradizione liberale? Se la tradizione rivoluzionaria russoiana, giacobina e marxista non è affatto estranea alla storia della libertà, della stessa libertà negativa, la tradizione liberale non risulta asetticamente estranea al fenomeno totalitario. La contaminazione si manifesta già a livello teorico. Dato che nell’ambito del proto-liberalismo, la celebrazione della libertà è la celebrazione della comunità, eletta ed esclusiva, dei liberi, non ci si può stupire del fatto che proprio a Burke, l’autore particolarmente caro ad Hayek e Dahrendorf, risalga la prima teorizzazione della “comunità” organica, della Gemeinschaft. Il termine non è altro che la traduzione che Gentz fa della partnership: contrariamente a quello che pensano i rivoluzionari francesi, essa «non vincola solo i vivi, ma i vivi, i morti e coloro non ancora nati»; essa è fondata su «un legame di sangue», che fonde in un’unità indissolubile «il nostro Stato, i nostri focolari, i nostri sepolcri e i nostri altari». Se cè una minaccia di digregazione e dissoluzione, essa proviene dall’esterno: non a caso, Burke è tra i primi a ricondurre la Rivoluzione Francese ad un complotto giudaico. Ho parlato di proto-liberalismo proprio per sottolineare la straordinaria capacità di adattamento della tradizione liberale la quale, sia pure sotto la pressione del movimento democratico e socialista, finisce col mettere in discussione, nei momenti migliori della sua storia, le consuete clausole d’esclusione nel godimento della libertà negativa e col fare concessioni a quel movimento anche sul terreno dei diritti materiali. E, tuttavia, fasi di de-eman16 CONFRONTO Manifestazione popolare a favore della Repubblica (maggio 1946) cipazione possono far seguito, e fanno seguito, a fasi di emancipazione. Si tratta di categorie per me centrali nella lettura della storia contemporanea, la quale inizia con due avvenimenti tra loro strettamente intrecciati: la rivoluzione del 1789 e il colpo di stato di dieci anni dopo che può contare sul sostegno offerto da personalità liberali come Sieyès, e, almeno inizialmente, Constant e Madame de Staël, e che si propone di spazzar via i motivi e le rivendicazioni democratiche e sociali emerse nel corso di un tormentato processo di radicalizzazione. Significativamente, la Proclamation du général en chef Bonaparte dichiara di voler procedere alla «dispersione dei faziosi» per assicurare il trionfo delle idées conservatrices, tutélaires, libérales. A distanza di oltre un secolo, Giovanni Gentile esprime la sua adesione al regime mussoliniano animato dalla convinzione di recuperare così l’autentico liberalismo, tradito dal “liberalismo democratico”. Da tale punto di vista, il fascismo si presenta come uno dei periodici movimenti di reazione con cui la borghesia depura o cerca di depurare il più possibile il regime liberale degli elementi di natura democratica o sociale considerati spurii. Ai giorni nostri, Hayek chiama ad espungere dal catalogo dei diritti i diritti economici e sociali che sarebbero da mettere sul conto dell’influenza, da lui considerata rovinosa, della “rivoluzione marxista russa”! Ancora una volta, si assiste al tentativo di procedere ad una gigantesca epurazione dalla società “liberal-democratica” degli elementi (o del maggior numero possibile di elementi) di democrazia e, a maggior ragione, di democrazia sociale, introdotti dalle lotte prolungate del movimento operaio e popolare. Che questa sia la reale posta in gioco lo riconosce anche un autore, Dahrendorf, certo non sospettabile di simpatie per i giacobini o i bolscevichi e che tuttavia critica il tentativo oggi in atto di procedere a ritroso rispetto all’«idea di diritti civili e sociali», di privare l’idea di diritto di quella «sostanza sociale» che è il risultato della «risposta della società aperta alle sfide della lotta di classe». 17 AUTORI E IDEE Unità abitative della “Grande Borne” a Grigny (Parigi) 18 AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE La città, il paesaggio: sociologia della cultura Su suggerimento di Michel Foucault di intraprendere una storia dei rapporti tra il corpo umano e lo spazio urbano, Richard Sennet, sociologo americano, ha pubblicato lo studio: FLESH AND STONE (Carne e pietra, W. W. Norton, New York 1994), una storia delle figure che hanno determinato la struttura delle città occidentali, con l’obiettivo anche di comprendere l’attuale crisi del modello urbano. A quest’opera fa riscontro il saggio di Auguste Berque, LES RAISONS DU PAYSAGE. DE LA CHINE ANTIQUE AUX ENVIRONNEMENTS DE SYNTHÈSE (Le ragioni del paesaggio. Dall’antica Cina agli ambienti di sintesi, Hazan, Parigi 1995), che nel tentativo di gettar luce sulle culture del paesaggio, intreccia in una sola analisi ambiente sociale e naturale, mettendo allo scoperto i legami tra il mondo così com’è e il mondo come lo si percepisce. La prima parte dello studio di Richard Sennet è incentrata sull’Antichità. Se ad Atene si gioca tutto intorno al ginnasio, spazio della nudità corporea, ma anche della conversazione tra cittadini, in una democrazia da cui sono però esclusi donne, schiavi e stranieri, a Roma il centro politico si sposta verso il foro, sebbene il canone ideale della bellezza virile rimanga il modello geometrico intorno al quale viene disegnata la città e si organizzano i suoi principali monumenti. L’affermarsi del cristianesimo contesta dall’interno quella civiltà troppo attaccata alla perfezione formale: lo spazio profano deve ora fare i conti con quello sacro. La seconda parte riguarda due città simbolo: Venezia e Parigi. Nella Parigi del XIII secolo, osserva Sennet, Jehan de Chelles e i costruttori di Notre-Dame fanno del santuario una metafora in pietra del corpo sofferente di Gesù Cristo. Al contempo, dalle viuzze tortuose che costeggiano la Senna emerge una città nuova, animata da una passione per il commercio che stimola la nascita dell’economia di mercato. La Venezia del Rinascimento, continua Sennet, è la prima grande città multiculturale dell’Occidente, in cui si incrociano tutte le comunità dell’area mediterranea. Alcune di esse cadono vittima dell’orrore della contaminazione: è il caso degli ebrei, per la prima volta confinati dentro un ghetto. Ma il principio che determinò la nascita del ghetto sopravviverà di fatto alla sua scomparsa storica: vi sono quartieri nelle città o nelle periferie moderne che assolvono la stessa funzione. L’ultima parte dell’analisi di Sennet si svolge nel solco della scoperta, da parte di William Harvey, della circolazione del sangue: l’Europa moderna inventa - per poi esportarlo nel resto del mondo - un concetto nuovo di città, dominato dalla preoccupazione di una circolazione semplice e ben regolata. Le vie si trasformano in ampi viali, gli urbanisti progettano piazze enormi: Boullé sogna monumenti grandiosi e Haussmann riorganizza Parigi in modo che sia più facile per l’esercito sedare le sommosse. Infine Londra e New York, con la struttura a scacchiera di Manhattan e il suo centinaio di comunità di immigrati che convivono non sempre pacificamente. In un medesimo contesto di riflessione, alla “mesologia”, o scienza degli ambienti, dedica la sua attenzione Auguste Berque. In Les raisons du paysage, muovendo dal presupposto che i colori non siano dati sensibili immediati, ma sensazioni mediate da valori, Berque si appropria della concezione storico-culturale dei colori elaborata da Michel Pastoureau, che aveva mostrato come ogni civiltà e, all’interno di una stessa cultura, ogni epoca organizzino autonomamente le proprie scale cromatiche; nel Medioevo, ad esempio, laddove il blu mariano soppianta il porpora degli antichi, il verde non si situa tra il giallo e il blu, ma dopo il nero. Analogamente un paesaggio, osserva Berque, non va visto come una cosa, ma come una relazione. Quello che scambiamo spontaneamente per un vissuto originario sorge, al contrario, dall’incrociarsi di geografia e storia, come mediazione tra il mondo delle cose e il mondo della soggettività umana. Il paesaggio è qualcosa di comune, mediato da parole e immagini, interpretato da archetipi culturali, gli ecosimboli (ad esempio l’alpeggio o il bocage). Subordinando, in diversi modi, la vista alla parola, le culture dissolvono l’uni19 verso naturale in quello del mito, al punto da perdere le singolarità fisiche di un ambiente. La stessa “natura naturale” è il termine di una relazione: lo spazio “selvaggio” esiste solo per gli uomini di civiltà fortemente urbanizzate; per i cosiddetti “primitivi” la foresta in cui abitano è un luogo domestico, ad alto tenore culturale. Il paesaggio “rustico” è un valore d’uso costruito da e per una sensibilità contemplativa: la sua bucolicità è stata fabbricata, negoziata, ricomposta, filtrata; è il risultato di un processo collettivo, normativo, riproducibile, fatto di reminiscenze, allusioni, fantasmi pittorici e letterari che costituiscono la “ratio paesaggista” di una cultura. Berque non è il primo a decifrare l’invenzione del paesaggio e a isolarne le componenti simboliche: ci sono gli studi di Anne Cauquelin e, da una trentina d’anni, in area francese, una riflessione forte sullo spazio, il giardino e l’estetica del paesaggio sia rurale che urbano. Il merito di Berque è di essersi avvalso delle risorse del comparatismo, grazie alla sua conoscenza profonda del mondo asiatico. Vi è infatti uno scarto significativo tra fisica, o geologia, modelli attraverso i quali l’Occidente ha prevalentemente guardato all’ambiente, e l’atteggiamento geomantico che, ancora nel ‘700, fa trattare a Yuan Mei un paesaggio come un bacino di corrispondenze cosmiche. Ciò è tanto più interessante se si considera che la Cina inventò il paesaggio circa dodici secoli prima dell’Occidente. Inoltre, attraverso la nozione di “medianza”, neologismo preso a prestito dal filosofo giapponese Tetsuro e che indica una categoria che sta allo spazio come la storicità sta al tempo, Berque sistematizza il rapporto soggettivo con l’ambiente fisico: non c’è presenza al mondo esterno che non sia al contempo in una intersezione, in una inerenza della cultura alla natura. D.F. AUTORI E IDEE Etica esistenziale e logica delle norme Dopo essersi già soffermata intorno alle questioni attinenti alle definizioni di giustizia, Agnes Heller, spostando il suo campo di osservazione ad una sfera ancora più impegnativa, si trova da alcuni anni alle prese con un ambizioso progetto di una teoria complessiva della morale. Con il titolo ETICA GENERALE (Il Mulino, Bologna 1994) appare infatti in edizione italiana quello che, nelle intenzioni di Heller, è da considerarsi il primo volume di una trilogia, la cui architettura è stata pensata come articolazione di un medesimo progetto discorsivo d’insieme. Fa riscontro a questo progetto una recente raccolta di saggi di Georg Henrik von Wright, NORMEN, WERTE UND HANDLUNGEN (Norme, valori e azioni, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1994). Nell’Introduzione a Etica generale Agnes Heller distingue tre aspetti della teoria della morale, l’uno di tipo interpretativo, l’altro di tipo normativo ed il terzo di tipo educativo/autoeducativo o terapeutico. Questa tripartizione della materia indica la necessità di affrontare separatamente tre diversi problemi: definire in che cosa consista propriamente la morale; quali comportamenti si possono considerare conformi alla morale; in quale modo è possibile giungere a comportamenti morali. Gli altri due volumi che seguiranno, come annunciato da Heller, porteranno infatti rispettivamente il titolo, in edizione italiana, di Filosofia morale e di Una teoria della condotta (quest’ultimo ancora in forma provvisoria). Con questo suo primo lavoro dedicato all’etica Heller intende affrontare la morale dal punto di vista della ragione teoretica, sfuggendo però alle insidie in cui finiscono per cadere tutti coloro che si propongono una fondazione razionale della morale, sebbene anch’essa muova dal presupposto che l’esistenza della morale non può che essere affidata ad una scelta soggettiva e personale dell’uomo, il cui ambito di manifestazione è dato dalla sua unica dimensione storico-sociale. Paradossalmente, osserva Heller, la modernità rende più difficile l’opera della morale, sebbene la condizione moderna sia quella che offra realmente e più a fondo la possibilità di un’esistenza morale che il soggetto si guadagna con la propria azione e con le proprie scelte. Secondo Heller, si tratta, da un lato, di prendere posizione contro coloro che vogliono imporre un sistema di eticità fondato su una propria oggettiva autoevidenza e che non impegna, a livello di responsabilità, il soggetto dell’azione in quanto tale - un tipo di etica a carattere monologico, esterno, naturalistico, autoritativo e chiuso nella propria normatività; dall’altro si tratta di differenziarsi da coloro che, riconoscendo al singolo soggetto umano, emancipatosi dall’autorità esterna, il ruolo di “arbitro” nella scelta delle proprie norme di vita, giungono di fatto alla liquidazione stessa della possibilità dell’agire morale. Infatti, osserva Heller, se la pluralizzazione delle sfere di vita, prodotta dalla modernità, comporta la fine di un ethos “forte”, ciò non esclude l’esistenza di un ethos comune “minimale”, anche se semplicemente a carattere “difensivo” della stessa pluralità delle sfere, che sola può consentire l’autonomia morale degli individui. Il fatto, dunque, che la morale comporti una scelta esistenziale soggettivamente fondata, non conduce alla liquidazione di una autorità morale e della “moralità” (Sittlichkeit) come orizzonte normativo in sé dato, con cui l’individuo deve interagire, giacché solo in quanto vi sono norme e regole l’individuo può esistere come essere morale. Il compimento della modernità, dunque, non conduce, secondo Heller, né al soggettivismo, né al nichilismo morale; e neppure, si potrebbe aggiungere, ad una fondazione intersoggettiva della morale, come quella prospettata dai teorici dell’etica comunicativa come Apel ed Habermas. Si potrebbe quasi dire che la morale, per Heller, non ha bisogno di essere fondata, ma soltanto di essere spiegata. La morale è dotata di una validità empirica che non ha bisogno di essere ricavata dai metodi dell’argomentazione razionale, poiché essa ne costituisce, anzi, il presupposto. Pertanto non serve porre la morale secondo un’universalità di ragione puramente formale; occorre semmai scoprire, tramite la ragione, la morale come universale empirico. Nella sua critica delle moderne teorie della scelta razionale, considerate un aggiornamento in versione dinamica della dottrina del liberum arbitrium, Heller contesta principalmente l’assunto per cui la nostra libertà si compendierebbe nella capacità di operare una scelta razionale di fronte a singoli eventi, di volta in volta determinati (ciò che Heller definisce “puntinismo” ontologico). In questo modo, osserva Heller, viene ad oscurarsi l’orizzonte complessivo di senso che si pone in opera nel momento in cui pratichiamo una scelta. Quando scegliamo, non operiamo soltanto una scelta di mezzi, preoccupati di rispettare unicamente la razionalità dello scopo, ma in quanto siamo noi stessi a porre i nostri fini e a creare in questo modo una gerarchia di valori, operiamo una scelta morale. Il fine morale, secondo Heller, non può essere posto come un prodotto dell’azione; è il determinarsi stesso per la scelta morale che fa da presupposto all’azione e la definisce secondo un determinato orientamento di senso, mentre ogni “scelta razionale”, di per sé, non potrebbe essere in grado di fondare un punto di vista morale. Queste considerazioni trovano riscontro in una serie di saggi di Georg Henrik von Wright, scritti principalmente nel corso degli anni Ottanta e ora raccolti con il 20 titolo: Normen, Werte und Handlungen. Completa il volume un dialogo a due voci con Georg Meggle intorno alla possibilità di una oggettiva determinazione delle categorie di comprensione razionale. La questione è se la ragione sia soltanto un mezzo conoscitivo di carattere dirimente, oppure se la stessa determinazione di un fatto conosciuto non sia funzione del suo stesso processo conoscitivo. In tal caso, verità è solo ciò che da essa stessa è posto e riconosciuto come tale, oppure, oltre il processo fondativo della ragione, vi è spazio per l’esistenza di verità obiettive, da essa non riconosciute come tali? Pensatore finlandese, appartenente alla tradizione analitica, Von Wright muove dall’assunto, maturato negli anni della sua frequentazione con gli amici e i colleghi di Cambridge, che la definizione dei concetti fondamentali di tipo normativo, compreso l’ambito degli enunciati prescrittivi e dei giudizi di valore, sottostà agli stessi criteri con cui vengono fissate le categorie logicomodali degli enunciati riguardanti giudizi di verità. In tal modo, secondo von Wright, attraverso le norme della ragione si può procedere alla definizione dei valori e delle regole di orientamento dell’azione. L’intero complesso argomentativo di von Wright si richiama così al postulato di una “logica deontica”, tale cioè da condurre alla determinazione di un ambito dei doveri che abbia la stessa stringenza di un procedimento logico. Una volta posti i motivi, le intenzioni, le ragioni, che ci si propone nell’agire , si possono determinare, nello stesso tempo, norme e valori conseguentemente perseguibili. Questa concezione ha fatto pensare a von Wright come ad un “Euclide dell’etica”. Il suo procedimento, tuttavia, così rigorosamente deduttivo e fortemente formalizzato, sembra caratterizzarsi come un sistema di concetti che solo incidentalmente ha a che fare con l’etica e da cui solo in modo estremamente complicato si può ricavare effettivi orientamenti per una determinata condotta di vita. G.B. I sentieri della comprensione La filosofia ermeneutica è ancora una volta oggetto di indagine nello studio di Hans Robert Jauß, WEGE DES VERSTEHEN (Sentieri della comprensione, Wilhelm Fink, Monaco di Baviera 1994). Jauß, già noto in Italia come teorico di estetica della ricezione, riformula qui il proprio pensiero nella direzione di una più marcata attenzione per la “sostanza estetica” dell’opera, quale oggetto di interpretazione. Applicarsi alla lettura di un testo significa non solo confrontarsi con i suoi tempi, le sue problematiche, la sua tradizione, ma anche AUTORI E IDEE concretizzarne il senso nel presente, accrescendo in questo modo il senso stesso del passato. La centralità dell’applicazione in campo ermeneutico è oggetto di trattazione della nuova opera di Hans Robert Jauß, Wege des Verstehens, che si configura come tentativo di completamento della tradizionale ermeneutica trascendentale di Gadamer e Dilthey attraverso una maggiore considerazione per la dimensione della prassi. L’orientamento applicativo del testo è accentuato, d’altra parte, dal fatto di essere una raccolta di esempi applicativi della teoria ermeneutica, proponendo, accanto a trattazioni di natura teorica, saggi sull’odierna situazione culturale, sullo stile di rappresentazione di drammi classici e moderni e sull’estetica musicale. Lo scritto centrale del volume è un esempio di ermeneutica teologica; Jauß interpreta qui un testo biblico, il libro di Jona, come “paradigma di un’ermeneutica dell’estraneo”. In questo passo del Vecchio Testamento Dio impartisce a Jona una serie di comandi, che il profeta non comprende per eccesso di zelo e immaturità; solo l’aiuto divino gli permette infine di comprendere, benché la comprensione non sia resa possibile dalla formulazione di una risposta definitiva, ma venga affidata da Dio stesso al rilievo pedagogico della domanda. Nel rapporto tra Dio e Jona Jauß vede l’allegoria della situazione ermeneutica: Dio, in quanto creatore ed ermeneuta insieme, raffigura l’alterità della parola, ma anche il desiderio e la possibilità di comprenderla; Jona è invece immagine dell’applicazione. All’interno di tale relazione Jauß evidenzia in particolare la tensione infinita del metodo ermeneutico, che mai giunge al proprio compimento nella trasparenza della risposta finale, ma proprio attraverso la domanda aperta riesce a concretizzare nel presente il senso del passato e a farne il principio di una nuova prassi. In un saggio specificamente dedicato alla “morale ermeneutica”, Jauß connette l’ermeneutica alla “morale applicativa”, distinguendola con nettezza dalla “morale prescrittiva” e sottraendola in tal modo al pericoloso inaridimento nel nanismo moralistico. Nell’esperienza estetica, infatti, non viene confermato o decretato alcun sapere normativo, ma viene aperta la possibilità di una nuova comprensione, che esige la costruzione di un giudizio morale autonomo. Secondo Jauß il giudizio estetico corregge la crescita selvaggia della storia, riconoscendo le interpretazioni più proficue ed escludendo il soggettivismo improduttivo. Se negli scritti passati Jauß risolveva la teoria della ricezione nel processo dell’adattamento sociale, in quest’ultimo lavoro rivaluta la “sostanza estetica”, affermando che la costruzione delle prescrizioni interpretative si orienta innanzitutto sull’opera ed è quindi strettamente legata al momento applicativo. La nuova posizione di Jauß non rinnega la precedente, ma rappresenta un tentativo di comporre “teoria della ricezione” e “ermeneutica”, che rappresentano due fasi ugualmente imprescindibili del suo pensiero. Da questa nuova prospettiva Jauß rinnova le sue critiche nei confronti dei decostruttivisti che, secondo Jauß, «si sottraggono alla comprensione dialogica» e tuttavia «vogliono venire compresi». L.R. La verità della storia La definizione dello statuto di verità della storia, a partire dalla sua struttura narrativa, è oggetto di riflessione dello studio di Roberto Dami, I TROPI DELLA STORIA. LA NARRAZIONE NELLA TEORIA DELLA STORIOGRAFIA DI HAYDEN WHITE (Franco Angeli, Milano 1994) e di quello di Jacques Rancière, LE PAROLE DELLA STORIA (Il Saggiatore, Milano 1994). Sempre in riferimento al significato della storia sono rilevanti le posizioni teoriche di Karl Jaspers e di Nikolaj Berdjaev, che Maria Luisa Basso espone nel volume: FILOSOFIA DELL’ESISTENZA E STORIA. KARL JASPERS E NICOLAJ BERDJAEV (Editrice Clueb, Bologna 1994), con l’intento di conciliare una visione trascendente della storia con l’appello all’iniziativa umana. Sia la prospettiva teorica di Hayden White, esposta da Roberto Dami ne I tropi della storia, sia la concezione di Jacques Rancière presente ne Le parole della storia, nonostante le evidenti diversità, sono accomunate dal distacco da una scienza storica di indirizzo positivistico o neopositivistico. L’aspirazione positivistica di conferire alla storia lo statuto oggettivo e universale di scienza si scontra in entrambi con l’innegabile peculiarità della scienza storica di sottrarsi alla possibilità della verifica e del controllo empirico di cui dispongono le altre scienze. Il problema che qui si pone è allora quello di stabilire in che modo la storia possa accedere alla verità senza rinunciare alla propria specificità empirica. La posizione teorica di White, come mostra Dami, fornisce una possibile risposta a questo interrogativo. Basandosi su una concezione linguistica che privilegia la dimensione del significante, White ritiene di poter trovare il fondamento della storia nel suo specifico linguaggio, poiché è la forma linguistica secondo White che determina il modo di essere peculiare della storia e che articola il discorso storico attraverso una precisa scelta dei “tropi” linguistici. Si tratta di un atto di prefigurazione tropologica, precisa Dami, che orienta l’attività dello storico in diverse direzioni, a seconda dell’uso di una delle quattro figure retoriche - metafora, metonimia, sineddoche e ironia - che a loro volta indicano quattro vie di argomentazione storica - formalistica, meccanicistica, organicistica e contestualistica. Così la storia si caratterizza per il suo legame con la narrativa, per il suo porsi come racconto, per le modalità tropiche in cui viene esposta. 21 Secondo Dami, una tale evidenziazione della struttura narrativa della storia, che sfocia nell’identificazione tra storia e letteratura, si spinge troppo oltre, rendendo la storia una “finzione” tra le altre finzioni narrative, con la conseguente perdita della possibilità di un controllo empirico. In realtà, White non fa che accentuare il dramma della scienza storica di aspirare, da un lato, a un fondamento universale, e di dipendere, dall’altro, dalla molteplicità irriducibile degli eventi particolari. Questo dramma della storia, che la pone continuamente in contatto con la sua possibile dissoluzione, viene ripreso anche da Rancière, secondo il quale la dimensione che può conferire alla storia uno statuto di verità è una sorta di “poetica del sapere”: solo l’inquadramento della storia in un discorso poetico, narrativo, può restituire alla storia il suo valore di verità. Nel tentativo di seguire il filo complesso delle parole che “dicono” la storia, Rancière sottolinea come l’eccesso delle parole, la “chiacchera” invadente siano sempre contaminate dalla menzogna; sono invece i “testimoni muti” coloro che determinano la possibilità stessa della scienza storica. Attraverso l’identificazione tra il “testimone muto”, il sapere della morte e ciò che è nascosto, Rancière giunge a postulare un sapere storico che si misura con la “morte riscattabile”, un sapere che è capace di far parlare i morti e i “silenzi” della storia. Inoltre, individuando lo spazio specifico della storicità in un luogo simbolico, esemplificato dalla dimensione geografica del Mediterraneo, Rancière caratterizza la singolarità del racconto storico come “Odissea”, cioè “libro del mare scritto”. Una possibile risposta agli interrogativi della storia la si può cogliere nelle concezioni di Karl Jaspers e Nikolaj Berdjaev. In Filosofia dell’esistenza e storia, Maria Luisa Basso mostra come entrambi questi autori siano accomunati dalla presenza di una prospettiva trascendente e dualistica e insieme da una esaltazione dell’iniziativa umana, nella convinzione che nella storia sia inscritto il destino dell’uomo. Mentre però Berdjaev opta per un umanesimo cristiano, in base al quale l’uomo è “divino” in quanto è in grado di ricevere la verità della Rivelazione, Jaspers propende per la teoria neoplatonica della Trascendenza, per la quale l’uomo, per ritrovare se stesso, deve trascendersi e quindi ha bisogno della storia per potersi elevare all’Uno. Per entrambi, osserva Basso, l’ambito della storia costituisce il terreno in cui l’uomo deve misurarsi per attingere la verità. In tale prospettiva, se Jaspers si oppone sia al pessimismo scettico di coloro che concepiscono la storia come una caotica massa di eventi senza un fine, sia all’ottimismo fideistico di coloro che individuano nella storia una struttura preordinata di carattere divino, Berdjaev intende costruire un’antropologia che si coniughi con i valori della tradizione cristiana. M.Mi. AUTORI E IDEE Albrecht Dürer, Imperatore Carlo Magno (1513, part.) Le arti del governo L’albero genealogico delle teorie del governo politico dalla fine dell’Impero Romano fino all’affermazione dello Stato assoluto costituisce la vasta impresa critica intrapresa da Michel Senellart nel suo studio LES ARTS DE GOUVERNER; DU ‘ REGIMEN’ MEDIEVAL AU CONCEPT DE GOUVERNEMENT, (Le arti di governare; dal ‘Regimen’ medievale al concetto di Governo, Seuil, Parigi 1995). Le modalità di selezione e di legittimazione della classe politica all’interno dei regimi rappresentativi sono al centro dell’analisi di Bernard Manin, PRINCIPES DI GOUVERNEMENT REPRÉSENTATIF (Principi del governo rappresentativo, Calman-Levy, Parigi 1995). Gli Specula principium, ovvero gli specchi dei prìncipi, erano manuali di esercizio del governo ad uso dei sovrani, la cui limitata tiratura costituiva un titolo di apprezzamento ulteriore per il ristretto ceto che li utilizzava. Michel Senellart lavora da tempo su questo genere particolare di documenti, limitatamente al periodo che va dalla fine dell’Impero Romano fino al Seicento, un millennio dominato dal Cristianesimo, che in uno riassume religione, cultura e società. È appunto con il Cristianesimo che il termine latino Regimen, disciplina alimentare e comportamentale, assume il nuovo significato di costituzione, di regola di governo dei credenti. Siamo alla fine dell’Impero Romano, in un periodo storico attraversato dalle invasioni barbariche, quando Sant’Agostino elabora i fondamenti teologici del potere coercitivo e repressivo, elaborando una dottrina che si iscrive nella visione religiosa del peccato originale e della caduta dell’uomo. Opponendosi alla disciplina evangelica delle comunità cristiane, Agostino afferma che anche la realtà terrena del cristiano, in quanto essere generato nel peccato e nella 22 concupiscenza, è soggetta alla costrizione della materia e del corpo; spetta così al potere del monarca, che in sé concentra le funzioni di governo e di repressione, provvedere alla sua disciplina comportamentale. Questa dialettica tra dominio coercitivo del potere politico e regola morale, che ha il suo garante nell’autorità del vescovo, si avvia al termine allo scadere dell’anno Mille, quando viene meno il terrore per l’Apocalisse e si va progressivamente definendo un nuovo concetto di Stato. Come osserva Senellart: «È la durata indefinita dell’avvenire, costantemente orientato verso una prospettiva di salute, a conferire un nuovo significato all’istituto regale. Esso non è più semplicemente il garante di un ordine immutabile, sottoposto ai decreti del Cielo, ma il fattore di una progressiva trasformazione delle cose di quaggiù, che avvicina gli uomini a quella felicità eterna cui sono votati. Il passaggio, nella teoria del Regimen, dalla funzione del corrigere a quella del dirigere trova qui una delle sue condizioni determinanti». L’utilità pubblica, quale scopo dell’autorità monarchica, viene invocata da Giovanni di Salisbury (1115-1180); ma occorrerà attendere la fine del XIII secolo per vedere affermata, con Tommaso d’Aquino, l’immanenza del potere politico. Non più sottomettere il corpo, individuale e sociale, alla disciplina, e non soltanto imporre la legge ad un regno, ma “reggere una moltitudine” diventa il fine pratico dell’arte di governo. Questo può avvenire, considera Senellart, in ragione del trapasso da una concezione di tempo millenaristica ad una visione più laica e terrena, dove diventa sempre più significativa l’esigenza di una legittimazione non più esclusivamente religiosa del potere. Articolare il rapporto tra esigenze di primato del politico con la tradizionale superiorità del dominio spirituale, fa notare Senellart, diventa ora un compito prioritario del pensiero chiesastico. Nei fatti, l’autonomia sovrana del potere dello Stato si affermerà nel corso del XVI secolo come risposta al disordine provocato dalle guerre confessionali. La stessa idea di Machiavelli, che prevedeva una autocrazia del Principe, si traduce sì in un predominio assolutistico, ma non tanto del Principe, quanto dello Stato, inteso come apparato, dove il massimo rappresentante del potere è «uno dei componenti della grande macchina dello Stato, che egli può dirigere unicamente assoggettandosi al meccanismo d’insieme». La concentrazione del potere in un istituzione centralizzata e tendenzialmente autoreferenziale segna la separazione del governo dalla società, determina il carattere sempre più segreto dell’arte di governo che «tende a divenire sempre più invisibile per potere vedere tutto» e in definitiva provoca il passaggio rivoluzionario verso forme più consensuali di gestione politica. Questa “passione del segreto”, quale tratto saliente dell’arte politica, è mirabilmente AUTORI E IDEE svelata da Gabriel Naudé, autore, nel 1639, di un libello diventato celebre: Considerazioni politiche sul colpo di stato, dove si enuncia la teoria dell’autentico segreto politico, che è tale - precisa Senellart - «non a ragione del silenzio in cui si nasconde, ma perché, per natura, non può essere oggetto di una sistematizzazione razionale. Imprevedibile, originale, intimamente legato alla trama delle circostanze, la sua singolare radicalità sfida qualunque approccio teorico». Conclusione, questa, che estranea il politico da una storia puramente fatta di concetti, mentre lo consegna al mondo dell’agire, «separando l’arte di governare dalla scienza politica, iscrivendola nello spazio aleatorio del gioco». Nel suo saggio Principes du gouvernement représentatif, Bernard Manin osserva che il caso, interpretato alla stregua di vero e proprio principio di selezione della classe di governo, era un’opzione già in uso presso le democrazie greche; gli ateniesi, infatti, applicavano l’estrazione a sorte delle cariche pubbliche, ritenendo che il gioco del caso fornisse a tutti indistintamente la possibilità di partecipare alla gestione dello Stato. Il principio della rappresentanza per estrazione è espressamente affermato da Aristotele nella Politica: «È considerato democratico che le magistrature siano attribuite per estrazione a sorte, oligarchico che siano elettive»; mentre il principio elettivo, che implica un elitismo della classe politica, ha l’indubbio vantaggio di produrre una selezione mirata dei governanti e la legittimazione del loro potere, verificato dal consenso dei governati. Dalla Rivoluzione Francese in poi la storia dei sistemi democratici segue il percorso evolutivo del principio rappresentativo per elezione; una storia che Manin riassume in tre stadi. Dapprima si ha lo stadio del “parlamentarismo”, dove domina la scelta di una persona di fiducia, il “notabile”, che possiede una grande libertà di movimento nel teatro politico. Questo sistema viene poi soppiantato da quello di “democrazia dei partiti”, dove l’appartenenza di classe si identifica con l’adesione ad una formazione politica. La dialettica democratica si svolge, in questo caso, attraverso il confronto parlamentare, dove i partiti, organismi fortemente rappresentativi e radicati nella società, fanno opera di mediazione politica. La degenerazione in sistema partitocratico apre la strada all’ultimo, attuale stadio del regime rappresentativo, che Manin designa col termine di “democrazia del pubblico”, caratterizzata dalla personalizzazione della scelta del candidato. Nella proposizione del ceto dei rappresentanti e nella creazione del consenso, un ruolo centrale assume la televisione, vera e propria piazza della politica, dove le “figure mediatiche” degli opinion leaders, degli esperti della comunicazione, stanno soppiantando le tradizionali figure dei professionisti della politica. John Locke Nel teatro mediatico della politica il pubblico viene interpellato come valore statistico e ha un ruolo di spettatore, a cui si chiede non una scelta di programmi, ma un’identificazione proiettiva col prodotto politico meglio pubblicizzato. Attento a non demonizzare questa fase della storia della politica, che ha il merito di allargare la scena pubblica della rappresentanza, Manin rileva tuttavia che ad essa non ha corrisposto un approfondimento della democrazia effettiva e una maggiore identificazione tra governati e governanti: «non vi è motivo di pensare che le élites politico-mediatiche siano più vicine agli elettori di quanto lo fossero gli uomini di apparato». E.N. 23 Locke tra conservatorismo e liberalismo Pubblicato in edizione originale nel 1969, LA FILOSOFIA POLITICA DI LOCKE (trad. it. di K. Tenembaum, Laterza, Bari-Roma 1995), di Walter Euchner, analizza il pensiero politico e storico del filosofo inglese, sistematizzandone i diversi elementi. Agli interessi di Locke per la morale e la teologia, e ai loro rapporti con la concezione politica, rivolgono la propria attenzione Ian Harris e John Marshall in due studi, intitolati rispettivamente THE MIND OF JOHN LOCKE. A STUDY OF POLITICAL THEORY IN ITS INTELLECTUAL SETTING (La mente di John Locke. Uno studio della teoria politica nel suo ambiente intellettuale, Cambridge University Press, New York 1994) e JOHN LOCKE. RESISTANCE, RELIGION AND RESPONSABILITY (John Locke. Resistenza, religione e responsabilità, Cambridge University Press, New York 1994). AUTORI E IDEE L’intento dello studio di Walter Euchner è quello di smantellare le interpretazioni più diffuse della filosofia di John Locke, a partire da quella di Levi-Strauss, che interpreta la politica lockiana come la netta antitesi, liberale e costituzionale, di quella assolutistica di Hobbes, sino ad arrivare a quella di R. H. Cox, che vede in Locke una sorta di “Hobbes travestito”, in cui l’istinto e il diritto di natura costituiscono il fondamento della struttura umana. In opposizione a queste chiavi di lettura, Euchner ne propone un’altra, nella quale emergono due elementi attorno ai quali ruota l’intera filosofia di Locke. In primo luogo, Locke viene distinto radicalmente da Hobbes in funzione della diversa considerazione che i due autori hanno della proprietà privata che, secondo Hobbes, non esiste nello stato di natura, mentre, secondo Locke, ne costituisce un diritto inalienabile. In questo modo cade la differenziazione straussiana fondata, essenzialmente, sul tipo diverso di stato civile dei due filosofi: secondo Euchner, infatti, la discriminante tra i due autori risiede già nelle loro diverse concezioni antropomorfiche. In secondo luogo, Euchner riscontra una contraddizione di fondo nel pensiero politico lockiano. L’uomo di Locke, infatti, è caratterizzato sia dalla tendenza naturale a socializzare, sia da un forte istinto di autoconservazione. Il primo elemento, che porta l’uomo alle più antiche aggregazioni, rappresenta l’idea di societas, presente nell’uomo sin dalle origini della storia e proiettata verso una edificazione di tipo stoico e cristiano. La contraddizione nasce però dalla constatazione del secondo elemento, caratterizzante l’uomo lockiano, e cioè la propensione dell’individuo al diritto soggettivo che difende ed esalta la proprietà privata ed il desiderio di arricchirsi. In questo senso, l’uomo privilegerebbe il diritto di natura che si concretizza nell’individualismo borghese e nello spirito del capitalismo. Così, osserva Euchner, la tendenza all’aggregazione, da una parte, e la difesa dell’io e dell’arricchimento, dall’altra, costituiscono un ossimoro difficilmente conciliabile in Locke, ma sicuramente caratteristico. Euchner viene a capo di questa contraddizione distinguendo, all’interno dello stato di natura, due momenti cronologicamente distinti, il primo dei quali rappresenta il desiderio di pace e ed il mantenimento della proprietà privata, mentre il secondo si concretizza nella natura individualistica dell’uomo, che tende ad accumulare il denaro e, per questo, a scontrarsi con i suoi simili. A.S. una sorta di “grande disegno” che Locke avrebbe avuto in mente fin dalla gioventù. Harris si sofferma in particolare sui due Trattati sul governo civile (1690) e sul Saggio sull’intelletto umano (1671), sottolineando come essi siano ricollegabili alle predisposizioni intellettuali del giovane Locke. È noto che Locke mutò spesso opinione nel corso della sua vita; basti come esempio il passaggio dalla concezione di un re dotato di potere assoluto (1661) alla difesa della rivoluzione armata (1681). Tuttavia Harris intende questi mutamenti come sviluppi di precedenti meditazioni e non come il sintomo di una profondo cambiamento di vedute. In particolare, Harris nega il passaggio da un Locke “conservatore” a un Locke “liberale”. L’inadeguatezza del termine “liberale” attribuito a Locke è sostenuta anche da John Marshall, che ugualmente si preoccupa di rintracciare legami tra i vari interessi di Locke, per quanto si soffermi soprattutto sulla sua concezione morale e in particolare sull’affinità di quest’ultima con la morale ciceroniana e con quella cristiana. Questa caratteristica viene ricollegata da Marshall alla personalità e alla posizione di Locke in quanto appartenente ad un ambiente in cui superiorità sociale e subordinazione erano una realtà quotidiana. Da questo Marshall deriva l’idea che non si possa parlare di un vero liberalismo per Locke. La libertà, infatti, ha per lui valore solo nella misura in cui è in grado di rimuovere gli ostacoli al perseguimento dei doveri divini dell’uomo, consentendo a questi una vita morale. Ciò non contrasta, secondo Marshall, con la sincerità della meditazione morale di Locke, ma solo con la pretesa di vedere in essa il segno di una determinata concezione politica. Nelle loro interpretazioni Harris e Marshall ridimensionano il lato rivoluzionario del pensiero di Locke, evidenziato da Richard Ashcraft in La politica rivoluzionaria e i ‘Due trattati sul governo’ di Locke (1986), dove Locke veniva tratteggiato come un attivo membro del partito dei Whigs, rivoluzionario e radicale. Harris nega questo coinvolgimento politico di Locke in prima persona, riconoscendogli un’attivitàpuramenteintellettuale. Marshall tenta di venire incontro ad Ashcraft, ma la conclusione è ancora nel senso di un prevalente conservatorismo. A.R. L’intensa attività di pensiero di Locke appare generalmente legato all’ambito della teoria della conoscenza e della politica. Gli interessi di Locke, però, ricoprono anche altri ambiti, come la morale e la teologia. A questo proposito, lo studio di Ian Harris si propone di rintracciare nella vasta produzione intellettuale di Locke un’unica linea di sviluppo, che unisca i primissimi scritti alle opere della maturità. Secondo Harris ogni opera sarebbe collocabile in uno schema, Proporre un orizzonte delle intersezioni disciplinari presenti negli studi sulla comunicazione è l’obiettivo impegnativo che si propone l’opera di M. Burgoon, F. Hunsaker e E. Dawson, HUMAN COMMUNICATION (Comunicazione umana, Sage Publications Inc., Thousands Oak 1994). L’intento non è quello di un’introduzione classica alla teoria della comunicazione, ma di una delineazione degli scopi della comunicazione. Sulla comunicazione umana 24 Con questo studio M. Burgoon, F. Hunsaker e E. Dawson si propongono un approccio descrittivo alla comunicazione, senza tuttavia affrontare la questione epistemologica circa gli “strumenti” da utilizzare per analizzare la comunicazione. Rilevante appare in ogni caso l’ampio orizzonte in cui viene enucleato il tema della comunicazione, intesa come attività pervasiva della vita umana. Tra gli altri motivi presi in esame, il fenomeno della credibilità è definito in base al suo spessore percettivo e questo è accostato ad un vero e proprio processo decisionale. La personalità è, d’altronde, il punto di partenza e di arrivo dei processi decisionali; sicché si stabilisce un rapporto tra le caratteristiche della personalità e la qualità della comunicazione. Inoltre, le transazioni umane vengono distinte in “omofile” ed “eterofile”; le prime coinvolgono persone che si percepiscono reciprocamente come simili, con interessi in comune; le seconde coinvolgono persone che si percepiscono come dissimili e con differenti campi d’azione. La presenza di un chiaro riferimento gerarchico nella interazione comunicativa cambia la natura stessa della comunicazione; è questa la dinamica propria del potere e, soprattutto, della sua percezione sociale. Al di là delle tipologie di potere e delle diverse conseguenze sulla comunicazione che gli autori riportano, non viene tuttavia preso in considerazione il potere educativo di ristrutturare, di ridefinire se stessi e quindi i contesti comunicativi in cui si vive. Tale potere, infatti, è squisitamente relazionale; non è un prodotto, ma un processo che prescinde dai contenuti, pur non astraendosi da essi. Per quanto riguarda il processo di persuasione, Burgoon, Hunsaker e Dawson lo collegano alla dinamica di formazione della personalità e al grado di stima che ognuno ha di se stesso. Vengono poi prese in considerazione l’ansietà del soggetto che riceve la persuasione, la sua competenza riguardo all’argomento del discorso e il coinvolgimento personale in ciò che si sta discutendo. Non si accenna però ai processi di costruzione dell’identità personale che intervengono nel processo di persuasione, che è sempre anche di “auto-persuasione”, sia pure inconsapevole. Anche l’analisi dei macchiavellismi, degli inganni, delle trappole persuasive non tiene conto di questa dimensione auto-ingannatoria della comunicazione. L’opera considera poi il rapporto tra la comunicazione ed il linguaggio e tra questo e la visione del mondo dei soggetti percepienti. A questo proposito è importante il riferimento ad un fattore che può inibire pesantemente la comunicazione: il misconoscimento della differenza tra le inferenze e le osservazioni che i linguaggi della comunicazione veicolano. All’analisi specifica del linguaggio nonverbale Burgoon, Hunsaker e Dawson dedicano una sezione del loro studio, pro- AUTORI E IDEE ponendo anche una classificazione in codici. Il processo di comunicazione, che avviene attraverso tutto il corpo, ha infatti conseguenze anche sul giudizio di credibilità che ognuno riscuote nei contesti sociali. Ovviamente questa espressione della corporeità apre il problema della sua traducibilità ed interpretabilità in termini verbali, anche perché i messaggi comunicativi concreti appaiono sempre come un’unità complessa di aspetti verbali, prossemici, cinesici, vocali, ecc. L’orizzonte di riferimento culturale sia del singolo che del gruppo, è chiamato a dare senso e significato a questi messaggi. Coniugando il problema della persuasione con le teorie dell’apprendimento, Burgoon, Hunsaker e Dawson fanno notare che, tra queste, ha una preminenza quella della relazione tra “stimolo e risposta”. Sempre a proposito della persuasione viene considerata efficace la teoria della “dissonanza cognitiva” che punta, attraverso l’azione, a provocare un cambiamento, senza mettere in luce esplicitamente la discrepanza esistente tra credenze ed atteggiamenti personali. Un’azione, un’interazione che sia anche una violazione delle aspettative culturali e sociali può influenzare negativamente o positivamente l’efficacia persuasiva. Essa può avvenire prevalentemente nei piccoli gruppi, quelli identificati dagli autori come i più adatti a prendere decisioni e risolvere i problemi. Di questi piccoli gruppi vengono comunque messi in luce anche i rischi psico-sociali a cui vanno incontro. La distinzione che Burgoon, Hunsaker e Dawson operano tra comunicazioni simmetriche e complementari rimanda anche alla definizione della relazione e, contestualmente, dei soggetti protagonisti di essa. Le relazioni, al di là delle analisi funzionali delle prime impressioni, sono la base per la ricerca della soddisfazione di bisogni umanizzanti ed umanizzati: primo fra tutti l’amore. Per quanto riguarda la distinzione tra conflitti “reali” ed “artificiali”, i primi sono presentati come “giochi a somma zero”, nei quali se uno dei contendenti vince, l’altro perde; i secondi, invece, sono quelli in cui il guadagno di una delle due parti non porta necessariamente ad una perdita dell’altra. Nonostante l’indubbia congruenza tra obiettivi e risultati raggiunti, lo studio di Burgoon, Hunsaker e Dawson non riconosce che la formazione alla comunicazione non può accontentarsi di descrivere lo status quo. Il potenziale delle comunicazioni, infatti, tende a nascondersi, a non mostrarsi: proprio questa proprietà aumenta il potenziale stesso della comunicazione proporzionalmente all’intenzione di sminuire l’importanza della comunicazione stessa. Ma.M. In memoria di Raffaello Franchini All’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli Fulvio Tessitore, Girolamo Cotroneo e Vittorio Stella hanno presentato il volume: LA TRADIZIONE CRITICA DELLA FILOSOFIA. STUDI IN MEMORIA DI RAFFAELLO FRANCHINI ( Loffredo, Napoli 1994), una collazione di scritti, a cura di Giuseppe Cantillo e Renata Viti Cavaliere, per ricordare la figura di uno studioso e di un filosofo, fautore dell’autonomia del filosofare, che ispirò la sua ampia produzione al principio dell’onestà scientifica, all’impegno etico-politico e ad una sconfinata fiducia nella capacità umane. Il volume si apre con alcuni pregevoli inediti crociani, omaggio di Alda Croce: alcune lettere di Croce a Karl Löwith, ove si dibatte della filosofia che sorge «dal pieno della praxis» e che è tanto più vera quanto più la supera; e una serie di appunti, in risposta a tre domande rivolte a Croce da un giornalista svedese, in cui il filosofo analizza il suo atteggiamento, dapprima di distanza, poi di accettazione convinta nei confronti della politica come «necessità logica e morale», alla quale non ci si può sottrarre se non si vuole soccombere alla «servitù mentale e morale». Una simile diffidenza nei confronti della politica accompagnò anche la scrupolosa e ammirevole meditazione di Raffaello Franchini, fino a che, aiutato anche dal confronto e dallo scambio di idee con altri amici docenti, come ha ricordato Fulvio Tessitore, giunse a capacitarsi che nelle aule universitarie si potesse far politica, a patto di farne fedeltà alle proprie idee e capacità di difenderle. Contrario ad ogni compromesso, tanto che Francesco Compagna lo definì «uomo dai comportamenti geometrici», Franchini si ispirava ad una idea della filosofia come strumento di elevazione morale, in questo fedele al dettato crociano che aborriva il «filosofare professorale ed inconcludente» (nota autobiografica del 5 ottobre 1934). In lui, ha osservato Girolamo Cotroneo, lo storicismo crociano si tramutò essenzialmente in un bisogno vitale. Sul valore della filosofia come arma e strumento per la diffusione del liberalismo, ha ricordato Cotroneo, Franchini andò riflettendo, con maggiore intensità, intorno agli anni Sessanta, per approdare, in polemica con la tendenza del dibattito filosofico-politico di allora, alla consapevolezza di una filosofia intesa come “militanza ed intervento”. Ne La teoria della previsione (1964) la dottrina crociana della storia come storia contemporanea si sviluppò nel criterio del “giudizio prospettico”, nella visione di una storia sempre da farsi, come res gerendae, dove il presente non determina, ma prepara l’azione, la orienta in modo “prospettico”. Franchini riteneva infatti propria di ogni 25 uomo la facoltà di riflettere sulle situazioni per definire le proprie azioni e renderle efficaci e utili a raggiungere l’obiettivo prefissato. Come sottolinea Rita Melillo nel suo contributo sulla disciplina del menagement, la vita dell’uomo per Franchini «è possibilità che si trasforma in realtà per diventare di nuovo possibilità, dando vita a quel continuo processo che è la libertà». Nel suo bisogno di costruire un “filosofia seconda”, in polemica contro ogni metafisica, Franchini si convinse, come ha ricordato Renata Viti Cavaliere, ad una filosofia dell’uomo, assolutamente laica, derivando dall’insegnamento crociano il principio teorico per indagare sul “senso del terrestre”. La priorità dell’uomo, il senso umano della riflessione e dell’autocomprensione, osserva Ernesto Paolozzi, portano Franchini a formulare una teoria fondativa della libertà, in una visione del mondo attenta alla creatività dell’uomo e della storia, e consequenzialmente a considerare la libertà come forza motrice, come ideale partico che garantisca il diritto di dissenso e al pluralismo delle idee contro la neutralità. In Eutanasia dei principi logici Franchini traccia una storia dell’opposizione alla logica formalistica aristotelico-scolastica, avviata da Cartesio e proseguita da Malebranche, Vico, Baumgarten e Croce, solo per fare qualche nome. Alla loro rivendicazione della centralità dell’uomo Franchini aggiungeva la netta liquidazione di ogni pastoia formalistica e, come fa notare Sossio Giametta, derivava da tali principi lo spunto per sorreggere la sua definizione del progresso filosofico. A questo insopprimibile diritto alla filosofia (così suonava il titolo di un suo volume del 1982), al bisogno umano di ricerca della verità, come rileva nel suo contributo Santo Coppolino, Franchini aggiungeva il riconoscimento alla speculazione filosofica di uno “statuto di scientificità”, che riaffermava la “vitalità” della scienza e il valore liberatorio del metodo. In questo, l’interpretazione franchiniana appare del tutto in linea con le ultime meditazioni crociane, richiamate dall’intervento di Pio Colonnello sulla scoperta della “vitalità” come questione “esistenziale” e sulla considerazione della vita e della storia come “esperienza tragica”, che sfocia in una tensione feconda e dinamica contro la barbarie e a favore del progresso. La forza delle idee di Franchini è parimenti sostenuta dalla potenza e dal calibro delle parole, come fa notare Francesco Erasmo Sciuto, che riconosce nella arguzia, nella nota umoristica e dissacratoria il tratto generale della scrittura. Chiude il volume la bibliografia completa delle opere di Franchini, a cura di Clementina Gily Reda, che fornisce un quadro completo e dettagliato della sua intensa attività saggistica e pubblicistica. A.M.G. AUTORI E IDEE Vittima del Napalm nel massacro di My Lai (Vietnam 1968, foto di P.J. Griffiths per Magnum) Ontologia e libertà in Pareyson Curati da Gianni Vattimo e da Giuseppe Riconda, sono stati pubblicati gli scritti postumi di Luigi Pareyson in una raccolta dal titolo: ONTOLOGIA DELLA LIBERTÀ (Einaudi, Torino 1995). Sul pensiero di Pareyson segnaliamo anche una recente monografia ad opera di Marianna Gensabella Furnari, I SENTIERI DELLA LIBERTÀ (Guerini scientifica, Milano 1995), che affronta le problematiche ontologiche ed estetiche nella riflessione pareysoniana. Ontologia della libertà raccoglie gli ultimi scritti di Luigi Pareyson, nella struttura compositiva che egli aveva pensato per la pubblicazione; secondo le sue intenzioni, i manoscritti sono stati infatti raccolti in tre sezioni: “In cammino verso la libertà”, “La libertà originaria”, “La libertà e il nulla”. La seconda e la terza sezione sono la summa di alcuni saggi che il filosofo torinese aveva già reso pubblici. Infatti, come ci ricordano nella “Prefazione” i curatori del volume, Giuseppe Riconda e Gianni Vattimo, l’«Annuario filosofico», fondato e diretto da Pareyson, aveva proposto dal 1985 al 1992 cinque saggi dell’attuale Ontologia della libertà. Essi sono: L’esperienza religiosa e la filosofia; La filosofia e il problema del male; Un discorso “temerario”: il male in Dio; La “domanda fondamentale”: “perché l’essere piuttosto che il nulla?”; Il nulla e la libertà come inizio. Mentre il cap. IV della seconda sezione è un inedito, Frammenti sull’escatologia, il cap. II della terza sezione, Stupore della ragione e angoscia di fronte all’essere, è già apparso nella raccolta di saggi Romanticismo, Esistenzialismo, Ontologia della libertà con il titolo: Lo stupore della ragione in Schelling. Così come il cap. IV della terza e ultima sezione, Filosofia della libertà, lezione di congedo tenuta nell’Università di Torino il 27 ottobre 1988, era conosciuta agli studiosi di Pareyson (1989, 26 Genova). Gli inediti sono quindi rappresentati dalla prima sezione e dai Frammenti sull’escatologia. Ciò non toglie all’opera originalità, poiché le lezioni napoletane, che costituiscono In cammino verso la libertà e che ebbero luogo nei giorni dal 26 al 30 aprile 1988, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, risultano essere momento centrale del pensiero tragico di Pareyson e imprescindibile premessa ai saggi (anche se scritti anteriormente) che formano il volume. A.Di C. Scritti con l’intento di dare una risposta alle domande sulla natura del dolore e del male, questi saggi costituiscono una sorta di summa del pensiero di Luigi Pareyson, fornendo una sintesi tra le tematiche del romanticismo e le problematiche esistenzialistiche che caratterizzano la sua opera. La filosofia di Pareyson, infatti, risponde da una parte ai vuoti lasciati dall’idealismo di Schelling e dalla sua ansia per la verità rispecchiata nell’essere; dall’altra, si con- AUTORI E IDEE fronta con l’analisi esistenziale dell’esserci e del nulla sviluppata da Heidegger. Secondo Pareyson, le lacune e i dubbi suscitati da queste concezioni possono trovare una risposta esclusivamente nella filosofia della libertà, che si manifesta nell’analisi dell’uomo e del divino e che, per questo, trova spazio nell’ermeneutica del mito cristiano. Pareyson affronta così la questione della libertà dell’uomo, già tema dell’esistenzialismo da Kierkegaard in poi, ponendola a confronto con quella, ben più drammatica, di Dio. In tal modo, la libertà di Dio trova la sua collocazione solo nella religione cristiana, mentre la ragione, perso il suo carattere di dimensione assoluta, si manifesta nel suo stupore, che diventa rivelazione. Il Dio che emerge qui è un Dio in divenire, un Dio-evento che si distacca definitivamente da quello greco, immutabile e perfetto. Il Dio di Pareyson è, all’origine, libero di scegliere tra il bene e il male e pur scegliendo il bene, legittima la possibilità dell’esistenza del male, presente, in questo modo, nel creato. La possibilità diventa realtà nel momento del peccato originale, quando Adamo e Eva, liberi come Dio, scelgono il male. Così, la colpa originaria, preesistente all’uomo, si materializza e rende l’uomo colpevole per sempre; da qui la necessità della rivelazione che mostra la reiterazione della scelta divina per il bene, compiuta, ancora una volta, in assoluta libertà. Assumendo il dolore e la sofferenza su di sé, e sulla propria natura umana, Dio riscatta l’uomo dal peccato originale e ripristina lo stato di bene, scelto nel momento della creazione. Escluso dalla teologia, il problema del Dio in divenire diventa così una risposta filosofica al problema del dolore: il suicidio di Dio appare infatti come la redenzione, non necessaria, ma voluta, al peccato originale ed apre alla seconda epoca in cui, ancora una volta, la libertà dell’uomo trionfa sulla necessità. Un’analisi precisa della filosofia di Pareyson è quella offerta da Marianna Gensabella Furnari nello studio I sentieri della libertà. Qui, la filosofia esistenzialistica pareysoniana viene indagata nelle sue tematiche principali: l’ontologia, l’ermeneutica e l’estetica. Per quanto riguarda l’ontologia, Gensabella Furnari descrive lo stupore della ragione che, prima in Schelling e poi in Pareyson, ha segnato l’accettazione del negativo e il rifiuto dell’Assoluto hegeliano. Accanto a questa tematica troviamo un forte richiamo all’esistenzialismo di Jaspers, che in Pareyson diventa il riconoscimento della dimensione tragica in cui vive l’uomo, costretto a scegliere e in bilico nella propria libertà assoluta. La libertà dell’uomo riporta alla libertà di Dio che, come nella mistica ekarthiana, vive l’abisso della scelta tra bene e male. Per quanto riguarda l’ermeneutica e l’estetica, Gensabella Furnari mostra come in Pareyson la teoria dell’interpretazione risulti profondamente legata all’ontologia in quanto strumento per cogliere la verità, non più dell’essere, ma dell’esistente. Accanto al rifiuto dell’ermeneutica di Gadamer, contemporanea e vicina a quella pareysoniana, ma ancora legata allo speculativo hegeliano e quindi alla dimensione della totalità, compare in Pareyson la ricerca per la verità nell’incontro tra l’artista e l’opera d’arte, considerati bacini inesauribili ed infiniti di verità ed esperienza. La “forma” dell’opera diventa così l’elemento delimitante la significazione infinita e impedisce quel regresso all’infinito, portatore del nulla, del circolo ermeneutico, caratteristico dell’ontologia heideggeriana e gadameriana. D’altra parte l’incontro tra l’artista e l’opera, dimensioni infinite ed inesauribili, ostacola l’oggettivazione compiuta della verità, patrimonio hegeliano ormai superato. In conclusione, anche nella teoria estetica della forma, la libertà diventa l’unico valore capace di cogliere la verità, privata dell’assoluto e caratterizzata dalla finitezza dell’esperienza. A.S. Malinconia e filosofia della storia Era già noto come la malinconia fosse un’antico stato d’animo legato alla percezione della propria impotenza rispetto al vano e inarrestabile scorrere del tempo. Un recente studio pone invece la malinconia in rapporto alle disillusioni suscitate dal Moderno: si tratta dell’opera di Ludger Heidbrink, MELANCHOLIE UND MODERNE. ZUR KRITIK DER HISTORISCHEN VERZWEIFLUNG (Malinconia e Moderno. Per la critica della disperazione storica, Wilhelm Fink, Monaco di Baviera 1994). Secondo Ludger Heidbrink si tratta di uscire sia dalle visioni salvifiche della storia, sia da quelle critiche e negative che, in quanto tali, rimangono ugualmente chiuse in un orizzonte storico di aspettative. Se la fede nel progresso ha dovuto ben presto ricredersi di fronte ai lutti prodotti dalla ragione, osserva Heidbrink, la critica del progresso ci ha tuttavia abituato a un senso di vuoto, di latente mancanza. La modernità ha finito così con l’accompagnarsi a un senso di malinconia, connesso al sentimento di una perdita: la malinconia moderna è il risultato, da un lato, di un certo tipo di percezione del tempo storico, dall’altro dell’emergere dell’individuo come soggetto. Esaurite le visioni cicliche del tempo proprie degli antichi e la visione salvifica della storia propria della concezione cristiana, la storia, secondo Heidbrink, ha assunto nella modernità la dimensione di un piano immanente di compimento umano, ancora fortemente segnato, tuttavia, dalle precedenti attese escatologiche. Da qui il significato esclusivo e le utopie della storia, ma 27 anche la disperazione di cui la storia è stata sempre portatrice. Di fronte al senso di insoddisfazione rispetto alle attese suscitate dalle prospettive storiche del Moderno, Heidbrink distingue tra strategie di fuga, come l’ideale della distinzione indicato da Simmel, e strategie di superamento del potere esercitato dal tempo storico; tra queste ultime egli pone l’idea di ascesi avanzata da Schopenhauer, l’addomesticamento del tempo nella concezione nietzscheana dell’eterno ritorno dell’uguale, e il cosiddetto “decisionismo estetico” di Lukács. Le radici storiche della malinconia sono da ricercarsi, per Heidbrink, nel sorgere dell’individualità a partire dall’epoca romantica, allorché il tempo cominciò da una parte a prospettarsi all’interno dell’esperienza dell’io vissuto, dall’altra a dispedersi in essa, senza che il soggetto stesso dell’esperienza potesse venirne a capo. Così, secondo Heidbrink, per liberarsi dalla malinconia storica occorre sbarazzarsi delle moderne visioni teleologiche della storia, che ne pongono il compimento al di là di essa (come idea di fine della storia nel risolutivo presentarsi della pienezza dei tempi). Questo non significa che ci si debba sottrarre al compito di attribuire un senso alla storia; piuttosto, l’individuo deve porsi in una dimensione temporale, in cui possa realisticamente dispiegare tutte intere le sue potenzialità, senza proiettarsi in una temporalità sovrumana, né adottare un’idea di progresso contrassegnata in senso escatologico; una dimensione in cui l’essere l’umano, in quanto ente razionale, sia posto all’altezza delle proprie facoltà di essere vivente finito. G.B. Analisi e riflessioni su Rosmini Il pensiero di Antonio Rosmini è oggetto d’analisi di alcuni studi, che ne affrontano differenti aspetti tematici. In ONTOLOGIA E MORALE (Vita e Pensiero, Milano 1994) Roberto Nebuloni ricostruisce il complesso ontologico-morale del pensiero rosminiano, mentre Tina Manfredi, con il saggio ESSERE E VERITÀ IN ROSMINI (Edizioni studio Domenicano, Bologna 1994) apre una riflessione sulla concezione dell’essere in Rosmini. Affianca questi studi interpretativi la pubblicazione, a cura di Pier Paolo Ottonello, di una raccolta degli scritti estetici di Rosmini, SULL’IDILLIO E SULLA NUOVA LETTERATURA ITALIANA (Guerini e Associati, Milano 1994). La peculiarità della filosofia di Antonio Rosmini consiste in un antisoggettivismo, che si ripresenta sotto diverse problematiche. In Ontologia e morale Roberto Nebuloni analizza la dimensione ontologicamorale del pensiero di Rosmini, mostrando come il discorso morale e quello ontologi- AUTORI E IDEE co si presentino qui strettamente legati: la partecipazione all’essere puro diviene morale in tutti i suoi aspetti, così come rende morale l’ente (il soggetto) che ne partecipa. In questo la categoria del male si viene a collocare nel dissociarsi del soggetto da una verità che si presenta in veste di essere supremo, tanto da acquisire connotati metafisici oltre che puramente morali. L’antisoggettivismo rosminiano acquista specificità nello studio di Tina Manfredi, Essere e verità in Rosmini, che analizza la concezione rosminiana della mente come fondamento costituitivo e principio formale, in base al quale diviene possibile porre una naturale connessione fra essere oggettivo e mente in quanto nesso ontologico originario. Dal punto di vista gnoseologico e ontologico la verità trova così corrispondenza in un essere reale, a cui la mente umana è chiamata a partecipare in vista di una pienezza ontologica-morale. Il riconoscere all’essere la singolare proprietà di rendere manifeste le cose nella loro verità, osserva Tina Manfredi, diviene possibile, in Rosmini, attraverso il superamento di qualsiasi forma di dualismo. Gli scritti che compongono la raccolta dal titolo: Sull’idillio e sulla nuova letteratura italiana travalicano le coordinate morali e si inoltrano nel complesso campo dell’estetica che Rosmini considera il luogo di un equilibrio tra opera oggettiva e spirito soggettivo. Pier Paolo Ottonello, curatore della raccolta, pone l’attenzione sul rapporto tra l’idea di bellezza e l’idea di verità, estendendo l’antisoggettivismo rosminiano anche a livello estetico-artistico. L’estetica occupa uno spazio fondamentale all’interno della visione cosmica rosminiana, intervenendo nella realizzazione di un potenziale perfezionamento del cosmo. L’accostarsi del soggetto al fluire dell’esistenza come delle idee, costituisce per Rosmini la possibilità di cogliere una verità che si incarna nell’esistenza stessa e si manifesta nei suoi molteplici aspetti. D.M. Pensare il marxismo Ne L’EGUALE LIBERTÀ (Vangelista, Milano 1994) Costanzo Preve mostra come l’enigma del comunismo sia antropologico e come la sua base vada ricercata nella natura umana, storicamente collocata all’interno di un modo di produzione e del suo divenire. In un altro studio, scritto in collaborazione con l’economista Gianfranco La Grassa, OLTRE LA GABBIA D’ACCIAIO (Vangelista, Milano 1994), Preve critica la visione, di matrice weberiana, del capitalismo come gabbia d’acciaio invalicabile, proponendo un recupero, e contemporaneamente una modifica, del concetto marxiano di “modo di produzione”. Secondo volume di una trilogia filosofica che vuole indagare il rapporto fra modo di produzione capitalistico e comunismo, L’eguale libertà è incentrato sull’ipotesi che l’elemento decisivo della transizione dal capitalismo al comunismo sia la natura umana. In questo suo studio Costanzo Preve delinea un’antropologia sociale della libertà e dell’eguaglianza attraverso quattro momenti. Il primo mostra come per Marx, che eredita da Aristotele una concezione dinamica della natura, non esista una natura umana originaria. Qui Preve opta per una concezione della natura umana come teoria del determinarsi storico dell’ente naturale generico in libera individualità integrale moderna. Nel secondo momento Preve va alla ricerca delle “fonti nobili” del comunismo all’interno della storia della filosofia occidentale: l’amicizia come realtà sociale metapolitica (Epicuro); la trasformazione delle passioni in affetti consapevoli (Spinoza); la difesa della causa del popolo al di fuori della rappresentanza liberale e dell’istituzionalizzazione partitica (Robespierre); la libertà di tutti come eguale libertà (Hegel). Centrale è qui il problema dell’Essere come unità di ontologia e assiologia che definisce il termine storico di “natura umana”, vista come realtà del passaggio dall’ente umano generico alla libera individualità. Un’analisi filosofico-antropologica della figura del “compagno” è ciò che compie Preve nel terzo momento. Il materialismo dialettico di Engels viene visto come una ontoteologia, dove l’essere sociale è ricostruito in Padre (Scienza), Figlio (Classe Operaia) e Spirito Santo (Comunismo come Lotta di Classe vittoriosa): la modalità laica e quella religiosa si fondano qui in una metafisica della materia ed in uno stoicismo della necessità storica. Con Lenin la teoria del partito compie una mossa antiteologica che elimina le figure del Padre (Necessità della Storia) e del Figlio (Spontaneità delle Masse) di tipo kautskiano, luxemburghiano, menscevico. Per comprendere Stalin e lo stalinismo Preve ricorrere alle due categorie della “costruzione” e della “mobilitazione”, in cui agiscono i valori etico-politici fondamentali della dedizione alla Causa e della disciplina, liberamente accettata in nome della Causa stessa. L’analisi prosegue con l’eresia gnostica della salvezza socialista di Trotzkij e con l’ultimo evento del programma comunista novecentesco: Guevara. Da ultimo viene anche analizzato il periodo della contestazione occidentale tra il 1956 e il 1989, dove la dialettica della dissoluzione burocratica trova un esito in Nietzsche nella figura dell’Eremita, ignaro della Morte di Dio e del fatto che la Necessità della Storia non esiste, e in quella dell’Ultimo Uomo, rappresentante del nichilismo compiuto. Nel quarto momento l’indagine sulla natura umana viene specificandosi in una teoria della comunità, che secondo Preve, non può essere presupposta né come una mitica 28 Origine da recuperare, né come Fine della Storia: il comunismo moderno può essere soltanto una comunità non organicistica di individui. Ad un recupero della nozione marxiana di “modo di produzione” è dedicato il volume Oltre la gabbia d’acciaio. Qui Gianfranco La Grassa mostra come il modo di produzione capitalistico sia innervato da una relazione più antica e comune a tutte le società divise in classi: quella di dominazione-subordinazione. Il concetto marxiano di modo di produzione sarebbe invece basato su un sistema di proprietà, che non è proprietà dei mezzi di produzione, come premessa per il controllo effettivo della produzione. Preve e La Grassa propongono qui di passare da una concezione incentrata sul “capitalismo proprietario” ad una basata sul “capitalismo lavorativo”. È così possibile individuare nel capitalismo contemporaneo tre classi: una proprietariofinanziaria, una imprenditoriale manageriale e una lavoratrice subordinata che, a differenza di quanto pensava il marxismo della tradizione, non si presenta come Soggetto unificato. Nel suo contributo al volume, Preve fa notare come il comunismo sia una “possibilità storica concreta” che si delinea secondo determinate forme storiche, differenti le une dalle altre, in base alle forme globali assunte da una determinata transizione interna ad un modo di produzione. In quanto novità ontologica qualitativa nella storia, il comunismo non può essere interpretato come il Per Sé del Proletariato, che conterrebbe potenzialmente In Sé il comunismo come attualità aristotelica. Il mito del Proletariato, osserva Preve, è in tal senso un mito essenzialistico, in quanto ad un aggregato sociologico dato viene attribuita un’essenza sociale universalistica. La dialettica fondamentale è invece quella dell’opposizione fra universalismo e particolarismo: il materialismo storico di Marx è in tal senso il prodotto storico della “coscienza infelice” della borghesia europea, basato sull’incompatibilità fra universalizzazione reale della co scienza umana e particolarismo degli interessi privati capitalistici. Per rifondare la teoria comunista è necessario, secondo Preve, riformulare la teoria marxiana della struttura inserendovi, oltre la dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione, un terzo elemento: la capacità antropologica globale di socializzare in modo alternativo sia le forze produttive, sia i rapporti sociali di produzione. Per uscire dalla teologia comunista, si deve operare una rivoluzione copernicana del marxismo: il soggetto trasformatore deve essere posto in posizione centrale e la struttura economica e sociale deve ruotargli attorno. In Marx non vi è una teoria del comunismo e di esso non si può dire nulla se non si possiede il concetto di comunista, inteso, nell’accezione hegeliana del termine, come figura antropologica concretamente capace di concepire e praticare rapporti comunisti di produzione. M.B. AUTORI E IDEE Interpretazioni di Nietzsche Nel saggio L’ANTROPOLOGIA DI NIETZSCHE (Morano Editore, Napoli 1995) Alberto Giovanni Biuso ricostruisce le caratteristiche principali dell’antropologia pagana di Nietzsche, contrapposta a quella cristiana, ed esemplificata dalla figura del superuomo, i cui tratti salienti sono la capacità artistica di inventare forme, la superiorità intellettuale rispetto alle masse e il controllo misurato delle passioni. Un diverso itinerario interpretativo viene sviluppato da Fabio Polidori in NECESSITÀ DI UNA ILLUSIONE. LETTURA DI NIETZSCHE (Guerini e Associati, Milano 1995), che analizza la problematica della soggettività nella filosofia nietzscheana con l’intento di mostrare la necessità dell’affermazione del soggetto, nonostante il riconoscimento del suo carattere illusorio. Ne L’ATEISMO DI NIETZSCHE E IL CRISTIANESIMO (con una postfazione di G. Penzo, Queriniana, Brescia 1994) Bernhard Welte interpreta invece in chiave religiosa l’ateismo di Nietzsche, riconoscendo nella figura del superuomo l’espressione del tentativo di raggiungere lo stato di grazia come unione tra elemento umano e divino. Secondo Alberto Giovanni Biuso, solo delineando un itinerario che parta dai Greci per giungere fino a Schopenhauer è possibile individuare le caratteristiche essenziali dell’antropologia nietzscheana. Il modello offerto dalla cultura greca consente infatti di riconoscere in Nietzsche un’antropologia pagana contrapposta a quella cristiana. Privilegiando l’elemento della differenza e l’aspirazione dell’uomo ad accrescere la propria potenza, l’etica antica propone un uomo diverso da quello cristiano, capace di sopportare la sofferenza, senza lasciarsene distruggere e senza riferirsi a un Dio che possa redimerlo. Pensatori cristiani come Agostino e Pascal appaiono in tal senso come l’emblema di un’antropologia che deprime e umilia l’uomo, sottomettendolo a Dio, anche se Nietzsche riconoscerà a Pascal il merito di aver considerato l’importanza del singolo rispetto alla massa e di aver stabilito il “significato non democratico” della verità. Riguardo a Spinoza, pur sottolineandone la vicinanza filosofica con Nietzsche rispetto alla teoria deterministica, Biuso non sovrappone le loro posizioni, in quanto la concezione nietzscheana dell’amor fati è distante dall’ammissione di un principio monistico come quello spinoziano, considerato il fondamento dell’essere e del conoscere. A differenza dell’ontologia spinoziana, statica ed immobile nella sua perfezione, il pensiero di Nietzsche è dinamico e “prospettico”, configurandosi come pensiero del divenire. Al termine dell’itinerario interpretativo tracciato da Biuso troviamo Schopenhauer, maestro indiscusso di Nietzsche; l’antropologia nietzscheana, secondo Biuso, non avrebbe potuto strutturarsi senza quella schopenhaueriana, per il rifiuto di ogni misconoscimento e di ogni mistificazione riguardo al male e alla sofferenza, ma anche per la sua connaturata componente aristocratica. Ciò che Nietzsche non può invece condividere della filosofia di Schopenhauer è l’etica della rassegnazione e della rinuncia. In riferimento a Schopenhauer, Biuso mostra come la condanna di Nietzsche delle masse, dei principi dell’egualitarismo e della democrazia sia piuttosto una condanna estetica, morale e spirituale. L’uomo-massa viene disprezzato per la sua ottusità intellettuale, la sua volgarità, la sua mancanza di gusto estetico e il suo infantilismo, che lo conduce all’aspirazione di un appagamento totale dei suoi desideri, al di là dei divieti imposti dal reale. Contro una interpretazione irrazionalistica della filosofia nietzscheana, Biuso mette qui in evidenza come Nietzsche miri invece ad un controllo razionale delle passioni, opponendosi agli estremismi dell’irrazionalismo e del razionalismo. La ragione in Nietzsche si configura come una “ragione prospettivistica”, unione di pulsioni e di razionalità, aderente al divenire e ai molteplici sensi del vivere. Da un’altra prospettiva interpretativa, Fabio Polidori analizza la complessa problematica nietzscheana della soggettività, rilevando come per Nietzsche l’arte abbia più valore della stessa verità. La critica di Nietzsche alla soggettività come principio unitario, come fondamento a cui ricondurre la molteplicità illusoria e menzognera del reale, non sfocia nella dissoluzione della soggettività stessa, ma anzi conduce alla considerazione del necessario mantenimento di questa illusorietà e menzogna. Di fatto, sottolinea Polidori, la filosofia di Nietzsche mette in crisi lo statuto ontologico della verità, considerata non più come il luogo da cui sorgono tutti i valori, ma come un valore tra i valori e quindi come una forma di illusione. La crisi della concezione unificatrice della verità, osserva Polidori, non determina tuttavia in Nietzsche una considerazione della filosofia come attività interpretativa della molteplicità del reale, che rappresenta invece la legittimazione del fondamento sostanziale della soggettività, a cui l’arte dell’interpretare deve essere riferita. La negazione della soggettività si manifesta in Nietzsche attraverso la volontà di potenza che, muovendosi nella circolarità temporale dell’eterno ritorno, nell’ambito del divenire senza origine, rivela la sua mancanza di razionalità, di causalità e di finalità. Dell’eterno ritorno, fa notare Polidori, non si può infatti parlare, poiché esso costituisce il “parlare stesso del linguaggio”; e neppure lo si può vedere, poiché rappresenta “il vedere stesso della visione”. Nell’atto stesso in cui l’eterno ritorno viene comunicato, si dissolve, mentre si afferma la soggettività. 29 Infine, l’interpretazione proposta da Bernhard Welte intende evidenziare nell’ateismo di Nietzsche una componente divina, in quanto l’aspirazione della volontà dell’io di essere implica l’aspirazione all’essere divino. Proponendo di andare “oltre” l’uomo, e quindi auspicando un’immagine di uomo perfetto e unitario, Nietzsche si ricollega, secondo Welte, ad una prospettiva cristiana, fondata sull’aspirazione alla conciliazione tra l’umano e il divino. Se per Nietzsche esiste un unico volto del reale, quello “confuso e dilacerato” di Dioniso, “la grande voluta esistenza”, portando il nome di Dioniso, rivela il suo legame inevitabile col divino. M.Mi. Il sapere dell’anima Privilegiando l’interpretazione dialettica della filosofia platonica rispetto a quella metafisico-ontologistica, nel suo saggio, SCRIVERE NELL’ANIMA. VERITÀ, DIALETTICA E PERSUASIONE IN PLATONE (La Nuova Italia, Firenze 1994), Franco Trabattoni mostra come la svalutazione della scrittura da parte di Platone sia da attribuire all’incapacità del discorso scritto di rispondere alle eventuali domande del destinatario. In tale prospettiva, emerge in Platone l’opposizione tra discorso e sapere dell’anima. Come la scrittura resta avvolta dal silenzio, altrettanto si può dire per Platone delle immagini nelle arti figurative, come fa notare Pierre-Maxime Schuhl in PLATONE E LE ARTI FIGURATIVE (a cura di S. Benassi, Book, Parigi 1994). Analizzando in Platone il problema del rapporto tra oralità e scrittura, Franco Trabattoni intende contrapporsi sia all’interpretazione della Scuola di Tubinga, che afferma che in Platone la verità appartiene alle dottrine non scritte, sia all’interpretazione di coloro che considerano la svalutazione platonica della scrittura come indice di scetticismo. Per uscire da questo dilemma Trabattoni mostra come l’insofferenza di Platone per lo scritto, la sua predilezione per i dialoghi orali non debba essere attribuita alla svalutazione della scrittura rispetto all’oralità, ma alla constatazione dell’impossibilità del discorso scritto di rispondere alle eventuali domande degli interlocutori per la sua fissità, la sua incapacità di aiutarsi, di difendersi e di andare oltre se stesso. Da questo punto di vista, Trabattoni mette in crisi l’ipotesi dell’esistenza di un testo orale, al quale Platone avrebbe assegnato la funzione di esprimere i principi essenziali della sua teoria. Inoltre il discorso scritto viene svalutato da Platone non solo per il suo intrinseco mutismo e per l’impossibilità di sostenersi, ma anche perché si rivolge indiscriminatamente a tutti, non potendo scegliere i suoi interlocutori; del discorso orale, Platone mette AUTORI E IDEE in evidenza, invece, la mobilità, la possibilità di adeguarsi agli interlocutori. Non esiste dunque, per Trabattoni, una netta contrapposizione tra scrittura e oralità, ma piuttosto tra i discorsi e il “sapere dell’anima”: nell’ottica platonica il vero sapere è quello dell’anima in quanto la verità è scritta nell’anima. Così, mentre lo scrittore generico asservisce l’anima al discorso, il filosofo dà la priorità all’anima, alla quale lo stesso discorso è subordinato. Sottolineando il nesso esistente nella filosofia platonica tra persuasione e verità, Trabattoni si propone di opporsi ad una concezione della verità come imposizione acritica a favore di una concezione che considera come inerente alla struttura stessa della verità l’accettazione della verità da parte degli ascoltatori. Solo privilegiando l’interpretazione dialettica di Platone contro l’interpretazione scolastica rigidamente metafisica, è possibile mettere in evidenza il legame della verità con la persuasione e quindi la relazione tra filosofia e retorica. Se in rapporto alla comunicazione orale i discorsi scritti rivelano il loro carattere silenzioso, anche le immagini delle arti figurative, osserva Pierre-Maxime Schuhl, sono per Platone figure mute. La pittura è un’imitazione imperfetta della realtà che allontana dalla verità, in quanto si perde dietro alle apparenze sensibili, seguendo le ombre effimere che scorrono nelle pareti della caverna. Inoltre, il pittore è più distante dalla verità dell’artigiano, che almeno riferisce la sua attività all’idea, all’essenza, mentre il pittore si limita a compiere una copia della copia, rimanendo imprigionato nella maglia fittizia dei fenomeni sensibili. In questa prospettiva, fa notare Schuhl, la pittura è vista da Platone come un’illusione, in quanto crea un mondo fantasmagorico, paragonabile all’illusione che viene determinata dai discorsi dei sofisti; come questi ultimi sono incapaci di rivelare la verità, generando continue immagini illusorie della realtà, così anche le pitture si rivelano mirabili “giochi di prestigio”, frutto di un’arcana magia che, se suscitano l’incantamento di coloro che le contemplano, tuttavia mostrano tutta la loro inconsistenza. D’altra parte, la bellezza propria delle arti figurative non può che essere relativa, essendo molto lontana dalla percezione della bellezza assoluta che ha un carattere ideale e spirituale. La condanna platonica della pittura, osserva Schuhl, si estende a tutte le altre arti figurative, considerate produttrici di innumerevoli illusioni. Platone istituisce un paragone tra l’arte del demiurgo, che plasma il mondo, e la tecnica dell’artigiano, che costitruisce gli oggetti del mondo. Infatti, se l’arte è una semplice imitazione dell’apparenza del vero, esiste un’arte più nobile, più elevata, che è quella del demiurgo che, come uno scultore, modella la materia ispirandosi alle essenze ideali eterne. Di fronte a quest’arte divina, le arti umane per Platone si rivelano ben poca cosa, poichè si trovano negli «spazi intermedi tra essere e non essere». M.Mi. Karl Popper L’ultima opera di Popper A breve tempo dalla scomparsa di Karl Popper viene pubblicata la sua ultima opera, ALLES LEBEN IST PROBLEMLÖSEN. ÜBER ERKENNTNIS, GESCHICHTE UND POLITIK (Tutta la vita è soluzione di problemi. Sulla conoscenza, la storia e la politica, Piper, Monaco di Baviera - Zurigo 1994), una raccolta di interviste, saggi, discorsi elaborati da Popper tra il 1958 e il 1993. Parallelamente viene pubblicata, ad opera del linguista Manfred Geier, una monografia sulla vita e il pensiero dell’epistemologo, dal titolo: KARL POPPER (Rowohlt, Reinbeck 1994). Già dal titolo, l’ultima opera di Karl Popper, Alles Leben ist Problemlösen, allude chiaramenteal nucleo teorico del razionalismo critico, per il quale la scienza non comincia con la raccolta dei dati, o fatti, ma con i problemi. Nella Logik der Forschung (Logica della ricerca, 1934), in cui viene esposta la teoria falsificazionista della scienza, Popper riconduceva il metodo scientifico a tre ambiti fondamentali: problemi, teorie, critiche, sottolineando come la scienza viva dei suoi errori, superando i quali è in grado di avvicinarsi all’ideale regolativo della verità. L’atteggiamento critico nei confronti delle questioni di scienza naturale, storia e politica caratterizza anche i contributi presenti in quest’ultima opera di Popper, che non solo invita il lettore alla riflessione lucida e all’autocritica, ma costituisce anche una buona sin30 tesi dell’intera opera filosofica di Popper. Laprima parte del volumeèdedicata aquestioni di scienza naturale; nella seconda parte Popper muove una critica impetuosa agli intellettuali, giudicandoli responsabili dei grandi conflitti ideologici e dei sacrifici umani in nome delle idee. Qui Popper non risparmia neanche i politici e i loro rispettivi elettori, con riferimento ad eventi di attualità relativi alla scena tedesca ed austriaca. L’applicazione del principio di falsificabilità alla politica ha come diretta conseguenza la celebrazione dell’ideale della “società illuminata”, basata sull’esercizio critico della ragione umana e sulla libertà di scelta. Alla luce degli eventi d’attualità, Popper insiste particolarmente sulla necessità di definire i confini della libertà: «Esiste un abuso della libertà analogo all’abuso del potere statale. Abbiamo bisogno della libertà per evitare l’abuso del potere statale e abbiamo bisogno dello stato per evitare l’abuso della libertà». Tali osservazioni costituiscono una maturata riproposizione delle note riflessioni su storicismo e società chiusa, contenute nei due volumi di La società aperta e i suoi nemici (1945). Per una conoscenza generale della figura di Popper e della sua produzione filosofica è certamente d’aiuto la recente monografia di Manfred Geier, che ripercorre la vita e la vicenda intellettuale di Popper dalla sua nascita, a Himmelhof, nel 1902 sino ai suoi ultimi anni trascorsi in Inghilterra. La monografia è corredata da una serie di citazioni, tratte dalle opere di Popper, e ne delinea prevalentemente il profilo scientifico. L.R. AUTORI E IDEE Ortega y Gasset Ad oltre vent’anni dalla prima traduzione, viene pubblicata una nuova edizione, a cura di Armando Savignano, di COS’È FILOSOFIA? (Genova, Marietti, 1994) dello spagnolo José Ortega y Gasset. Il motivo di questa riproposta editoriale ha a che vedere senza dubbio con la peculiarità della recezione dell’opera di Ortega in Italia, aspetto questo sottolineato nel recente studio del noto ispanista Franco Meregalli, INTRODUZIONE A ORTEGA Y GASSET (Laterza, Roma-Bari 1995). La monografia di Franco Meregalli su José Ortega y Gasset risponde alla necessità, che da tempo si avvertiva in Italia, di una guida che aiutasse il lettore ad orientarsi nella dispersione labirintica in cui si trova l’opera di Ortega nel nostro paese. Ortega non ci ha lasciato il suo pensiero in un’opera sistematica; al contrario, il pensiero di Ortega alimenta una vasta e varia opera, che nasce da un costante rapporto con la realtà circostanziale: il suo lascito più prezioso sta proprio nella sua costante attenzione verso il mondo circostante, verso gli eventi. Due aneddoti: nel 1937, quando la guerra civile devastava la Spagna, Ortega scrisse un bellissimo saggio sulla traduzione; a nessuno può sfuggire oggi il valore politico di questo gesto: di fronte alla guerra, egli predica la traduzione, cioè la possibilità del dialogo, che è per lui la norma suprema della convivenza, il luogo sacro dove risolvere ogni conflitto. Poi, appena finita la Seconda Guerra Mondiale, in una Berlino divisa e in rovina, vinta e umiliata, si recó a parlare dell’Europa unita, degli Stati Uniti d’Europa in un’Europa che non esisteva più. Ortega non era solo un filosofo; era professore, giornalista, scrittore, editore, conferenziere, politico, ecc., ma è pur vero che il suo modo di fare filosofia, come rileva Meregalli, permeava ogni suo gesto, ogni sua azione. Il pensiero nasce non come distrazione oziosa ma come bisogno di orientarsi nella vita: è questo il vero significato della “ragion vitale” propugnata da Ortega: la ragione non è un dono, ma una facoltà che l’uomo ha sviluppato storicamente, e non per capriccio, ma come necessità vitale; il pensiero, e quindi la filosofia, è un’attività che l’uomo esercita per non naufragare nel tempestoso mare dell’esistenza. La necessità della filosofia, la sete di conoscenza che ha l’uomo, viene affiancata nel pensiero orteghiano da un atteggiamento ludico-sportivo, e questo perché le necessità umane, dirà Ortega con un paradosso, appartengono all’ambito del superfluo: l’uomo è un essere tecnico, un essere che fugge la propria animalità, non si adatta all’ambiente, cerca, anzi, mediante la trasformazione tecnica di adattare l’ambiente in direzione del proprio “benessere”. Ed è quindi quest’aspetto lus- José Ortega Y Gasset suoso del pensiero che segna la sua caratteristica principale. Pensare non per soddisfare la biologia, ma per rispondere a un desiderio di felicità. Cos’è filosofia? è il testo di un corso tenuto da Ortega nell’anno 1929. Era un momento di grande turbolenza sociale e politica, e il corso, in seguito alla chiusura dell’Università, dovette spostarsi dalle aule di una facoltà alla profanità di un teatro madrileno. Tutta l’opera di Ortega presenta un forte carattere teatrale e Cos’è filosofia?, probabilmente a causa del luogo in cui si svolse, riflette con ancora più evidenza questo carattere. In questo testo ci troviamo di fronte alle suggestioni della parola di Ortega: egli era consapevole che non bastava convincere ma bisognava soprattutto sedurre. E così queste undici lezioni sono un crescendo drammatico, una sorta di percorso preparatorio, in cui si fa una critica serrata sia all’idealismo, sia al realismo (le due grandi metafore della filosofia), per mostrarci 31 alla fine, nuda, la sua proposta del “raziovitalismo”. Il debito con Heidegger è innegabile: il debito non è tematico, ma di ricomposizione e di ristrutturazione dello stesso pensiero orteghiano. Essere e tempio fu per Ortega una profonda scossa, ma anche una conferma del proprio pensiero: fu uno dei primi a rendere pubblica l’importanza filosofica dell’opera di Heidegger quando il filosofo tedesco non era che uno sconosciuto professore, mentre la fama di Ortega era già ben solida, sia in Europa che in America. La lettura di Heidegger dà un impulso decisivo alla svolta che si preparava da tempo nel pensiero orteghiano: il passaggio dall’antropologia alla metafisica, e cioè il bisogno di approfondire e di chiarire la base del suo pensiero. Il dato primario e fondamentale da cui, secondo Ortega, deve partire la filosofia non è né il soggetto, né l’oggetto, ma la dinamica co-esistenza di un io col suo mondo, la “mia vita”, come lui la chiamava: “essere” significa adesso AUTORI E IDEE “vivere”. Ortega approda ad una nuova ontologia per la cui descrizione la filosofia, smarrita, volge il suo sguardo verso la metafora, e questa ci rivela tutta la sua potenza filosofica, il suo potere rivelatore di verità (alétheia). La nuova idea dell’Essere, la realtà radicale della vita circostanziale, esige dunque una vera e propria “riforma della filosofia”, che deve materializzarsi in primo luogo in una “riforma del linguaggio”. F.J.M. Itinerari fenomenologici Nel volume dal titolo: LA COSA STESSA. SEMINARI FENOMENOLOGICI (Edizioni De- dalo, Bari 1995), a cura di Giuseppe Semerari, vari autori propongono una serie di itinerari fenomenologici con l’intento di mettere in evidenza prospettive differenti riguardo al modo di concepire la relazione del soggetto con il mondo. Di Husserl è recentemente apparsa, con introduzione di Giuseppe Semerari, una nuova traduzione del noto saggio L A FILOSOFIA COME SCIENZA RIGOROSA (trad. it. di C. Sinigaglia, Laerza, Bari-Roma 1994) pubblicato nel 1911 sulla rivista «Logos». Curato da Giuseppe Semerari, il volume La cosa stessa raccoglie scritti di vari autori, che muovendo da “fenomenologie” diverse mettono in evidenza il carattere antiteoreticistico della fenomenologia nel suo intento di delineare l’incontro del soggetto con il mondo e con gli altri. Nel saggio “Cominciamento” e “riduzione”. Considerazioni su ‘Erste Philosophie (1923-24), zweiter Teil’, Francesco Valerio mostra la diversità, nella conoscenza della cosa, tra la “via cartesiana” e la “via fenomenologico-trascendentale”. Husserl infatti, pur valutando positivamente il cogito cartesiano, non può seguire fino in fondo la posizione di Cartesio, in quanto la fenomenologia della cosa stessa richiede «la determinazione del senso nella sua piena radicalità». Nella conoscenza della cosa Husserl intende porre un inizio fenomenologico immediatamente evidente, privo di presupposti; tale inizio non può trovarsi nel mondo, inficiato dalla possibilità del non essere, né, d’altra parte, coincidere con l’io penso cartesiano, gravato irrimediabilmente da un “dogmatismo prefenomenologico”. La necessità della riflessione trascendentale, fa notare Valerio, deriva così dal legame tra inizio fenomenologico e riduzione trascendentale. Intervenendo su Heidegger e la “filosofia”, Giuseppina Strummiello mostra la diversità della fenomenologia di Heidegger da quella husserliana, riguar- do al modo di intendere l’inizio fenomenologico. Infatti, per Heidegger, la questione dell’inizio è un “falso problema”, poiché ciò che conta è il porsi stesso della “linea” , non un punto qualsiasi di essa. Per il giovane Heidegger, l’origine è situata nell’intensificazione della vita, laddove la fenomenologia non è altro che «la vita compresa scientificamente». Successivamente Heidegger considera l’origine come la corrispondenza del pensiero all’appello di ciò che è dato ad esso. La concezione heideggeriana, dal punto di vista teologico, è oggetto anche dell’analisi di Martino Sgobba, Sul problema teologico in Heidegger. Secondo Heidegger, osserva Sgobba, Dio deve essere incontrato e non conosciuto; opponendosi decisamente alla teologia filosofica, Heidegger propone un Dio vivente, un Dio ignoto, che si palesa solamente a quel pensiero che rinuncia a pensarlo. Espressione dell’atteggiamento heideggeriano verso Dio è il silenzio, quel silenzio di chi, lontano dalla teologia e dalla filosofia, si pone in ascolto del Dio dei filosofi. Il riferimento alla fenomenologia heideggeriana ritorna anche nel contributo di Annalisa Caputo, Nietzsche e la fenomenologia, che evidenzia similitudini e differenze della “fenomenologia” di Nietzsche sia con la fenomenologia di Heidegger, sia con quella di Husserl. In comun e con la fenomeno logia di Heidegger quella di Nietzsche ha la considerazione del pensiero come qualcosa di “oscuro” e “nascosto” e che viene dall’esterno. La fenomenologia di Nietzsche, osserva Caputo, può essere definita fenomenologia dell’essere, se per essere viene inteso il mondo formato dai pensieri, i sentimenti e le azioni propri di tutti gli esseri. D’altra parte, la fenomenologia di Nietzsche può essere considerata fenomenologia del soggetto se per soggetto si intende il modo di rapportarsi dell’uomo al mondo, secondo i suoi bisogni. Tuttavia è pur vero che laddove Nietzsche parla di divenire, Husserl e Heidegger prediligono parlare di tempo. Sulla possibilità di uno sviluppo della ricerca fenomenologica in direzione analitica si pronuncia Alberto Altamura nel saggio: Per una fenomenologia ermeneutica. Il contributo della filosofia analitica. La filosofia analitica, sottolinea Altamura, può di fatto saldarsi con il risvolto ermeneutico della fenomenologia, poiché l’interpretare rappresenta il modo in cui la comprensione del mondo si concretizza. Mostrando come la coscienza sia intenzionale, Husserl, come rileva Tugendhat, prospetta la possibilità di stabilire la relazione tra il soggetto e l’oggetto come una relazione basata sulla comprensione degli enunciati. Dell’impostazione della fenomenologia in Binswanger si occupa Domenica Discipio nel saggio: Per una “fenomenolo32 gia dell’amore”: Ludwig Binswanger. Nella fenomenologia di Binswanger il problema dell’essere non è più solamente intenzionale ed esistenziale, ma anche duale. La fenomenologia rappresenta qui la possibilità di determinare un differente rapporto terapeutico tra medico e paziente, rivelando una dimensione che, al di là del rapporto tra servitù e signoria, si manifesta nell’incontro tra uomo e uomo. Quella di Binswanger è una fenomenologia dell’amore che, proponendo un diverso rapporto io-tu, difende l’irripetibilità dell’individuo nella sua relazione con il mondo e con gli altri. L’opposizione al naturalismo e allo storicismo, che caratterizza la fenomenologia di Husserl, risulta evidente in un saggio del 1911, *** pubblicato originariamente sulla rivista «Logos» e di cui è ora disponibile una nuova traduzione a cura di Giuseppe Semerari. In effetti, osserva Semerari nell’Introduzione al volume, nella concezione husserliana tutte le prospettive positivistiche, psicologiste, meccanicistiche possono essere accomunate sulla base di una medesima matrice naturalistica. Da questo punto di vista, continua Semerari, la critica allo storicismo è da porsi sullo sfondo. Infatti, quando nel saggio su Dilthey Husserl attacca lo storicismo, per opporsi al relativismo, ha in mente una Weltanschauungsphilophie, una “filosofia della visione del mondo”. L’elemento nuovo di questo saggio di Husserl, fa notare Semerari, è proprio la contrapposizione tra Weltanschauung (visione del mondo) e Wesensschauung (visione dell’essenza), cioè l’opposizione tra una visione razionale, legata alle essenze e diretta verso una verità “incontrovertibile”, e una visione del mondo basata su aspetti mentali ed emotivi. In tale prospettiva, i filosofi possono essere considerati o scienziati rigorosi, schiavi della ragione, o saggi profondi, che si interrogano sui principali misteri dell’essere. In ultima analisi, si può parlare in Husserl di un conflitto tra una verità solidificata in pietra e una verità vivente. M.Mi. TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Riflessioni sull’etica L’esigenza di fondare un’etica materiale dei valori, che integri la tradizione moderna dell’etica del dovere, dell’etica normativa con l’etica antica, costituisce il centro delle riflessioni contenute nello studio di Antonio Da Re, LA SAGGEZZA POSSIBILE. RAGIONI E LIMITI DELL ’ETICA (Gregoriana Libreria Editrice, Padova 1994). La riflessione sull’etica si sviluppa ulteriormente nella prospettiva di Sergio Bartolommei, che nel suo ETICA E NATURA (Laterza, RomaBari 1995) mostra la necessità di perseguire un’etica ambientale, che imponga il rispetto di «tutte quelle entità con interessi moralmente rilevanti». Affrontare il vasto ambito dell’etica con la necessità di proporre nuove chiavi di lettura, che rinuncino a interpretazioni unilaterali, è ciò che si propone Georges Cottier nei suoi SCRITTI DI ETICA (Piemme, Casale Monferrato 1994), che analizzano il problema etico da una prospettiva cristiana. Antonio Da Re si pone l’intento di realizzare nell’ambito dell’etica una mediazione tra il formalismo astratto, tipico della morale di Kant, e la “saggezza pratica” presente nelle massime etiche di Aristotele circa le conseguenze che scaturiscono dall’azione morale. Si tratta dunque, da un lato, di riempire di contenuti l’astratta legge kantiana, dall’altro, di evitare il pericolo del relativismo e dell’arbitrarismo implicito in tutte quelle teorie etiche che non tengono conto della necessità dell’obbligazione morale. Dopo aver esaminato l’etica fenomenologica di Max Scheler e di Nicolai Hartmann, che difendono l’etica materiale dei valori, Da Re analizza l’etica discorsiva di Karl-Otto Apel, che si qualifica essenzialmente come “etica della responsabilità”. Il progetto implicito nella teoria di Apel consiste infatti nella trasformazione dell’etica kantiana in un’etica della responsabilità, che stabilisca una razionalità pratica in grado di applicarsi alla realtà concreta dell’uomo: un tipo di razionalità che faccia propria un’istanza normativa, in opposizione a un tipo di razionalità tecnico-stru- mentale, legata al raggiungimento di fini contingenti. Per Apel, tra gli estremi kantiani degli imperativi categorici e di quelli ipotetici esiste una posizione intermedia, costituita dalla possibilità di fondare le norme materiali, i contenuti delle scelte concrete. In definitiva, l’etica di Apel si propone di superare il dualismo tra idealità e realtà sulla base del linguaggio. In questa prospettiva, osserva Da Re, si inserisce anche la concezione morale di Paul Ricoeur, che intende realizzare la conciliazione tra la teleologia aristotelica e la deontologia kantiana. Ricoeur sostiene infatti un’etica che sia fondata su un’ontologia dell’essere, concepito come potenza-atto, in opposizione a un’etica basata sull’ontologia della sostanza. Un’etica materiale dei valori, fa notare Da Re, pone problemi di autonomia dell’etica, di un suo possibile rapporto con altri ambiti come quello religioso o politico. Per quanto riguarda il rapporto tra etica e religione, Da Re sostiene che se si vuole rimanere coerenti all’oggetto stesso dell’etica non si può prescindere dalle domande fondamentali relative al significato dell’esperienza umana e morale, domande che implicano un’interrogazione di carattere religioso. D’altra parte, è l’ambito politico che rappresenta il luogo specifico nel quale i principi etici possono trovare una loro collocazione concreta. Per quanto riguarda invece il rapporto tra etica e natura, Sergio Bartolommei fa notare come nel dibattito filosofico abbiano prevalso finora due differenti concezioni della natura: una di matrice kantiana, che afferma la separazione tra uomo e natura e, di conseguenza, il dominio dell’uomo sulla natura e la separazione della sfera morale dalla natura; l’altra, di ispirazione humiana e di formulazione darwiniana, che concepisce la natura come strettamente collegata con la morale. Bartolommei mostra invece come oggi s’intenda per natura l’ambiente non prodotto dall’uomo, quel «sistema di relazioni bioetiche interdipendenti, governate da meccanismi omeostatici, per cui l’uomo come specie biologica è solo una parte». Secondo Bartolommei, le varie etiche si sono divise fino ad oggi in due tendenze fondamentali, a seconda che si sia preso 33 come riferimento un modello antropocentrico o un modello antiantropocentrico. Bartolommei critica soprattutto l’etica antropocentrica che, basandosi sull’affermazione del primato assoluto della specie umana su altre specie, finisce col sottrarre ogni considerazione morale ai non-umani e col privare la natura di un valore intrinseco. Diversamente, osserva Bartolommei, le etiche antiantropocentriche considerano il valore intrinseco della natura, sollevando la necessità di tutelare le cose come fini e valori in sé. Un’ulteriore distinzione all’interno dell’ambito etico è quella tra le etiche della norma assoluta e quelle della norma relativa, che per Bartolommei appaiono più plausibili, in quanto considerano come rilevanti a livello morale gli “interessi di benessere” di tutti gli animali percepienti e senzienti. M.Mi. Nei suoi Scritti di etica, Georges Cottier, padre domenicano, ci offre un’analisi cristiana del problema etico attraverso un costante confronto con il pensiero laico. Che un cristiano, fa notare Cottier, abbia sempre pronte delle risposte per ogni cosa, è un falso mito; anche il più convinto fra i cristiani, anche chi ha fatto voto a Dio, prova in certi momenti la disperazione di fronte al “proprio” male, di fronte all’incapacità di seguire la via della “vita”, che è poi la via etica. In base a tale considerazione Cottier elabora una visione etica, quale itinerario interiore che ha come fine la “vita” in opposizione alla “morte”. Da qui il rifiuto dell’eutanasia, della nascita in provetta, dello sperimentalismo a oltranza. L’opposizione naturale-artificiale viene affrontata da Cottier non solo riguardo a tematiche strettamente tecniche, ma riguardo a tutto un modo di concepire, sentire e vivere la propria coscienza. Pensare e agire secondo logiche finalistiche significa fare i conti con il bene, il male, con la propria libertà, che è la prima responsabile di atti che conducono alla perdizione, intesa come perdizione di sé, del proprio valore, della propria coscienza. Una coscienza artificiale non può rispondere ad alcuna esigenza, poiché è vuota; una coscienza autentica può invece riscattarsi in ogni momento e riprendere il cammino che conduce, con fatica, al bene. D.M. TENDENZE E DIBATTITI Placchetta con sfinge alata e palmetta (VI sec. a.C., da Ibiza) 34 TENDENZE E DIBATTITI Dumezil e Detienne: scritture del mito A nove anni dalla morte di Georges Dumezil, la pubblicazione di una raccolta di scritti inediti: LE ROMAN DES JUMEAUX (Il romanzo dei gemelli, Gallimard, Parigi 1995) e la nuova edizione di MITHE ET ÉPOPÉE (Mito ed epopea, Gallimard, Parigi 1995), entrambi a cura di Joël Grisward, ripropongono la lezione del grande maestro degli studi indoeuropei. Sul tema del linguaggio e della trascrizione del mito si segnalano i due volumi collettivi curati da Marcel Detienne: TRANSCRIRE LES MYTHOLOGIES. TRADITION, ÉCRITURE, HISTORICITÉ (Trascrivere le mitologie. Tradizione, scrittura, storicità), Albin Michel, Parigi 1995) e LA DÉESSE PAROLE. QUATRE FIGURES DE LA LANGUE DES DIEUX (La dea parola. Quattro figure della lingua degli dei, Flammarion, Parigi 1995). L’importante inedito di Georges Dumezil, Le roman des jumeaux, si presenta come una collezione di “profili mitologici”, un crocevia di piste di lettura che apre allo specialista itinerari nuovi nell’universo delle culture indoeuropee e regala al lettore una straordinaria esperienza di scrittura letteraria ed erudita insieme. La scelta del curatore, Joël Griswald, è stata quella di riproporre i testi nello stato di elaborazione in progress in cui li aveva lasciati Dumezil; l’insieme non sembra affatto soffrirne, considerata la programmatica incompiutezza dello stile di ricerca di questo autore, che preferisce indicare dei percorsi piuttosto che dare delle soluzioni. Questi scritti costituiscono il terzo e ultimo pannello di un trittico inziato con Heur et malheur du guerrier (1969; trad. it., Le sorti del guerriero, 1990) e proseguito con Dieux souverains des Indo-Européens (Dei sovrani degli indo-europei, 1977), che disegna la struttura trifunzionale che governa le civiltà indoeuropee. La riflessione sulle tradizioni mitologiche di un arco di popoli che va dall’India alla Scandinavia consente a Dumezil di individuare una comune concezione tripartita dell’universo e della società. È uno schema classificatorio che ha condizionato religione, arte, organizzazione politica e letteratura dei popoli di origine indoeuropea, e che evidenzia come una medesima struttura o ideologia sia all’origine delle diverse culture. Ciascuna delle tre componenti, posta in relazione gerarchica con le altre, presiede a un’attività umana essenziale: la sovranità religiosa e politica, la forza fisica e militare, la produzione e la riproduzione. Il riferimento ai gemelli rimanda all’universo della fecondità; appartiene appunto alla terza funzione, quella “nutrice”, legata alla coltivazione della terra e alla ripartizione dei beni, come nella tradizione vedica viene rappresentata nelle figure dei gemelli Nâsatya, e che nella variante greca si trasforma nella coppia Prometeo-Epimeteo. Nell’ordine simbolico la gemellarità richiama l’idea di complementarità; a fronte dell’astuzia e del coraggio di Prometeo, che ruba il fuoco a Zeus per benevolenza verso gli uomini, stanno la sventatezza e l’ingenuità di Epimeteo, che in assenza del fratello accoglie il regalo degli dei, Pandora, introducendo nel mondo degli uomini fatica, dolore e vecchiaia. Rappresentanti, nel mondo olimpico, delle ragioni degli umani, Prometeo ed Epimeteo ne condividono il dramma, misurando le proprie forze con quelle soverchianti degli dei, giocando di furbizia, cadendo nell’errore, in una vicenda che vede opporre l’astuzia alla forza, la fame e la fatica degli uomini all’indifferenza delle potenze divine. Le varianti mitologiche di questa dialettica che vede «il più furbo farsi gioco del meno furbo», ma dove l’ultima parola spetta forse al sorriso superno degli dei, vengono rintracciate da Dumezil nelle varie tradizioni letterarie indoeuropee. Il mito greco che rinnova nel rito del sacrificio la vicenda di Prometeo rappresenta nelle figure complementari dei gemelli il limite e la sfida insite nella condizione umana. E.N. Con l’invito a ripensare la mitologia come oggetto conoscitivo, Marcel Detienne aveva lanciato, tempo fa, una formula leggermente provocatoria: «la mitologia è quello che si scrive», conducendo poi un’indagine sugli effetti della scrittura nell’antica Grecia. Con Transcrire les mythologies. Tradition, écriture, historicité, frutto di contributi collettivi, Detienne rilancia la questione, ampliandola e precisandola attraverso il ricorso al comparatismo: come viene operata la messa-in-scrittura della tradizione e quali sono i suoi effetti? Si passa insensibilmente dalla trascrizione della mitologia alla scrittura della storia, oppure vi è una separazione, per quanto instabile, tra mito e storia? A queste domande rispondono antropologi e storici, che nei loro contributi al volume trattano una serie di casi specifici che vanno dall’antico Israele alla Cina, dal Giappone a Roma e all’Indonesia, da Panama alla Georgia e alla Grecia arcaica, in un percorso che si snoda dal più antico passato al presente e viceversa. Per parlare di tradizione, osserva Detienne, non è forse necessario aver già posto la tradizione a distanza, appunto attraverso la scrittura, per poterne elaborare il concetto e, al contempo, operare la distinzione tra società tradizionali, o prive di scrittura, e società la cui tradizione è proprio quella di non accontentarsi della tradizione? Per Detienne è necessario analizzare come si giunga a tale distinzione e come le società tradizionali abbiano elaborato una riflessività culturale, in un gioco di norme e valori, operando determinate scelte all’interno del proprio passato. Si può scoprire allora come il luogo di questa elaborazione siano proprio i miti e i riti, cioè i prodotti in apparen35 za più tradizionali di una società. Pertanto, prima ancora di essere trascritta, una tradizione potrebbe già non essere più tale. Presso gli Indiani Cuna, per esempio, l’uso dei pittogrammi è legato a condizioni di enunciazione fortemente rituali e serve a fissare nuclei di conoscenza tradizionale, quali liste di nomi di luoghi o personaggi. Trascrivendo in immagini la parola rituale, i pittogrammi rappresentano di fatto il supporto di un’autentica arte della memoria; fissano e controllano la memoria di alcune parole, rivelando il peso delle immagini in una tradizione orale. Il Giappone del VIII secolo, invece, offre l’esempio, probabilmente unico, di una doppia scrittura simultanea della tradizione: le due opere che la fondano (i Racconti dei tempi antichi e gli Annali del Giappone) fanno la loro apparizione presso la corte imperiale a otto anni di distanza l’una dall’altra. Pur avvalendosi della stessa scrittura (il cinese) e pur avendo lo stesso argomento (le tradizioni giapponesi a partire dalle origini del mondo) e lo stesso obbiettivo (affermare la legittimità della famiglia imperiale), sono due trascrizioni della storia giapponese completamente opposte. I primi cercano di scrivere il racconto del tempo degli uomini con il supporto di schemi elaborati per il tempo degli dei, testimoniando pertanto un momento inventivo della tradizione; i secondi si avvicinano, al contrario, al modello storiografico cinese, attento alle date e alla cronologia, e privilegiando la linearità del racconto finiscono per storicizzare la tradizione. Se, in un primo momento, fu la visione degli Annali ad affermarsi, nell’epoca Meiji si imposero i Racconti, come memoria dell’ “autentica” identità giapponese. Alla fine del VI secolo, si assiste in Grecia alla scrittura delle Genealogie. La questione è se gli autori di questi testi replichino semplicemente in prosa quanto era stato già detto dai poeti, o se essi stessi operino come storici veri e propri, la cui scrittura mette ordine nei molteplici racconti delle varie tribù. Anche la Georgia mostra un esempio notevole di ambiguità tra mito e storia. Una cronaca georgiana del XI secolo narra la conversione del paese, avvenuta nel IV secolo; il primo libro descrive i tempi che la precedono, quelli del paganesimo, mentre il secondo è dedicato alla “storia” che ne segue. A partire da testimonianze raccolte in tempi recenti sul territorio georgiano, si può affermare che questa cronaca riprende, fin nei minimi dettagli, una struttura leggendaria appartenente all’oralità, quella dell’istituzione dei culti pagani. Ma la cosa stupefacente è che questa omologia vale non solo per quanto si narra dei tempi anteriori alla cristianizzazione, ma anche per il racconto della conversione, che prende a prestito un mito di fondazione pagano, semplicemente corredandolo di qualche topos biblico. Insomma, la conversione ha potuto essere detta, prima ancora che scritta, solo attraverso la lingua del paganesimo. TENDENZE E DIBATTITI Al contrario, né in Cina - dove tuttavia la scrittura storica sembra emergere da quella oracolare -, né a Roma vi è contaminazione con la mitologia. Il pontefice massimo redigeva ogni anno una cronaca, che veniva resa pubblica; Cicerone fece, di quella trascrizione, il punto di partenza della storiografia romana. Un’analisi rigorosa ha permesso di stabilire che doveva trattarsi di una relazione sui rapporti tra la città e le proprie divinità, compilata dal pontefice in virtù del potere conferitogli di conservare la memoria degli eventi. Insomma, saremmo di fronte a una storia religiosa, una specie di contabilità della pietà, in cui compaiono contratti obbliganti, solvibilità, attivi e passivi nei confronti delle divinità; ma non c’è posto per i miti. Detienne è curatore anche di un’altra importante raccolta di studi, La déesse parole. Quatre figures de la langue des dieux, in cui cinque specialisti di etnologia, antropologia e storia delle religioni: Detienne stesso, Gilbert Hamonic, Georges Charachidzé, Charles Malamoud e Carlo Severi, mettono in comune le proprie competenze per illustrare il linguaggio divino. Se il Dio della Genesi biblica creò il mondo, pronunciando delle parole, e parlò spesso con il suo popolo e con i profeti, nelle culture politeiste gli dei dialogano raramente con i mortali: occulti e misteriosi, se pure parlano da soli o fra di loro, gli dei storpiano le parole pur di sottrarle alle orecchie avide dei devoti. Da qui la difficoltà di cogliere qualche frammento della loro lingua. Passando in rassegna i testi vedici e le tradizioni orali degli Indiani Cuna, dei Bugis indonesiani e delle popolazioni del Caucaso, si può rintracciare il nesso tra parola e divinità. Si scopre allora che la “dea Parola” è la divinità della parola umana. Questa seducente figura mitica, inscritta nei Veda, contiene in sé tutta la scienza vedica, intrattenendo necessariamente legami privilegiati con il sapere sacrificale; ma è anche colei che inizia il poeta ispirato. Vi sono poi figure, come quella dei ventriloqui divini, che prestando la propria voce agli dei, per farsene i portavoce, incarnano una condizione limite. Nel Caucaso, i montanari georgiani (meene, che significa esattamente “linguisti”) sono i posseduti per eccellenza. È il caso anche dei travestiti, presso gli Indiani Cuna; la loro condizione mostra chiaramente che per sentire, o far udire, la voce degli dei occorre occupare una posizione limite. Ma questa voce è anche quella della sofferenza per ciò che sfugge: presso i Cuna, la parola sciamanica esprime il dolore di coloro che, colpiti da estraneità, perdono i punti di appoggio ma, proprio per questo, desiderano mantenere il controllo su ciò che non è formulabile. Esiste, inoltre, più di un legame tra la lingua divina e la sessualità, tra la vista e l’udito, anche se il dio unico del Caucaso, il supremo Morige, rimane sprofondato in un silenzio senza fine. Il linguaggio divino è sempre, tutto sommato, quello di cui si servono i mortali per designare i loro dei; ma la dea Parola è al contempo discorso umano e divino. Insomma, sono gli uomini a tirare le fila di un sapere mai svincolato dal potere, anche se il principio unico, primo e assoluto, su cui riposa ogni ragion d’essere del linguaggio divino, sfugge a questo linguaggio. D.F. propone riflessioni sui rapporti tra Stato e Chiesa e analizza la situazione sociale del tempo, influenzata da un cambiamento politico radicale, la nascita del regime fascista. Il riconoscimento della libertà e della fraternità è il fondamento della concezione politica di Croce, alla sua fede in uno spirito etico, che nella politica trova la sfera della sua attività e lo strumento per un agire morale. Mete politiche e mete sociali-morali non sono distinte nel disegno politico di Croce. D.M. Analisi crociane Ne La poesia (1935) Croce rivede i temi più celebri dell’Estetica, come l’intuizione immediata, la poesia pura o “l’arte per l’arte”, riproposti in una forma nuova che trasforma, anche se non radicalmente, il rapporto tra poesia e letteratura. La dittatura fascista, che caratterizza il contesto in cui Croce redige quest’opera, fornisce all’autore, da una parte, la spinta all’isolamento dal dialogo e dal confronto con gli altri letterati, come il De Sanctis, e dall’altra la necessità di considerare l’intellettuale in maniera fondamentalmente diversa da quella degli anni precedenti. L’opera è divisa in due parti, la prima delle quali tratta della bellezza all’interno delle forme artistiche in generale, mentre la seconda, attraverso singole conversazioni concrete, si occupa dei casi particolari in cui l’estetica si manifesta. L’impianto platonico ed idealistico dell’opera, la cui impalcatura è costituita dall’idea di bellezza che viene dedotta poi nei casi particolari, mantiene Croce sulle linee della Filosofia dello Spirito anche per la conferma, ribadita più volte, della teorizzazione dell’intuizione lirica. La poesia, infatti, diventa unica e irripetibile grazie alla capacità di produrre l’intuizione estetica che, attraverso l’identità immediata di forma e contenuto, diventa lirica del verso e principio originario dell’arte. Come nell’Estetica, Croce sottolinea l’estraneità della poesia, considerata “arte per l’arte”, ad ogni forma di utilità. La novità de La poesia, tuttavia, consiste nella considerazione, accanto alle composizioni in versi, della forma letteraria in prosa, portatrice di quegli ideali culturali, emersi nel quadro storico e politico di emergenza in cui si trova Croce. In questo modo, poesia e letteratura si affiancano in una nuova forma che le rende sintesi di verità e di azione civile. In particolare, la letteratura è intesa come quell’opera di civiltà in grado di dar luogo ad una “esteticità senza poesia”, nella quale accanto al valore artistico si colloca quello morale e politico. Per quanto riguarda la poesia, da una parte Croce ribadisce la necessità di intenderla come la garanzia dell’opera di verità, distante dall’impegno civile, dall’altra ricorda come il poeta sia allo stesso tempo un cittadino e perciò investito di responsabilità morali e civili. L’unità tra artista e uomo, in questo modo, fa da sfondo ad un impegno nella realtà effettiva, più evocato che dichiarato da Croce, ma, in ogni caso, necessario. A.S. Nell’ambito della riedizione dell’opera completa di Benedetto Croce sono stati pubblicati due nuovi volumi, che riportano opere dei primi anni Trenta: ETICA E POLITICA (a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano 1994), in cui Croce affianca alla difesa della passione morale considerazioni sulla storia e lo Stato, e LA POESIA (Adelphi, Milano 1994), che analizza i rapporti estetici e filosofici tra le diverse forme letterarie. Se si risale al periodo storico in cui Benedetto Croce scrisse Etica e politica (1931), ci troviamo di fronte un regime fascista in fase di affermazione, che si preparava ad adottare una politica di censura e di soppressione. L’opera lascia trasparire una duplice prospettiva: la prima legata al Croce delle passioni, della vita dionisiaca, delle virtù e dei difetti dell’epoca; la seconda più calata nel merito di questioni politiche e sociali, in cui vengono affrontati, tra l’altro, i rapporti tra Stato e Chiesa, il ruolo dello Stato e quello dei partiti, all’interno di una concezione laica e moderna della politica. Le idee crociane di storia e di Stato erano avverse all’ottuso moralismo di alcuni cattolici, così come ai fautori di un machiavellismo spregiudicato. In quest’opera Croce sviluppa un diverso modo d’intendere i rapporti tra storia e individuo, identificando coscienza e divenire storico e prendendo le distanze dall’idealismo hegeliano, che riconosceva allo spirito un’esistenza atemporale, al di sopra della storia. L’opera si apre con un inno alla libertà di spirito in continua evoluzione: contrario ad ogni sterile moralismo, Croce difende qui le passioni della vita con la naturalezza di chi ha accettato tutte le contraddizioni terrene e ha imparato a conviverci. Argomenti come onestà, volontà, amicizia, amore vengono trattati con una semplicità e con una spontaneità tali da non intaccarne mai il significato più puro e sublime. L’itinerario che Croce percorre nel trattare questi concetti mostra venature autobiografiche che lasciano emergere quasi un processo di identificazione da parte del filosofo. Il contesto degli anni giovanili insieme ad un più ingenuo approccio al divenire sociopolitico è di fatto l’elemento che caratterizza la prima parte di Etica e politica. Nella seconda, il Croce maturo politicamente 36 TENDENZE E DIBATTITI Cabbala e Romanticismo Nel 1991 e nel 1992 si sono svolti a Kassel e a Gerusalemme due convegni internazionali, che hanno avuto per tema il complesso rapporto tra il Romanticismo tedesco e la Cabbala. Gli atti di questi convegni vengono oggi pubblicati col titolo: KABBALA UND ROMANTIK (Cabbala e Romanticismo, a cura di E. Goodman-Thau, G. Mattenklott e C. Schulte, Max Niemeyer, Tubinga 1994). Che il Romanticismo tedesco abbia accolto molti elementi della mistica, sia in campo estetico, sia filosofico e teologico, è un fatto ampiamente condiviso. Al contrario, è poco noto che i romantici svilupparono un interesse specifico per il misticismo ebraico e in particolare per la Cabbala. Nonostante il Romanticismo e lo studio della Cabbala fossero due fenomeni culturali decisamente lontani, è storicamente dimostrato che la Cabbala giocò un ruolo assai rilevante nello sviluppo del Romanticismo tedesco. I romantici non furono i primi ad accostarsi al misticismo ebraico, dal momento che già in epoca rinascimentale e barocca era stato avviato, in ambienti cristiani, un processo di avvicinamento alla tradizione cabbalistica. La specificità dell’approccio romantico va ricondotta innanzitutto al forte interesse, storico e linguistico-filosofico, nutrito da Schelling per la mitologia e la rivelazione. Ad esso si affiancarono, anche se più marginalmente, sia la disputa settecentesca sul panteismo, sia la rinascita di una filosofia della natura di tipo teosofico, magico e mistico in autori come Mesmer e G. H. Schubert. Infine si potrebbero aggiungere i numerosi riferimenti alla Cabbala presenti nella letteratura rosacrociana e massonica, come pure l’interpretazione estetica del testo offerta da Hamann, Novalis e Schlegel. Al crescente interessamento dei romantici tedeschi per la Cabbala, fa riscontro, tuttavia, il netto rifiuto di quest’ultima da parte dell’Illuminismo ebraico, conosciuto come haskalah. Il disconoscimento della Cabbala da parte dell’illuminismo ebraico deve essere inquadrato nel tentativo di liberare l’ebraismo dal suo isolamento sociale e culturale, per assimilarlo alla cultura illuministica tedesca (Mendelssohn, Maimon). Per i membri dell’haskalah, la Cabbala rappresentava il simbolo dell’arretratezza degli ebrei, della loro irrazionalità, della tendenza a ghettizzarsi e, per un certo periodo, venne considerata la principale responsabile della mancanza di autoconsapevolezza del popolo ebraico. L’avversione per la Cabbala venne addirittura “sancita” scientificamente e storicamente dalla cosiddetta “scienza dell’ebraismo” (Zunz, Beer, Graez), che la giudicò una sorta di surrogato pagano, tendente al politeismo e al panteismo, dunque completamente estra- nea all’ebraismo monoteistico. Il rifiorire dell’interesse della cultura ebraica per la Cabbala, come riflesso di quello romantico, è da ricondurre a Schelling, le cui lezioni sulla mitologia e la rivelazione vennero seguite con attenzione anche da molti ebrei, fornendo loro la premessa per un nuovo approccio alla Cabbala. Ma la testimonianza più emblematica della ripercussione dell’interesse romantico sulla ricezione ebraica della Cabbala fu indubbiamente Gershom Scholem, il quale, del resto, fu ben consapevole di tale influenza. Lo studioso dichiarò infatti a più riprese come la lettura della “filosofia della storia” di Franz Joseph Molitor, amico e allievo di Schelling, lo stimolasse allo studio della Cabbala, e orientasse la direzione del suo interesse non tanto alla “storia”, quanto alla “metafisica” in essa presente. Tale decisione è tanto più significativa, in quanto riflette non soltanto la natura filosofica dell’approccio di Schelling e Molitor al misticismo ebraico, ma anche l’avversione di Scholem per ogni riduzione razionalistica dell’ebraismo alla sola dimensione etica, com’era stato per l’haskalah e per il neokantiano Hermann Cohen. La difesa e la salvaguardia della Cabbala da parte di Scholem era animata, in fondo, dal medesimo proposito che sosteneva la critica antiilluministica dei romantici: con la Cabbala, salvare la metafisica. A.Mo. Per una storia della filosofia cristiana Il “Centro Internazionale di ricerca per i principi fondamentali delle scienze” di Salisburgo e l’ “Istituto di filosofia cristiana” dell’Università di Innsbruck hanno promosso un ambizioso progetto di ricostruzione della filosofia “cristiana” degli ultimi due secoli. Con il coordinamento di Emerich Coreth, Walter M. Neidl e Georg Pfligersdorffer, una numerosa équipe di specialisti ha ricostruito questo complesso panorama, del quale sono già apparsi due volumi, a cura di Gaspare Mura e Giorgio Penzo: LA FILOSOFIA CRISTIANA NEI SECOLI XIX E XX (Città Nuova, Roma 19931994), rispettivamente dedicati alle “Nuove impostazioni nel XIX secolo” e al “Ritorno all’eredità scolastica”; un terzo volume descrive le CORRENTI MODERNE DEL XX SECOLO (Città Nuova, Roma 1995). Rispetto all’originale tedesco, Christliche Philosophie im katolischen Denken des 19. und 20. Jahrhunderts, il titolo dell’edizione italiana lascia intendere che il problema di una filosofia cristiana è prevalentemente interno al mondo cattolico, dato che il motivo di una filosofia cristianamente orientata non emerge in area protestante, dove il 37 riferimento confessionale risulta piuttosto estrinseco e non teoreticamente determinante. In proposito è interessante ripercorrere la storia del concetto di “filosofia cristiana”, che Heinrich M. Schmidinger descrive nel primo volume. Nei primi secoli, la filosofia cristiana si identificava con la stessa religione cristiana e la Weltanschauung ad essa collegata. Solo con il tempo e con lo sviluppo di una vera e propria teologia si porrà il problema del rapporto tra questa e la filosofia, giungendo all’ambigua mediazione di una filosofia cristiana. Nel nostro secolo si arriverà, nello stesso ambito cattolico, a contestare la sensatezza di una simile dizione: celebre è, per esempio, la critica di Martin Heidegger, che considerava una filosofia cristiana come un ferro di legno o un cerchio quadrato. Un’ulteriore difficoltà è quella di fissare i confini cronologici del problema: la scelta di limitarsi solo all’Ottocento e Novecento non è di fatto dettata da mere ragioni di praticità. I curatori riconoscono nel secolo XVIII una cesura storica e culturale che rende del tutto nuove le dimensioni della problematica religiosa rispetto alle categorie preilluministiche. E’ ancora H. M. Schmidinger a motivare certe scelte lessicali, ricostruendo la storia dei concetti di “scolastica” e “neoscolastica”. Mentre per il primo esiste una tradizione consolidata, per il secondo si ha a che fare con una terminologia più recente, introdotta solo nel 1862 autonomamente da J. Frohschammer e A. von Schmid, che risente di un’origine “politica”, avendo la parola inizialmente designato schieramenti ideologici di sapore nettamente conservatore. È per questo che la fortuna della parola sarà piuttosto limitata. Rafforzata dalla pubblicazione dell’enciclica Aeterni Patris (1879) di Leone XIII, come osserva Roger Aubert, l’etichetta di neoscolastica andrà perdendo consenso e prestigio nei decenni successivi. Le quasi mille pagine del secondo volume testimoniano il rilievo che il moderno confronto col tomismo ha avuto nel delineare una filosofia cristiana. È significativo che dei tre volumi in cui si articola l’opera siano distinti cronologicamente solo il primo e il terzo (rispettivamente dedicati al secolo XIX e al XX), mentre il secondo abbraccia entrambi i secoli proponendo un’accorpamento più teorico che storico, determinato appunto dal riferimento al modello scolastico. Da notare, inoltre, che nel primo volume l’area di lingua tedesca fa decisamente da padrona, lasciando al pur ricco panorama francese uno spazio un po’ ridotto. Nel secondo volume le proporzioni risultano più equilibrate: gli autori italiani, che nel primo erano ridotti ai nomi tradizionali di Rosmini e Gioberti, rispettivamente esaminati da F. Evain e A. Rigobello, sono ora più numerosi, essendo necessario dar conto delle origini propriamente italiane della neoscolastica fino agli esiti più recenti, testimoniati dagli esponenti della Università Cattolica di Milano. S.C. TENDENZE E DIBATTITI Theodor W. Adorno Adorno tra estetica ed etica L’opera di Adorno è oggetto di rinnovato interesse per i suoi aspetti etici, estetici, linguistici e critico-speculativi. Si segnalano tre recenti opere critiche: L’APPARENZA DA SALVARE (Guerini e Associati, Milano 1994), di Elena Tavani, che intende rendere un’interpretazione globale della teoria critica di Adorno nel suo porsi come interpretazione e comprensione dell’esperienza; VOM ERMATTEN DER AVANTGARDE ZUR VERNETZUNG DER KÜNSTE. PERSPEKTIVEN EINER INTERDISZIPLINÄREN ÄSTHETIK IM SPÄTWERK THEODOR W. ADORNOS (Dall’esaurirsi dell’avanguardia all’irretimento delle arti. Prospettive di un’estetica interdisciplinare nella tarda opera di Theodor W. Adorno, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1993), di ChristineEichel; ETHIKNACH AUSCHWITZ. ADORNOS NEGATIVE MORALPHILOSOPHIE(L’etica dopo Auschwitz. La filosofia morale negativa di Adorno, Argument, Amburgo 1993), di Gerhard Schweppenhäuser. Lo studio di Elena Tavani ripercorre analiticamente l’opera di Theodor W. Adorno al fine di focalizzarne gli interessi critico-speculativi e l’evidente tangenza con il pensiero dell’ultimo Wittgenstein, nei confronti del quale Adorno non riconosceva alcuna relazione, a causa della conoscenza esclusivamente “positivistica” che possedeva di tale autore. L’interrogativo-chiave attorno a cui ruota gran parte dell’opera di Adorno, cioè «se sia possibile “un’esperienza” metafisica», fonda il significato del “comprendere” come il tener fermo a un’esperienza di trascendimento, di “resistenza” a tutto ciò che si configura come già noto, già collocato e digerito, dato. Metafisica non è in questo caso dottrina o disciplina, ma la «forma della coscienza per cui essa cerca di conoscere quello che è qualcosa “di più” o che non è solo un fatto che accade, e a cui tuttavia si deve pensare perché ciò che accade [...] ci costringe a farlo». Metafisica è quindi la “stessa esperienza” che costringe ad andare al di là del 38 puro dato di fatto e salva la possibilità del superamento del “qui ed ora” e di tutti gli schemi che ci restituiscono l’esperienza come un reticolo di relazioni in cui tutto è già predefinito. Pensare significa conseguentemente, per Adorno, immergersi in un’esperienza, sapendo però anche tirarsene fuori; significa trascenderla, cedendo alla forza orientativa del “sapere negativo”, di quel momento di ingenuità originario che “sentiamo”, pensando, e che apre il confronto tra il “questo” del mondo dell’esperienza e un “qualcosa” che è in cerca di formulazione. Con indubbio accento antipositivistico, fa notare Tavani, Adorno ritiene che la comprensione costituisca un’esperienza di lettura guidata da un modo di disporsi specificamente estetico, ossia dalla facoltà di percepire nelle cose più di quanto esse sono grazie al sentimento originario della loro insufficienza e inadeguatezza a un senso compiuto. Il campo dell’estetico, per Adorno, è comunque ben più ampio: nel suo piano di riforma della razionalità è prevista anche una “articolazione estetica” del pensiero nella terminologia stessa del linguaggio filosofico, che sperimenta l’insufficienza del “qui ed ora” nell’interrogazione e nella propria eccedenza rispetto alla lettera. Qui, il mutismo del “dopo Auschwitz” sembra potersi riassorbire nel “pensare in costellazioni”, ossia in un linguaggio che “indica”, ma solo in modo oscillante e trapassante: se è vero che compito della filosofia è dire l’indicibile, è altrettanto vero, per Adorno, che l’assoluto rimane innominabile. L’utopia conoscitiva di Adorno si esplica in modo esemplare nell’agire espressivo delle opere d’arte, che producono l’evento del comprendere, offrendosi come nesso di elementi relazionati, sempre ripercorribile e reinterpretabile. Soprattutto l’arte moderna, con il suo “sfrangiamento dei generi”, si presta perfettamente ad inserire nella compagine dell’opera quell’elemento di “resistenza” alla chiusura perfetta, all’unità risolutiva che segnala la “non-identità”, persino materiale, dell’opera con se stessa: essa costruisce per l’interpretante la possibilità del trascendimento del “qui ed ora” e viene in questo modo incontro agli interessi etico-trascendentali di un pensiero alla perenne ricerca del “senso”. All’ultima estetica di Adorno ha dedicato particolare attenzione Christine Eichel, che interpreta la produzione di pensiero di questo autore negli anni ’60 in contrasto con l’esegesi più ortodossa. Già nelle tarde opere di Adorno, osserva Eichel, è presente, paradossalmente, quell’estetica di cui si avverte la necessità, nonostante l’esaurimento progressivo delle stesse avanguardie, che ha condotto al disorientamento assoluto e all’arbitraria politica dell’anything goes in campo artistico. Eichel identifica in Adorno il garante della nuova concezione teoretico-estetica della “Babele” dei generi e dei media, della TENDENZE E DIBATTITI Tra idealismo e ermeneutica: Otto Pöggeler In occasione del sessantacinquesimo compleanno di Otto Pöggeler è apparso uno scritto commemorativo dal titolo: IDEALISMUS MIT FOLGEN. DIE EPOCHENSCHWELLE UM 1800 IN KUNST UND GEISTESWISSENSCHAFTEN (Idealismo e conseguenze. La soglia epocale del 1800 nell’arte e nelle scienze dello spirito, a cura di G. Hans-Jürgen e J. Christoph, Fink, Monaco di Baviera 1994). Nello stesso periodo è stata pubblicata l’ultima opera di Pöggeler, SCHRITTE ZU EINER ERMENEUTISCHEN PHILOSOPHIE (Passi verso una filosofia ermeneutica, Karl Alber, Friburgo-Monaco di Baviera 1994), una raccolta di saggi e conferenze sul pensiero ermeneutico negli ultimi 150 anni. Otto Poeggeler compatibilità delle arti, addirittura della “disartizzazione” dell’arte: il processo osmotico che caratterizza le varie forme dell’espressione artistica costituisce un momento liberatorio, di espansione vitale, attraverso il quale l’esperienza si apre alla “pienezza dell’esistenza”. L’individuazione di una dimensione positiva nel pensiero di Adorno caratterizza anche l’interpretazione di Gerhard Schweppenhäuser. Se infatti i testi più classici di Adorno negano la possibilità di una nuova etica, capace di contrastare il disordine di un mondo ormai condannato, alcune sue lezioni universitarie sulla filosofia morale sembrano dimostrare il contrario: Adorno persegue qui la formulazione di un’etica “dopo Auschwitz”, che attraverso un nuovo imperativo categorico dovrebbe impedire il ritorno del totalitarismo politico, nonché fornire modelli di «vita giusta in una società sbagliata». La “filosofia morale negativa” di Adorno, osserva Schweppenhäuser, risulta comun- que intimamente paradossale, se è vero, come afferma Adorno, che tutta la morale si è costruita sul modello dell’immoralità e che l’uomo non è dotato di piena libertà: unica possibilità di un’etica sarebbe di resistere alla “falsità dell’intero” attraverso la sistematica demistificazione di una felicità artificiosa. In realtà, aggiunge Schweppenhäuser, Adorno non intendeva fondare una nuova etica, deduttiva o intuitiva che fosse, ma mirava piuttosto a portare ad espressione le “esperienze morali” come reazioni spontanee al dolore umano: solo questi momenti di ritorno impulsivo alla moralità permettono, secondo Adorno, di sperare ancora nella sopravvivenza di “cellule di umanità in un contesto inumano”. L.R. 39 Ormai comunemente associato al nome di Hegel, l’idealismo tedesco segnò, tra il XVIII e il XIX secolo, una svolta epocale, i cui effetti furono avvertiti non soltanto in campo filosofico, ma culturale in genere. Non va dimenticato che questo movimento di pensiero, malgrado la portata rivoluzionaria delle sue scoperte e l’immediata forza di attrazione che esercitò su moltissimi autori, ebbe alle spalle una lunga preistoria e visse un intricato periodo di gestazione. Proprio per questo, nella ricerca di un elemento che caratterizzi l’idealismo, balza subito agli occhi una grande eterogeneità di motivi. La medesima sensazione di eterogeneità ci viene trasmessa dallo scritto commemorativo del 65° compleanno di un eminente specialista del pensiero hegeliano, Otto Pöggeler. Dei 22 interventi che compongono il testo solo alcuni sono dedicati al pensiero di Hegel, mentre la maggior parte costituisce, nel suo complesso, una sorta di milieu intellettuale, che evidenzia i molteplici aspetti della “svolta epocale del 1800 nell’arte e nelle scienze dello spirito” che accompagna l’idealismo . Vengono analizzati, ad esempio, i collegamenti e le reciproche delimitazioni tra la filosofia del Romanticismo (i fratelli Schlegel, Fichte, Schelling, Hölderlin), l’illuminismo (Herder, Jacobi e Kant) e la letteratura classica tedesca (Goethe). Dai diversi contributi si può ricavare l’indicazione per cui il concetto di idealismo dovrebbe essere impiegato non tanto in riferimento a un medesimo contenuto speculativo, quanto piuttosto in relazione a una determinata forma di confronto critico con il mondo del XIX secolo. Dopo la fine sanguinosa della Rivoluzione Francese e fino all’inizio della rivoluzione industriale e scientifica, la speculazione filosofica fu assorbita dall’impegno di cercare risposte nuove a un’antica domanda, divenuta più che mai incalzante: «Che cos’è il divenire?». L’interpretazione della filosofia idealistica fu, come è noto, lo storicismo, cioè la tendenza, da un lato, a TENDENZE E DIBATTITI recuperare le origini della lingua, della cultura e della società e, dall’altro, a rintracciare, nello scorrere degli eventi, il disegno della ragione speculativa. Ma storicizzare significava anche stabilire collegamenti tra il passato e il presente, l’astratto e il concreto, l’ideale e il reale, e, sul piano sociale, tra la rivendicazione all’autonomia da parte del soggetto civile e il rispetto della volontà generale. In rapporto a tali questioni, la filosofia e la poesia di quell’epoca presentarono soluzioni radicalmente diverse: la prima, infatti, accordò sempre la priorità all’assoluto, mentre la seconda si fece portavoce delle gravose rinunce che il divenire della Ragione sub specie historiae imponeva all’individuo, cioè la perdita della sua libertà. Da questo punto di vista risulta emblematica la conclusione del Wilhelm Meister di Goethe, ripresa, tra gli autori del volume, dal germanista Walter MüllerSeidel, secondo il quale presupporre che la formazione dell’individuo sia nello stesso tempo la storia di una malattia e della sua guarigione, non implica alla fine che si possa parlare di vera salvezza, dal momento che il prezzo della guarigione è la subordinazione del singolo all’imperativo dell’utile sociale. Attraverso numerosi studi Otto Pöggeler ha contribuito alla chiarificazione del percorso storico e spirituale che si snoda tra Hegel e Heidegger. Mancava tuttavia finora un’opera di riferimento che raccogliesse in modo sistematico il suo punto di vista sulle questioni ermeneutiche. Questa carenza viene oggi colmata dalla pubblicazione dell’ultimo lavoro di Pöggeler, Schritte zu einer hermeneutischen Philosophie, che raccoglie una serie di conferenze e di studi composti dall’autore negli ultimi venticinque anni, e che ha per tema monografico proprio lo sviluppo dell’ermeneutica. Sia che venga intesa come “teoria filosofica del comprendere”, o come “teoria della corretta interpretazione testuale”, la determinazione dell’oggetto e del metodo dell’ermeneutica è già di per sé spiegazione e interpretazione. Questo stato di cose descrive, del resto, un fenomeno ben noto a ogni studioso dei problemi della comprensione, cioè il “circolo ermeneutico”, che è tema e insieme elemento vivente in ogni atto interpretativo. In questo suo ultimo lavoro Pöggeler offre al lettore alcuni esempi di tale circolarità, e tematizza in particolare la questione di come la coscienza (Besinnung) filosofica, che ogni singolo individuo possiede, possa acquisire una validità oggettiva e incontestabile anche per la comunità umana. I “passi” di Pöggeler verso una possibile soluzione di questa situazione sono, in realtà, vere e proprie “escursioni” in un territorio filosofico sterminato, che si estende, a partire dal deserto ghiacciato dell’astrazione hegeliana, fino ai “sentieri interrotti” di Heidegger e dei suoi allievi. Dilthey, Bergson, Husserl, Scheler e Misch, soprattutto Oskar Becker, che dopo Heidegger fu assistente di Husserl, rappresentano le tappe più importanti del percorso teorico di Pöggeler. A questi si aggiungono altri studi monografici su Hans Lipps, Werner Marx, sul circolo filosofico di Erich Rothacker e dei suoi scolari, tra i quali Joachim Ritter, Karl-Otto Apel e Jürgen Habermas (il volume ammonta a più di 500 pagine). Nella maggioranza dei casi l’autore riprende e approfondisce alcuni motivi conduttori della storia dell’ermeneutica, aiutandosi con numerose citazioni di testi fondamentali. Il fraintendimento hegeliano della teoria dell’interpretazione, gli abbozzi diltheyani sul metodo delle scienze dello spirito, il distacco di Husserl dalla filosofia della vita e il suo rivolgersi “alle cose stesse”, fanno parte del repertorio di Pöggeler quanto le sinuosità del percorso teorico heideggeriano e l’ermeneutica ontologica, velatamente criticata, di H. G. Gadamer. Malgrado la chiarezza dell’esposizione e la gradualità con cui lo studioso ci conduce passo passo nelle profondità del “circolo ermeneutico”, alla fine resta però senza risposta la domanda intorno alla possibilità di uscire in qualche modo dal circolo, possibilità senza la quale anche la questione iniziale circa l’oggettività e la validità generale del comprendere resta inevasa. Il limite, o forse la sfida che Pöggeler con quest’opera lancia all’ermeneutica odierna, riguarda, allora, la necessità di elaborare dei parametri di riferimento e dei criteri di giudizio che guidino l’analisi ermeneutica, senza per questo abbandonare la sua specificità, che è innanzitutto consapevolezza della propria storicità e relatività. A.Mo. La modernità in Augusto Del Noce Nel volume AUGUSTO DEL NOCE. IL PROBLEMA DELLA MODERNITÀ (Edizioni Studium, Roma 1995) vari autori si propongono di discutere il significato della modernità nella filosofia di Augusto Del Noce in relazione a diverse tematiche, tra le quali emergono il valore del cristianesimo, il rapporto tra ateismo e trascendenza, la nuova struttura politica della società dopo il crollo del comunismo e dopo la fine del regime fascista, il legame con il liberalismo, il rifiuto del pensiero reazionario. Come viene sottolineato dagli autori presenti nel volume, il complesso rapporto tra la filosofia di Augusto Del Noce e la modernità non può essere considerato secondo lo schema lineare dell’accettazione o del rifiuto della modernità. Rocco Buttiglione (Del Noce maestro di filosofia) rileva come per Del Noce la modernità costituisca un “problema” non risolvibile semplicemente attraverso le categorie dell’adesione o della negazione. Infatti, sebbene 40 Del Noce abbia rifiutato determinati aspetti della modernità, non può tuttavia essere ritenuto un filosofo reazionario, ancorato alla tradizione. Secondo Del Noce, osserva Giuseppe Riconda (Del Noce e l’esistenzialismo religioso), il moderno non deve identificarsi necessariamente con l’ateismo, ma deve piuttosto essere compreso all’interno dell’alternativa tra trascendenza e immanenza. Vittorio Possenti (Ateismo, filosofia e cristianesimo in A. Del Noce) mostra come per Del Noce siano sbagliate tutte le interpretazioni univoche della modernità, che la considerano come un “processo unitario” volto all’affermazione del secolarismo e della morte di Dio. D’altra parte, come sottolinea Buttiglione, Del Noce si propone di mediare il cattolicesimo con la modernità, sostenendo il carattere essenzialmente cristiano della filosofia moderna, intesa come “secolarizzazione del cristianesimo”. La filosofia non deve limitarsi a registrare le verità eterne, ma deve valutarle in relazione ai problemi del tempo. Secondo Possenti, Del Noce critica il modernismo cattolico, perché finisce per subordinare il cattolicesimo alla cultura laicista contemporanea. Un altro aspetto degno di nota, nel contesto del rapporto della filosofia di Del Noce con la modernità, riguarda la riflessione sulle ideologie politiche del comunismo e del fascismo. Secondo Marcello Veneziani (Del Noce filosofo del revisionismo in Italia) Del Noce è il filosofo più rappresentativo del revisionismo italiano: la sua analisi del fascismo è caratterizzata dal legame che egli individua tra comunismo e fascismo. Rispetto alla filosofia di Marx, la posizione di Del Noce s’inquadra nell’ottica di un “pensare dopo Marx” e non “contro Marx”. Secondo Veneziani, nella filosofia di Del Noce, che considera il fascismo un male minore rispetto al comunismo, è possibile individuare due esiti del comunismo: il suo “inveramento nel fascismo”, da una parte; dall’altra l’affermazione del suo risvolto neoborghese, in seguito alla fine del regime fascista. Come rileva anche Domenico Settembrini (Borghesia, liberalismo e fascismo), il fascismo, per Del Noce, rappresenta una manifestazione più moderata del comunismo che è il tentativo più estremo di «sostituire la religione della trascendenza con la religione secolare e politica». Del Noce ritiene che dopo il crollo del comunismo si aprano due possibilità: il “risveglio religioso” o la “società del benessere”; del tutto negativa è invece la società “opulenta” uscita dal crollo del comunismo, in quanto costituisce una forma “insidiosa” di totalitarismo, peggiore dello stesso comunismo e del nazismo. Dal canto suo, Norberto Bobbio (Del Noce: fascismo, comunismo, liberalismo) mostra come Del Noce ritrovi nel fascismo quella componente spiritualista di cui è privo sia il materialismo comunista, sia il biologismo nazista. In base all’interpretazione di TENDENZE E DIBATTITI Noventa, Del Noce ritiene che l’errore del fascismo sia un “errore della cultura” e non “contro la cultura”. Fascismo e antifascismo sono accomunati dall’errore dell’immanentismo. Tuttavia Bobbio non accetta l’idea delnociana in base alla quale l’attuazione dei principi liberali sia possibile solamente all’interno di una società cristiana. Infatti, pur condividendo la critica delnociana al libertinismo delle società ricche, Bobbio si rifiuta di coniugare la possibilità della riforma con “l’intransigentismo cattolico”. Claudio Vasale (Etica e politica in Augusto Del Noce) mette in evidenza l’importanza della tematica della libertà nella filosofia di Del Noce. Il liberalismo delnociano può essere definito, nello stesso tempo, postmoderno e antimoderno, in quanto Del Noce si propone di distaccare il liberalismo dal “razionalismo perfettistico”. Come sottolinea anche Bobbio, Del Noce, prima di essere un democratico, è un liberale; la sua visione della storia è antiperfettistica, poichè egli considera negativamente la coniugazione di liberalismo e liberismo nella fiducia cieca nel mercato. Come rileva Vasale, il liberalismo di Del Noce non è storico, ma etico, poiché si fonda sulla persona e sulla sua responsabilità. Egli, infatti, difende una democrazia pluralistica basata sulla libertà etica e sull’adesione al valore trascendente della metafisica. L’originalità della posizione di Del Noce nei confronti della modernità consiste nella sua critica della visione immanentistica e laicistica della vita, inficiata di ateismo e di materialismo, senza per questo ricadere in una posizione di difesa intransigente della tradizione. Come afferma Riconda, Del Noce ha saputo coniugare nella sua filosofia due realtà generalmente separate: tradizione e avventura. M.Mi. Femminismo e filosofia La raccolta di saggi dal titolo: KNOWING THE DIFFERENCE: FEMINIST PERSPECTIVES IN (Conoscere la differenza. Prospettive femministe in epistemologia, Routledge, Londra 1994), a cura di Kathleen Lennon e Margaret Whitford, delinea un confronto fra il pensiero femminista e quello postmoderno e individua in quest’ultimo un pericolo dal punto di vista del movimento di liberazione della donna. Se la ragione e l’oggettività possano offrire un contributo importante alle donne che ricercano una piena eguaglianza è invece l’interrogativo a cui cerca di dare una risposta il volume a cura di Louise M. Antony e Charlotte Witt, A MIND OF ONE’S OWN: FEMINIST ESSAYS ON REASON AND OBJECTIVITY (Una mente propria: saggi femministi sulla ragione e l’obiettività, Westview/Plymbridge, Glendora 1993) dedicata ad un confronto con la recente critica femminista della filosofia. EPISTEMOLOGY Uno dei temi principali di Knowing the difference: feminist perspectives in epistemology è rappresentato dal pensiero postmoderno. A prima vista esso sembra essere congeniale al femminismo, in quanto attacca i medesimi obiettivi: una razionalità compiuta e senza tempo, preesistente in ogni individuo; una verità come corrispondenza ad una realtà, che è già prodotto delle categorie razionali, e così via. Ma la risposta che viene dai saggi di Barwell, Fricker, Lovibond e Strickland è che il femminismo deve evitare il pericolo del pensiero postmoderno in quanto pensiero fondamentalmente relativista e nichilista. Per spiegare la necessità dei cambiamenti che propone e delineare la portata delle azioni che dovrebbero condurre ad essi, il movimento femminista deve poter disporre di un’idea di oggettività senz’altro più forte di quella postmoderna. Il movimento femminista ha infatti il compito non solo di dimostrare che l’attuale modo dominante di guardare alle cose è socialmente condizionato e limitato, ma anche di spiegare come e in base a quali precise direttive dovrebbe essere cambiato. Queste rivendicazioni circa la necessità e i mezzi per conseguire il cambiamento devono poter dimostrare una validità universalmente riconosciuta. Fra le diverse risposte fornite dagli interventi raccolti nel volume vi è l’invito, variamente formulato, a operare con un ideale regolativo di accordo su un insieme di verità e modelli di ragionamento, che devono contemporaneamente combinarsi con un acuto senso della nostra fallibilità e limitatezza, nel dialogo aperto e rispettoso con altri punti di vista. Ciò tuttavia, fanno osservare Dhanda, Seller e Yeatman, non ci dà indicazioni su come le parti possano confrontarsi quando provengono da situazioni totalmente differenti, dove non è neppure possibile concepire la possibilità di un dialogo. La raccolta A mind of one’s own: feminist essays on reason and objectivity si apre con alcuni saggi che si chiedono se il pensiero dei classici della tradizione filosofica occidentale offra possibilità all’interpretazione femminista. Marcia Homiak ritiene che il punto di vista di Aristotele, basato su una norma di vita che si accorda con la ragione, non trascuri il ruolo delle emozioni nel processo raziocinante e non abbandoni l’importanza dell’affetto e dell’affiliazione in una vita completamente razionale, fornendo un modello di legittimazione delle emozioni che afferma contemporaneamente il valore dell’autodeterminazione e del rispetto di sé. Annette Baier argomenta invece, sulla scorta di Hume, che la ragione non sia una facoltà semidivina, ma un elemento naturale che gli esseri umani condividono con le altre creature che apprendono dall’esperienza. Hume anticipa il femminismo moderno nel sostenere che le norme umane siano sociali nella loro genesi come nella portata dei loro progetti. Secondo Margaret Atherton, la conce41 zione di Cartesio di una ragione separata e non condizionata dalla natura del corpo potrebbe essere il giusto presupposto per una rivendicazione morale anche in coloro che vorrebbero operare una discriminazione tra i sessi. A Kant dedica invece la sua attenzione Barbara Herman, mostrando come nella Metafisica dei costumi e in altri scritti il filosofo tedesco sottolinei che l’interesse sessuale nei confronti di un altro corpo spesso blocca il rispetto dell’altro come persona, o porti, in altri casi, a offrirsi volontariamente come oggetto. Il matrimonio sarebbe in tal senso la garanzia legale che i membri della relazione sessuale siano considerati come persone eguali. Nella seconda parte del volume vengono ripresi alcuni aspetti della tradizione filosofica, severamente criticati dal femminismo. Rivolgendosi alle femministe che ritengono si debba rifiutare il concetto di “donna” in quanto nozione universale, Elizabeth Rapaport riprende l’appello di Catharine Mac Kinnon per un diritto universale, sostenendo che la legittima preoccupazione di enfatizzare le differenze non deve portare alla negazione di elementi comuni nell’oppressione di tutte le donne. In tal senso, non solo è necessario un concetto di “donna”, ma anche un diverso concetto universale di “essere umano”. Secondo Charlotte Witt, nella recente critica femminista della metafisica è stato fatto uso di un’analisi, essa stessa identificabile come metafisica. Il rifiuto della metafisica e dell’essenzialismo è una posizione teoretica pericolosa per il femminismo e ci lascia senza risorse per effettuare una convincente e radicale critica di una società ingiusta. Louise Antony si confronta con l’accusa principale del femminismo antianalitico: l’epistemologia tradizionale è stata influenzata dai maschi nel concepire la ragione come una facoltà che ci permette di affermare che una realtà esiste indipendentemente dalla storia e dai concetti umani. Antony sottolinea innanzitutto come questa critica sia anacronistica: se fossimo in grado di raggiungere la piena verità, purificando noi stessi di tutte le influenze sociali e storiche, e se questo fosse un progetto effettivamente realizzabile, allora gli argomenti in favore dell’eguaglianza sarebbero facilmente dimostrabili. Infine Jean Hampton sviluppa una teoria del contratto sociale, attingendo sia da Hobbes, sia da Locke, e ritiene che sia possibile trovare in questa tradizione ricche risorse riguardo ai concetti di sfruttamento e manipolazione. Anche qui l’attenzione per il concetto di contratto non implica una sottovalutazione dell’amore e delle relazioni umane: un tale concetto può accrescere questi legami, anche semplicemente rendendo le parti consapevoli delle diseguaglianze e delle ingiustizie che possono in ultima analisi sovvertire la loro relazione. È solo quando una domanda di giustizia distributiva è stata colta che l’amore può, secondo Hampton, svilupparsi sinceramente. M.B. TENDENZE E DIBATTITI La filosofia europea nel Nuovo Mondo Due densi volumi dal titolo: SPECCHI AMERICANI . LA FILOSOFIA EUROPEA NEL NUOVO MONDO (a cura di C. Marrone, G. Coccoli, G. Santese, F. Ratto, Castelvecchi, Roma 1994), raccolgono gli atti dell’omonimo convegno internazionale svoltosi nell’ottobre del 1991 a Sansepolcro (Arezzo) e all’Università di Roma “La Sapienza”, con l’intento di gettare nuova luce su quel fenomeno di reciproco scambio di influenze che oramai da tempo coinvolge tradizione filosofica europea e Nuovo Mondo. I due volumi rendono assai bene conto dei percorsi teorici che tra Europa e Americhe si sono vicendevolmente intrecciati nel corso del tempo. La prima sezione, intitolata: “La tradizione filosofica europea”, copre sinteticamente per grandi tappe l’ampio periodo che va dall’antichità fino al Novecento, con i contributi di Giuseppina Santese e Alessandra Bertini sulla ricezione del mondo classico nel pensiero politico di personaggi come Adams e Jefferson, padri fondatori degli Stati Uniti d’America; di Guido Coccoli sulla penetrazione di Hegel e dell’hegelismo nell’Ottocento americano; di Franco Ratto su Giorgio Tagliacozzo, pioniere degli studi vichiani in America e instancabile portavoce della straordinaria modernità di Vico; di Stefano Velotti sull’odierna interpretazione americana di Vico che si muove fra i filoni neopragmatista (R. Rorty), retoricoumanista (M. Mooney) e fantastico puro (D. Ph. Verene); di Emily Grosholz sull’impatto di Cartesio e Leibniz sulla tradizione della filosofia analitica americana; e di Paolo D’Angelo sulla lettura dell’Estetica hegeliana da parte del geniale critico americano, scomparso di recente, Paul de Man. Tutta dedicata al “Novecento filosofico americano” nel confronto diretto con la filosofia continentale è invece la seconda sezione del volume, che contiene i saggi di Stefano Catucci sul dibattito americano aperto dalla fenomenologia di ispirazione husserliana; di Elena Tavani sul rapporto anche difficile di Adorno con la cultura americana e il confronto con la proposta ermeneutica di Fredric Jameson, largamente influenzata proprio da Adorno; di Paolo Vinci sulla filosofia neopragmatistica di Richard Rorty, che discute ampiamente tematiche importanti del pensiero heideggeriano, e non solo; di Giovanna Borradori su Stanley Cavell e la sua estetica neo-scettica; e di Franco Restaino sul dibattito intorno alle diverse forme di realismo, con particolare riferimento a Goodman e Putnam. La successiva sezione, “Linguaggio e scienza”, affronta alcuni punti nodali del pensiero epistemologico contemporaneo, investendo soprattutto l’ambito logico, linguistico e biologico-evoluzionistico: il razio- nalismo di origine cartesiana all’interno della concezione linguistica di Chomsky è il tema del contributo di Caterina Marrone; Guido Frongia e Massimo Parampolini riflettono, rispettivamente, sulle interpretazioni di Wittgenstein elaborate da Rorty e da Saul Kripke; il pensiero di William James viene indagato a partire da problematiche presenti nella filosofia di Bergson da Stefania Mariani; le radici darwiniane di Gregory Bateson sono al centro del contributo di Anna Ludovico; mentre sugli sviluppi in America settentrionale del dibattito sui temi della prospettiva, della rappresentazione, della percezione e della visione si sofferma Kim H. Veltman, mettendo in evidenza soprattutto le radici europee delle concezioni americane. “Etica e politica” costituisce l’ambito tematico entro il quale si collocano i contributi della quarta sezione, che affrontano temi e problemi attualissimi anche nel dibattito etico-politico del nostro paese. Si va così da Luciana Fiore, che interviene sulla concezione della democrazia del più noto filosofo americano Richard Rorty, a Stefano Petrucciani, che analizza la rilettura e la riscoperta del pensiero di Marx da parte della filosofia analitica americana; dal contributo di Giuseppe Turco Liveri sui critici americani del Liberalismo, a quello di Francesco Saverio Trincia sui temi della libertà e della razionalità complessa nella teoria dell’agire di Jon Elster; e ancora da Katia Tenenbaum, che si sofferma sull’influenza dell’esperienza americana sul pensiero di Hannah Arendt, a Eugenio Lecaldano, che riflette sul significato della teoria dell’etica nel più noto tra i pensatori morali americani, Alasdair MacIntyre, e infine a Avrum Stroll, che interviene direttamente come protagonista nel dibattito sulle teorie morali in America. Una sezione a parte è inoltre dedicata a l’ “Identità latino-americana”, la cui idea cardine è rappresentata dalla necessità, da più parti avanzata, di una filosofia della liberazione, con gli interventi di Arturo Rico Bovio, di Afrian Renteira Diaz e Jairo A. Taborda, che si fanno promotori di un rinnovato progetto filosofico per l’America latina. Chiude il secondo volume la sezione dal titolo “Psicoanalisi e filosofia”, che presenta alcuni recenti sviluppi della ricerca psicoanalitica statunitense: Fiorella Bassan analizza la rilettura del pensiero di Jung nella cultura americana, illustrando, inoltre, il lavoro di indagine dell’Istituto Jung di New York nel campo dell’immagine mitica; Dino Ferreri prende in considerazione il complesso pensiero di Heinz Kohut, il più significativo esponente della scuola americana di psicoanalisi; Arcangelo Rosati, infine, esamina e discute la cosiddetta pragmatica della comunicazione umana di P. Watzlawick, ossia la teoria del comportamento/comunicazione nei sistemi di relazioni interpersonali. G.P. 42 Itinerari medici ed epistemologici Il contesto umano-scientifico in cui oggi i medici si trovano a operare è in forte degrado, a causa del dilagare di tecnologie sempre più avanzate e il venir meno di una coscienza medica. Questa la situazione che emerge dallo studio di Guido Bertolini, DIVENTARE MEDICI (Guerini e Associati, Milano 1994), che analizza e mette in crisi l’attuale ruolo del medico e della medicina, e dal saggio di Henrik R. Wulff, Stig Andur Pedersen, Raben Rosenberg, FILOSOFIA DELLA MEDICINA (trad. it. di A. Parodi, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994), che propone il confronto tra un medico, un filosofo e uno psichiatra sull’arte medica. A ciò si aggiunge una serie di riflessioni sul tema di Hans-Georg Gadamer, che in varie interviste, raccolte in DOVE SI NASCONDE LA SALUTE (a cura di A. Grieco e V. Lingiardi, trad. it. di M. Donati e M.E. Pozza, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994), affronta il rapporto tra salute malattia, criticando quella categoria di scienziati che si orientano verso una eccessiva settorializzazione del sapere a danno dell’irripetibilità dell’individuo. La questione che Guido Bertolini solleva in Diventare medici è quella della difficoltà di ricuperare una coscienza medica all’interno di un nuovo rapporto medico-paziente; il problema mostra caratteri epistemologici, se inquadrato in un’operazione di smascheramento dei falsi miti di una scienza medica considerata onnipotente. La messa in discussione delle nuove teorie scientifiche e, di conseguenza, del ruolo del medico è il modo con cui Bertolini cerca di trovare soluzioni alternative alle carenze culturali attuali, che essenzialmente rispecchiano una mancanza di attenzione nei confronti del singolo soggetto e della sua condizione esistenziale di malato. Per quanto riguarda la problematica medica, le responsabilità, oltre che del singolo medico, sono da attribuire all’intero sistema sociale. Con Filosofia della medicina, Henrik R. Wulff, Stig Andur Pedersen, Raben Rosenberg propongono un itinerario di riflessione per tutti coloro che sentono l’urgenza di un cambiamento radicale in tema di etica medica. A partire da grandi pensatori quali Heidegger, Freud, Jung, il testo analizza posizioni mediche, filosofiche e psicologiche, con l’intento di recuperare il concetto di persona quale individualità irripetibile dotata di spessore esistenziale. Un intero capitolo è dedicato all’angoscia heideggeriana, legata alla comprensione del mondo e della morte: aspet- TENDENZE E DIBATTITI Ubaldo Oppi, Les Trois Chirurgiens (1962, part.) 43 TENDENZE E DIBATTITI to fondamentale per quanto riguarda una ridefinizione di rapporto medico-paziente. La medicina, dal punto di vista ermeneutico, non può limitarsi ad una applicazione tecnica sull’individuo, come se fosse un oggetto da riparare, ma deve recuperare il suo ruolo di missione e di servizio nei confronti di un individuo che è in primo luogo persona e che, come tale, richiede attenzione e ascolto. Il venir meno di un atteggiamento nichilista da parte dei medici e delle strutture sanitarie consentirebbe al malato, e non solo a lui, di ristabilire rapporti comunicativi, parallelamente ad un recupero coscienziale dell’indistruttibile bisogno di libertà che vige in ogni individuo. L’interesse per una concezione umana della medicina, che Hans-Georg Gadamer manifesta in Dove si nasconde la salute, non è un fatto nuovo; l’eccezionalità consiste nell’approccio al problema. Gadamer propone un’analisi dei pregi e dei limiti della scienza moderna e del suo uso odierno. Il dramma consiste nella perdita del valore dell’arte medica, quale “vicinanza” tra medico e paziente, e insieme nella perdita del senso della propria libertà e pienezza spirituale a vantaggio di una percezione parcellizzata dell’individuo. La conseguenza più grave, fa notare Gadamer, è che medico e paziente si riducono reciprocamente a ruoli, rinunciando all’aspetto che li caratterizza innanzitutto, il loro essere persone, il loro «essere fini a se stessi». In uno dei capitoli del testo la riflessione di Gadamer solleva l’impossibilità di oggettivare la salute, in quanto appartenente alla categoria “dell’esserci”, operazione che la scienza moderna attua riducendo la salute a puro sentirsi, con il conseguente distacco (concettuale) che ne deriva fra corpo e spirito. Il lavoro di autopercezione e autocritica si dà come premessa necessaria in un dialogo autentico fra medico e paziente, atto a stabilire un equilibrio tra misure di intervento tecnico e umano. A tal fine Gadamer ripropone il recupero delle antiche terapie naturali e uno stile di vita sano, in cui corpo e mente, conscio e inconscio raggiungano un’armonia; un ripristino, in tema di salute, della “giusta misura” dei Greci. Si tratta di un atteggiamento che Gadamer ritiene non solo realizzabile, ma necessario in un contesto dove prevarica il concetto di patologia a scapito della prevenzione e della platoniana cura dell’anima. D.M. L’inconscio di Freud Psichiatra di formazione psicoanalitica, Pierre Raikovic, ne LE SOMNEIL DOGMATIQUE DE FREUD (Il sogno dogmatico di Freud, SYNTELABO, LE PLESSIS-ROBINSONS 1994), sostiene la tesi di un Freud antifilosofo, che disconosce il suo grande debito nei confronti del pensiero filosofico, in particolare di Kant e Schopenhauer. nella storia la scoperta freudiana dell’inconscio è anche il proposito di Gladys Swain in REVISITER FREUD (Rivisitare Freud), che figura come contributo al volume di autori vari, DIALOGUE AVEC L’INSENSÉ. ESSAIS D’HISTOIRE DE LA PSYCHIATRIE (Dialogo con l’insensato. Saggio di storia della psichiatria, Gallimard, Parigi 1994), a cura di Marcel Gauchet. Oltre a ripercorrere l’evoluzione e i vari aggiustamenti della teoria freudiana, Le somneil dogmatique de Freud rimette in questione uno dei postulati della psicoanalisi, sostenendo la tesi della discontinuità tra l’ordine della normalità e quello della patologia nella vita psichica. Ma al centro di quest’opera vi è in particolare la ripresa del noto dibattito sul rapporto tra Freud e la filosofia. Già a partire dagli anni ’70 Pierre Raikovic aveva trovato nel repertorio filosofico tracce di quella che Freud considerava una sua scoperta, l’inconscio. Ciò che Raikovic prende di mira in questo suo lavoro è l’ostinazione di Freud nel voler rivendicare l’assoluta originalità dell’Es, frapponendo una barriera tra la tradizione filosofica e le sue osservazioni e teorie. Il titolo dell’opera, volutamente polemico, riprende la nota espressione usata da Kant per riconoscere a David Hume il merito di averlo “svegliato” dal suo idealismo metafisico. Per Raikovic infatti, nella distinzione freudiana tra inconscio e coscienza si ripropone, sotto altre vesti, il vecchio dualismo metafisico e teologico tra l’essere infinito e soprannaturale e la realtà finita e terrestre. Ripercorrendo tutta la tradizione filosofica occidentale da Platone e Aristotele a Cartesio e Kant, fino a Schopenhauer e Heidegger, Raikovic mostra come il concetto freudiano di inconscio rientri nel paradigma della metafisica, non essendo altro che una variazione dell’idea di trascendenza, alla stessa stregua dell’ “idea trascendentale” e dell’ “Essere supremo”. Se attraverso questi ultimi concetti si voleva esprimere il carattere non esaustivo e quindi in qualche modo illusorio della realtà empirica, con la nozione di inconscio viene messo in luce il lato patologico del pensiero, ovvero il suo essere il risultato di un meccanismo di difesa che non consente di conoscere le proprie pulsioni e l’ “inquietante alterità” del mondo. Proprio in quanto ritenuta uno dei generi più esemplari di “pensiero individuale”, la filosofia viene rifiutata da Freud come strumento di conoscenza. La filosofia, osserva Raikovic, è 44 per Freud il frutto di un processo patologico che avanza come la paranoia, è un modo di pensare analogo alla schizofrenia, che appartiene al registro della psicosi. Raikovic mostra quindi la contraddittorietà tra queste convinzioni di Freud e i debiti del padre della psicoanalisi verso i filosofi, individuando sorprendenti analogie tra la prosa freudiana e quella schopenhaueriana, nonostante Freud abbia affermato di aver letto troppo tardi Schopenhauer per esserne stato influenzato. Un esempio è costituito dalla nota metafora del processo di “censura”. Freud scrive, a tale riguardo, che un guardiano «ispeziona ogni tendenza psichica e le impedisce di entrare in salone se non gli piace»; in un testo di Schopenhauer leggiamo che la Volontà «fa la sua entrata come il sultano nella sala del Divano per pronunciare come al solito un assenso o un rifiuto». Ma Raikovic si spinge oltre, cercando anche le influenze filosofiche indirette al pensiero freudiano: essa individua nel noumeno un antenato della Volontà e in Kant, dunque, il padre dell’irrazionalismo di Schopenhauer. Attingendo al pensiero di quest’ultimo, Freud avrebbe così, «senza mai rendersene conto», ripreso lo schema fondamentale della filosofia kantiana, tant’è che l’inconscio risulterebbe riducibile ad una “idea trascendentale”. In una prospettiva per certi aspetti analoga a quella di Raikovic, volta al recupero della tradizione filosofica, si muove Gladys Swain nel saggio Revisiter Freud, contenuto in Dialogue avec l’insensé. Essai d’histoire de la psychiatrie, opera postuma di Swain. Psichiatra scomparsa nel 1993, Swain affronta la questione con un approccio di tipo storicistico, con l’obiettivo di reinscrivere nella storia una scoperta, quella dell’inconscio, che non è arrivata come un fulmine a ciel sereno, ma ha avuto una gestazione plurisecolare. Pinel, che ha per primo riconosciuto l’esistenza di una sfera psichica, è considerato da Swain il pioniere. Una serie di testi filosofici inquadrano il prima e il dopo della rivoluzione di Pinel. Mentre Kant e Maine de Biran restano al di qua della soglia psichiatrica, in quanto continuano a pensare che ci siano solo ragione e soggetto tutti interi, Hegel, con grande penetrazione, coglie la novità della concezione di Pinel e si congratula con lui per «aver scoperto quel che resta della ragione nei malati di mente e nei maniaci» e per aver individuato in questo il principio della loro guarigione. È proprio alla concezione moderna del soggetto, secondo cui la follia cessa di essere lo spossessamento irrimediabile e completo del sé, che Swain attribuisce la nascita della psichiatria. Nel 1800 il lavoro di Pinel annuncia che la follia non è un male incurabile come si credeva, inaugurando così la psichiatria e ponendo le basi per la nascita della psicoanalisi nel secolo successivo. Swain pone la sua lettura in antitesi a quella di Foucault, secondo il quale la nascita della psichiatria era l’epilogo di una concezione della follia che portava rinchiudere i malati di mente con il pretesto di curarli. A.M. PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Meyer Schapiro: storia dell’arte, marxismo e psicanalisi Con il titolo: THEORY AND PHILOSOPHY OF ART: STYLE, ARTIST AND SOCIETY (Teoria e filosofia dell’arte: stile, artista e società, Braziller, New York 1994), è uscito il quarto volume delle opere scelte dello storico dell’arte Meyer Schapiro. Il volume comprende alcuni saggi, per lo più databili a partire dagli anni Sessanta, dedicati a questioni generali di teoria dell’arte, che permettono un confronto fra marxismo, psicoanalisi e metodologia della ricerca storica applicata al campo artistico. Questo quarto volume delle opere scelte di Meyer Schapiro giunge dopo i volumi dedicati all’arte romanica, Romanesque Art (vol. I, 1977), a quella del XIX e XX secolo, Modern Art: 19th and 20th Centuries (vol. II, 1979) e a quella antica e medievale, Late antique, early christian, and medieval Art (vol. III, 1979). Nel saggio del 1966, Sulla perfezione, coerenza e unità di forma e contenuto, Schapiro mostra, in opposizione alle teorie di Panofsky, che questo rapporto fra forma e contenuto potrebbe essere latitante in grandi capolavori, mentre potrebbe essere presente in opere inferiori e descrive la cattedrale di Chartres come modello di grandezza artistica, nonostante la sua incompiutezza ed inconsistenza stilistica. Di solito, sottolinea Schapiro, contempliamo l’opera d’arte, concentrandoci soltanto su alcuni selezionati aspetti di essa e in funzione dell’esperienza passata. Ma la visione critica dell’arte non è una singola, quasi mistica, percezione dell’opera d’arte, bensì un processo graduale e collettivo. In questo Schapiro utilizza la sua conoscenza del marxismo per individuare nelle tensioni sociali e nel senso di alienazione quelle cause che danno vita a stili e forme, che possono apparirci nel medesimo tempo espressive e incoerenti. Schapiro divenne noto nel mondo accademico dopo il 1930, attraverso i suoi studi sulla scultura romanica. A Moissac scoprì un’arte religiosa che mostrava molti segnali di conflitto tra un primitivismo arcaico e un crescente realismo, tra una rigorosa co- ordinazione e un’agitata tensione. Il processo di astrazione nell’arte romanica, osservava Schapiro, implica un’audace distorsione delle figure ideali e simboliche per fini espressivi. Molti aspetti dell’arte moderna furono così scoperti sperimentalmente da pittori che cercavano libertà fuori dalla natura e dalla società e negavano consapevolmente gli aspetti formali della percezione che entrano nelle relazioni pratiche fra uomo e natura. Così nel saggio su La scultura di Souillac, Schapiro mostra come la scultura abbia cominciato ad emergere, in forma di rappresentazione autonoma, ai margini dell’arte religiosa come una meravigliosa tecnica immaginativa, indirizzata alla fantasia secolare, pur essendo governata dal contenuto e dai livelli materiali dell’esperienza sociale. La scultura romanica si rivela in questo precorritrice dell’arte moderna. Negli anni Quaranta Schapiro ha allargato il campo dei suoi interessi all’arte medievale e nell’articolo del 1943, L’immagine del Cristo svanente, mostra come i dipinti inglesi dell’Ascensione intorno all’anno Mille, nei quali solamente le gambe o i piedi di Cristo erano rappresentati ed il resto del corpo scompariva tra le nubi, abbiano sviluppato una nuova variazione rispetto alle versioni del primo cristianesimo. Schapiro collega questa immagine alle tendenze empiristiche e pragmatistiche, già evidenti in Inghilterra. La scena è concepita dal punto di vista degli Apostoli come testimoni dell’Ascensione: è la loro reale visione della scomparsa di Cristo che rimpiazza l’immagine visionaria e teologica della trionfale ascesa di Gesù. Il fatto che l’aspetto soggettivo e individuale del sentimento religioso potesse esprimersi in questo modo nell’arte indica, secondo Schapiro, il peso dell’elemento popolare, individuale e contemporaneo, contro le stabilizzate forme istituzionali. Nel quarto volume delle Opere scelte troviamo il saggio del 1953, Stile, in cui Schapiro delinea un’ampia rassegna dei differenti concetti di stile, a cui gli storici dell’arte hanno fatto ricorso dall’inizio del secolo. Qui si mostrano i limiti in cui si incorre quando si considera lo stile un concetto unificante e totalizzante. Schapiro sottolinea inoltre il suo scetticismo nei confronti di spiegazioni 45 basate su caratteri etnici o nazionali, sviluppatesi soprattutto nel corso degli anni Trenta, e mostra come non vi sia corrispondenza uniforme fra le caratteristiche di una cultura e quelle della sua arte. Dal punto di vista di una interpretazione sociale dello stile, i marxisti, osserva Schapiro, sono fra i pochi che abbiano tentato di applicarne una teoria generale, che tuttavia è stata raramente applicata con un vero spirito di indagine. In un saggio su Heidegger e Van Gogh si muove alla difesa dell’opera e della storia personale del pittore contro il fraintendimento del filosofo: quest’ultimo ha ricavato uno scenario patetico di associazioni fra i contadini ed il suolo che non sono avvalorate dal dipinto stesso. Presunzione superficiale di un’interpretazione metafisica che ignora il lavoro dell’artista e le sue intenzioni in un determinato momento della sua vita. Schapiro accusa Heidegger di trascurare la presenza dell’artista nell’opera. Per quanto riguarda il rapporto dell’arte con la psicoanalisi, questa non deve necessariamente, secondo Schapiro, escludere o contraddire l’interpretazione sociale. Ritenendo che la psicoanalisi potesse aprire la porta ad aspetti della produzione artistica altrimenti difficili da cogliere, Schapiro si rivolge a Freud, ma ben presto se ne distanzia, convincendosi che anche i livelli più profondi ed inconsci del lavoro artistico siano il risultato di specifiche circostanze sociali. Nel saggio del 1956, Freud e Leonardo: uno studio di storia dell’arte, Schapiro delinea le apparentemente inconciliabili differenze fra l’approccio analitico e quello storico, ritenendo scorretto contrapporre spiegazioni storiche o sociologiche a quelle psicologiche, in quanto anche le prime sono in parte psicologiche. Nel tentativo di risolvere il dilemma tra Marx e Freud, nel 1968 Schapiro pubblica un saggio su Le mele di Cezanne, dove mostra come il pittore francese usi la mela, motivo con associazioni erotiche risalenti ai miti antichi, come uno strumento per esprimere e sublimare le sue più profonde ansietà e desideri; da qui la conclusione che in una società ordinata, caratterizzata da cose e rapporti perfettamente sottomessi (le mele), l’artista può rappresentare le tipiche relazioni dell’essere umano come la solitudine, il conflitto, l’accordo, la lusinga ed anche gli stati di godimento e di esaltazione. M.B. PROSPETTIVE DI RICERCA Ferdinand de Saussure 46 PROSPETTIVE DI RICERCA Manoscritti “americani” di de Saussure Con il titolo: MANOSCRITTI DI HARVARD (trad. it. di R. Petrilli, Laterza, Roma-Bari 1994), è stata pubblicata in Italia, in prima edizione mondiale, una raccolta di scritti di Ferdinand de Saussure. Il volume, a cura e con introduzione di Herman Parret, è attraversato da una guida alle tematiche trattate: linguistica generale, fonetica, grammatica e mitografia. Frammentari, ma spesso illuminanti, questi scritti possono essere letti anche come nuove chiavi interpretative della teoria linguistica saussuriana. Presso la Houghton Library, sezione manoscritti e libri rari della Widener Memorial Library, la biblioteca dell’Università di Harvard (Cambridge, Massachussetts, USA) giacciono inediti, sin dal 1967, alcuni manoscritti di Ferdinand de Saussure, acquisiti grazie all’interessamento del linguista russo Roman Jakobson. La prima selezione antologica di questi scritti, che porta il titolo di Manoscritti di Harvard, appare oggi in italiano. Il criterio della cernita, come sottolinea Herman Parret nel suo ampio e illuminante saggio introduttivo, Riflessioni saussuriane sul Tempo e sull’Io, consiste nella volontà di presentare i testi maggiormente contigui a problemi di filosofia del linguaggio. Costituiti da fogli lacunosi, schede, disegni, frammenti enigmatici o addirittura umoristici, questi manoscritti si configurano in una fitta trama di citazioni, riprese, rinvii a scritti anteriori o progettati: di fronte a notevoli difficoltà di interpretazione, Parret ha voluto approntare una guida ragionata per rendere meglio intelligibili i percorsi di indagini. Tra le sezioni presentate nel volume troviamo la fonetica, di cui Saussure dà la seguente definizione: «Fonetica acustico-fisico-fisiologica» , una equivalenza che individua la necessità di conoscere la “macchina” di produzione delle “unità acustiche” della lingua. Il fenomeno fonetico sottostà a quello acustico: la prima immagine delle parole, a livello cerebrale, è di tipo acustico, per cui la fonologia, che si occupa solamente delle parole, e la fisiologia, che indaga i meccanismi di fonazione, risultano ridimensionate nell’ambito della linguistica. Quest’ultima non si identifica però con la psicologia: «L’atto linguistico sta nell’associazione tra un concetto psichico e un’immagine acustica». De Saussure intende giungere a una “fonetica semiologica generale” o “pura”, ovvero “semiologia del fonema”, che consideri in special modo il fonema in quanto opposto al silenzio, lo stagliarsi uditivo delle lettere di fronte al silenzio. L’ “orecchio” viene quindi descritto come l’analizzatore delle somiglianze “quantitative”, per la sua capacità di distinguere le consonanti dalle vocali; si delinea altresì una sfera qualitativa, la “sfera fisica”, sulla superficie della quale somiglianze, identità e differenze si profilano come rilievi. «Per l’orecchio il tempo è ciò che lo spazio è per la vista», afferma de Saussure; la catena fonetica è dunque una vera e propria realtà fisica. I manoscritti parlano inoltre di un temposfera, opposto al tempo lineare, a partire dal quale soltanto si ha la percezione, parlando, di ciò che diciamo: de Saussure considera queste due dimensioni in contrasto con la temporalità dei suoni «furtivi, fugaci, transitori». Esiste una tensione tra il fonema e l’ambiente nel quale esso agisce che comporta differenziazioni a livello percettivo del soggetto che le sperimenta. Quest’ultimo è un “Soggetto Logico” (in quanto non creatore di atti linguistici) definito anche da de Saussure un “Io-Sonno”. Emerge qui l’influenza che esercitarono su de Saussure le mitografie e le filosofie della letteratura vedica. Cultore di testi quali il Mahabharata e la Bagavad-Gita, egli trae da essi le basi di una epistemologia non antropocentrica: la perfezione dell’io consiste nell’uomo che dorme senza sognare, perfetto spirito senza coscienza del proprio io e unica autentica rappresentazione di quest’ultimo. De Saussure giunge ad asserire che «il conflitto tra l’India e il nostro pensiero occidentale» si delinea nel fatto che esso ha sempre considerato l’io come conoscitore delle proprie impressioni e opposto al nonio, mentre per tutte le dottrine indiane l’io è escluso dalle sensazioni. La “carriera” (nel duplice senso, quello antico di “cava” da cui ricavare i materiali per una costruzione, e quello etimologico, di “via intrapresa”) dell’Io-sonno si spinge verso il suono-vuoto, creando un soggetto purificato da ogni contenuto (regola principale della fonetica semiologica); è attraverso il silenzio e le sue interruzioni che il mondo sa direzionare al nostro “orecchio” i suoi messaggi sonori. M.G.B. Illuminismo e matematica nel Settecento francese I lavori di Eric Brian, ricercatore al Centre Alexandre Koyré d’Histoire des Sciences et des Techniques di Parigi, costituiscono un aspetto rilevante dell’attività di ricerca sulla storia delle matematiche condotta in questo centro. Ora, il suo LA MESURE DE L’ETAT. ADMINISTRATEURS ET GÉOMÈTRES AU XVIII SIÈCLE (La misura dello Stato. Amministratori e geometri nel XVIII secolo, Albin Michel, Parigi 1994) offre uno studio sul pensiero matematico del secondo Settecento francese e sui suoi rapporti con la cultura illuminista. Il testo eredita d’altra parte, mantenendola viva, la tradizione storiografica di quel Centre de Synthèse che tanta parte ha avuto nell’elaborazione della cultura storica e filosofica francese contemporanea. 47 Pubblicato nella «Bibliothèque de Synthèse Historique», che fu di Henri Berr, questo studio di Eric Brian si propone di analizzare le origini della moderna scienza statistica nella seconda metà del Settecento francese attraverso un esame delle interazioni tra l’evoluzione dell’analisi matematica e del calcolo delle probabilità, da una parte, e le spinte innovatrici in seno all’amministrazione statale dall’altra, mettendo in evidenza l’apporto che il nuovo approccio teorico, sviluppato dai pensatori dell’Illuminismo, e lo sviluppo delle matematiche hanno recato nelle pratiche dell’amministrazione pubblica francese. Se dunque il suo oggetto proprio consiste in uno studio di «un momento in cui storia delle scienze e storia dell’amministrazione si incontrano», questo studio si rivela ben presto per una ben più ampia trattazione della scienza illuminista alla vigilia della rivoluzione e del quadro civile e politico in cui si svolgono le vicende del calcolo matematico. Muovendosi attraverso ambienti apparentemente eterogenei quali il circolo di Turgot e la scuola di D’Alembert, l’amministrazione dello Stato e l’Accademia delle Scienze, Brian si propone infatti di mostrare come dietro le trasformazioni nell’amministrazione statale francese si celi il programma di riforma della monarchia cui lavoravano le élites francesi negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione. I legami che collegano Condorcet e Turgot, D’Alembert, Laplace e ancora Condorcet delineano una tesi storiografica di fondo che supera abbondantemente i confini della “scienza della popolazione”: la progressiva trasformazione del clima culturale e delle attività scientifiche durante la seconda metà del XVIII secolo ha consentito alle esigenze di razionalizzazione presenti negli ambienti più avanzati dell’amministrazione dello Stato nella vita culturale francese fin dalla Reggenza di ottenere una legittimità scientifica prima negata. Lo sviluppo rigoglioso dell’analisi e del calcolo delle probabilità diviene in tal modo la trama di un’impresa intellettuale e scientifica di cui Condorcet e Turgot, Laplace, Vauban, Monge e Du Séjour sono le figure principali e in cui le discussioni di natura scientifica prodotte dall’Académie des Sciences appaiono legate a filo doppio alle spinte innovatrici e riformatrici presenti all’interno dell’amministrazione dello Stato. In questa vicenda, Turgot diviene il capofila di quell’élite riformatrice e illuminista che, dall’interno dell’Amministrazione, ricerca nella collaborazione con la communauté savante la necessaria legittimazione scientifica alla propria prospettiva di razionalizzazione dello Stato; mentre Condorcet rappresenta colui che fino alla rivoluzione trasformerà progressivamente l’Académie nel luogo deputato all’elaborazione del nuovo sapere e alla sua circolazione verso le esigenze amministrative e di governo. Esaurita, con la rivoluzione, la spin- PROSPETTIVE DI RICERCA ta di rinnovamento culturale e civile dell’Illuminismo, il procedere delle scienze statistiche e demografiche viene infine ripercorso da Brian nel suo protrarsi fin nella prima metà del XIX secolo. Eric Brian realizza con questo libro un interessante esempio di ricostruzione storica in cui pensiero filosofico, mutamenti del clima culturale ed evoluzione delle scienze vengono analizzati a partire dalle loro concrete interazioni e dagli effetti che hanno potuto produrre sull’organizzazione del sapere. Il testo, d’altronde, mostra una notevole consapevolezza metodologica: lungi dal procedere a caso, Brian critica con forza il riduzionismo quantitativo che caratterizza al giorno d’oggi gran parte della storiografia delle scienze sociali, rivendicando invece fortemente «la priorità dell’analisi genetica delle categorie della comprensione nel campo delle scienze sociali», e osservando che un appiattimento nella contemporaneità, risultato di confronti diretti di risultati di discipline scientifiche condurrebbe a «rinunciare al progetto di scientificità delle scienze sociali.» Tale rivendicazione costituisce senz’altro uno degli aspetti più interessanti della ricerca di Brian. La centralità della dimensione storica è infatti riaffermata come conditio sine qua non per una piena comprensione dell’evoluzione della scienza e condizione di scientificità per uno studio quantitativo dell’evoluzione delle scienze sociali. Il testo riflette così la nuova metodologia storiografica, sviluppata da alcuni giovani studiosi, che senza troppi manifesti programmatici o “dichiarazioni d’intenti” si applica diligentemente ad uno studio della realtà storica nella molteplicità delle sue componenti significative. Non è quindi questione di dimostrare “a priori” la tesi che vi siano state delle interazioni tra scienza, filosofia e nella gestione della cosa pubblica: Brian si limita, ma lo fa in maniera assai accurata, a ripercorrere un problema storiografico, il rinnovamento del sistema di amministrazione anagrafica nella Francia della fine del Settecento e, per poter comprendere appieno l’evoluzione di tale questione, si trova poco a poco trascinato in una trattazione dei differenti aspetti che tale processo mette in gioco. Il lavoro di ricostruzione storiografica qui presentato risulta allora pienamente indicativo del metodo di lavoro proprio di chi opera presso il Centre Koyré: la centralità della dimensione storica ne fa un luogo strettamente legato agli studi storici, ma in cui ciò avviene senza chiusure e, allo stesso tempo, senza rincorse a preconcette “multidisciplinarietà”. L’interazione tra le varie discipline e tra i differenti fenomeni culturali vi appare invece come una realtà di fatto che proviene dallo spirito aperto con cui questi ricercatori, e Brian in particolare, ripercorrono i fenomeni trattati. Qui l’accuratezza filologica e l’ampiezza del tema vengono bilanciati con un savoir faire che rende il testo un equilibrato ed utile stru- mento di lavoro per chi si occupa della storia del XVIII secolo. Certo, siamo lontani dalle magistrali “riflessioni” di Koyré. Tuttavia, la scuola è quella e l’approccio ragionato alla storia, che non la riduca ad una semplice ricerca di documenti, è chiaramente rintracciabile nei giovani studiosi. In questo senso, le mediazioni di Coumet, di Taton, di Costabel, si fanno sentire, assicurando al Centro un ottimo livello scientifico. In questa implicita moderazione e serietà di lavoro sta la professionalità dei ricercatori del Centre Koyré. L.S. Scritti di Seneca Sono stati pubblicati, raccolti in un solo volume a cura di Giovanni Reale, TUTTI GLI SCRITTI IN PROSA (trad. di A. Marastoni e M. Natali, Rusconi, Milano 1994) di Lucio Anneo Seneca. A ciò si affianca la pubblicazione, a cura di Concetto Marchesi, dell’opera che meglio esprime la visione etica di Seneca, LA DOTTRINA MORALE (Laterza, BariRoma 1994). La raccolta di scritti di Lucio Anneo Seneca, curata e introdotta da Giovanni Reale, comprende i dialoghi, tra cui La brevità della vita e La tranquillità dell’animo, e i trattati, tra cui La clemenza e le Lettere a Lucilio. Il presupposto che regge questa raccolta consiste nel forte legame esistente tra la biografia e la produzione filosofica di Seneca che, secondo Reale, riconduce l’intera sua produzione a pochi concetti essenziali, riscontrabili in tutti i suoi scritti. La vita tormentata del filosofo, di cui Reale ricorda il periodo dell’esilio, la morte prematura dei suoi cari, il rapporto con Nerone e infine la condanna al suicidio, si riflette in un pensiero volto essenzialmente alla ricerca della serenità. Qui la felicità non è intesa come raggiungimento edonistico del piacere, bensì come ricerca della virtù e della pace con se stessi, attraverso una valutazione razionale delle cose. La filosofia diventa per Seneca terapia dell’animo e, conseguentemente, ricerca etica per l’etica; una filosofia profondamente influenzata, da una parte, dall’ellenismo stoico ed epicureo e, dall’altra, dal platonismo di Filone. Il risultato, osserva Reale, consiste in una riproposizione del neo-platonismo cristiano, imbevuto, però, di elementi classici ed ellenistici. L’etica di Seneca viene legittimata dalla cosmologia, descritta e spiegata ampiamente nelle Lettere. Tema centrale è quello della giustificazione della natura, spiegata attraverso l’incontro di due principi, quello attivo e quello passivo, presenti nell’universo. Lo stoicismo fa da sfondo a questa interpretazione della natura corporeista e panteista, in cui la presenza di Dio rende viva e razionale la natura nella sua interez48 za. Ed è ancora lo stoicismo antico ad influenzare Seneca nell’identificazione di Dio con la Provvidenza ed il Fato. Ancora nelle Lettere, infatti, si coglie la concezione di un Dio razionale che giustifica e legittima ogni evento, considerato perciò sempre sensato. La visione ciclica dell’universo, infine, accosta ancora la filosofia di Seneca al pensiero di Zenone. La conflagrazione universale, infatti, spiega la nascita e il procedere circolare dell’universo, giustificato in ogni suo movimento e finalizzato verso una nuova conflagrazione. L’influenza che Seneca riceve dalla filosofia a lui precedente non si esaurisce tuttavia nello stoicismo, insufficiente a spiegare certi elementi assolutamente estranei ad esso, come la concezione dell’uomo e di Dio presenti nelle Questioni naturali, che accostano Seneca al platonismo. L’uomo, qui, viene considerato come “a due dimensioni”, ovvero l’anima e il corpo, che si incontrano-scontrano nella sua individualità. Il corpo, come nella filosofia platonica, è considerato come il carcere dell’anima, autentica essenza spirituale dell’umano. Da qui l’immagine di un Dio spirituale, lontano dalla materialità dei fenomeni, ma tuttavia presente al momento della loro creazione. L’apparente contraddizione tra il materialismo stoico ed il dualismo platonico si risolve, secondo Reale, tenendo conto dell’età di passaggio, tra età pagana e quella cristiana, a cui appartiene Seneca. La presenza di Dio nella natura non esclude un dualismo ontologico tra la corporeità, più distante da Dio, e lo spirito, suo simulacro. Questo contrasto risulta meglio superato nell’etica, trattata più nei particolari nelle Lettere e nella Vita felice. La ricerca della virtù, intesa come ricerca razionale che predilige lo spirito al corpo, allontana Seneca dall’antica Stoà e lo avvicina, ancora, a quell’ideale ascetico e platonico per cui il bene si trova nel sovrasensibile e nella “fuga dal corpo”. Questo, comunque, non impedisce a Seneca di identificare la vita felice con quell’atteggiamento conforme alla natura e alla razionalità, ancora individuabile nel pensiero stoico. Il superamento del pensiero ellenistico e di quello platonico si realizza, infine, nell’individuazione di un principio completamente assente nei due sistemi, ma paradigmatico nel pensiero successivo, ovvero in quello cristiano. Nelle Lettere, infatti, Seneca introduce nell’etica filosofica un concetto nuovo per i greci e cioè quello di voluntas, legato a quello di peccato. Se l’intellettualismo etico dei greci riportava il Bene sempre e comunque ad un fatto di conoscenza e considerava, di conseguenza, il male come dovuto all’ignoranza, Seneca, introducendo il concetto di volontà, separa la morale e la virtù dalla conoscenza, per ricondurle ad una sfera interiore e ancora inesplorata. La teorizzazione della volontà apre, allora, anche alla dimensione del peccato, vissuto responsabilmente dall’individuo che “sa” PROSPETTIVE DI RICERCA di commettere il male ma, allo stesso tempo, “vuole” compierlo. In questo modo, la contraddizione tra stoicismo e platonismo viene oltrepassata da una nuova posizione, quella neoplatonico-cristiana, in cui la trascendenza e la volontà realizzano quell’ideale di etica, che gli stoici hanno intravisto, ma non portato a compimento. A.S. Preparare lo spirito all’appuntamento con l’al di là, alimentando la forza morale e la coscienza: questo l’intento di Seneca che compare ne La dottrina morale. La riflessione filosofica, e con essa quella morale, sono sempre state, nel caso di Seneca, frutto di una coscienza libera e aperta; la convinzione che la coscienza sia la sede consapevole del bene e del male e che da essa debbano scaturire le azioni buone è un elemento privilegiato della dottrina morale di Seneca. Concetto Marchesi, curatore dell’opera, mette a fuoco la peculiarità del pensiero senechiano, tutto teso all’elevazione dello spirito attraverso il distacco dai beni materiali e il recupero dell’amore universale, un amore a cui Seneca arreca un valore divino, peraltro onnipresente. La concezione che egli attribuisce al male è quella di una scarsa coscienza del valore della vita, di un venir meno del significato che il cammino terreno ha rispetto ad una dimensione divina; la prassi dell’amore viene vista come unica risposta positiva per educare gli stolti e i deboli. L’analisi di Marchesi si spinge fino a cogliere l’aspetto altamente divino della dottrina morale di Seneca, elemento totalizzante dell’universo e dell’agire quotidiano, di cui ogni spirito si deve alimentare per guadagnarsi la pace interiore e per poterla trasmettere agli altri. In un simile contesto il dualismo anima-corpo trova la chiave di soluzione nella Provvidenza, che fornisce gli strumenti per liberarsi dalle catene del corpo e ascendere al bene supremo, realizzando il disegno di un amore eterno; un itinerario, questo, che viene applicato a tutte le attività, dalla politica alle relazioni sociali, fino all’elaborazione del dolore e della miseria, considerate prove spirituali che fortificano l’anima e alimentano la saggezza. L’uomo saggio, per Seneca, è colui che apprezza la vita per quello che è, senza pretendere di più; la saggezza equivale alla libertà di spirito che si nutre della propria energia e della forza divina. D.M La logica ermeneutica di Georg Misch Con il titolo DER AUFBAU DER LOGIK AUF DEM BODEN DER PHILOSOPHIE DES LEBENS. GÖTTINGER VORLESUNGEN ÜBER LOGIK UND EINLEITUNG IN DIE THEORIE DES WISSENS (La costruzione della logica sul terreno della filosofia della vita. Lezioni di Göttingen sulla logica e sull’introduzione alla teoria del sapere, a cura di G. KühneBertram e F. Rodi, Alber, Freiburg i.Br. München, 1994), è stato pubblicato il testo dei corsi di logica, tenuti da Georg Misch all’Università di Gottinga nel periodo 1927-1934. Con queste lezioni Misch si proponeva di sviluppare, sulla base dei risultati della “filosofia della vita” di Wilhelm Dilthey, una logica intesa come teoria generale del sapere. L’opera di Georg Misch (1878-1965) ha avuto fino ad oggi una scarsa risonanza nella cultura filosofica contemporanea. La sua notorietà è legata soprattutto alla Geschichte der Autobiographie (Storia dell’autobiografia, 1907-1962), opera monumentale, la cui elaborazione ha accompagnato tutta la sua vita di studioso, e che altro non è se non lo sviluppo dell’intuizione del suo maestro Wilhelm Dilthey, secondo cui l’autobiografia costituisce il nucleo germinale della conoscenza storica. Limitata fu l’eco degli studi con i quali, nel corso degli anni Venti, Misch aveva cercato di riportare la filosofia diltheyana al centro della discussione filosofica contemporanea: il Vorbericht al volume V delle Gesammelte Schriften (1923), prima presentazione organica della filosofia diltheyana, citato con rispetto da Heidegger stesso in Essere e tempo; il breve ma denso saggio del 1924, Die Idee der Lebensphilosophie in der Theorie der Geisteswissenschaften (L’idea della filosofia della vita nella teoria delle scienze dello spirito), importante per l’influsso esercitato sull’antropologia filosofica di Helmuth Plessner; e il volume del 1930, Lebensphilosophie und Phänomenologie (Filosofia della vita e fenomenologia), tempestiva ricezione di Essere e tempo e confronto critico dell’orientamento diltheyano con la filosofia fenomenologica di Husserl e di Heidegger nel suo insieme. I motivi di questa scarsa risonanza sono di ordine non solo teorico, ma anche politicoculturale. Di origine ebraica, Misch fu costretto a lasciare, nel 1935, la propria cattedra di filosofia all’Università di Gottinga e, in seguito alle leggi razziali hitleriane del 1938, ad abbandonare la Germania (trascorrerà la maggior parte degli anni di guerra a Cambridge). Dopo il suo ritorno a Gottinga nel 1946, Misch si dedica, nella mutata situazione filosofico-culturale del dopoguerra, quasi esclusivamente alla prosecuzione della Geschichte der Autobiographie. Solo grazie a Otto Friedrich Bollnow - allievo di Misch a Göttingen e autore dello studio del 1936 Dilthey. Eine Einführung in seine Philosophie (Dilthey. Una introduzione alla sua 49 filosofia), tentativo estremo di far valere la proposta filosofica diltheyana prima dell’oscuramento nazionalsocialista - il nome di Misch sarebbe gradualmente riemerso dal dimenticatoio e sarebbe stato connesso ai tentativi di Josef König (a sua volta allievo di Misch) e di Hans Lipps di sviluppare una “logica ermeneutica”, che si situa all’incrocio dei territori della Lebensphilosophie diltheyana e della fenomenologia husserliana. Sulla scia degli sforzi di Bollnow si è così giunti, grazie all’attività di Frithjof Rodi, che nelle sue opere Morphologie und Hermeneutik (Morfologia ed ermeneutica) e Erkenntnis des Erkannten (Conoscenza del conosciuto) si ricollega alla prospettiva di Misch, e di Gudrun Kühne-Bertram, studiosa di Dilthey e della Dilthey-Schule, alla pubblicazione dei corsi di lezioni di logica, tenuti con regolarità da Misch a Göttingen dal 1927-28 fino all’espulsione dall’Università nel 1933-34. Un anticipazione del contenuto di queste lezioni per il pubblico italiano è stata offerta da Giovanni Matteucci, che già prima della pubblicazione del testo tedesco ha curato, per la rivista «Discipline filosofiche» (n. 1, 1992), la traduzione di alcuni passi salienti dei corsi di Misch, riguardanti i problemi della significatività e dell’espressione. Questi corsi sviluppano e rendono esplicite alcune concezioni che in Lebensphilosophie und Phänomenologie erano rimaste implicite. L’atteggiamento critico-ermeneutico predominante in quell’opera - che si esprime in un serrato e talvolta arduo confronto con i testi husserliani e heideggeriani diventa qui proposta positiva di una propria concezione logico-ermeneutica, o, più esattamente, di una logica “filosofica”, intesa come teoria generale del sapere. Il problema di una logica filosofica si trova, negli anni Dieci e Venti, anche al centro delle preoccupazioni di Husserl (si pensi a opere come le Ricerche logiche e Logica formale e trascendentale) e di Heidegger, che nel 1925-26 aveva tenuto un corso su “Logica. Il problema della verità”. Dopo la pubblicazione delle Ricerche logiche, Dilthey aveva riconosciuto l’affinità della posizione di Husserl con la propria (rifiutando così l’etichetta di “psicologismo” per la propria fondazione delle scienze dello spirito). Ora Misch - che nel 1912 aveva curato la pubblicazione di una ristampa della Logik di Lotze, cioè di un pensatore che aveva svolto un ruolo fondamentale nella discussione tra psicologismo e logicismo - sviluppa la prospettiva della Lebensphilosophie di Dilthey nel senso di una logica intesa non come logica formale, ma come teoria generale del sapere, per la quale è costitutivo il riferimento ai risultati delle scienze umane, e in particolare della linguistica, dell’antropologia, e della psicologia, per «far posto nella logica al tipo vivente di concetti che hanno origine nelle scienze dello spirito, dove il conoscere si sviluppa nel comprendere a partire dal vissuto.» Nella costruzione della logica Misch prende PROSPETTIVE DI RICERCA le mosse da una dislocazione dell’ambito del “Logico”, che viene così ad avere una portata più ampia rispetto a quelle concezioni che identificano logica e conoscenza scientifica, concetto e giudizio. Il punto di partenza della logica diventa l’analisi dei fenomeni dell’espressione e del significato, considerati non solo come concetti attraverso cui le scienze dello spirito colgono i loro oggetti, ma anche come una dimensione fondamentale della prassi e del comportamento vitale. Nelle espressioni della vita, e sulla base dell’ “immersione nella vita” (Darinnensein-im-Leben), che costituisce la condizione originaria dell’essere umano, sorge una forma elementare del comprendere e della significatività. I confini della sfera logica si allargano così a coincidere con quelli del «divenir cosciente in generale», la cui forma originaria è l’espressione. In questa prospettiva, Misch sviluppa una fenomenologia del mondo dell’espressione che comprende problemi come quello della distinzione e del rapporto tra espressioni corporee e spirituali, animali e umane, linguistiche e non-verbali (mimiche, musicali, gestuali). La peculiarità della posizione di Misch rispetto ad altri tentativi analoghi di descrivere e circoscrivere il fenomeno dell’espressione (Husserl, Plessner, Klages) sembra consistere nella distinzione da lui effettuata, all’interno della forma discorsiva generale del linguaggio, delle formulazioni “puramente discorsive” dalle “espressioni evocative”. Mentre le formulazioni del linguaggio discorsivo (tanto nelle scienze della natura quanto nelle scienze dello spirito) si riferiscono in modo univoco a oggettualità teoretiche, nelle asserzioni evocative (che si trovano tanto nella prassi vitale quanto nel linguaggio dell’arte e delle scienze, in particolare delle scienze dello spirito) le proposizioni sono il mezzo attraverso cui si mostra «l’oggetto nella sua significatività». Si tratta qui non dell’oggettualità dell’oggetto intenzionale brentaniano e husserliano, ma delle “oggettualità ermeneutiche”, cioè di quegli oggetti sui generis che non sono già costituiti, ma per così dire si formano o vengono evocati attraverso l’espressione e nel processo del comprendere. Nelle proposizioni evocative emerge per Misch l’inesauribilità del fenomeno del significato e trova espressione ciò che per il linguaggio puramente discorsivo resta “indicibile”. Con la differenza tra logica discorsiva e logica dell’evocazione Misch intende così far valere la tensione dialettica tra conformità al pensiero (Gedankenmäßigkeit) e insondabilità (Unergründlichkeit) della vita che egli deriva, come molti dei concetti fondamentali della sua Logik, dall’interpretazione di alcuni motivi della filosofia di Dilthey. Tenendo aperta questa tensione egli si propone, non da ultimo, di superare produttivamente la contrapposizione diltheyana tra scienze della natura e scienze dello spirito. M.M. Wilhelm Dilthey e Georg Misch 50 NOTIZIARIO Hans Ulrich Wöhler, uno dei massimi medievalisti tedeschi, ha recentemente raccolto nel volume dal titolo: Texte zum Universalienstreit. Band II. Hoch-und mittelalterliche Scholastik. Lateinische Texte des 13. bis 15. Jahrhundert (Testi sulla disputa intorno agli universali. Vol. II. Scolastica dell’Alto e del Basso Medioevo. Testi latini dal XIII fino al XV secolo, Akademie, Berlino 1994), alcuni fra i più importanti testi concernenti la DISPUTA INTORNO AGLI UNIVERSALI nel Basso Medieoevo. Questa raccolta si va ad aggiungere ad un precedente volume curato dallo stesso Wöhler, Testi sulla disputa intorno agli universali (vol. I, 1992), che conteneva venti fra i più famosi trattati sulla disputa intorno agli universali da Porfirio e Boezio sino alla massima esplosione della questione nel XI e XII secolo, con Abelardo e Averroè. Mentre il primo volume aveva un carattere prevalentemente informativo, questo secondo presenta un’impostazione innovativa e coraggiosa. I 12 contributi qui presentati sono in gran parte di conoscenza esclusiva dei più esperti medievalisti: accanto a classici come il De ente et essentia, di S. Tommaso, e alle più famose questiones di Giovanni Duns Scoto e Guglielmo D’Ockham, si collocano infatti scritti sugli universali di Walter Burley, Gregorio da Rimini, Heinrich Totting, Gabriel Brial, Johannes Gerson, John Wyclif, nomi che solitamente non ricorrono nelle trattazioni tradizionali della tematica. É inoltre presentata per la prima volta la traduzione in tedesco di un trattato di Sigieri di Brabante, il De aeternitate mundi, la cui pregnanza contenutistica trascende il campo limitato della disputa logica. Questa raccolta rappresenta un’occasione per riscoprire il pensiero filosofico del tardo Medioevo, che sottoforma di una contrapposizione tra realismo e nominalismo introduce a profonde riflessioni di natura morale e teologica. L.R. Nel marzo 1995 si è svolto ad Hammamet, in Tunisia, un congresso sovvenzionato dal Goethe Institut di Tunisi dal titolo: “AVERRO È OGGI”. Il congresso riprende le fila di un discorso iniziato nel novembre 1994 al Cairo, dove aveva avuto luogo un dibattito specificamente dedicato alla tematica “Averroè e l’Illuminismo”. Il rinnovato interesse per il filosofo medievale manifestato dal mondo culturale arabo rispecchia l’esigenza di tali paesi di giungere finalmente ad un giusto equilibrio tra tradizione e modernismo, sotto la minaccia dell’integralismo religioso da una parte e la pressione dell’Occidente dall’altra. Riprendendo la definizione di Mosè Maimonide come «illuminista che crede nella rivelazione», che Strauß e Guttmann avevano formulato nel 1935, i filosofi raccolti ad Hammamet, per la maggior parte NOTIZIARIO arabi, hanno riesaminato la figura di Averroè, recuperandolo all’ortodossia islamica, contro una tradizione filosofica che lo vuole come eretico; ma hanno anche insistito sulla prossimità tra il pensiero averroiano e talune espressioni dell’illuminismo europeo. In particolare, è stata sottolineata la parentela di Averroè con il Kant della Religione nei limiti della pura ragione, opera in cui la critica alla religione non implica comunque il rifiuto della prospettiva etico-religiosa. L.R. da tra le metafisiche barocche e la critica illuministica. La questione acquista ulteriore complessità se si osserva che i personaggi chiamati in causa nella bibliografia rosacrociana conservano tutt’oggi tratti mitici, che permettono di collocarli nella zona liminare tra esistente e fantastico, ossia nella leggenda. Un esempio ne è lo stesso leggendario fondatore della società, Christian Rosenkreuz, della cui plurisecolare esistenza gli stessi documenti seicenteschi forniscono informazioni contraddittorie. L’unico dato certo di cui oggi si dispone è un testo programmatico di Johann Valentin Andreae, pubblicato a Kassel da un editote anonimo nel 1614 con il titolo: Fama Fraternitatis, dedicato a «tutti i dotti e i sovrani d’Europa», che possedeva un tono deliberatamente provocatorio nei confronti della cultura dominante. L.R. Nel febbraio 1995 si è tenuta a Wolfenbüttel una mostra sul tema: “WO SIND DIE ROSENKREUZER?” (Dove sono i Rosacroce?), che ha riproposto l’interrogativo circa la misteriosa origine e la natura della società segreta (la cui effettiva esistenza, d’altra parte, è tuttora soggetta all’ipoteca del dubbio). Allestita dalla Biblioteca Philosophica Hermetica di Amsterdam e dalla HerzogAugust-Bibliothek di Wolfenbüttel, la mostra consisteva nella presentazione di innumerevoli esemplari di bibliofilia, codici ed archivi con documenti di antica stampa in tedesco ed in latino, ma non forniva di per sè alcuna chiave di accesso al mondo sconosciuto dell’ermetismo rosacrociano. Molto più consistente dal punto di vista informativo risulta il catalogo, realizzato in occasione della mostra, dal titolo: Cimelia Rhodostaurica. Die Rosenkreuzer im Spiegel der zwischen 1610 und 1660 entstandenen Handschriften und Drucke (I Rosacroce nello specchio dei manoscritti e della stampa, apparsi tra il 1610 e il 1660, Herzog August Bibliothek, Wolfenbüttel 1995). Il fenomeno “Rosacroce” viene qui indagato soprattutto in relazione all’impatto culturale che ebbe sulla vita culturale e religiosa dell’Europa del XVII secolo, nella quale provocò un radicale capovolgimento dei valori nella religione, nella scienza e nella politica. Con riferimenti alla mistica medievale, alle scienze occulte rinascimentali, nonché alla teologia, all’astrologia e alla matematica, i rosacrociani si proposero come riformatori del mondo intero, di fronte al tramonto del papato e ai timori apocalittici di un’Europa a metà stra- Nelle sale della Mediateca di Sète è stata inaugurata, nel maggio 1995, la mostra: “PAUL VALERY, L’INTIME, L’UNIVERSEL” (Paul Valéry, l’intimo, l’universale), prima delle manifestazioni previste per il cinquantesimo anniversario dalla morte di Paul Valéry dalla città che gli diede i natali. Il 20 luglio 1995 (fino al 15 ottobre), s’inaugureranno due altre mostre: “Ostinato rigore”, presso il Museo Paul Valéry, che evocherà Valéry amante di pittura e di architettura; “Fuochi terrestri”, invece, raccoglierà l’opera di 14 artisti contemporanei sulla relazione, che preoccupava Valéry, tra arte e scienza. Il 19 e il 20 ottobre 1995 e il 23 e il 24 novembre 1995 si terranno incontri intenazionali e tavole rotonde sull’opera di Valéry, ai quali interverranno Jean-François Lyotard e François Barré. Nelle sale della Mediateca di Sète sono attualmente raccolti episodi pubblici e privati del grande artista, in una scenografia che mette bene in evidenza la cesura che attraversa la vicenda intellettuale di Valéry, tra luce e ombra, tra parola e «impero nascosto» della nostra mente. Sotto la sola luce delle vetrine sono infatti raccolti i manoscritti dello scrittore, tra cui ve ne sono molti mai esposti al pubblico, e la famosa pagina della 51 notte di Genova, furiosamente sfregiata dal poeta quando decise di venerare solo l’Intelletto. La flebile luce delle vetrine illumina ancora cinque dei suoi quaderni originali, i cahiers, testimonianza di quel “teatro del di dentro”, che Valéry racchiudeva in queste pagine «dalle cinque alle sei del mattino, tra lampada e sole», fino a quando i rumori della casa non lo svegliavano al ruolo pubblico del poeta, del saggista, del filosofo. Accanto a questi tesori, provenienti dalla Bibliothèque Nationale, proiettate su un muro, le immagini del poeta accompagnate dalla sua voce cercano di evocare più intimamente la sua presenza ai visitatori della mostra. Nelle altre due sale, invece, prevale la luce, per mostrare il lato pubblico del poeta in alternanza con episodi della sua biografia. Vi sono foto e testi presi dall’opera e dall’esegesi. Si ripercorre la sua vita, da quando era un bambino grassottello che parlava solo in italiano con la madre, nata Grassi, all’episodio di quello sconosciuto che salvò il piccolo di tre anni dall’annegamento nel bacino dei giardini pubblici di Sète, dal trasferimento a Montpellier, dove conobbe Gide e Louys, al matrimonio parigino con Jeannie Gobillard, nipote di Berthe Morisot, che lo avvicinò all’ambiente degli impressionisti. Di questi apprezzò solamente Degas, restando insensibile alle arti moderne e al cubismo. Sotto le vetrine compaiono brani della sua corrispondenza segreta con l’amica M.me de Revelin, animatrice di uno dei salotti progressisti della Parigi anni ’30. Mettere in mostra questi brani privati di Valéry è una scelta precisa degli organizzatori per “ridare carne” a un’opera troppo spesso tacciata di astrazione. La figlia Agata, di quasi novant’anni, nota infatti che il padre “scriveva con tutto il suo corpo”. Chiude la mostra una serie di cinque piccoli gabinetti di lettura, dipinti con i colori delle barche del paese, in cui si possono sfogliare le pagine dei cahiers, ingrandite e plastificate, creati per permettere un’adesione intima e solitaria al «lavoro di questa mano e di questo corpo che scrive», al «desiderio del soggetto per il linguaggio». G.Di L. CONVEGNI E SEMINARI Quaderno del manoscritto di Sodoma e Gomorra I. Risposte al questionario dell’album di Antoinette Fauré (1885 circa). Marcel Proust (al centro). Risposte al questionario di un album (1890). I carnets. 52 CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Proust e i filosofi Organizzato dalla Marcel Proust Gesellschaft, presieduta da Reiner Speck, dal 3 al 6 novembre 1994 si è svolto a Bonn un simposio di studi proustiani dedicato al rapporto tra Proust e i filosofi. Se è vero che nella ‘Recherche’ nessun personaggio si può dire impersoni in modo positivo la filosofia, è altresì vero che il costante confronto con la produttività del pensiero filosofico va annoverato tra i presupposti che hanno reso possibile la nascita di quest’opera, punto di riferimento obbligato per la letteratura del Novecento. Il tema del simposio è stato introdotto da Ursula Link-Heer (“Proust und die Philosophen des 19. Jahrhunderts”) e da Völker Roloff (“Die Philosophen des 20. Jahrhunderts und Proust”). Julia Kristeva (“Proust et Heidegger”), che recentemente ha pubblicato un’importante ricerca su Le temps sensible (Il tempo sensibile, Parigi 1994), ha preso le mosse dalla concezione heideggeriana del tempo per leggere la Recherche anche dal punto di vista ontologico. È noto, infatti, che per Heidegger la temporalità dell’esistenza umana è caratterizzata da un “essere prima di sé” (Sich-vorweg-Sein) e dunque che il presente si determina attraverso il progetto di future possibilità. L’ “impazienza” che ne consegue, ha rilevato Kristeva, risulta del tutto consona allo spirito della Recherche: non nella “preoccupazione”, ma nella “gioia” è da vedere il fondamento esistenziale della temporalità proustiana. Ciò che permette all’io di cogliere una temporalità percepibile sensibilmente non è il raccoglimento interiore, ma la dispersione. Proprio grazie a questa messa in valore della dispersione è plausibile, secondo Kristeva, vedere in Proust un pensatore ancora più moderno di Heidegger. Alla Recherche si è avvicinato invece da un punto di vista fenomenologico Bernhard Waldenfels (“Eigenmaß und Übermaß des Sinnlichen. Überlegungen zur Proustschen Ästhesiologie”), che riferendosi a Husserl e a Merleau-Ponty ha messo in evidenza i piú fondamentali aspetti dell’estetica proustiana della corporeità. Jacques Rancière (“Proust et la vérité”) ha ripreso il tema, già affrontato da Deleuze, del rapporto tra segno e realtà in Proust, per tracciare le coordinate di una distinzione, poetologicamente proficua, tra l’ambito della verità e quello dell’apparenza, falsità e menzogna. Vincent Descombes (“Proust: l’écrivain traducteur”) ha invece prospettato un Proust impegnato nell’attività del tutto filosofica di dar traduzione letteraria al reale. Il rapporto che lega Proust alla tradizione della moralistica è stato ripercorso da Rainer Warning (“Proust und die Moralistik”). Agostino e i moralisti francesi del Seicento avevano distinto tra la “memoria”, in quanto via verso un’interiorità salvifica, e la curiositas, in quanto impulsivo abbandono alla fenomelogicità del mondo esterno. Muovendo dalla relazione tra il narratore e Albertine in La prisonnière, Warning ha mostrato come in Proust la memoria sia già contaminata dalla curiositas. In questo modo Proust mette capo all’antipodo di una poetica sostanzialistica, imperniata su ricordi arbitrari, mentre la curiositas diviene per lui «esteticamente positiva». Della storia delle fonti dell’estetica proustiana si è occupato anche Ulrich Schulz-Buschhaus (“Proust und die philosophische Ästhetik des Nominalismus”), che ha messo in evidenza le numerose coincidenze tra Proust e le teorie estetiche di Benedetto Croce, benché i due non abbiano mai influito l’uno sull’altro. Ma Proust ha anche saputo attribuire un valore estetico alla storicità del bello, così come l’aveva concepita Hyppolite Taine. Un’interpretazione dei rapporti tra Proust e i filosofi del suo tempo, fondata su materiali finora inosservati dalla critica, è stata proposta da Stefano Poggi (“Proust, Bergson und der aphasische Symptomenkomplex”), che ha preso le mosse dall’afasia che colpisce il narratore nell’ultima scena della Recherche. Il contesto ricostruito da Poggi è inizialmente storico-medico: giunta l’afasia, la memoria inizia a sfaldarsi, ma il cervello vive ancora e dunque anche la coscienza. Qui è da vedere la chiave per comprendere il concetto di individualità nella Recherche, che in nessun caso può esser visto alla stregua di una “unità sostanziale”. Di fronte al fenomeno dell’afasia, Proust, che si documentava seguendo suo padre, il dottor Adrien Proust, anch’egli autore di una memoria scientifica sull’afasia, era incline all’ipotesi riduzioni53 stica, che riduceva l’eziologia dell’afasia, appunto, alla semplice constatazione di una lesione cerebrale. È certo però, ha fatto notare Poggi, che il romanziere Proust era in grado di disporre delle cognizioni mediche necessarie alla costituzione di una propria interpretazione dell’afasia, che pur finalizzata ad un obiettivo letterario era indubbiamente originale e autonoma. Sul dissidio tra Proust in quanto filosofo e in quanto letterato è intervenuta anche Anne Henry (“Proust et la crise du sujet: la fonction du modèle philosophique dans A la recherche du temps perdu”). Secondo Henry, Proust ha sí fornito una philosophia prima, ma rendendola nel linguaggio di uno scrittore: il letterato si è riappropriato del filosofo e gli ha restituito la sua ambiguità, la sua aria di mistero. Un’analisi molto fine di quella che può ben essere definita la «filosofia dei sentimenti» della Recherche è stata offerta invece da Inge Crosman Wimmers (“Die Rolle der Gefühle in A la recherche du temps perdu”), che sollevato gli esempi dell’angoscia da separazione e della gelosia. Raffronti molto diretti tra Proust e le più importanti correnti filosofiche del tardo Novecento sono stati proposti da Peter. V. Zima (“Proust, Nietzsche und die Dekonstruktion”), che si è fermato sul rapporto antitetico tra Proust e Jacques Derrida, da Alois Hahn (“Proust und die konstruktivistische Erkenntnistheorie”), che invece ha rilevato affinità tra la Recherche e le posizioni costruttivistiche di Humberto Majorana, e da Manfred Schneider (“Proust und die Theorie des Erhabenen”), che muovendo dalla comprensione da parte di Proust della teoria kantiana del sublime e passando attraverso diversi esempi cinematografici ha proposto una collocazione della Recherche a pieno titolo nell’età del “post-moderno”. Ha chiuso il simposio una tavola rotonda (“Das multiple Ich und die gegenwärtige Philosophie”), sulle implicazioni filosofiche del concetto proustiano di individualità, alla quale hanno partecipato tutti i relatori con l’aggiunta di Karl Hölz e Riccardo Pozzo, durante la quale sono state riassunte e contrapposte le interpretazioni proposte dai critici sul cruciale concetto proustiano di un “io multiplo” (un concetto sul quale si è fermato di recente Umberto Eco), ed è stata sollevata la necessità di estendere il discorso anche CONVEGNI E SEMINARI alla dimensione della filosofia del linguaggio, includendo nella discussione le tesi avanzate di recente da Andrea Bonomi in Lo spirito della narrazione (Milano 1994) sugli universi di significato della Recherche. R.P. Marx: interpretare e mutare il mondo All’Università di Berlino si è svolto nel secondo semestre del 1994 un ciclo di lezioni dedicate a “LA XI TESI SU FEUERBACH” di Marx alla luce del suo significato storico ed attuale. Agli incontri hanno partecipato i principali rappresentanti del mondo universitario e politico tedesco, spinti soprattutto dal desiderio di interpretare la filosofia marxiana in un contesto finalmente depoliticizzato. La XI Tesi su Feuerbach di Marx - «I filosofi hanno solo interpretato in modi diversi il mondo; ma si tratta di mutarlo» - possiede una pregnanza storico-filosofica particolarmente accentuata per il mondo accademico berlinese, tanto che la si può trovare impressa a lettere dorate nella parete di marmo dell’Università. Gli interventi al ciclo di lezioni si sono tutti mossi attorno alla questione centrale di una revisione storica, finalmente critica, di tale affermazione, che nel recente passato è stata decontestualizzata e piegata a fini ideologici. L’intervento di apertura del ciclo, tenuto da Volker Gerhardt, ha posto l’accento sulla presenza di un’innegabile verità nelle parole di Marx, «perché chi vuole agire politicamente non può ponderare ogni cosa in modo pedante; deve innanzitutto sapere che alla fine tutto dipende dall’azione. La politica esige fatti». Tuttavia Gerhardt ha classificato la tesi marxiana come premoderna, riconoscendo in essa la riproposizione dell’identità platonica di teoria e prassi politica e individuando la pericolosa conseguenza di tale postulato nella negazione dell’autonomia nomologica di azione politica e filosofia. Gerhardt ha anche preso posizione in relazione al fatto che la formulazione comunemente conosciuta della tesi non corrisponde all’originale marxiano, ma è frutto di una rielaborazione compiuta da Engels, che pubblicò le tesi di Marx su Feuerbach solo nel 1888 (ossia ben 23 anni dopo la loro elaborazione), in appendice alla sua opera Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, modificando la tesi originale di Marx («I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi, si tratta ora di cambiarlo») con la sostituzione di un punto e virgola alla virgola e con l’aggiunta di un avversativo. Secondo Gerhardt, tali scelte formali non incidono tuttavia sull’aderenza contenutistica all’originale, perché se è vero che l’inserimento dell’avversativo evidenzia ulteriormente l’alternativa tra la coscienza meramente interpretante e la tra- sformazione rivoluzionaria, è altrettanto vero che nell’Ideologia tedesca, concepita nello stesso periodo, Marx dimostra di voler insistere proprio su tale alternativa. Non sono dello stesso avviso Gerd Irrlitz e Hans Christoph Rauh, che considerano le modifiche operate da Engels come determinanti nella prassi politica per la connotazione dogmatica che attribuirebbero alle parole di Marx, da cui la predilezione del regime comunista per la versione engelsiana. Sulle implicazioni ideologiche dell’asserto insiste anche Oswald Schwemmer, che nel suo intervento accosta la prospettiva monistica e totalizzante del sapere rivoluzionario alle pretese teocratiche della società odierna; mentre Christian Möckel prende spunto dalla tesi di Marx per sviluppare considerazioni sul valore filosofico dell’utopia della società ideale nel mondo contemporaneo. Il teologo Richard Schröder definisce invece come assolutamente triviale il contenuto speculativo delle parole di Marx, confrontandosi piuttosto con la sua critica alla religione. In occasione della tavola rotonda conclusiva è stato posto in evidenza l’intervento di Herbert Schnädelbach, che ha rimesso in gioco una domanda centrale del ciclo, fondamentale per la maturazione di un’autocoscienza filosofica della modernità: che significato ha la frase di Marx nel contesto attuale della speculazione filosofica, in un mondo ormai lontano dalla contingenza storico-sociale con cui Marx si è confrontato? La risposta di Schnädelbach non concede alle parole di Marx possibilità alcuna di significazione all’interno della società contemporanea, nella quale la relazione tra “interpretare” e “modificare” il mondo si sarebbe addirittura ribaltata nel suo contrario: «Oggi cambiamo troppo spesso, tanto che siamo in arretrato con l’interpretazione». L.R. Sul simbolo Il convegno dal titolo: “IL SIMBOLO OGGI. TEORIE E PRATICHE”, tenutosi all’Università di Siena da 24 al 26 novembre 1994, ha fornito l’occasione per un confronto intorno ad un tema tra i più attuali nella cultura contemporanea. La novità dell’iniziativa sta soprattutto nel suo approccio integralmente interdisciplinare, a conferma di un percorso metodologico, imposto dalla natura stessa dell’oggetto d’analisi. Sostenere l’attualità della problematica simbolica non significa negarne una emergenza teorica storicamente assai radicata, costante e ricostruibile, come ha dimostrato R. Luperini (“Da Goethe a Lukács, da Marx a Benjamin”), testimoniando della vitalità della discussione sul simbolo dal Settecento ad oggi. Tuttavia la natura ambigua e liminare del termine simbolo, e dell’oggetto che esso 54 designa, ha spesso disorientato gli studiosi, mettendo in crisi più d’un “sistema”. L’area metodologica che più ha risentito di questo disagio è senz’altro quella semiologica, come ha ricordato G. Manetti (“La semiotica e il simbolo”) mostrando come da de Saussurre alla scuola greimasiana sia stato tutto un sollecitare, più o meno esplicito, l’espulsione del termine “simbolo” dal nuovo orizzonte disciplinare. La nozione di “modo simbolico” (in Eco e, in parte in Quéré) e quella di “semi-simbolico” (in Greimas, Floch, Thurlemann ed altri greimasiani) sembrano infatti un escamotage per confinare un concetto decisamente scomodo ed imgombrante. Del resto, lo stesso intervento di Eco (“Sul simbolo”), ha richiamato la necessità di porre limiti ben precisi (e peirceani) ad una interpretazione simbolica ormai debordante e delirante, complice, da un lato, la prassi decostruttiva e, dall’altro, la pervicacia massmediologica - con la conseguente formazione di forme di simbolismo degradato, sollevate da G. Dorfles (“Simbolo mito e feticcio nella società contemporanea”). Eco ha fatto notare l’inefficacia teorica del concetto di “modo simbolico”, che ponendo l’accento sul versante pragmatico e interpretativo assume già in sé il rischio di una deriva illimitata del senso. S’impone allora la questione, a cui ha cercato di dare una risposta G. P. Caprettini (“Il realismo dei simboli”), se al simbolo corrispondano proprietà che ne garantiscano una riconoscibilità al di fuori del contesto. M. Grande (“Simbolo e mito nel cinema”), riferendosi ad autori come Goodmann e Metz, ha dimostrato come la problematica simbolica concerna necessariamente anche il versante iconico del linguaggio, che del resto non comprende solo il mondo delle immagini cinematografiche, ma può ben riferirsi alla pratica figurativa dei pittori del Trecento senese, come ha fatto notare O. Calabrese (“L’efficacia simbolica”). Nella sua critica ai semiotici ortodossi Franco Brioschi (“Continuo, discreto, denso, articolato: il simbolo come unità sintattica”), ha mostrato come i semiologi di stretta osservanza, con la loro “ontologizzazione del linguaggio” non siano poi così lontani dalle posizioni degli “eretici poststrutturalisti” di stampo heideggeriano. All’opposizione continuo-discreto, Brioschi ha contrapposto quella di denso-articolato, che presenta il vantaggio di evitare il ricorso ad enti tipologici universali, dal più che vago sapore metafisico, sostituendovi, nella ricostruzione del processo che fa dell’individuale un elemento simbolico, «una nozione “giuridica” di codice, costituito esclusivamente da regole». Se la nozione di simbolo scatena aspre battaglie dottrinali tra i semiologi, in ambito antropologico essa sembra godere invece di uno statuto più saldo, come ha mostrato C.T. Altan (“Simbolo e mito”), che ponendosi esplicitamente nell’ottica propria di posizioni filosofiche quali il pragmatismo e lo strumentalismo - forte anche delle acquisizioni teoriche di E. De Martino, da cui egli trae CONVEGNI E SEMINARI soprattutto il concetto di “destorificazione” , si è mosso alla ricerca di quella “terza via”, nella comprensione del simbolico, in grado di escludere tanto il “rifiuto intellettualistico” nei confronti del simbolo, quanto l’“adesione acritica” ad esso. Nella strettoia segnata da intelletto e irrazionalità, il concetto di “esperienza” simbolica, secondo Altan, si pone innanzitutto come “conoscenza” opposta a quella concettuale, razionale, come “credenza” in grado di trascendere dalla “ineliminabile dimensione soggettiva” alla più generale, e altrettanto necessaria, valenza collettiva. M. Squillacciotti (“L’interpretazione antropologica dei ‘simboli’ altrui”) ha utilizzato l’osservazione diretta della tradizione sciamanica dei Cuna del Panamà per contestare l’efficacia di analisi del simbolico «svolte solo in termini di “testo” e avulse dal “contesto” storico culturale della comunicazione». L’interpretazione di simboli “altrui”, non solo inerisce all’essenza stessa del fenomeno simbolico, ma risulta accentuato nella prospettiva antropologica, come ha mostrato D. A. Conci (“Segno e realismo segnico”) che, attraverso una pratica fenomenologica dell’antropologia, ha affrontato il problema del «disoccultamento dell’alterità e delle ragioni degli altri» chiamando in causa la dimensione vissuta. Muovendo dal concetto di “protosimbolo”, S. Briosi (“Protosimbolo infantile e simbolo poetico”) ha manifestato la convinzione che il linguaggio infantile sia qualcosa di molto simile a quello simbolico dei poeti. Secondo Briosi, che parte soprattutto da studi piagetiani sulla genesi del linguaggio simbolico, ma che si serve anche dei contributi della psicolinguistica (Werner e Kaplan), oltre che di categorie fenomenologiche (MerleauPonty, ma anche Sartre), lo spazio del protosimbolo infantile va separato nettamente (oltre che da quello del segno “trasparente, diretto”) da quello del simbolo poetico, propriamente detto, che si configura come esperienza eminentemente consapevole e “adulta”; nel “simbolismo” infantile, infatti, viene a mancare, rispetto al simbolo poetico, l’aspetto di “opacità” del significante, di consapevole presa di distanza dal contenuto esperienziale, propria, appunto, del simbolo poetico. Il simbolo poetico è stato oggetto anche dell’intervento di A. Prete (“Del sapere poetico: simbolo, analogia, apparenza”), tutto incentrato su una concezione sapienziale del simbolo poetico. “Allegoria”, “analogia”, “apparenza” costituiscono per Prete i “tre campi di rifrazione dell’immagine” nello specchio del linguaggio e, in definitiva, tre sfumature delle diverse valenze che il simbolo assume in poesia. Secondo C. A. Augieri poi, il senso simbolico, caratterizzandosi come “micronarrazione delle esperienze identificanti”, deve essere posto in relazione diretta con una vera e propria “filosofia del discorso narrativo”. E con il narrativo viene rapportato il simbolo anche da G. Bàrberi Squarotti (“Il romanzo come sim- bolo”), il quale giunge addirittura a prospettare un’opposizione strutturale, intrinseca alla tecnica e alla forma narrativa, tra “narrazioni di fatti” e narrazioni che procedono invece per nuclei simbolici; questo secondo genere di narrazione, ha osservato Bàrberi Squarotti, «possiede in sé l’ambizione [...] a conoscere i fini ultimi, i meccanismi interiori, il significato delle cose anche più semplici della natura, quell’oltre e altrove, insomma, che è al di là del fenomeno e delle apparenze». Ritornando in tema di analisi “letteraria”, G. Finocchiaro Chimirri ha esplorato il versante simbolico dei personaggi della Nedda verghiana servendosi della prossemica e in generale della comunicazione corporea. Tra gli altri interventi ricordiamo ancora soltanto l’analisi di M. Reda sull’importanza dei processi simbolici nella strutturazione dell’Identità Personale e l’intervento di G. Corlito, che ha applicato il già ricordato approccio “simbolo vs. allegoria” alla lettura della freudiana Interpretazione dei sogni; S. Nannini e D. Parisi hanno invece tentato di identificare eventuali meccanismi simbolici nel comportamento delle reti neurali o nel funzionamento della cosiddetta intelligenza artificiale. C.G./M.G./F.S. Storia della logica e storia della filosofia Nei giorni 9-10-11 novembre 1994 si è tenuto presso la “Terza Università” di Roma il convegno: “MOMENTI DI STORIA DELLA LOGICA E STORIA DELLA FILOSOFIA”, organizzato dalla Società Filosofica Italiana e dalla Società Italiana di Logica e Filosofia della Scienza, che ha avuto un carattere propedeutico, introduttivo alle problematiche tradizionali della storia del pensiero. Giovanni Casertano (“La causa della conoscenza: discorso logico ed esigenza etica nel Fedone platonico”) ha compiuto nel suo intervento alcune riflessioni sulla nozione di causa nel Fedone, la cui corretta individuazione risulta fondamentale in Platone, mostrando come il discorso platonico sulla causa leghi esigenza gnoseologica ed esigenza etica. Infatti, se al discorso vanno annesse le caratteristiche di probatorietà nell’individuazione ed esposizione della verità, è pure vero che non lo si potrà “comprendere” se non si assumerà un atteggiamento in generale “etico”, che rimanda alla scelta dell’anima piuttosto che del corpo. Mario Mignucci ha invece offerto un’interpretazione del sillogismo aristotelico alternativa all’approccio tradizionale, analizzando le diverse definizioni che Aristotele propone negli Analitici, nei Topici, negli Elenchi Sofistici e nella Retorica. Mignucci ha poi mostrato l’implausibilità dell’interpretazione tradizionale della definizione aristotelica legata alla nozione 55 moderna di validità logica (Tarski), secondo cui il sillogismo aristotelico coinciderebbe con la deduzione valida. Aristotele, ha osservato Mignucci, non associa mai il sillogismo alla nozione di verità e il seguire di una conclusione dalle premesse è indipendente dalla verità o falsità delle premesse. Secondo Mignucci, sono le nozioni di causa o di condizione sufficiente che danno corpo all’idea che in un sillogismo le premesse causano o condizionano la conclusione. Enrico Berti (“La logica dell’argomentazione tra Aristotele e Ryle”) ha preso in considerazione i Philosophical Arguments (1945) di Gilbert Ryle, in cui il tipo di argomento che attiene alla filosofia viene caratterizzato come “reductio ad absurdum”, cioè come deduzione di contraddizioni e paradossi logici, che si differenzia dall’induzione come pure dalla deduzione di teoremi da assiomi o da postulati. Analizzando la distinzione che Ryle opera tra la reductio ad absurdum forte e la redutio ab absurdum debole, Berti ha mostrato che la teoria della reductio di Ryle, come anche la sua teoria degli errori categoriali, derivano dalla teoria delle categorie di Aristotele. Riferendosi agli Elenchi Sofistici, dove Aristotele pone il compito del dialettico nello smascherare le ambiguità del linguaggio, Ryle, ha osservato Berti, connota la reductio forte come processo “dialettico”, che smaschera le ambiguità del linguaggio, deducendo da esse delle contraddizioni. Eugenio Lecaldano (“L’influenza della logica sulla ricerca storiografica di Hume”) ha richiamato in particolare l’attenzione sulla possibilità di un superamento dello “scetticismo radicale” di Hume. Riferendosi ai risultati della logica formale e simbolica contemporanea, Lecaldano ha enucleato in Hume l’idea di causalità, che si connette con la natura dell’induzione e la natura dello scetticismo scozzese; la questione dei criteri adeguati per una valutazione, in termini più o meno probabilistici, dell’affidabilità di una testimonianza su di un evento naturale o storico; la questione, nel terzo libro del Trattato, della possibilità o meno di derivare conclusioni con il “deve” da premesse con l’ “è”. Carlo Sini (“La semiotica come fondazione della logica in Charles Sanders Peirce”) ha considerato quelle opzioni essenziali che hanno determinato intorno alla metà degli anni Sessanta il percorso teoetico di Peirce e che ne costituiscono motivi di grande attualità. La prima opzione definisce l’autonomia della logica rispetto all’ontologia e alla psicologia; la seconda opzione riguarda il rapporto tra relazioni interne e relazioni esterne, per cui la riflessione sulle categorie e la conseguente riduzione dei fondamenti della logica alla semiotica rappresenterebbe per Sini una ripresa moderna della relazione medioevale tra intentio secunda e intentio prima. La terza opzione riguarda la critica dell’intui- CONVEGNI E SEMINARI zione e l’apertura della semiosi infinita. Con l’abbandono della metafisica classica e con la consapevolezza che la logica poggia sulla semiotica, Peirce introduce le sue riflessioni sull’etica, a cui, ha notato Sini, assegna un primato nell’ambito delle scienze normative, legittimando l’abduzione come procedimento che rimanda infinitamente ad un’unica esperienza di verità. Riferendosi al saggio di Blondel del 1903, Principio di una logica della vita morale, Armando Rigobello (“La logica della vita morale in Blondel”) ha individuato quei criteri immanenti all’azione, che la guidano verso il compimento delle sue interne finalità. Blondel, secondo Rigobello, sostituisce alla logica dell’enunciazione affermativa (catafasis) e a quella della contraddizione (antifasis) una logica il cui sviluppo dialettico inizi dalla privazione (steresis), una dialettica immanente alla dinamica dell’azione in quanto azione. Tra gli interventi conclusivi, Alfonso Maieru (“Il linguaggio mentale tra logica e grammatica nel medievo”) ha tratteggiato la questione del linguaggio mentale nel Medioevo sulla base dell’antica distinzione tra linguaggio interiore e linguaggio esteriore e della distinzione aristotelica tra “cose”, “posizioni dell’anima” e “linguaggio orale”. Rispetto alla questione se i modi di significare stiano nell’intelletto o nel linguaggio, Maieru ha tratteggiato alcune posizioni che svalutano la grammatica nella sua autonomia e scientificità; le parole significano qui le cose non i concetti; si danno proposizioni mentali vocali e scritte e la proposizione mentale funge da fondamento delle altre, e può venire analizzata nei suoi componenti. Nella prima parte del suo intervento, Franco Bianco (“Avalutatività della scienza come principio metodico nella logica delle scienze sociali”) ha affrontato la questione della definizione del concetto di “avalutatività”, optando per una lettura weberiana, legata per essenza alla logica delle scienze sociali, che si fonda su condizioni idealtipiche. Nella seconda parte, Bianco ha chiarito che il presupposto sul quale si basa il principio della avalutatività è la distinzione tra giudizi di fatto e giudizi di valore. Nella terza parte, Bianco ha sottolineato l’attualità delle riflessioni weberiane e l’importanza del principio dell’avalutatività come «principio metodico irrinunciabile nella logica delle scienze sociali». Infine Vito M. Abrusci (“Il concetto di dimostrazione nel ‘900”) ha chiarito che cosa si deve intendere per dimostrazione logica, tratteggiandone due aspetti, “formale” (dimostrazione come oggetto sintattico) e “contenutistico” (dimostrazione come costruzione), e integrandoli con quello relativo alla “semantica delle dimostrazioni” come modello di correlazione dell’aspetto formale e contenutistico. A margine dei lavori è stata organizzata una tavola rotonda sull’insegnamento della logica nella scuola secondaria superiore, che ha visto pareri unanimamente concordi sul valore formativo di un tale insegnamento. R.G. La fondazione dell’estetica filosofica Pietro Kobau ha tenuto, dal 5 al 7 dicembre 1994, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, un seminario dal titolo: “LA FONDAZIONE DELL’ESTETICA FILOSOFICA: WOLFF, BAUMGARTEN, MEIER”, che aveva come scopo una ricostruzione della genesi del concetto di estetica filosofica attraverso l’analisi delle concezioni di vari pensatori. La prima definizione storica di estetica risale al 1735 e compare, riferita alla conoscenza sensibile, nella dissertazione di laurea di Alexander Gottlieb Baumgarten, che ne approfondirà poi i caratteri nel trattato Aesthetica seu scientia cognitionis sensitivae, del 1750. Tuttavia, ha osservato Pietro Kobau, l’estetica intesa come dottrina dell’arte non nasce direttamente né in Baumgarten, né nel suo allievo principale, Georg Friedrich Meier; sarà Kant che impiegherà il termine come aggettivo per indicare un particolare tipo di giudizio, preannunciando la crisi della definizione baumgarteniana. Kant, infatti, diffidando per motivi gnoseologici e metodologici dell’estetica così come era stata concepita da Baumgarten, fonderà un’estetica completamente nuova, mettendo definitivamente in ombra l’estetica illuministica settecentesca. Christian Wolff, maestro di Baumgarten, affermava, nella teoria dei concetti chiari e distinti, che un concetto (o una identità mentale) risulta chiaro, se è potenzialmente analizzabile, e risulta distinto, se è tanto analizzabile da poter essere comunicabile. In una identica direzione razionalizzante, ha osservato Kobau, muove i primi passi anche Baumgarten, il cui grande merito è aver posto le basi filosofiche dell’estetica. Baumgarten riteneva che l’estetica non potesse ridursi alle regole per la produzione d’arte o all’analisi dei suoi difetti psicologici, ma andava considerata come “scienza della conoscenza sensibile” e quindi come “gnoseologia inferiore”, rispetto alla logica, occupandosi di una “facoltà conoscitiva inferiore”. Il parallelismo così istituito tra estetica e logica e il conseguente interesse teorico-sistematico per l’estetica, ha fatto notare Kobau, segnano un importante progresso di Baumgarten nei confronti di Wolff: l’uomo non si riduce a conoscenza scientifica ma, al contrario, è fatto di conoscenza razionale e conoscenza sensibile. Già Cassirer notava come, rispetto a Wolff e allo stesso Leibniz, Baumgarten opponesse alla teoria delle idee “chiare” e “distinte” la conoscenza “chiara” e “confusa” dell’estetica. La sensibilità, fino ad allora considerata “conoscenza inferiore” rispetto alla razionalità, viene da Baumgarten intesa come momento autonomo dello spirito umano, capace di darci una visione globale, unitaria degli oggetti, una visione armonica e complessiva delle parti che li costituiscono. L’estetica, pertanto, coglie la bellezza degli oggetti e si basa su un pathos innato, su una tensione 56 istintiva, che l’educazione può disciplinare. Nella complessità degli stimoli e dei risultati conseguiti da Baumgarten, Kobau ha poi inquadrato l’opera di Georg Friedrich Meier. La prima edizione dei suoi Principi di tutte le arti e scienze belle, apparsi nel 1748 (due anni prima dell’Aesthetica baumgarteniana), non va letta come un semplice plagio del pensiero del maestro. Meier infatti accentua ancora di più gli elementi apologetici della conoscenza sensibile, sottolineando il valore delle arti e delle scienze belle, fino a raccogliere tutta la letteratura coeva all’interno di un impianto identico a quello baumgarteniano. Inoltre, ha rilevato Kobau, il concetto di giudizio di gusto, totalmente assente nelle due parti dell’Aesthetica baumgarteniana e solamente accennato della Dissertatio del 1735, viene esteso da Meier, grazie ad un’argomentazione filologica discutibile, a tutto l’ambito della conoscenza sensitiva. Nella Critica del giudizio, ha infine osservato Kobau, Kant, definendo il bello come «ciò che piace senza concetto, senza interesse, come oggetto di un piacere universale», ribalta il concetto baumgarteniano secondo il quale sentire e fantasia sono indipendenti dall’intelletto, facendo dell’arte un opera del genio, alla quale concorrono sia l’intelletto, sia l’immaginazione; alla facoltà del genio di produrre il bello fa riscontro il gusto, come capacità di apprezzare il bello. R.S. Neoplatonismo di Vico In occasione del 250° anniversario della morte di Vico e della pubblicazione della SCIENZA NUOVA del 1744, Mario Agrimi, studioso di Vico, ha tenuto a Napoli, dal 7 all’11 novembre 1994, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, un seminario dal titolo: “UNITÀ NEL PENSIERO DI GIOVAMBATTISTA VICO”, mostrando come la concezione vichiana trovi il suo fondamento unitario nella tradizione “platonico-neoplatonica”. La prospettiva storiografica di stampo idealistico individua nello sviluppo del pensiero di Giambattista Vico una doppia gnoseologia, che si traduce in un “rovesciamento” della visione che vede all’origine dell’umanità la bestialità, lo stato ferino. Non trascurando questa contrapposizione, Mario Agrimi ha tuttavia individuato il fondamento dell’impianto teorico vichiano nella tradizione “platonico-neoplatonica”. Di fronte all’avanzante cultura europea e all’aristotelismo scolastico, la cultura meridionale trova di fatto una forte identità e continuità culturale in un “platonismo moderno”, riformatore, le cui significative espressioni sono appunto Doria, Vico, ma anche, più tardi, F. A. Grimaldi, Pagano, Filangieri, Cuoco. D’altro canto lo stesso Meinecke, ha ricordato Agrimi, in forza del neoplatonismo ha individuato in Vico, oltre che in Leibniz, CONVEGNI E SEMINARI Arnold e Shaftesbury, un “precursore” dello storicismo. Così, secondo Agrimi, la Prima Orazione Inaugurale (1699), il De Antiquissima Italorum Sapientia (1710), la Sinopsi del Diritto Universale (1720-22) e le diverse edizioni della Scienza Nuova (1725, 1730, 1744) sono tutte diversamente contraddistinte da una metafisica neoplatonica del conatus, del facere, articolata in due livelli: ideale e reale, filosofico e filologico. In queste opere compare costante, se non esplicito, l’invito per l’uomo di scavare nel proprio animo per attingervi il divino, e di conseguenza individuarvi le categorie attraverso cui comprendere il mondo. Alla natura umana lapsa resta, della natura divina, una vis veri, una forza, un’energia di verità che dalla vita primitiva del senso giunge al livello emozionale-fantastico, esplicandosi nella mente pura, in un continuum cha va dal corpo all’anima, e viceversa, senza distinzione tra res extensa e res cogitans. Con Badaloni, Giarrizzo e De Giovanni, Agrimi ha riconosciuto il valore politico del De nostri temporis studiorum ratione (1708) in quanto manifesto del riformismo austriaco per le implicazioni che ha nella vita civile e politica napoletana, per l’affermazione che i cartesiani sono “docti imprudentes”, cioè incapaci di formare i giovani alle responsabilità pubbliche e civili, escludendo tutto quel vasto campo di conoscenze verosimili e probabili e condannando l’eloquenza necessaria al sapiente per affrontare le irregolari e multiformi espressioni della vita. Uno dei motivi del grande successo di Vico in questi ultimi anni, soprattutto in America, ha osservato Agrimi, è la sua attenzione esplicita o implicita alla tradizione retorica, vista anche in relazione al suo ruolo istituzionale; Vico guardava, infatti, agli usi civili e professionali dell’eloquenza. L’eloquenza era per Vico una sorta di sapienza pratica; l’adesione al discorso oratorio implicava un atto di volontà: “flectere animos dictione”, flettere l’animo con la parola. I sapienti eloquenti che possono governare sono depositari di una sapienza civile, di una prudenza civile; il loro iter pedagogico è legato alla fantasia, alla memoria, alla poesia, alla storia, ecc., ma soprattutto essi devono possedere una mente “eroica” caratterizzata dall’ingegno. Già negli anni successivi al rientro di Vico dall’ “esilio di Vatolla”, ha sottolineato Agrimi, un’attenzione politico-sociale caratterizza le lezioni tenute all’Accademia di Medinaceli, della quale Vico fu membro. Nell’Accademia vigeva un uso della storia per la politica e della politica per la storia: la storia era considerata uno strumento di cui si deve avvalere il politico. Con il passaggio dagli spagnoli agli austriaci, ha fatto notare Agrimi, Vico si fa consapevole della necessità di compiere scelte più esplicite; ormai non si possono più fare solo orazioni erudite ed eleganti. Così la precettistica retorica di Vico segue ora un proprio percorso scolastico istituzionale, mentre l’istanza umanistica anticartesiana si configura nelle tematiche del- la topica, della memoria, dell’ingegno, del probabile, del verosimile, integrandosi in un più vasto percorso filosofico. Agrimi non ha messo in dubbio che il ruolo istituzionale di Vico professore di eloquenza abbia inciso sulla sua riflessione filosofica, pur escludendo che nei compiti istituzionali di professore di retorica all’Università Vico abbia illustrato la sua filosofia. Probabilmente, Vico comunicò il suo pensiero filosofico nelle accademie, luogo di diversa libertà intellettuale, e nelle sue lezioni private. Dalla retorica istituzionalmente professata Vico poteva attingere elementi essenziali per la riforma del sapere, che egli vedeva minato da un duplice e contrapposto pericolo: l’insicurezza del dubbio degli scettici e l’astratta rigidità dei dogmatici; il pericolo maggiore, in tal senso, poteva venire non tanto sul piano teorico, quanto sul piano pratico e più immediatamente politico. L’impegno riformatore vichiano ricompare nella Scienza Nuova del 1725, considerata da Agrimi un testo in sé compiuto e non, come spesso si suole dire, una prima redazione delle successive edizioni. Nella Scienza Nuova del 1725, ha sottolinenato Agrimi, manca la dottrina dei ricorsi, in quanto Vico affronta qui in modo diverso il problema della continuità storica: la dottrina dei ricorsi, della ciclicità del tempo pagano, parallelamente a un’adesione alla dottrina del “circolo platonico”, risponde a una curvatura pessimistica del suo pensiero e ad una polemica sempre più accesa con la cultura del proprio tempo. Nell’edizione del 1725 la storia segue un andamento ondulatorio, nel senso che la dottrina del corso storico-politico è quello dell’acmé, del punto di perfezione, che possono raggiungere le nazioni; l’opera, ha osservato Agrimi, avrebbe potuto essere una sorta di manuale per aiutare i governanti a capire quando una nazione ha raggiunto uno stato di perfezione morale, intellettuale, politica, religiosa, e quando da questo stato comincia ad allontanarsi. C.N./G.V. Memoria, abitudine, esperienza Dal 2 al 4 novembre 1994 Roberto Bordoli ha tenuto presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli un ciclo di tre seminari su “LA MEMORIA E L’ABITUDINE NEL SEICENTO”, con l’intento di ricostruire le origini e le trasformazioni delle concezioni della memoria e dell’abitudine nei due principali autori filosofici del XVII secolo, Descartes e Spinoza, alla luce del pensiero e dell’opera di Louis de La Forge. Riflessioni sulla memoria e l’abitudine, ha rilevato Roberto Bordoli, sono sparse in tutta l’opera di Descartes, il che dimostra la centralità del tema nella filosofia cartesiana. La memoria è in prima istanza una facoltà legata all’immaginazione e quindi al corpo; 57 in quanto tale essa ha ben poco in comune con la spiritualità pura della res cogitans, in quanto immateriale-intellettuale. Tuttavia Descartes teorizza, oltre alla memoria “immaginativa”, anche una memoria “intellettuale” che è distinta dalla prima ed è implicata nella costituzione metafisica del tempo e della sua percezione da parte della res cogitans; da questo punto di vista, Bordoli ha messo in evidenza l’importanza delle Regulae ad directionem ingenii, come presupposto del “cartesianesimo” spinoziano. L’abitudine in Descartes, ha proseguito Bordoli, si configura parallelamente alla memoria immaginativa, dato che sia i ricordi che le abitudini vengono a configurarsi come il risultato di automatismi che presiedono rispettivamente al rinnovamento di un’ideaimmagine e alla ripetizione di un movimento corporeo. Memoria e abitudine sono perciò il lato mentale e quello corporeo di un processo che affonda le sue radici nel terreno dove si effettua il collegamento dell’anima col corpo. Anche La Forge, tra i primissimi seguaci del cartesianesimo, imposta la questione della memoria cercando di trovare momenti di congiunzione tra il piano fisico della necessità meccanico-filologica e il piano intellettuale. Adottando la dottrina di S. Agostino sulla natura dell’anima, ha osservato Bordoli, La Forge intende perfezionare o rafforzare la dottrina di Descartes per ciò che riguarda in particolare l’unione dell’anima col corpo. Nella prefazione al suo Traitè, La Forge evidenzia la conformità del pensiero di S. Agostino con quello di Descartes sul problema dell’anima, dimostrando come per S. Agostino la memoria sia una delle proprietà dell’anima. In realtà La Forge vuole dimostrare che fondamentalmente Descartes e S. Agostino hanno avuto una identica concezione sostanziale, immortale e immateriale del pensiero-mente. In La Forge comincia a farsi problema filosofico quello che per Descartes non era tale, ossia la comunicazione tra res extensa e res cogitans, che Descartes riteneva possibile oggetto di pura analisi fisiologica. La Forge invece si distaccherà proprio su questo piano da Descartes, invocando il ricorso all’esperienza non solo per quanto concerne il livello fisiologico della memoria immaginativa, ma anche per ciò che riguarda il livello della memoria logicointellettuale. In Spinoza, ha infine rilevato Bordoli, il concetto di “esperienza” è maggiormente articolato, e non si identifica esclusivamente con la sfera della sensibilità corporea; da questo punto di vista sia La Forge, sia Spinoza si presentano come esiti possibili della critica alla concezione dualistica cartesiana, approdando il primo a concezioni che possono essere ricondotte alla corrente di pensiero dell’occasionalismo, il secondo ad una nozione complessa, fisiologica e intellettiva allo stesso tempo, di esperienza, che mostra una notevole prossimità con la concezione che la scienza moderna avrà dell’esperienza. G.C. CONVEGNI E SEMINARI La ‘Dottrina della scienza’ compie 200 anni Il 22 novembre 1994 si è svolta presso l’Università di Genova una giornata di studi sul tema: “LA ‘DOTTRINA DELLA SCIENZA’ DI FICHTE DUECENTO ANNI DOPO ”, per celebrare il secondo centenario della pubblicazione della prima stesura dell’opera fondamentale di Johann Gottlieb Fichte. All’incontro, organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova, in collaborazione con il locale Goethe-Institut e con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, hanno partecipato alcuni tra i maggiori esperti del pensiero di Fichte: Reinhard F. M. Lauth, Claudio Cesa, Marco Ivaldo, dei quali Giovanni Moretto, che ha presieduto la giornata, ha ricordato il fondamentale contributo all’approfondimento della filosofia di Fichte in generale, e di quest’opera in particolare. Johann Gottlieb Fichte. L’antica Università di Jena (incisione di C. Junghans) 58 Nel suo intervento su “Il progresso conoscitivo nella prima Dottrina della Scienza di Fichte”, Reinhard Lauth ha messo in evidenza come l’elemento di novità della filosofia di Fichte nella sua prima fase (ovvero dalle Eigne Meditationen fino alle tre introduzioni alla Dottrina della scienza del 1796-97) non vada cercato né nella decapitazione della “cosa in sé” kantiana, né nella concezione dell’io, bensì nel tentativo di pensare l’unità della ragione al di là della scissione tra essere e dover-essere, ovvero al di là del principio di relazione proprio delle filosofie di Reinhold, Schelling e Hegel. Fichte, infatti, pensa l’io come porre (Setzen), come attività (Tathandlung), come autocostituirsi e autocomprendersi intenzionale e libero, come unità analiticosintetica. Il porre se stesso dell’io può tuttavia avvenire soltanto in rapporto ad un essere che viene “rappresentato” ed “esibito”; niente infatti esiste se non un porre e un suo prodotto. In questo senso, ha osservato Lauth, Fichte supererebbe l’unilateralità sia di ogni realismo che non riconosca che il suo essere, apparentemente in sé sussistente, è reale soltanto nell’essere consaputo, sia di ogni idealismo che misconosca la indeducibilità di principio di questo essere dalla sola attività soggettiva. Questo porre, ha tuttavia osservato Lauth, non va pensato come immanente, bensì come sciolto tanto dall’essere quanto da se stesso, ovvero come libera spontaneità intenzionale, che pretende di superare la iniquitas della diseguaglianza tra l’io e il suo oggetto; l’io, anche nella conoscenza puramente teoretica, è un io pratico. Se però il porre è libero, può esserlo soltanto al cospetto di un’istanza suprema ed assoluta, che originariamente lo possibilizza e lo riguarda; un’istanza che Fichte pensa come “io assoluto”. Tuttavia l’io assoluto non si identifica, secondo Lauth, con Dio; in Fichte vi è piuttosto una difesa, contro l’im- CONVEGNI E SEMINARI manentismo dilagante, della santità e della trascendenza di Dio, in quanto tra Dio, nel suo essere assoluto, e la sua manifestazione permane sempre uno iato assoluto. Nella sua relazione su “Genesi e struttura generale della Dottrina della scienza”, Claudio Cesa ha posto l’accento sul carattere incompiuto, in fieri, di questa celeberrima opera di Fichte. La difficoltà di quest’opera va riportata, secondo Cesa, a due fattori che ne caratterizzano l’impianto generale: l’uso di una terminologia corrente, ma con significati non usuali; e la elaborazione di un forte contenuto speculativo in un linguaggio ancora prevalentemente kantiano. Cesa ha poi cercato di mostrare, ripercorrendo analiticamente alcuni concetti e problemi fondamentali della Dottrina della scienza - il rapporto tra io, non-io e io assoluto; la questione della deduzione delle categorie; l’idea di autofondazione, autopoiesis dell’io; la precedenza del momento pratico su quello teoretico; il concetto di streben, come ciò che spinge l’io a mantenersi identico con sé, e quello di limite, che ogni essere limitato, ovvero non identico a se stesso, non può non pensare come qualcosa da superare -, come quest’opera fichtiana sia un libro di critica e di metafisica, concetti che Fichte, a differenza di Kant, tende a riconciliare. Marco Ivaldo infine, nella sua relazione su “L’idea di filosofia trascendentale nella prima Dottrina della scienza fichtiana”, ha anzitutto cercato di fare i conti con le tre principali obiezioni che tradizionalmente sono state rivolte a Fichte: quella risalente a Jacobi, ma tipica delle correnti di pensiero esistenzialistiche, che rimprovera alla filosofia fichtiana di produrre un annichilimento della realtà del vivente e quindi di avere un carattere fondamentalmente nichilistico; quella risalente a Hegel, ma tipica di ogni ontologia razionalistica, che rimprovera a Fichte di rimanere chiuso nella soggettività e di essere quindi incapace di cogliere speculativamente la realtà oggettiva; e quella risalente a Kant stesso, ma tipica di tutte quelle posizioni critiche, che ritengono insuperabile la separazione tra epistemologia ed etica e perciò respingono ogni prospettiva sistematica, che rimprovera alla filosofia fichtiana di costituire una forma di metafisica inaccettabile. Per Ivaldo la prospettiva fichtiana non è che un’analisi dell’idea di libertà; la manifestazione suprema dello spirito non è infatti la rappresentazione, ma l’originario porsi dello spirito stesso, il suo dischiudersi in atto, che si realizza sia nel rappresentare teoretico, sia nel formare pratico. L’autoreferenza dell’io, ha però osservato Ivaldo, è in ultima analisi resa possibile solo da una eteroreferenza superiore, che non elimina la libertà dell’agire spontaneo, ma, aprendolo al suo essere proprio, al tempo stesso lo giustifica; un imperativo che prescrive la realizzazione dell’io puro come pienezza della verità e del senso. Proprio perché riconosce l’identità irriducibile dell’atto spirituale e ne opera una fenomenologia genetica, illuminando l’imperativo etico-religioso che scaturisce dal mistero della libertà, la filosofia trascendentale di Fichte consente, secondo Ivaldo, di sviluppare una concezione multidimensionale e aperta della ragione, capace di affermare e difendere l’autonomia dei saperi di esperienza, ma al contempo di opporsi ad ogni forma di scientismo limitante e limitato. R.G. La relatività del vero Organizzato dalla SFI - Sezione trevigiana e dalla Cattedra di Ermeneutica del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Venezia, si è tenuto a Vittorio Veneto, nei giorni 9 e 10 dicembre 1994, un convegno internazionale dal titolo: “RELATIVITÀ DEL VERO”, che ha visto, fra gli altri, la partecipazione di Manfred Frank e Mario Ruggenini. Dal punto di vista teoretico, più che meramente storiografico, Manfred Frank ha inteso tematizzare il sorgere, nel primo Romanticismo, del tema della “relatività del vero”. Frank ha rilevato, in particolare, come in Leonard Reinhold risulti centrale il concetto di “soggetto assoluto”. Dal momento, però, che Reinhold concepisce l’intera coscienza come rappresentazione di un oggetto rappresentato, anche la coscienza che si ha del proprio io si caratterizza come rapporto a un oggetto; in tal modo, anche la soggettività fondante diviene un’idea irraggiungibile per la rappresentazione, ovvero le viene attribuito (kantianamente) un ruolo meramente regolativo. Per Reinhold, l’io assoluto, anziché un fondamento della deduzione, diventa - come lo definirà Novalis, che di Reinhold fu allievo - un “principio di approssimazione”. Successivamente, Friedrich Schlegel affermerà, contro Fichte e Schelling, la non deducibilità della propria filosofia da un principio primo fondamentale. Il percorso da Reinhold a Schlegel indica, secondo Frank, l’affermarsi dello scetticismo intorno alla possibilità di acquisire verità assolute attraverso deduzioni che muovano da un’evidenza suprema. Il contesto in cui questo scetticismo prende piede, ha osservato Frank, è la polemica contro Jacobi, secondo il quale, perché sia possibile un sapere, deve darsi un fondamento assoluto, ovvero una proposizione che valga in modo incondizionato. Tale sapere viene definito da Jacobi “sentimento”, o “fede”. Il problema che, in questi termini, si agita agli albori del Romanticismo, ha fatto notare Frank, è familiare all’attuale filosofia analitica: si tratta del cosiddetto “fondamentalismo”, che afferma la necessità di 59 un “sapere di base”, che è tale in quanto si giustifica da sé, senza essere guadagnato a partire da altro, e che comunica anzi la propria certezza alle altre proposizioni conoscitive. Così, lo scetticismo dei protoromantici appare rivolto a minare alla base proprio il “fondamentalismo” jacobiano: proprio ciò che Jacobi escludeva, ovvero il regresso all’infinito nelle condizioni della conoscenza, rappresenta invece l’autentico statuto del nostro sapere, che si trova in una condizione di progresso infinito, senza un fondamento assoluto. A differenza di quanto accade presso i relativisti contemporanei, la verità non viene posta come relativa in quanto dipendente da schemi concettuali o immagini del mondo particolari, bensì in quanto essa va rapportata a una totalità che non ci è data. Risulta con ciò abbozzato, sostiene Frank, il programma di un hegelismo che non trova però coronamento nel sapere assoluto; resta soltanto la dinamica relativizzante che prevede il superamento di tutte le convinzioni particolari, in forza del loro essere parti in rapporto a una totalità. Questa totalità, che pure non si lascia determinare, costituisce tuttavia un elemento necessario al nostro pensiero e, in questo modo, costituisce il nostro sapere come “simbolico”. Riprendendo la questione della relatività del vero, Mario Ruggenini ha sostenuto che occorre ricondurre la “questione della relatività” a quella del relativismo. La pluralità del vero è stata espunta dalla tradizione filosofica, proprio a causa del timore di un esito relativista; se però un’esperienza di verità non può prescindere da un’esperienza di pluralità e di relatività del vero, ciò non comporta affatto che si debba concludere a una tesi relativista. Per Ruggenini, costituiscono un mito infondato tanto la convinzione relativa all’unicità del vero, quanto quella della possibilità, per ciascuno, di “pensare ad arbitrio”. Rispetto alla tradizione filosofica, che afferma che la verità o è una o non è, occorre per Ruggenini tematizzare la questione dell’“essere al mondo”; questo è l’enigma, l’ “esperienza plurale del vero”. L’esperienza della verità delle cose è essenziale all’esistenza: esistere è esperire la verità. Con Heidegger, l’esperienza della verità è costitutiva dell’esistenza, e quest’ultima si definisce come l’accadere del mondo: solo in quanto è aperto al mondo l’uomo incontra le cose. L’apertura al mondo avviene come linguaggio: se non si dà linguaggio, non si dà l’uomo, ma anche viceversa. In questa dimensione linguistica, ha osservato Ruggenini, va ricercata la radice del carattere intersoggettivo dell’esistenza: l’uomo non si dà come singolarità, bensì solo nel suo “parlare con altri”, luogo originario dell’esistenza; il colloquio, dunque, e non la singolarità dell’esistenza, costituisce perciò il “Ci” dell’essere. A questo proposito, Ruggenini ha rilevato, nella prospettiva heideggeriana, tre aporie: il rapporto tra Mitsein (essere-con) e Dasein CONVEGNI E SEMINARI (esserci), la mancata determinazione della temporalità del Mitsein e, di conseguenza, l’impossibilità di connettere l’esperienza delle cose alla verità del singolo, ovvero di giustificare il carattere plurale della verità. L’esperienza intersoggettiva delle cose può essere legittimata, a parere di Ruggenini, riconoscendo che nessuna delle nostre esperienze di verità (neppure quella dell’esperienza interna) è mai davvero singola: le “cose” sono il “contenuto” di ciò che, in colloquio gli uni con gli altri, interpretiamo. Ciò significa in primo luogo riconoscere la nostra finitezza, determinata dal nostro essere parlanti. Ma il sigillo della finitezza, ha precisato Ruggenini, è il non poter finire mai, l’inconclusività che produce il discorso, fondata sull’inesauribilità del campo semantico. Quando non ci sono più parole da dire, c’è la morte; solo la morte è la fine del discorso. In quanto lo “stare al discorso” è proprio dell’essere finito, occorre legare l’esperienza del linguaggio a quella della finitezza. Essere finiti nel linguaggio significa, ha sottolineato Ruggenini, non essere mai il primo a prendere la parola, bensì definirsi sempre come rispondenti. Anche quando ci si vuole isolare, in realtà si risponde: con un rifiuto. F.C. L’individualismo moderno di Stirner Si è tenuto a Napoli, all’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, dal 10 al 12 novembre 1994, un convegno internazionale di studi dedicato a “MAX STIRNER E L’INDIVIDUALISMO MODERNO”, in occasione del 150° anniversario dell’edizione de ‘L’unico e la sua proprietà’ (Lipsia 1844-45). Il convegno ha inteso mostrare come negli ultimi decenni l’interpretazione dell’opera di Max Stirner si sia sviluppata su temi specifici, che oltrepassano l’ambito strettamente filosofico e teorico, abbracciando questioni che riguardano la religione, il diritto, la letteratura, la teologia, la storia e così via. I lavori sono stati aperti da una articolata riflessione di Claudio Cesa, che ha evidenziato alcuni momenti importanti dell’interpretazione e dell’influenza del pensiero di Max Stirner in Europa nell’ultimo secolo. La prima giornata del convegno è stata dedicata al rapporto tra la formazione e il pensiero di Stirner, da un lato, l’idealismo tedesco e il movimento “giovane hegeliano” dall’altro. La seconda giornata ha affrontato un tema assai controverso, lo Stirner politico: i rapporti tra il pensiero di Stirner e i vari ambiti dell’anarchismo (“borghese”, “di destra” e, soprattutto, l’anarchismo bakuniano e di matrice rivoluzionaria); l’influenza de L’unico su Mussolini e altri pensatori della cultura di destra, come Schmitt e Jünger; Stirner e Nietzsche; infine, lo Stirner libera- le. Nell’ultima giornata ci si è occupati dello Stirner precursore dell’esistenzialismo ed esistenzialista ante-litteram lui stesso: altro tema che a partire dagli anni Trenta è stato al centro del dibattito filosofico su questo autore. Non sono mancati contributi che hanno cercato di interpretare il tema del convegno in riferimento a particolari questioni teoriche, come, ad esempio, la critica stirneriana del sacro, la filosofia de L’unico come “poetique de la rupture”, la dialettica di “decostruzione e differenza” applicata al testo di Stirner. Nella prima parte del convegno si è indagato come Stirner sia stato influenzato dalla teoria dell’io di Fichte e soggiogato da un ambiguo atteggiamento di attrazione-repulsione per l’opera di Hegel, un’attitudine che in qualche modo Stirner mantiene anche con i discepoli rivoluzionari di Hegel. In tale contesto di indagine, David Mac Lellan ha parlato di una «forte influenza di Stirner sullo sviluppo delle idee di Marx». Dopo la critica di Stirner a Feuerbach, Marx prende le distanze dal materialismo di Feuerbach e dalla sua idea di natura umana. La critica di Proudhon e del “vero socialismo”, presente per la prima volta ne L’ideologia tedesca, risente, secondo Mac Lellan, delle critiche di Stirner, così come la stirneriana teoria dell’io creativo avrebbe influenzato la nuova concezione materialistica di Marx, a partire dal 1845. Carlo Menghi ha presentato un’analisi critica di Stirner alla teoria del diritto pubblico, quindi alla filosofia del diritto, alla teoria dello Stato e della società civile in Hegel; una critica, ha osservato Menghi, che Stirner opera in nome di un individuo pensato come “unità negativa”, che tautologicamente conferma se stessa in quanto negazione di ogni essere altro dall’individuo particolare. Menghi ha messo anche in evidenza in Stirner alcuni spetti del problematico rapporto di rifiuto e di accettazione-rielaborazione della filosofia hegeliana, come pure la contraddizione tra unicità esclusivista ed “unione degli egoisti”. Fabio Buzzani, a sua volta, ha preso le mosse dai “tre spettri” che agitano L’unico: Hegel, la critica rivolta a quest’ultimo dalla sinistra hegeliana e Feuerbach, affrontando una serie di questioni centrali nella filosofia di Stirner, definita come un «pensiero eccentrico anche rispetto a se stesso». Il rapporto tra la filosofia di Stirner e il mondo moderno è stata al centro anche della relazione di William Brazill che, oltre ad aver affrontato alcuni aspetti problematici dell’interpretazione “psicologica” di Stirner, ha messo in risalto l’originalità della sua critica al moderno e, per altro verso, anche l’anticipazione di alcuni sviluppi dello stesso. Il rapporto tra Stirner e Fichte è stato oggetto di analisi da parte di Antonio Punzi e Thomas Unefeldt: il primo, più attento ai temi filosofico-giuridici della legge, della forza e della volontà comune; il secondo, alle differenze tra l’io di Stirner e quello di Fichte, soprattutto attraverso la critica che il primo muove al secondo. Altro tema importante del convegno è stato 60 quello del rapporto tra Stirner e l’anarchismo. Antimo Negri ha descritto il pensiero di Stirner come una teoria a metà strada tra l’anarchismo e il liberalismo, sottolineando per un verso il radicale antistatalismo di Stirner e, per un altro, le peculiarità della sua teoria della concorrenza, più legata alla dimensione della rivolta (Emporung) che a quella del libero mercato; in tal senso Negri ha descritto l’egoista stirneriano come un tipo di “rampante” moderno. Sul rapporto tra la concezione borghese e quella stirneriana della concorrenza, ha richiamato l’attenzione anche Ferruccio Andolfi, che ha pure messo a confronto i tratti che distinguono la concezione romantica dell’individualismo dalla teoria stirneriana dell’unico. Carlo Roehrssen ha rilevato l’attualità di Stirner nell’ «affermazione della individualità come dato primordiale e irriducibile», anche se, poi, ha lamentato «l’astoricità della concezione dell’individuo» di Stirner nel confronto fra la teoria anarchica del soggetto “unico” e l’atteggiamento che Stirner prende nei confronti del liberalismo e del comunismo. Giampiero Berti ha invece definito Stirner “filosofo dell’anarchismo” che, portando all’estremo limite il processo di secolarizzazione iniziato dall’Illuminismo, si pone nella labile frontiera tra secolarizzazione e nichilismo, presentato da Berti come una dimensione dell’anarchismo. Stirner svilupperebbe il suo pensiero in termini esclusivamente critici, evitando di esprimere progetti e modelli alternativi di vita, per non ricadere nelle dinamiche dell’alienazione. Marco Cossutta ha dedicato il suo intervento al confronto fra le teorie della socialità e della rivolta di Stirner e di Bakunin, sviluppando pure una comparazione tra le tesi politiche e giuridiche di questi due filosofi e le moderne teorie di matrice kelseniana e scandinava, che descrivono il diritto come una variabile dipendente della forza. Nell’ultima sessione del convegno si è parlato dello Stirner “esistenzialista” e di alcuni aspetti teoretici della sua opera principale. R.W. Paterson ha sviluppato un confronto tra L’unico e la sua proprietà e L’essere e il nulla di Sartre, leggendo il primo come un’anticipazione di alcune tematiche del secondo, considerato come la più completa espressione dell’esistenzialismo ateo. Il nulla è, sia per Stirner che per Sartre, tanto la dimensione di partenza di un io che rinuncia a tutto ciò che è diverso da sé, quanto il processo di appropriazione e consumo dell’altro. Alberto Signorini ha colto la radice della filosofia di Stirner nel suo carattere criticopolemico, che si articola attraverso la decostruzione dei concetti che, da Platone ad Hegel, sono stati alla base della filosofia europea, proponendo un pensiero della differenza il quale, diversamente dal pensiero rappresentativo, non procede mediante giudizi predicativi. Gli atti del convegno saranno pubblicati entro il 1995 dalla casa editrice Guida di Napoli, a cura di Enrico Ferri. E.F. CONVEGNI E SEMINARI Karl Marx e Fulvio Papi Epoca e dialettica In occasione della presentazione dell’ultima opera di Fulvio Papi, IL SOGNO FILOSOFICO DELLA STORIA. INTERPRETAZIONI SULL’OPERA DI MARX (Guerini e Associati, Milano 1994), il 5 dicembre 1994 si è tenuto alla Casa della Cultura di Milano un dibattito dal titolo: “EPOCA E DIALETTICA”, al quale hanno partecipato, oltre all’autore, Silvana Borutti, Mario Ruggenini, Aldo Trione. Silvana Borutti ha ricondotto l’analisi di Fulvio Papi sulla filosofia della storia di Marx alla sua formulazione del concetto di “configurazione di mondo” nel contesto di una prassi. Il sogno filosofico della storia, ha osservato Borutti, ristabilisce anzitutto il nesso fra la concettualizzazione dei fenomeni nell’epoca capitalista e la dialettica filosofica della coscienza, che sottende l’impostazione marxiana. Nell’analisi di Marx, Papi individua tre elementi: quello diagnostico, quello dialettico e, infine, quello onirico-utopico, al quale appartiene la dimensione in cui si colloca l’utopia dell’unità della storia. Essa assume in Marx due facies: la prima, l’umanizzazione della natura, resta implicita; la seconda, la critica dell’economia politica, viene invece esplicitata. Per ciò che concerne il primo aspetto, Borutti ha sottolineato come il tema antropologico acquisti in Marx una dimensione naturalistica. La natura viene infatti pensata come una potenza produttiva, dominata dalla tecnica; la dimensione naturalistica del pensiero marxiano risiede, perciò, nel fatto che il comunismo implica la liberazione delle potenzialità produttive “naturali”. Secondo Papi, questo schema impone però la rimozione del carattere di alterità della natura nei confronti del soggetto, nonché di quello di simbolicità. Per ciò che concerne il secondo aspetto dell’unità utopica della storia, Borutti ha rilevato come, secondo Papi, la critica filosofica dell’economia politica tenti di definire un “tempo essenziale”, concepibile come lo Jetztzeit benjaminiano, che si colloca al di là del tempo lineare, al quale si attiene l’economia politica. In questo modo, sottolinea però Papi, la connessione fra la storia e l’autocoscienza viene fondata in una prospettiva marcatamente vicina a quella di Hegel. Aldo Trione ha sottolineato come l’elemento onirico-utopico costituisca l’autentica cifra della lettura marxiana di Papi, che propone una risposta all’eclissarsi della teoria marxiana in seguito al crollo dell’ipotesi e del progetto politico marxista. Questa risposta consiste nell’affermazione di Papi, secondo la quale, iuxta gli insegnamenti marxiani, le proposte politiche vanno cercate nell’orizzonte della propria contemporaneità, e solo entro questo orizzonte è legittimo utilizzare un testo come quello marxiano. La critica filosofica di Marx, 61 con il suo precorrere un’alterità utopica, si configura nel contempo come un decreto di fine della filosofia, cioè dell’ideologia relativa all’autonomia della riflessione concettuale. A questo proposito, Trione ha richiamato e accostato alla filosofia di Papi la lettura marxiana di Derrida, laddove quest’ultimo sottolinea il carattere di apertura del presente nei confronti del futuro, ovvero la necessità che la riflessione filosofica, perlomeno quando voglia definirsi “marxiana”, venga pervasa da un’operosità costruttiva. Questa, ha ricordato Trione, era d’altra parte l’interpretazione che del materialismo storico forniva già Antonio Banfi, il quale non intendeva ridurre la dottrina di Marx a una fra le tante ideologie filosofiche della storia, bensì alla prassi analitica della storia medesima, in grado di porsi come suo elemento critico e dialettico. Il filo conduttore delle questioni che si muovono nell’opera di Papi, ha sostenuto Mario Ruggenini, è costituito dalla necessità di rispondere alla domanda in merito all’utilizzazione dell’opera di Marx, il che implica di definire in che cosa consista, in generale, la fine del dominio di un’egemonia in campo filosofico. Nell’interpretazione di Papi, Ruggenini individua tre elementi decisivi. Il primo consiste nel rapporto intercorrente fra economia politica e critica della medesima: la prima fornisce le coordinate dell’epoca prese in esame, il capitalismo, mentre la seconda incarna lo strumento analitico, la CONVEGNI E SEMINARI dialettica. Secondo Ruggerini, resta tuttavia da chiedersi se il rapporto tra epoca e dialettica, proposto da Papi, costituisca oggi una possibilità effettiva. Un secondo elemento rilevante nella lettura di Papi riguarda, secondo Ruggenini, la questione della temporalità. Se Marx è colui che pensa adeguatamente l’essere della storia, la realtà è già storia, perché essa individua nel soggetto colui che è in grado di produrre il proprio essere come storia. In questo, Marx assume consapevolmente, secondo Ruggenini, una posizione ipermetafisica: la realtà viene identificata con la soggettività. Per questa via, il dominio del soggetto produttore si rovescia, al suo culmine, nel soggiacere del produttore medesimo al processo produttivo, come per altro verso ha mostrato anche Heidegger, quando poneva la “questione della tecnica”. Un terzo decisivo elemento dell’interpretazione di Papi, ha infine rilevato Ruggenini, è costituito dal rapporto tra filosofia e linguaggio; Papi mostra infatti come Marx intenda fornire le “parole”, attraverso le quali pensare una realtà che è diventata oscura. Intervenendo in sede di dibattito, Papi è tornato sulla questione della soggettività; attraverso tale nozione si realizza di fatto l’espunzione della natura, concepita come puro luogo di strumentalità. L’unità della storia si definisce oggi nel silenzio del mutamento entropico della natura. La nozione marxiana di merce, che riproduce il dominio della produzione, ha fatto notare Papi, appare effettivamente configurata nel dominio planetario del soggetto. F.C. Essere, nulla, progetto: Sartre e Merleau-Ponty Organizzato dal Seminario permanente di filosofia contemporanea, diretto da Ubaldo Fadini e Adelino Zanini, si è svolto nei giorni 26-27 novembre 1994, presso l’Istituto filosofico Aloisianum di Gallarate, un convegno sul tema: “ESSERE-NULLA -PROGETTO. SU JEAN-PAUL SARTRE E MAURICE MERLEAU-PONTY”, dedicato ad alcuni punti di contatto, riscontrabili nei due pensatori. Contro l’apparente centralità della categoria del corporeo in Sartre, Giorgio Nardone (“Esistenza e realtà ne L’être et le néant e nei Cahiers pour une morale”) ha tentato di delineare in Sartre la figura di un “pensatore della purezza”. La scissione fra la determinazione dell’essere “in sé” e quella dell’essere “per sé” divide radicalmente il mondo in due ambiti contrapposti. D’altra parte, l’essere presso di sé della coscienza non comporta un’oggettivazione del soggetto in virtù del suo atto riflessivo, bensì un estroflettersi della soggettività, nel suo caratterizzarsi come temporalizzazione. In quanto “totalmente esistito”, la protensione assoluta del sogget- to comporta una rimozione della spazialità, ovvero della corporeità medesima; in quanto protensione statica, l’esistenza attualizza la purezza, l’assoluta non commistione. Il mondo rappresenta per Sartre, ha sottolineato Nardone, tanto un ostacolo da superare, quanto un’occasione; i due aspetti esprimono la necessità, a un tempo, sia del contatto che della separatezza fra il soggetto e il mondo, in modo non dissimile da quanto avveniva nella riflessione degli Stoici, quando essi concepivano il mondo come l’occasione per un libero progetto. Ubaldo Fadini e Gianmario Pascucci (“Immaginazione e libertà: Jean-Paul Sartre”) hanno affrontato il tema dell’intenzionalità in Sartre, mediato dalla fenomenologia di Husserl e da quella di Heidegger. Obiettivo polemico di Sartre consiste qui nello smantellamento dell’identificazione di immagine e oggetto, che sottende un’interpretazione cosale, reificata, dell’immagine, ridotta a “copia” dell’ente cui essa si riferisce. Non all’ente, bensì all’attività intenzionale della coscienza va ricondotta, per Sartre, la facoltà immaginativa, che rappresenta il fenomenizzarsi del tratto essenziale della coscienza, cioè il suo carattere di trascendenza. Per sostenere questa tesi, hanno osservato Fadini e Pascucci, Sartre deve istituire una differenza radicale fra immaginazione e percezione, per cui l’immagine non consiste in una percezione indebolita, non dà luogo a una duplicazione dell’ente intenzionato: dal punto di vista della realtà dell’ente, quella dell’immagine è una non realtà. L’immaginazione rappresenta la negazione del mondo nella sua totalità in quanto sintesi dell’esistente, la posizione dell’irrealtà dell’immagine nei confronti della realtà dell’ente. Si esplica così il carattere di libertà della coscienza, che la definisce nei confronti del mondo. Judith Revel (“Per un espressionismo filosofico: Merleau-Ponty da Signes a La prose du monde”) ha esaminato l’elaborazione in Merleau-Ponty del concetto di espressione lungo tre direttrici: il rapporto fra pensiero e linguaggio, il confronto con de Saussure a proposito della relazione fra la dimensione soggettiva e quella oggettiva e, infine, il confronto con Husserl, anch’esso mirato al superamento della partizione fra la dimensione oggettiva e quella soggettiva del linguaggio. Se in de Saussure la questione del rapporto tra pensiero e linguaggio trapassa in quella della scissione tra dimensione sincronica e diacronica, nel passaggio fra le quali avviene la desoggettivizzazione del pensato, Merleau-Ponty rileva che in questo modo il sincronico risulta “avvolto” dalla diacronia, in quanto luogo dell’evolversi della tradizione linguistica. Oltre Husserl, Merleau-Ponty rileva come l’uso linguistico comporti non solo una desoggettivizzazione del linguaggio, ma anche la sua desoggettivizzazione. La nozione di espressione fa riferimento, in Merleau-Ponty, a una dimensione intersoggettiva, che coincide con il legame che si fonda in una comunità, in una corporeità dei soggetti viventi nella storia, che costruiscono la 62 loro realtà nella produzione immaginativa. Secondo Pierre Della Vigna (“L’esistenzialismo umanista e la sua autocritica: Merleau-Ponty e Sartre”), mentre nella riflessione sartreana è presente un nucleo dualista, in Merleau-Ponty s’impone, come unità proiettata nel futuro, una dimensione monistica dell’ontologia. Nell’evolversi del movimento esistenzialista, la posizione di Sartre e quella di Merleau-Ponty appaiono quasi rovesciarsi, fino a scambiarsi l’una con l’altra. Partendo dal disinteresse per la politica come impegno concreto e dalla sottolineatura dell’urgenza delle pulsioni individuali, Sartre giungerà all’esigenza di “pensare la totalità” come tentativo di adeguamento del proprio impegno politico alla situazione “oggettivamente” data. Per contro, dalle posizioni rivoluzionarie del dopoguerra Merleau-Ponty passa al “marxismo d’attesa”, con la revoca all’azione politica della possibilità di esprimere l’orrore dell’esistente. A questo proposito, Adelino Zanini ha richiamato l’attenzione sull’ “irresolutezza” rimproverata da Sartre a Merleau-Ponty. Già in Umanesimo e terrore appare decisiva in Merleau-Ponty la categoria del tragico, legata a quella di responsabilità. Per quanto, di fronte al problema della scissione fra etica individuale e oggettività delle condizioni storiche date, la critica borghese voglia pervenire a una semplificazione della contingenza nella storia, la responsabilità della scelta, secondo Merleau-Ponty, rimane inevitabilmente e tragicamente legata a quella delle sue conseguenze, per quanto non scelte. Tiziana Villani (“Il sentire dell’anima. Il concetto di chiasma in Merleau-Ponty”) ha tematizzato il concetto di “chiasma”, che in Merleau-Ponty indica innanzitutto il rapporto di coappartenenza dei corpi sul piano dell’immanenza. Il rapporto fra chiasma e carne è quello della reversibilità, in particolare per quanto riguarda il concetto di ombra. Su questa base, ha sottolineato la Villani, Merleau-Ponty rivendica il carattere creativo del linguaggio, che risulta consustanziale a una dimensione prelinguistica. Il linguaggio, in quanto espressione, è anzitutto organo di esperienza, di verità, che si realizza nel “sentire”, concepito come il corto-circuito fra organico e inorganico. Il piano del “neutro” rappresenta, appunto, quella dimensione di immanenza, in cui si esplica il sentire come luogo in cui il soggetto perviene alla propria destrutturazione. Sul nesso che lega la religione ad alcuni nodi strutturali della riflessione di Merleau-Ponty è intervenuto Gianluigi Brena (“La religione in Merleau-Ponty”). Nel dopoguerra, volendo farsi carico del rapporto tra cattolicesimo e comunismo, Merleau-Ponty rilevava come la posizione dei cattolici in politica fosse radicata nella religione, e solo a partire da quest’ultima fosse possibile comprenderla e criticarla “dall’interno”. Riferendosi agli scritti del giovane Marx, Merleau-Ponty sostiene che la religione deve essere considerata come l’espressione del rapporto complessivo dell’uomo con gli altri uomini, con la CONVEGNI E SEMINARI natura, con la questione del male. La critica di Merleau-Ponty al “Dio dei filosofi”, ha osservato Brena, muove dalla critica all’idea di un’assolutezza come data e, congiuntamente, alla critica degli idoli. Il fenomenizzarsi della religione prevede dunque il proprio articolarsi, da un lato, come preghiera e come rivelazione naturale, dall’altro come istituzione e ideologia. Il superamento di questo secondo aspetto “dall’interno” appare costituire, per Merleau-Ponty, il compito del filosofo nella società, nella convinzione, contro Heidegger, della possibilità di una filosofia cristiana nella ricerca (comune alla religione e alla filosofia) della verità. F.C. Teoria della mente Presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione dell’Università di Roma “La Sapienza” e con il Dipartimento di Scienze Relazionali dell’Università di Napoli “Federico II”, dall’11 al 13 novembre 1994 ha avuto luogo un convegno internazionale dal titolo: “INSIGHT E TEORIA DELLA MENTE NELLO SVILUPPO E NELLA CLINICA”, in cui varie tematiche di teoria della mente sono state affrontate da una prospettiva sia teorica, sia evolutiva, sia clinica. Introdotti da M. Ammaniti, che ha curato anche la relazione conclusiva, hanno partecipato al convegno: N. Dazzi, P. Fonagy, P. Hobson, I. Mays, D. Stern, A. Nunziante Cesare, A. Ferro, S. Muscetta, J. e A.M. Sandler. Introducendo al convegno, M. Ammanniti ha ricordato che il concetto di teoria della mente fu usato per la prima volta solo nel 1978 da due ricercatori, Preemack e Woodruff, nel loro lavoro intitolato: “Lo scimpanzè ha una teoria della mente?”. Il concetto di teoria della mente si rivelò ben presto fruttuoso, dando luogo a ricerche ad indirizzo cognitivista ed evolutivo che partivano da interrogativi sulle capacità di comprensione del funzionamento della mente altrui da parte dei bambini. Ammanniti ha evidenziato poi come già da tempo, sia pure in un contesto teorico e con un linguaggio diversi, in campo psicoanalitico sia stato usato il concetto di interpretazione e insight, che ha diversi punti in comune con la teoria della mente, in quanto la capacità di introspezione verrebbe acquisita nel corso del trattamento analitico dal paziente, consentendogli di comprendere il proprio funzionamento mentale. N. Dazzi ha ripreso ed ampliato alcuni punti già accennati da Ammanniti per quanto riguarda il concetto di teoria della mente nei bambini, indicandone i punti essenziali: il bambino deve mostrarsi capace di distinguere tra aspetti ontologici e aspetti causali nella comprensione degli altri, dove per aspetti ontologici si intende che il bambino è in grado di distinguere il fisico dal mentale, gli oggetti dalle persone, e per quanto riguarda gli aspetti causali è in grado di cogliere le influenze del mondo sul soggetto e del soggetto sul mondo. Intervenendo in ambito clinico, P. Fonagy ha mostrato come i bambini a tre anni vedono i pensieri e le credenze, proprie degli altri, come rappresentazioni del mondo reale; i pensieri sono cioè copie della realtà. A quattro anni la realtà psichica del bambino si modifica qualitativamente. Introducendo la prospettiva evolutiva, P. Hobson ha mostrato come il bambino sia condotto gradualmente verso l’acquisizione di una propria teoria della mente dall’esperienza interpersonale, che riceve impulsi fondamentali quando emerge nel bambino la comprensione delle false credenze. La psicopatologia evolutiva, continua Hobson, mostra come nell’autismo si soffra proprio di una compromissione delle relazioni interpersonali, di un insuccesso ad acquisire la comprensione degli altri, a sperimentare quel fondamentale impegno intersoggettivo. I. Mays ha indicato nell’integrarsi di tre capacità - capacità di capire che un oggetto o una persona possano portare a più di una rappresentazione; capacità di usare un oggetto o persona per rappresentarne un’altra; capacità di rappresentare il mondo mentale altrui -, che emergono nei bambini quasi simultaneamente già nel gioco del “far finta”, la condizione necessaria per la creazione di fantasie che informeranno la concezione del mondo e di se stessi. D. Stern ha messo in evidenza che il contenuto della mente delle altre persone, primariamente dei genitori, è per il bambino qualcosa di ovvio, qualcosa che lo circonda per tutta la sua vita, il suo ambiente: le espressioni facciali, le espressioni emotive, sono per i bambini una specie di “finestra meravigliosa”, che mostra cosa le persone pensano e sentono. L’imitazione nei bambini è un modo per sapere che cosa l’altro diverrà, che cosa succederà. A. Nunziante Cesaro ha introdotto il punto di vista clinico e il problema dell’insight in connessione alle particolari relazioni di transfert e controtransfert. L’insight può essere definito, secondo Nunziante Cesaro, come una particolare qualità introspettiva, percettiva, cognitiva ed emotiva insieme, con cui sia il paziente sia l’analista sono in grado, all’interno della relazione terapeutica, di entrare in contatto con parti di sé per lo più sconosciute, inconsce, scisse, rimosse. A questo punto, se uno dei cardini del processo analitico è il transfert, altro cardine è l’atteggiamento analitico, che pone in rilievo la capacità dell’analista di comprendere e contenere, padroneggiando e analizzando il proprio controtransfert. Il pericolo, ha osservato 63 Nunziante Cesaro, è che i modelli teorici guidino l’interpretazione del materiale analitico al punto di costituire una sorta di pseudo-insight sia per l’analista che per il paziente. A. Ferro ha messo invece in rilievo l’importanza della relazione analitica che si instaura nella coppia analistapaziente, sottolineando il valore del delicatissimo, ma essenziale, ruolo giocato dal controtransfert per consentire l’esperienza dell’insight e la conseguente acquisizione della capacità di costruire una teoria della mente da parte del paziente. In particolare Ferro ha analizzato il formarsi e lo svilupparsi della capacità di pensare nel paziente. Sulla scia dei due relatori precedenti, S. Muscetta ha presentato una situazione di tipo analitico attraverso l’esame particolareggiato di un caso clinico, ponendo in rilievo la relazione esistente tra il buon avanzamento dell’analisi e una graduale acquisizione, da parte del paziente, della capacità di comprendere il proprio funzionamento mentale e quello altrui, di riflettere sui propri processi di pensiero e di costruirsi una rappresentazione di sé e dell’altro. J. Sandler ha postulato uno stato di identificazione primaria molto precoce, ma persistente e tale da non risultare alla coscienza, pur permettendoci di sentire ciò che l’altra persona sta sentendo, di realizzare la comprensione empatica grazie alla duplicazione del proprio Sé. Sandler ha inoltre indicato nell’inibizione dell’uso della teoria della mente, il motivo che potrebbe spiegare gran parte della violenza sociale, mentre l’incapacità di usare la propria teoria della mente deriverebbe da situazioni specifiche che portano a quella che egli ha chiamata “empatia negativa”, come forte difesa contro la comprensione dello stato mentale dell’altro. L’intervento conclusivo di M. Ammaniti ha mostrato come sia il bambino di circa quattordici mesi, sia l’adolescente esplorino il mondo circostante, confrontando il proprio Sé con quello degli altri, chiedendo la partecipazione dei genitori attraverso la conferma delle proprie capacità e competenze. I genitori, ha proseguito Ammaniti, devono costituire per l’adolescente un polo identificatorio rassicurante che garantisca la continuità con il passato. L’infante lotta invece tra dipendenza materna e autonomia, quindi il polo paterno funge da guida nell’eccitante esplorazione del mondo circostante ed il polo materno esplica, perlopiù, funzioni di contenimento, rassicurazione e regolazione del Sé. R.A./A.L. CALENDARIO L’associazione Milano Arte Estetica in collaborazione con la rivista Arte Estetica ha organizzato, presso la Fondazione Le Stelline di Milano, un ciclo di conferenze su: Arte, Mito, Simbolo. Questo il calendario degli incontri: 31 maggio 1995, T. Kemeny: “Sul mito. Il mito come fedeltà alla terra e alla vita”; 7 giugno 1995, E. Rambaldi e M. Cucchi: “Simbolo, Poesia, Filosofia. Valore e simbolo della poesia nella contemporaneità”; 14 giugno 1995, E. Franzini: “Ipotesi sul sublime nel Settecento e nella contemporaneità”. Informazioni: Prof. E. Franzini, Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi, Via Festa del Perdono 7, Milano CALENDARIO • Dall’1 al 3 giugno 1995 all’Università di Salerno si è tenuto il Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana per gli Studi di Estetica sul tema: La Polifonia Estetica. Specificità e Raccordi. Informazioni: AISE, via San Fabiano 9, 52100 Arezzo. Fax: 0575 21941. • Con il titolo: Cento Anni di Filosofia Americana, si è tenuto a Cerisy La Salle, dal 24 giugno al 1 luglio 1995, un convegno organizzato dal Centre Culturel International de Cerisy La Salle, in collaborazione con l’Università di Nantes e i Servizi Culturali dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Parigi. Tra gli interventi: H. Putnam: “Pragmatisme et réalisme”; P. Engel: “Rorty and Davidson sur la vérité”; R. Rorty: “Croyance religieuse et responsabilité intellectuelle”; D: Davidson: “L’autorité de la première personne et l’indetérmination de l’interprétation”. Informazioni: Centre Culturel International de Cerisy La Salle, tel. 0033 33 45 91 66; fax 0033 33 46 11 39. • Esperti e giornalisti a confronto sui grandi temi della bioetica in tre dibattiti organizzati dalla sezione genovese della Accademia Nazionale di Medicina a Milano, il 29 giugno 1995, a Roma, il 29 settembre 1995, e a Napoli, il 9 novembre 1995, su quattro indicativi percorsi di ricerca: “Etica per la ricerca clinica”; “I principi metodologici della ricerca scientifica”; “La ricerca sperimentale e clinica”; “Economia, equità e risorse”. Relatori: M. Mori, I. Scardovi, A. Mantovani, C. Flamigni, M. Zanetti. Informazioni: Stefania Ledda, Accademia Nazionale di Medicina Forum per la Formazione Biomedica, piazza della Vittoria 15/1, 16121 Genova, tel 010 54 58 611, fax 541 761. • The Philosophy of Bertrand Russell è l’argomento della conferenza a cura di Luisa Santonocito dalla British Society for the History of Philosophy, tenutasi dal 14 al 16 luglio 1995 all’Università di Southampton. Informazioni: Ray Monk and Anthony Palmer, Department of Philosophy, University of Southampton, Highfield, Southampton SO9 5NH. “Some things I don’t understand about events and states in semantics”; H. J. Verkuyl: “On events as dividuals”; P. Peterson: “Some propositions about facts and events”; J. Brandl: “Do events recur?”; N. Asher: “Principles of closure for event domains”; A. Meulen: “Chronoscopes: dynamic tools for anaphora”; P. M. Bertinetto e D. Delfitto: “Presuppositionality effects and the interpretation of temporal adverbs”. Informazioni: Istituto Trentino di Cultura, I-38050 Povo (Trento), tel 39 461 314444 fax: 39 461 314591. Istituto per la Ricerca Scientifica e Tecnologica: Fabio Pianesi e Achille Varzi, e-mail {pianesi, varzi} @ irst.itc.it. • • A Caracas, dal 15 al 22 luglio 1995, si terrà il II Congresso Mondiale di Fenomenologia, promosso da The World Institute for Advanced Phenomenological Research and Learning in collaborazione con la Venezuelan Philosophy Society. Pur estendendosi a tutti i settori della filosofia con una prospetiva interdisciplinare, il congresso si focalizzerà sul tema: Phenomenology of life and of human creative condition: nova et vetera. Informazioni: Anna-Teresa Tymieniecka, World Phenomenology Institute, 348 Payson Rd., Belmont, MA 02178, USA. Dal 31 agosto al 3 settembre 1995 si tiene presso la St. Edmund Hall di Oxford il I simposio congiunto delle associazioni britannica e tedesca di estetica sul tema: Il giudizio critico. Informazioni: Kerl-Heinz Ludeking, Schaperstrasse 10, D-10719 Berlino. Oppure: Richard Woodfield, Nottingham Trent University, Nottingham NGI 4BU, U.K. • • Il XIII Convegno Internazionale su Aesthetics in Practice si terrà a Lahti (Finlandia), dal 1 al 5 agosto 1995. La Città finlandese è tra i fondatori, insieme all’Università di Helsinki, l’Associazione Finlandese di Estetica e l’Associazione di Studi Avanzati Paijat-Hame, dell’Istituto Internazionale di Estetica Applicata (International Institute of Applied Aesthetics) i cui campi di ricerca spaziano dall’estetica dell’ambiente all’educazione estetica, alle politiche culturali di intervento, alla promozione della creatività nelle forme tradizionali e avanzate della “computer art”. Informazioni: I.I.A.A., “Tietoportii, Gate of Knowledge” Saimaankatu 11, 15140 Lahti, Tel. 0035818-7817857; fax: 00358-18-7817858. In occasione del bicentenario della pubblicazione dello scritto kantiano Sulla Pace Perpetua, la Russian Kant Society e la Kalingrad State University organizzano a Kalingrad, dal 19 al 22 Settembre 1995, la VII Conferenza Kantiana. Informazioni: Prof. Dr. Vladimir Bryushinkin, Department of Philosophy, Kalingrad State University, Universitetskaya, 2, 236040 Kalingrad, Russia. Tel (0112) 431229, fax (0112) 465813. sian, and Oriental Traditions”. Informazioni: “Eidos”, Universitetzkaya nab., 5, room 16, San Pietroburgo 199034, Russia. Tel (812) 218-4124; Fax: (812) 218-4172. • Il VI Convegno Nazionale dei Dottorati di Ricerca in Filosofia si terrà all’Istituto Banfi di Reggio Emilia dal 25 al 29 settembre 1995 e sarà articolato in dieci sezioni. Lunedì 25 settembre, per la sezione “Filosofia Antica”, G. Giannantoni coordinerà gli interventi di P. Dal Santo, L. Di Capua, M. Falcioni, S. Fazzo, G. Negro e A. Trotta. Martedì 26 settembre, per la sezione “Filosofia medievale e rinascimentale”, L. Sturlese coordinerà gli interventi di A. Bertolacci, E. Casadei, G. De Rosa, F. Frosini, L. Mastropasqua, A. Saccon, F. Zanatta. Mercoledì 26 settembre, per la sezione “Estetica”, E. Mattioli coordinerà gli interventi di C. Cantillo, L. Farulli, P. E. Giordanetti, D. Guastini, M. Mazzocut-Mis e S. Tedesco. Mercoledì 27 settembre, per le sezioni “Il pensiero del Seicento e del Settecento” e “Fenomenologia ed Esistenzialismo”, A. Santucci e C. Sini coordineranno gli interventi di A. Angelini, R. Ghirlanda, M. Marzialetti, S. Plastina, M. Pascucci, G. Azzarà, F. R. Casale, D. Calabrò, V. Costa, N. Curcio, R. Giovagnoli, L. Marcucci, A. Marocco. Giovedì 28 settembre, per la sezione “Il Pensiero dell’Ottocento”, V. Verra coordinerà gli interventi di S. Bassi, G. Buccieri, S. Fuselli, G. Giacometti, I. Lombardini; per la sezione “Logica ed Epistemologia”, F. Barone coordinerà gli interventi di A. Bellomo, M. Celentano, N. Vassallo; per la sezione “Filosofia del Linguaggio”, P. Leonardi coordinerà gli interventi di R. Cavalieri, D. Chiricò, R. Contessi, C. Nizzo, P. Perconti. Venerdì 29 settembre, per la sezione “Il pensiero del Novecento”, G. Cotroneo coordinerà gli interventi di P. Armelini, E. Baccarini, C. Bagnoli, E. Donaggio, L. Manfri, E. Marano, L. Romano, E. Romito, D. Tarizzo, M. Tempesta. Informazioni: Istituto Banfi, via Pasteur 11, 42100 Reggio Emilia, tel e fax: 0522 554360. • • • Il Centro “EIDOS” di San Pietroburgo, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università, ha in programma dal 10 al 15 agosto 1995 il II Convegno Internazionale di Cultura e Filosofia sul tema: Paradigms of Philosophy, suddiviso in nove sezioni, tra cui: “Philosophy as Art & Art as Philosophy”, “The Postmodern Condition and the Condition of metaphisics: Life, Language, Knowledge”, “Text and Ontology; The Ontological and Existential Tendencies of Philosophy: Western European, Rus- L’Istituto Trentino di Cultura e l’Istituto per la Ricerca Scientifica e Tecnologica sono i promotori del convegno internazionale: Facts and Events in the Semantics of Natural Language, che si terrà dal 28 al 30 agosto 1995 a Trento. Relatori: J. Higginbotham: “On the role of events in linguistic semantics”; T. Parsons: 64 Nel mese di ottobre 1995 il Centre Culturel Français di Milano organizza una serie di incontri su Michel Foucault. Lunedì 16 ottobre 1995 a Milano: “Pensare la storia - Michel Foucault: dall’archivio all’ontologia del presente”, tra i relatori C. Sini, G. Levi, F. Ewald, S. Natoli, P.A. Rovatti. Mercoledì 18 ottobre, Bologna: “Filosofia e politica: Foucault fra teoria del potere e pratica della resistenza”, interventi di: V. Marchetti, A. Dal Lago, A. Illuminati, V. Romitelli, M. Bertani, A. Pandolfi, P. Virn, G. Agamben. Giovedì 19 Ottobre, Roma: “Foucault tra filosofia e scrittura”, relatori: G. Agamben, J. Revel. Informazioni: Nicolas Gulhot, Ambassade de France en Italie, via Bigli 2, Milano, tel. 02-76013966, fax 02-76013669. • DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari Classici della filosofia Una nuova proposta di lettura delle opere fondamentali del pensiero filosofico è offerta dalla collana «I classici della filosofia», pubblicata dalla casa editrice Bruno Mondadori di Milano. Nel 1994 sono già apparsi sei testi in edizione integrale, altri invece solo in edizioni non commentate. Si tratta del FEDRO di Platone (a cura di F. Trabattoni), dell’ETICA di Abelardo (a cura di M. Parodi), della MONADOLOGIA di Leibniz (a cura di C. Calabi), della FONDAZIONE DELLA METAFISICA DEI COSTUMI di Kant (a cura di A. Vigorelli), della IDEA DELLA FENOMENOLOGIA di Husserl (a cura di E. Franzini), di AL DI LÀ DEL PRINCIPIO DEL PIACERE di Freud (a cura di A. Civita). L’aspetto innovativo di questa collana consiste nella originale formula di presentazione e di commento del testo, che senza appesantirlo con un apparato soverchiante di note o con introduzioni troppo prolisse, vuole guidare il lettore all’analisi dell’opera e alla conoscenza del pensiero dell’autore. Si tratta, in questo senso, di una formula editoriale che possiede una valenza di carattere didattico, nel senso che offre allo studente opportunità di approfondimento a diversi livelli (introduzione sintetica all’opera e all’autore, note e schede di analisi del testo, profilo critico conclusivo), rendendo meno gravoso il confronto diretto con l’opera, confronto che comunque si presume sempre mediato dal lavoro di chi insegna. Ogni testo presenta dunque diverse forme di approccio ai contenuti. La prima forma è costituita da una breve introduzione all’opera in questione, che ne ripercorre brevemente la genesi e offre una sintesi essenziale dei temi trattati. Fa seguito una scheda dedicata specificamente all’autore, arricchita da una bibliografia essenziale. Il testo, oltre ad essere chiosato da brevi note chiarificative, è accompagnato da alcune schede di approfondimento relative a determinati passaggi dell’opera o ad aspetti nodali della filosofia dell’autore. Per offrire un esempio, richiamiamo qui i titoli che accompagnano la Fondazione della metafisica dei costumi di Kant: “Metodo analitico e metodo sintetico”, “Kant e Schiller: la polemica sul rigorismo”, “Sulla popolarità in filosofia”, “Imperativo ipotetico e imperativo categorico”, “La dottrina kantiana dei doveri”, “L’autonomia del volere: Kant e Rousseau”, “Le morali eteronome”, “La trattazione speculativa dell’idea di libertà”. Ciascun volume presenta alla fine un “profilo critico”, in cui il curatore affronta alcuni temi di più ampio rilievo che ricollegano l’opera in questione al pensiero complessivo dell’autore. In questo senso Franco Trabattoni fa seguire al Fedro un commento sulla “filosofia come educazione dell’anima”, Massimo Parodi offre un profilo dell’etica abelardiana come “impossibile progetto filosofico”, Clotilde Calabi approfondisce il tema relativo a “Leibniz e l’armonia del mondo”, Amedeo Vigorelli studia il “fondamento della morale kantiana”, Elio Franzini si sofferma su “temi e problemi della fenomenologia”, Alfredo Civita avanza una riflessione sul tema “psicoanalisi e pulsione di morte”. Al termine di ciascun volume è riportato un glossario dei termini-chiave dell’opera presentata. R.L. Proposte, interventi, ricerche Sul n. 25 (gennaio 1995) di «Sensate esperienze» appare un servizio dal titolo: C’È CHI DICE. LETTERE A EPICURO, in cui sono presentati alcuni “esperimenti” di costruzione di testi filosofici da parte di giovani allieve della classe III L del Liceo Scientifico “N. Copernico” di Bologna. È un approccio nuovo alla filosofia, che nasce dall’esigenza di incrementare nei giovani la motivazione per lo studio di una disciplina che si rivela, anche quando si tratta di autori lontani, passibile di venire insegnata attraverso il dialogo-confronto con il filosofo. L’animatore di questa esperienza, Pietro Biancardi, chiarisce come in partenza egli avesse impostato lo studio della filosofia greca nell’ottica di consentire alla classe di conseguire gli obiettivi relativi alle capaci65 tà di scomporre un testo, di coglierne gli elementi costitutivi, di evidenziarne i nessi interni, di definire la terminologia filosofica. Rimaneva però la sensazione che, nonostante i progressi degli alunni, «le diverse soggettività», con un lavoro così strutturato, imperniato forse troppo sulla dimensione filologica, non riuscissero ad esprimersi e confrontarsi pienamente. Da qui è nata la decisione di avviare un nuovo itinerario, relativo al tema: “Felicità nelle filosofie ellenistiche”, che sollecitasse «prese di posizione più decise e personali». La proposta (che a nostro avviso può essere accostata a quella svoltasi in una classe dell’ITIS “Cobianchi” di Verbania; cfr. il n. 22-23 di «Informazione Filosofica», p. 79) si è tradotta nella richiesta alle allieve, al termine di una serie di letture, di rispondere per iscritto ad uno degli autori studiati, «attraverso un discorso personale, coerente e disciplinato». Vengono di seguito riportati, su «Sensate esperienze», tre elaborati di alunne, sotto forma di diverse e possibili “risposte” alla Lettera a Meneceo di Epicuro. Si segnala infine, sullo stesso numero di «Sensate esperienze», un’ampia recensione critica di Pasquale Palmeri del volume collettivo dal titolo; Modelli di ragionamento nella filosofia antica. Una proposta didattica (a cura di Carlo Natali, Laterza, Roma-Bari 1994; da noi già recensito sul n. 19 di «Informazione filosofica»), che raccoglieva il frutto di un lavoro condotto dal «Laboratorio didattico di filosofia» dell’IRRSAE Veneto. Al termine di una discussione dei diversi ordini di problemi implicati in quel testo, Palmeri trae la conclusione che «l’insegnamento della filosofia è altra cosa dall’insegnamento della storia della filosofia» e che occorre «abbandonare l’idea di una ricostruzione non discontinua della storia del pensiero filosofico, anche solo rapportato ad uno specifico “filo conduttore”». R.L. STUDIO Bertrand Russel, Ludwig Wittgenstein, Karl Popper, Paul Feyerabend 66 STUDIO STUDIO La filosofia della scienza fino ad oggi L’epistemologia contemporanea è oggetto di due studi di orientamento introduttivo, che ne ricostruiscono lo sviluppo in quest’ultimo secolo. Si tratta di INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA SCIENTIFICA DEL ‘900 (Studium, Roma 1994), di Michele Marsonet, e de LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA NEL XX SECOLO (Laterza, Bari-Roma 1995), di Donald Gillies e Giulio Giorello. L’opera di Michele Marsonet offre una sintesi storica e sistematica della filosofia della scienza dagli inizi del ‘900 ad oggi. Gli elementi su cui viene impostata l’analisi sono, in primo luogo, l’importanza dell’analisi del linguaggio, che costituisce il fondamento dell’epistemologia contemporanea; in secondo luogo, il legame concettuale e storico tra i due rami principali del dibattito epistemologico attuale: la filosofia analitica e il pragmatismo. Il volume si apre con la descrizione del passaggio dal positivismo del XIX secolo al neopositivismo logico del Circolo di Vienna. L’esigenza di un criterio di esattezza, infatti, ha richiesto l’uso di un linguaggio unificato che, attraverso l’uso di enunciati empirici e logico-matematici, fornisse certezza e sistematicità alla scienza. Da qui, ricorda Marsonet, grazie anche all’apporto di filosofi come Max Weber che, pur non appartenendo di diritto alla scuola epistemologica, hanno contribuito notevolmente a chiarire il concetto di razionalità scientifica, l’epistemologia ha dovuto fare i conti con la filosofia del linguaggio, che ha garantito la distinzione tra linguaggio filosofico ed esperienza scientifica. La filosofia analitica ha affrontato problemi come il nominalismo e il platonismo che rimandano, necessariamente, a questioni di ordine metafisico: Carnap, e poi Wittgenstein e Popper, hanno posto il problema della verità degli enunciati e, di conseguenza, della realtà dei fenomeni. La logica estensionale e l’analisi del rapporto tra significato, significante e oggetto ha spostato il tema da un’analisi prettamente linguistica ad una di tipo ontologico. Secondo Marsonet, la filosofia analitica, una volta giunta al tema degli esistenziali e dei quanti- ficatori, non è più stata in grado di fornire quei criteri di certezza e universalità che erano richiesti. L’impossibilità di arrivare ad una verità assoluta, applicabile sempre e comunque, ha introdotto, di fatto, l’altro ramo dell’epistemologia attuale e cioè il pragmatismo. L’abbandono della ricerca della verità universale e la propensione per un criterio che indirizzi l’individuo al meglio e all’utilità pratica, infatti, sembra essere l’orientamento più seguito dall’epistemologia negli ultimi tempi. Seguendo questa tendenza, Marsonet termina la sua analisi con la presentazione del pensiero di Rorty e Dewey che, sposando l’ermeneutica all’epistemologia, realizzano di fatto il legame tra filosofia del linguaggio e pragmatismo. Lo studio di Donald Gillies e Giulio Giorello, più che offrire una descrizione sistematica e storica degli ultimi sviluppi della filosofia della scienza, fornisce una serie di inquadramenti dell’epistemologia contemporanea, scelti soggettivamente dagli autori e a volte slegati tra loro. Sono infatti sei gli argomenti affrontati sia nella loro specificità epistemologica, attraverso il confronto di più voci, anche contrastanti, sia dal punto di vista dell’aspetto psicologico e biografico degli autori trattati. Il primo tema proposto è l’induttivismo. Esaltato dal Circolo di Vienna, il metodo induttivo viene criticato da Popper e da Duhem che, con argomentazioni diverse, lo smantellano. È interessante notare che oltre la descrizione teorica delle argomentazioni, gli autori presentano anche degli esempi concreti, come quello di Keplero e della scoperta delle orbite ellittiche, in cui il metodo induttivo non ha funzionato. Il secondo argomento scelto da Gillies e Giorello è il convenzionalismo, attraverso le figure di Poincarè e di Duhem. Con la scoperta delle geometrie non euclidee, la sintesi a priori kantiana, con la relativa concezione della geometria e della fisica, ha subito un forte scossone. Poincarè è il primo a far vacillare la certezza nella geometria kantiana, pur riconoscendo la sua semplicità e applicabilità, che in seguito, viene ripresa da Duhem. Per quanto riguarda l’osservazione e gli enunciati protocollari, a fianco dell’interpretazione di Carnap, che fornisce certezza e univocità ai protocolli, Gillies e Giorello presenta67 no posizione opposte, come quella di Feyerabend, che ritiene invece i fatti, e quindi le osservazioni, carichi di teoria. La quarta parte del volume tratta la demarcazione tra scienza e metafisica: accanto a Kant, Wittgenstein e il Circolo di Vienna, Gillies e Giorello propongono la concezione di Popper che, da un lato fornisce importanza alla metafisica nella logica della scoperta scientifica, dall’altro la delimita nettamente dalla scienza, grazie al criterio di falsificabilità. Gli ultimi argomenti trattati nel volume riguardano, essenzialmente, la filosofia della scienza post-popperiana. A proposito delle rivoluzioni scientifiche e della crescita della conoscenza vengono presi in considerazione Kuhn, Feyerabend e Lakatos che, pur nelle reciproche differenze, hanno teorizzato la rottura tra i paradigmi e l’impossibilità della cumulazione come criterio di crescita scientifica. È ancora Feyerabend il protagonista dell’ultima parte del volume che affronta la libertà intellettuale dello scienziato e della società: il caso Galileo, esposto in Contro il metodo, esemplifica l’uso anarchico della scienza, possibile esclusivamente in una società tollerante e libera. A.S. Donne e filosofia Ad opera di Giulio de Martino e Marina Bruzzese, viene pubblicato uno studio dal titolo emblematico: LE FILOSOFE (Liguori, Napoli 1994). Il volume offre una sintesi, analitica e divulgativa, del pensiero al femminile, raccogliendo le proposte teoriche, filosofiche e letterarie delle donne che, dalle origini del mondo greco ad oggi, hanno portato un contributo al mondo della filosofia. Pur costituendo una raccolta dettagliata del pensiero al femminile, il testo è retto da una ipotesi interpretativa che vede il pensiero delle donne essenzialmente legato alla prassi e, quindi, all’ambito etico e pratico. Per questo, Giulio de Martino e Marina Bruzzese hanno privilegiato gli aspetti concreti del pensiero delle autrici prese in considerazione, tralasciando le speculazioni prettamente teoretiche. Presupposto di fondo è, STUDIO comunque, la ricerca e l’individuazione del concetto di “autorità”, privato della connotazione tipicamente maschile della cultura occidentale. In altre parole, de Martino e Bruzzese, ispirati dalla filosofia della differenza, hanno voluto riportare la donna al senso di originarietà proprio dell’età antica, attraverso la voce di letterate e filosofe della storia del pensiero. Il volume è suddiviso in nove capitoli che affrontano, in ordine cronologico, la problematica femminile del mondo greco e romano, del mondo cristiano, dell’epoca medievale, dell’età moderna, del secolo barocco, del Romanticismo, dell’età moderna e di quella contemporanea. Ogni capitolo offre una panoramica storico-culturale che fornisce il quadro in cui inserire le autrici trattate, affrontate nelle loro biografia, nelle loro proposte teoriche e nella presentazione di alcuni brani esemplificativi. Chiude il volume una serie di schede didattiche riassuntive degli argomenti trattati. Nel mondo greco la donna rappresenta l’elemento di raccordo tra la metamorfosi e la generazione sessuale. Caratterizzata dunque da un aspetto mistico e religioso, la donna, agli albori della filosofia, vista come sintesi del pensiero logico, perde di autorità e viene relegata alla periferia della cultura. In età romana la donna riacquista un ruolo amministrativo ed educativo ma, a partire dall’età cristiana, diventa l’elemento di impurità e debolezza, facile al peccato. Dopo l’età medievale, in cui si nota un risveglio intellettuale femminile, basti pensare alla fervida attività nelle abbazie, si passa a descrivere l’età moderna caratterizzata dalla riforma protestante. È il momento delle donne letterate, come Mary Astell, che propongono un pensiero femminile e femminista. Nell’età barocca si assiste alla restaurazione cattolica e all’emergere di personaggi, come Madeline de Scudery, che esaltano il sentimentalismo e l’eroismo facile. È l’Illuminismo, comunque, a portare un risveglio generale nella filosofia femminile ad opera di personaggi come M.me de Lambert, con le sue opere pedagogiche, e Olympe de Goufes, con la sua Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine, scritta in piena Rivoluzione Francese. Dopo l’esperienza romantica, e qui spicca il nome di M.me de Stael, grande spazio è dedicato all’età moderna e contemporanea. Fino al 1945, la produzione di pensiero femminile è in mano a donne come Elizabeth Förster Nietzsche e l’amica Lou Andreas von Salomè, che riflettono nelle proprie lettere l’eco della filosofia di Friedrich Nietzsche, psicanaliste come Anna Freud e Melanie Klein, che affrontano lo studio dei bambini sottoposti ad analisi, pedagogiste come Maria Montessori, che trasporta la pedagogia in ambito psicologico. La parte finale del volume, dedicata all’età contemporanea, coglie gli elementi più significativi del pensiero della differenza. Dopo l’analisi del pensiero di Simone Weil e di Hannah Arendt, che rappresentano il pensiero pratico e di sinistra, opposto alla cultura reaziona- ria e teorica, ci si sofferma su Luce Irigary, la teorica del pensiero della differenza, in cui l’identità femminile viene ripensata a partire dalla sessualità. In opposizione a Freud e alla cultura del “padre”, Irigary propone il modello femminile, determinato dal desiderio e dall’apertura all’altro, non come prototipo maschile ma come “differenza” da cogliere sempre e comunque. A.S. ra cristiana e quella araba ed ebraica. Come il primo volume, anche questo si chiude con una raccolta di scritti critici, storici e scolastici, che hanno affrontato il Medio Evo, e con una serie di schede biobibliografiche che, in ordine alfabetico, percorrono le tappe principali dei filosofi trattati. A.S. Filosofia ellenistica Il Medioevo Circa un anno dopo l’apparsa del volume dedicato alla filosofia antica, è stato pubblicato, a cura di Pietro Rossi e Carlo A. Viano, il secondo volume con il titolo: STORIA DELLA FILOSOFIA. IL MEDIOEVO (Laterza, Bari-Roma 1995). Fedeli all’impostazione dell’opera, Pietro Rossi e Carlo A. Viano offrono in questo volume della loro Storia della filosofia, dedicato al Medioevo, una panoramica approfondita e dettagliata della tradizione filosofica medioevale che va al di là di ogni atteggiamento ideologico o finalistico. Gli eventi filosofici, infatti, sono proposti nel loro intrecciarsi e sovrapporsi senza dipendere in alcun modo da una chiave di lettura unitaria e ben definita. In questo modo, anche la storia, che accompagna l’esposizione del pensiero filosofico, diventa un racconto di fatti che si sviluppano senza dirigersi verso una meta prestabilita o, in ogni caso, senza realizzare lo sviluppo intrinseco dello spirito. Così il volume racconta i mille anni della filosofia medievale, a partire dai monasteri del 400 sino allo sviluppo scientifico del 1400, accompagnando le teorie filosofiche ai principali fatti storici che ne fanno da sfondo. Una particolarità del volume consiste nel taglio fondamentalmente laico che regola l’esposizione: i filosofi sono presentati nella loro sistematicità teorica che sostituisce l’inquadramento religioso, tipico di diversi manuali di filosofia medievale. In altre parole, personaggi come Anselmo o Tommaso vengono proposti nella loro elaborazione concettuale al di là della considerazione che l’ordine ecclesiastico, ad esempio nella loro beatificazione, ne ha in seguito proposto. La suddivisione del volume in capitoli segue un ordine cronologico scandito ora dagli argomenti, ora dai personaggi principali. Vediamo, così, diversi capitoli dedicati alle tematiche principali del Medio Evo, come la disputa sugli universali o la nascita delle università, insieme a capitoli monografici dedicati a Tommaso d’Aquino e a Guglielmo d’Ockham, considerati i pensatori di maggior spicco dell’età medievale. Rossi e Viano mostrano grande attenzione nei confronti di pensatori come Anselmo e Abelardo, di cui viene presentata anche una biografia; grande rilievo è dato inoltre all’incontro tra la cultu68 In Germania è stata pubblicata una storia della filosofia ellenistica, curata da Helmut Flashar. Con i suoi due corposi volumi, quest’opera, dal titolo: DIE ELLENISTISCHE PHILOSOPHIE. DIE PHILOSOPHIE DER ANTIKE IV (La filosofia ellenistica. Filosofia antica IV, Verlag Schwabe, Basilea 1994), offre una trattazione completa e analitica del pensiero filosofico ellenistico, aggiungendosi ai tre volumi già pubblicati nel contesto di un ampio progetto storico-filosofico dal titolo: GRUNDRISSE DER GESCHICHTE DER PHILISOPHIE. L’intento che guida questo nuovo studio sulla filosofia ellenistica è chiaramente quello di fornire un quadro oggettivo del mondo filosofico antico, attraverso la definizione parallela di scuole e singoli pensatori. I due volumi di cui l’opera consta abbracciano trecento anni di storia e rispettano i termini temporali dell’età ellenistica forniti da Droysen, che ne identificò gli esordi con la morte di Alessandro Magno e l’epilogo con la fase finale della Repubblica romana. La stessa interpretazione della cultura ellenistica come prima espressione della diffusione del concetto di “comunità spirituale”, al di là delle discriminazioni classiche tra greci e barbari, è il risultato del chiaro influsso di Droysen. Lo studio, che si caratterizza per un’organizzazione dei contenuti rigidamente sistematica, trova il suo motivo conduttore nel tema fondamentale della “trasmissione dell’insegnamento” dai singoli filosofi alle scuole e al di fuori di esse, nella consapevolezza che mai come nell’età ellenistica la filosofia ha influenzato in modo tanto determinante la storia dei popoli. Il testo si apre con la trattazione della figura di Epicuro ad opera di Michael Erler e prosegue offrendo un panorama variopinto e affascinante di scuole e pensatori più o meno noti. L’opera si conclude con uno studio su Cicerone, di cui sono autori Günter Gawlick e Waldemar Görler, nel quale ci si interroga sulle ragioni della fama del filosofo latino, che per secoli ha fatto parte del novero dei pensatori più letti e citati, pur non avendo formulato una dottrina originale. La risposta che i due autori forniscono si riallaccia alla dimensione fortemente storica del pensiero ellenistico : se Cicerone ha infatti goduto di così grande riconoscimento è innanzitutto perché ha contribuito a “fare” la storia, gli stati e le ideologie. L.R. RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi LA CULTURA Anno XXXII, n. 3, dicembre 1994 Il Mulino, Bologna Tempo ed esperienza, di G. Sasso: l’introduzione e i paragrafi conclusivi di uno studio di G. Sasso sul tempo, L’evento ed il divenire (di prossima pubblicazione presso Il Mulino di Bologna). Identità e indifferenza, di M. Visentin: verità e bene, principi fondativi della cultura occidentale, nel loro rapporto ed in relazione alla frattura determinata dal linguaggio; frattura emblematicamente raffigurata dalla cultura del nostro secolo. L’argomentazione confutativa, di S. Petrucciani: riflessioni su alcuni punti del pensiero di Apel e in particolare sulla sua rivisitazione trascendentalpragmatica dell’argomentazione confutativa di Aristotele. Scrittura autobiografica e filosofia della politica nei ‘Gesta Ottonis’ di Liutprando, di P. Garbini. Su due paragrafi (6-7) della ‘Textkritik’ maasiana, di G. Inglese. Giorgio Falco, la scelta e il periodizzamento, di G. Arnaldi. Edith Stein: l’apprendistato fenomenologico, di A. M. Pezzella: la formazione fenomenologica di Stein a Gottinga, dalla tesi di laurea sull’analisi dell’esperienza empatica alla comprensione della struttura della persona umana. Le questioni inedite. “Siena, biblioteca comunale degl’intronati, L XI 24”, contributo alla storia della posterità di Giovanni Capreolo (1), di P. Conforti. Il prologo al commento di Giobbe di San Tommaso d’Aquino, di C. Pandolfi. Genealogia e secolarizzazione. A proposito di Cielo e Terra di G. Marramao, di M. Fimiani: un’analisi dell’ultimo lavoro, pubblicato da Marramao. IRIDE Anno VII, n 13, dicembre 1994 Il Mulino, Bologna Perché il linguaggio è importante per l’intelligenza artificiale?, di M. Dascale: dopo aver analizzato alcune spiegazioni tipiche dell’importanza del linguaggio per l’intelligenza artificiale, l’articolo cerca di coglierne sia i fondamenti, sia le difficoltà. L’ermeneutica letteraria e i problemi della contestualizzazione, di M. Pagnini. AQUINAS Anno XXXVII, n. 3, settembre-dicembre 1994 Pontificia Università Lateranense, Roma Michael Walzer: teoria politica e critica sociale, un’intervista biografico-filosofica di Sergio Caruso. Per un servizio sapienziale della filosofia nella Chiesa, di M. Sánchez Sorondo. Seguono una serie di articoli che discutono il termine “liberaldemocrazia”: Dalla democrazia liberale al liberalismo democratico, di R. Bellamy; Liberaldemocrazia, di A. Davidson; Come difendersi dalle definizioni persuasive di “liberaldemocratico”?, di E. Lecaldano; Liberalismo e democrazia: cooperazione o conflitto?, di S. Veca. L’esilio ou-topico dell’etica: L. Wittgenstein, di P. Pellecchia: la centralità del problema etico in Wittgenstein. Virtù e comunità nella proposta di Alasdair MacIntyre. Due fondamenti per una teoria etica?, di E. Pariotti. Nostalgia e confusione, di M. A. Castro: la frattura nell’attuale cultura occidentale rispetto alle categorie di conoscenza e realtà. Il mondo è davvero indipendente dalla mia volontà, di A. Voltolini: alcuni temi fenomenologici e schopenhaueriani nel giovane Wittgenstein. Metafisica ed esistenza di Dio nel periodo precritico di Kant, di S. Nicolosi: nella fase precritica, riguardo al problema dell’esistenza di Dio Kant elabora una soluzione metafisica, la cui struttura logica appare formulata sulla falsariga di Cartesio. L’impossibilità del patriottismo costituzionale: una critica a Habermas, di E. J. Nimni: sull’impossibilità di tradurre in pratica le prescrizioni normative dell’idea dello Stato-nazione. Democrazia e filosofia: la loro radice comune, di F. Savater: versione ridotta della voce “democrazia” di un Dizionario filosofico, a cura dell’autore. 69 Potere femminile e politica: resoconto di un recente dibattito, tenutosi presso l’Istituto Gramsci Toscano. BOLLETTINO DEL CENTRO STUDI VICHIANI Anni XXIV-XXV, 1994-1995 Bibliopolis, Napoli Cinque esemplari postillati della Scienza Nuova, di D. Rotoli. I giganti in Vico, di R. Mazzola: la trattazione dei giganti in Vico come esempio di sovrapposizione tra il poeta e il filosofo. Vico e i “figliuoli di Dio”. Ricerche sui giganti nel ‘Diritto Universale’ e nella ‘Scienza Nuova Prima’, di L. Boschetto. Platone e Vico, di A. Tucker: una interpretazione della filosofia vichiana dal punto di vista platonico in merito a contenuti e modi del filosofare di Vico. Le epistole vichiane e la nascita dell’idea di scienza nuova, di M. Sanna. Sul Vico di Piovani, di C. Vasoli. RASSEGNA DELLE RIVISTE Natura umana e conoscenza storica in Vico. Sulle recenti “riletture” vichiane di Leon Pompa, di E. Nuzzo. Appunti di lettura sul cartesianesimo napoletano tra ‘600 e ‘700, di C. Cantillo. Giuliano Bajamonti, un vichiano dalmata, di S. Roic. Segue una serie di interventi sulla penetrazione del pensiero di Vico in Spagna. L’identità di uno ed essere nel commentario al Parmenide di Porfirio e la recezione in Vittorino, Boezio ed Agostino, di G. Girgenti: i frammenti di un commentario tardo-antico al Parmenide platonico attribuito a Porfirio, unico filosofo greco in cui i paradigmi della filosofia classica dell’henologia e dell’ontologia coincidono. Rilievi sulla traduzione del ‘De Aeternitate Mundi’ di Proclo in arabo, di C. Ghielmetti. Identità della metafisica e oblio dell’essere, di V. Possenti: la conoscenza dell’essere in J. Maritain. SEGNI E COMPRENSIONE Anno IX, n. 24, gennaio-aprile 1995 Capone Editore, Lecce Dialogo su Hjelmslev, di C. Caputo e A. Ponzio. Depressione: approccio antropo-fenomenologico al problema della terapia familiare, di L. Longhi e P. Verrienti. La comprensione della storia. La filosofia della storia nell’Italia del primo Ottocento, di A. Verri: la filosofia della storia in Italia, all’inizio del secolo scorso, all’interno della matrice filosofica vichiana che consente di delineare un filo conduttore organico e corente con la tradizione italiana dell’Umanesimo e del Rinascimento. Etiche e dominio di sé. Un confronto tra Adorno e Foucault, di S. Berni: il rapporto tra l’ultima fase del pensiero di Foucault e il pensiero francofortese in merito alla questione della razionalizzazione del passato come mezzo per la comprensione dell’attualità. L’articolo tenta di delineare i termini di un confronto all’interno dei concetti di soggetto, natura e anima-corpo. Le “occasioni filosofiche” di Ludwig Wittgenstein, di F. R. Recchia Luciani: revisione di alcune tematiche centrali del pensiero di Wittgenstein a partire dall’antologia recentemente apparsa negli Stati Uniti, Philosophical Occasions 1912-1951 (Indianapolis 1993). RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Anno LXXXVI, n. 4, ottobre-dicembre 1994 Vita e Pensiero, Milano Finito e infinito e l’idealismo della filosofia, di G. Movia: la terza parte del saggio dedicato all’essere determinato della logica hegeliana. DISCIPLINE FILOSOFICHE n. 1, 1994 FuoriThema, Bologna La rivista è suddivisa in due sezioni: la prima, “Hermeneutika”, è dedicata allo scritto di W. Benjamin, Sul concetto della storia (1939-1940), ultima opera del filosofo, pubblicato postumo nel 1950. Si tratta di uno scritto che non ha mai avuto un posto centrale nella letteratura critica dedicata a Benjamin, anche perché propone un’alleanza sincretica tra materialismo storico e teologia non facilmente accettabile. In realtà si tratta di uno scritto illuminante nella delineazione del dibattito politico e culturale alla vigilia del secondo conflitto mondiale e rappresenta anche un’interessante chiave di lettura per interpretare la crisi del marxismo attuale. Il presupposto teorico dello scritto è che la storia non è soltanto scienza, ma anche rammemorazione, che definisce il senso del legame e del continuo intersecarsi tra presente e passato. Importante anche la componente della teologia storica in merito alla questione della secolarizzazione. Nella sezione compaiono i seguenti articoli: Le tesi filosoficostoriche di W. Benjamin, di G. Kaiser; Materialismo storico o messianismo politico?, di R. Tiedemann; L’eccedenza del presente, di B. Moroncini; Redenzione del passato, di G. Bonola: sull’origine ed il senso delle metafore della salvezza in questo scritto di Benjamin; Motivi apocalittici e teologici dell’Eingedenken storico in Walter Benjamin , di B. Maj. Nella sezione “Phainomenologika” troviamo i seguenti saggi: Genesi e struttura dell’esperienza, di V. De Palma: l’analisi fenomenoloca dell’esperienza a partire dalle Lezioni sulla sintesi passiva di Husserl. L’ingresso nella contemporaneità, di E. Kiss: la filosofia di Brentano nel dibattito 1850-1870: essa può essere inquadrata all’interno di un modello fondato sulla cop70 pia concettuale “plausibilità” e “possibilità” e funge da tramite tra la filosofia austriaca e la contemporaneità. Rappresentare e giudicare, di R. Martinelli: l’origine ed il ruolo della dottrina degli oggetti intenzionali nella psicologia di Brentano. TEORIA Anno XIV, n. 2, 1994 ETS, Pisa Nel vivo dell’essere. Per un dialogo sull’ontologia, di R. De Monticelli: l’alternativa tra i due grandi progetti di ontologia del nostro secolo, il progetto della riduzione dell’ontologia a semantica logica e gli avversari di questa operazione. Wittgenstein, il linguaggio e l’interpretazione, di L. Perissinotto: l’atteggiamento di Wittgenstein verso l’interpretazione e l’interpretare, il nesso tra linguaggio ed interpretazione. L’ermeneutica e il trascendentale, di L. Cortella: la sostituzione operata dall’ermeneutica contemporanea del paradigma soggettivistico con quello linguistico ha posto la questione se l’ermeneutica possa raccogliere all’interno delle proprie coordinate teoriche l’eredità della filosofia trascendentale, dal momento che l’ermeneutica ha oggi definitivamente sostituito la categoria del trascendentale con uno “sfondo”, cioè una struttura non oggettivabile, che non può essere mai risolto in un sapere. Credere alle cose e credere agli dei. Teorie della credenza da Renouvier a Dukheim, di G. Paoletti. FILOSOFIA Anno XLV, n. 2, maggio-agosto 1994 Mursia, Milano Kierkegaard e l’ironia socratica, di G. Gallino: l’ironia esprime praticamente l’irriducibilità del singolo rispetto ad ogni tentativo di totalizzazione e conduce a riconsiderare i presupposti ed i fini della conoscenza stessa. Essa costituisce pertanto, configurandosi in termini di negatività, un monito contro l’ontologia e la dialettica ed un approdo, in Kierkegaard, verso la salvezza. L’iperrazionalismo di Oswald Spengler e l’interpretazione di Otto Neurath del tramonto dell’Occidente, di F. Ingravalle: la critica di Neurath all’opera principale di Spengler è metodologica ed è rivolta alla filosofia complessiva della storia di Spengler: la sua posizione viene accusata di RASSEGNA DELLE RIVISTE essere una forma di iperrazionalismo di stampo cartesiano. Libertà umana e dono ontologico. La penultima filosofia di Luigi Pareyson, di F. P. Ciglia. L’informe bergsoniano nella filosofia di Serres, di A. Delcò: la funzione delle immagini all’interno della concezione generale del linguaggio e dell’espressione in Bergson e l’incidenza di queste strutture in Serres. FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ Anno XVII, n. 1, 1994 Rosemberg & Sellier, Torino Il fascicolo è dedicato a Jürgen Habermas, di cui ricorre il sessantacinquesimo compleanno, in occasione del suo congedo dall’insegnamento accademico attivo. I saggi qui raccolti, tutti legati alla tradizione della teoria critica della società elaborata dalla Scuola di Francoforte, sono il frutto di un incontro e di un dibattito attivo dal 1990, il “Seminario permanente di teoria critica”. Per una razionalità pratica dialogica, di L. Cortella: le questioni fondamentali di etica contemporanea come superamento del paradigma etico moderno. Riflessioni critiche sull’etica del discorso, di A. Ferrara: le tappe del pensiero etico di Habermas e l’ambiguità non risolta dell’etica del discorso. Sfere di valore e conflitti: quale universalismo? Weber, Habermas e l’osservazione/ partecipazione dell’agire pratico, di M. Calloni. Habermas e la teoria dello sviluppo morale , di F. Andolfi: il contatto tra Habermas e le scienze psicologiche e sociali, in particolare Kohlberg, in merito ad una conferma scientifica dell’etica della comunicazione. Legittimità tramite legalità. L’innesto habermasiano della ragion pratica nel diritto positivo (Tanner Lectures), di L. Ceppa. L’etica dell’argomentazione di K. O. Apel: una presentazione ed alcune critiche, di V. Marzocchi: i punti centrali della proposta etica di Apel a partire dagli anni ’70 attraverso il processo di genesi. Sulla giustificazione razionale della norma etica, di S. Petrucciani: una ricostruzione del percorso argomentativo attraverso cui Apel ha proposto la tesi della fondazione razionale della norma etica. RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXVI, n. 1, aprile 1995 Il Mulino, Bologna Definire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, di J. Hintikka: la questione della verità nei problemi di linguaggio. L’olismo della credenza e l’olismo del significato: John Searle su “rete” e “sfondo”, di E. Lepore: la dottrina dell’olismo del significato, le sue implicazioni per la filosofia del linguaggio e della mente e le argomentazioni in proposito di Searle. Lo schiavo delle passioni, di J. P. Wright: la centralità della spiegazione humeana della ragione e delle passioni nelle discussioni posteriori sul rapporto tra religione e morale. Impressioni e idee sulla ventunesima “Hume Society Conference”, di F. Baroncelli: resoconto del convegno tenutosi a Roma il 20-24 giugno 1994. Denis Diderot e la “differenza”, di M. Brini Savorelli: Diderot e le donne. La figura di Federigo Enriques fra rivalutazione e deformazione, di L. Gallo. Per un’ermeneutica naturalistica: la critica di Hans Albert all’ermeneutica pura, di L. Cataldi Madonna: recensione di H. Albert, Kritik der reinen Hermeneutik. Das antirealismus und das Problem des Verstehens (Mohr, Tübingen 1994) QUADERNI SARDI DI FILOSOFIA, LETTERATURA E SCIENZE UMANE Anno I, n. 1, giugno-dicembre 1994 Dattena, Cagliari Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea, di A. Delogu: i temi di fondo della filosofia contemporanea aperti dalla prospettiva fenomenologica: il rapporto tra coscienza e mondo, l’esperienza, la soggettività, problemi etici e scientifici. Fondamenti della conoscenza. Inconscio e cognitivismo, di G. Nuvoli: il problema della conoscenza in un’ottica cognitivista. Problematiche fenomenologiche e operatività clinica ad orientamento fenomenologico in campo psichiatrico, di F. Mura. Identità e differenze, di G. Invitto: la prospettiva della “persona” dal punto di vista del pensiero della differenza sessuale, che tende a mettere in luce la diversità dei soggetti uomo-donna. La restaurazione creatrice di Augusto Del Noce, di G. Aliberti: le analisi storiografiche di Del Noce contenute in Rivoluzione, Risorgimento e Tradizione. Soggetti e valori. Per una filosofia della differenza, di M. Forcina: percorsi femminili in relazione ai valori. Le filosofie del circolo e la questione del chi? In Levinas, di C. Meazza. RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER Anno XLIX, n. 4, 1994 Franco Angeli, Milano n. 4, ottobre-dicembre 1994 PUF, Parigi Alessandro di Afrodisia, De Fato II-VI, in prospettiva aristotelica, di C. Natali: il problema del destino e il rapporto con lo stoicismo. L’exigence morale, di J. Granier: il progetto di una nuova fondazione della morale per guidare la ricostruzione dell’insieme dei valori. Iniziare con Spinoza. Errore e metodo nel ‘Tractatus De Intellectus Emendatione’, di L. Vinciguerra: il problema che pone questo trattato sul metodo di Spinoza è come, partendo dall’essere in errore, si possa giungere alla verità ed al vero bene. La posizione di Spinoza e la confutazione di Cartesio. Istants fondateurs et image de soi dans l’oeuvre de Proust, di J. L. VieillardBaron. Filosofia ebraica oggi, di G. Lissa. La technique et le temp, di J. P. Milet: pensare l’attualità della tecnica nelle sue dimensioni economica, sociale e politica e più generalmente culturale, come elemento che inquieta l’humanitas dell’uomo. L’ermetismo nei Lincei, di L. Boneschi: il ruolo dei Lincei in rapporto alla Rivoluzione scientifica e la presenza di elementi mutuati dalla cultura ermetica. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Vol. 92, n. 4, novembre 1994 Institut supérieur de philosophie Louvain La Neuve 71 RASSEGNA DELLE RIVISTE Tema della rivista: “La ricezione della Scuola di Kyoto in Europa”. zione dello spirito e ci si interroga sull’attualità di questo pensiero. Sur la personne et l’oeuvre de Hajime Tanabe, di J. Laube: l’articolo tenta di individuare il rapporto esistente tra il pensiero di Tanabe, secondo rappresentante della Scuola di Kyoto, e la fenomenologia di Husserl. La lecture du jurnal selon Hegel: “une sorte de prière du matin réaliste”?, di M. Bienenstock: prendendo le mosse dall’attenzione che Hegel porta sia all’evento particolare, sia allo speculativo, l’articolo tenta di chiarire il senso della sua attitudine per la storia e la politica attraverso l’esame di Note e frammenti di Jena (1803-1806). Nishida Kitarô, l’école de Kyoto et l’ultranationalisme, di P. Lavelle, la Scuola di Kyoto, Nishida e i suoi discepoli, pur mostrando da un lato un atteggiamento di collaborazione con il regime nazionalista e con l’idea di superiorità del Giappone e del suo dominio mondiale, dall’altro lato hanno resistito alle componenti più estreme e militariste di questo indirizzo. L’ontologie structurale et le dialogue des mondes, di H. Rombach: l’ontologia strutturale si oppone all’ontologia essenzialista della tradizione metafisica e segna l’abbandono dell’universalità astratta propria dell’antropologia filosofica classica a favore di un’antropologia concreta, fondante un’ontologia pluriforme. Tale ontologia strutturale sembra emergere all’interno della Scuola di Kyoto. Hegel et Schelling: critique du formalisme et prise en charge de la contingence, di J. M. Lardic: il rispetto del contingente è l’elemento che segna la differenza tra la dialettica ed il formalismo della costruzioneschellingiana. Ciò indica non solo l’allontanamento di Hegel da Schelling nel periodo jenese, ma rivela anche il sorgere dell’esigenza della distinzione dialettica tra infinito e natura finita, che emergerà con chiarezza nella Scienza della logica. Philosophia Perennis. Anton Dumitriu (1905-1992), di V. Ciomos. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES Ottobre-dicembre 1994 PUF, Parigi Milieu et logique du lieu chez Watsuji, di A. Berque: l’apporto del pensiero giapponese al progetto di “mesologia”. Système de l’amour et de la mort chez Dante, di B. Pinchard. Karl Löwith et le nihilisme japonais, di B. Stevens. Giordano Bruno et la théorie des liens, di T. Dagron: il tema dell’infinito e delle forme in Bruno. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 57, n. 4, ottobre-dicembre 1994 Beauchesne, Parigi Stanley Cavell. Au-delà du scepticisme, di C. Imbert: il filo rosso che percorre l’opera di Cavell, professore ad Harvard e figura eminente della filosofia americana, è l’evidenza di uno scetticismo moderno che ha avuto delle ricadute sull’arte americana e sul pensiero politico contemporaneo. Esthétique et pneumatologie philosophique chez Schleiermacher, di E. Brito: dopo aver esposto la concezione di Schleiermacher relativa al posto dell’estetica, disciplina critica, nel sistema delle scienze, e quello dell’arte, come simbolizzazione individuale, nella cornice dell’etica, viene analizzata la comprensione dell’arte da parte del filosofo come teoria della produzione e dell’espressione, come un’estetica dell’automanifesta- REVUE DE MÉTAPHYSIQUE ET DE MORALE Anno 99, n. 4, ottobre-dicembre 1994 Armand Colin, Parigi Tema della rivista: “La IV parte dell’Etica di Spinoza”. Le modèle de l’homme libre, di P. Temkine: il personaggio del saggio nella IV parte dell’Etica costituisce un modello di uomo libero, fondamentale in un percorso etico come manifestazione del desiderio stesso della ragione. Rôle et fonction des valeurs à l’origine des sociétés, di L. Pezzillo: la teoria razionale dello Stato in Spinoza e le connessioni con la realtà effettiva della natura umana. Éthique IV: les propositions 70 et 71, di P. Macherey: ragione e passioni in Spinoza. “Lieu”, Nishida, Nishitani, Derrida, di R. Elberfeld: questi tre autori, pur in modo differente, procedono in direzione del luogo della non-apparenza. Spontanéité et nature: le cas d’Andô Shôeki, di J. Joly. conduttore della sua riflessione politica sembra essere la questione: quale socialismo elabora il marxismo? Tema della rivista: “La filosofia italiana”. Vico, Hercule et le “principe héroïque” de l’histoire, di A. Pons: la figura di Ercole, centrale nell’ermeneutica mitologica della Scienza nuova. La philosophie de l’histoire en Italie dans la première moitié du XIX siècle, de Janelli a Cattaneo, di A. Verri. G. Gentile réformateur de la dialectique hégélienne, di E. Buissière: la riflessione su Hegel in La riforma della dialettica hegeliana rappresenta un possibile anello di congiunzione tra Gentile e le problematiche legate alla finitudine del soggetto proprie della filosofia contemporanea. Un’analisi che si pone in linea anche con la riflessione di Spaventa sulla logica hegeliana. Une pensée de l’ouverture. Luigi Pareyson, di R. Pineri. La philosophie politique de Norberto Bobbio ou un social-libéralisme tragique, di A. Tosel: il pensiero poltico di Bobbio non può essere semplicemente ricondotto ad una polemica con il marxismo nella versione gramsciana e togliattiana. Il filo 72 Les fondements d’une éthique de la similitude, di A. Matheron: le proposizioni 29-31 e corollari di Ethica IV. VIX (Éthique IV Appendice chapitre 7) ou peut-on se sauver tout seul?, di J. M. Beyssade. Le problème de la connaissance dans la doctrine philosophique de F. H. Jacobi (II), di L. Strauss. J. B. S. P. Vol. 25, n. 3, ottobre 1994 University of Manchester, Manchester Tema della rivista: “Heidegger”. Meaning and language in early Heidegger: from Duns Scotus to Being and Time, di M. Rampley: l’articolo mette in luce la genesi delle riflessioni sul significato di Essere e Tempo negli studi husserliani e nella lettura di Scoto. Philosophy of methodology in Heidegger’s ‘Die Idee der Philosophie und das Weltanschauungsproblem’ (1919), di Y. Fuchs: il comune sfondo di Heidegger e Carnap e la loro relazione con il dibattito neokantiano sull’indipendenza della forma logica dalle questioni metafisiche ed empiriche. The philosophic bases of Heidegger’s politics. A response to Wolin, di S. Sikka: Heidegger ed il nazismo. Gnothi Sauton: Heidegger’s problem ours, di N. K. Swazo. RASSEGNA DELLE RIVISTE Heidegger, early and late: the vanishing of the subject, di J. Hodge: la questione della soggettività è definitivamente sostituita in Heidegger da un’attenzione verso l’intenzionalità e l’ermeneutica. MAN AND WORLD Vol. 27, n. 4, ottobre 1994 Kluwer Academic Publishers, Dordrecht Postmodernism and contemporary italian philosophy, di H. J. Silverman: recensione di G. Borradori: Recoding Metaphysics: the new italian philosophy (Northwestern University Press, Evaston 1988). Wholes, parts and sequences in Aristotle, di D. J. Blyth: analisi di Metafisica, L, I (1069 a 19-21). Kant’s argument for causality in the second analogy, di G. Steinhoff. Prediction versus retrodiction in Mill, di Y. Steinitz: la tesi della pluralità delle cause in Mill in rapporto alla natura induttiva delle scienze. Capital punishment and the sanctity of life, di R. Holyer. DAIMON On the existential interpretation of human sciences , di D. Ginev: l’interpretazione esistenziale della scienza in Heidegger e la sua genesi ontologica a partire dall’essere umano. Synopsis of a theory of modernity, di J. A. Ibañez-Noé: un tentativo di sviluppare una prospettiva teoretica che unifichi i molteplici fenomeni della modernità; i concetti di libertà, soggetto ed oggetto, umanesimo, ragione, scienza, positivismo, scetticismo, illuminismo, filosofia tedesca. Nietzsche and Epicurus, di J. P. Vincenzo. Minded body/embodied mind, di G. J. Seidel: varie prospettive filosofiche attraverso cui si è cercato di risolvere la questione del rapporto anima-corpo. The philosophical framework of Sartre’s theory of the theater, di J. M. Edie. n. 8, 1994 Università de Murcia, Murcia Tiempo, verdad, y posibilidad en Aristóteles y la filosofía helenística, di H. Weidemann: tempo, verità e possibilità in Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Diodoro Crono. Agostino Steuco y la perennis philosophia. Sobre algunos aspectos y dificultades de la concordia entre prisca theologia y cristianismo, di M. A. Granada: analisi dello scritto principale di Steuco, pubblicato nel 1540, in cui viene sviluppato il programma ficiniano di accordo dottrinale tra prisca theologia e Cristianesimo. La ontología de Lessing y la metáforas de la deshumanización, di A. Andreu: analisi dell’ontologia sociale del Nathan il saggio di Lessing. Le problematiche sono qui affrontate attraverso metafore, in forma di parabole o allegorie. Aquí y ahora, desde la hermenéutica, di F. Duque. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXIV, n. 4, dicembre 1994 Fordham University, New York Merleau-Ponty’s view of creativity and its philosophical consequences, di W. S. Hamrich. La unidad interna del saber en G. Kalinowski, di M. Ballester: analisi in prospettiva genetica del pensiero di Kalinowski, in particolare del passagio tra logica e matafisica. Química y salvacíon, di J. L. Villacañas. Meta-química, estética e iluminación, di E. Ocaña. AXIOMATHES (Anno V, n. 1, aprile 1994, Il Poligrafo, Padova) presenta un fascicolo monografico dal titolo: “Mereologies”. Il fascicolo successivo (n. 2-3, dicembre 1994) presenta il titolo: “European cities and the birth of modern scientific philosophy”, in cui segnaliano, tra gli altri, l’articolo di L. Dappiano, L’idealismo di Oxbridge tra Lotze e Meinong. A proposito delle origini della filosofia analitica. Figura inoltre la pubblicazione dei Dettati sul tempo di Brentano. PER LA FILOSOFIA (Anno XI, n. 32, set- tembre-dicembre 1994, Massimo, Milano) presenta un fascicolo monografico sul tema: “La riscoperta della natura”; segnaliamo, tra gli altri, l’articolo di G. Nicolaci, L’idea di natura tra Heidegger ed Aristotele, incentrato sull’analisi del seminario heideggeriano del 1940, Sul concetto e l’essenza della physis, in cui il problema della natura diventa l’occasione di ripensare il senso e la possibilità della metafisica. Figura inoltre l’articolo: Natura umana e storia in Vico, di U. Galeazzi. TEMPO PRESENTE (n. 166, ottobre 1994) presenta un intervento di A. G. Sabatini dal titolo 15 ottobre 1844: e Dio creò Nietzsche, breve celebrazione del filosofo in occasione dell’anniversario della nascita. IL CORPO (Anno I, n. 2, marzo 1994) Acerca del conflicto entre los discursos “Metafísico”, “Postmetafísico” y “Teológico”, di L. S. Rueda: analizzando tre modi di pensare tipici del pensiero contemporaneo, l’articolo prende in esame in particolare gli argomenti di Habermas e Apel in favore del pensiero postmetafisico e le reazione nell’ambito della teologia. Does knowledge entail justification, di L. S. Carrier: il problema della giustificazione della conoscenza nell’epistemologia contemporanea. Explicando la explicacíon, di A. J. Diéguez: analisi e valutazione dei principali modelli di spiegazione scientifica. Langer, language and art, di J. H. Gill: la filosofia dell’arte di Suzanne Langer e la distinzione fondamentale tra la natura e la funzione del linguaggio e dell’arte. Metáfora literaria y conocimiento, di E. Romero Gonzáles, l’intento dell’articolo è di dimostrare che le metafore in letteratura hanno una finalità cognitiva. A taste of Medeleine: notes towards a philosophy of place , di J. Malpas: la tematica del luogo in Proust e Bachelard. Inconmensurabilidad empírica. Un enfoque macrológico, di E. Moya Cantero: riflessione sulle implicazioni del concetto di “rivoluzioni scientifiche”, oggetto delle analisi di Kuhn. 73 ribadisce in questo secondo fascicolo l’intento di fare del corpo, per la sua capacità di andare oltre l’ambito delineato dalla ragione, il suo bisogno di contatto con l’alterità, il suo produrre costantemente senso, un’area di lavoro in cui si colloca la collaborazione tra sociologi, storici, psicoanalisti, filosofi, antropologi, letterati. Il corpo diventa così anche la metafora dell’intersecarsi dei campi del sapere, al di là delle chiusure dei vari ambiti di studio propri delle scienze umane. Il presente fascicolo pubblica la trascrizione della registrazione del suicidio collettivo di Jonestown (18 novembre 1978). FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VII, n. 3, settembre-dicembre 1994, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un fascicolo monografico dal titolo: “Simone Weil. Verità religiosa e vita profana”. Contiene anche un saggio della stessa Weil dal titolo: I tre figli di Noè e la storia della civiltà mediterranea. RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi LA CULTURA Anno XXXII, n. 3, dicembre 1994 Il Mulino, Bologna Tempo ed esperienza, di G. Sasso: l’introduzione e i paragrafi conclusivi di uno studio di G. Sasso sul tempo, L’evento ed il divenire (di prossima pubblicazione presso Il Mulino di Bologna). Identità e indifferenza, di M. Visentin: verità e bene, principi fondativi della cultura occidentale, nel loro rapporto ed in relazione alla frattura determinata dal linguaggio; frattura emblematicamente raffigurata dalla cultura del nostro secolo. L’argomentazione confutativa, di S. Petrucciani: riflessioni su alcuni punti del pensiero di Apel e in particolare sulla sua rivisitazione trascendentalpragmatica dell’argomentazione confutativa di Aristotele. Scrittura autobiografica e filosofia della politica nei ‘Gesta Ottonis’ di Liutprando, di P. Garbini. Su due paragrafi (6-7) della ‘Textkritik’ maasiana, di G. Inglese. Giorgio Falco, la scelta e il periodizzamento, di G. Arnaldi. Edith Stein: l’apprendistato fenomenologico, di A. M. Pezzella: la formazione fenomenologica di Stein a Gottinga, dalla tesi di laurea sull’analisi dell’esperienza empatica alla comprensione della struttura della persona umana. Le questioni inedite. “Siena, biblioteca comunale degl’intronati, L XI 24”, contributo alla storia della posterità di Giovanni Capreolo (1), di P. Conforti. Il prologo al commento di Giobbe di San Tommaso d’Aquino, di C. Pandolfi. Genealogia e secolarizzazione. A proposito di Cielo e Terra di G. Marramao, di M. Fimiani: un’analisi dell’ultimo lavoro, pubblicato da Marramao. IRIDE Anno VII, n 13, dicembre 1994 Il Mulino, Bologna Perché il linguaggio è importante per l’intelligenza artificiale?, di M. Dascale: dopo aver analizzato alcune spiegazioni tipiche dell’importanza del linguaggio per l’intelligenza artificiale, l’articolo cerca di coglierne sia i fondamenti, sia le difficoltà. L’ermeneutica letteraria e i problemi della contestualizzazione, di M. Pagnini. AQUINAS Anno XXXVII, n. 3, settembre-dicembre 1994 Pontificia Università Lateranense, Roma Michael Walzer: teoria politica e critica sociale, un’intervista biografico-filosofica di Sergio Caruso. Per un servizio sapienziale della filosofia nella Chiesa, di M. Sánchez Sorondo. Seguono una serie di articoli che discutono il termine “liberaldemocrazia”: Dalla democrazia liberale al liberalismo democratico, di R. Bellamy; Liberaldemocrazia, di A. Davidson; Come difendersi dalle definizioni persuasive di “liberaldemocratico”?, di E. Lecaldano; Liberalismo e democrazia: cooperazione o conflitto?, di S. Veca. L’esilio ou-topico dell’etica: L. Wittgenstein, di P. Pellecchia: la centralità del problema etico in Wittgenstein. Virtù e comunità nella proposta di Alasdair MacIntyre. Due fondamenti per una teoria etica?, di E. Pariotti. Nostalgia e confusione, di M. A. Castro: la frattura nell’attuale cultura occidentale rispetto alle categorie di conoscenza e realtà. Il mondo è davvero indipendente dalla mia volontà, di A. Voltolini: alcuni temi fenomenologici e schopenhaueriani nel giovane Wittgenstein. Metafisica ed esistenza di Dio nel periodo precritico di Kant, di S. Nicolosi: nella fase precritica, riguardo al problema dell’esistenza di Dio Kant elabora una soluzione metafisica, la cui struttura logica appare formulata sulla falsariga di Cartesio. L’impossibilità del patriottismo costituzionale: una critica a Habermas, di E. J. Nimni: sull’impossibilità di tradurre in pratica le prescrizioni normative dell’idea dello Stato-nazione. Democrazia e filosofia: la loro radice comune, di F. Savater: versione ridotta della voce “democrazia” di un Dizionario filosofico, a cura dell’autore. 69 Potere femminile e politica: resoconto di un recente dibattito, tenutosi presso l’Istituto Gramsci Toscano. BOLLETTINO DEL CENTRO STUDI VICHIANI Anni XXIV-XXV, 1994-1995 Bibliopolis, Napoli Cinque esemplari postillati della Scienza Nuova, di D. Rotoli. I giganti in Vico, di R. Mazzola: la trattazione dei giganti in Vico come esempio di sovrapposizione tra il poeta e il filosofo. Vico e i “figliuoli di Dio”. Ricerche sui giganti nel ‘Diritto Universale’ e nella ‘Scienza Nuova Prima’, di L. Boschetto. Platone e Vico, di A. Tucker: una interpretazione della filosofia vichiana dal punto di vista platonico in merito a contenuti e modi del filosofare di Vico. Le epistole vichiane e la nascita dell’idea di scienza nuova, di M. Sanna. Sul Vico di Piovani, di C. Vasoli. RASSEGNA DELLE RIVISTE Natura umana e conoscenza storica in Vico. Sulle recenti “riletture” vichiane di Leon Pompa, di E. Nuzzo. Appunti di lettura sul cartesianesimo napoletano tra ‘600 e ‘700, di C. Cantillo. Giuliano Bajamonti, un vichiano dalmata, di S. Roic. Segue una serie di interventi sulla penetrazione del pensiero di Vico in Spagna. L’identità di uno ed essere nel commentario al Parmenide di Porfirio e la recezione in Vittorino, Boezio ed Agostino, di G. Girgenti: i frammenti di un commentario tardo-antico al Parmenide platonico attribuito a Porfirio, unico filosofo greco in cui i paradigmi della filosofia classica dell’henologia e dell’ontologia coincidono. Rilievi sulla traduzione del ‘De Aeternitate Mundi’ di Proclo in arabo, di C. Ghielmetti. Identità della metafisica e oblio dell’essere, di V. Possenti: la conoscenza dell’essere in J. Maritain. SEGNI E COMPRENSIONE Anno IX, n. 24, gennaio-aprile 1995 Capone Editore, Lecce Dialogo su Hjelmslev, di C. Caputo e A. Ponzio. Depressione: approccio antropo-fenomenologico al problema della terapia familiare, di L. Longhi e P. Verrienti. La comprensione della storia. La filosofia della storia nell’Italia del primo Ottocento, di A. Verri: la filosofia della storia in Italia, all’inizio del secolo scorso, all’interno della matrice filosofica vichiana che consente di delineare un filo conduttore organico e corente con la tradizione italiana dell’Umanesimo e del Rinascimento. Etiche e dominio di sé. Un confronto tra Adorno e Foucault, di S. Berni: il rapporto tra l’ultima fase del pensiero di Foucault e il pensiero francofortese in merito alla questione della razionalizzazione del passato come mezzo per la comprensione dell’attualità. L’articolo tenta di delineare i termini di un confronto all’interno dei concetti di soggetto, natura e anima-corpo. Le “occasioni filosofiche” di Ludwig Wittgenstein, di F. R. Recchia Luciani: revisione di alcune tematiche centrali del pensiero di Wittgenstein a partire dall’antologia recentemente apparsa negli Stati Uniti, Philosophical Occasions 1912-1951 (Indianapolis 1993). RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Anno LXXXVI, n. 4, ottobre-dicembre 1994 Vita e Pensiero, Milano Finito e infinito e l’idealismo della filosofia, di G. Movia: la terza parte del saggio dedicato all’essere determinato della logica hegeliana. DISCIPLINE FILOSOFICHE n. 1, 1994 FuoriThema, Bologna La rivista è suddivisa in due sezioni: la prima, “Hermeneutika”, è dedicata allo scritto di W. Benjamin, Sul concetto della storia (1939-1940), ultima opera del filosofo, pubblicato postumo nel 1950. Si tratta di uno scritto che non ha mai avuto un posto centrale nella letteratura critica dedicata a Benjamin, anche perché propone un’alleanza sincretica tra materialismo storico e teologia non facilmente accettabile. In realtà si tratta di uno scritto illuminante nella delineazione del dibattito politico e culturale alla vigilia del secondo conflitto mondiale e rappresenta anche un’interessante chiave di lettura per interpretare la crisi del marxismo attuale. Il presupposto teorico dello scritto è che la storia non è soltanto scienza, ma anche rammemorazione, che definisce il senso del legame e del continuo intersecarsi tra presente e passato. Importante anche la componente della teologia storica in merito alla questione della secolarizzazione. Nella sezione compaiono i seguenti articoli: Le tesi filosoficostoriche di W. Benjamin, di G. Kaiser; Materialismo storico o messianismo politico?, di R. Tiedemann; L’eccedenza del presente, di B. Moroncini; Redenzione del passato, di G. Bonola: sull’origine ed il senso delle metafore della salvezza in questo scritto di Benjamin; Motivi apocalittici e teologici dell’Eingedenken storico in Walter Benjamin , di B. Maj. Nella sezione “Phainomenologika” troviamo i seguenti saggi: Genesi e struttura dell’esperienza, di V. De Palma: l’analisi fenomenoloca dell’esperienza a partire dalle Lezioni sulla sintesi passiva di Husserl. L’ingresso nella contemporaneità, di E. Kiss: la filosofia di Brentano nel dibattito 1850-1870: essa può essere inquadrata all’interno di un modello fondato sulla cop70 pia concettuale “plausibilità” e “possibilità” e funge da tramite tra la filosofia austriaca e la contemporaneità. Rappresentare e giudicare, di R. Martinelli: l’origine ed il ruolo della dottrina degli oggetti intenzionali nella psicologia di Brentano. TEORIA Anno XIV, n. 2, 1994 ETS, Pisa Nel vivo dell’essere. Per un dialogo sull’ontologia, di R. De Monticelli: l’alternativa tra i due grandi progetti di ontologia del nostro secolo, il progetto della riduzione dell’ontologia a semantica logica e gli avversari di questa operazione. Wittgenstein, il linguaggio e l’interpretazione, di L. Perissinotto: l’atteggiamento di Wittgenstein verso l’interpretazione e l’interpretare, il nesso tra linguaggio ed interpretazione. L’ermeneutica e il trascendentale, di L. Cortella: la sostituzione operata dall’ermeneutica contemporanea del paradigma soggettivistico con quello linguistico ha posto la questione se l’ermeneutica possa raccogliere all’interno delle proprie coordinate teoriche l’eredità della filosofia trascendentale, dal momento che l’ermeneutica ha oggi definitivamente sostituito la categoria del trascendentale con uno “sfondo”, cioè una struttura non oggettivabile, che non può essere mai risolto in un sapere. Credere alle cose e credere agli dei. Teorie della credenza da Renouvier a Dukheim, di G. Paoletti. FILOSOFIA Anno XLV, n. 2, maggio-agosto 1994 Mursia, Milano Kierkegaard e l’ironia socratica, di G. Gallino: l’ironia esprime praticamente l’irriducibilità del singolo rispetto ad ogni tentativo di totalizzazione e conduce a riconsiderare i presupposti ed i fini della conoscenza stessa. Essa costituisce pertanto, configurandosi in termini di negatività, un monito contro l’ontologia e la dialettica ed un approdo, in Kierkegaard, verso la salvezza. L’iperrazionalismo di Oswald Spengler e l’interpretazione di Otto Neurath del tramonto dell’Occidente, di F. Ingravalle: la critica di Neurath all’opera principale di Spengler è metodologica ed è rivolta alla filosofia complessiva della storia di Spengler: la sua posizione viene accusata di RASSEGNA DELLE RIVISTE essere una forma di iperrazionalismo di stampo cartesiano. Libertà umana e dono ontologico. La penultima filosofia di Luigi Pareyson, di F. P. Ciglia. L’informe bergsoniano nella filosofia di Serres, di A. Delcò: la funzione delle immagini all’interno della concezione generale del linguaggio e dell’espressione in Bergson e l’incidenza di queste strutture in Serres. FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ Anno XVII, n. 1, 1994 Rosemberg & Sellier, Torino Il fascicolo è dedicato a Jürgen Habermas, di cui ricorre il sessantacinquesimo compleanno, in occasione del suo congedo dall’insegnamento accademico attivo. I saggi qui raccolti, tutti legati alla tradizione della teoria critica della società elaborata dalla Scuola di Francoforte, sono il frutto di un incontro e di un dibattito attivo dal 1990, il “Seminario permanente di teoria critica”. Per una razionalità pratica dialogica, di L. Cortella: le questioni fondamentali di etica contemporanea come superamento del paradigma etico moderno. Riflessioni critiche sull’etica del discorso, di A. Ferrara: le tappe del pensiero etico di Habermas e l’ambiguità non risolta dell’etica del discorso. Sfere di valore e conflitti: quale universalismo? Weber, Habermas e l’osservazione/ partecipazione dell’agire pratico, di M. Calloni. Habermas e la teoria dello sviluppo morale , di F. Andolfi: il contatto tra Habermas e le scienze psicologiche e sociali, in particolare Kohlberg, in merito ad una conferma scientifica dell’etica della comunicazione. Legittimità tramite legalità. L’innesto habermasiano della ragion pratica nel diritto positivo (Tanner Lectures), di L. Ceppa. L’etica dell’argomentazione di K. O. Apel: una presentazione ed alcune critiche, di V. Marzocchi: i punti centrali della proposta etica di Apel a partire dagli anni ’70 attraverso il processo di genesi. Sulla giustificazione razionale della norma etica, di S. Petrucciani: una ricostruzione del percorso argomentativo attraverso cui Apel ha proposto la tesi della fondazione razionale della norma etica. RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXVI, n. 1, aprile 1995 Il Mulino, Bologna Definire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, di J. Hintikka: la questione della verità nei problemi di linguaggio. L’olismo della credenza e l’olismo del significato: John Searle su “rete” e “sfondo”, di E. Lepore: la dottrina dell’olismo del significato, le sue implicazioni per la filosofia del linguaggio e della mente e le argomentazioni in proposito di Searle. Lo schiavo delle passioni, di J. P. Wright: la centralità della spiegazione humeana della ragione e delle passioni nelle discussioni posteriori sul rapporto tra religione e morale. Impressioni e idee sulla ventunesima “Hume Society Conference”, di F. Baroncelli: resoconto del convegno tenutosi a Roma il 20-24 giugno 1994. Denis Diderot e la “differenza”, di M. Brini Savorelli: Diderot e le donne. La figura di Federigo Enriques fra rivalutazione e deformazione, di L. Gallo. Per un’ermeneutica naturalistica: la critica di Hans Albert all’ermeneutica pura, di L. Cataldi Madonna: recensione di H. Albert, Kritik der reinen Hermeneutik. Das antirealismus und das Problem des Verstehens (Mohr, Tübingen 1994) QUADERNI SARDI DI FILOSOFIA, LETTERATURA E SCIENZE UMANE Anno I, n. 1, giugno-dicembre 1994 Dattena, Cagliari Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea, di A. Delogu: i temi di fondo della filosofia contemporanea aperti dalla prospettiva fenomenologica: il rapporto tra coscienza e mondo, l’esperienza, la soggettività, problemi etici e scientifici. Fondamenti della conoscenza. Inconscio e cognitivismo, di G. Nuvoli: il problema della conoscenza in un’ottica cognitivista. Problematiche fenomenologiche e operatività clinica ad orientamento fenomenologico in campo psichiatrico, di F. Mura. Identità e differenze, di G. Invitto: la prospettiva della “persona” dal punto di vista del pensiero della differenza sessuale, che tende a mettere in luce la diversità dei soggetti uomo-donna. La restaurazione creatrice di Augusto Del Noce, di G. Aliberti: le analisi storiografiche di Del Noce contenute in Rivoluzione, Risorgimento e Tradizione. Soggetti e valori. Per una filosofia della differenza, di M. Forcina: percorsi femminili in relazione ai valori. Le filosofie del circolo e la questione del chi? In Levinas, di C. Meazza. RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER Anno XLIX, n. 4, 1994 Franco Angeli, Milano n. 4, ottobre-dicembre 1994 PUF, Parigi Alessandro di Afrodisia, De Fato II-VI, in prospettiva aristotelica, di C. Natali: il problema del destino e il rapporto con lo stoicismo. L’exigence morale, di J. Granier: il progetto di una nuova fondazione della morale per guidare la ricostruzione dell’insieme dei valori. Iniziare con Spinoza. Errore e metodo nel ‘Tractatus De Intellectus Emendatione’, di L. Vinciguerra: il problema che pone questo trattato sul metodo di Spinoza è come, partendo dall’essere in errore, si possa giungere alla verità ed al vero bene. La posizione di Spinoza e la confutazione di Cartesio. Istants fondateurs et image de soi dans l’oeuvre de Proust, di J. L. VieillardBaron. Filosofia ebraica oggi, di G. Lissa. La technique et le temp, di J. P. Milet: pensare l’attualità della tecnica nelle sue dimensioni economica, sociale e politica e più generalmente culturale, come elemento che inquieta l’humanitas dell’uomo. L’ermetismo nei Lincei, di L. Boneschi: il ruolo dei Lincei in rapporto alla Rivoluzione scientifica e la presenza di elementi mutuati dalla cultura ermetica. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Vol. 92, n. 4, novembre 1994 Institut supérieur de philosophie Louvain La Neuve 71 RASSEGNA DELLE RIVISTE Tema della rivista: “La ricezione della Scuola di Kyoto in Europa”. zione dello spirito e ci si interroga sull’attualità di questo pensiero. Sur la personne et l’oeuvre de Hajime Tanabe, di J. Laube: l’articolo tenta di individuare il rapporto esistente tra il pensiero di Tanabe, secondo rappresentante della Scuola di Kyoto, e la fenomenologia di Husserl. La lecture du jurnal selon Hegel: “une sorte de prière du matin réaliste”?, di M. Bienenstock: prendendo le mosse dall’attenzione che Hegel porta sia all’evento particolare, sia allo speculativo, l’articolo tenta di chiarire il senso della sua attitudine per la storia e la politica attraverso l’esame di Note e frammenti di Jena (1803-1806). Nishida Kitarô, l’école de Kyoto et l’ultranationalisme, di P. Lavelle, la Scuola di Kyoto, Nishida e i suoi discepoli, pur mostrando da un lato un atteggiamento di collaborazione con il regime nazionalista e con l’idea di superiorità del Giappone e del suo dominio mondiale, dall’altro lato hanno resistito alle componenti più estreme e militariste di questo indirizzo. L’ontologie structurale et le dialogue des mondes, di H. Rombach: l’ontologia strutturale si oppone all’ontologia essenzialista della tradizione metafisica e segna l’abbandono dell’universalità astratta propria dell’antropologia filosofica classica a favore di un’antropologia concreta, fondante un’ontologia pluriforme. Tale ontologia strutturale sembra emergere all’interno della Scuola di Kyoto. Hegel et Schelling: critique du formalisme et prise en charge de la contingence, di J. M. Lardic: il rispetto del contingente è l’elemento che segna la differenza tra la dialettica ed il formalismo della costruzioneschellingiana. Ciò indica non solo l’allontanamento di Hegel da Schelling nel periodo jenese, ma rivela anche il sorgere dell’esigenza della distinzione dialettica tra infinito e natura finita, che emergerà con chiarezza nella Scienza della logica. Philosophia Perennis. Anton Dumitriu (1905-1992), di V. Ciomos. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES Ottobre-dicembre 1994 PUF, Parigi Milieu et logique du lieu chez Watsuji, di A. Berque: l’apporto del pensiero giapponese al progetto di “mesologia”. Système de l’amour et de la mort chez Dante, di B. Pinchard. Karl Löwith et le nihilisme japonais, di B. Stevens. Giordano Bruno et la théorie des liens, di T. Dagron: il tema dell’infinito e delle forme in Bruno. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 57, n. 4, ottobre-dicembre 1994 Beauchesne, Parigi Stanley Cavell. Au-delà du scepticisme, di C. Imbert: il filo rosso che percorre l’opera di Cavell, professore ad Harvard e figura eminente della filosofia americana, è l’evidenza di uno scetticismo moderno che ha avuto delle ricadute sull’arte americana e sul pensiero politico contemporaneo. Esthétique et pneumatologie philosophique chez Schleiermacher, di E. Brito: dopo aver esposto la concezione di Schleiermacher relativa al posto dell’estetica, disciplina critica, nel sistema delle scienze, e quello dell’arte, come simbolizzazione individuale, nella cornice dell’etica, viene analizzata la comprensione dell’arte da parte del filosofo come teoria della produzione e dell’espressione, come un’estetica dell’automanifesta- REVUE DE MÉTAPHYSIQUE ET DE MORALE Anno 99, n. 4, ottobre-dicembre 1994 Armand Colin, Parigi Tema della rivista: “La IV parte dell’Etica di Spinoza”. Le modèle de l’homme libre, di P. Temkine: il personaggio del saggio nella IV parte dell’Etica costituisce un modello di uomo libero, fondamentale in un percorso etico come manifestazione del desiderio stesso della ragione. Rôle et fonction des valeurs à l’origine des sociétés, di L. Pezzillo: la teoria razionale dello Stato in Spinoza e le connessioni con la realtà effettiva della natura umana. Éthique IV: les propositions 70 et 71, di P. Macherey: ragione e passioni in Spinoza. “Lieu”, Nishida, Nishitani, Derrida, di R. Elberfeld: questi tre autori, pur in modo differente, procedono in direzione del luogo della non-apparenza. Spontanéité et nature: le cas d’Andô Shôeki, di J. Joly. conduttore della sua riflessione politica sembra essere la questione: quale socialismo elabora il marxismo? Tema della rivista: “La filosofia italiana”. Vico, Hercule et le “principe héroïque” de l’histoire, di A. Pons: la figura di Ercole, centrale nell’ermeneutica mitologica della Scienza nuova. La philosophie de l’histoire en Italie dans la première moitié du XIX siècle, de Janelli a Cattaneo, di A. Verri. G. Gentile réformateur de la dialectique hégélienne, di E. Buissière: la riflessione su Hegel in La riforma della dialettica hegeliana rappresenta un possibile anello di congiunzione tra Gentile e le problematiche legate alla finitudine del soggetto proprie della filosofia contemporanea. Un’analisi che si pone in linea anche con la riflessione di Spaventa sulla logica hegeliana. Une pensée de l’ouverture. Luigi Pareyson, di R. Pineri. La philosophie politique de Norberto Bobbio ou un social-libéralisme tragique, di A. Tosel: il pensiero poltico di Bobbio non può essere semplicemente ricondotto ad una polemica con il marxismo nella versione gramsciana e togliattiana. Il filo 72 Les fondements d’une éthique de la similitude, di A. Matheron: le proposizioni 29-31 e corollari di Ethica IV. VIX (Éthique IV Appendice chapitre 7) ou peut-on se sauver tout seul?, di J. M. Beyssade. Le problème de la connaissance dans la doctrine philosophique de F. H. Jacobi (II), di L. Strauss. J. B. S. P. Vol. 25, n. 3, ottobre 1994 University of Manchester, Manchester Tema della rivista: “Heidegger”. Meaning and language in early Heidegger: from Duns Scotus to Being and Time, di M. Rampley: l’articolo mette in luce la genesi delle riflessioni sul significato di Essere e Tempo negli studi husserliani e nella lettura di Scoto. Philosophy of methodology in Heidegger’s ‘Die Idee der Philosophie und das Weltanschauungsproblem’ (1919), di Y. Fuchs: il comune sfondo di Heidegger e Carnap e la loro relazione con il dibattito neokantiano sull’indipendenza della forma logica dalle questioni metafisiche ed empiriche. The philosophic bases of Heidegger’s politics. A response to Wolin, di S. Sikka: Heidegger ed il nazismo. Gnothi Sauton: Heidegger’s problem ours, di N. K. Swazo. RASSEGNA DELLE RIVISTE Heidegger, early and late: the vanishing of the subject, di J. Hodge: la questione della soggettività è definitivamente sostituita in Heidegger da un’attenzione verso l’intenzionalità e l’ermeneutica. MAN AND WORLD Vol. 27, n. 4, ottobre 1994 Kluwer Academic Publishers, Dordrecht Postmodernism and contemporary italian philosophy, di H. J. Silverman: recensione di G. Borradori: Recoding Metaphysics: the new italian philosophy (Northwestern University Press, Evaston 1988). Wholes, parts and sequences in Aristotle, di D. J. Blyth: analisi di Metafisica, L, I (1069 a 19-21). Kant’s argument for causality in the second analogy, di G. Steinhoff. Prediction versus retrodiction in Mill, di Y. Steinitz: la tesi della pluralità delle cause in Mill in rapporto alla natura induttiva delle scienze. Capital punishment and the sanctity of life, di R. Holyer. DAIMON On the existential interpretation of human sciences , di D. Ginev: l’interpretazione esistenziale della scienza in Heidegger e la sua genesi ontologica a partire dall’essere umano. Synopsis of a theory of modernity, di J. A. Ibañez-Noé: un tentativo di sviluppare una prospettiva teoretica che unifichi i molteplici fenomeni della modernità; i concetti di libertà, soggetto ed oggetto, umanesimo, ragione, scienza, positivismo, scetticismo, illuminismo, filosofia tedesca. Nietzsche and Epicurus, di J. P. Vincenzo. Minded body/embodied mind, di G. J. Seidel: varie prospettive filosofiche attraverso cui si è cercato di risolvere la questione del rapporto anima-corpo. The philosophical framework of Sartre’s theory of the theater, di J. M. Edie. n. 8, 1994 Università de Murcia, Murcia Tiempo, verdad, y posibilidad en Aristóteles y la filosofía helenística, di H. Weidemann: tempo, verità e possibilità in Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Diodoro Crono. Agostino Steuco y la perennis philosophia. Sobre algunos aspectos y dificultades de la concordia entre prisca theologia y cristianismo, di M. A. Granada: analisi dello scritto principale di Steuco, pubblicato nel 1540, in cui viene sviluppato il programma ficiniano di accordo dottrinale tra prisca theologia e Cristianesimo. La ontología de Lessing y la metáforas de la deshumanización, di A. Andreu: analisi dell’ontologia sociale del Nathan il saggio di Lessing. Le problematiche sono qui affrontate attraverso metafore, in forma di parabole o allegorie. Aquí y ahora, desde la hermenéutica, di F. Duque. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXIV, n. 4, dicembre 1994 Fordham University, New York Merleau-Ponty’s view of creativity and its philosophical consequences, di W. S. Hamrich. La unidad interna del saber en G. Kalinowski, di M. Ballester: analisi in prospettiva genetica del pensiero di Kalinowski, in particolare del passagio tra logica e matafisica. Química y salvacíon, di J. L. Villacañas. Meta-química, estética e iluminación, di E. Ocaña. AXIOMATHES (Anno V, n. 1, aprile 1994, Il Poligrafo, Padova) presenta un fascicolo monografico dal titolo: “Mereologies”. Il fascicolo successivo (n. 2-3, dicembre 1994) presenta il titolo: “European cities and the birth of modern scientific philosophy”, in cui segnaliano, tra gli altri, l’articolo di L. Dappiano, L’idealismo di Oxbridge tra Lotze e Meinong. A proposito delle origini della filosofia analitica. Figura inoltre la pubblicazione dei Dettati sul tempo di Brentano. PER LA FILOSOFIA (Anno XI, n. 32, set- tembre-dicembre 1994, Massimo, Milano) presenta un fascicolo monografico sul tema: “La riscoperta della natura”; segnaliamo, tra gli altri, l’articolo di G. Nicolaci, L’idea di natura tra Heidegger ed Aristotele, incentrato sull’analisi del seminario heideggeriano del 1940, Sul concetto e l’essenza della physis, in cui il problema della natura diventa l’occasione di ripensare il senso e la possibilità della metafisica. Figura inoltre l’articolo: Natura umana e storia in Vico, di U. Galeazzi. TEMPO PRESENTE (n. 166, ottobre 1994) presenta un intervento di A. G. Sabatini dal titolo 15 ottobre 1844: e Dio creò Nietzsche, breve celebrazione del filosofo in occasione dell’anniversario della nascita. IL CORPO (Anno I, n. 2, marzo 1994) Acerca del conflicto entre los discursos “Metafísico”, “Postmetafísico” y “Teológico”, di L. S. Rueda: analizzando tre modi di pensare tipici del pensiero contemporaneo, l’articolo prende in esame in particolare gli argomenti di Habermas e Apel in favore del pensiero postmetafisico e le reazione nell’ambito della teologia. Does knowledge entail justification, di L. S. Carrier: il problema della giustificazione della conoscenza nell’epistemologia contemporanea. Explicando la explicacíon, di A. J. Diéguez: analisi e valutazione dei principali modelli di spiegazione scientifica. Langer, language and art, di J. H. Gill: la filosofia dell’arte di Suzanne Langer e la distinzione fondamentale tra la natura e la funzione del linguaggio e dell’arte. Metáfora literaria y conocimiento, di E. Romero Gonzáles, l’intento dell’articolo è di dimostrare che le metafore in letteratura hanno una finalità cognitiva. A taste of Medeleine: notes towards a philosophy of place , di J. Malpas: la tematica del luogo in Proust e Bachelard. Inconmensurabilidad empírica. Un enfoque macrológico, di E. Moya Cantero: riflessione sulle implicazioni del concetto di “rivoluzioni scientifiche”, oggetto delle analisi di Kuhn. 73 ribadisce in questo secondo fascicolo l’intento di fare del corpo, per la sua capacità di andare oltre l’ambito delineato dalla ragione, il suo bisogno di contatto con l’alterità, il suo produrre costantemente senso, un’area di lavoro in cui si colloca la collaborazione tra sociologi, storici, psicoanalisti, filosofi, antropologi, letterati. Il corpo diventa così anche la metafora dell’intersecarsi dei campi del sapere, al di là delle chiusure dei vari ambiti di studio propri delle scienze umane. Il presente fascicolo pubblica la trascrizione della registrazione del suicidio collettivo di Jonestown (18 novembre 1978). FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VII, n. 3, settembre-dicembre 1994, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un fascicolo monografico dal titolo: “Simone Weil. Verità religiosa e vita profana”. Contiene anche un saggio della stessa Weil dal titolo: I tre figli di Noè e la storia della civiltà mediterranea. NOVITÀ IN LIBRERIA AA.VV. Beowulf and the Dragon Heinemann Library, aprile 1995 pp. 24, UK £ 6.50 Questa storia, che racconta come Beowulf va incontro alla propria morte, è una delle storie senza tempo, presenti nelle culture di tutto il mondo. Questa serie risponde alle necessità del Key Stage 2 di includere la lettura dei miti e delle leggende da parte dei bambini. AA.VV. Native Americans Allen & Unwin, aprile 1995 pp. 64 Attraverso illustrazioni colorate, fotografie, domande e pagine di attività, il libro illustra ai bambini la cultura e la storia dei Nativi americani. Adams, Anthony - Durham, Ken Writing from South Africa CUP Educational, maggio 1995 UK £ 4.95 Il libro fa parte di una collana scolastica, da utilizzare in classi di ragazzi dai 14 ai 17 anni. Ogni volume esamina le qualità particolari del modo di scrivere e descrivere di una regione o di una nazione, ma anche i particolari aspetti e le tematiche proprie ai popoli in ogni parte del mondo. Questo testo fornisce molti immagini e prospettive diverse sul Sud Africa e sul suo popolo. Adeline, Yves-Marie Le carré des philosophes: réponses à la crise de la modernité Maisnie-Trédianel, marzo 1995 pp. 127, F 90 Si tratta di una lettura del mondo in quattro proposizioni: scienza, esistenza, presenza e volontà. Agamben, Giorgio Bartleby ou De la contingence tr. dall’it. di Carole Walter Circé, marzo 1995 pp. 88, F 68 Partendo da una meditazione sul personaggio di Bartleby, lo scriba eponimo del romanzo di Melville, il filosofo italiano interroga la questione della contingenza (definita come ciò che è senza necessità e che quindi può non essere). Si tratta di una problematica fondamentale all’interno di una prospettiva post-metafisica. Il pubblico sarà senz’altro interessato da questo libro. Airaksinen The Philosophy of the Marquis de Sade Routledge, marzo 1995 pp. 224, UK £ 12.99 Questo testo fornisce una lettura teoretica della filosofia del Marchese de Sade. Esamina le pretese di de Sade, secondo il quale, per essere felici e liberi, bisogna fare del male e discute le motivazioni del tipico eroe sadeiano, che conduce una vita piena di piacere perversi ed estremi. Alexy, Robert Recht, Vernunft, Diskurs. Studien zur Rechtsphilosophie NOVITÀ IN LIBRERIA Suhrkamp, marzo 1995 pp. 288, DM 22,80 Si tratta di singoli lavori su tre ambiti tematici: la logica e l’interpretazione, il discorso ed il diritto, i diritti ed i principi. sue opere per l’epoca contemporanea. Vengono esaminati gli aspetti profetici della sua opera, enfatizzando in particolar modo la dimensione spirituale di Kant. Arendt, Hannah Verità e politica Bollati Boringhieri, maggio 1995 pp. 128, L. 22.000 Due saggi, versione riveduta di due articoli apparsi rispettivamente nel 1967 e nel 1963. Nel primo si affronta la caratteristica essenziale del totalitarismo, che consiste nel fabbricare la verità; nel secondo troviamo alcune riflessioni sul significato e le implicazioni della ricerca scientifica. Almond, Brenda An Introduction to Applied Ethics Blackwell Publishers, marzo 1995 pp. 320, UK £ 14.99 Questo testo fornisce una guida aggiornata ai dibattiti morali dei nostri giorni, comprensiva di resoconti sugli influssi derivati da teorie precedenti. Il testo segue uno sviluppo logico che parte dalle implicazioni più personali ed immediate, a livello individuale, per arrivare fino alle applicazioni pratiche più estensive ed allargate della teoria etica contemporanea. Armezzani, Renzo Ad occhi aperti. Immagini di Mario Giacomelli Quattroventi, aprile 1995 pp. 224, L. 30.000 Figura e opere dell’isegnante e studioso di filosofia Mario Giacomelli, scomparso nel 1994. Almond, Brenda Moral Action and Christian Ethics Cambridge UP, marzo 1995 UK £ 35 Come determiniamo se un’azione è giusta o sbagliata? Questo lavoro esamina il comportamento morale e le origini delle linee-guida che noi seguiamo. Atwell, John E. Schopenhauer on the Character of the World: The Metaphysics of Will Univ. California Press, maggio 1995 pp. 236, UK £ 28 Questo lavoro analizza in maniera critica e simpatetica l’opera principale di Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, dimostrando che il sistema filosofico che viene promosso costituisce un insieme coerente. Altham, J.E.J. (a cura di) World, Mind, and Ethics: Essays on the Ethical Philosophy of Bernard Williams Cambridge UP, aprile 1995 UK £ 12.95 Bernard Williams è una delle figure più rilevanti della teoria etica degli ultimi anni. In questa raccolta di studi, un gruppo di studiosi a livello internazionale, che sono stati stimolati dal suo lavoro, forniscono nuove risposte ad esso e Williams a sua volta risponde a loro ed alle questioni poste. Gli argomenti proposti includono anche l’eguaglianza e la coerenza. Bacon, John Universals and Property Instances. The Alphabet of Being Blackwell, aprile-maggio 1995 pp. 200, £ 35 Bacon tracciò una teoria metafisica molto consistente e sofisticata, secondo la quale sia i particolari comuni che le proprietà e le relazioni sono una serie di tropi. I vantaggi di questo approccio vengono illustrati nelle applicazioni della teoria alla semantica, ai fatti ed allo stato delle cose, della modalità, del tempo, del credo e delle causalità. Applebaum, David The Vision of Kant Element Books Ltd, aprile 1995 pp. 192, UK £ 4.99 Questo libro, contenente una selezione degli scritti più importanti di Kant sulla metafisica, l’etica e la conoscenza, è uno studio sull’importanza della sua vita, del suo pensiero e delle Baker, Lynne Rudder Explaining Attitude: A Practical Approach to the Mind Cambridge UP, marzo 1995 74 UK £ 12.95 Questo studio si oppone alla concezione dominante del credo, così come la si riscontra in filosofi come Dennett e Fodor. Secondo questo punto di vista, che è anche quello predominante, le convinzioni, ammesso che esistano, sono costituite da stati della mente. Lynne Rudder Baker rifiuta quest’opinione e la sostituisce con il realismo pratico. Barnes, Jonathan (a cura di) The Cambridge companion to Aristotle Cambridge UP, marzo 1995 UK £ 12.95 Aristotele è uno dei grandi pensatori della tradizione occidentale, ma è anche uno dei più difficili. I contributi a questo volume non intendono cammuffare la natura di questa difficoltà, ma cercano di offrire un’esposizione chiara alle tematiche filosofiche presentate dalla sua opera. Bauman, Zygmunt Life in Fragments: Essays in Postmodern Moralities Blackwell Publishers, aprile 1995 pp. 256, UK £ 13.99 Questo libro rappresenta una continuazione della trattazione di motivi e temi, già affrontati da Bauman nel suo studio Postmodern Ethics. In questo nuovo volume, egli sostiene che la nuova epoca post-moderna potrebbe rappresentare un alba più che un tramonto per l’etica, la quale si potrebbe emancipare dalla falsa coscienza ereditata dalla modernità. Békési, Janos ’Denken’ der Geschichte? W. Fink, aprile-maggio 1995 pp. 208, DM 48 La decostruzione è basata su di una teoria della storicità e ciò avviene tramite il suo riferimento esplicito alla dimensione storica dei concetti, che vengono criticati, da un punto di vista decostruttivista, perché si trovano all’interno di un insieme. Ogni studio sulla storia ed il metodo del procedimento decostruttivista dovrebbe quindi confrontarsi con il concetto di storia di Derrida. Benhabib - Butler Cornell Fraser Feminist Contentions Routledge, marzo 1995 pp. 160, £ 10 Questo volume presenta il dibattito tra quattro delle femministe americane più rilevanti: Seyla Benhabib, Judith Butler, Drucilia Cornell e Nancy Fraser. Vengono discussi alcuni degli argomenti-chiave della teoria femminista. Berger, P.L. - Luckmann Th. (a cura di) Modernität, Pluralismus und Sinnkrise. Die Orientierung des modernen Menschen Vlg. Bertelsmann-Stift aprile-maggio 1995 pp. 80, DM 20 NOVITÀ IN LIBRERIA Bergson, Henri Leçons d’histoire de la philosophie à Clermont (1887-94); Leçons d’histoire de la philosophie moderne (1892-94) a cura di H.Hude - J.L. Dumas PUF, aprile 1995 pp. 320, F 220 La parte essenziale del volume è costituita dai tre corsi tenuti presso il Liceo Enrico IV tra il 1892 ed il 1894; un corso sulla storia della filosofia moderna da Bacon a Leibniz, un corso sulla Critica della ragion pura di Kant, un corso sulla storia della teoria dell’anima. Quest’ultimo corso, contemporaneo a Materia e memoria, è particolarmente elucidante. Si tratta di un volume di ambito universitario. Berkeley, George Teoria della visione Guerini, aprile 1995 pp. 120, L. 16.000 L’analisi della percezione visiva induce il filosofo irlandese ad elaborare le fondamenta del suo “idealismo materiale”, secondo il quale la materia, intesa come realtà esterna al nostro corpo, non è che un’illusione. Berman, David (a cura di) Arthur Schopenhauer J M Dent, maggio 1995 UK £ 6.99 Questo volume fa parte della serie Everyman, riedita con formato di pagina che prevede ampi margini per le note e ristampata in caratteri più facilmente leggibili. Ogni titolo include un’introduzione tematica a cura di esperti della materia, una cronologia della vita e dell’epoca dell’autore, riassunti dei testi del filosofo, delle schede di lettura con annotazioni, una selezione dei contributi critici e delle note. Beyer, Uwe ’Die Tragik Gottes’. Ein Philosophischer Kommentar zur Theologie Eugen Drewermanns Königshausen & Neumann aprile-maggio 1995 pp. 246, DM 39,80 L’introduzione critica e coinvolgente alla teologia di Drewermann, che ci presenta qui Uwe Beyers, si interroga su come - attraverso le immagini ed i concetti che riflettono l’atmosfera dominante umana (p. es. la paura, il desiderio, la fiducia) - sia possibile un avvicinamento alla verità ‘una’, incomprensibile e priva di immagini, di Dio. Bickmann, Claudia Differenz oder das Denken des Denkens Felix Meiner, aprile-maggio 1995 DM 128 Bidet, Jacques John Rawis et la théorie de la justice PUF, maggio 1995 pp. 144, F 98 Rawis propone la “utopia realista” di una società ordinata secondo giustizia, senza però arrivare alle conclusioni conseguenti alle premesse da lui formulate. In questo libro, si troverà un’esposizione della Théorie de la justice, alla quale si aggiunge una prospettiva critica. Il libro si rivolge agli specialisti del settore. Blondel, Maurice 1893, les deux thèses PUF, marzo 1995 pp. 784, F 380 Nel 1893 Blondel pubblica la sua prima tesi sull’Action e la sua breve tesi latina sul Vinculum leibniziano. Si tratta di un volume universitario. Böckle, Franz Ja zum Menschen. Bausteine einer Konkreten Moral Kösel, marzo 1995 pp. 218, DM 38 Il famoso esponente della teologia morale, morto nel 1991, risponde a scottanti questioni di ordine morale, di importanza fondamentale per la nostra epoca. Le sue indicazioni di percorso, pubblicate postume e qui a cura di Gerhard Höver, sono oggi più attuali che mai e rappresentano un aiuto in situazioni conflittuali concrete. Il pensiero sociale e politico di Simone Weill, filosofa e scrittrice francese, si collegano alla sua ricerca religiosa. Contro la forza, di fianco ai deboli, ai vinti, intende collocare la sua ricerca appassionata ed intransigente della verità e della giustizia. Huguette Bouchardeau rintraccia questa coerenza battagliera, sul filo dei testi e della vita di questa donna. Il libro è adatto al vasto pubblico. pp. 200, F 95 Il volume mostra come la nascita della ragione abbia condotto ad un fallimento, partendo da tre grandi momenti: il Fedone di Platone, la Critica della ragion pura di Kant e Essere e tempo di Heidegger. La causa di questa sconfitta viene presentata attraverso la teoria algoritmica dell’informazione. L’autore è uno specialista di questi argomenti. Bouveresse, Jacques La perception et le jugement Jacques Bouveresse J. Chambon, marzo 1995 pp. 300, F 160 Il volume raggruppa quattro studi che analizzano i rapporti tra la percezione ed il giudizio, discutono le versioni moderne della teoria dell’inferenze circoscritte in autori come Gregory o Wittgenstein e paragonano le analisi di Grege e di Husserl sui rapporti tra pensiero, giudizio e percezione. Il libro incontrerà senz’altro il favore del pubblico. Brunschwig, Léon Descartes et Pascal, lectures de Montaigne pref. di Thierry Leterre Pocket, aprile 1995 pp. 200, F 36 Questolibro, considerato come uno studio classico delle origini del pensiero francese, sembra essere il testamento filosofico di un uomo che scrive per sopravvivere al disastro della Seconda Guerra Mondiale ed alle persecuzioni. Un libro di interesse per un vasto pubblico. Brachtendorf, Johannes Fichtse Lehre vom Sein. Eine kritische Darstellung der Wissenschaftsleheren von 1794, 1798/99 und 1812 Schöningh, aprile-maggio 1995 pp. 320, DM 78 Bodei, Remo Libro della memoria e della speranza Il Mulino, aprile 1994 L. 10.000 Sommario: La speranza dopo il tramonto delle speranze; Addio del passato: memoria storica, oblio e identità collettiva; L’altro sangue d’Europa. Bodei, Remo Le prix de la liberté: aux origines de la hiérarchie socilale chez Hegel tr. dall’it. di Nicola Giovannini Cerf, aprile 1995 pp. 126, F 59 Attraverso uno studio dell’opera di Hegel, vengono percorse le forme della giustificazione della gerarchia sociale. Un volume di sicuro interesse per il pubblico. Bressolette, M. - Mougel, R. (a cura di) Jacques Maritain face à la modernité: enjeux d’une approche philosophique Presses univer. du Mirail-Toulouse maggio 1995 pp. 344, F 180 Jacques Maritain si è presentato nel 1922 come un “anti-modernista”, per essere “ultra-modernista”: la sua opera filosofica cerca di creare le basi e di ordinare i valori della modernità, come per giudicare e raddrizzare gli errori e le pesantezze che costituiscono ciò che della modernità si ritorce contro l’uomo. Si tratta di un volume di ambito universitario. Boehm, G. (a cura di) Was ist ein Bild W. Fink, marzo 1995 pp. 459, DM 48 Siamo molto distanti dall’essere in possesso di una “scienza dell’immagine” (Bildwissenschaft) o di una “storia dell’immagine” (Bildgeschichte), come invece hanno voluto credere a lungo la storia della lingua e la filologia. Ciò nonostante, la discussione sulla rappresentazione è una costante della cultura europea. Breton, Stanislas L’autre et l’aillers Descartes & Cie, aprile 1995 pp. 148, F 90 Si tratta di narrazioni filosofiche: l’autore, prendendo a pretesto alcuni ricordi di viaggi in Australia, America ed Asia, si interroga sulla pretesa universalista del pensiero occidentale dell’essere, che viene confrontato con la visione orientale. Il volume incontrerà l’interesse di un vasto pubblico. Bös, Gunther Curiositas. Die Rezeption eines antiken Begriffes durch christliche Autoren bis Thomas von Aquin Schöningh, aprile-maggio 1995 pp. 242, DM 42 Breuer, Clemens Person von Anfang an? Der Mensch aus der Retorte und die Frage nach dem Beginn des menschlichen Lebens Schöningh, aprile-maggio 1995 pp. 410, DM 48 Bouchardeau, Huguette Simone Weill Julliard, maggio 1995 F 130 Brisson, Luc - Meyerstein, Walter Puissance et limites de la raison: le problème des valeurs Belles lettres, marzo 1995 75 Buddensiek, Friedemann Die Medallogik des Aristoteles in den ‘Analytica Priora A’’ Olms, aprile-maggio 1995 pp. 144, DM 37,80 Bull, Malcolm Apocalypse Theory and the Ends of the World Blackwell Publishers, aprile 1995 pp. 350, UK £ 15.99 Il volume fornisce una rassegna di 3000 anni di pensiero apocalittico. Questo libro, tracciando la storia del millenaresimo dai tempi antichi fino al XVII secolo, riesce ad analizzare il dibattito moderno e post-moderno, in cui tornano in circolazione i temi apocalittici, da Zoroastro a Derrida. Burke, C. et al. (a cura di) Engaging with Irigaray Columbia UP, marzo 1995 pp. 448, $ 18 Si tratta della prima raccolta di saggi che cerca di andare oltre alla questione dell’esistenzialismo, allo scopo di fornire un contributo critico all’apporto di Irigaray alle teorie di diverse discipline, prima tra tutte la filosofia. Cancik, Hubert Nietzsches Antike J.B. Metzler, aprile-maggio 1995 pp. 180, DM 48 Hubert Cancik intende mettere in evidenza l’importanza della civiltà antica per la filosofia di Nietzsche, la portata della sua critica alla filosofia e dell’umanismo, l’influsso della concezione dell’anticità di Nietzsche apertamente dichiarato o sottostante alle opere - sui filosofi, i filologi ed i teologi del XX secolo. Carr, B. - Mahalingam, I. (a cura di) Companion Encyclopedia of Asian Philosophy Routledge, marzo 1995 pp. 1000, £ 85 Questa enciclopedia è divisa in sei sezioni, ognuna delle quali copre una specifica tradizione. Le filosofie trat- NOVITÀ IN LIBRERIA tate comprendono quella asiatica, zoroastrica o persiana, indiana, buddista, cinese, giapponese ed islamica. Carr, Brian Morals and Society in Asian Philosophy Curzon Press, aprile 1995 pp. 260, UK £ 35 Il volume, basato sulle prima conferenza della European Society for Asian Philosophy, contiene una serie di contributi che investigano gli argomenti ed i temi delle tradizioni filosofiche indiana, cinese, giapponese ed islamica, sia antichi che moderni. Cassin, Barbara L’effet sophistique Gallimard, aprile 1995 pp. 70£ , F 250 La sofistica non ha sempre goduto della buona reputazione da parte della tradizione filosofica. Alla verità assoluta del filosofo si opporrebbe infatti la technê senza coscienza dei sofisti, la quale non avrebbe fondamenti all’interno dei valori. Partendo dai testi sofisti, Barbara Cassin modifica la percezione tradizionale dell’Antichità e ne rivaluta la modernità. Volume di sicuro interesse per il pubblico. Cassirer, Ernst Nachgelassene Manuskripte und Texte vol. I: Zur Methaphysik der symbolischen Formen a cura di J.M. Krois, O. Schwemmer Felix Meiner, aprile-maggio 1995 pp. 410, DM 164 Nell’aprile del ’95, in occasione del cinquantesimo anniversario del giorno della morte di Ernst Cassirer, viene pubblicato questo primo di venti volumi, che comprendono importanti lavori e appunti per la Filosofia delle forme simboliche, tratti dal lascito di Cassirer. Cauquelin, Anne Les animaux d’Aristote: sur l’Histoire naturelle d’Aristote Lettre volée, aprile 1995 pp. 33, F 70 Gli scritti di Aristotele sugli animali suscitano delle rêveries marine. Senza dubbio, egli aveva frequentato le rive dell’Ebeo, della Macedonia, dell’isola Lesbo, dell’Asia minore. La sua tomba, che si trova in Asia, è dedicata al mare, alle isole misteriose, al vulcano ed alle pianure flegee. Il volume si indirizza al grande pubblico. Caygill, Howard A Kant Dictionary Blackwell Publishers, maggio 1995 pp. 400, UK £ 14.99 Questo dizionario si occupa della vita e delle opere di Kant; le voci illustrano la natura storica del linguaggio filosofico. Ogni voce indica le origini di un termine particolare, come questo è stato trasmesso a Kant e come egli lo ha modificato nel corso della sua ricezione. Champeau, Serge Ontologie et poésie: trois études sur les limites du language Vrin, aprile 1995 pp. 280, F 210 La filosofia, nel momento in cui cerca di dire che cosa significhi la parola “essere”, sconfina nella poesia. In che modo questa parola si distingue da quella del poema? Il volume presenta un’analisi dello sviluppo di tre poeti: H; Michaux, A. du Bouchet, P. Jaccottet che, ognuno a modo suo, meditano sull’essere al mondo e riflettono sui rapporti tra discorso e poema. Si tratta di un saggio di ambito universitario. vare un sostituto alla concezione meccanicistica del mondo sostenuta dalla scienza moderna. Cole, Thomas The Origins of Rhetoric in Ancient Greece Johns Hopkins UP, maggio 1995 pp. 208, UK £ 13 È giusto giudicare la retorica greca delle origini tramite quanto esemplificato da Platone ed Aristotele? Argomentando in opposizione rispetto alla convinzione comune che sia giusto farlo, questo lavoro vede la retorica greca delle origini come una serie di sforzi decisamente non sistematici di esplorare, più per tentativi che per precetti, tutti gli aspetti del discorso. Chappell, T.D.J. Aristotle and Augustine on Freedom: Two Theories of Freedom, Voluntary Action and Akrasia Macmillan Press, marzo 1995 pp. 240, UK £ 40 Questo testo considera i punti di contrasto tra la teoria della libertà e delle’azione volontaria in Aristotele ed Agostino. L’autore sostiene che ci sono in realtà tre condizioni di azione volontaria, e non due, come sostenuto generalmente. Egli esamina anche la discussione di Aristotele dell’ akrasia. Conway, Pierre Aristotelian Formal and Material Logic Univ. Press America, aprile 1995 pp. 330, UK £ 35.95 Questo libro, basato sull’analisi della forma e della materia del pensiero umano in Aristotele, esamina i tre passi che compie la mente per arrivare alla verità: la definizione, il giudizio ed il ragionamento. Il libro analizza anche qual è il materiale necessario al sapere scientifico e dimostrativo. Copp, David Morality, Normativity, and Society Oxford UP Inc, maggio 1995 pp. 272, UK £ 30 Questo trattato difende una forma di realismo naturale, che sia realtivamente morale. L’intuizione-guida è che ogni società deve essere caratterizzata da un codice sociale morale, in modo da permettere ai suoi membri di avere una convivenza positiva. Charpa, Ulrich Philosophische Wissenschaftshistorie. Grundsatzfragen/Verlaufsmodelle Viweg, aprile-maggio 1995 pp. 258, DM 72 Chevalley, Catherine Pascal, contingece et probalité PUF, aprile 1995 pp. 128, F 45 La nozione di probabilità occupa oggigiorno un posto importante all’interno della filosofia della conoscenza, sia che si tratti dei problemi posti dalla fisica contemporanea o della questione della formazione dei credi. Questo libro propone un’analisi del legame tra la formalizzazione dei rischi dei giochi e la conoscenza, in rottura con in progetto metafisico moderno in Pascal. Dagognet, François L’invention de notre monde: l’industrie: pourqoi et comment? Encre marin, marzo 1995 pp. 205, F 130 Perché i filosofi hanno denigrato l’industria? L’autore cerca di analizzare quali sono i fattori che accrescono le ricchezze, fino a cantare le lodi delle nuove merci e delle trasformazioni del paesaggio urbano e rurale. L’opera descrive un universo fantastico, i cui contorni sono avvolti dal buio, a causa della questione sociale rimasta irrisolta. Ma, rispetto a questo punto, la critica non deve riguardare il sistema in quanto tale. Il volume è di ambito universitario. Ciancio, Claudio - Perone, Ugo Cartesio o Pascal? Rosenberg & Sellier, aprile 1995 pp. 160, L. 25.000 Riflessioni sull’esperienza della modernità come frattura, l’autonomia della ragione e dell’uomo, il nesso finito-infinito, la rilevanza filosofica del cristianesimo e del processo di secolarizzazione. Dastur, François Husserl, des mathématiques à l’histoire PUF, maggio 1995 pp. 128, F 45 I problemi dei fondamenti fenomenologici della logica, della temporalità della coscienza, dell’inter-soggettività e della storia sono stati scelti dall’autore come luoghi esemplari per l’interrogazione sul trascendentalismo e dell’idealismo husserliano. L’autore è uno specialista del settore. Clarke, C.J.S. Reality through the Looking Glass: Science and Awareness in the Postmodern World Floris Books, aprile 1995 UK £ 12.99 Il volume esamina una serie di approcci filosofici e mistici alla realtà e sostiene che abbiamo bisogno di un nuovo concetto di realtà, basato sulla nostra consapevolezza di dover tro- 76 Debuisson, Daniel Mitologie del XX secolo Dedalo, maggio 1995 pp. 350, L. 35.000 Le teorie elaborate intorno al tema del “mito” dai tre maggiori studiosi del nostro secolo. Del Noce, Fabrizio Non uccidere Mondadori, maggio 1995 pp. 220, L. 28.000 Eutanasia, sperimentazione genetica, trapianti, aborto, pena di morte: fino a che punto possiamo controllare e manipolare la vita umana. Delcò, Alessandro Morfologie Cinque studi su Michel Serres Franco Angeli, aprile 1995 pp. 176, L. 25.000 Serres incomincia a parlare la lingua delle morfologie: nuova lingua senza regole per dire tutte le forme, dalle più sistematiche alle più vaghe, dal caos puro alla complessità meglio integrata. Delgenhausen, I. - Döbler, M. (a cura di) Vernunftbegriff und Menschenbild bei Leonard Nelson dipa-Vlg., aprile-maggio 1995 pp. 120, DM 28 Derrida, Jacques Mal d’archive: une pression freudienne Galilée, aprile 1995 pp. 154, F 140 Il volume contiene il testo della conferenza tenuta il 5 giugno 1994 a Londra in occasione del convegno internazionale, dal titolo Memory, the Question of Archives. I disastri che caratterizzano questa fine di millennio sono anche gli archivi del male: dissimulati o distrutti, proibiti, depistati, respinti. Sono due i fili conduttori: la psicoanalisi dovrebbe portare ad una rivoluzione almeno parziale della problematica degli archivi; il tragitto di una discussione con lo storico americano dell’ebraismo: Yerushalmi. Il pubblico sarà senz’altro interessato da questo libro. Derrida, Jacques Moscou aller-retour Ed. de l’Aube, maggio 1995 pp. 144, F 89 Si tratta di un’opera in tre parti: nella prima, Derrida si interroga sulla possibilità di parlare della situazione russa, tenendo conto del “peso” dei diari del viaggio a Mosca degli anni ’30; nella seconda, egli si confronta con la filosofia russa, sotto forma di conversazione; nell’ultima parte, infine, il filosofo russo M. Ryklin si interroga sulla portata della filosofia di Derrida per la Russia. Il libro sarà di sicuro interesse per il pubblico. Dickinson, Gwen Griffith Johann Georg Hamann’s Relational Metacriticism de Gruyter, marzo 1995 pp. 534, DM 268 La denominazione “metacriticismo NOVITÀ IN LIBRERIA relazionale” indica le tendenze fondamentali del pensiero di Hamann, così come questo appare nei suoi scritti di filosofia del linguaggio, di epistemologia e di antropologia. Quest’analisi si basa su di una selezione dei suoi saggi. Dilthey, Wilhelm Ecrits d’esthétique; suivi de ‘La naissance de l’hémeneutique’ tr. dal tedesco di Danièle Cohn a cura di Sylvie - Heinz Wismann Cerf, aprile 1995 pp. 318, F 180 Questi testi, pubblicati tra il 1887 ed il 1910, consacrati al movimento attraverso il quale l’umanità si eleva alla vita dello spirito, colgono la genesi del particolare, laddove esso si innalza all’universale: nelle opere e nell’immaginazione creatrice. Il volume si rivolge agli specialisti del settore. Dixsaut, Monique (a cura di) Renverser le platonisme Vrin, aprile 1995 pp. 320, F 230 Il volume presenta le diverse figure dell’anti-platonismo nell’epoca moderna e contemporanea, secondo tre prospettive: il ribaltamento della metafisica speculativa voluto da Kant, Nietzsche, ma anche Heidegger e Wittgenstein; il processo intentato a Platone da Popper, Russel e Crossmann, a causa del suo supposto totalitarismo; ed il disagio che coglie i commentatori, nel momento in cui si accingono all’interpretazione. Si tratta di un saggio di ambito universitario. Dorff, Elliot Contemporary Jewish Ethics and Morality: A Reader Oxford UP Inc., aprile 1995 pp. 352, UK £ 12.95 Questo volume è un’introduzione all’etica da una prospettiva ebraica. Il lettore viene condotto all’interno degli argomenti che hanno una precisa e peculiare impostazione metodologica; gli vengono inoltre offerti degli esempi di posizioni ebraiche su problemi morali contemporanei. Dosse, François Le champ du signe: 1945-1966 LGF, maggio 1995 pp. 472, F 65 In qualità di storico, l’autore ha rintracciato la portata teorica, istituzionale ed esistenziale dello strutturalismo. Questo primo tomo copre il periodo dall’insorgenza del movimento fino al suo apogeo, nell’anno 1966, occupandosi di figure come Lévi-Strauss, Michel Foucault, Louis Althusser, Roland Barthes... Il libro sarà di sicuro interesse per il pubblico. Dosse, François Histoire du structuralismie vol. II: Le chant du cygne: 1967 à nos jour LGF, maggio 1995 pp. 542, F 65 Grazie ad un’indagine meticolosa, F. Dosse mostra fino a che punto dietro alle grandi figure come Barthes, Foucault, Lacan ci fu un’intera generazione che fu nutrita dallo strutturalismo, mentre era anche rimessa in discussione dal ritorno della storia e del soggetto. Il libro sarà di sicuro interesse per il pubblico. Eco, Umberto The Perfect Language Blackwell Publishers, aprile 1995 pp. 400, UK £ 19.99 Dai primi tempi bui dell’umanità fino al Rinascimento si pensava che la lingua parlata nel Giardino dell’Eden fosse perfetta, in grado di esprimere tutte le cose possibili, mentre tutte le lingue ed i linguaggi successivi non fossero che eredi in declino di questa prima lingua. Si tratta di un’indagine della storia di quest’idea. Dubouchet, Paul La philosophie du droit de Hegel: essai de lecture des ‘Principes’’ L’Hermès, maggio 1995 pp. 110, F 98 Il libro si articola in due parti ben distinte: la prima è consacrata alla lettura in senso stretto, la seconda è riservate alle note ed al commento. E questa seconda parte segue passo a passo la prima, rispettando ovviamente il testo di Hegel. L’autore è uno specialista del settore. Edel, Susanne Methaphysik Leibnizens und Theosophie Böhmes. Die Kabbala als tertium comparationis für eine rezeptionsgeschichtliche Untersuchung der individuellen Substanz Steiner, aprile-maggio 1995 pp. 225, DM 88 Si tratta della tesi di laurea tenuta da S. Edel presso l’università di Francoforte sul Meno nel ’94. Dummett, Michael Frege: Philosophy of Mathematics Duckworth, aprile 1995 pp. 344, UK £ 14.99 La filosofia di Gottlob Frege (18481925) viene da molti considerata come uno dei punti di partenza del movimento analitico moderno. Questo è il secondo dei due volumi dedicati alle conseguenze della filosofia di Frege ed alla discussione sulle sue tematiche, dopo il volume Frege: Philosophy of Language. Edelman, Bernard La maison de Kant Bourgois, maggio 1995 pp. 180, F 70 Si tratta di una specie di favola morale, di un percorso immaginario, insolito, misero e grandioso di un filosofo, che potrebbe essere Kant: la guerra, le donne, l’infanzia, l’educazione e, infine, un ripiegamento malinconico su se stesso. È un libro indirizzato ad un pubblico universitario. Duncan, Steven M. A Primer of Modern Virtue Ethics Univ Press America, aprile 1995 pp. 124, UK £ 14.95 La funzione di questo testo è di essere sia un’introduzione all’etica dei valori sia un tentativo di tracciare i contorni di un sistema completo dell’etica, in cui la virtù abbia il posto centrale. Il volume cerca di dare all’etica della virtù il ruolo di “competitrice autonoma” con le altre teorie dell’etica. Eley, Lothar Fichte, Schelling, Hegel. Operative Denkwege im ‘deutschen Idealismus’ Ars Una, aprile-maggio 1995 pp. 114, DM 58 Elliot, R. Environmental Ethics Oxford UP, aprile-maggio 1995 pp. 258, £ 10 Questo volume offre una selezione di alcuni degli articoli più interessanti scritti sull’etica e sull’ambiente negli ultimi vent’anni. Düsing, Klaus Das Problem der Subjektivität in Hegels Logik. Systematische und entwicklungsgeschichtliche Untersuchungen zum Prinzip des Idealismus und zur Dialektik Bouvier, aprile-maggio 1995 pp. 99, DM 120 Si tratta della terza edizione di quest’opera, che ha anche una nuova post-fazione. Epitteto Ce qui dépend de nous: ’Manuel’ et ‘Entretiens’ tr. dal greco di Myrto Gondicas Arléa, maggio 1995 pp. 203, F 35 Epitteto, il rappresentante della filosofia stoica, esercita un influsso profondo sulla filosofia occidentale. Viene qui ripresa la parte essenziale del suo insegnamento: il suo manuale ed una scelta dei suoi migliori colloqui. Dutt, Carsten Hans-Georg Gadamer. Eine Einführung Manutius-Vlg., marzo 1995 pp. 120, DM 28 Dyer, Colin Beginning Research in Psychology: A Practical Guide to Research Methods and Statistics Blackwell, maggio 1995 pp. 448, UK £ 8.99 Questo testo dà, in modo accessibile e comprensibile, tutte le informazioni necessarie per quanto richiesto, per le materie di statistica e progettazione, dagli esami di psicologia dell’ Alevel all’AEB, al JMB e a Londra. Epstein, Richard The Semantic Foundations of Logic Oxford UP, marzo 1995 pp. 412, £ 45 Questo testo copre tutti gli aspetti della semantica e le loro applicazioni alla logica, descrivendo la semantica formale, le tavole di verità e le trascrizioni tramite la logica. Il testo interes- 77 serà agli specialisti del settore informatico che lavorano nel settore della logica, dell’intelligenza artificiale e della linguistica, ai filosofi e a chi si occupa di matematica applicata. Erasmo Eloge de la follie Slatkine, aprile 1995 F 40 Un testo fondamentale del pensiero rinascimentale. Fairbairn, Gavin Contemplating suicide: The language of Ethics and Self-harm Routledge, marzo 1995 pp. 208, UK £ 11.99 Vengono presi in considerazione diversi apetti legati al suicidio. La parte principale del libro si occupa della ricostruzione della storia naturale del suicidio, inteso come un dolore che si arreca a se stessi, e di esaminare alcune tematiche etiche che vengono sollevate da questa azione. Fan, Changyang Sittlichkeit und Tragik. Zu Hegels Antigone-Deutung Bouvier, aprile-maggio 1995 pp. 143, DM 48 Questa presentazione storico-critica dimostra, attraverso un’esemplare conoscenza ed una particolare prospettiva, che l’aspetto unitario, sistematico e centrale dell’opera hegeliana è rintracciabile sia nell’attualità dell’estetica di Hegel che nella sua filosofia pratica. Fassbänder, Pantaleon Zwischen Individualismus und Gemeinsinn. Die bioethische und moraltheologische Abtreibungsdebatte in den Vereinigten Staaten aus kulturethischem Blickwinkel Roderer, marzo 1995 pp. 300, DM 52 Si tratta della tesi di laurea, tenuta da Fassbender presso l’Università di Bonn nel 1994. Fédier, François Regarder voir Belles lettres, maggio 1995 pp. 350, F 140 F. Fédier, il responsabile francese delle Oeuvres complètes del filosofo M. Heidegger, riunisce qui, oltre a degli esercizi di fenomenologia, sedici testi scritti tra il 1973 ed il 1993, di cui la maggior parte è inedita, consacrati alla difesa del pensatore, accusato di aver sostenuto il nazionalsocialismo dal 1933 al 1945. L’autore è uno specialista del settore. Fichte, J. Gottlieb Dottrina della scienza Guerini, maggio 1995 pp. 200, L. 30.000 Raccolta delle lezioni tenute a Koenigsberg nel 1807, proposte per la prima volta al lettore italiano: espongono una confutazione ante litteram dell’idealismo e dell’empirismo. NOVITÀ IN LIBRERIA Figal, Günther Sokrates C.H. Beck, marzo 1995 pp. 140, DM 19,80 Il libro è caratterizzato dalla tesi, secondo la quale si potrebbe ricavare un’immagine credibile di Socrate dall’opera di Platone, nella quale Platone stesso renderebbe sufficientemente chiaro quali sono gli elementi “socratici” e quali quelli “platonici”. Fischer, H.R. (a cura di) Die Wirklichkeit des Konstruktivismus. Zur Auseinandersetzung um ein neues Paradigma Carl-Auer-Systeme aprile-maggio 1995 pp. 330, DM 59 Flam, Helena L’uomo emozionale Anabasi, aprile 1995 pp. 96, L. 10.000 Si elaborano i fondamenti di una visione filosofico-psicologica che tenga conto degli aspetti emozionali dell’esperienza umana e non solo di quelli razionali. Florival, G. (a cura di) Dimensions de l’exister Vrin, maggio 1995 pp. 266, F 255 Il senso dell’esistente - il filo conduttore di queste ricerche - è stato analizzato secondo quattro temi: la temporalità, l’alterità, la corporalità, la differenza culturale. Il volume si rivolge agli specialisti del settore ed all’ambito universitario. Fougeyrollas, Pierre Vers la nouvelle pensée: essai postphilosophique L’Harmattan, marzo 1995 pp. 240, F 130 Disponiamo degli strumenti intellettivi necessari alla comprensione dei rivolgimenti di cui siamo più spettatori che attori? L’autore ritiene che non sia così e si augura l’insorgere di un nuovo pensiero che aiuti ad uscire dalla situazione di confusione che caratterizza l’epoca contemporanea. Furnham, Adrian - Oakley, David Why Psychology? UCL Press, maggio 1995 pp. 128, UK £ 7.50 Quest’introduzione spiega che cosa significhi studiare e mettere in pratica la psicologia, occupandosi quindi di un campo che spesso è irto di malintesi. Il volume fornisce un’ampia prospettiva anche sugli scopi della psicologia, mostrandone la grande diversità, ricchezza e profondità, in uno stile accessibile ed introduttivo alla materia. Gadamer, Hans Georg Verità e metodo 2. Integrazioni e sviluppi Bompiani, aprile 1995 pp. 770, L. 35.000 Raccolta di saggi che riportano le idee guida di Verità e metodo, le integrazioni essenziali e gli sviluppi successivi. Galewicz, W. et al. (a cura di) Kunst und Ontologie. Für Roman Ingarden zum 100. Geburtstag Ed. Rodopi, marzo 1995 pp. 235, FOL 70 Si tratta di uno scritto dedicato a Roman Ingarden per il suo centesimo compleanno. Gesang, Bernward Wahrheitskriterien im Kritischen Rationalismus. Ein Versuch zur Synthese analytischer, evolutionären und kritisch-rationaler Ansätze Ed. Rodopi, aprile-maggio 1995 pp. 158, FOL 48 Il libro contiene un interessante tentativo di proporre un’integrazione criteriologica del razionalismo critico, utilizzando una nuova versione della teoria della conoscenza evoluzionistica. Galien, Claude L’âme et ses passions tr. e a cura di V.Barras, T. Birchler, A. Morand pr. di Jean Starobinski Belles Lettres, maggio 1995 pp. 240, F 130 I tre trattati etici che vengono qui presentati e tradotti costituiscono ciò che resta di un’opera di oltre venti libri, che, secondo il commento dello stesso Galien, manifestava le sue “opinioni sulle questioni di filosofia morale”. Il libro si rivolge al grande pubblico. Gilbert, Paul La simplicité du principe: prolégoménes à la métphysique Culture et verité, aprile 1995 pp. 282, F 199 Si tratta di una riflessione sul senso dell’esistenza umana che, per l’autore, acquisisce il suo senso nell’incontro con gli altri. Garewicz, J. - Haas, A.M. (a cura di) Gott, Natur, Mensch in der Sicht Jacob Böhmes und seine Rezeption. Vorträge gehalten anläßlich eines Arbeitsgespräches vom 16. bis 20. Oktober 1989 in der Herzog-August-Bibliothek Harrassowitz, marzo 1995 pp. 280, DM 98 Il volume raccoglie gli interventi presentati durante il convegno di studio su Böhme e la ricezione della sua concezione di Dio, natura ed uomo, tenutosi nel 1989. Gobry, Ivan Procès de culture: mise en question chrétiennes de la modernité Régnier, maggio 1995 pp. 295, F 150 Si tratta di un saggio filosofico che si schiera per la riscoperta della cultura, prendendo le difese dell’umanismo e del cristianesimo. Il libro si rivolge al vasto pubblico. Göranzon, B. (a cura di) Skill, Technology and Enlightment. On Practical Philosophy Springer, marzo 1995 pp. 371, DM 74 Il volume esplora i problemi dello sviluppo di una prospettiva rispetto alla tecnologia ed alla società, ai limiti dell’Illuminismo, ai rapporti tra critica culturale ed epistemologia della conoscenza pratica e tra questa ed una concezione non elitaria dell’esperienza, al ruolo delle arti come base della riflessione e rispetto a molti altri argomenti. Garrison, Elise P. Groaning Tears E J Brill, maggio 1995 pp. 236 Quest’analisi del suicidio nella tragedia greca del V secolo analizza i risvolti etici del e sul pubblico di questo genere di spettacolo ed esamina il suicidio nel contesto di opere teatrali basate su motivazioni specifiche: evitare una disgrazia, la sofferenza, il lutto e sacrificare se stessi per un bene superiore. Gorgé, V. - Moser, R. (a cura di) Begegnungen mit dem Chaos. Referate einer Vorlesung des Collegium Generale der Universität Bern Haupt, aprile-maggio 1995 pp. 93, CHF 24 Si tratta degli interventi tenuti nel corso di una lezione del Collegium Generale dell’università di Berna. Garver, Eugene Aristotle’s Rhetoric. An Art of Character Univ. of Chicago Pr., marzo 1995 pp. 328, $ 22 La retorica di Aristotele, in parte capacità professionale ed in parte attività etica, emerge dal suo importante lavoro filosofico e rappresenta un valido contributo alle investigazioni contemporanee della natura della ragione pratica. Grayling, A.C. Philosophy: A Guide Through the Subject Clarendon Press, maggio 1995 pp. 520, UK £ 12.99 Questo libro di testo per il livello undergraduate non serve solo come un’introduzione alla filosofia, ma anche come una guida ai principali filosofi ed alle più importanti tematiche filosofiche. Comprende anche delle tavole riassuntive ed esplicative delle principali aree filosofiche. Geldard, Richard The Vision of Emerson Element Books Ltd, aprile 1995 pp. 192, UK £ 4.99 Andando al di là della reputazione di importante figura in campo letterario di cui gode Emerson, questo studio cerca di affermare il suo ruolo di pensatore e filosofo americano di tutto rilievo. Il libro include gli scritti più importanti di Emerson e delle voci esplicative della sua terminologia. Green, Richard The Thwarting of Laplace’s Demon: Arguments Against the Mechanistic 78 World-view Macmillan Press, marzo 1995 pp. 224, UK £ 42.50 Questo testo si prefigge di mostrare come la cornice meccanicista delle idee associata alla scienza moderna distorca il nostro modo di comprendere non solo la mente umana, ma anche gli attributi fondamentali della vita stessa. Prima che ci si possa liberare di quest’influenza che modifica i fatti, bisogna modificare la nostra nozione di causalità. Groethuysen, Bernard Philosophie et histoire Albin Michel, aprile 1995 pp. 359, F 140 La maggior parte dei testi importanti di questo filosofo, che si situa all’incrocio delle più significative correnti filosofiche e sociologiche, come il marxismo, il pensiero di Max Weber e la fenomenologia. Il volume contiene testi su Diderot, Nietzsche, sul tempo, sulla 3e cycle-Recherche, ed altri. Si rivolge agli specialisti del settore. Grosseteste, Robert On the Six Days of Creation: A Translation of the ‘Hexaemeronn’ Oxford UP, maggio 1995 pp. 380, UK £ 30 Questa traduzione del testo latino dell’Hexaemeronn è un complemento a quella di Dales e Gieben: rende conto dell’unità del sapere latino, in cui lo studio di Dio include lo studio del mondo intero. Il libro dovrebbe interessare agli studiosi ed agli studenti di filosofia medioevale, di teologia e di letteratura. Großheim, M. (a cura di) Leib und Gefühl. Beiträge zur Anthropologie Akademie Vlg., marzo 1995 pp. 300, DM 84 Il volume si sforza di trovare un fondamento filosofico al crescente interesse, evidenziatosi negli ultimi decenni, per gli ambiti fenomenologici del corpo e del sentimento. I risultati di questo lavoro interdisciplinare vengono qui riferiti dall’autore. Guillaume, Anne-Marie Mal, mensonge et mauvaise foi: une lecture de Kant pref. di Jean Ladriére Presse universitaires de Namur aprile 1995 pp. 458, F 300 Il volume offre una lettura globale del corpus kantiano, da una prospettiva che si interroga su come pensare il male, che rappresenta una delle sfide della filosofia contemporanea. Al termine di quest’analisi, il nucleo del male radicato risiede nell’impurità che alberga nell’arbitrio umano e trova la sua espressione nella malafede, nel raccontare menzogne a se stessi. Il volume si rivolge agli specialisti del settore. Haase, Michaela Galileische Idealisierung. Ein pragmatisches Konzept de Gruyter, aprile-maggio 1995 NOVITÀ IN LIBRERIA pp. 283, DM 164 Questa tesi di laurea, discussa dalla Haase presso la Freie Universität di Berlino nel ’93, analizza la teoria dei presupposti semplificati riguardo agli oggetti di ricerca delle scienze naturali e sociali, che sono strettamente legati all’insorgere della meccanica galileiana. Habermas, Jürgen Theorie des kommunikativen Handelns Suhrkamp, marzo 1995 DM 46,80 Si tratta dell’opera in due volumi sull’attività comunicativa. Habermas, Jürgen Vorstudie und Ergänzung zur Theorie des kommunikativen Handelns Suhrkamp, marzo 1995 pp. 608, DM 29,80 Haeffner, Mark Dictionary of Alchemy Aquarian, marzo 1995 pp. 304, UK £ 6.99 Si tratta di un libro che permette di comprendere la scienza e la filosofia pre-newtoniana. Il volume include sia la dimensione materialistica della trasmutazione dei metalli che la ricerca interiore tesa all’illuminazione mistica. Vengono illustrate la tradizione occidentale, quelle indo-tibetane e quella cinese taoista. Hagger, Nicholas Overlord: The Triumph of Light 1944-1945 Parti I e II Element Books Ltd, maggio 1995 pp. 112, UK £ 12.99 Si tratta delle prime due parti di un poema epico in dodici parti che presenta gli eventi storici dell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale, in un complesso contesto, che include anche Cristo e Lucifero. Questo volume tratta della storia dal DDay fino all’attentato alla vita di Hitler il 20 luglio ed al suo risultato catastrofico. Hampshire, Stewart Innocenza ed esperienza. Un’etica del conflitto Feltrinelli, maggio 1995 pp. 184, L. 35.000 Gli uomini da sempre hanno vissuto seguendo ideali di vita diversi. Non c’è individuo o società moderna che possa evitare i conflitti che sorgono da interessi e doveri morali incompatibili; anzi proprio da questo conflitto ineliminabile ha origine la morale. Harwood, John Eliot to Derrida: The poverty of Interpretation Macmillan Press, aprile 1995 pp. 208, UK £ 12.99 Si tratta di un ritratto sardonico del culto dell’interprete specialista, da I.A. Richards e la Scuola di Cambridge a Jacques Derrida, fino ai suoi discepoli. Questo studio vuole dimostrare che il “modernismo” ed il “postmodernismo” sono invenzioni accademiche. Raccolta di meditazioni sulla filosofia “quotidiana”. Hayes, Nicky - Topley, Paula Psychology: An Introduction Workbook Longman Education, aprile 1995 UK £ 6.99 Questo libro è pensato come un aiuto per gli studenti del corso di psicologia GCSE. Vengono infatti chiaramente spiegati gli argomenti che fanno parte delle conoscenze richieste per questo corso. Il libro può essere utilizzato dagli studenti come un eserciziario in cui scrivere; inoltre raccoglie i testi dei compiti di esame ed alcuni quiz a cui rispondere e da poter controllare autonomamente. Haslam, Andrew Parsons, Alexandra North American Indians Two-Can Publishing, maggio 1995 pp. 64, UK £ 3.99 Questo libro fa parte di una serie che intende esaminare le grandi civiltà del mondo, il loro modo di considerare il nostro mondo di oggi e quindi di fare storia in una maniera particolare, da un punto di vista e da un approccio inusuali. Il libro sui Nativi americani aiuta a ricostruire i loro modi di vita, le culture e le loro credenze. Heidegger, Martin Lettera sull’ “umanismo” Adelphi, maggio 1995 pp. 90, L. 10.000 Tentativo filosofico di ricostruire un’etica e un umanismo dopo le rovine della Seconda Guerra Mondiale e la perdita di senso del mondo contemporaneo, dominato dalla tecnica. Haug, W.F. (a cura di) Historisch-kritisches Wörterbuch des Marxismus vol. II: Banknoten bis Dummheit Argument, aprile-maggio 1995 pp. 400, DM 129 Questo secondo volume, che fa parte di una raccolta in dodici libri e segue quello intitolato Abbau des Staates bis Avantgarde, comprende più di 1000 voci riguardanti il marxismo, diventate importanti per la teorizzazione marxista, con le sue diverse linee pratiche e teoriche, e per i concetti dei movimenti di liberazione sociale. Heinekamp, A. - Mertens, M. (a cura di) Leibniz-Biographie vol. II: Die Literatur über Leibniz (1981-1990) Klostermann, aprile-maggio 1995 pp. 368, DM 108 Heinzmann, Richard Thomas von Aquin. Eine Einführung in sein Denken Kohlhammer, marzo 1995 pp. 281, DM 34 Si tratta di una scelta di testi, presentati in versione latina e tedesca. Hauskeller, Michael Atmosphäre. Philosophische Untersuchungen zum Begriff und zur Wahrnehmung von Atmosphären Akademie Vlg., marzo 1995 pp. 300, DM 68 In quanto percettore, l’essere umano si trova sempre immerso in un mondo di importanza affettiva, e solo a partire da questa motivazione è possibile il riconoscimento dell’oggetto. Hannover, Ingolf Geschichte und Gerechtigkeit. Ein geschichtsphilosophischer Essay Lit, aprile-maggio 1995 pp. 56, DM 14,80 Haviland, Eric Kostas Axelos: une vie pensée, une vie vecue pr. di Jean-Michel Palmier L’Harmattan, maggio 1995 pp. 163, F 90 Viene qui presentata la biografia di Kostas Axelos, nato ad Atene nel 1924 ed arrivato a Parigi nel 1945. Vengono raccontate le peripezie di una vita che Axelos non ha mai vissute separate dal suo pensiero. Vengono anche forniti diversi approfondimenti sull’opera poderosa ed insuperabile di questo autore greco. Il volume interesserà al grande pubblico. Harper, Sophie Degree Course Guide: Psychology: 1995 / 1996 Hobsons, aprile 1995 UK £ 4.99 Hay, Luise L. Puoi guardare la tua vita. Meditazioni Sansoni, maggio 1995 pp. 272, L. 25.000 Hekman, Susan J. Moral Voices, Moral Selves. Carol Gilligan and Feminist Moral Theory Polity Press, aprile-maggio 1995 pp. 200, £ 12 Questo libro è una nuova ed originale messa in discussione dei problemi centrali della teoria morale. Gilligan sostiene che non esiste solo una voce vera e morale, ma due: una maschile ed una femminile. I valori morali e ciò che è legato ad essi in una prospettiva femminile e relazionale, dipendono dalle interrelazioni con gli altri. Hermanni, Fr. - Steenblock, V. (a cura di) Philosophie Orientierung. Festschrift zum 65. Geburtstag von Willi Oelmüller Fink, marzo 1995 pp. 312, DM 78 Alla fine del XX secolo, ci si aspetta più che un orientamento dalla filosofia. Questo volume raccoglie contributi che, sull’esempio dei campi di discussione contemporanei, scandagliano le possibilità di questa disciplina. Herrschaft, Lutz Theoretische Geltung. Zur Geschichte eines philosophischen Paradigmas 79 Königshausen & Neumann aprile-maggio 1995 pp. 210, DM 48 Questo lavoro, seguendo il filo della discussione sulle idee della validità in Lotze, Windelband, Rickert, Brauch e Hans Wagner, traccia i contorni dei criteri della valutazione delle teorie di validità assiologiche, della logica dei principi ed obiettivistiche. Hersch, Jeanne Lo stupore filosofico. Una storia della filosofia Sansoni, maggio 1995 pp. 350, L. 30.000 La storia della filosofia occidentale delineata per grandi filoni, con la ricostruzione di ogni scuola e del pensiero di ogni pensatore. Hess, Rémi 25 livres clé de la philosophie Marabout, maggio 1995 F 48 Vengono presentati in ordine cronologico degli estratti di opere, che spingono ad approfondire tramite una lettura integrale. Tra i titoli scelti: Il banchetto di Platone, l’Etica di Spinoza, la Critica della ragion pura di Kant, il Discorso sul metodo di Cartesio, ed altri. Il libro si rivolge al grande pubblico. Heuer, B. - Prucha, M. (a cura di) Der Umbruch in Osteuropa als Herausforderund für die Philosophie Lang, aprile-maggio 1995 pp. 250, DM 80 Heuser-Kessler, M.L. Jacobs, W.G. (a cura di) Schelling und die Selbstorganisation. Neue Forschungsperspektiven Duncker & Humblot, marzo 1995 pp. 294, DM 132 Hirsch, Walter Das Drama des Bewußtseins. Literarische Texte in philosophischer Sicht Königshausen & Neumann, marzo 1995 pp. 151, DM 24 Vengono scelti drammi e romanzi dalla tradizione letteraria di quattro secoli, ai quali contrapporre le tradizioni filosofiche corrispondenti. L’autore si prefigge di dimostrare che la letteratura ed il pensiero scaturiscono da un comune moto culturale che caratterizza la loro epoca. Höffe, O. (a cura di) Immanuel Kant: Zur ewigen Frieden Akademie Vlg., marzo 1995 pp. 240, DM 29,80 In dodici contributi, raccolti in questo volume, si cerca di “decifrare” il testo di Kant. Esso viene interpretato in questo senso in maniera sistematica e viene rintracciata la sua portata politica, che viene anche inserita nel suo e nel nostro contesto socio-storico. NOVITÀ IN LIBRERIA Hofmann, Alexander Bedeutungsbegriff und Bedeutungstheorie. Zur Erklärung eines Rätsels Francke, marzo 1995 pp. 231, DM 68 Finché il senso di una domanda non viene spiegato secondo il suo significato, esso deve restare misterioso; così come una domanda è possibile solo nel caso in cui assuma la forma della teoria del significato. Questo studio vorrebbe risolvere questo enigma. Hohmann, Werner L. Ferdinand Ebner. Bedenker und Ebner des Wortes in der Situation der “geistigen Wende” Die Blaue Eule, marzo 1995 pp. 304, DM 56 Hollinger, Robert Pragmatism: From Progressivism to Post-modernism Praeger Publishers, aprile 1995 pp. 376, UK £ 62.50 Questi saggi esplorano lo sviluppo del pragmatismo americano, sullo sfondo della cultura e della politica americane del XX secolo. Il libro enfatizza le interrelazioni tra gli argomenti filosofici di base sollevati dal pragmatismo come movimento filosofico. Honneth, Axel The Struggle for Recognition: The Moral Grammar of Social Conflicts Polity Press, aprile-maggio 1995 pp. 260, £ 39.50 Questo lavoro sostiene che la struggle for recognition (“lotta per il riconoscimento”) è e dovrebbe essere al centro dei conflitti sociali. Honneth esamina gli argomenti proposti da Hegel e li situa sullo sfondo della concezione della vita umana come lotta per l’esistenza, proposta dalla filosofia moderna. Humboldt, Wilhelm von Le dix-huitème siècle; Plan d’uns anthropologie comparée tr. dal tedesco di C. Losfeld intr. di Jean Quilien Presses univer.de Lille maggio 1995 pp. 204, F 150 Questi due scritti del 1796 e del 1797, incompleti, costituiscono lo sviluppo di una riflessione iniziata nel 1790, sulla base dell’assimilazione del criticismo, che riguarda diversi campi del sapere ed importanti dimensioni dell’esperienza umana: la politica, la storia, l’estetica... Essi si prefiggono di rintracciare le linee direttrici di un’antropologia comparata. Il volume sarà di sicuro interesse per il pubblico. Hundert, Edward M. Lessons from an Optical Illusion: On Nature and Nurture, Knowledge and Values Harvard UP, maggio 1995 pp. 288, UK £ 19.95 Si dice spesso che i fatti sono fatti, ma i valori sono relativi. Ma si verificano quotidianamente delle situazioni in cui queste distinzioni iniziano a diventare più confuse. Questo nuovo bilancio del dibattito sulla natura ed il cibo esamina le ragioni di questa confusione, considerando anche settori come l’intelligenza artificiale, la neurologia e la linguistica. collocandosi alle soglie della grande scolastica di Albert Le Grand, di Bonaventura e Tommaso d’Aquino. Si tratta di un volume di ambito universitario. Jelden, E. (a cura di) Prototheorien - Praxis und Erkenntnis? Leipziger-Univ.-VlG aprile-maggio 1995 pp. 216, DM 40 Irrgang, Bernhard Grundriß der medizinischen Ethik UTB, aprile-maggio 1995 pp. 304, DM 33,80 Il volume presenta la strumentazione dell’etica professionale, orientata all’applicazione, che dovrebbe aiutare, nelle situazioni-limite proposte alla medicina, a prendere delle decisioni fondate dal punto morale. Jolivet, Jean Philosophie médiévale arabe et latine Vrin, aprile 1995 pp. 320 Il Medioevo ha visto la presenza simultanea di due religioni universaliste: il cristianesimo e l’islamismo, e di tre tradizioni culturali: quella greca, quella latina e quella araba. Questo libro esamina i loro rapporti ed alcune delle loro singole figure del XII secolo. Si tratta di un volume di ambito universitario. Jaescke, W. (a cura di) Philosphie und Literatur im Vormärz. Der Streit um die Romantik (1820-1854) Felix Meiner, aprile-maggio 1995 DM 98 Janaway, Christopher Immages of Excellence. Plato’s Critique of the Arts Clarendon Pr., aprile-maggio 1995 pp. 240, £ 30 Platone sosteneva nel Repubblica che le forme di poesia, dramma e musica accettate tradizionalmente sono manchevoli. Questo famoso punto di vista di Platone è stato rifiutato da molti pensatori. Junaway sostiene che questa opinione apparentemente ostile esprime una coerente e profonda valutazione delle arti, che invece non è stata recepita come tale. Jouary, Jean-Paul A che cosa serve la filosofia? Salani, maggio 1995 pp. 144, L.18.000 La filosofia? Una cosa troppo difficile che suscita ansia e preoccupazione nel lettore neofita. Considerata troppo astratta, lontana dalla vita, incomprensibile, soprattutto inutile. Questo libro vuole dimostrare che non è così: si tratta solo di presentare i problemi nel modo giusto. Jung, Werner Von der Mimesis zur Simulation. Eine Einführung in die Geschichte der Ästhetik Junius, aprile-maggio 1995 pp. 290, DM 29,80 Jankélévitch, Vladimir Pensare la morte Cortina, aprile 1995 pp. 100, L. 15.000 Uno sguardo alla vita dal difficile margine che separa l’esistenza dal nulla. Ne deriva un punto di vista sul mondo e sulle cose che affronta ogni questione con il sorridente beneficio dell’ironia. Kaiser, Ph. - Peters, D.St. (a cura di) Organismus - Evolution - Mensch. Ein Gespräch zwischen Philosophie, Naturwissenschaft und Theologie Pustet, marzo 1995 pp. 224, DM 62 Jannicaud, Dominique (a cura di) L’intentionnalité en question: entre phénoménologie et recherches cognitives Vrin, marzo 1995 pp, 400, F 198 Gli specialisti delle scienze cognitive ed i filosofi di tradizione analitica intavolano, con il movimento fenomenologico, un dialogo inedito sul concetto dell’intenzionalità, che oggigiorno sta avendo molto successo. I vari specialisti sono ben lungi dal cercare di unificare artificialmente i loro punti di vista. Il volume è di ambito universitario. Kalogerakos, Ioannis G. Seele und Unersterblichkeit. Untersuchungen zur Vorsokratik bis Empedokles Teubner, marzo 1995 pp. 256, DM 78 Kamm, F.M. Morality, Mortality: Rights, Duties and Value vol. 2 Oxford UP Inc., maggio 1995 pp. 352, UK £ 37.50 Con questo secondo volume, l’autrice continua il suo sviluppo di una teoria etica non consequenzialista e delle sue applicazioni ai problemi etici pratici. La Kamm esamina la distinzione tra ammazzare e lasciare che qualcuno muoia, i concetti dei diritti, delle prerogative e della supererogazione. Jean de La Rochelle Summa de anima a cura di Jacques-Guy Bougerol Vrin, marzo 1995 pp. 296, F 240 Quest’opera, qui presentata in latino, composta da uno dei maestri della teologia, costituisce la sintesi più importante sull’anima e i suoi poteri, 80 Kämpf, Heike Tauschenbeziehungen. Zur anthropologischen Fundierung des Sybolbegriffs W. Fink, marzo 1995 pp. 194, DM 48 Partendo da una ricostruzione e dalla critica dei concetti simbolici tradizionali, questo libro cerca di far dialogare la filosofia e l’etnologia. Gli approcci filosofici all’etnologia seguono l’esempio di Ernst Cassirer, il cui concetto simbolico viene però ampliato alla dimensione interindividuale e pragmatica. Kant, Immanuel Qu’est-ce qu’un livre? pres. e tr. di Jocelyn Benoist PUF, aprile 1995 pp. 160, F 55 L’autore ed il proprietario del libro possono dire ciascuno, con lo stesso diritto, del volume: è il mio libro! Ma questo diritto dell’autore non è un diritto sulla cosa, perché sa di cosa tratta l’esemplare, ma un diritto innato sulla propria persona, di sapere quindi che nessun’altro possa far discorrere il volume con il pubblico senza il suo consenso. Si tratta di un volume di ambito universitario. Kant, Immanuel Il male radicale Mondadori, maggio 1995 pp. 100, L. 8.000 Le basi del comportamento etico a partire dalla natura eticamente valutabile dell’uomo, le sue regole fondamentali di condotta, il rispetto per la legge morale. Kant, Immanuel Fondazione della metafisica dei costumi Rizzoli, maggio 1995 pp. 400, L. 18.000 La prima formulazione della morale kantiana precedente alla stesura della Critica della ragion pratica. Testo tedesco a fronte. Kant, Immanuel Opus Postumum a cura di Eckart Forster Cambridge UP, aprile 1995 UK £ 12.95 Questo volume è la traduzione dell’opera più importante di Kant, Opus Postumum, un’opar che Kant stesso definì il suo “capolavoro”, il perno su cui ruota tutto il suo sistema filosofico. Questo lavoro doveva costituire la transizione dalle basi metafisiche della scienza naturale alla fisica. Kellerer, Christian Die Befreiung des abendländischen Denkens Stroemfeld, marzo 1995 pp. 680, DM 48 La Befreiung des abendländischen Denkens di Kellerer, le cui basi furono da lui formulate negli anni ’30, riguarda le scienze naturali olistiche, la psicologia e la critica della conoscenza filosofica. NOVITÀ IN LIBRERIA Kenny, Anthony Frege: An Introduction to the Founder of Modern Analytic Philosophy Penguin, aprile 1995 pp. 240, UK £ 7.99 Questa biografia di Frege, il fondatore della logica moderna, mostra che, benché egli fosse poco conosciuto, ebbe un grande influsso sulla filosofia analitica, attraverso Russell, e sulla filosofia continentale, attraverso Husserl. Kertész, András Die Ferse und der Schild. Über Möglichkeiten und Grenzen kognitionswissenschaftlicher Theorien der Erkenntnis Lang, aprile-maggio 1995 pp. 242, DM 70 Keulartz, Josef Die verkehrte Welt des Jürgen Habermas. tr. dall’olandese di I. v. der Art Junius, aprile-maggio 1995 pp. 240, DM 48 Kierkegaard, Søren Una recensione letteraria Guerini, aprile 1995 pp. 144, L. 22.000 La novella Due epoche, di Thomasine Buntzen, offrì al filosofo-teologo danese l’occasione per sviluppare complesse considerazioni esteticomorali. Kierkegaard, Søren Sul concetto di ironia in riferimento costante a Socrate Rizzoli, aprile 1995 pp. 336, L. 16.500 È il parto di un accoppiamento non proprio giudizioso tra entusiasmo e ironia: entusiastico nella deduzione giovanile con cui si vota alla filosofia, ironico nel distacco che pone tra la materia e sé, e tra sé e il lettore. Kiesiel, Theodore The Genesis of Heidegger’s ’Being and Time’ Univ. of California aprile-maggio 1995 pp. 608, $ 22 Attraverso una sofferta ricerca negli archivi europei e nella corrispondenza privata di Heidegger, Kiesiel riesce a fornire un resoconto continuo dello sviluppo del filosofo nei suoi primi anni di attività e del suo progredire verso il suo capolavoro. Klassen, Norman Chaucer on Love, Knowledge and Sight D S Brewer, maggio 1995 pp. 256, UK £ 29.50 Klassen fa riferimento alla filosofia naturale medioevale ed alla metafisica per chiarire l’uso da parte di Chaucer del motivo della vista nella sua poesia d’amore, quando il poeta vuole esplorare il rapporto tra amore e conoscenza. Kleingeld, Pauline Fortschritt und Vernunft. Zur Geschichtsphilosophie Kants Königshausen & Neumann, marzo 1995 pp. 232, DM 48 Questo studio mira a stabilire quale sia la collocazione sistematica della filosofia della storia all’interno del pensiero di Immanuel Kant e ad analalizzarne i pensieri-guida. Kroker, E.J.M. - Dechamps B. (a cura di) Information - eine dritte Wirklichkeitsart neben Materie und Geist. Königsteiner Forum FAZ, marzo 1995 pp. 200, DM 29,50 Il volume contiene i contributi al forum di Königstein. Kwame, Safro Readings in African Philosophy: An Akan Collection Univ. Press America, maggio 1995 pp. 318, UK £ 31.50 Quest’antologia, che si occupa di un preciso gruppo etnico, propone una raccolta di saggi di filosofia africana. Il libro si occupa di argomenti fondamentali riguardanti la vita ed il sapere e copre le aree tradizionali e comuni della ricerca filosofica, come la metafisica, il femminismo, l’etica degli affari. Knoell, Dieter R. Zur gesellschaftlichen Stellung der Kunst zwischen Natur und Technik. Untersuchungen zum Verhältnis von Ästhetik und Politik in den Kunstkonzeption der kritischen Theorie des Neopositivismus vol. II: Neopositivistische Kunsttheorie zwischen Elitekunst und Massenproduktion Olms, marzo 1995 pp. 236, DM 39,80 Laruelle, François Théorie des étrangers Kimé, marzo 1995 pp. 336, F 185 Attraverso la psicoanalisi, la democrazia e la teoria di ciò che è “straniero”, il volume cerca di raggiungere una soluzione insolita alle antinomie della filosofia, attraverso la fondazione di una teoria, il cui fattore unificante è l’uomo in quanto istanza del reale. A seconda dei materiali che essa utilizza, prende la forma di una scienza delle moltitudini umane, di una teoria democratica piuttosto che di una filosofia della psicoanalisi. Si tratta di un saggio di ambito universitario. Kolnai, Aurel The Utopian Mind and Other Papers: a Critical Study in Moral and Political Philosophy Athlone Press, marzo 1995 pp. 288, UK £ 42.00 Si tratta di una critica dell’utopia, cioè di un modo di valutazione che si contrappone a quello del senso comune. Questo libro si rivolge a chiunque si occupi di questi valori e della natura della libertà, sia essa personale, politica o filosofica. Koribaa, Nabhani Philosophes de l’humanité: Grèce, Rome, Indie, Chine, Perse, Islam, Europe médiévale et moderne Publisud, aprile 1995 pp. 99, F 68 Si tratta di una presentazione dei filosofi rappresentativi delle grandi civiltà che si propone di dare un panorama il più esaustivo possibile agli studenti liceali ed universitari, ed al pubblico in generale. Laycock, Steven W. Mind as Mirror and the Mirroring of Mind. Buddhist Reflections on Western Phenomenology State of New York Pr., marzo 1995 pp. 352, $ 22 Questo studio, radicato nella visione dialettica madhyamika e nella fenomenologia articolata zazen, scopre ed esamina i presupposti metodologici che danno vigore alle opere di Husserl, Sartre e Merleau-Ponty. L’autore mette seriamente in discussione alcuni degli assunti fondamentali della tradizione fenomenologica occidentale riguardanti la natura della mente. Kreimendahl, L. (a cura di) Aufklärung und Skepsis. Studien zur Philosophie und Geistesgeschichte des 17. und 18. Jahrhunderts. Günter Gawlick zum 65. Geburtstag am 1. März 1995. Im Verbindung mit Hans Ulrich Hoche und Werner Stube Frommann-Holzboog, marzo 1995 pp. 320, DM 184 Leaman, Oliver Friendship East and West: Philosophical Perspectives Curzon Press, maggio 1995 pp. 260, UK £ 35 Nella filosofia contemporanea, si è risvegliato l’interesse per il concetto di amicizia. Questo libro offre non solo una trattazione delle idee dell’amicizia presso i Greci ed i Cristiani, ma anche un’indagine sull’amicizia nella prospettiva islamica, ebraica, cinese, giapponese ed indiana. Kreuzer, Johann Augustinus Campus, marzo 1995 pp. 150, DM 24,80 Questa introduzione rappresenta anche una spiegazione della “estraneità interiore” che interessa la storia del nostro pensiero. Essa non mira né ad un augustinismo al di là dei tempi né ad una storia delle idee agostiniane, quanto alla ricerca delle tracce del pensiero agostiniano che possono ancora essere interessanti e stimolanti. Lechner, Raimund Zwischen Rationalismus und Tradizionalismus. Offenbarung und Vernunft 81 bei Jakob Frohschammer Lit, aprile-maggio 1995 pp. 480, DM 78,80 Si tratta della tesi di abilitazione all’insegnamento tenuta da Lechner presso l’università di Monaco di Baviera nel 1993. Lefort, Claude Ecrire à l’épreuve du politique Pocket, marzo 1995 pp. 398, F 44 Il volume raccoglie scritti e studi apparsi nelle diverse riviste ed opere collettive, insieme ad interventi tenuti in occasione di manifestazioni varie. Si tratta di un’opera che incontrerà il favore e l’interesse del pubblico. Lehmann, Günther Ästhetik der Utopie. Arthur Schopenhauer, Sören Kierkegaard, Georg Simmel, Max Weber, Ernst Bloch Günther Neske, aprile-maggio 1995 pp. 294, DM 58 Lehmann, Jennifer M. Deconstructing Durkheim: A Post-post Structuralist Critique Routledge, aprile 1995 pp. 288, UK £ 13.99 Questo studio fornisce una coerente analisi testuale della sociologia di Durkheim, dal punto di vista dello strutturalismo critico. L’ontologia sociale di Durkheim viene analizzata come una teoria sociologica della realtà, guidata da un’apparente tensione tra il determinismo sociale e l’ind i v id u al i s mo . Leibniz, Gottfried Wilhelm L’estime des apparences: 21 manuscrits de Leibniz sur les probabilités, la théorie des jeux, l’ésperance de la vie a cura di M. Parmentier Vrin, marzo 1995 pp. 472, F 220 Parallelamente alle ricerche teoriche (sul problema dei non, della parte e della speranza matematica), l’analisi dei giochi di moda e quella successiva sulla speranza della vita ci rivelano che qui il punto di vista non è quello di un matematico, ma quello di un logico e di un teorico dei giochi ante litteram. L’opera é presentata in versione bilingue latino-francese. Si tratta di un saggio di ambito universitario. Leist, Anton Wege der Moral Begründung W. Fink, marzo 1995 pp. 320, DM 68 Il volume cerca di dare un quadro delle più importanti posizioni teoretiche all’interno della filosofia morale contemporanea. Non si cerca tanto qui di far comparire una dopo l’altra le vari posizioni, ma piuttosto di cercare di farle rientrare, come varianti, in due tipi di struttura di motivazione, di fondazione. NOVITÀ IN LIBRERIA Lenk, Hans Schemaspiela. Über Schemainterpretationen und Interpretationskonstrukte Suhrkamp, aprile-maggio 1995 pp. 280, DM 40 Hans Lenk cerca di sviluppare un’integrazione costruttiva all’approccio alla filosofia dei costrutti dell’interpretazione. A questo scopo, egli inserisce anche punti di vista filosoficoantropologici, neurofisiologici, che vengono utilizzati in modo teoricoconoscitivo. Leonardi, Paolo On Quine: New Essays Cambridge UP, maggio 1995 UK £ 40 In questa raccolta, un gruppo di accreditati filosofi offre una valutazione critica della grande portata degli scritti di Quine. All’interno degli argomenti investigati, si trovano l’interpretazione, l’epistemologia, l’ontologia, la modalità e la verità matematica. Lindemann, G. - Wobbe, Th. (a cura di) Denkachsen, Zur theoretischen und institutionellen Rede vom Geschlecht Suhrkamp, aprile-maggio 1995 pp. 320, DM 22,80 L’erosione delle teorie totalizzanti ha coinvolto anche la ricerca delle donne. Questo porta ad una ricerca di certezze definitive, da una parte; ma, dall’altra, apre anche il campo e dà, alle nuove teorie, la possibilità di emergere. Losurdo, Domenico Die Gemeinschaft, der Tod, das Abendland. Heidegger und die Kriegsideologie tr. dall’italiano J.B. Metzler, marzo 1995 pp. 366, DM 58 Losurdo riscontra questa dimensione politica nel pensiero di Heidegger, che lo porta a vedere sotto una prospettiva nuova, non semplicisticamente politica, il lavoro e la vita di Heidegger. Lowe, Jonathan Locke on Human Understanding Routledge, maggio 1995 pp. 224, UK £ 6.99 Questo libro guida attraverso un’analisi dell’opera più importante di Locke, il Saggio sull’intelletto umano, che risulta essere un’opera fondamentale per molti settori della filosofia e soprattutto per l’epistemologia, la metafisica, la filosofia della mente e della lingua. Lucas, J.R. Responsibility Clarendon Press, aprile 1995 pp. 306, UK £ 12.99 La responsabilità è un concetto-chiave del nostro modo di pensare morale, sociale e politico, che però non viene sempre capito correttamente. L’autore di questo studio discute ampiamente ed in maniera accessibile a tutti della responsabilità in diverse aree della vita umana, dai rapporti personali e sessuali alla politica. volume intitolato A Theory of Literary Production . Continuando il progetto della teoria di Althusser, Macherey si occupa di presentare un’esegesi molto coerente di testi classici della letteratura e della filosofia francesi, dal XVIII secolo fino agli anni ‘70. Lucrezio La nature des choses: De rerum natura tr. e a cura di Chantal Labre Arléa, maggio 1995 pp. 333, F 45 Quest’opera, uno dei grandi libri dell’umanità, inaugura, al di là di ogni ambizione strettamente scientifica, una morale del materialismo, una morale del vivente e della sua fragilità, una morale del sentimento. Machiavelli, Nicolò Le prince - Il principe a cura di Gérard Luciani Gallimard, marzo 1995 pp. 338, F 50 In questo saggio filosofico-politico, pubblicato nel 1532, Machiavelli studia le diverse tipologie di Stato, i diversi modi attraverso i quali sono state costituitie ed i diversi modi di conservarle. In questa prospettiva, vengono esaminati le qualità ed i difetti del principe. Il volume si rivolge ad un vasto pubblico. Lühe, Astrid von der David Humes ästhetische Kritik Felix Meiner, aprile-maggio 1995 DM 86 Lyons, Williams Modern Philosophy of Mind J M Dent, marzo 1995 pp. 336, UK £ 5.99 Con questo libro, dal formato di pagina che consente di avere dei margini ampi per le note, l’editore presenta, nell’introduzione al volume, la più recente scuola di filosofia della mente ed include anche una bibliografia annotata, una selezione della critica ed una cronologia delle vite e del periodo in cui vissero gli autori. MacIntyre, Alasdair Geschichte der Ethik im Überblick. Vom Zeitalter Homers bis zum 20. jahrhundert Beltz, aprile-maggio 1995 DM 32 Magnard, Pierre (a cura di) La dignité de l’homme: actes du colloque tenu à la Sorbonne -Paris IV en novembre 1992 Champion, aprile 1995 F 298 Durante il Rinascimento comparve un ideale di individualità libera, con una netta valorizzazione della personalità: attraverso la sua virtù, la sua forza di carattere l’individuo diventa padrone di se stesso. Non è certo per caso che Pico de La Mirandola scrive un trattato sulla dignità dell’uomo, in cui si insiste sulla libertà dell’uomo nel culto dovuto a Dio. I contributi al convegno sono di specialisti del settore. Lyotard, Jean Francois Anima minima. Sul bello e il sublime Pratiche, aprile 1995 Quattro saggi in omaggio a Kant. Ci si interroga sui problemi del gusto e del senso comune, sulle differenze fra bello e sublime, fino a ritrovare il sublime all’origine di ogni grande produzione artistica e del suo godimento, come sentimento o sensazione elementare, inconsapevole, anima minima, appunto. Mailloux, Steven Rhetoric, Sophistry, Pragmatism Cambridge UP, maggio 1995 UK £ 11.95 Questo testo esplora in diversi modi in cui la retorica, il sofismo ed il pragmatismo si sovrappongono, per quanto riguarda le loro implicazioni teoretiche e politiche. Il volume dimostra anche come essi contribuiscano alla formazione di una nuova concezione delle scienze umane all’interno dell’accademia e ad un dibattito più esteso sulla politica culturale. Lyotard, Jean-François L’enthousiasme: la critique kantienne de l’histoire LGF, marzo 1995 pp. 111, F 26 L’analisi kantiana dell’entusiasmo, suscitata dalla rivoluzione francese, che importanza dà alla storia e che significato assume per noi, a due secoli di distanza? Il saggio è destinato agli insegnanti ed agli studenti di filosofia ed agli storici. Lytton, Rosina Bulwer Shells from the Sands of Time Thoemmes Press, maggio 1995 pp. 272, UK £ 14.75 Rosina Bulwer Lytton, dopo essere stata vilipesa e considerata come la moglie folle di Edward Bulwer Lytton, attaccò suo marito, utilizzando la penna, generalmente all’interno dei suoi romanzi sensazionalistici. Questa è una raccolta dei suoi saggi di letteratura e filosofia. Maine de Biran De l’aperception immédiate: mémoire de Berlin 1807 a cura di François Azouvi Vrin, aprile 1995 pp. 328, F 198 Questa nuova edizione dell’opera in cui Maine de Biran discute la questione del sapere se ci sia una percezione immediata interna ed in cosa consista; essa ci confronta con un’opera della maturità che dimostra molta maestria. Operando una sintesi dei suoi lavori precedenti, riassumendoli in forma concisa, Biran procede ad un’analisi rigorosa dei fatti primitivi del senso interno. Macherey, Pierre The Object of Literature Cambridge UP, marzo 1995 s.p., UK £ 11.95 Questo è il primo lavoro di Macherey relativo alla letteratura, dopo il suo 82 Malberg, Arne Theories of Mimesis Cambridge UP, marzo 1995 pp. 230, £ 11 Si tratta di un resoconto sul linguaggio ed il tempo, un tracciato dei movimenti della mimesi dalla filosofia platonica della similarietà alle idee moderne della diversità. Vengono discusse la teoria e la storia della mimesi attraverso analisi narratologiche di testi di Platone, Cervantes, Rousseau e Kierkegaard. Malcolm, Budd Values of Art: Pictures, Poetry and Music Allen Lane, aprile 1995 pp. 224, UK £ 20.00 Il libro è un tentativo di spiegare la questione centrale dell’estetica: perché l’arte è valida? Il filosofo e studioso di estetica, autore di questo libro, accompagna il lettore attraverso le teorie più importanti dell’arte, esaminandole e suggerendo una sua teoria, che passa attraverso le arti visive, la letteratura e la musica. Mall, Ram Adhar Philosophie im Vergleich der Kulturen. Interkulturelle Philosophie - eine neue Orientierung Wiss. Buchges., aprile-maggio 1995 pp. 200, DM 39,80 A lato delle definizioni concettuali e contenutistiche dell’interculturalità si trova anche la pratica della filosofia nelle culture, e deve essere considerata. In questo senso, vengono brevemente presentati gli aspetti più importanti della filosofia cinese, indiana, europea, africana e latino-americana. Maréchal, Joseph Il punto di partenza della metafisica Vita e pensiero, aprile 1995 L. 72.000 Lezioni sullo sviluppo storico e teoretico del problema della conoscenza. Marquet, Jean-François Singularité et événement J. Millon, aprile 1995 pp. 240, F 150 Fare uscire la storia dalla filosofia per la quale potrebbe essere come una giustapposizione ricapitolatrice - questo è il compito di questo saggio. Innanzi tutto è possibile ripercorrere le tappe della filosofia dalle sue origini greche fino ad oggi. È poi possibile riflettere su un termine filosofico, non importa a partire da quale percorso. Si tratta di un volume di ambito universitario. Masayuki, Ninomiya La pensée de Kobayashi Hideo: un intellectuel japonais au tournant de l’histoire Droz, marzo 1995 pp. 364, F 180 Si tratta di una monografia su di un intellettuale giapponese di tutto rilievo, vissuto tra il 1920 ed il 1983. L’autore è uno specialista del settore. NOVITÀ IN LIBRERIA McClamrock, Ron Existential Cognition. Computational Minds in the World The Univ. of Chicago Pr., marzo 1995 pp. 192, $ 29 Questo libro sintetizza lo stato in cui si trovano la filosofia e la scienza cognitiva, rispetto a come la mente interagisce con il mondo per produrre pensieri, idee ed azioni. L’indagine di McClamrock ha implicazioni per la filosofia, la scienza cognitiva, l’informatica e la psicologia. McCulloch, Gregory The Mind and its World Routledge, maggio 1995 pp. 264, UK £ 12.99 Questo libro propone un’introduzione ad una serie di controversie contemporanee che caratterizzano il campo della filosofia della mente e del linguaggio. Vengono considerati gli ultimi dibattiti che si svolgono in ambito filosofico e della scienza cognitiva riguardo alla tematica se il soggetto pensante abbia bisogno di un ambiente, in modo di essere in grado di pensare. McGuinness, Brian (a cura di) Ludwig Wittgenstein: Cambridge Letters. Correspondence with Russell, Keynes, Moore, Ramsey and Graffi Blackwell Publishers, maggio 1995 pp. 200, UK £ 45.00 Si tratta di una raccolta di lettere scritte tra Wittgenstein ed i rappresentanti della Scuola di Cambridge. Chi scrive a Wittgenstein non fa parte solo della sua cerchia di allievi, ma è anche suo ispiratore e mentore, come, per esempio, Bertrand Russell. Meehan, Johanna (a cura di) Habermas and Feminism Routledge, aprile 1995 pp. 256, UK £ 12.99 I saggi contenuti in questo lavoro analizzano diversi aspetti della teoria di Habermas, a partire dalla sua teoria morale, per arrivare fino agli argomenti politici dell’identità e della partecipazione. Essi illustrano anche il significato potenziale che il lavoro di Habermas può avere per le riflessioni femminili sul potere, le norme e la soggettività. Mendelssohn, Harald von Sören Kierkegaard. Ein Genie in einer Kleinstadt Klett-Cotta, marzo 1995 pp. 320, DM 58 Mensching, Günther Thomas von Aquin Campus, marzo 1995 pp. 150, DM 24,80 Con questo volume, l’autore vuole proporre una nuova lettura di questo filosofo. Egli cerca di vedere Tommaso d’Aquino nel segno del grande Illuminismo europeo, al fine di permetterne una lettura laica. Merleau-Ponty, Maurice La nature: notes, cours du Collège de France; suivi de Résumés de cours correspondants de Maurice Merleau-Ponty Seuil, aprile 1995 pp. 380, F 149 Si tratta di un approccio al concetto di natura ed alla sua storia da parte di un filosofo, il quale eredita le sue teorie direttamente da Husserl e Heidegger. Il volume si rivolge agli specialisti del settore. Miller, David Pluralism, Justice, and Equality: Reading Spheres of Justice Oxford UP, aprile 1995 pp. 320, UK £ 13.99 I saggi di questo volume sostengono e sviluppano le idee centrali del precedente lavoro di Michael Walzer, Spheres of Justice. Merolle, Vincenzo The Correspondence of Adam Ferguson Pickering & Chatto, aprile 1995 UK £ 135.00 Questa edizione della corrispondenza di Adam Ferguson contiene oltre quattrocento lettere, di cui la maggior parte è inedita. Nella corrispondenza sono incluse lettere tra Ferguson e Adam Smith, tra David Hume e Alexander Carlyle e di molte altre figure dell’Illuminismo scozzese. Misrahi, Robert Construction d’un château: traité du bonheur Seuil, aprile 1995 pp. 155, F 29 Il castello è la dimora dell’essere? Proprio per rispondere a questa domanda è stato scritto questo libro. Esso si trasforma in una proliferazione barocca di una metafora o in una costruzione onirica e architettonica di qualcosa di immaginario. Il pubblico troverà questo libro molto interessante. Merton, Thomas Conjectures of a Guilty Bystander Burns & Oates, maggio 1995 pp. 368, UK £ 10.95 In questa serie di note, opinioni, esperienze e riflessioni Thomas Merton esamina alcuni degli argomenti morali più urgenti del suo tempo. Oltre a queste riflessioni, Padre Merton commenta il pensiero a lui contemporaneo di autori come Camus, Gandhi e Barth. Molnár, Géza von Goethes Kantstudien. Eine Zusammenstellung nach Eintragungen in seinen Handexemplaren der ‘Kritik der reinen Vernunft’ und der ‘Kritk der Urteilskraft’ Böhlaus Nachfolger Vlg., marzo 1995 pp. 358, DM 48 Moser, Paul - Trout, J.D. (a cura di) Contemporary Materialism: A Reader Routledge, marzo 1995 pp. 400, UK £ 16.99 Questo lavoro analizza il materialismo, in modo da riflettere l’impatto cha ha avuto sul pensiero moderno nel campo della metafisica, della filosofia della mente e della teoria dei valori. Gli scritti qui raccolti forniscono il tracciato dei problemi contemporanei, delle posizioni e dei temi del materialismo. Merton, Thomas The Way of Chuang Tzu Burns & Oates, maggio 1995 pp. 160, UK £ 6.95 Questo libro, che è il risultato di cinque anni di lettura, di studio e di meditazione, descrive il pensiero di Chuang Tzu, il più spirituale dei filosofi cinesi ed il portavoce del taoismo. Il libro è illustrato con disegni tratti dal Libro della pittura Tao. Meyerson, Emile De l’esplication dans les sciences, 1927 Fayard, marzo 1995 pp. 784, F 390 In quanto filosofo, Meyerson si contrappone al convenzionalismo ed al positivismo, perché sostiene che essi operano una razionalizzazione del reale. In quest’opera, egli testa la sua teoria della scienza attraverso dei confronti storici e filosofici. Egli mostra anche che le teorie sbagliate, rovesciate, sono interessanti quanto quelle “vere”. Questo volume incontrerà il favore del pubblico. Muglioni, Jacques Auguste Comte: un philosophe pour notre temps Kimé, aprile 1995 pp. 192, F 135 L’opera di Comte coniuga la riflessione filosofica, cioè lo spirito d’insieme e l’immensa storia i cui sviluppi rappresentano l’umanità indivisibile. Come si può uscire da questa grande crisi storica che si eternizza sotto i nostri occhi, senza che si possa intravedere, nel mondo presente e presso gli spiriti migliori, qualche soluzione di pensiero o rappresentazione positiva dell’avvenire? Si tratta di un volume di ambito universitario. Miller Jr, Fred D. Nature, Justice, and Rights in Aristotle’s ‘Politics’ Clarendon Press, aprile 1995 pp. 384, UK £ 40 Questo studio del testo di Aristotele si oppone all’idea che il concetto dei diritti sia alieno al pensiero di Aristotele, portando a prova dell’opinione di Miller la descrizione di come la teoria della giustizia di Aristotele sia in realtà una pretesa di diritti individuali, che sono sia politici che basati sulla natura. Müller, G. Das kritische Geschäft der Vernunft. Symposium zur Ehre von Gerhard Funke Bouvier, aprile-maggio 1995 pp. 112, DM 49 Si tratta dei quattro interventi presentati durante il simposio in onore di Gerhard Funke, dedicato alla questione dell’uso critico della ragione nella teoria e nella prassi. 83 Munster, Arno La différence comme non-indifference: éthique et altérité chez Emmanuel Lévinas Kimé, marzo 1995 pp. 160, F 120 Il volume contiene una conversazione con E. Lévinas, il quale - mettendo al centro del suo pensiero l’epifania del viso come esteriorità che danneggia e lacera il sensibile - oltrepassa i limiti della filosofia classica: egli fonda un pensiero dell’etica e del significato primario che troverà un’espressione originale nella sua filosofia della trascendenza etica presso altri autori. Nasr, Seyyed Hossein Islamic intellectual tradition a cura di Mehdi Aminrazavi Curzon Press, maggio 1995 pp. 360, UK £ 35 Questo volume riunisce numerosi saggi del metafisico iraniano ed ontologista Seyyed Hossein Nasr, riguardanti la filosofia islamica e gli intricati rapporti tra la cultura persiana e le sue scuole filosofiche. Natoli, Salvatore I nuovi pagani Il Saggiatore, aprile 1995 pp. 144, L. 22.000 Una riflessione intorno alla possibilità, per l’uomo contemporaneo, di abitare diversamente il nostro pianeta. Neuser, Wolfgang Natur und Begriff. Zur Theoriekonstruktion und Begriffsgeschichte von Newton bis Hegel J.B. Metzler, marzo 1995 pp. 225, DM 58 Sullo sfondo di una teoria della storia dei concetti, vengono studiate diverse concezioni di conoscenza della natura che sono riscontrabili nella fisica e nella filosofia post-newtoniane. Nietzsche, Friederich Werke. Kritische Gesamtausgabe tomo 2, vol. IV: Vorlesungsaufzeichnungen a cura di F. Bormann de Gruyter, marzo 1995 pp. 637, DM 270 Questa parte dell’edizione completa in quattro volumi ed otto tomi delle opere di Nietzsche contiene dei testi che erano fin qui rimasti inediti, tra i quali la traduzione del libro I e di alcune parti del libro II della Retorica di Aristotele, così come l’introduzione all’epigrafica latina. Nietzsche, Friederich The Complete Works of Friedrich Nietzsche: Unfashionable Observations Vol. 2 a cura di Richard T. Gray Stanford UP (CUP), maggio 1995 pp. 280, UK £ 25. Viene qui presentata la traduzione inglese delle Unzeitgemäße Betrachtungen (Unfashionable Observations) di Nietzsche. Il tema che collega questi quattro saggi è l’atteggiamento di Nietzsche rispetto ai movi- NOVITÀ IN LIBRERIA menti principali e popolari della cultura europea, e soprattutto tedesca, a lui contemporanea. O’Connor, T. (a cura di) Agents, Causes and Events. Essays on Indeterminism and Free Will Oxford UP, aprile-maggio 1995 pp. 288, £ 15 I saggi di questo volume raccolgono le più importanti discussioni riguardanti le prospettive di arrivare ad un resoconto indeterministico soddisfacente della libertà d’azione. Oehler, Klaus Sachen und Zeichen. Zur Philosophie des Pragmatismus Klostermann, aprile-maggio 1995 pp. 270, DM 68 Gli argomenti trattati nei saggi qui riuniti coprono il periodo tra il 1968 ed il 1994, e sono stati scritti in relazione alle lezioni ed ai seminari dell’autore, legati alla filosofia del pragmatismo e soprattutto intorno alla figura di Peirce. Osterman, Bernt Value and Requirements: An Enquiry Concerning the Origin of Value Avebury, aprile 1995 pp. 202, UK £ 35 Questa monografia analizza le origini del valore. Vengono stabiliti i suoi fondamenti concettuali e si fa riferimento alle idee di von Wright, Mackie e Lewis. Viene analizzata l’applicazione alla vita e al mondo del giudizio sul valore e viene discusso il modo di argomentare di questi autori. Papadopoulo, Alexandre Introduction à la philosophie russe: des origines à nos jours Seuil, marzo 1995 pp. 300, F 180 Il panorama di una filosofia nazionale che esprime i caratteri propri ai russi, il loro atteggiamento davanti alla vita ed alla morte, la giustizia e l’ingiustizia, la morale e la religione: da Lomonossov a Herzen, da Khomiakov e Gogol a Tolstoï, da Soloiev e Dostoïevsky a Berdiaev, da Bakunin a Plekhanov e Lenin, da Florensky a Soljenitsyne. Si tratta di un libro indirizzato al grande pubblico. Pappas, Nickolas Plato and ‘The Republic’ Routledge, aprile 1995 pp. 208, UK £ 7.99 Questo testo guida il lettore attraverso La repubblica di Platone, la sua opera più importante. Con questo volume, vengono offerti il contesto, l’analisi, il testo; ma viene anche affermata l’importanza di Platone per il pensiero occidentale. Patocka, Jan Papiers phénoménologiques a cura di Erika Abrams J. Millon, maggio 1995 pp. 304, F 190 Questa raccolta di scritti, degli anni 1965-1976, propone due assi principali: quello del movimento dell’esi- stenza e quello del movimento dell’apparizione, in un confronto critico con il pensiero di Husserl, Heidegger e Fink. Da un asse all’altro, si trovano le premesse dell’elaborazione della fenomenologia “asoggettiva”. Il volume è di ambito universitario. Critica della ragion pura di Kant. In quest’opera, consacrata ai problemi di fondamenti della filosofia, ci si interroga sul senso dell’eclissi di questa facoltà in Reinhold e Fichte, ma anche in Habermas. Si tratta di un libro di ambito universitario. Peckhaus, Volker Hermann Ulrici (1806-1884). Der Hallesche Philosoph und die englische Algebra der Logik Hallescher Vlg., aprile-maggio 1995 pp. 184, DM 24,80 Il volume contiene una scelta di testi di Ulrici sulla logica ed una bibliografia dei suoi scritti. Pieper, Josef Werke in acht Bänden vol. III: Schriften zum Philosophiebegriff Felix Meiner, aprile-maggio 1995 pp. 336, DM 76 Il primo volume dell’edizione delle opere di Pieper contiene, insieme a scritti già pubblicati, anche delle conferenze inedite, il discorso in occasione dell’abilitazione a Münster, la conferenza introduttiva (la preparazione filosofica) e quella sulla filosofia non cristiana del periodo in cui si trovava come professore ospite negli Stati Uniti. Peetz, Siegbert Die Freiheit im Wissen. Eine Untersuchung zu Schellings Konzept der Rationalität Klostermann, aprile-maggio 1995 pp. 360, DM 98 La tesi di queste analisi è che lo specifico del concetto della razionalità di Schelling è da vedere nella libertà che costituisce la possibilità di stabilire un comportamento alterabile, che deve essere applicato, al fine di permettere la costituzione del sapere e delle modalità della conoscenza. Pietschmann, Herbert Das Ende des naturwissenschaftlichen Zeitalters Weitbrecht, marzo 1995 pp. 368, DM 39 Si tratta di un viaggio molto particolare nel pensiero delle scienze naturali. È un’opera fondamentale per la storia della scienza moderna. Perloff, Majorie Postmodern Genres Univ. Oklahoma Press, aprile 1995 pp. 288, UK £ 14.50 Questo testo mette in risalto il valore e la portata della cultura al di là delle discipline tradizionali della vita “professionale” e mette alla prova i limiti delle arti letterarie, musicali, grafiche, plastiche e di performance..Nel libro si sostiene che il post-modernismo trasforma l’interpretazione minando sottilmente le affermazioni generiche. Pinto, Louis Les neveux de Zarathoustra: la réception de Nietzsche en France Seuil, aprile 1995 pp. 205, F 130 Nietzsche, tradotto molto presto, è stato, per la Francia, un punto di riferimento essenziale ed è poi stato ancora più considerato negli anni ’60. Per capire come Nietzsche sia diventato filosofo, bisogna ricostruire la genealogia delle diverse interpretazioni che possono essere comprese attraverso la storia sociale degli interpreti. Si tratta di un libro indirizzato a tutti i lettori, senza distinzione di sorta. Perone, Ugo Nonostante il soggetto Rosenberg & Sellier, aprile 1995 pp. 192, L. 28.000 Piana, Giovanni Mondrian e la musica Guerini, aprile 1995 pp.120, L. 16.000 Le relazioni estetico-filosofiche che legano lo stile pittorico di Piet Mondrian alle tendenze delle avanguardie musicali che gli furono contemporanee. Platone The Statesman tr. e a cura di Julia Annas Cambridge UP, marzo 1995 pp. 200, UK £ 9.95 Questa traduzione, con bibliografia, note ed introduzione, de Il Politico di Platone, la sua opera politica così poco considerata, è fondamentale per comprendere lo sviluppo del suo pensiero politico. Per certi aspetti, quest’opera continua i temi de La repubblica , in particolar modo l’importanza della conoscenza e del sapere come requisiti per dirigire gli altri. Picavet, Emmanuel Approches du concret: une introduction à l’épistémologie Ellipses-Marketing, aprile 1995 pp. 158, F 95 Si tratta di un’introduzione ad alcuni dei maggiori temi della teoria della conoscenza e della filosofia della scienza.È un libro indirizzato al grande pubblico. Platone Concordantae in Platonis opera omnia pars I: Euthyphiro curavit Mauro Siviero Olms, aprile-maggio 1995 pp. 212, DM 68 Piché, Claude Le jugement critique en appel: Kant et ses épigones Vrin, aprile 1995 pp. 248, F 198 Contrariamente alle apparenze, la facoltà di giudizio è al centro della 84 Plotino Ennead III.6 a cura di D.B. Fleet Clarendon Pr., aprile-maggio 1995 pp. 544, £ 40 Quest’edizione in inglese dell’opera di Plotino, con un’introduzione ed il commento, è l’unica versione di questo lavoro presentata da uno specialista del settore. Tutto ciò che nel commento si trova in greco, è tradotto e l’opera è presentata sotto forma di testo a fronte. Porte, Michèle (a cura di) Passion des formes: dynamique qualitative sémiophysique et intelligibilité, à René Thome vol. II ENS Fontenay-Saint-Cloud aprile 1995 pp. 821, F 220 Il volume traccia lo sviluppo della filosofia e della storia delle matematiche qualitative: dall’attualità di Aristotele alla nuova geometrizzazione della fisica quantitativa. Relaziona anche sulla storia e la filosofia delle scoperte e sulle vie della ricerca in tutti i campi della conoscenza. Il libro è indirizzato agli specialisti del settore. Praetorius, Ina Skizzen zur feministischen Ethik M. Grünewald, marzo 1995 pp. 168, DM 29,80 Pzrywara, Erich Analogia entis metafisica Vita e Pensiero, aprile 1995 L. 87.000 La struttura originaria e il ritmo cosmico. Rai, Milan Chomsky’s Politics Verso, maggio 1995 pp. 160, UK £ 12.95 Si tratta di uno studio degli scritti politici di Noam Chomsky. Il libro è un’introduzione alle idee fondamentali che sono alla base della critica dei mass media e dell’ordine nella nostra epoca da parte di questo intellettuale. Vengono inclusi un sommario della sua visione del futuro e della sua personale visione del socialismo libertario. Rath, Ingo W. Wenn Pan gewährt... Platons Philosophie als mythologische Grenzerfahrung Passagen-Vlg., marzo 1995 pp. 208, ÖS 320 Requate, Angela Die Logik der Moralität in Hegels Philosophie des Rechts Junghans, aprile-maggio 1995 pp. 126, DM 28 NOVITÀ IN LIBRERIA Resnik, Salomon Sul fantastico Vo. 2: Impatti estetici Bollati Boringhieri, maggio 1995 pp. 240, L. 38.000 L’esperienza estetica non prescinde mai, per sua natura, dalla sensibilità dell’osservatore e dalla sua disponibilità a lasciarsi prendere dall’oggetto in cui l’attività creativa dell’artista si è esplicata. Reynolds, Dee Symbolist Aesthetics and Early Abstract Art: Sites of Imaginary Space Cambridge UP, aprile 1995 pp. 220, UK £ 40.00 Si tratta di un’analisi del ruolo dell’immaginazione sia nella letteratura che nella critica dell’arte. Questo testo esamina i lavori di Rimbaud, Mallarmé, Kandinsky e Mondrian, ridefinisce i rapporti tra il simbolismo e l’arte astratta ed indica delle prospettive metodologiche per uno studio comparato della poesia e della pittura. Richir, Marc La naissance des dieux Hachette, maggio 1995 pp. 191, F 75 Da dove vengono gli dei e la loro genealogia? Il caso degli dei greci, nel percorso che va dalle leggende della fondazione delle città fino alla tragedia, permette di cogliere un lavoro di mitologizzazione che mira a giustificare la legittimità della regalità. Ma questo legame è così complesso che il lavoro della giustificazione fallisce ogni giorno, finché verrà rimesso in discussione il pensiero filosofico, insieme alla poesia tragica. Rist, J.M. Plotino. La via della realtà Melangolo, maggio 1995 pp. 300, L. 28.000 Monografia di Plotino. Traccia un profilo della sua filosofia e approfondisce alcuni modi tematici ancora inesplorati: i suoi rapporti con Platone; la conoscenza dell’uno; la bellezza, il bello e il bene, il libero arbitrio; la felicità. Robinson, Michael D. Eternity and Freedom: A Critical Analysis of Divine Timelessness as a Solution to the Foreknowledge/free will Debate Univ. Press America, aprile 1995 pp. 266, UK £ 37.95 L’autore sostiene che esiste un modello del tempo divino che permette a Dio di avere la conoscenza del futuro senza che questo metta in pericolo il libero arbitrio. Il libro sostiene che la conoscenza senza limiti temporali di Dio può essere interessata dagli avvenimenti delle creature, visto che questo è un pre-requisito per la vera libertà umana e per l’interazione della personalità divina con la creatura. Rodi, Fr. (a cura di) Dilthey -Jahrbuch für Philosophie und Geschichte der Geisteswissenschaften vol. IX/1994-95 Vandenhoeck & Ruprecht aprile-maggio 1995 pp. 390, DM 98 Roehr, Sabine A Primer on German Enlightenment: With a Translation of Karl Leonhard Reinhold’s ’The Fundamental Concepts and Principles of Ethics’ Univ. Missouri Press, maggio 1995 pp. 304, UK £ 36.95 Questo lavoro è in grado di fornire il contesto del lavoro di Reinhold e permette quindi di apprezzarne la portata. Il volume analizza gli elementi morali, religiosi, politici e filosofici dell’Illuminismo tedesco, così come la storia del loro sviluppo ed illustra come il concetto di illuminismo di Kant non fu il solo ad influenzarne la crescita. Rossi, Paolo Naufragi senza spettatore. Storia dell’idea di progresso Mulino, maggio 1995 pp. 130, L. 15.000 La tensione essenziale tra la speranza di novità straordinarie e l’angoscia di imminenti catastrofi è presente fin dall’origine della modernità. Alle giovani generazioni l’autore augura che, senza credere nel mito del progresso unilaterale, esse possano sempre nutrire ragionevoli speranze per il proprio futuro. Sadler, Ted Nietzsche: Truth and Redemption. Critique of the Postmodernist Nietzsche Athlone Press, maggio 1995 pp. 200, UK £ 42 Il volume tende a controbattere alle interpretazioni dei commentatori postmoderni che, ricostruendo il rapporto di Nietzsche con Schopenhauer e Heidegger, sostengono che Nietzsche non era né un relativista né un pluralista e che egli apprezzava la verità a livello esistenziale. Rowe, Ch.J. (a cura di) Reading the ‘Statesman’. Proceedings of the 3rd Symposium Platonicum Academia-Vlg., marzo 1995 pp. 420, DM 98 Il volume presenta gli interventi tenuti nel corso del terzo Symposium Platonicum. Sainsbury, R.M. Paradoxes Cambridge UP, maggio 1995 UK £ 10.95 Questa nuova edizione aggiornata di questo testo, prende in considerazione anche dei nuovi lavori sui paradossi. Vengono quindi forniti un’introduzione ad una serie di paradossi ed alle loro possibili soluzioni, insieme a delle domande che sollecitino il lettore ad occuparsi di questi argomenti e a dei riferimenti bibliografici alla letteratura sull’argomento. Royle, Nicholas After Derrida Manchester UP, aprile 1995 pp. 28, UK £ 12.99 Questo studio su Derrida mira a spiegare che cosa Derrida a da dire su di una serie di argomenti, compresi i molluschi, la sorpresa, il sentire le voci, il pericolo assoluto, la telepatia, il riso, gli autoritratti ed i fantasmi. Il libro presenta anche una serie di interpretazioni diverse, che precedono e seguono Derrida. Roetz, Heiner Konfuzius C.H. Beck, marzo 1995 pp. 133, DM 19,80 L’autore ricostruisce, sulla base di traduzioni proprie, la struttura fondamentale dell’etica del confucianesimo, con un risultato: nonostante l’accento sulla tradizione e la società, la sua etica si fonda sul pensiero del “sé” e dell’autonomia - con un’analogia con il pensiero occidentale. Russell, Bertrand La conoscenza del mondo esterno Tea, maggio 1995 pp. 234, L. 14.000 La raccolta delle conferenze tenute da Russell nel 1914 a Boston sulla natura, i limiti e le possibilità del metodo logico analitico in filosofia. Rorty, Richard L’espoir au lieu du savoir: introduction au pragmatisme Albin Michel, aprile 1995 pp. 153, F 89 Si tratta di un’introduzione alla corrente filosofica dominante negli Stati Uniti, il pragmatismo. Secondo la filosofia pragmatica, la filosofia dovrebbe essere sgombrata dal discorso ontologico, in favore di una teoria dell’azione che sarebbe il fondamento teorico della democrazia. Si tratta del primo e del secondo ciclo introduttivi. Rutherford, Donald Leibniz and the Rational Order of Nature Cambridge UP, maggio 1995 UK £ 35 Il testo cerca di dimostrare l’unità sistematica del pensiero di Leibniz, in cui convivono coerentemente la teodicea, l’etica, la metafisica e la filosofia naturale. L’idea fondamentale che sottosta al suo sistema è quella della natura concepita come un ordine stabilito da Dio in modo da massimizzare le opportunità per l’esercizio della ragione. Rosen, Zvi Max Horkheimer C.H. Beck, marzo 1995 pp. 170, DM 24 Rossi, Jean-Gérard Le problème ontologique dans la philosophie analytique Kimé, maggio 1995 pp. 288, F 175 Il problema della legittimità della questione tra il soggetto ed il predicato serve qui da filo conduttore per una rilettura della filosofia analitica, mettendo in rilievo il problema del dualismo ontologico dei particolari e degli universali, permettendo anche di liberare gli schemi concettuali rivali. Nel periodo tra le due guerre, emerge un nuovo schema concettuale: la nozione dell’avvenimento. Si tratta di un volume di ambito universitario. Rutherford, P.B. The Art of Plato Duckworth, aprile 1995 pp. 256, UK £ 40 Questo studio è un contributo all’interpretazione letteraria dei dialoghi di Platone, sulla base della loro struttura formale, della loro caratterizzazione, della lingua e del linguaggio figurato. Vengono prese in considerazione laGorgia, il Simposio, la Repubblica ed il Fedro e viene esaminata la personalità di Socrate. 85 Santiago-Otero, Horacio (a cura di) Dialogo filosofico-religioso entre cristianismo, jiudaismo e islamismo durante la edad media en la peninsula iberica Brépols, aprile 1995 pp. 507, F 325 Il volume raccoglie gli interventi, in lingua spagnola, francese ed inglese, tenuti durante il convegno internazionale svoltosi a Sao Lorenzo de El Escorial dal 23 al 26 giugno 1991 ed organizzato dalla Societé internationale pour l’étude de la philosophie médioévale. Le interferenze tra le culture cristiana, ebrea e musulmana nell’elaborazione della cultura spagnola sono al centro delle relazioni degli specialisti del settore. Santoni, Ronald E. Bad Faith, Good Faith and Authenticity in Sartre’s Early Philosophy Temple Univ., maggio 1995 pp. 256, UK £ 19.95 Nel corso dell’elaborazione della sua filosofia, Sartre sembra essersi occupato della “malafede”, la “naturale” predisposizione umana a sfuggire alla nostra libertà e di mentire a noi stessi. Questo studio presenta un’analisi, una ricostruzione ed una differenziazione di questo argomento nelle prime opere di Sartre. Santos, Boachentura de Sousa Towards a New Common Sense: Law, Science and Politics in the Paradigmatic Transition Routledge, aprile 1995 pp. 550, UK £ 17.99 Considerando i tre concetti-chiave (legge, potere e scienza), Santos dimostra che ci sono stati degli spostamenti epistemologici nel campo del pensiero critico sociale ed enfatizza l’impotenza della modernità nel trasformare decisamente la vita quotidiana e la pratica di vita. NOVITÀ IN LIBRERIA Schaub, Diana J. Erotic Liberalism: The Feminized Philosophy of Montesquieu’s ‘Persian Letters’ Rowman & Littlefield, aprile 1995 pp. 224, UK £ 19.95 Il volume si occupa delle Lettere persiane di Montesquieu, sostenendo che questo racconto è una critica filosofica al dispotismo, in tutte le sue forme: domestico, politico e religioso. Il libro rivela che Montesquieu pensava che l’Illuminismo fosse fallito, come filosofia, perché non aveva riconosciuto che l’essere umano è un essere erotico. Schelling, F.W.J. Über das Wesen der menschlichen Freiheit a cura di O. Höffe - A. Pieper Akademie Vlg., aprile-maggio 1995 pp. 250, DM 29,80 Tredici autori analizzano lo scritto di Schelling del 1809, ne sondano le fonti e le affermazioni sistematiche. Il bene, il male, il problema della teodicea e della autodeterminazione umana sono al centro delle riflessioni di questi specialisti. Schipper, Lewis Introduction to Philosophy and Applied Psychology. Conversational Topics in Philosophy and Psychology: a Book of Workshops Univ. Press America, aprile 1995 pp. 394, UK £ 34.95 Questo testo rende accessibili agli studenti le linee fondamentali del pensiero dei grandi pensatori. Allo scopo di sottolineare la natura interattiva del processo di insegnamento e di apprendimento, il testo è strutturato in workshop, che si occupano di focalizzare l’attenzione principalmente sulla filosofia, con alcuni riferimenti ad argomenti correlati di psicologia. Schmid, Peter A. Ethik als Hermeneutik. Systematische Untersuchungen zu Hermann Cohens Rechtsund Tugendlehre Königshausen & Neumann aprile-maggio 1995 pp. 300, DM 68 Il primo confronto di Cohen con l’etica kantiana lo porta a considerare l’etica come una “ermeneutica del mondo umano”. La filosofia della religione di Cohen si dimostra essere un’estensione, in senso stretto, degli scopi sociali e politici, ma con altri mezzi. Schmidtz, David Rational Choice and Mor al Agency Princeton UP, marzo 1995 pp. 296, $ 40 È razionale essere morali? Come possono coniugarsi la razionalità e la moralità, nel loro essere umane? Queste domande sono al centro dell’esplorazione dei legami tra razionalità e moralità condotta da Schmidtz. Quest’indagine introdu- ce ai campi della meta-etica e della teoria della scelta razionale, visto che l’autore sviluppa delle concezioni legate a cosa significhi essere morali e razionali. Schwarz, O. - Pechmann, A. V. Der global verstrickte Mensch. Neues Handeln aus anthropozentrischer Sicht Wiss. Buchges., aprile-maggio 1995 pp. 203, DM 39,80 Gli autori si propongono di fornire una via di uscita alla discussione sugli aspetti ecologici ed etici riguardanti la crisi della sopravvivenza nell’epoca moderna che ormai, pur essendo diffusa a livello mondiale, è ad un punto morto. Essi collocano al primo posto l’esistenza dell’antropocentrismo e, attraverso le sbalorditive scoperte degli ultimi cinquantanni (come l’auto-organizzazione), arrivano a risultati sorprendenti. Schnell, Martin W. Phänomenologie des Politischen W. Fink, marzo 1995 pp. 345, DM 68 Husserl e Gurwitsch concepiscono la fenomenologia come una scienza universale che mostra come ogni cosa data prenda forma per noi. Questo approccio diventa problematico nel caso dei fenomeni politici che Husserl e Gurwitsch riescono ad esprimere in modo insufficiente, per quanto riguarda il significato che è loro proprio, in quanto questi autori considerano l’esperienza come una sfera priva di conflitti e risanatrice. Searle, John The Construction of Social Reality Allen Lane, maggio 1995 pp. 256, UK £ 20 Questo trattato intende considerare come la realtà sociale si costruisca attraverso le impressioni dei sensi: come, ad esempio, venga “costruita” una banconota da cinque sterline a livello sensoriale, con tutto ciò che questo implica in termini di valore sociale, a partire dal pezzo di carta stampato che viene visto e toccato. Scholtz, Gunter Ethik und Hermeneutik. Schleiermachers Grundlegung der Geisteswissenschaften Suhrkamp, aprile-maggio 1995 pp. 328, DM 24,80 Schröer, Christian Praktische Vernunft bei Thomas von Aquin Kohlhammer, marzo 1995 pp. 240, DM 59,80 Si tratta della tesi di abilitazione all’insegnamento universitario tenuta da Schröer presso l’università di Monaco di Baviera. Selby, Keith - Cowdery, Ron How to Study Television Macmillan Press, aprile 1995 pp. 256, UK £ 8.99 Con questo libro, gli studenti dovrebbero essere in grado di analizzare e discutere ogni programma o genere televisivo. Il volume contiene capitoli dedicati alle maggior parte di emissioni televisive ed aiuta anche a ricercare, preparare e presentare un progetto per gli studi sulla comunicazione ed i media, i Media and Communication Studies. Schubert, Andreas Platon: ‘Der Staat’. Ein einführender Kommentar UTB, aprile-maggio 1995 pp. 170, DM 19,80 Il commento getta luce in modo esemplare sugli aspetti centrali di questo capolavoro di Platone. Schulte, Günter Die grausame Wahrheit der Bibel. Eine Anthropologie unserer Vernunft und unserer Moral Campus Vlg., marzo 1995 pp. 200, DM 38 L’autore intraprende un’attenta lettura dei primi libri dell’Alto Testamento e rivela che essi sono una pacificazione ed una liberazione dall’istinto all’omicidio, sia da parte umana che divina, attraverso azioni violente ed offerte sacrificali. Seneca La vie heureuse, La Brièvité de la vie tr. dal latino di F. Rosso Arléa, maggio 1995 pp. 192, F 35 Si tratta di un saggio sull’incostanza dei principii, l’inutilità dell’affarismo, la vanità dello spettacolo politico. Questo saggio è seguito dalla corrispondenza tra Cartesio e la principessa Elisabeth su la Brevità della vita. Seneca, Lucius Annaeus Naturales Quaestiones Naturwissenschaftliche Untersuchungen tr. e a cura di M.F.A. Brok Wiss. Buchg., marzo 1995 pp. 550, DM 128 Dopo molto tempo, viene qui presentata per la prima volta una traduzione in tedesco delle Naturales Quaestiones . Lo scopo che si prefigge Seneca con quest’opera è di arrivare alla perfezione dei costumi, attraverso la conoscenza della natura e dell’intelligenza divina. Schumann, Maurice Bergson ou Le retour de Dieu Flammarion, aprile 1995 pp. 140, F 90 Il libro descrive le tre tappe decisive del pensiero bergsoniano: la durata, l’intuizione e l’imprevedibilità, a partire dalle quali oggi è possibile pensare alla riconciliazione tra razionalità e fede, scienza e libertà. Questo saggio è anche una testimonianza personale dell’autore e dei suoi incontri con i grandi scienziati di questo secolo. Il volume incontrerà l’interesse del pubblico. 86 Shiva, Vandana Monocultura della mente. Punti di vista sulle biodiversità e sulla biotecnologia Bollati Boringhieri, maggio 1995 pp. 188, L. 22.000 Riflessione sulla protezione delle biodiversità, sulle implicazioni della biotecnologia e sulle conseguenze per l’agricoltura della preminenza a livello mondiale del sapere scientifico occidentale. Sichère, Bernard Histoires du mal Grasset, maggio 1995 pp. 282, F 125 Una storia della storia del male, così come viene illustrata da alcuni filosofi e da alcuni romanzieri. Una lunga conclusione spiega perché una storia esaustiva del male è estremamente pericolosa per il suo autore. Viene anche spiegato perché tutti i filosofi che hanno voluto pensare al male sono diventati romanzieri. Il volume interesserà al grande pubblico. Simplicio Simplicius on Aristotle ’On the Soul’ parti I e II, 1-4 Duckworth, maggio 1995 pp. 224, UK £ 35 In questo volume, il commentatore Simplicio si occupa della prima metà del trattato di Aristotele Dell’Anima, analizzando anche ciò che sopravvive in Aristotele dei suoi predecessori e dei suoi stessi rivali, per quanto riguarda la natura dell’anima. Questo testo è la fonte delle successive teorie neoplatoniche del pensiero e della percezione sensoriale. Société d’Etudes Kantiennes de Langue Française Congrès (1; 1993; Dijon). L’année 1793, Kant: sur la politique et la religion: actes du 1er congrès de la Société d’Etudes Kantiennes de Langue Française a cura di Jean Ferrari Vrin, marzo 1995 pp. 272, F 120 Testimone lontano ma attento dei grandi avvenimenti dell’anno 1793, Kant pubblicava questo stesso anno due opere importanti: Teoria e pratica e religione nei limiti della semplice ragione. Attraverso la ricostruzione dell’orizzonte storico e dei dibattiti filosofici del tempo, questo volume presenta una serie di studi suggestivi su questi due testi di Kant. Si tratta di un libro di ambito universitario. NOVITÀ IN LIBRERIA Soothill, William E. Hodous, Lewis A Dictionary of Chinese Buddhist Terms Curzon Press, maggio 1995 pp. 550, UK £ 95.00 Il buddismo ha dominato il pensiero della Cina ed i suoi pensatori per circa mille anni si sono occupati della filosofia buddista. Questo dizionario serve da fonte di interpretazione della cultura cinese, ma anche da importante punto di riferimento per uno studio comparato degli originali sanscriti e pali. Souville, Odile L’homme immaginatif: de la philosphie esthétique de Bachelard Lettres modernes, maggio 1995 pp. 147, F 140 Si tratta di una lettura, adatta ai nostri tempi, della teoria di Bachelard sull’immaginazione, che privilegia le immagini delle forme e delle materie, rispetto alle immagini delle forme visive. Speer, A. (a cura di) Die Bibliotheca Amploniana. Ihre Bedeutung im Spannungsfeld von Aristotelismus, Nominalismus und Humanismus de Gruyter, marzo 1995 pp. 517, DM 310 Si tratta degli interventi tenuti nel corso del simposio di ricerca sulla Biblioteca Amploniana del marzo 1993. si del mondo e di interpretarlo, è impotente di fronte a questa perdita e può agire solo se si rivolge ad un nuovo metodo di conoscenza: l’arte. che, cercando di rispondere ai bisogni spirituali dell’umanità, ignora i bisogni materiali di milioni di persone che vivono nella miseria. Teichman, Jenny Evans, Katherine (a cura di) Philosophy: A Beginner’s Guide Blackwell, marzo 1995 pp. 301, UK £ 10.99 Questo testo fornisce un’introduzione alla filosofia, così come viene studiata nei paesi di lingua inglese. Il lettore viene guidato attraverso le questioni centrali ed importanti delle filosofia, della natura dell’esistenza, del sapere, della libertà, di Dio, della morale, della politica, della scienza, dei meccanismi e degli scopi della ragione e dell’esistenza umane. Stein, Gertrude The Geographical History of America Performing Arts Jnls, maggio 1995 pp. 248, UK £ 12.50 Questo volume, pubbblicato per la prima volta nel 1936, riunisce scritti di prosa, dialoghi, meditazioni filosofiche e brevi commedie di una delle figure più importanti di questo secolo, una scrittrice influente e caratterizzata dall’interesse per la sperimentalità linguistica. G. Stein presenta le sue opinioni sulla mente umana: che cos’è, come lavora e come si differenzia dalla natura umana. Teichman, Jenny (a cura di) An Introduction to Modern European Philosophy Macmillan Press, aprile 1995 pp. 288, UK £ 14.99 Questo volume contiene dei saggi su Hegel, Kierkegaard, Marx, Nietzsche, Sartre, Simone de Beauvoir, Habermas, Foucault, tra gli altri, e sugli “avvenimenti” del ’68. Nel libro è possibile trovare anche delle descrizioni delle diverse tradizioni della filosofia europea del XIX e del XX secolo, con una rassegna di diversi punti di vista. Steiner, George La nostalgia dell’infinito Anabasi, aprile 1995 pp. 96, L. 10.000 Viene analizzato il problema socio-culturale generato dal declino dei grandi sistemi religiosi istituzionali, il “vuoto” che essi decadendo avrebbero lasciato dietro di sé. Stekeler-Weithofer, Pirmin Sinnkriterien. Die logischen Grundlagen kritischer Philosophie von Platon bis Wittgenstein Schöningh, aprile-maggio 1995 pp. 330, DM 98 Spinoza, Baruch ’Traité de la réforme de l’ntendement’ ; suivi de ’Les principes de la philosophie’ de Descartes’ et de ‘Pensées méthaphysiques’ a cura di Roland Caillois Gallimard, marzo 1995 pp. 257, F 32 Queste opere, considerate come propedeutiche all’Etica, contengono tutti gli elementi spinoziani definitivi e permettono anche di misurare la differenza tra i due tipi di pensieri: quello di Cartesio parte dalla coscienza individuale senza arrivare a ritrovare l’essere di cui dubita, mentre quello di Spinoza parte dal Tutto, di cui la coscienza individuale è un modo. Sullivan, Shirley D. Psychological and Ethical Ideas. What Early Greeks Say Brill, marzo 1995 pp. 380, FOL 115 Thiel, Christian Philosophie und Mathematik. Eine Einführung in ihre Wechselwirkungen und in die Philosophie der Mathematik Wiss. Buchges., aprile-maggio 1995 pp. 364, DM 49,80 Sun-Joo Shin The Logical Status of Diagrams Cambridge UP, aprile 1995 UK £ 24.95 I diagrammi sono stati considerati troppo a lungo come utensili euristici e quindi come elementi non validi per il riscontro matematico. Questo libro si contrappone a questo pregiudizio contro la visualizzazione nella storia della logica e delle matematiche e fornisce le basi per lavorare in maniera visuale sul ragionamento naturale. Thompson, Mel Teach Yourself Philosophy Teach Yourself, maggio 1995 pp. 192, UK £ 5.99 Si tratta di un’introduzione, accessibile a tutti, alle questioni centrali della filosofia occidentale e a come i maggiori filosofi le abbiano esplorate. Che cosa possiamo sapere con certezza del mondo e di noi stessi? Possiamo provare l’esistenza di Dio? Come sono legati il corpo e la mente? Queste sono alcune delle domande su cui ci si interroga. Stachowiak, H. (a cura di) Pragmatische Tendenzen in der Wissenschaftstheorie Felix Meiner, aprile-maggio 1995 DM 298 Süssbauer, Alfons Intentionalität, Sachverhalt, Noema. Eine Studie zu Edmund Husserl Alber, aprile-maggio 1995 pp. 520, DM 118 Tilliette, Xavier Recherche sur l’intuition intellectuelle de Kant à Hegel Vrin, aprile 1995 pp. 296, F 230 Come mai l’intuizione intellettiva, bandita da Kant, è stata reintegrata così prontamente dai suoi migliori allievi? Perché l’intuizione riabilitata è divenuta così impermeabile agli avvenimenti ed agli stati psichici, fino a non perdere il suo carattere intellettivo? Il volume propone un’inchiesta nell’ambito dell’Idealismo tedesco e del primo Romanticismo. Si tratta di un saggio di ambito universitario. Steffens, Andreas Poetik der Welt. Von der Erfindung des Unwahrscheinlichen. Möglichkeiten der Philosophie am Ende des Jahrhunderts EVA, aprile-maggio 1995 pp. 152, DM 32 Per via delle distruzioni causate dall’essere umano, sono andati persi sia l’uomo che i mondi. La filosofia, come metodo per appropriar- Tallis, Raymond Newton’s Sleep: The two Cultures and the two Kingdoms Macmillan Press, aprile 1995 pp. 304, UK £ 14.99 Il volume esamina i ruoli complementari della scienza e dell’arte nella vita umana. Si occupa anche dell’accusa mossa alla scienza a causa del suo vuoto a livello spirituale e di quella riguardante l’arte 87 Tobias, Michael A Vision of Nature: Traces of the Original World Kent State UP, aprile 1995 pp. 312, UK £ 35.50 Per molte centinaia di anni, gli esseri umani hanno dovuto misurarsi con l’idea della natura. In questo testo, l’autore cerca di rivelare l’impatto estetico, psicologico e filosofico della terra sull’umanità. Il libro è quindi una panoramica dell’estetica ecologica. Treays, Rebecca The Brain Usborne Publishing, maggio 1995 pp. 32, UK £ 3.99 Questo libro solleva il velo su ciò che succede all’interno della mente umana. Utilizzando dei cartoni e dei diagrammi, rivela la complessità dei meccanismi biologici e psicologici del cervello. Vengono esplorati la memoria, le illusioni inconsce ed ottiche, i sogni e lo strano moldo delle percezioni extrasensoriali. Tsai Chih Chung Sunzi Speaks: The Art of War Thorsons, maggio 1995 pp. 160, UK £ 5.99 Viene qui presentato, sotto forma di fumetto, il classico cinese, il lavoro fondamentale di strategia militare, dal titolo L’arte della guerra, che ha influenzato i leader militari, i politici e chi si occupa di affari ad alto livello. Valdés, E.G. - Zimmerling, R. (a cura di) Facetten der Wahrheit. Festschrift für Meniholf Wewel Alber, marzo 1995 pp. 512, DM 98 Van Eck, Caroline The Question of Style in Philosophy and the Arts Cambridge UP, maggio 1995 UK £ 32.50 I secoli XVIII e XIX testimoniano di un cambio nella percezione delle arti e della filosofia. Nelle arti questo periodo di transizione si può collocare intorno al 1880. Questi saggi, appartenenti ad una serie in undici tomi, esaminano le circostanze, le caratteristiche e le conseguenze di questo passaggio storico. Vining, Joseph From Newton’s Sleep Princeton UP, marzo 1995 pp. 368, $ 30 In un’opera sorprendentemente originale, non indirizzata solamente ai procuratori legali ma anche a chi è interessato al dilemma dei nostri giorni: la perdita di significato, Vining ci invita a riconsiderare la legge come una forma di pensiero unica, inseparabilmente legata ad ogni cosa del mondo che crea l’identità umana. NOVITÀ IN LIBRERIA Visker, Rudi Michel Foucault: Genealogy as critique Verso, marzo 1995 pp. 288, £ 19.95 Si tratta di una ricostruzione del corpus delle opere di Foucault, dalla sua prima opera sulla follia alla Storia della sessualità. Visker offre un ritratto di Foucault come di un autore che non rientra né nella categoria relativista né in quella positivista, ma come l’inventore di una nuova analisi dei meccanismi moderni del controllo e dell’esclusione. Voltaire Dizionario filosofico Einaudi, maggio 1995 pp.430, L.17.000 Waser, Ruedi Autonomie des Selbstbewußtseins. Eine Untersuchung zum Verhältnis von Bruno Bauer und Karl Marx 1835-1843 Francke, marzo 1995 pp. 238, DM 68 Weigel, S. (a cura di) Falschenpost und Postkart. Korrespondenzen zwischen ’Kritischer Theorie’ und ‘Poststrukturalismus’ Böhlau, aprile-maggio 1995 pp. 240, DM 35 In questo libro si cerca di rendere visibili alcuni percorsi di contatto: al di là della istituzione paralizzante dei lager, vengono analizzate le forme di corrispondenza tra i primi rappresentanti della “teoria critica” (in particolare Benjamin ed Adorno) e della “teoria francese”. Welsch, Wolfgang Vernunft. Die zeitgenössische Vernunftkritik und das Konzept der transversalen Vernunft Suhrkamp, aprile-maggio 1995 pp. 960, DM 148 Questo tipo di ragione dei “passaggi” ci dà delle competenze specifiche per il mondo contemporaneo. Ci mette in condizione di passare da configurazioni di significato a dimensioni di realtà diverse tra loro e di prendere in considerazione approcci differenti. Essa ci permette quindi di orientarci all’interno di basi non stabili, costituite come un insieme disordinato. Whitebook, Joel Perversion and Utopia: A Study of Psychoanalysis and Critical Theory The MIT Press, maggio 1995 pp. 368, UK £ 19.95 In questo contraddittorio con le critiche post-moderne della psicoanalisi, Joel Whitebook si schiera per una reintegrazione dell’investigazione dell’inconscio priva di compromessi di Freud, che non escluda gli apporti politici e filosofici della teoria critica. Whitehead, Alfred North Procés et réalité, Essai de cosmologie tr. dall’inglese di D.Charles M. Elie - M. Fauchs et al. Gallimard, aprile 1995 pp. 592, F 210 Questo importante testo del filosofo e matematico inglese, apparso nel 1929, coniuga una riflessione epistemologica ed un’immaginazione metafisica audace, dialogando con Platone, Cartesio, Hume e Kant. L’opera offre una visione totale, organica e cosmologica della realtà, colta nel suo divenire, dall’atomo più insignificante a Dio. Il volume si rivolge agli specialisti del settore. Wolff, Michael Die Vollständigkeit der Kantischen Urteilskraft. Mit einem Essay über Freges Begriffsschrift Klostermann, marzo 1995 pp. 320, DM 98 Wolff-Metternich Brigitta-Sophie von Die Überwindung des mathematischen Erkenntnisideals. Kants Grenzbestimmung von Mathematik und Philosophie de Gruyter, aprile-maggio 1995 pp. 214, DM 134 Si tratta della tesi di laurea tenuta dalla von Wolff-Metternich presso l’università di Bonn nel 1993, nella quale si sostiene che i limiti fissati da Kant per la matematica e la filosofia possono essere letti come una critica ad ogni filosofia con pretese di definitività. Wille, R. - Zickwolff Begriffliche Wissensverarbeitung. Grundfragen und Aufgaben Wissenschaftsvlg., marzo 1995 pp. 324, DM 48 Si tratta degli interventi tenuti in occasione della Begriffliche Wissensverarbeitung del febbraio 1995. Sono stati allora discussi i seguenti argomenti: l’orientamento filosofico, le questioni sull’apporto del sapere, di concetti e sistemi concettuali come i compiti centrali dell’analisi, della comunicazione, della richiesta di informazioni, dell’acquisizione del sapere. Zabarella, Jacopo Über die Methoden (‘De methodis’)/Über den Rückgang (‘De regressu) a cura di R. Schicker W. Fink, marzo 1995 pp. 344, DM 68 Quale impronta ha l’evidenza scientifica? È un metodo della logica e se sì, perché? Jacopo Zabarella (15331589), uno dei principali pensatori del Rinascimento, risponde a queste domande, che hanno portato alla discussione sui principi della logica in quell’epoca. Zeidler, Kurt Walter Kritische Dialektik und Transzendentalontologie. Der Ausgang des Neukantianismus und die post-neukantianische Systematik R. Hönigwalds, W. Cramers, B. Bauchs, H. Wagners, R. Reiningers und E. Heintels Bouvier, marzo 1995 pp. 372, DM 98 Wotling, Patrick Nietzsche et le problème de la civilisation PUF, aprile 1995 pp. 384, F 198 La civilizzazione come problema e questo problema come centro organizzatore di un insieme di questioni in Nietzsche: dal pensiero dell’apparenza a quello dell’eterno ritorno. Si tratta di un asse di riflessioni che permettono, partendo dall’ipotesi della volontà di potenza, di chiarificare il doppio orientamento dell’analisi nietzschiana: geologica e creatrice, medica ed artistica. Si tratta di un saggio di ambito universitario. Wipfler, Pius A. Religion des Geistes. Die Religion ohne Institution R.G. Fischer, marzo 1995 pp. 188, DM 24,80 Wittgenstein, Ludwig Lezioni 1930-1932 Adelphi, maggio 1995 pp. 170, L. 28.000 Le lezioni che il filosofo tenne a Cambridge dal 1930, periodo in cui riprese la sua ricerca filosofica e la profonda revione critica della prospettiva del Tractatus. Wright, Georg Henrik von Erkenntnis als Lebensform. Zeitgenössische Wanderung eines philosophischen Logikers Böhlau, marzo, 1995 pp. 324, ÖS 476 Georg Henrik von Wright, il successore di Wittgenstein a Cambridge ed una figura carismatica della filosofia scandinava, presenta, con questo libro, la sua autobiografia intellettuale. Wohlman, Avital Maïmonide et Thomas d’Aquin: un dialogue impossible Ed. universitaires de Fribourg aprile 1995 pp. 196, F 190 Questo studio tenta di cogliere i tratti che assume la differenza iniziale, la rottura, tra due modi diversi di concepire il rapporto dell’uomo con Dio: l’accettazione della Legge e dei comandamenti, presso Maimonide e l’apertura alla grazia redentrice, in Tommaso d’Aquino. Si tratta di un saggio di ambito universitario. Yun Lee Too The Rhetoric of Identity in Isocrates: Text, Power, Pedagogy Cambridge UP, aprile 1995 pp. 288, UK £ 35.00 Si tratta di un’interpretazione delle opere di Isocrate, che dimostra come la retorica sia un linguaggio che l’autore utilizza per crearsi un’identità politica nell’Atene del IV secolo. Il libro mostra anche come il discorso di Isocrate si rivolga alle ansietà che circondano la parola scritta in una cultura che considera la parola pronunciata oralmente. Wokler, Robert Rousseau and Liberty Manchester UP, maggio 1995 pp. 320, UK £ 14.99 Questi saggi analizzano il posto assunto dalla libertà nella filosofia morale e politica di Rousseau, ed anche le origini, il significato, la forza e la debolezza, la portata delle argomentazioni da lui avanzate. (a cura di A.M.; trad. it. di L.T.) 88