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1
* Nel numero 24 le traduzioni
in italiano delle bibliografie
internazionali per la rubrica
“Novità in libreria” sono
di Laura Troiero
25
EDITORIALE
Tra i motivi su cui da tempo gli interpreti dell’opera heideggeriana si
affaticano vi è sicuramente il complesso rapporto che a lungo legò
Heidegger a Nietzsche e che culminò nella stesura dei due volumi del
Nietzsche, pubblicati dall’editore Neske di Pfullingen nel 1961. Di
questa edizione è recentemente apparsa la traduzione italiana integrale
ad opera di Franco Volpi (Adelphi, Milano 1994). Nel presentarla in
questo numero della rivista vorremmo cogliere un passaggio significativo nella ricostruzione storico-critica della genesi di quest’opera. I
rapporti di Heidegger con l’Archivio-Nietzsche, e il suo coinvolgimento
nel progetto di una riedizione dei frammenti postumi della Volontà di
potenza, sono, secondo Volpi, un’importante circostanza per comprendere i presupposti del volgersi di Heidegger a Nietzsche e del travagliato
lavoro interpretativo che ne seguirà.
Riportiamo qui di seguito le considerazioni di Volpi in proposito.
L’attività principale di Heidegger per l’Archivio-Nietzsche - come si
ricava dalla lettera di dimissioni- sarebbe dovuta consistere nella
preparazione di una «nuova edizione della Volontà di potenza», un
lavoro, questo, che Walter F. Otto, in una riunione del 5 dicembre
1934, aveva auspicato come «straordinariamente importante, ma
altrettanto difficile» in quanto avrebbe dovuto «presentare per la
prima volta i frammenti stesi nel contesto della Volontà di potenza
senza interventi redazionali, esattamente così come si trovano nei
quaderni manoscritti, estremamente difficili da leggere e che vanno
ora decifrati di nuovo». É difficile stabilire in che misura Heidegger
si impegnò nel lavoro di edizione vero e proprio, anche perché
l’interesse che lo animava era sicuramente più speculativo che filologico. Il 20 dicembre 1935 scrive per esempio a Elisabeth Blochmann:
«Dovrei far parte del comitato per la grande edizione di Nietzsche;
anche in questo non sono ancora deciso; in ogni caso collaborerei solo
come consulente ». E il 16 maggio 1936
Già alla fine degli anni Venti Heidegger
annunciava a Jaspers, congratulandosi
aveva avuto qualche contatto con l’Archiper il suo libro su Nietzsche, fresco di
vio, anche per via dell’edizione delle opere
stampa: « Dall’autunno scorso - assai di
di Scheler il cui direttore, Richard Oehler
malavoglia, ma per amore della cosa stes(1878-1948), parente di Nietzsche, era consa - sono nella commissione per l’ediziotemporaneamente uno dei principali collane di Nietzsche. Mi preoccuperò, seconboratori di Elisabeth Förster-Nietzsche e
do le mie forze, che i Suoi desiderata non
dell’Archivio di Weimar. La prima visita
restino dei meri auspici». Sta di fatto che
di Heidegger all’Archivio ebbe luogo nel
dal 1936 al 1938 Heidegger si recò a
maggio del 1934 per una circostanza caWeimar un paio di volte l’anno per partesuale: Carl August Emge, docente di filocipare alle riunioni del comitato scientisofia del diritto nella vicina Jena e presifico. É certo inoltre che lavorò sui manodente del comitato scientifico dell’edizioscritti e che inoltrò all’Archivio diverse
ne storico-critica delle opere e delle lettere
interrogazioni circa la datazione precisa
di Nietzsche, pubblicata dall’editore Beck,
di alcuni frammenti, a cui rispose Karl
aveva convocato presso l’Archivio di
Schlechta, il principale curatore dell’ediWeimar, dal 3 al 5 maggio 1934, la riunione
zione storico-critica in corso. Questo
del comitato di filosofiadel dirittodell’Akadeperaltro, ci consente di capire meglio
mie für Deutsches Recht, di cui Heidegger
perché Heidegger, nelle sue lezioni, in
era membro. In quell’occasione Heidegger
punti decisivi entri dettagliatamente nel
fu ricevuto da Elisabeth, visitò l’Archivio
merito di questioni cronologiche e filoloe prese visione dei manoscritti.
giche e giudichi criticamente, con cogniDopo la morte di Elisabeth (8 novembre
zione di causa, l’edizione della Volontà
1935) Emge in seguito al fallimento del
di potenza. Da quanto Heidegger afferma
suo tentativo di contrastare l’influenza dei
nella lettera di dimissioni sembra comunparenti di Nietzsche, cioè degli Oehler,
que che i «lavori preliminari», durati
nella direzione dell’Archivio, annettendo
anni, fossero stati «condotti a termine».
quest’ultimo all’Accademia Prussiana delle
Le ragioni per le quali Heidegger abbanScienze - si dimise sia dal di rettivo, sia dal
donò il progetto della nuova edizione e
comitato scientifico. Fu seguito da Spenuscì dal comitato scientifico non risultagler, che già il 22 settembre aveva comunino dalla lettera a Leutheußer, nella quale
cato a Elisabeth le proprie dimissioni dal
le di missioni sono presentate semplicedirettivo e che, con Emge, uscì anche dal
mente come «un passo resosi oggettivacomitato scientifico. A rimpiazzare queste
mente necessario». Ci si può attenere, per
defezioni venne eletto nel direttivo Walter
ora, all’ipotesi formulata da Marion
F. Otto, già membro del comitato scientifiHeinz, curatrice del corso universitario
co dal 1933; questi, a sua volta, fece elegdel 1937. Da un appunto manoscritto
gere nel comitato scientifico Heidegger, il
Originale della lettera di Heidegger
annotato da Heidegger su una comunicaquale rimase in carica fino al 26 dicembre
al Ministro Leutheußer
zione circolare dell’Archivio-Nietzsche
1942, data in cui comunicò al presidente
del 27 ottobre 1938 la Heinz inferisce che
Richard Leutheußer le proprie dimissioni
la ragione delle dimissioni di Heidegger stia nell’esito del conflitto
con la seguente lettera:
che insorse nel 1938 tra l’Archivio-Nietzsche e la Reichsschriftumskammer. Per evitare che l’edizione di Nietzsche fosse esclusa dalle
«Egregio signor Ministro,
rendo nota con la presente la mia uscita dal comitato scientifico per opere sovvenzionabili, si decise - sembra contro il parere dl Heidegger,
che proponeva una diversa strategia - di sottoporre i volumi, prima
l’edizione delle opere di Friedrich Nietzsche.
I miei lavori preliminari per la nuova edizione della Volontà di potenza, della pubblicazione, all’approvazione dell’organo nazionalsocialista.
Sulla circolare summenzionata Heidegger annota: «C’era da aspettardurati anni, sono stati condotti a termine.
I volumi, da me ricevuti, dell’edizione pubblicata fino a questo momento selo; di conseguenza diventa impossibile la mia collaborazione alla
commissione per l’edizione, d’ora in poi lavorerò soltanto per l’opera
sono a disposizione dell’Archivio.
La prego personalmente, signor Ministro, di voler scusare questo passo di Nietzsche - indipendentemente dall’edizione». A questo si può
aggiungere la testimonianza di Ernesto Grassi, al quale Heidegger
resosi oggettivamente necessario.
Al tempo stesso La prego di voler rendere nota la mia uscita ai signori avrebbe un giorno dichiarato: «Ho lavorato a lungo a una nuova
sistemazione degli scritti nietzscheani della Volontà di potenza, in
del comitato.
contrapposizione a quella lasciataci dalla sorella di Nietzsche,
Rimango, signor Ministro, con esimia stima
il Suo devotissimo Elisabeth Förster: stamane ho distrutto i miei appunti».
[firmato:] M. Heidegger».
2
SOMMARIO
5
RESOCONTO
5
Il Nietzsche di Martin Heidegger
47 Manoscritti “americani” di de Saussure
47 Illuminismo e matematica nel Settecento francese
48 Scritti di Seneca
9
CONFRONTO
9
Liberismo, federalismo, postfascismo
49 La logica ermeneutica di Georg Misch
51 NOTIZIARIO
19 AUTORI E IDEE
53 CONVEGNI E SEMINARI
19 La città, il paesaggio: sociologia della cultura
53 Proust e i filosofi
20 Etica esistenziale e logica delle norme
54 Marx: interpretare e mutare il mondo
20 I sentieri della comprensione
54 Sul simbolo
21 La verità della storia
55 Storia della logica e storia della filosofia
23 Locke tra conservatorismo e liberalismo
56 La fondazione dell’estetica filosofica
24 Sulla comunicazione umana
56 Neoplatonismo di Vico
25 In memoria di Raffaello Franchini
57 Memoria, abitudine, esperienza
26 Ontologia e libertà in Pareyson
58 La ‘Dottrina della scienza’ compie 200 anni
27 Malinconia e filosofia della storia
59 La relatività del vero
27 Analisi e riflessioni su Rosmini
60 L’individualismo moderno di Stirner
28 Pensare il marxismo
61 Epoca e dialettica
29 Interpretazioni di Nietzsche
62 Essere, nulla, progetto: Sartre e Merleau-Ponty
29 Il sapere dell’anima
63 Teoria della mente
30 L’ultima opera di Popper
31 Ortega y Gasset
64 CALENDARIO
32 Itinerari fenomenologici
65 DIDATTICA
33 TENDENZE E DIBATTITI
65 Classici della filosofia
33 Riflessioni sull’etica
65 Proposte, interventi, ricerche
36 Analisi crociane
37 Cabbala e Romanticismo
67 STUDIO
37 Per una storia della filosofia cristiana
67 La filosofia della scienza fino ad oggi
38 Adorno tra estetica ed etica
67 Donne e filosofia
39 Tra idealismo e ermeneutica: Otto Pöggeler
68 Il Medioevo
40 La modernità in Augusto Del Noce
68 Filosofia ellenistica
41 Femminismo e filosofia
42 La filosofia europea nel Nuovo Mondo
69 RASSEGNA DELLE RIVISTE
42 Itinerari medici ed epistemologici
44 L’inconscio di Freud
74 NOVITÀ IN LIBRERIA
45 PROSPETTIVE DI RICERCA
45 Meyer Schapiro: storia dell’arte,
marxismo e psicanalisi
3
RESOCONTO
Friedrich Nietzsche (“Friedrich l’inattuale”)
4
RESOCONTO
Nietzsche, fi- scrivere a Jaspers: «Ho l’impressione di
losofo del- crescere ormai solo nelle radici, non più
l ’ a v v e n i r e , nei rami», e a ripetere ossessivamente:
l’inattuale che «Der Nietzsche hat mich kaputt gemaannunciava la cht!» (Il Nietzsche mi ha distrutto!).
morte di Dio, Un’opera grandiosa, che ha segnato una
accusandone i svolta nella storia della filosofia, assecontempora- gnando a Nietzsche quel posto di rilievo
di
nei dell’assas- che lo pone a fondamento di qualsiasi
Eddy Carli
sinio; Nietz- tentativo di superamento della metafisische l’ambi- ca. Un lavoro a cui Heidegger si dedicò
guo, l’anticristo, che insieme definiva per un intero decennio, durante il quale
Cristo «l’uomo più nobile»; Nietzsche, rimase sempre impegnato in una lotta
filosofo della trasvalutazione di tutti i per “strappare” all’enunciazione - talvalori, l’antiplatonico e l’antimetafisi- volta enigmatica, talvolta così folgoranco, la “medusa che pietrifica gli sguardi te da risultare di nuovo oscura - dello
metafisici” e dalla quale gli sguardi dei sforzo speculativo di Nietzsche la “verifilosofi che verranno dopo non riusci- tà” di quel pensiero.
ranno a distogliersi e a passare oltre. E se l’opera di Heidegger risulta impresNemmeno quelli di Martin Heidegger, sionante per la mole di pagine e per lo
che a Friedrich Nietzsche dedicherà un’opera esegetica di
oltre mille pagine, raccolte
nell’arco di un decennio (sono
comprese le lezioni tenute all’Università di Friburgo dal
1936 al 1940 e scritti composti tra il 1940 e il 1946).
Quest’opera di Heidegger è
ora pubblicata in edizione italiana, a cura di Franco Volpi,
con il titolo: Nietzsche (Adelphi, Milano 1994); un’opera
che è destinata a sollevare
nuove questioni e problemi
con un’intervista a Franco Volpi
sul “caso Nietzsche”, proprio
perché implica l’inevitabile
confronto tra due dei maggiori pensatori della storia del
pensiero occidentale. Millecento pagine che non sono né
una monografia su Nietzsche,
né una semplice interpretazione del suo pensiero, ma
piuttosto un confronto serraa cura di Riccardo Ruschi
to e totale, una lotta che porterà Heidegger a sprofondare nell’ “abis- scrupolo filologico che l’autore vi ha
so di Nietzsche”, fino ad una profonda impiegato, altrettanto sorprendente ricrisi filosofica e personale, che gli farà sulta la traduzione dell’opera in italiano.
Heidegger
e “l’abisso
Nietzsche”
Il Nietzsche
di
MartinHeidegger
D. Professor Volpi, tradurre
Heidegger è arduo. Tradurre poi
una tale mole di pagine, come
quella del Nietzsche, credo
spaventerebbe chiunque. Come
è riuscito a portare a compimento
questa impresa e quali sono state
le difficoltà incontrate?
Una vera e propria impresa, che porta a
compimento quell’ambizioso progetto
editoriale che, ancora alla fine degli anni
Settanta, aveva spinto Franco Volpi a
proporre la pubblicazione di quest’opera a Roberto Calasso, direttore della Casa
Editrice Adelphi di Milano. Un progetto
che avrebbe potuto spaventare, se non
persino gettare nella disperazione.
Heidegger affronta il problema della speculazione nietzscheana leggendo minuziosamente, oltre alle opere compiute,
una singolare e controversa opera postuma di Nietzsche, La volontà di potenza.
E si rimane stupiti nel vedere con quale
agilità filologica Heidegger si muova su
un materiale così frammentario, finché
non veniamo a sapere da Volpi che il
filosofo lavorò all’edizione di quell’opera, frequentando a lungo gli archivi e i
manoscritti, così da acquisire
una perizia sorprendente sul
rapporto tra i singoli momenti della riflessione di Nietzsche e gli eventi biografici ed
editoriali che li accompagnarono. Ed è su questo studio
filologico rigoroso che si innesta la radicalità del domandare filosofico, la violenza
dell’interp retazio ne
di
Heidegger. Si impone così il
metodo heideggeriano di lettura: domandare partendo dalla cosa stessa, per pervenire
al concetto e al corretto uso
della parola e dell’immagine.
A Franco Volpi, docente di
Storia della Filosofia all’Università di Padova e di Filosofia all’Università di WittenHerdecke (Germania), traduttore e curatore dell’edizione
italiana del Nietzsche di
Heidegger, Eddy Carli ha rivolto alcune domande.
tempo stesso essere flessibili per non cadere in quello
stile legnoso, illeggibile, incomprensibile che viene
volentieri imputato a Heidegger, anziché ai traduttori. Una
cosa di cui poi spesso i traduttori di Heidegger e in genere
di filosofia si preoccupano poco è la resa stilistica:
Heidegger non è un maestro di stile, ma di pensiero, e a
di
volte sacrifica volutamente il primo al secondo: nel
Eddy Carli
tradurre risulta talvolta difficile trovare il giusto equilibrio
tra la fedeltà al suo pensiero e alle sue scelte terminologiche
R. È stato effettivamente un lavoro e le esigenze dello stile e della leggibilità. Spesso bisogna
lungo e faticoso alla fine del quale anch’io potrei dire: «Il girare e rigirare una frase prima di arrivare alla soluzione
Nietzsche mi ha distrutto!». La mole e le difficoltà della ottimale.
traduzione hanno richiesto molta disciplina, pazienza, rigore
e precisione. Difficile da rendere sono soprattutto i giochi D. Quest’opera su Nietzsche sovrasta, con la sua
di parole di cui Heidegger si compiace e il fatto che, dal grandiosità, tutte le altre. Perché?
momento che ogni vocabolo è in lui soppesato, bisogna
mantenere una coerenza terminologica massima, ma al R. Si tratta di un’opera impressionante per l’ampiezza e
Intervista
a Franco Volpi
5
RESOCONTO
la profondità delle riflessioni che intesse. Come tutte le
grandi opere, trasmette stimoli a pensare molto forti. Non
si tratta di una delle tante monografie su Nietzsche, e
nemmeno di una semplice interpretazione del suo
pensiero. Come dichiarano le parole con cui l’opera
esordisce, qui il nome di Nietzsche sta a indicare la cosa
che nel suo pensiero è in questione. Siamo dunque di
fronte ad un vasto e serrato confronto filosofico, che
Heidegger ingaggia con Nietzsche e che richiede da parte
del lettore disponibilità e impegno.
contemporaneo e delle sue avanguardie intellettuali. Non
occorre essere nicciani per riconoscere che il suo
fantasma si aggira ancora ovunque nella cultura del nostro
tempo. Né si deve arrivare a dire, con Heidegger, che il
nichilismo è l’accadere stesso della storia occidentale,
per riconoscere che «chi non ha sperimentato su di sé
l’enorme potenza del nulla e non ne ha subìto la
tentazione conosce ben poco la nostra epoca». Il
nichilismo è oggi espressione di un profondo malessere
della nostra cultura: che ha le sue cause, sul piano storicosociale, nei processi di secolarizzazione e di razionalizzazione, cioè di disincanto e frantumazione della
nostra immagine del mondo, e che ha provocato sul piano
filosofico il diffondersi del relativismo e dello scetticismo.
E quale che sia l’atteggiamento che si assume nei suoi
confronti, di accettazione o di rifiuto, chiunque può
vedere quanto la storia abbia riempito il nichilismo «di
sostanza, di vita vissuta, di azioni e di dolori».
La domanda che s’impone è se il nichilismo sia davvero
- come pensava Heidegger - un approdo inevitabile del
razionalismo occidentale, una sorta di inveramento
essenziale del potere distruttivo della ragione, nata con i
Greci, o se esso non sia piuttosto - come pensava Husserl
- un tradimento dell’originaria idea di ragione, un
imbarbarimento e impoverimento di quel logos, che con
Socrate, Platone e Aristotele aveva saputo affermarsi sul
nichilismo di un Gorgia.
Ora, se è vero che il nichilismo comincia là dove cessa la
volontà di autoingannarci, possiamo prendere la lezione
che esso ci impartisce come un vigoroso invito alla
lucidità del pensiero e alla radicalità del domandare. Il
nichilismo ci ha trasmesso in effetti un insegnamento
corrosivo e inquietante, ma al tempo stesso profondo e
coerente. Ci ha insegnato che noi non disponiamo più di
una prospettiva privilegiata - non la religione, non la
metafisica, non la morale, né l’arte - in grado di parlare
per tutte le altre; che non abbiamo più un punto
archimedico, facendo leva sul quale potremmo di nuovo
dare un nome all’intero. È questo il senso più profondo
della terminologia negativa - “perdita del centro”,
“svalutazione dei valori”, “crisi di senso” - che il
nichilismo ha fatto fiorire e che evidentemente esprime
la “crisi d’autodescrizione” del nostro tempo. Il
nichilismo ci ha dato la consapevolezza che noi moderni
stiamo navigando a vista negli arcipelaghi della vita, del
mondo, della storia: perché nel disincanto non v’è più
bussola che orienti; non vi sono più rotte, percorsi,
misurazioni pregresse utilizzabili, non più mete
prestabilite a cui approdare. Il nichilismo, che ha corroso
le verità e indebolito le religioni, ma anche dissolto i
dogmatismi e fatto cadere le ideologie, ci ha insegnato a
mantenere quella “ragionevole prudenza del pensiero”
che consente di navigare nel mare della precarietà, nella
traversata del divenire, nella transizione da un isola
all’altra. Ancora non sappiamo però quando potremo dire
di noi stessi quello che Nietzsche osava pensare di sé,
quando diceva di essere «il primo perfetto nichilista
d’Europa, che però ha già vissuto in sé fino in fondo il
nichilismo stesso - che lo ha dietro di sé, sotto di sé,
fuori di sé».
D. Quest’interpretazione rispecchia davvero l’immagine
di Nietzsche? Non potrebbe Heidegger avere usato una
sorta di violenza ai testi, volendoli unificare a tutti i costi
in una trama unitaria?
R. Heidegger stringe in effetti i testi in una presa
tentacolare e li interroga con martellante insistenza,
domanda su domanda, per estorcere loro la confessione
di una appartenenza alla tradizione della metafisica
occidentale. Mira insomma a mostrare che il pensiero di
Nietzsche rappresenta l’ultimo capitolo della storia della
metafisica occidentale, cioè del platonismo. Ma, al di là
della risposta che si può dare alla questione sulla
appartenenza o meno di Nietzsche alla metafisica, va
sottolineato che con la sua interrogazione Heidegger
riesce a valorizzare - meglio di ogni altra interpretazione
- i contenuti speculativi dell’opera nietzscheana e a
mostrarne, al di là della fin troppo evidente contraddittorietà
di molte sue tesi, la profonda coerenza e unità delle
dottrine fondamentali: la “morte di Dio” e la svalutazione
dei valori tradizionali, l’avvento del “nichilismo europeo”
e l’esigenza del suo superamento mediante una
“trasvalutazione di tutti i valori”, l’arte come “attività
metafisica”, il “superuomo”, ma soprattutto la volontà
di potenza e l’eterno ritorno dell’uguale. Lungo un
itinerario che, attraversando la storia della filosofia, risale
all’indietro fino a Platone, e da Platone ritorna a noi,
Heidegger mostra che tutte queste dottrine non sono lo
stravagante parto della mente ormai malata del pensatorepoeta, ma costituiscono il compimento della metafisica
occidentale, rigorosamente pensata fino alle sue estreme
conseguenze. Oggi, noi possiamo naturalmente
impegnarci in senso inverso a decostruire l’unità del
pensiero di Nietzsche, oppure a mostrare che Nietzsche
non sta dentro la metafisica, ma ne esce fuori, anzi, la
rovescia radicalmente e apre la possibilità del suo
superamento. Ma lo possiamo fare solo proprio perché
Heidegger ci ha mostrato quell’unità e indicato
quell’appartenenza, che nessuno prima di lui era riuscito
a esibire con tanta forza.
D. Ritiene che i reiterati tentativi di superamento del
nichilismo che, dopo Nietzsche, continuano a
caratterizzare gran parte della filosofia contemporanea
potranno mai approdare ad un esito effettivo?
R. Il nichilismo, cioè la morte di Dio e la svalutazione
dei valori tradizionali, ha avuto sul nostro secolo una
presa tanto tenace che esso rappresenta, probabilmente,
qualcosa di più di una semplice avventura del pensiero
6
RESOCONTO
Presso la sede
di Ca’ Dolfin,
il 10 maggio
1995, in un incontro pubblico
organizzato dal
Dipartimento
di Filosofia e
di
Teoria delle
Flavio Cassinari
Scienze dell’Università degli Studi di Venezia, è stata presentata la
recente edizione italiana dell’opera di
Martin Heidegger, Nietzsche. Al dibattito
hanno partecipato, oltre a Franco Volpi,
curatore dell’edizione italiana, Mario Ruggenini ed Emanuele Severino.
Franco Volpi ha evidenziato i due snodi
concettuali decisivi di quest’opera di
Heidegger: la dottrina della volontà di potenza e quella dell’eterno ritorno, attraverso i quali Heidegger giunge a collocare
Nietzsche nell’orizzonte della tradizione
metafisica. Volpi ha ricordato che in
Heidegger il filosofo dello Zarathustra non
risulta, quanto al suo tratto definitorio, né
un esponente della crisi del soggetto, né un
detrattore del valore tradizionalmente attribuito al rigore logico dell’argomentazione. La riflessione di Nietzsche, per come
essa emerge dalla lettura heideggeriana, appare accostabile, per le sue caratteristiche e
la sua centralità nei confronti della storia
della metafisica, alla teorizzazione aristotelica del principio di non contraddizione.
Secondo Volpi, per Heidegger il confronto
con Nietzsche non fu un confronto dall’esito già scontato, finalizzato a costringere
l’interlocutore sul letto di Procuste della
metafisica. All’interno del dialogo istituito
con Nietzsche, Heidegger cerca, invece, di
rintracciare in questi un “compagno di strada”, come si può evincere dall’ampiezza e
qualità dei materiali che hanno dato luogo
a questo testo heideggeriano. Volpi ricorda, a questo proposito, che Heidegger, nel
contesto della preparazione dell’edizione
critica delle opere di Nietzsche, si occupò
anche di questioni filologico-testuali. Lungi da una condanna aprioristica di Nietzsche, in quanto “metafisico della volontà”,
Heidegger legge lo Zarathustra alla luce
delle proprie acquisizioni teoriche guadagnate in Essere e tempo. A riprova di ciò,
Volpi sottolinea il fatto che l’antitesi tra
apollineo e dionisiaco, configurata dal giovane Nietzsche, viene interpretata da
Heidegger come il tentativo, attraverso la
determinazione dell’ebbrezza, di uscire
dall’antitesi fra soggetto e oggetto. Della
nozione nietzscheana di Wille (volontà),
Heidegger mette inoltre in evidenza il carattere di affettività, ovvero di passività. In
questo, Heidegger coglie sia il residuo di
eraclitismo persistente in Nietzsche, nel
suo tener fermo alla realtà del divenire, sia
la consustanziale funzione unitaria (contro
l’interpretazione relativista del filosofo)
della categoria di Wille zur Macht (volontà
di potenza), in quanto creatrice di forme di
Il Nietzsche
di Heidegger
vita. L’appartenenza di Nietzsche alla metafisica della soggettività risiede nel dualismo, che si configura fra la donazione di
senso, effettuata dalla volontà di potenza, e
ciò che, invece, il proprio senso può soltanto ricevere. Ancora: l’importanza che, per
la conversione dall’atteggiamento naturale
a quello filosofico, riveste la categoria di
thaumazein nella riflessione heideggeriana già dalla fine dagli anni Venti, trova un
suo riscontro nell’interpretazione del sottotitolo dello Zarathustra. Il “libro per tutti
e per nessuno” appare infatti, secondo
Heidegger, offerto a tutti coloro, e soltanto
a essi, che hanno conosciuto la conversione
interiore dallo sguardo ordinario.
Heidegger individua due diverse valenze
della dottrina dell’eterno ritorno. Esistentiva l’una, cosmologica l’altra, rivelano anch’esse, per Volpi, il tentativo di appropriazione delle tesi nietzscheane da parte di
Heidegger. A suo parere, Zarathustra non
formula la tematica dell’eterno ritorno come
una tesi al fine di evitare di trasformare
un’indicazione di carattere pratico in una
dottrina. Anche qui, Heidegger tenta di
recuperare Nietzsche alle proprie posizioni; ciò accade anche nel caso del concetto
nietzscheano di caos, sottratto alle ascendenze positiviste, ed eletto invece come il
luogo dell’emergere di ciò che è ineffabile,
assolutamente differente. Si perviene così
a una sorta di teologia negativa, dalla quale
è però scomparso il Dio cristiano. A Nietzsche, e a sé medesimo, Heidegger obietta
che la categoria di nulla, alla quale questa
nozione di caos fa riferimento, costituisce
un antropomorfismo.
Emanuele Severino ha sollevato la questione relativa all’effettivo sviluppo, nell’interpretazione heideggeriana, delle potenzialità antimetafisiche intrinseche al
pensiero di Nietzsche. Quest’ultimo, secondo Heidegger, indietreggerebbe di fronte alla propria stessa acquisizione; in particolare, nel caso della dottrina dell’eterno
ritorno, a fronte della riduzione di quest’ultima a simulacro della prospettiva seriale,
che sorge a opera della tecnica. Severino
sottolinea l’esigenza di mettere in relazione la dottrina dell’eterno ritorno con quella
della morte di Dio: proprio nel non aver
percepito il fatto che la seconda implichi la
prima risiede la lacuna fondamentale dell’interpretazione heideggeriana. Per questa via, l’argomentazione di Severino mira
a mettere in luce l’aporìa del divenire, che
egli ritrova enunciata nel testo nietzscheano. Se si accetta l’esistenza degli dei, non
resta nulla da creare, poiché tutto sarebbe
già stato deciso. Poiché la dottrina nietzscheana della volontà di potenza postula il
nostro essere creatori, seguendone coerentemente le premesse, appare necessario affermare che non esistono gli dei, non esiste
l’immutabile. Questa conclusione (condivisa, secondo Severino, da tutto il pensiero
contemporaneo che ritiene il divenire l’unica realtà) nasconde tuttavia un’aporìa.
La tesi che afferma l’esistenza del divenire
7
pone capo, infatti, all’assolutizzazione del
divenire medesimo: ammettere il trascorrere del passato significa rendere quest’ultimo un blocco monolitico, un macigno
irremovibile, del quale l’uomo non può che
sopportare il peso. Ma qual è la verità
ultima della connessione, in Nietzsche, tra
la dottrina dell’eterno ritorno e quella della
volontà di potenza? L’uomo deve essere
superato, per attingere al livello di creatività del superuomo; ciò significa che il passato non può essere considerato un immutabile, fisso nella sua irrevocabilità, in quanto ammettere l’esistenza del passato significa escludere la possibilità di creazione.
Esprimendo la questione in termini più
radicali: si esclude la possibilità di creare
laddove si ammette l’esistenza del divenire. Tener fermo alla dottrina della volontà
di potenza e a quella dell’eterno ritorno
comporta dunque, per Severino, la negazione del divenire. È questa l’acquisizione
a fronte della quale Nietzsche, a parere di
Severino, indietreggia: per questo occorre
seguire l’indicazione heideggeriana, più di
quanto non abbia fatto Heidegger medesimo, relativa all’accostamento di Nietzsche
e Aristotele, in qualità di poli della tensione
che dà luogo alla metafisica occidentale.
Colmata dunque la grande lacuna della
lettura heideggeriana, consistente nella
mancata connessione fra la dottrina della
volontà di potenza e quella dell’eterno ritorno, Nietzsche appare come colui che
coglie l’impossibilità del divenire: assolutizzata la funzione di quest’ultimo, si produce una contraddizione che pone in contrasto l’ammissione del divenire come unica realtà con la necessità di considerare, in
questa prospettiva, il passato come irrevocabile.
Mario Ruggenini ritiene che dal confronto tra Heidegger e Nietzsche emerga una
configurazione concettuale aporetica, caratteristica della modernità, che riguarda il
problema del soggetto. A partire dalla questione della verità si produce la rottura del
pensiero moderno nei confronti di quello
greco: alla nozione di aletheia viene attribuito il carattere che fa risiedere la verità
dell’oggetto nella certezza che di esso ha il
soggetto. Su questo punto, la lettura di
Kant nell’opera heideggeriana dedicata a
Nietzsche appare, per Ruggenini, sintomatica; essa segnala, infatti, il progressivo
imporsi a Heidegger della questione del
soggetto, quale cifra della prospettiva metafisica nella modernità. Dopo l’esaltazione di Kant quale teorico della finitezza, nei
testi heideggeriani appartenenti al periodo
della fine degli anni Venti, l’assegnazione
di Heidegger all’ambito della tradizione
metafisica avviene proprio a partire dal suo
ruolo di teorico della soggettività.
Per definire gli elementi della propria riflessione di fronte ai quali, stando a
Heidegger, Nietzsche indietreggerebbe,
secondo Ruggenini occorre porre la dottrina della volontà di potenza al suo giusto
posto nella storia della metafisica. Nietzsche
RESOCONTO
non si colloca nella serie delle figure della
metafisica, bensì al suo estremo, in quanto
rivela la verità di quelle che la precedono. Il
problema messo a fuoco dalla riflessione
nietzscheana riguarda la questione del nichilismo, ovvero la questione del senso della
realtà. Tale questione si pone, in Nietzsche,
come il tentativo di salvaguardare il senso
del divenire, non di conferirglielo. Nietzsche
rifiuta la figura del dio creatore: essa è necessaria soltanto se, come vuole la teologia
cristiana, Dio è totale perfezione, conclusa in
se stessa. Soltanto in questo caso il mondo
diventa superfluo.
L’obiettivo di Nietzsche risiede dunque nel
salvare il senso del mondo; ma la soluzione
proposta, sottolinea Ruggenini, consiste in
un sillogismo fondato sul presupposto soggettivista. La volontà di potenza è creatrice
di senso; “creare” significa volere ogni cosa
del passato, anche il dolore, redimendolo
dalla sua monoliticità. Volere il passato significa riscattarlo dal non senso in cui esso ci
precipita, trasformando ogni “così fu” in un
“così volle che fosse”. In questo senso, l’autentica crux teoretica consiste per Nietzsche
nel Cristianesimo, ovvero nella figura del
dio creatore, in quanto essa destituisce di
senso il mondo.
A parere di Ruggenini, Heidegger prende
atto di ciò, ma non fino in fondo, a causa di
una prospettiva continuistica che individua
un’unica linea, senza soluzione di continuità, da Platone al Cristianesimo, e da esso a
Nietzsche medesimo. Il limite dell’interpretazione heideggeriana consiste dunque nel
non fare i conti con il fatto che il principio
cristiano di creazione rappresenta, rispetto
alla grecità, un elemento di novità; laddove
Nietzsche, a ragione secondo Ruggenini,
individua invece nella metafisica cristiana
l’autentico responsabile della svalutazione
del mondo. L’interesse di Nietzsche non
appare rivolto al pensiero greco, bensì alla
metafisica cristiana; la sua riflessione si presenta come l’atto estremo dell’ultimo teologo cristiano che tragicamente tenta, attraverso la fedeltà all’eterno, e la risacralizzazione
del mondo, un’ultima esperienza religiosa
dopo il Cristianesimo. In questa prospettiva
prende forma l’ateismo di Nietzsche, la sua
accettazione di Dioniso, cioè il suo tentativo
di indicare una via d’uscita dal nichilismo,
anziché il compiaciuto permanere in esso. A
parere di Ruggenini, occorre non assolutizzare l’affermazione della vita, che caratterizza il superuomo: essa va infatti mantenuta in
tensione con la fedeltà alla terra, e ciò comporta il sottolineare la finitezza dell’uomo.
Heidegger tenta di definire concettualmente
questa tensione, anche se il suo giudizio su
Nietzsche pone quest’ultimo, comunque, nell’ambito del soggettivismo.
Nel confronto con Nietzsche Heidegger tenta, inoltre, di pervenire alla comprensione
dell’essere in quanto storia, ovvero di definire la necessità storica del nichilismo. In ciò
consiste il tentativo di pensare la differenza
dell’essere, attuato interpretando il nichilismo come necessità dell’essere medesimo.
Martin Heidegger e Fanco Volpi
8
CONFRONTO
Nel passaggio mocratica dal basso; non può sfuggire però
dalla prima che il “patriottismo della Costituzione”, a
alla seconda cui egli invita, deve essere inteso come
Repubblica si nesso inscindibile di senso di appartenenza
rende necessa- nazionale e di riconoscimento dei diritti
ria una ricogni- sociali, e cioè come circolarità del rapporto
zione storica e tra fedeltà alle istituzioni nazionali (dal
teorica per in- basso) e pratiche della cittadinanza sociale
di
dividuare le (dall’alto). Si comprende perciò come, per
GiuseppeBalistreri
tendenze e i converso, Losurdo possa puntare il dito sul
modelli ideo- fatto che la messa in discussione del valore
logici che sono all’opera e che ne stanno della nazione e lo smantellamento dello
guidando i processi. È ciò che propone stato sociale procedono di pari passo: «mito
Domenico Losurdo con il suo saggio La federalista e processi reali di de-emancipaSeconda Repubblica. Liberismo, federali- zione» sono strettamente intrecciati tra loro.
smo, postfascismo (Bollati Boringhieri, Per non dar adito ad equivoci, Losurdo si
Torino 1994).
lancia, a questo proposito, in una ricogniInnanzitutto l’intero quadro dell’assetto zione storica dell’idea federalista e delle
istituzionale e costituzionale della repub- sue espressioni politiche per mostrare
blica uscita dalla Resistenza è stato minato come, malgrado quanto si creda comunedall’idea federalista, divenuta
ormai, avverte Losurdo, un mito
che pervade tutti gli schieramenti politici, compresa la sinistra nella sua componente
maggioritaria. L’intento principale di Losurdo è di smascherare questo mito mostrando come in esso agiscano prepotentemente motivi razzisti,
dei quali però sembra non si
voglia tenere sufficientemente
conto.
Losurdo mostra come il nocciolo razzista del federalismo
intervengono Francesco M. De Sanctis,
nostrano si sposi ad una tenAlberto Burgio, Roberto Esposito,
denza più generale dell’OcciDomenico Losurdo
dente a considerarsi la parte
privilegiata del mondo per propria superiorità costitutiva, a
mettere in discussione la validità dei diritti umani al di fuori
della sua area, ed in sostanza a
rilanciare un neocolonialismo
ammantato di “interventismo
a cura di Riccardo Ruschi
democratico”. Al successo del
mito federalista fa riscontro,
secondo Losurdo, la nuova ondata di libe- mente, ben raramente federalismo e derismo che si è imposta a livello internazio- mocrazia (principalmente nelle sue connale e sotto il cui segno si è posto in Italia notazioni sociali) sono andati d’accordo
il passaggio alla seconda Repubblica. Qui (il federalista Proudhon era poco sensibile
è presente un antistatalismo non solo in all’oppressione dei popoli e non nasconsenso territoriale, ma anche in senso socia- deva simpatie bonapartiste), e quando ciò
le, che mira allo smantellamento dei diritti è accaduto, come negli esponenti del fedee delle garanzie conquistati dai ceti più ralismo democratico del Risorgimento, non
deboli della popolazione e dalle classi la- sono pochi i risvolti corporativisti (Cattavoratrici.
neo), regionalisti (Ferrari), che devono
Il federalismo italiano dei giorni nostri, indurre ad una presa di distanza critica.
avverte Losurdo, mira all’attacco delle aree Il nesso tra new wave federalista e neolibedepresse del nostro paese, privandole del- rismo va ancora più in profondità. Losurdo
le possibiltà di sviluppo, che solo uno mostra infatti che quanto nella prima si
Stato nazionale può offrire, per abbando- muove dentro una prospettiva razzista, nel
narle al loro destino di arretratezza. La secondo è spinto da un’ideologia di fondo
“controrivoluzione liberista”, da parte sua, di tipo socialdarwinista. Sia le regioni arintende invece liquidare gli elementi di retrate sia “i falliti della vita” tendono
solidarietà sociale, che le esigenze stesse infatti ad essere presentati, dall’uno e daldi fare della nazione un quadro comune di l’altro versante, come il prodotto di una
appartenenza hanno imposto. Losurdo, in limitatezza, anzi di una vera e propria
realtà, coglie la costruzione dello stato inferiorità costitutiva che riguarda i sogsociale soprattutto come conquista de- getti interessati. Sulla base di una serie di
Pensare
una seconda
Repubblica
Liberismo
federalismo
postfascismo
9
dichiarazioni rinvenibili in autorevoli esponenti della tradizione liberale, Losurdo
intende mostrare come si annidi nello stesso nocciolo ideologico del liberalismo una
visione che porta a “razzizzare” i ceti sociali svantaggiati come non capaci. Il proposito quindi di derubricare la questione
meridionale dall’ambito delle emergenze
nazionali e la tendenziale cancellazione
dello Stato sociale costituiscono dei processi convergenti.
Come non vi è discontinuità tra federalismo e neoliberismo, così, prosegue Losurdo, non ve n’è tra liberalismo e fascismo.
Ciò che si compie oggi in Italia sarebbe
quindi una ripetizione, una prosecuzione
della svolta autoritaria-conservatrice di fine
secolo sollevata dai cannoni di Bava-Beccaris e, ad altro livello, significativamente
teorizzata da Sonnino nel suo famoso articolo Torniamo allo Statuto!
(non a caso ripreso in uno scritto di Gentile alla fine del 1924).
Si tratta sostanzialmente del
fatto che lo stesso fascismo si è
voluto presentare come momento di affermazione del liberalismo in lotta contro la democrazia, e non come sua antitesi tout court.
Così, in continuità con la storia
d’Italia dell’ultimo secolo, nell’avvento della seconda Repubblica, fa notare Losurdo, si può
riscontrare il prodursi di un “terzo colpo di stato”, dopo quello
dell’Ottocento e quello sfociato nella dittatura mussoliniana.
In tutte e tre i momenti sono
individuabili alcune caratteristiche comuni: gli attacchi portati contro la democrazia considerata come una sorta di degenerazione (con i suoi partiti
di massa e i sindacati) nei confronti del regime liberale puro;
l’alleggerimento del carico fiscale a favore delle classi abbienti e la
redistribuzione della ricchezza a svantaggio delle classi popolari; l’esclusione dai
diritti politici dei non proprietari.
Alla svolta politica si accompagna il revisionismo storico, che ha di mira la cancellazione dei caratteri popolari, democratici,
nazionali, contenuti nei tre eventi storici
fondamentali che hanno segnato la storia
d’Italia (anche se il primo solo di riflesso):
la Rivoluzione Francese, il Risorgimento,
la Resistenza. Di fatto, sostiene Losurdo,
nel nostro Risorgimento convergono i due
versanti della Rivoluzione Francese, quello delle aspirazioni nazionali e quello delle
aspirazioni sociali o democratiche. Lo Stato nazionale uscito dal Risorgimento costituisce per le masse popolari un nuovo terreno più avanzato in cui far valere le loro
richieste. Per Losurdo la rivoluzione nazionale e democratica italiana non può dunque
che mantenere come suo antecedente e
come ideale punto di riferimento il model-
CONFRONTO
lo della Rivoluzione Francese, che va pertanto difesa dagli attacchi dei revisionismi
storici, poiché ad essa spetta «il merito di
aver promosso l’abolizione della schiavitù
nelle colonie, la proclamazione dei diritti
dell’uomo e la connessa emancipazione,
oltre che dei neri in catene, anche degli
ebrei confinati nei ghetti, l’estensione dei
diritti politici a quasi tutta la popolazione
adulta maschile, la teorizzazione del “dirit-
to alla vita”, del diritto all’istruzione, ecc.».
Allo stesso modo, avverte Losurdo, anche
la Resistenza va messa al riparo dai tentativi di farne un mero evento di guerra
civile, che tende a rimuoverne il significato di movimento di liberazione nazionale,
rivoluzione sociale e democratica, orizzonte ideale antimperialistico, anticolonialistico, antirazzistico. Svalutare il significato della Resistenza è stravolgere
l’identità che si è data il il nostro paese dopo
la fine del fascismo, e in antitesi ad esso.
L’opera di Domenico Losurdo è stata presentata l’11 febbraio 1995 in un incontro
pubblico presso l’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli, a cui hanno
partecipato, oltre all’autore, Francesco M.
De Sanctis, Alberto Burgio e Roberto Esposito. Dei loro interventi presentiamo qui di
seguito i testi.
La tesi del secondo capitolo è che tale ritorno alle forme
più crude del liberismo scandisce la storia dell’Italia
unita, attraverso tre stadi, che s’identificano con altrettanti tentativi di colpo di stato; uno tra la fine dell’800 e
l’inizio del ‘900, un altro con il fascismo e l’ultimo con
l’avvento della seconda Repubblica. Tre colpi di stato
accomunati, sotto il profilo della strategia complessiva,
da una critica delle degenerazioni della democrazia, da
una presa di distanza della Rivoluzione Francese, dalla
revisione di tutte le organizzazioni di massa, in primis i
partiti ed i sindacati. In ognuno dei colpi di stato la
democrazia è specificamente criticata come democrazia
sociale legata ai diritti sociali, cui consegue un’avversione radicale nei confronti dei soggetti del pluralismo, ed
un recupero sinistro di vecchi sistemi e metodi elettorali.
Sul piano delle procedure decisionali, la situazione che si
determina è prossima al “doppio stato” di Fraenkel, nel
senso che lo stato normativo, di diritto, il Normenstaat, è
svuotato dall’interno dal Massnahmenstaat, dallo Statoprovvedimento, da una prassi che non opera attraverso i
canali costituzionali della discussione e del controllo
parlamenatre, ma attraverso un’ “eccezionalità”, normata per decreti. Tutto questo si svolge entro un quadro
sociale che vede l’Italia trasformata in una società dei due
terzi, nella quale la bipolarità politica, giocata all’interno
di un ceto sociale omogeneo, tende a refluire in un
monopartitismo competitivo.
Nel capitolo terzo campeggia la critica radicale del federalismo. Gli esempi selezionati da Losurdo (la Germania,
gli Stati Uniti, in parte la Svizzera) mostrano come il
federalismo, allorquando anteponga il particolarismo
all’unità, subisca una torsione de-emancipativa. La stessa tradizione risorgimentale italiana, e nella sua versione
conservatrice ed antidemocratica, - Gioberti, Rosmini e
Balbo - e in quella democratica - Cattaneo, in particolare
-, propone un federalismo costantemente estraneo alla
prospettiva dell’unità d’Italia. Prospettiva che, invece,
ben colgono Silvio e Bertando Spaventa, antifederalisti e
precursori non solo dello stato unitario, ma anche dello
stato sociale. Anche se, occorre qui obiettare, sono proprio gli Spaventa ad attestare una parentela con quella
linea del liberalismo tedesco, da Lorenz Von Stein a
Robert Von Mohl, che in un certo senso usava lo stato
sociale in funzione correttiva della Rivoluzione Francese, cercando di ricuperarne i principi sotto il governo
dell’idea di Stato.
Parimenti, quando Losurdo afferma, nel quarto capitolo,
che la libertà moderna si è costituita a partire da un nucleo
di diritti inalienabili, sottratti allo scambio, al contratto ed
al mercato, sostiene quella che rimane una grande prestazione del pensiero liberale - penso a Guizot -, che tuttavia
Edmond Cherer, nel 1860 circa,
designava la Democrazia in
Francia di Guizot come un libro
dettato dalla collera. Ebbene,
anche il volume di Domenico
Losurdo potrebbe dirsi dettato
da un sentimento analogo e fondamentalmente condivisibile,
che trascorre in una forte passione civile.
Apparentemente, il libro di Losurdo si sofferma sulla
nostra storia più recente. Ma il presente è qui legato ad
una logica di sviluppo di un certo tipo di storia italiana,
che ha radici molto lontane e che si iscrive in un complesso anche più vasto di sviluppo storico-ideologico di
marca antiprogressista, in un’accezione ampia, non strettamente politica.
Dinanzi alle tre parole d’ordine che compongono il
sottotitolo (liberismo, federalismo, postfascismo) Losurdo prende polemicamente partito con grande probità
intellettuale, privilegiando una precisa tradizione culturale
e politica, interpretata e, verrebbe da dire, vissuta in una
prospettiva antagonistica ed emancipativa. Da qui la
matrice culturale del libro stesso, che individuerei nel
binomio Rousseau-Marx, non in opposizione ad Hegel come in un certo marxismo teorico italiano - , ma completatosi con Hegel e, attraverso l’intermediazione degli
Spaventa, radicatosi nella tradizione marxista, di cui qui
si privilegia la linea Gramsci-Togliatti. La nettezza della
scelta di campo, insieme alla forza della matrice culturale, conferisce a Losurdo una chiave di analisi molto
sicura di una reatà confusa, rispetto alla quell’intera
sinistra italiana che appare, a sua volta, disorientata.
Nel primo capitolo Losurdo prende spunto da tre figure
emblematiche della nostra storia recente, che sono il
picconatore, il maestro e il leader. Dove il picconatore
rappresenterebbe colui che sferra il primo attacco ad un
certo assetto costituzionale; il maestro colui che avrebbe
lanciato la parola d’ordine federalista; il leader, infine,
colui che avrebbe affossato una repubblica, di cui è il
continuatore di una parte molto poco luminosa. Denominatore comune di queste figure, che si consolidano in un
movimento politico sociale, non è solo il federalismo,
quanto una weberiana legittimazione etica della posizione
sociale dei più abbienti e felici. A questo processo si
accompagnerebbe, da un lato, la rimozione dello stato
sociale, dall’altro la marginalizzazione e l’espulsione degli
“infelici” come esito del tutto naturale di una dinamica
selettiva. Il passo verso la “razzizzazione” diviene, così,
molto breve e tende a coincidere con il postulato secondo
cui gli infelici meritano l’infelicità e devono permanervi.
Francesco M.
De Sanctis
10
CONFRONTO
riabilita l’idea fortemente centralistica dell’amministrazione, tipica del modello francese. Analoga sfiducia nella
società civile e nel mercato come dimensioni salvifiche è
manifestata, hegelianamente, ancora da Stein e da Mohl.
Il principio di sussidiarietà che oggi si applica al federalismo nasce all’interno della teoria mohliana, di cui
costituisce una sorta di trasposizione dal piano dei rapporti tra individuo e Stato alla dialettica tra Stato unitario
e Stati confederati.
Nel capitolo quinto, Losurdo dirige la polemica contro la
storiografia revisionistica, che, lungo la linea tracciata
da Furet, mirerebbe a sovvertire tre nodi fondamentali
che innervano la costituzione e la storia unitaria italiana:
la Rivoluzione Francese, il Risorgimento italiano e la
Resistenza.
Programmaticamente, nel sesto capitolo, Losurdo rivendica l’urgenza di mantenere forte la continuità tra Risorgimento, Resistenza e valori costituzionali, contro ogni
revisionismo che interpreti il Risorgimento in una prospettiva imperialistica e la Resistenza come guerra civile
e non come conflitto di liberazione nazionale e di rivoluzione sociale. Riannodando questi momenti della storia nazionale al pettine del presente, l’autore, in aperto contrasto con
la subalternità della sinistra italiana, formula una critica
serrata del sistema maggioritario, del congedo dai partiti di
massa, del coro di consensi che ha accompagnato l’intervento italiano nella guerra del Golfo.
dalla borghesia europea tra Seicento e Settecento) emerge con la massima evidenza nella sua variante liberista,
dove la battaglia per la libertà economica si salda al
rifiuto di qualsiasi intervento pubblico contro la povertà,
considerata come diretto effetto dell’incapacità o dell’ignavia degli indigenti.
Il razzismo (nella sua variante socialdarwinistica in particolare) si inserisce qui: la trascrizione in chiave naturalistica delle gerarchie sociali e iinternazionali agisce
come teodicea della disuguaglianza sociale e della violenza del sistema economico. In questo senso tra razzismo e liberismo vige un legame necessario, stretto all’insegna di quello che Rousseau chiama pensiero servile,
riferendosi a quanti ritengono che in società la disuguaglianza naturale e quella sociale vadano di pari passo e
che quest’ultima non sia se non il riflesso immediato
della prima.
Contro la vulgata che nega l’esistenza di un razzismo
italiano, bene fa Losurdo a riprendere le “spiegazioni”
naturalistiche del sottosviluppo meridionale (e più in
generale delle gerarchie sociali) fornite dall’antropologia lombrosiana, “spiegazioni” alla base del senso comune (la vocazione all’ignavia e all’illegalità dei “terroni”)
oggi trasfigurato come “scienza” e legittimato politicamente dal “leghismo”.
Il carattere particolaristico della posizione liberale costituisce la premessa dell’analisi della seconda grande questione, il tema dello Stato e dello “statalismo”, politicamente cruciale in una vicenda, come quella italiana,
segnata dal tardivo approdo all’unificazione nazionale.
La generale avversione allo “statalismo” e l’altrettanto
generale opzione per una maggiore libertà della società
civile (per il “mercato”) fanno riferimento, di norma,
all’eccesso di vincoli posti dallo Stato e agli effetti
perversi generati dalla presunta ipertrofia della macchina
statale (lentezze e disfunzioni della burocrazia; inefficienza, parassitismo; sprechi, ecc.). Losurdo mostra come,
ben più che dalle disfunzioni e dagli sprechi, l’avversione
per lo Stato tragga spunto dall’insofferenza nei confronti
di qualsiasi interferenza nella gestione del capitale finanziario e della proprietà privata dei mezzi di produzione.
Qualsiasi critica “antistatalistica” viene meno di fronte
ad uno Stato che assume le funzioni del finanziatore
dell’impresa e che risponde con la violenza legale ai
contraccolpi sociali della deregolazione in campo economico. Quanto emerge dall’analisi dell’ambivalenza dell’“antistatalismo” è l’attuale subalternità ideologica di
una sinistra fermamente attestata sulle posizioni del
proprio avversario storico, di una sinistra che, introiettato
nel profondo il mito del privato, non si avvede di lavorare,
con uno zelo degno di miglior causa, per la svendita del
patrimonio pubblico e per lo smantellamento dello stato
sociale. I miti dell’efficenza del privato e della libertà
economica impongono la rinuncia a difendere le componenti più deboli della società.
Il mito federalista è la terza grande questione che Losurdo
mette a fuoco, e non è senza significato che l’analisi del
federalismo segua quella della posizione liberale-liberista e della polemica antistatalista. In tale sequenza è
leggibile, invece, un’indicazione precisa e rilevante: l’idea
che l’ipotesi federalistica costituisca il trionfo della di-
Il motivo delle aspre polemiche
suscitate da questo libro risiede a
prima vista nel sue essere un libro politico. In realtà, tale asprezza si deve al fatto che non si tratta
di un libro politico nel senso comune del termine, bensì di un
libro di “critica storica” del presente politico. Questo libro costringe a fare i conti con la storia,
grande assente - come sempre nelle fasi di regressione
individuale e collettiva - dal dibattito politico contemporaneo, italiano e non solo. Il libro affronta in prospettiva
storica tre temi teorici (liberalismo, Stato e unità nazionale) ritenuti cruciali nella costruzione di quella “cultura
del particolare” che per Losurdo sembra costituire l’ideologia portante del movimento regressivo in atto in questi
anni nel nostro paese. L’analisi di tali temi teorici mira a
porre in rilievo, alla luce della vicenda storica degli
ultimo centocinquant’anni, la carica ideologica che ne
caratterizza l’immagine recepita.
Cos’è il liberalismo? Alla definizione condivisa, che in
esso legge un sinonimo di intransigente difesa della
libertà individuale, la storia che Losurdo ricostruisce
mostra viceversa come la tradizione teorica e politica
liberale si sviluppi intorno alla rivendicazione della libertà “della proprietà”, e come a quest’ultima determinazione si accompagni inevitabilmente la tendenza a contrastare le istanze non compatibili con il pieno godimento
dei possessi privati, a cominciare dai diritti del lavoro. Il
carattere particolaristico del liberalismo (che rivela l’ambivalenza della stessa lotta di emancipazione combattutta
Alberto Burgio
11
CONFRONTO
namica di frammentazione del legame sociale propria del All’analisi teorica sin qui richiamata Losurdo intreccia
liberalismo e, per così dire, la sua “verità”. Anche qui una sintesi per molti versi originale della storia italiana
l’ideologia (l’ingenua equivalenza tra federalismo e auto- dal 1848 a oggi. La cultura del particolare di cui abbiamo
nomia, autogoverno e libertà) si scontra con la realtà di un sin qui discusso si è manifestata lungo l’intero arco della
movimento antinazionale tradizionalmente teso alla riven- storia unitaria, per Losurdo comprensibile solo come
dicazione del diritto alla particolarità: è la “sollevazione dei terreno di un incessante conflitto tra emancipazione e dericchi” di Max Frisch, dove l’istanza base - coerente con la emacipazione, tra dinamiche progressive, innescate da
lotta aristocratico-feudale contro la centralizzazione statua- lotte operaie e di massa tese alla “generalizzazione” dei
le - è il rifiuto di socializzare le condizioni di vantaggio benefici della cooperazione sociale, e fasi di regressione,
acquisite. Riconoscere l’essenza del federalismo nella fram- caratterizzate dallo svuoramento delle conquiste popolamentazione sociale permette di scorgere una sostanziale ri e dalla “privatizzazione” della ricchezza sociale. In
affinità tra federalismo e fascismo, dove è tutt’altro che questo contesto spicca la ricostruzione dei tre momenti:
dirimente la forma specifila “normalizzazione” proca in cui tale frammentamossa dalle cannonate di
zione viene attuata, se in
Bava-Beccaris e sancita
virtù di una formale ristrutdalle leggi Pelloux; il fasciturazione “geopolitica” delsmo (e , alle sue spalle, il
lo Stato o in forza di politicolpo di forza della monarche economiche e sociali
chia per imporre l’ingresso
funzionali a determinare
dell’Italia nella grande
forti e difficilmente reverguerra europea); e infine la
sibili sperequazioni tra le
“deriva autoritaria” in cordiverse regioni del paese.
so, inaugurata formalmente dalla riforma elettorale e
Se nei processi in atto - in
favorita dal monopolio sui
particolare nel nesso tra rimedia.
forma elettorale maggioritaria e progetti di riforma
L’accenno ai media evoca
costituzionale in senso feun problema scabrosissimo.
deralistico (nesso rinsaldaAlludo al problema della
to dall’assetto oligopolisti“forza straordinaria della
co del sistema delle comunipubblicità” (per riprendere
cazioni di massa) - Losurdo
l’espressione di Le Bon cara
scorge un «ambizioso proa Mussolini), al problema
getto di controrivoluzione»
“politico” e “teorico” rapcaratterizzato dal «tentatipresentato dalla capacità
vo di procedere a una giche un formidabile mezzo
gantesca epurazione della
di liberazione qual è di per
società “liberaldemocratisé il sistema delle comunica” dagli elementi [...] di
cazioni di massa ha di divedemocrazia e, a maggior,
nire strumento di governo
ragione, di democrazia soautoritario: luogo di origiciale», è perché - facendo
ne della trasformazione del
tesoro della lezione grampubblico in “folla solitaria”
sciana (e, alle spalle, lenie dunque fondamento delniana) - egli considera inel’“individualismo repressiAlcide De Gasperi di ritorno dagli USA
ludibile e decisivo il rapvo” tipico di regimi plebi(aereoporto di Vergiate, dicembre 1945)
porto tra questione nazioscitari caratterizzati dal rapnale (difesa dell’unità dello Stato democratico) e questio- porto immediato tra singoli e capo carismatico. Questo
ne sociale (tutela degli interessi deboli ed emancipazione schema pone grandi difficoltà teoriche e politiche: afdelle classi subalterne). In virtù della sua unità lo Stato frontare il problema della potenza egemonica dei media
nazionale è lo spazio della lotta per l’emancipazione implica appellarsi alla coscienza comune, affinché prendelle masse popolari: lotta per due ragioni generale, da “atto della sua stessa inadeguatezza”. Da questa
perché di massa e perché tesa alla generalizzazione dei contraddizione reale trae da sempre forza la posizione
benefici (diritti e condizioni materiali) dell’interazione demagogica: oggi, in particolare, la polemica “antipartisociale. Su questa base Losurdo coglie un nesso saldo tra tocratica” e l’argomento “democratico” delle elezioni
rottura dell’unità nazionale, smantellamento dello Stato subito e dell’elezione diretta del premier o del presidente
sociale e de-emancipazione delle masse popolari; in della Repubblica.
questo senso, ancora, nel venire meno della sinistra a una Ma è un altro il tema su cui vorrei, in chiusura, soffermarfunzione nazionale egli legge il segno di un totale oscurarsi mi; un tema in relazione al quale Losurdo mi pare offrire
della stessa coscienza di classe della parte politica chiamata un contributo molto rilevante. Mi sembra infatti che
a rappresentare gli interessi popolari.
questo libro aiuti a impostare correttamente il problema
12
CONFRONTO
“storico” dei rapporti tra fascismo (ventennio mussoIl rischio cui questo libro di LoRoberto
liniano), regime liberale e Stato repubblicano, e per ciò
surdo
espone il lettore è quello di
Esposito
stesso la questione “teorica” del valore categoriale
una risposta irriflessa dettata più
(idealtipico) del termine “fascismo” (cioè della possida una sintonia - o distonia bilità di assumere tale termine quale “nome comune”
immediata che da un giudizio
atto a designare un assetto sociale e una forma del
critico. Esso è talmente carico di
dominio politico).
phatos e di passione civile, talmente schierato su una posizioIl fascismo italiano diede vita a un sistema di comando
ne netta e intransigente, che spinpolitico tendenzialmente monocratico volto a realizge ad una valutazione altrettanto
zare, attraverso la gestione particolaristica dello Stato,
la privatizzazione della ricchezza sociale e la sterilizza- secca, o tutta positiva o tutta negativa. Ebbene, quello che
zione del conflitto sociale e politico. Di ciò Losurdo tenterò di fare è sfuggire a questa alternativa bloccata,
fornisce ampia documentazione. Ora, il punto è che in guadagnando uno spazio di distinzione e di differenza:
entrambi i casi il fascismo si pone in sostanziale conti- intanto rispetto ai piani sui quali il libro si muove, vale a
nuità con le tradizioni politiche liberali, che il regime di dire quello storico, quello filosofico e quello politico. So
Mussolini si limita, in ultima analisi, a “radicalizzare”. bene che in questo modo - predicando non solo la necesLosurdo ricorda Togliatti secondo cui il fascismo va sità, ma anche l’opportunità della distinzione tra questi
inquadrato nella vicenda del “liberalismo storpio” italia- piani - mi pongo dentro un quadro ermeneutico che non
no e la responsabilità storica del suo avvento incombe su è quello dell’autore, assai più portato ad unire che a
«quei democratici, quei liberali che, in fondo, avevano separare storia, filosofia e politica. Ma rivendico fin
tutti nel cuore il fascismo». Soprattutto, alla luce di tali dall’inizio la legittimità di un metodo, diciamo così,
premesse sembra possibile affermare che “elementi di altrettanto kantiano quanto quello di Losurdo è hegeliano.
fascismo” (ambiti, soggetti, interessi avversi alla logica Partiamo dal primo livello di discorso: quello storico.
generalizzante democrazia) innervano la normalità quo- Non ho esitazioni, da questo punto di vista, a condividere
tidiana della società liberale; che se il fascismo storico la battaglia di Losurdo per una riconquista della memoria
segna un mutamento rispetto al regime liberale, è tuttavia storica in una stagione in cui, dietro il revisionismo
sbagliato istituire tra fascismo e ordine liberale una imperante, si cela, neanche tanto occultamente, un vero
cesura “ontologica”, scorgere tra loro, secondo quanto e proprio progetto di cancellazione della storia. E Losursuggerisce la metafora crociana della parentesi, una do fa bene a sollevare una polemica esplicita e ben
radicale alterità. Non in una pretesa “mutazione geneti- argomentata ad esempio sulla riduzione della Resistenza
ca” del regime liberale prende forma il fascismo, bensì dalla categoria di rivoluzione nazionale a quella di guerra
quale espressione radicale del classico, insuperabile con- civile. Ciò che conta è la natura e la direzione di tale
flitto tra liberalismo e democrazia.
“guerra civile”, la sua iscrizione o meno in un quadro di
Questo conflitto rende ragione della ricorrenza dei tenta- liberazione nazionale. Ora è proprio questa profondità di
tivi che la borghesia compie allo scopo di «depurare il più campo che la storiografia - e, tanto più, la cronaca - va
possibile il regime liberale dagli elementi di natura perdendo in una sorta di livellamento superficiale in cui
democratica o sociale». E rende conto altresì del fatto che sembra nuovo ciò che ha invece una lunga storia; o
questi tentativi - nei quali si riassume la logica stessa del addirittura ciò che ci riporta indietro nel tempo, come
conflitto di classe - non vengono mai meno. Il che, per accade per molte delle vicende politiche, sociali e istituvenire alla più recente vicenda italiana, spiega perché, zionali dell’Italia di oggi.
come scrive ancora Losurdo, «la storia della Prima Rileggere tutto quanto è avvenuto in questi anni nel
Repubblica è la storia dei tentativi eversivi che hanno nostro paese come il semplice effetto di “tangentopoli” cercato di affossarla».
continua giustamente Losurdo - significa schiacciare un
L’ultimo tentativo si affermare il principio della partico- passaggio storico di grande complessità e articolazione
larità (il privilegio di pochi a prezzo della sudditanza sull’immagine più ravvicinata, essa stessa effetto, e non
civile e politica dei molti) è quello con il quale, in questi causa, di qualcosa di retrostante: e cioè di quella ristrutmesi cruciali per la nostra democrazia, si vorrebbe dare turazione dei poteri assai più profonda che ha trovato
vita a una nuova Repubblica nella quale la politica si espressione nell’alleanza strategica di liberalismo e federisolva nell’immediato confronto tra masse atomizzate e ralismo. Questa, almeno, è la tesi di Losurdo, appoggiata
capi plebiscitati e il “pubblico” si riduca a una quantità di ad un’analisi di lungo periodo che rintraccia le radici
individui esteriormente e passivamente collegati dalla ideologiche di quanto sta accadendo in una genelaogia
scelta per un medesimo prodotto sul mercato delle merci che arriva ai classici della tradizione liberale, da Hayek a
o della politica. È l’ultimo tentativo, ancora in corso: se Von Mises, fino a Mill, Constant, Tocqueville e addiritfallirà lo dovremo in massima parte al tempestivo costi- tura a Locke. Devo dire, tuttavia, che proprio nella
tuirsi di una consapevolezza diffusa della sua logica e dei ricostruzione di questa genealogia retrospettiva si cela un
suoi eventuali effetti devastanti, una consapevolezza rischio non indifferente di appiattimento storico-concetalla cui diffusione questo libro dà un contributo fon- tuale. Losurdo si diverte - così a volte sembra - a evidenziare la radice antidemocratica, a volte addirittura razzidamentale.
stica, del liberalismo di alcuni grandi autori. La cosa non
è difficile, visto che l’individualismo, e dunque anche il
liberalismo, nascono dentro la cornice dello Stato assolu13
CONFRONTO
to. È ovvio che in tutti i pensatori sei, sette e anche demarcazione tra destra e sinistra in ordine al parametro
ottocenteschi ci siano venature, toni, contenuti oggi asso- epocale costituito dalla modernizzazione. L’oscillazione
lutamente inaccettabili in ambito di diritti umani, civili, e l’indecisione filosofica della destra e della sinistra nei
sociali. Il problema è quello di inserire tali elementi nel confronti della modernità è costante. Ad esempio: Nietzcontesto da cui provengono e valutarli in base ad esso. sche, Bataille, Benjamin, Simone Weil, Canetti, BlanAltrimenti dovremmo concludere che Machiavelli era un chot sono autori di destra o di sinistra? La verità è che essi
pericoloso criminale, Agostino un affossatore dei diritti sono autori essenzialmente impolitici e che, se “tradotti”
umani e Aristotele un bieco schiavista. Lo stesso Hegel in politica, sono resi contemporaneamente di destra e di
riteneva l’America qualcosa di irrilevante nella storia del sinistra dalla loro estraneità alla tradizione liberaldemomondo; e Husserl escludeva francamente esquimesi e cratica.
zingari dall’autentico genere umano.
E veniamo alla politica. Anche da questo lato sono molti
Certo - potrebbe osservare Losurdo - la questione è anche i punti d’accordo con Losurdo; soprattutto nei confronti
filosofica. Io - da questo punto di vista - mi spingerei dell’ingenuità di coloro che hanno confuso una serie di
ancora più in là di quanto non faccia l’autore nel rifiutare una passaggi istituzionali, quali il mutamento del sistema eletreale consistenza filosofica al recupero del liberalismo.
torale, con l’acquisizione di una moderna democrazia.
Filosofia e politica, oggi, non sono più sovrapponibili Francamente non saprei quanto il federalismo leghista
concettualmente, categorialmente, linguisticamente. Da giochi in questa vicenda. Certo è innegabile che la cancelun lato l’autentica filosofia non può pensare la politica lazione della questione meridionale come questione nache nella figura della comunità; ma appunto la parola zionale costituisca un oggettivo punto d’intersezione tra
“comunità” è impronunciabile nell’Occidente liberale; federalismo e liberalismo antisociale. Sarei meno proclidall’altro la “libertà” della tradizione liberale è assoluta- ve, tuttavia, ad avvicinare entrambi a una prospettiva
mente piatta, non ha alcuno spessore filosofico, non è neofascista. La questione di fondo resta un’altra. In Italia
traducibile in un linguaggio filosofico.
lo scontro in atto è tra due schieramenti borghesi che si
Le uniche due potenze filosofico-politiche di questo affrontano senza esclusione di colpi. Ma ciò significa che
secolo sono state comunismo e fascismo, rispetto alle ci si debba tenere fuori da questa competizione? Io non
quali sia il liberalismo di tradizione settecentesca, sia la credo. Non lo credo perché comunque tra questi due
democrazia di tradizione ottocentesca non sono stati schieramenti ce n’è, se non uno migliore, certamente uno
“filosoficamente” pensati. Nel nostro secolo la filosofia, peggiore. E in politica la prima regola è evitare il peggio;
per così dire, è appartenuta agli estremi, quasi mai al almeno in una politica che voglia assumere l’etica della
centro. È questo che rende questo secolo filosoficamente responsabilità come proprio principio. Per chi voglia,
corto, stretto tra le due date “metafisiche” del 1917 e del invece, scegliere l’etica della convinzione vi sono tante
1989: né prima né dopo c’è stata una vera filosofia della altre strade. Ma nessuna di esse passa per la politica.
politica del Novecento.
Certo, questo vale soprattutto per il liberalismo. Per la
La mia rilettura del liberalismo
Domenico
democrazia le cose sono già diverse; ma ciò proprio
prende le mosse dal riconosciLosurdo
perché la democrazia, almeno in una sua parte - quella
mento di un punto forte di queldi derivazione roussoviano-marxiana - è paradossalla tradizione di pensiero: conmente più vicina al totalitarismo che al liberalismo: è
trariamente alla vulgata marxiil suo rovescio, nel senso che è sempre sospesa al
sta, non intendo affatto minirischio di ricadere in esso, come ben sanno i teorici
mizzare il ruolo della «libertà
della “democrazia totalitaria”. Ora è proprio questo
negativa»; si tratta invece di
che Losurdo nega quando avvicina al totalitarismo il
mettere in evidenza le clausole
liberalismo, ma non la democrazia: la mia impressione
d’esclusione che per secoli hanè che su questo punto si sbagli. Il liberalismo è nato no accompagnato la sua definizione. Locke parla come
dall’assolutismo, ma, come del resto quest’ultimo, non di un fatto ovvio e pacifico dei «piantatori delle Indie
ha nulla a che vedere con il totalitarismo, appunto perché Occidentali», i quali posseggono schiavi e cavalli in
incapace di pensare in termini di comunità. E proprio base ai diritti acquisiti con regolare contratto di comperché filosoficamente inabilitato a pensare la comunità, pravendita. Il grande teorico della limitazione del
il liberalismo è sempre politicamente in salvo dallo potere statale vorrebbe veder sancito nella costituzioscivolamento totalitario.
ne di una colonia inglese in America il principio per
E questa è una prima obiezione di merito alla tesi di cui «ogni uomo libero della Carolina deve avere assoLosurdo. Ce n’è poi una seconda, logicamente legata alla luto potere e autorità sui suoi schiavi negri qualunque
prima. Nel nostro secolo destra e sinistra sono state tra sia la loro opinione e religione». D’altro canto, dalla
loro più vicine di quanto Losurdo non voglia ammettere; biografia di Maurice Cranston sappiamo degli investie anzi avvicinate proprio dalla comune contrapposizione menti effettuati dal filosofo liberale inglese nella
alla liberaldemocrazia. Per negare questo dato - proposto tratta dei neri. Basta già questo per rendersi conto di
non solo da Nolte e Del Noce, ma ormai da una vasta quanto sia agiografica la tesi di Bobbio, secondo cui
storiografia - Losurdo è costretto a sfumare i caratteri bisognerebbe far risalire a Locke «l’idea che l’uomo
sociali del fascismo e quelli totalitari del comunismo. Ma in quanto tale ha dei diritti per natura».
le cose non cambiano: si pensi solo alla difficoltà e, in Se esaminiamo la concreta realtà politico-sociale del
ultima analisi, all’arbitrarietà, di individuare una stabile mondo proto-liberale vediamo che, oltre agli schiavi
14
CONFRONTO
delle colonie, dal godimento della libertà negativa sono Nell’Inghilterra liberale del diciottesimo secolo, una
esclusi, nella metropoli capitalistica, anche i poveri o canzone divenuta assai popolare (Rule Britannia) così
“vagabondi”, rinchiusi in massa nelle “case di lavoro”. inneggia all’Impero che ha da poco strappato alla Spagna
Nei confronti di tale istituzione totale non ha obiezione l’Asiento, il monopolio della tratta dei neri: «Questo fu il
alcuna Locke, il quale anzi esige il pugno di ferro nei suo privilegio divino, /che gli angeli cantarono in coro: /
confronti dei “vagabondi” cui, nei casi più gravi di “Oh Britannia, comanda alle onde, /Mai gli inglesi saranindisciplina, dovrebbe essere inflitto il taglio delle orec- no schiavi”. A distanza di un secolo, negli USA dove
chie, la deportazione nelle colonie o la pena capitale. A ancora è vivo e vitale l’istituto della schiavitù, Francis
ben guardare, è il lavoro in quanto tale ad essere escluso Lieber, interlocutore di Tocqueville, parla della «razza
dalla libertà. Se Grozio distingue tra servitus perfecta (la “anglicana”» come dell’unica capace realmente di intenschiavitù propriamente detta) e servitus imperfecta (pro- dere e volere i principi della libertà autentica, la «libertà
pria sia dei servi della gleba sia dei mercenarii o salaria- “anglicana”».
ti), Locke distingue tra la
Rileggiamo alcuni testi
condizione dello schiavo,
classici della tradizione lila perfect condition of slaberale alla luce della realtà
very, e la condizione del
politico-sociale in cui si colservant salariato, il quale,
locano. Ad apertura del suo
in virtù del contratto di laprimo Trattato sul govervoro, rinuncia alla libertà:
no, Locke condanna con pa«Un uomo libero si fa serrole di fuoco il dispotismo
vo di un altro». Pur con le
monarchico come una fordifferenze specifiche che lo
ma di “schiavitù” e una
caratterizzano, il lavoro in
condizione “vile e spregequanto tale continua ad esvole”, apparentemente per
sere sussunto, anche dal fil’ “uomo” in generale, ma,
losofo liberale inglese, sotin realtà, soprattutto per
to la categoria di servitus. Il
l’Englishman e in modo
servant è assoggettato alla
tutto particolare per il genpatria potestas del master
tleman: è per questo che il
della cui famiglia entra a
filosofo non avverte confar parte: il modello è ancotraddizione tra tale celebrara una volta anticheggianzione della libertà e l’afferte, è la famiglia aristotelica
mazione contenuta nel secoi suoi famuli, servi e
condo Trattato ( 85), seschiavi.
condo cui ci sono uomini
Un illustre studioso delle
«per legge di natura soglingue e delle istituzioni
getti al dominio assoluto e
indo-europee, E. Benveniall’incondizionato potere
ste, ha fatto un’importante
dei loro padroni».
osservazione a proposito
Allorché presenta, nel
dell’etimologia del termi1775, la sua «mozione di
ne “libero”: «Il senso origiconciliazione» con le colonario non è, come si sarebnie americane, Burke scribe portati a credere, “sbave indubbiamente una parazzato da qualche cosa”,
gina alta della storia della
Benedetto Croce e Don Luigi Sturzo (1952)
bensì è quello di appartetradizione liberale. Ma sanenza a un gruppo etnico,
rebbe errato sorvolare sulle
designata mediante una metafora di crescita vegetale. motivazioni addotte: non si può negare la libertà a coloro
Tale appartenenza conferisce un privilegio che lo stranie- che fanno parte di «una nazione nelle cui vene circola il
ro e lo schiavo non posseggono». Liberi sono coloro che sangue della libertà», ai membri della «razza eletta dei
«sono nati e si sono sviluppati congiuntamente». D’altro figli d’Inghilterra», tutti adoratori della «libertà». È una
canto, i termini servus e doulos fanno riferimento in questione di “genealogia”, contro la quale impotenti si
primo luogo ad una condizione di non appartenenza, di rivelano gli “artifici umani”. Legata com’è ad una comuesclusione. E cioè, la dicotomia libertà/schiavitù si con- nità determinata, la libertà non costituisce un valore
figura originariamente come la dicotomia comunità dei propriamente universale: essa è particolarmente cara,
liberi/comunità (o non comunità) degli schiavi, ovvero «nobile» e «liberale» proprio ai coloni americani procome la dicotomia razza dei liberi/razza dgli schiavi. prietari di schiavi. Al whig inglese sembra riallacciarEcco allora che la celebrazione della libertà può ben si John C. Calhoun, il quale dichiara, alla vigilia della
coniugarsi con l’autoproclamazione da parte di un grup- Guerra di Secessione, che «la difesa dell’umana libertà
po etnico e sociale di essere l’interprete privilegiato o contro le aggressioni del potere dispotico è sempre stata
esclusivo del valore della libertà.
massimamente efficiente negli Stati dove si è affermata
15
CONFRONTO
la schiavitù domestica». Dobbiamo negare la qualifica di
liberale a questo autore e statista americano, teorico
intransigente del governo limitato e dello Stato minimo
ma, al tempo stesso, inflessibile avversario dell’abolizionismo? Ma allora tale qualifica bisognerebbe negarla
anche a Locke. Il fatto è che la giustificazione della
schiavitù non è un semplice incidente di percorso della
tradizione liberale.
La celebrazione della libertà come segno di elezione
comporta talvolta l’esclusione, oltre che dei “barbari”,
persino di popoli collocati all’interno della comunità
occidentale. Dalla “razza” e dalla «libertà “anglicana”»,
Lieber esclude non solo i neri, ma anche, sia pure in modo
meno rigido, «gli spagnoli, i portoghesi, i napoletani» e
gli stessi i francesi, capaci di innalzarsi solo ad una spuria
«libertà gallica» o «gallicana» che in realtà è sinonimo di
centralizzazione estrema e di dispotismo. In modo analogo argomenta John Stuart Mill: inadatti al «governo
rappresentativo» (che s’incarna in primo luogo negli
anglosassoni) risultano le «razze» considerate «minorenni», ovvero la «grande maggioranza della razza umana»;
ma scarsamente adatti si rivelano anche i popoli del
«mezzogiorno d’Europa» e le «nazioni continentali» (in
particolare la Francia).
Infine, la comunità dei liberi può escludere da sé i barbari
collocati nell’ambito dello stesso territorio nazionale. Gli
afro-americani o i pellerossa non sono affatto le uniche
vittime di tale logica. Oggetto di razzizzazone possono
essere sia gruppi etnici che sociali. Nell’Inghilterra proto-liberale, l’atteggiamento dominante nei confronti del
«nuovo proletariato industriale» è così duro - sottolinea
il grande sociologo inglese Tawney - «da non trovare
riscontro ai nostri tempi se non nel comportamento dei
più abietti colonizzatori bianchi verso i lavoratori di
colore.» In effetti, Locke afferma che un lavoratore
salariato «non è in grado di ragionare meglio di un
indigeno»; l’uno e l’altro non hanno ancora raggiunto il
«livello di creature ragionevoli e di cristiani». A sua
volta, Sieyès così si esprime: «Una grande nazione è
necessariamente composta di “due popoli”», in qualche
modo di due razze differenti e di diverso valore, dato che
da una parte abbiamo i «capi della produzione», dall’altra
gli «strumenti umani della produzione», ovvero le «macchine da lavoro», questa «folla immensa di strumenti
bipedi, priva di libertà, priva di moralità, priva di vita
intellettuale», e quindi incapace di libertà.
L’esclusione che si è rivelata la più tenace è quella a
danno dei “barbari” del mondo coloniale. Forse è vivo e
vitale ancora ai giorni nostri il «sentimento di razza
occidentale» di cui parla criticamente Toynbee. Dà comunque da pensare il pathos con cui Hayek celebra l’
“uomo occidentale”. Il patriarca del neoliberismo è un
dichiarato ammiratore di Lieber: si direbbe che la «libertà
anglicana» sia ora divenuta la libertà occidentale e soprattutto anglosassone e la «razza anglicana» la comunità
occidentale diretta dagli USA.
Non ha senso descrivere la storia della libertà come la
marcia vittoriosa della tradizione liberale la quale, dopo
aver brillantemente superato gli ostacoli frapposti da
altre tradizioni di pensiero (tutte ignare del valore della
libertà), si conclude col trionfo definitivo dei giorni
nostri. Al proto-liberalismo risulta estranea la tesi cara
invece a Marx e Engels secondo cui non può essere libero
un popolo che ne opprime un altro, una tesi che ha alle
spalle la filosofia classica tedesca e la proclamazione dei
diritti dell’uomo scaturita dalla Rivoluzione Francese.
Ad abolire per prima la schiavitù nelle colonie è la
Convenzione giacobina, mentre i liberali inglesi e americani gridano allo scandalo, e i coloni bianchi di S.
Domingo minacciano la secessione dalla Francia per
poter essere accolti tra gli States dell’Unione americana,
dove la proprietà in schiavi neri continua a svilupparsi
indisturbata. Possiamo d’altro canto comprendere il processo di decolonizzazione senza tener presente la tradizione rivoluzionaria che va da Toussaint Louverture (il
“giacobino nero” che, prendendo sul serio la dichiarazione dei diritti dell’uomo, guida la rivolta degli schiavi di
S. Domingo) a Lenin (che lancia l’appello agli “schiavi
delle colonie” a spezzare le loro catene), o dobbiamo
escludere dalla storia della libertà l’emancipazione delle
«razze» a suo tempo considerate “minorenni” da John
Stuart Mill?
E invece, per la vulgata ideologica oggi dominante il
giacobinismo è solo il padre del totalitarismo, il quale
ultimo reintroduce - afferma Hayek - una sorta di schiavitù o di serfdom. Ma se così stanno le cose, non è dalla
schiavitù propriamente detta che bisognerebbe prendere
le mosse per comprendere la storia delle istituzioni totali?
Elementi essenziali dell’universo concentrazionario novecentesco non hanno forse un precedente in certe pratiche (deportazioni, campi di concentramento) largamente
presenti nella storia del colonialismo, e quindi nella storia
di paesi-chiave della tradizione liberale?
Se la tradizione rivoluzionaria russoiana, giacobina e
marxista non è affatto estranea alla storia della libertà,
della stessa libertà negativa, la tradizione liberale non
risulta asetticamente estranea al fenomeno totalitario. La
contaminazione si manifesta già a livello teorico. Dato
che nell’ambito del proto-liberalismo, la celebrazione
della libertà è la celebrazione della comunità, eletta ed
esclusiva, dei liberi, non ci si può stupire del fatto che
proprio a Burke, l’autore particolarmente caro ad Hayek
e Dahrendorf, risalga la prima teorizzazione della “comunità” organica, della Gemeinschaft. Il termine non è
altro che la traduzione che Gentz fa della partnership:
contrariamente a quello che pensano i rivoluzionari
francesi, essa «non vincola solo i vivi, ma i vivi, i morti
e coloro non ancora nati»; essa è fondata su «un legame
di sangue», che fonde in un’unità indissolubile «il
nostro Stato, i nostri focolari, i nostri sepolcri e i nostri
altari». Se cè una minaccia di digregazione e dissoluzione, essa proviene dall’esterno: non a caso, Burke è tra i
primi a ricondurre la Rivoluzione Francese ad un complotto giudaico.
Ho parlato di proto-liberalismo proprio per sottolineare
la straordinaria capacità di adattamento della tradizione
liberale la quale, sia pure sotto la pressione del movimento democratico e socialista, finisce col mettere in discussione, nei momenti migliori della sua storia, le consuete
clausole d’esclusione nel godimento della libertà negativa e col fare concessioni a quel movimento anche sul
terreno dei diritti materiali. E, tuttavia, fasi di de-eman16
CONFRONTO
Manifestazione popolare a favore della Repubblica (maggio 1946)
cipazione possono far seguito, e fanno seguito, a fasi di
emancipazione. Si tratta di categorie per me centrali nella
lettura della storia contemporanea, la quale inizia con due
avvenimenti tra loro strettamente intrecciati: la rivoluzione del 1789 e il colpo di stato di dieci anni dopo che
può contare sul sostegno offerto da personalità liberali
come Sieyès, e, almeno inizialmente, Constant e Madame de Staël, e che si propone di spazzar via i motivi e le
rivendicazioni democratiche e sociali emerse nel corso di
un tormentato processo di radicalizzazione. Significativamente, la Proclamation du général en chef Bonaparte
dichiara di voler procedere alla «dispersione dei faziosi»
per assicurare il trionfo delle idées conservatrices, tutélaires, libérales.
A distanza di oltre un secolo, Giovanni Gentile esprime
la sua adesione al regime mussoliniano animato dalla
convinzione di recuperare così l’autentico liberalismo,
tradito dal “liberalismo democratico”. Da tale punto di
vista, il fascismo si presenta come uno dei periodici
movimenti di reazione con cui la borghesia depura o
cerca di depurare il più possibile il regime liberale degli
elementi di natura democratica o sociale considerati
spurii. Ai giorni nostri, Hayek chiama ad espungere dal
catalogo dei diritti i diritti economici e sociali che sarebbero da mettere sul conto dell’influenza, da lui considerata rovinosa, della “rivoluzione marxista russa”! Ancora
una volta, si assiste al tentativo di procedere ad una
gigantesca epurazione dalla società “liberal-democratica” degli elementi (o del maggior numero possibile di
elementi) di democrazia e, a maggior ragione, di democrazia sociale, introdotti dalle lotte prolungate del movimento operaio e popolare. Che questa sia la reale posta in
gioco lo riconosce anche un autore, Dahrendorf, certo
non sospettabile di simpatie per i giacobini o i bolscevichi
e che tuttavia critica il tentativo oggi in atto di procedere
a ritroso rispetto all’«idea di diritti civili e sociali», di
privare l’idea di diritto di quella «sostanza sociale» che è
il risultato della «risposta della società aperta alle sfide
della lotta di classe».
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AUTORI E IDEE
Unità abitative della “Grande Borne” a Grigny (Parigi)
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AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
La città, il paesaggio:
sociologia della cultura
Su suggerimento di Michel Foucault
di intraprendere una storia dei rapporti tra il corpo umano e lo spazio urbano,
Richard Sennet, sociologo americano,
ha pubblicato lo studio: FLESH AND STONE (Carne e pietra, W. W. Norton, New
York 1994), una storia delle figure che
hanno determinato la struttura delle
città occidentali, con l’obiettivo anche
di comprendere l’attuale crisi del modello urbano. A quest’opera fa riscontro il saggio di Auguste Berque, LES
RAISONS DU PAYSAGE. DE LA CHINE ANTIQUE
AUX ENVIRONNEMENTS DE SYNTHÈSE (Le ragioni del paesaggio. Dall’antica Cina
agli ambienti di sintesi, Hazan, Parigi
1995), che nel tentativo di gettar luce
sulle culture del paesaggio, intreccia
in una sola analisi ambiente sociale e
naturale, mettendo allo scoperto i legami tra il mondo così com’è e il mondo come lo si percepisce.
La prima parte dello studio di Richard
Sennet è incentrata sull’Antichità. Se ad
Atene si gioca tutto intorno al ginnasio,
spazio della nudità corporea, ma anche
della conversazione tra cittadini, in una
democrazia da cui sono però esclusi donne,
schiavi e stranieri, a Roma il centro politico
si sposta verso il foro, sebbene il canone
ideale della bellezza virile rimanga il modello geometrico intorno al quale viene
disegnata la città e si organizzano i suoi
principali monumenti. L’affermarsi del cristianesimo contesta dall’interno quella civiltà troppo attaccata alla perfezione formale: lo spazio profano deve ora fare i conti
con quello sacro.
La seconda parte riguarda due città simbolo: Venezia e Parigi. Nella Parigi del XIII
secolo, osserva Sennet, Jehan de Chelles e
i costruttori di Notre-Dame fanno del santuario una metafora in pietra del corpo
sofferente di Gesù Cristo. Al contempo,
dalle viuzze tortuose che costeggiano la
Senna emerge una città nuova, animata da
una passione per il commercio che stimola
la nascita dell’economia di mercato. La
Venezia del Rinascimento, continua Sennet, è la prima grande città multiculturale
dell’Occidente, in cui si incrociano tutte le
comunità dell’area mediterranea. Alcune
di esse cadono vittima dell’orrore della
contaminazione: è il caso degli ebrei, per la
prima volta confinati dentro un ghetto. Ma
il principio che determinò la nascita del
ghetto sopravviverà di fatto alla sua scomparsa storica: vi sono quartieri nelle città o
nelle periferie moderne che assolvono la
stessa funzione.
L’ultima parte dell’analisi di Sennet si svolge nel solco della scoperta, da parte di
William Harvey, della circolazione del
sangue: l’Europa moderna inventa - per poi
esportarlo nel resto del mondo - un concetto nuovo di città, dominato dalla preoccupazione di una circolazione semplice e ben
regolata. Le vie si trasformano in ampi
viali, gli urbanisti progettano piazze enormi: Boullé sogna monumenti grandiosi e
Haussmann riorganizza Parigi in modo
che sia più facile per l’esercito sedare le
sommosse. Infine Londra e New York, con
la struttura a scacchiera di Manhattan e il
suo centinaio di comunità di immigrati che
convivono non sempre pacificamente.
In un medesimo contesto di riflessione, alla
“mesologia”, o scienza degli ambienti, dedica la sua attenzione Auguste Berque. In
Les raisons du paysage, muovendo dal
presupposto che i colori non siano dati
sensibili immediati, ma sensazioni mediate
da valori, Berque si appropria della concezione storico-culturale dei colori elaborata
da Michel Pastoureau, che aveva mostrato come ogni civiltà e, all’interno di una
stessa cultura, ogni epoca organizzino autonomamente le proprie scale cromatiche;
nel Medioevo, ad esempio, laddove il blu
mariano soppianta il porpora degli antichi,
il verde non si situa tra il giallo e il blu, ma
dopo il nero. Analogamente un paesaggio,
osserva Berque, non va visto come una
cosa, ma come una relazione. Quello che
scambiamo spontaneamente per un vissuto
originario sorge, al contrario, dall’incrociarsi di geografia e storia, come mediazione tra il mondo delle cose e il mondo della
soggettività umana. Il paesaggio è qualcosa di comune, mediato da parole e immagini, interpretato da archetipi culturali, gli
ecosimboli (ad esempio l’alpeggio o il bocage). Subordinando, in diversi modi, la
vista alla parola, le culture dissolvono l’uni19
verso naturale in quello del mito, al punto
da perdere le singolarità fisiche di un ambiente.
La stessa “natura naturale” è il termine di
una relazione: lo spazio “selvaggio” esiste
solo per gli uomini di civiltà fortemente
urbanizzate; per i cosiddetti “primitivi” la
foresta in cui abitano è un luogo domestico,
ad alto tenore culturale. Il paesaggio “rustico” è un valore d’uso costruito da e per una
sensibilità contemplativa: la sua bucolicità
è stata fabbricata, negoziata, ricomposta,
filtrata; è il risultato di un processo collettivo, normativo, riproducibile, fatto di reminiscenze, allusioni, fantasmi pittorici e
letterari che costituiscono la “ratio paesaggista” di una cultura.
Berque non è il primo a decifrare l’invenzione del paesaggio e a isolarne le componenti simboliche: ci sono gli studi di Anne
Cauquelin e, da una trentina d’anni, in area
francese, una riflessione forte sullo spazio,
il giardino e l’estetica del paesaggio sia
rurale che urbano. Il merito di Berque è di
essersi avvalso delle risorse del comparatismo, grazie alla sua conoscenza profonda
del mondo asiatico. Vi è infatti uno scarto
significativo tra fisica, o geologia, modelli
attraverso i quali l’Occidente ha prevalentemente guardato all’ambiente, e l’atteggiamento geomantico che, ancora nel ‘700,
fa trattare a Yuan Mei un paesaggio come
un bacino di corrispondenze cosmiche. Ciò
è tanto più interessante se si considera che
la Cina inventò il paesaggio circa dodici
secoli prima dell’Occidente. Inoltre, attraverso la nozione di “medianza”, neologismo preso a prestito dal filosofo giapponese Tetsuro e che indica una categoria che
sta allo spazio come la storicità sta al tempo, Berque sistematizza il rapporto soggettivo con l’ambiente fisico: non c’è presenza al mondo esterno che non sia al contempo in una intersezione, in una inerenza
della cultura alla natura. D.F.
AUTORI E IDEE
Etica esistenziale
e logica delle norme
Dopo essersi già soffermata intorno
alle questioni attinenti alle definizioni
di giustizia, Agnes Heller, spostando il
suo campo di osservazione ad una
sfera ancora più impegnativa, si trova
da alcuni anni alle prese con un ambizioso progetto di una teoria complessiva della morale. Con il titolo ETICA
GENERALE (Il Mulino, Bologna 1994) appare infatti in edizione italiana quello
che, nelle intenzioni di Heller, è da
considerarsi il primo volume di una
trilogia, la cui architettura è stata pensata come articolazione di un medesimo progetto discorsivo d’insieme. Fa
riscontro a questo progetto una recente raccolta di saggi di Georg Henrik
von Wright, NORMEN, WERTE UND HANDLUNGEN (Norme, valori e azioni,
Suhrkamp, Francoforte s/M. 1994).
Nell’Introduzione a Etica generale Agnes
Heller distingue tre aspetti della teoria
della morale, l’uno di tipo interpretativo,
l’altro di tipo normativo ed il terzo di tipo
educativo/autoeducativo o terapeutico.
Questa tripartizione della materia indica la
necessità di affrontare separatamente tre
diversi problemi: definire in che cosa consista propriamente la morale; quali comportamenti si possono considerare conformi alla morale; in quale modo è possibile
giungere a comportamenti morali. Gli altri
due volumi che seguiranno, come annunciato da Heller, porteranno infatti rispettivamente il titolo, in edizione italiana, di
Filosofia morale e di Una teoria della
condotta (quest’ultimo ancora in forma
provvisoria).
Con questo suo primo lavoro dedicato all’etica Heller intende affrontare la morale
dal punto di vista della ragione teoretica,
sfuggendo però alle insidie in cui finiscono
per cadere tutti coloro che si propongono
una fondazione razionale della morale, sebbene anch’essa muova dal presupposto che
l’esistenza della morale non può che essere
affidata ad una scelta soggettiva e personale dell’uomo, il cui ambito di manifestazione è dato dalla sua unica dimensione storico-sociale. Paradossalmente, osserva Heller, la modernità rende più difficile l’opera
della morale, sebbene la condizione moderna sia quella che offra realmente e più a
fondo la possibilità di un’esistenza morale
che il soggetto si guadagna con la propria
azione e con le proprie scelte.
Secondo Heller, si tratta, da un lato, di
prendere posizione contro coloro che vogliono imporre un sistema di eticità fondato su una propria oggettiva autoevidenza e
che non impegna, a livello di responsabilità, il soggetto dell’azione in quanto tale - un
tipo di etica a carattere monologico, esterno, naturalistico, autoritativo e chiuso nella
propria normatività; dall’altro si tratta di
differenziarsi da coloro che, riconoscendo
al singolo soggetto umano, emancipatosi
dall’autorità esterna, il ruolo di “arbitro”
nella scelta delle proprie norme di vita,
giungono di fatto alla liquidazione stessa
della possibilità dell’agire morale. Infatti,
osserva Heller, se la pluralizzazione delle
sfere di vita, prodotta dalla modernità, comporta la fine di un ethos “forte”, ciò non
esclude l’esistenza di un ethos comune
“minimale”, anche se semplicemente a carattere “difensivo” della stessa pluralità
delle sfere, che sola può consentire l’autonomia morale degli individui. Il fatto, dunque, che la morale comporti una scelta
esistenziale soggettivamente fondata, non
conduce alla liquidazione di una autorità
morale e della “moralità” (Sittlichkeit) come
orizzonte normativo in sé dato, con cui
l’individuo deve interagire, giacché solo in
quanto vi sono norme e regole l’individuo
può esistere come essere morale.
Il compimento della modernità, dunque,
non conduce, secondo Heller, né al soggettivismo, né al nichilismo morale; e neppure, si potrebbe aggiungere, ad una fondazione intersoggettiva della morale, come
quella prospettata dai teorici dell’etica comunicativa come Apel ed Habermas. Si
potrebbe quasi dire che la morale, per Heller, non ha bisogno di essere fondata, ma
soltanto di essere spiegata. La morale è
dotata di una validità empirica che non ha
bisogno di essere ricavata dai metodi dell’argomentazione razionale, poiché essa ne
costituisce, anzi, il presupposto. Pertanto
non serve porre la morale secondo un’universalità di ragione puramente formale;
occorre semmai scoprire, tramite la ragione, la morale come universale empirico.
Nella sua critica delle moderne teorie della
scelta razionale, considerate un aggiornamento in versione dinamica della dottrina
del liberum arbitrium, Heller contesta principalmente l’assunto per cui la nostra libertà si compendierebbe nella capacità di operare una scelta razionale di fronte a singoli
eventi, di volta in volta determinati (ciò che
Heller definisce “puntinismo” ontologico). In questo modo, osserva Heller, viene
ad oscurarsi l’orizzonte complessivo di
senso che si pone in opera nel momento in
cui pratichiamo una scelta. Quando scegliamo, non operiamo soltanto una scelta
di mezzi, preoccupati di rispettare unicamente la razionalità dello scopo, ma in
quanto siamo noi stessi a porre i nostri fini
e a creare in questo modo una gerarchia di
valori, operiamo una scelta morale. Il fine
morale, secondo Heller, non può essere
posto come un prodotto dell’azione; è il
determinarsi stesso per la scelta morale che
fa da presupposto all’azione e la definisce
secondo un determinato orientamento di
senso, mentre ogni “scelta razionale”, di
per sé, non potrebbe essere in grado di
fondare un punto di vista morale.
Queste considerazioni trovano riscontro in
una serie di saggi di Georg Henrik von
Wright, scritti principalmente nel corso
degli anni Ottanta e ora raccolti con il
20
titolo: Normen, Werte und Handlungen.
Completa il volume un dialogo a due voci
con Georg Meggle intorno alla possibilità
di una oggettiva determinazione delle categorie di comprensione razionale. La questione è se la ragione sia soltanto un mezzo
conoscitivo di carattere dirimente, oppure
se la stessa determinazione di un fatto conosciuto non sia funzione del suo stesso
processo conoscitivo. In tal caso, verità è
solo ciò che da essa stessa è posto e riconosciuto come tale, oppure, oltre il processo
fondativo della ragione, vi è spazio per
l’esistenza di verità obiettive, da essa non
riconosciute come tali?
Pensatore finlandese, appartenente alla tradizione analitica, Von Wright muove dall’assunto, maturato negli anni della sua
frequentazione con gli amici e i colleghi di
Cambridge, che la definizione dei concetti
fondamentali di tipo normativo, compreso
l’ambito degli enunciati prescrittivi e dei
giudizi di valore, sottostà agli stessi criteri
con cui vengono fissate le categorie logicomodali degli enunciati riguardanti giudizi
di verità. In tal modo, secondo von Wright,
attraverso le norme della ragione si può
procedere alla definizione dei valori e delle
regole di orientamento dell’azione. L’intero complesso argomentativo di von Wright
si richiama così al postulato di una “logica
deontica”, tale cioè da condurre alla determinazione di un ambito dei doveri che
abbia la stessa stringenza di un procedimento logico. Una volta posti i motivi, le
intenzioni, le ragioni, che ci si propone
nell’agire , si possono determinare, nello
stesso tempo, norme e valori conseguentemente perseguibili.
Questa concezione ha fatto pensare a von
Wright come ad un “Euclide dell’etica”. Il
suo procedimento, tuttavia, così rigorosamente deduttivo e fortemente formalizzato, sembra caratterizzarsi come un sistema
di concetti che solo incidentalmente ha a
che fare con l’etica e da cui solo in modo
estremamente complicato si può ricavare
effettivi orientamenti per una determinata
condotta di vita. G.B.
I sentieri della comprensione
La filosofia ermeneutica è ancora una
volta oggetto di indagine nello studio
di Hans Robert Jauß, WEGE DES VERSTEHEN (Sentieri della comprensione,
Wilhelm Fink, Monaco di Baviera 1994).
Jauß, già noto in Italia come teorico di
estetica della ricezione, riformula qui
il proprio pensiero nella direzione di
una più marcata attenzione per la “sostanza estetica” dell’opera, quale oggetto di interpretazione.
Applicarsi alla lettura di un testo significa
non solo confrontarsi con i suoi tempi, le sue
problematiche, la sua tradizione, ma anche
AUTORI E IDEE
concretizzarne il senso nel presente, accrescendo in questo modo il senso stesso del
passato. La centralità dell’applicazione in
campo ermeneutico è oggetto di trattazione
della nuova opera di Hans Robert Jauß,
Wege des Verstehens, che si configura come
tentativo di completamento della tradizionale ermeneutica trascendentale di Gadamer
e Dilthey attraverso una maggiore considerazione per la dimensione della prassi.
L’orientamento applicativo del testo è accentuato, d’altra parte, dal fatto di essere
una raccolta di esempi applicativi della
teoria ermeneutica, proponendo, accanto a
trattazioni di natura teorica, saggi sull’odierna situazione culturale, sullo stile di rappresentazione di drammi classici e moderni e sull’estetica musicale.
Lo scritto centrale del volume è un esempio
di ermeneutica teologica; Jauß interpreta qui
un testo biblico, il libro di Jona, come “paradigma di un’ermeneutica dell’estraneo”. In
questo passo del Vecchio Testamento Dio
impartisce a Jona una serie di comandi, che
il profeta non comprende per eccesso di zelo
e immaturità; solo l’aiuto divino gli permette
infine di comprendere, benché la comprensione non sia resa possibile dalla formulazione di una risposta definitiva, ma venga affidata da Dio stesso al rilievo pedagogico della
domanda. Nel rapporto tra Dio e Jona Jauß
vede l’allegoria della situazione ermeneutica: Dio, in quanto creatore ed ermeneuta
insieme, raffigura l’alterità della parola, ma
anche il desiderio e la possibilità di comprenderla; Jona è invece immagine dell’applicazione. All’interno di tale relazione Jauß evidenzia in particolare la tensione infinita del
metodo ermeneutico, che mai giunge al proprio compimento nella trasparenza della risposta finale, ma proprio attraverso la domanda aperta riesce a concretizzare nel presente il senso del passato e a farne il principio
di una nuova prassi.
In un saggio specificamente dedicato alla
“morale ermeneutica”, Jauß connette l’ermeneutica alla “morale applicativa”, distinguendola con nettezza dalla “morale prescrittiva” e sottraendola in tal modo al pericoloso inaridimento nel nanismo moralistico. Nell’esperienza estetica, infatti, non viene confermato o decretato alcun sapere normativo, ma viene aperta la possibilità di una
nuova comprensione, che esige la costruzione di un giudizio morale autonomo. Secondo
Jauß il giudizio estetico corregge la crescita
selvaggia della storia, riconoscendo le interpretazioni più proficue ed escludendo il soggettivismo improduttivo.
Se negli scritti passati Jauß risolveva la
teoria della ricezione nel processo dell’adattamento sociale, in quest’ultimo lavoro rivaluta la “sostanza estetica”, affermando
che la costruzione delle prescrizioni interpretative si orienta innanzitutto sull’opera
ed è quindi strettamente legata al momento
applicativo. La nuova posizione di Jauß
non rinnega la precedente, ma rappresenta
un tentativo di comporre “teoria della ricezione” e “ermeneutica”, che rappresentano
due fasi ugualmente imprescindibili del
suo pensiero. Da questa nuova prospettiva
Jauß rinnova le sue critiche nei confronti
dei decostruttivisti che, secondo Jauß, «si
sottraggono alla comprensione dialogica»
e tuttavia «vogliono venire compresi». L.R.
La verità della storia
La definizione dello statuto di verità
della storia, a partire dalla sua struttura narrativa, è oggetto di riflessione
dello studio di Roberto Dami, I TROPI
DELLA STORIA. LA NARRAZIONE NELLA TEORIA
DELLA STORIOGRAFIA DI HAYDEN WHITE (Franco Angeli, Milano 1994) e di quello di
Jacques Rancière, LE PAROLE DELLA STORIA
(Il Saggiatore, Milano 1994). Sempre in
riferimento al significato della storia
sono rilevanti le posizioni teoriche di
Karl Jaspers e di Nikolaj Berdjaev, che
Maria Luisa Basso espone nel volume:
FILOSOFIA DELL’ESISTENZA E STORIA. KARL JASPERS E NICOLAJ BERDJAEV (Editrice Clueb,
Bologna 1994), con l’intento di conciliare una visione trascendente della storia
con l’appello all’iniziativa umana.
Sia la prospettiva teorica di Hayden White, esposta da Roberto Dami ne I tropi della
storia, sia la concezione di Jacques Rancière presente ne Le parole della storia,
nonostante le evidenti diversità, sono accomunate dal distacco da una scienza storica di
indirizzo positivistico o neopositivistico.
L’aspirazione positivistica di conferire alla
storia lo statuto oggettivo e universale di
scienza si scontra in entrambi con l’innegabile peculiarità della scienza storica di sottrarsi alla possibilità della verifica e del controllo empirico di cui dispongono le altre
scienze. Il problema che qui si pone è allora
quello di stabilire in che modo la storia possa
accedere alla verità senza rinunciare alla
propria specificità empirica.
La posizione teorica di White, come mostra
Dami, fornisce una possibile risposta a questo interrogativo. Basandosi su una concezione linguistica che privilegia la dimensione del significante, White ritiene di poter
trovare il fondamento della storia nel suo
specifico linguaggio, poiché è la forma linguistica secondo White che determina il
modo di essere peculiare della storia e che
articola il discorso storico attraverso una
precisa scelta dei “tropi” linguistici. Si tratta
di un atto di prefigurazione tropologica, precisa Dami, che orienta l’attività dello storico
in diverse direzioni, a seconda dell’uso di
una delle quattro figure retoriche - metafora,
metonimia, sineddoche e ironia - che a loro
volta indicano quattro vie di argomentazione
storica - formalistica, meccanicistica, organicistica e contestualistica. Così la storia si
caratterizza per il suo legame con la narrativa, per il suo porsi come racconto, per le
modalità tropiche in cui viene esposta.
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Secondo Dami, una tale evidenziazione della struttura narrativa della storia, che sfocia
nell’identificazione tra storia e letteratura, si
spinge troppo oltre, rendendo la storia una
“finzione” tra le altre finzioni narrative, con
la conseguente perdita della possibilità di un
controllo empirico. In realtà, White non fa
che accentuare il dramma della scienza storica di aspirare, da un lato, a un fondamento
universale, e di dipendere, dall’altro, dalla
molteplicità irriducibile degli eventi particolari.
Questo dramma della storia, che la pone
continuamente in contatto con la sua possibile dissoluzione, viene ripreso anche da Rancière, secondo il quale la dimensione che
può conferire alla storia uno statuto di verità
è una sorta di “poetica del sapere”: solo
l’inquadramento della storia in un discorso
poetico, narrativo, può restituire alla storia il
suo valore di verità.
Nel tentativo di seguire il filo complesso
delle parole che “dicono” la storia, Rancière
sottolinea come l’eccesso delle parole, la
“chiacchera” invadente siano sempre contaminate dalla menzogna; sono invece i “testimoni muti” coloro che determinano la possibilità stessa della scienza storica. Attraverso
l’identificazione tra il “testimone muto”, il
sapere della morte e ciò che è nascosto,
Rancière giunge a postulare un sapere storico che si misura con la “morte riscattabile”,
un sapere che è capace di far parlare i morti
e i “silenzi” della storia. Inoltre, individuando lo spazio specifico della storicità in un
luogo simbolico, esemplificato dalla dimensione geografica del Mediterraneo, Rancière
caratterizza la singolarità del racconto storico come “Odissea”, cioè “libro del mare
scritto”.
Una possibile risposta agli interrogativi della storia la si può cogliere nelle concezioni di
Karl Jaspers e Nikolaj Berdjaev. In Filosofia
dell’esistenza e storia, Maria Luisa Basso
mostra come entrambi questi autori siano
accomunati dalla presenza di una prospettiva trascendente e dualistica e insieme da una
esaltazione dell’iniziativa umana, nella convinzione che nella storia sia inscritto il destino dell’uomo. Mentre però Berdjaev opta
per un umanesimo cristiano, in base al quale
l’uomo è “divino” in quanto è in grado di
ricevere la verità della Rivelazione, Jaspers
propende per la teoria neoplatonica della
Trascendenza, per la quale l’uomo, per ritrovare se stesso, deve trascendersi e quindi ha
bisogno della storia per potersi elevare all’Uno.
Per entrambi, osserva Basso, l’ambito della
storia costituisce il terreno in cui l’uomo
deve misurarsi per attingere la verità. In tale
prospettiva, se Jaspers si oppone sia al pessimismo scettico di coloro che concepiscono
la storia come una caotica massa di eventi
senza un fine, sia all’ottimismo fideistico di
coloro che individuano nella storia una
struttura preordinata di carattere divino,
Berdjaev intende costruire un’antropologia che si coniughi con i valori della tradizione cristiana. M.Mi.
AUTORI E IDEE
Albrecht Dürer, Imperatore Carlo Magno (1513, part.)
Le arti del governo
L’albero genealogico delle teorie del
governo politico dalla fine dell’Impero
Romano fino all’affermazione dello
Stato assoluto costituisce la vasta
impresa critica intrapresa da Michel
Senellart nel suo studio LES ARTS DE
GOUVERNER; DU ‘ REGIMEN’ MEDIEVAL AU
CONCEPT DE GOUVERNEMENT, (Le arti di
governare; dal ‘Regimen’ medievale al
concetto di Governo, Seuil, Parigi
1995). Le modalità di selezione e di
legittimazione della classe politica all’interno dei regimi rappresentativi
sono al centro dell’analisi di Bernard
Manin, PRINCIPES DI GOUVERNEMENT REPRÉSENTATIF (Principi del governo rappresentativo, Calman-Levy, Parigi
1995).
Gli Specula principium, ovvero gli specchi
dei prìncipi, erano manuali di esercizio del
governo ad uso dei sovrani, la cui limitata
tiratura costituiva un titolo di apprezzamento ulteriore per il ristretto ceto che li
utilizzava. Michel Senellart lavora da tempo su questo genere particolare di documenti, limitatamente al periodo che va dalla fine dell’Impero Romano fino al Seicento, un millennio dominato dal Cristianesimo, che in uno riassume religione, cultura
e società. È appunto con il Cristianesimo
che il termine latino Regimen, disciplina
alimentare e comportamentale, assume il
nuovo significato di costituzione, di regola
di governo dei credenti.
Siamo alla fine dell’Impero Romano, in un
periodo storico attraversato dalle invasioni
barbariche, quando Sant’Agostino elabora i fondamenti teologici del potere coercitivo e repressivo, elaborando una dottrina
che si iscrive nella visione religiosa del
peccato originale e della caduta dell’uomo.
Opponendosi alla disciplina evangelica
delle comunità cristiane, Agostino afferma
che anche la realtà terrena del cristiano, in
quanto essere generato nel peccato e nella
22
concupiscenza, è soggetta alla costrizione
della materia e del corpo; spetta così al
potere del monarca, che in sé concentra
le funzioni di governo e di repressione,
provvedere alla sua disciplina comportamentale.
Questa dialettica tra dominio coercitivo del
potere politico e regola morale, che ha il
suo garante nell’autorità del vescovo, si
avvia al termine allo scadere dell’anno
Mille, quando viene meno il terrore per
l’Apocalisse e si va progressivamente definendo un nuovo concetto di Stato. Come
osserva Senellart: «È la durata indefinita
dell’avvenire, costantemente orientato verso una prospettiva di salute, a conferire un
nuovo significato all’istituto regale. Esso
non è più semplicemente il garante di un
ordine immutabile, sottoposto ai decreti
del Cielo, ma il fattore di una progressiva
trasformazione delle cose di quaggiù, che
avvicina gli uomini a quella felicità eterna
cui sono votati. Il passaggio, nella teoria
del Regimen, dalla funzione del corrigere a
quella del dirigere trova qui una delle sue
condizioni determinanti». L’utilità pubblica, quale scopo dell’autorità monarchica,
viene invocata da Giovanni di Salisbury
(1115-1180); ma occorrerà attendere la fine
del XIII secolo per vedere affermata, con
Tommaso d’Aquino, l’immanenza del
potere politico. Non più sottomettere il
corpo, individuale e sociale, alla disciplina,
e non soltanto imporre la legge ad un regno,
ma “reggere una moltitudine” diventa il
fine pratico dell’arte di governo. Questo
può avvenire, considera Senellart, in ragione del trapasso da una concezione di tempo
millenaristica ad una visione più laica e
terrena, dove diventa sempre più significativa l’esigenza di una legittimazione non
più esclusivamente religiosa del potere.
Articolare il rapporto tra esigenze di primato del politico con la tradizionale superiorità del dominio spirituale, fa notare Senellart, diventa ora un compito prioritario del
pensiero chiesastico. Nei fatti, l’autonomia
sovrana del potere dello Stato si affermerà
nel corso del XVI secolo come risposta al
disordine provocato dalle guerre confessionali. La stessa idea di Machiavelli, che
prevedeva una autocrazia del Principe, si
traduce sì in un predominio assolutistico,
ma non tanto del Principe, quanto dello
Stato, inteso come apparato, dove il massimo rappresentante del potere è «uno dei
componenti della grande macchina dello
Stato, che egli può dirigere unicamente
assoggettandosi al meccanismo d’insieme».
La concentrazione del potere in un istituzione centralizzata e tendenzialmente autoreferenziale segna la separazione del governo dalla società, determina il carattere
sempre più segreto dell’arte di governo che
«tende a divenire sempre più invisibile per
potere vedere tutto» e in definitiva provoca
il passaggio rivoluzionario verso forme più
consensuali di gestione politica.
Questa “passione del segreto”, quale tratto
saliente dell’arte politica, è mirabilmente
AUTORI E IDEE
svelata da Gabriel Naudé, autore, nel
1639, di un libello diventato celebre: Considerazioni politiche sul colpo di stato,
dove si enuncia la teoria dell’autentico
segreto politico, che è tale - precisa Senellart - «non a ragione del silenzio in cui si
nasconde, ma perché, per natura, non può
essere oggetto di una sistematizzazione
razionale. Imprevedibile, originale, intimamente legato alla trama delle circostanze, la sua singolare radicalità sfida qualunque approccio teorico». Conclusione, questa, che estranea il politico da una storia
puramente fatta di concetti, mentre lo consegna al mondo dell’agire, «separando l’arte di governare dalla scienza politica, iscrivendola nello spazio aleatorio del gioco».
Nel suo saggio Principes du gouvernement représentatif, Bernard Manin osserva che il caso, interpretato alla stregua
di vero e proprio principio di selezione
della classe di governo, era un’opzione già
in uso presso le democrazie greche; gli
ateniesi, infatti, applicavano l’estrazione a
sorte delle cariche pubbliche, ritenendo
che il gioco del caso fornisse a tutti indistintamente la possibilità di partecipare
alla gestione dello Stato. Il principio della
rappresentanza per estrazione è espressamente affermato da Aristotele nella Politica: «È considerato democratico che le
magistrature siano attribuite per estrazione a sorte, oligarchico che siano elettive»;
mentre il principio elettivo, che implica un
elitismo della classe politica, ha l’indubbio vantaggio di produrre una selezione
mirata dei governanti e la legittimazione
del loro potere, verificato dal consenso dei
governati.
Dalla Rivoluzione Francese in poi la storia
dei sistemi democratici segue il percorso
evolutivo del principio rappresentativo per
elezione; una storia che Manin riassume in
tre stadi. Dapprima si ha lo stadio del
“parlamentarismo”, dove domina la scelta
di una persona di fiducia, il “notabile”, che
possiede una grande libertà di movimento
nel teatro politico. Questo sistema viene
poi soppiantato da quello di “democrazia
dei partiti”, dove l’appartenenza di classe
si identifica con l’adesione ad una formazione politica. La dialettica democratica si
svolge, in questo caso, attraverso il confronto parlamentare, dove i partiti, organismi fortemente rappresentativi e radicati
nella società, fanno opera di mediazione
politica. La degenerazione in sistema partitocratico apre la strada all’ultimo, attuale
stadio del regime rappresentativo, che
Manin designa col termine di “democrazia
del pubblico”, caratterizzata dalla personalizzazione della scelta del candidato.
Nella proposizione del ceto dei rappresentanti e nella creazione del consenso, un
ruolo centrale assume la televisione, vera
e propria piazza della politica, dove le
“figure mediatiche” degli opinion leaders,
degli esperti della comunicazione, stanno
soppiantando le tradizionali figure dei professionisti della politica.
John Locke
Nel teatro mediatico della politica il pubblico viene interpellato come valore statistico e ha un ruolo di spettatore, a cui si
chiede non una scelta di programmi, ma
un’identificazione proiettiva col prodotto
politico meglio pubblicizzato. Attento a
non demonizzare questa fase della storia
della politica, che ha il merito di allargare
la scena pubblica della rappresentanza,
Manin rileva tuttavia che ad essa non ha
corrisposto un approfondimento della democrazia effettiva e una maggiore identificazione tra governati e governanti: «non
vi è motivo di pensare che le élites politico-mediatiche siano più vicine agli elettori di quanto lo fossero gli uomini di apparato». E.N.
23
Locke tra conservatorismo
e liberalismo
Pubblicato in edizione originale nel 1969,
LA FILOSOFIA POLITICA DI LOCKE (trad. it. di K.
Tenembaum, Laterza, Bari-Roma 1995),
di Walter Euchner, analizza il pensiero
politico e storico del filosofo inglese,
sistematizzandone i diversi elementi.
Agli interessi di Locke per la morale e la
teologia, e ai loro rapporti con la concezione politica, rivolgono la propria attenzione Ian Harris e John Marshall in
due studi, intitolati rispettivamente THE
MIND OF JOHN LOCKE. A STUDY OF POLITICAL
THEORY IN ITS INTELLECTUAL SETTING (La mente di John Locke. Uno studio della teoria politica nel suo ambiente intellettuale, Cambridge University Press, New
York 1994) e JOHN LOCKE. RESISTANCE, RELIGION AND RESPONSABILITY (John Locke. Resistenza, religione e responsabilità,
Cambridge University Press, New York
1994).
AUTORI E IDEE
L’intento dello studio di Walter Euchner è
quello di smantellare le interpretazioni più
diffuse della filosofia di John Locke, a
partire da quella di Levi-Strauss, che interpreta la politica lockiana come la netta antitesi, liberale e costituzionale, di quella assolutistica di Hobbes, sino ad arrivare a quella
di R. H. Cox, che vede in Locke una sorta di
“Hobbes travestito”, in cui l’istinto e il diritto
di natura costituiscono il fondamento della
struttura umana. In opposizione a queste
chiavi di lettura, Euchner ne propone un’altra, nella quale emergono due elementi attorno ai quali ruota l’intera filosofia di Locke.
In primo luogo, Locke viene distinto radicalmente da Hobbes in funzione della diversa
considerazione che i due autori hanno della
proprietà privata che, secondo Hobbes, non
esiste nello stato di natura, mentre, secondo
Locke, ne costituisce un diritto inalienabile.
In questo modo cade la differenziazione
straussiana fondata, essenzialmente, sul tipo
diverso di stato civile dei due filosofi: secondo Euchner, infatti, la discriminante tra i due
autori risiede già nelle loro diverse concezioni antropomorfiche. In secondo luogo, Euchner riscontra una contraddizione di fondo
nel pensiero politico lockiano. L’uomo di
Locke, infatti, è caratterizzato sia dalla tendenza naturale a socializzare, sia da un forte
istinto di autoconservazione. Il primo elemento, che porta l’uomo alle più antiche
aggregazioni, rappresenta l’idea di societas,
presente nell’uomo sin dalle origini della
storia e proiettata verso una edificazione di
tipo stoico e cristiano. La contraddizione
nasce però dalla constatazione del secondo
elemento, caratterizzante l’uomo lockiano, e
cioè la propensione dell’individuo al diritto
soggettivo che difende ed esalta la proprietà
privata ed il desiderio di arricchirsi. In questo
senso, l’uomo privilegerebbe il diritto di
natura che si concretizza nell’individualismo borghese e nello spirito del capitalismo.
Così, osserva Euchner, la tendenza all’aggregazione, da una parte, e la difesa dell’io e
dell’arricchimento, dall’altra, costituiscono
un ossimoro difficilmente conciliabile in
Locke, ma sicuramente caratteristico. Euchner viene a capo di questa contraddizione
distinguendo, all’interno dello stato di natura, due momenti cronologicamente distinti,
il primo dei quali rappresenta il desiderio di
pace e ed il mantenimento della proprietà
privata, mentre il secondo si concretizza
nella natura individualistica dell’uomo, che
tende ad accumulare il denaro e, per questo,
a scontrarsi con i suoi simili. A.S.
una sorta di “grande disegno” che Locke
avrebbe avuto in mente fin dalla gioventù.
Harris si sofferma in particolare sui due
Trattati sul governo civile (1690) e sul Saggio sull’intelletto umano (1671), sottolineando come essi siano ricollegabili alle predisposizioni intellettuali del giovane Locke.
È noto che Locke mutò spesso opinione nel
corso della sua vita; basti come esempio il
passaggio dalla concezione di un re dotato di
potere assoluto (1661) alla difesa della rivoluzione armata (1681). Tuttavia Harris intende questi mutamenti come sviluppi di
precedenti meditazioni e non come il sintomo di una profondo cambiamento di vedute.
In particolare, Harris nega il passaggio da un
Locke “conservatore” a un Locke “liberale”.
L’inadeguatezza del termine “liberale” attribuito a Locke è sostenuta anche da John
Marshall, che ugualmente si preoccupa di
rintracciare legami tra i vari interessi di Locke,
per quanto si soffermi soprattutto sulla sua
concezione morale e in particolare sull’affinità di quest’ultima con la morale ciceroniana e con quella cristiana. Questa caratteristica viene ricollegata da Marshall alla personalità e alla posizione di Locke in quanto
appartenente ad un ambiente in cui superiorità sociale e subordinazione erano una realtà
quotidiana. Da questo Marshall deriva l’idea
che non si possa parlare di un vero liberalismo per Locke. La libertà, infatti, ha per lui
valore solo nella misura in cui è in grado di
rimuovere gli ostacoli al perseguimento dei
doveri divini dell’uomo, consentendo a questi una vita morale. Ciò non contrasta, secondo Marshall, con la sincerità della meditazione morale di Locke, ma solo con la pretesa di
vedere in essa il segno di una determinata
concezione politica.
Nelle loro interpretazioni Harris e Marshall
ridimensionano il lato rivoluzionario del
pensiero di Locke, evidenziato da Richard
Ashcraft in La politica rivoluzionaria e i
‘Due trattati sul governo’ di Locke (1986),
dove Locke veniva tratteggiato come un
attivo membro del partito dei Whigs, rivoluzionario e radicale. Harris nega questo coinvolgimento politico di Locke in prima persona, riconoscendogli un’attivitàpuramenteintellettuale. Marshall tenta di venire incontro ad
Ashcraft, ma la conclusione è ancora nel senso
di un prevalente conservatorismo. A.R.
L’intensa attività di pensiero di Locke appare generalmente legato all’ambito della teoria della conoscenza e della politica. Gli
interessi di Locke, però, ricoprono anche
altri ambiti, come la morale e la teologia. A
questo proposito, lo studio di Ian Harris si
propone di rintracciare nella vasta produzione intellettuale di Locke un’unica linea di
sviluppo, che unisca i primissimi scritti alle
opere della maturità. Secondo Harris ogni
opera sarebbe collocabile in uno schema,
Proporre un orizzonte delle intersezioni disciplinari presenti negli studi sulla
comunicazione è l’obiettivo impegnativo che si propone l’opera di M. Burgoon, F. Hunsaker e E. Dawson, HUMAN
COMMUNICATION (Comunicazione umana,
Sage Publications Inc., Thousands Oak
1994). L’intento non è quello di un’introduzione classica alla teoria della comunicazione, ma di una delineazione
degli scopi della comunicazione.
Sulla comunicazione umana
24
Con questo studio M. Burgoon, F. Hunsaker e E. Dawson si propongono un approccio descrittivo alla comunicazione, senza tuttavia affrontare la questione epistemologica circa gli “strumenti” da utilizzare
per analizzare la comunicazione. Rilevante
appare in ogni caso l’ampio orizzonte in cui
viene enucleato il tema della comunicazione, intesa come attività pervasiva della vita
umana. Tra gli altri motivi presi in esame,
il fenomeno della credibilità è definito in
base al suo spessore percettivo e questo è
accostato ad un vero e proprio processo
decisionale. La personalità è, d’altronde, il
punto di partenza e di arrivo dei processi
decisionali; sicché si stabilisce un rapporto
tra le caratteristiche della personalità e la
qualità della comunicazione. Inoltre, le transazioni umane vengono distinte in “omofile” ed “eterofile”; le prime coinvolgono
persone che si percepiscono reciprocamente
come simili, con interessi in comune; le
seconde coinvolgono persone che si percepiscono come dissimili e con differenti
campi d’azione.
La presenza di un chiaro riferimento gerarchico nella interazione comunicativa cambia la natura stessa della comunicazione; è
questa la dinamica propria del potere e,
soprattutto, della sua percezione sociale.
Al di là delle tipologie di potere e delle
diverse conseguenze sulla comunicazione
che gli autori riportano, non viene tuttavia
preso in considerazione il potere educativo
di ristrutturare, di ridefinire se stessi e quindi i contesti comunicativi in cui si vive.
Tale potere, infatti, è squisitamente relazionale; non è un prodotto, ma un processo
che prescinde dai contenuti, pur non astraendosi da essi.
Per quanto riguarda il processo di persuasione, Burgoon, Hunsaker e Dawson lo
collegano alla dinamica di formazione della personalità e al grado di stima che ognuno ha di se stesso. Vengono poi prese in
considerazione l’ansietà del soggetto che
riceve la persuasione, la sua competenza
riguardo all’argomento del discorso e il
coinvolgimento personale in ciò che si sta
discutendo. Non si accenna però ai processi di costruzione dell’identità personale
che intervengono nel processo di persuasione, che è sempre anche di “auto-persuasione”, sia pure inconsapevole. Anche l’analisi dei macchiavellismi, degli inganni, delle trappole persuasive non tiene conto di
questa dimensione auto-ingannatoria della
comunicazione.
L’opera considera poi il rapporto tra la
comunicazione ed il linguaggio e tra questo
e la visione del mondo dei soggetti percepienti. A questo proposito è importante il
riferimento ad un fattore che può inibire
pesantemente la comunicazione: il misconoscimento della differenza tra le inferenze e le osservazioni che i linguaggi della
comunicazione veicolano.
All’analisi specifica del linguaggio nonverbale Burgoon, Hunsaker e Dawson dedicano una sezione del loro studio, pro-
AUTORI E IDEE
ponendo anche una classificazione in codici. Il processo di comunicazione, che
avviene attraverso tutto il corpo, ha infatti
conseguenze anche sul giudizio di credibilità che ognuno riscuote nei contesti sociali. Ovviamente questa espressione della
corporeità apre il problema della sua traducibilità ed interpretabilità in termini
verbali, anche perché i messaggi comunicativi concreti appaiono sempre come
un’unità complessa di aspetti verbali, prossemici, cinesici, vocali, ecc. L’orizzonte
di riferimento culturale sia del singolo che
del gruppo, è chiamato a dare senso e
significato a questi messaggi.
Coniugando il problema della persuasione
con le teorie dell’apprendimento, Burgoon, Hunsaker e Dawson fanno notare che,
tra queste, ha una preminenza quella della
relazione tra “stimolo e risposta”. Sempre
a proposito della persuasione viene considerata efficace la teoria della “dissonanza
cognitiva” che punta, attraverso l’azione,
a provocare un cambiamento, senza mettere in luce esplicitamente la discrepanza
esistente tra credenze ed atteggiamenti personali. Un’azione, un’interazione che sia
anche una violazione delle aspettative culturali e sociali può influenzare negativamente o positivamente l’efficacia persuasiva. Essa può avvenire prevalentemente
nei piccoli gruppi, quelli identificati dagli
autori come i più adatti a prendere decisioni e risolvere i problemi. Di questi piccoli
gruppi vengono comunque messi in luce
anche i rischi psico-sociali a cui vanno
incontro.
La distinzione che Burgoon, Hunsaker e
Dawson operano tra comunicazioni simmetriche e complementari rimanda anche
alla definizione della relazione e, contestualmente, dei soggetti protagonisti di
essa. Le relazioni, al di là delle analisi
funzionali delle prime impressioni, sono
la base per la ricerca della soddisfazione di
bisogni umanizzanti ed umanizzati: primo
fra tutti l’amore. Per quanto riguarda la
distinzione tra conflitti “reali” ed “artificiali”, i primi sono presentati come “giochi a somma zero”, nei quali se uno dei
contendenti vince, l’altro perde; i secondi,
invece, sono quelli in cui il guadagno di
una delle due parti non porta necessariamente ad una perdita dell’altra.
Nonostante l’indubbia congruenza tra
obiettivi e risultati raggiunti, lo studio di
Burgoon, Hunsaker e Dawson non riconosce che la formazione alla comunicazione
non può accontentarsi di descrivere lo status quo. Il potenziale delle comunicazioni,
infatti, tende a nascondersi, a non mostrarsi: proprio questa proprietà aumenta il
potenziale stesso della comunicazione proporzionalmente all’intenzione di sminuire
l’importanza della comunicazione stessa.
Ma.M.
In memoria
di Raffaello Franchini
All’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli Fulvio Tessitore, Girolamo Cotroneo e Vittorio Stella hanno
presentato il volume: LA TRADIZIONE CRITICA DELLA FILOSOFIA. STUDI IN MEMORIA DI
RAFFAELLO FRANCHINI ( Loffredo, Napoli
1994), una collazione di scritti, a cura
di Giuseppe Cantillo e Renata Viti Cavaliere, per ricordare la figura di uno
studioso e di un filosofo, fautore dell’autonomia del filosofare, che ispirò
la sua ampia produzione al principio
dell’onestà scientifica, all’impegno
etico-politico e ad una sconfinata fiducia nella capacità umane.
Il volume si apre con alcuni pregevoli inediti crociani, omaggio di Alda Croce: alcune lettere di Croce a Karl Löwith, ove si
dibatte della filosofia che sorge «dal pieno
della praxis» e che è tanto più vera quanto
più la supera; e una serie di appunti, in
risposta a tre domande rivolte a Croce da un
giornalista svedese, in cui il filosofo analizza il suo atteggiamento, dapprima di
distanza, poi di accettazione convinta nei
confronti della politica come «necessità
logica e morale», alla quale non ci si può
sottrarre se non si vuole soccombere alla
«servitù mentale e morale». Una simile
diffidenza nei confronti della politica accompagnò anche la scrupolosa e ammirevole meditazione di Raffaello Franchini,
fino a che, aiutato anche dal confronto e
dallo scambio di idee con altri amici docenti, come ha ricordato Fulvio Tessitore,
giunse a capacitarsi che nelle aule universitarie si potesse far politica, a patto di farne
fedeltà alle proprie idee e capacità di difenderle.
Contrario ad ogni compromesso, tanto che
Francesco Compagna lo definì «uomo
dai comportamenti geometrici», Franchini
si ispirava ad una idea della filosofia come
strumento di elevazione morale, in questo
fedele al dettato crociano che aborriva il
«filosofare professorale ed inconcludente»
(nota autobiografica del 5 ottobre 1934). In
lui, ha osservato Girolamo Cotroneo, lo
storicismo crociano si tramutò essenzialmente in un bisogno vitale. Sul valore della
filosofia come arma e strumento per la
diffusione del liberalismo, ha ricordato
Cotroneo, Franchini andò riflettendo, con
maggiore intensità, intorno agli anni Sessanta, per approdare, in polemica con la
tendenza del dibattito filosofico-politico di
allora, alla consapevolezza di una filosofia
intesa come “militanza ed intervento”. Ne
La teoria della previsione (1964) la dottrina crociana della storia come storia contemporanea si sviluppò nel criterio del “giudizio prospettico”, nella visione di una storia sempre da farsi, come res gerendae,
dove il presente non determina, ma prepara
l’azione, la orienta in modo “prospettico”.
Franchini riteneva infatti propria di ogni
25
uomo la facoltà di riflettere sulle situazioni
per definire le proprie azioni e renderle
efficaci e utili a raggiungere l’obiettivo
prefissato.
Come sottolinea Rita Melillo nel suo contributo sulla disciplina del menagement, la
vita dell’uomo per Franchini «è possibilità
che si trasforma in realtà per diventare di
nuovo possibilità, dando vita a quel continuo processo che è la libertà». Nel suo
bisogno di costruire un “filosofia seconda”, in polemica contro ogni metafisica,
Franchini si convinse, come ha ricordato
Renata Viti Cavaliere, ad una filosofia
dell’uomo, assolutamente laica, derivando
dall’insegnamento crociano il principio
teorico per indagare sul “senso del terrestre”. La priorità dell’uomo, il senso umano della riflessione e dell’autocomprensione, osserva Ernesto Paolozzi, portano Franchini a formulare una teoria fondativa della
libertà, in una visione del mondo attenta
alla creatività dell’uomo e della storia, e
consequenzialmente a considerare la libertà come forza motrice, come ideale partico
che garantisca il diritto di dissenso e al
pluralismo delle idee contro la neutralità.
In Eutanasia dei principi logici Franchini
traccia una storia dell’opposizione alla logica formalistica aristotelico-scolastica,
avviata da Cartesio e proseguita da
Malebranche, Vico, Baumgarten e Croce,
solo per fare qualche nome. Alla loro rivendicazione della centralità dell’uomo Franchini aggiungeva la netta liquidazione di
ogni pastoia formalistica e, come fa notare
Sossio Giametta, derivava da tali principi
lo spunto per sorreggere la sua definizione
del progresso filosofico. A questo insopprimibile diritto alla filosofia (così suonava il titolo di un suo volume del 1982), al
bisogno umano di ricerca della verità, come
rileva nel suo contributo Santo Coppolino, Franchini aggiungeva il riconoscimento alla speculazione filosofica di uno “statuto di scientificità”, che riaffermava la
“vitalità” della scienza e il valore liberatorio del metodo. In questo, l’interpretazione
franchiniana appare del tutto in linea con le
ultime meditazioni crociane, richiamate
dall’intervento di Pio Colonnello sulla scoperta della “vitalità” come questione “esistenziale” e sulla considerazione della vita
e della storia come “esperienza tragica”,
che sfocia in una tensione feconda e dinamica contro la barbarie e a favore del progresso. La forza delle idee di Franchini è
parimenti sostenuta dalla potenza e dal
calibro delle parole, come fa notare Francesco Erasmo Sciuto, che riconosce nella
arguzia, nella nota umoristica e dissacratoria il tratto generale della scrittura.
Chiude il volume la bibliografia completa
delle opere di Franchini, a cura di Clementina Gily Reda, che fornisce un quadro
completo e dettagliato della sua intensa
attività saggistica e pubblicistica. A.M.G.
AUTORI E IDEE
Vittima del Napalm nel massacro di My Lai (Vietnam 1968, foto di P.J. Griffiths per Magnum)
Ontologia e libertà in Pareyson
Curati da Gianni Vattimo e da Giuseppe Riconda, sono stati pubblicati gli
scritti postumi di Luigi Pareyson in
una raccolta dal titolo: ONTOLOGIA DELLA
LIBERTÀ (Einaudi, Torino 1995). Sul pensiero di Pareyson segnaliamo anche
una recente monografia ad opera di
Marianna Gensabella Furnari, I SENTIERI
DELLA LIBERTÀ (Guerini scientifica, Milano 1995), che affronta le problematiche ontologiche ed estetiche nella riflessione pareysoniana.
Ontologia della libertà raccoglie gli ultimi
scritti di Luigi Pareyson, nella struttura
compositiva che egli aveva pensato per la
pubblicazione; secondo le sue intenzioni, i
manoscritti sono stati infatti raccolti in tre
sezioni: “In cammino verso la libertà”, “La
libertà originaria”, “La libertà e il nulla”.
La seconda e la terza sezione sono la summa di alcuni saggi che il filosofo torinese
aveva già reso pubblici. Infatti, come ci
ricordano nella “Prefazione” i curatori del
volume, Giuseppe Riconda e Gianni
Vattimo, l’«Annuario filosofico», fondato
e diretto da Pareyson, aveva proposto dal
1985 al 1992 cinque saggi dell’attuale
Ontologia della libertà. Essi sono: L’esperienza religiosa e la filosofia; La filosofia e
il problema del male; Un discorso “temerario”: il male in Dio; La “domanda fondamentale”: “perché l’essere piuttosto che
il nulla?”; Il nulla e la libertà come inizio.
Mentre il cap. IV della seconda sezione è
un inedito, Frammenti sull’escatologia, il
cap. II della terza sezione, Stupore della
ragione e angoscia di fronte all’essere, è
già apparso nella raccolta di saggi Romanticismo, Esistenzialismo, Ontologia della
libertà con il titolo: Lo stupore della ragione in Schelling. Così come il cap. IV della
terza e ultima sezione, Filosofia della libertà, lezione di congedo tenuta nell’Università di Torino il 27 ottobre 1988, era
conosciuta agli studiosi di Pareyson (1989,
26
Genova). Gli inediti sono quindi rappresentati dalla prima sezione e dai Frammenti sull’escatologia. Ciò non toglie all’opera
originalità, poiché le lezioni napoletane,
che costituiscono In cammino verso la libertà e che ebbero luogo nei giorni dal 26
al 30 aprile 1988, presso l’Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici, risultano essere
momento centrale del pensiero tragico di
Pareyson e imprescindibile premessa ai
saggi (anche se scritti anteriormente) che
formano il volume. A.Di C.
Scritti con l’intento di dare una risposta alle
domande sulla natura del dolore e del male,
questi saggi costituiscono una sorta di summa del pensiero di Luigi Pareyson, fornendo una sintesi tra le tematiche del romanticismo e le problematiche esistenzialistiche che caratterizzano la sua opera. La
filosofia di Pareyson, infatti, risponde da
una parte ai vuoti lasciati dall’idealismo di
Schelling e dalla sua ansia per la verità
rispecchiata nell’essere; dall’altra, si con-
AUTORI E IDEE
fronta con l’analisi esistenziale dell’esserci e del nulla sviluppata da Heidegger.
Secondo Pareyson, le lacune e i dubbi suscitati da queste concezioni possono trovare una risposta esclusivamente nella filosofia della libertà, che si manifesta nell’analisi dell’uomo e del divino e che, per questo, trova spazio nell’ermeneutica del mito
cristiano.
Pareyson affronta così la questione della
libertà dell’uomo, già tema dell’esistenzialismo da Kierkegaard in poi, ponendola a
confronto con quella, ben più drammatica,
di Dio. In tal modo, la libertà di Dio trova
la sua collocazione solo nella religione
cristiana, mentre la ragione, perso il suo
carattere di dimensione assoluta, si manifesta nel suo stupore, che diventa rivelazione.
Il Dio che emerge qui è un Dio in divenire,
un Dio-evento che si distacca definitivamente da quello greco, immutabile e perfetto. Il Dio di Pareyson è, all’origine,
libero di scegliere tra il bene e il male e pur
scegliendo il bene, legittima la possibilità
dell’esistenza del male, presente, in questo
modo, nel creato. La possibilità diventa
realtà nel momento del peccato originale,
quando Adamo e Eva, liberi come Dio,
scelgono il male. Così, la colpa originaria,
preesistente all’uomo, si materializza e rende l’uomo colpevole per sempre; da qui la
necessità della rivelazione che mostra la
reiterazione della scelta divina per il bene,
compiuta, ancora una volta, in assoluta
libertà. Assumendo il dolore e la sofferenza su di sé, e sulla propria natura umana,
Dio riscatta l’uomo dal peccato originale e
ripristina lo stato di bene, scelto nel momento della creazione. Escluso dalla teologia, il problema del Dio in divenire diventa
così una risposta filosofica al problema del
dolore: il suicidio di Dio appare infatti
come la redenzione, non necessaria, ma
voluta, al peccato originale ed apre alla
seconda epoca in cui, ancora una volta, la
libertà dell’uomo trionfa sulla necessità.
Un’analisi precisa della filosofia di
Pareyson è quella offerta da Marianna
Gensabella Furnari nello studio I sentieri
della libertà. Qui, la filosofia esistenzialistica pareysoniana viene indagata nelle sue
tematiche principali: l’ontologia, l’ermeneutica e l’estetica. Per quanto riguarda
l’ontologia, Gensabella Furnari descrive lo
stupore della ragione che, prima in Schelling
e poi in Pareyson, ha segnato l’accettazione del negativo e il rifiuto dell’Assoluto
hegeliano. Accanto a questa tematica troviamo un forte richiamo all’esistenzialismo di Jaspers, che in Pareyson diventa il
riconoscimento della dimensione tragica
in cui vive l’uomo, costretto a scegliere e in
bilico nella propria libertà assoluta. La libertà dell’uomo riporta alla libertà di Dio
che, come nella mistica ekarthiana, vive
l’abisso della scelta tra bene e male.
Per quanto riguarda l’ermeneutica e l’estetica, Gensabella Furnari mostra come in
Pareyson la teoria dell’interpretazione risulti profondamente legata all’ontologia in
quanto strumento per cogliere la verità,
non più dell’essere, ma dell’esistente. Accanto al rifiuto dell’ermeneutica di
Gadamer, contemporanea e vicina a quella pareysoniana, ma ancora legata allo speculativo hegeliano e quindi alla dimensione della totalità, compare in Pareyson la
ricerca per la verità nell’incontro tra l’artista e l’opera d’arte, considerati bacini inesauribili ed infiniti di verità ed esperienza.
La “forma” dell’opera diventa così l’elemento delimitante la significazione infinita e impedisce quel regresso all’infinito,
portatore del nulla, del circolo ermeneutico, caratteristico dell’ontologia heideggeriana e gadameriana. D’altra parte l’incontro tra l’artista e l’opera, dimensioni infinite ed inesauribili, ostacola l’oggettivazione
compiuta della verità, patrimonio hegeliano ormai superato. In conclusione, anche
nella teoria estetica della forma, la libertà
diventa l’unico valore capace di cogliere la
verità, privata dell’assoluto e caratterizzata
dalla finitezza dell’esperienza. A.S.
Malinconia
e filosofia della storia
Era già noto come la malinconia fosse
un’antico stato d’animo legato alla
percezione della propria impotenza rispetto al vano e inarrestabile scorrere
del tempo. Un recente studio pone
invece la malinconia in rapporto alle
disillusioni suscitate dal Moderno: si
tratta dell’opera di Ludger Heidbrink,
MELANCHOLIE UND MODERNE. ZUR KRITIK DER
HISTORISCHEN VERZWEIFLUNG (Malinconia
e Moderno. Per la critica della disperazione storica, Wilhelm Fink, Monaco
di Baviera 1994).
Secondo Ludger Heidbrink si tratta di
uscire sia dalle visioni salvifiche della storia, sia da quelle critiche e negative che, in
quanto tali, rimangono ugualmente chiuse
in un orizzonte storico di aspettative. Se la
fede nel progresso ha dovuto ben presto
ricredersi di fronte ai lutti prodotti dalla
ragione, osserva Heidbrink, la critica del
progresso ci ha tuttavia abituato a un senso
di vuoto, di latente mancanza. La modernità ha finito così con l’accompagnarsi a un
senso di malinconia, connesso al sentimento di una perdita: la malinconia moderna è
il risultato, da un lato, di un certo tipo di
percezione del tempo storico, dall’altro dell’emergere dell’individuo come soggetto.
Esaurite le visioni cicliche del tempo proprie degli antichi e la visione salvifica della
storia propria della concezione cristiana, la
storia, secondo Heidbrink, ha assunto nella
modernità la dimensione di un piano immanente di compimento umano, ancora
fortemente segnato, tuttavia, dalle precedenti attese escatologiche. Da qui il significato esclusivo e le utopie della storia, ma
27
anche la disperazione di cui la storia è stata
sempre portatrice. Di fronte al senso di
insoddisfazione rispetto alle attese suscitate dalle prospettive storiche del Moderno,
Heidbrink distingue tra strategie di fuga,
come l’ideale della distinzione indicato da
Simmel, e strategie di superamento del
potere esercitato dal tempo storico; tra queste ultime egli pone l’idea di ascesi avanzata da Schopenhauer, l’addomesticamento
del tempo nella concezione nietzscheana
dell’eterno ritorno dell’uguale, e il cosiddetto “decisionismo estetico” di Lukács.
Le radici storiche della malinconia sono da
ricercarsi, per Heidbrink, nel sorgere dell’individualità a partire dall’epoca romantica, allorché il tempo cominciò da una
parte a prospettarsi all’interno dell’esperienza dell’io vissuto, dall’altra a dispedersi in essa, senza che il soggetto stesso
dell’esperienza potesse venirne a capo.
Così, secondo Heidbrink, per liberarsi dalla malinconia storica occorre sbarazzarsi
delle moderne visioni teleologiche della
storia, che ne pongono il compimento al di
là di essa (come idea di fine della storia nel
risolutivo presentarsi della pienezza dei
tempi). Questo non significa che ci si debba
sottrarre al compito di attribuire un senso
alla storia; piuttosto, l’individuo deve porsi
in una dimensione temporale, in cui possa
realisticamente dispiegare tutte intere le
sue potenzialità, senza proiettarsi in una
temporalità sovrumana, né adottare un’idea
di progresso contrassegnata in senso escatologico; una dimensione in cui l’essere
l’umano, in quanto ente razionale, sia posto
all’altezza delle proprie facoltà di essere
vivente finito. G.B.
Analisi e riflessioni su Rosmini
Il pensiero di Antonio Rosmini è oggetto d’analisi di alcuni studi, che ne
affrontano differenti aspetti tematici.
In ONTOLOGIA E MORALE (Vita e Pensiero,
Milano 1994) Roberto Nebuloni ricostruisce il complesso ontologico-morale del pensiero rosminiano, mentre
Tina Manfredi, con il saggio ESSERE E
VERITÀ IN ROSMINI (Edizioni studio Domenicano, Bologna 1994) apre una riflessione sulla concezione dell’essere
in Rosmini. Affianca questi studi interpretativi la pubblicazione, a cura di
Pier Paolo Ottonello, di una raccolta
degli scritti estetici di Rosmini, SULL’IDILLIO E SULLA NUOVA LETTERATURA ITALIANA (Guerini e Associati, Milano 1994).
La peculiarità della filosofia di Antonio
Rosmini consiste in un antisoggettivismo,
che si ripresenta sotto diverse problematiche. In Ontologia e morale Roberto Nebuloni analizza la dimensione ontologicamorale del pensiero di Rosmini, mostrando
come il discorso morale e quello ontologi-
AUTORI E IDEE
co si presentino qui strettamente legati: la
partecipazione all’essere puro diviene morale in tutti i suoi aspetti, così come rende
morale l’ente (il soggetto) che ne partecipa.
In questo la categoria del male si viene a
collocare nel dissociarsi del soggetto da
una verità che si presenta in veste di essere
supremo, tanto da acquisire connotati metafisici oltre che puramente morali.
L’antisoggettivismo rosminiano acquista
specificità nello studio di Tina Manfredi,
Essere e verità in Rosmini, che analizza la
concezione rosminiana della mente come
fondamento costituitivo e principio formale, in base al quale diviene possibile porre
una naturale connessione fra essere oggettivo e mente in quanto nesso ontologico
originario. Dal punto di vista gnoseologico
e ontologico la verità trova così corrispondenza in un essere reale, a cui la mente
umana è chiamata a partecipare in vista di
una pienezza ontologica-morale. Il riconoscere all’essere la singolare proprietà di
rendere manifeste le cose nella loro verità,
osserva Tina Manfredi, diviene possibile,
in Rosmini, attraverso il superamento di
qualsiasi forma di dualismo.
Gli scritti che compongono la raccolta dal
titolo: Sull’idillio e sulla nuova letteratura
italiana travalicano le coordinate morali e
si inoltrano nel complesso campo dell’estetica che Rosmini considera il luogo di un
equilibrio tra opera oggettiva e spirito soggettivo. Pier Paolo Ottonello, curatore della raccolta, pone l’attenzione sul rapporto
tra l’idea di bellezza e l’idea di verità,
estendendo l’antisoggettivismo rosminiano anche a livello estetico-artistico. L’estetica occupa uno spazio fondamentale all’interno della visione cosmica rosminiana, intervenendo nella realizzazione di un
potenziale perfezionamento del cosmo.
L’accostarsi del soggetto al fluire dell’esistenza come delle idee, costituisce per Rosmini la possibilità di cogliere una verità
che si incarna nell’esistenza stessa e si
manifesta nei suoi molteplici aspetti. D.M.
Pensare il marxismo
Ne L’EGUALE LIBERTÀ (Vangelista, Milano 1994) Costanzo Preve mostra come
l’enigma del comunismo sia antropologico e come la sua base vada ricercata nella natura umana, storicamente
collocata all’interno di un modo di
produzione e del suo divenire. In un
altro studio, scritto in collaborazione
con l’economista Gianfranco La Grassa, OLTRE LA GABBIA D’ACCIAIO (Vangelista, Milano 1994), Preve critica la visione, di matrice weberiana, del capitalismo come gabbia d’acciaio invalicabile, proponendo un recupero, e contemporaneamente una modifica, del
concetto marxiano di “modo di produzione”.
Secondo volume di una trilogia filosofica
che vuole indagare il rapporto fra modo di
produzione capitalistico e comunismo,
L’eguale libertà è incentrato sull’ipotesi
che l’elemento decisivo della transizione
dal capitalismo al comunismo sia la natura
umana. In questo suo studio Costanzo Preve delinea un’antropologia sociale della
libertà e dell’eguaglianza attraverso quattro momenti. Il primo mostra come per
Marx, che eredita da Aristotele una concezione dinamica della natura, non esista
una natura umana originaria. Qui Preve
opta per una concezione della natura umana come teoria del determinarsi storico
dell’ente naturale generico in libera individualità integrale moderna.
Nel secondo momento Preve va alla ricerca
delle “fonti nobili” del comunismo all’interno della storia della filosofia occidentale: l’amicizia come realtà sociale metapolitica (Epicuro); la trasformazione delle passioni in affetti consapevoli (Spinoza); la
difesa della causa del popolo al di fuori
della rappresentanza liberale e dell’istituzionalizzazione partitica (Robespierre); la
libertà di tutti come eguale libertà (Hegel).
Centrale è qui il problema dell’Essere come
unità di ontologia e assiologia che definisce il termine storico di “natura umana”,
vista come realtà del passaggio dall’ente
umano generico alla libera individualità.
Un’analisi filosofico-antropologica della
figura del “compagno” è ciò che compie
Preve nel terzo momento. Il materialismo
dialettico di Engels viene visto come una
ontoteologia, dove l’essere sociale è ricostruito in Padre (Scienza), Figlio (Classe
Operaia) e Spirito Santo (Comunismo come
Lotta di Classe vittoriosa): la modalità laica e quella religiosa si fondano qui in una
metafisica della materia ed in uno stoicismo della necessità storica. Con Lenin la
teoria del partito compie una mossa antiteologica che elimina le figure del Padre
(Necessità della Storia) e del Figlio (Spontaneità delle Masse) di tipo kautskiano,
luxemburghiano, menscevico. Per comprendere Stalin e lo stalinismo Preve ricorrere alle due categorie della “costruzione”
e della “mobilitazione”, in cui agiscono i
valori etico-politici fondamentali della dedizione alla Causa e della disciplina, liberamente accettata in nome della Causa stessa. L’analisi prosegue con l’eresia gnostica
della salvezza socialista di Trotzkij e con
l’ultimo evento del programma comunista
novecentesco: Guevara. Da ultimo viene
anche analizzato il periodo della contestazione occidentale tra il 1956 e il 1989, dove
la dialettica della dissoluzione burocratica
trova un esito in Nietzsche nella figura
dell’Eremita, ignaro della Morte di Dio e
del fatto che la Necessità della Storia non
esiste, e in quella dell’Ultimo Uomo, rappresentante del nichilismo compiuto.
Nel quarto momento l’indagine sulla natura umana viene specificandosi in una teoria
della comunità, che secondo Preve, non
può essere presupposta né come una mitica
28
Origine da recuperare, né come Fine della
Storia: il comunismo moderno può essere
soltanto una comunità non organicistica di
individui.
Ad un recupero della nozione marxiana di
“modo di produzione” è dedicato il volume
Oltre la gabbia d’acciaio. Qui Gianfranco La Grassa mostra come il modo di
produzione capitalistico sia innervato da
una relazione più antica e comune a tutte le
società divise in classi: quella di dominazione-subordinazione. Il concetto marxiano di modo di produzione sarebbe invece
basato su un sistema di proprietà, che non
è proprietà dei mezzi di produzione, come
premessa per il controllo effettivo della
produzione. Preve e La Grassa propongono qui di passare da una concezione incentrata sul “capitalismo proprietario” ad una
basata sul “capitalismo lavorativo”. È così
possibile individuare nel capitalismo contemporaneo tre classi: una proprietariofinanziaria, una imprenditoriale manageriale e una lavoratrice subordinata che, a
differenza di quanto pensava il marxismo
della tradizione, non si presenta come Soggetto unificato.
Nel suo contributo al volume, Preve fa notare come il comunismo sia una “possibilità
storica concreta” che si delinea secondo determinate forme storiche, differenti le une
dalle altre, in base alle forme globali assunte
da una determinata transizione interna ad un
modo di produzione. In quanto novità ontologica qualitativa nella storia, il comunismo
non può essere interpretato come il Per Sé del
Proletariato, che conterrebbe potenzialmente In Sé il comunismo come attualità aristotelica. Il mito del Proletariato, osserva Preve,
è in tal senso un mito essenzialistico, in
quanto ad un aggregato sociologico dato
viene attribuita un’essenza sociale universalistica. La dialettica fondamentale è invece
quella dell’opposizione fra universalismo e
particolarismo: il materialismo storico di
Marx è in tal senso il prodotto storico della
“coscienza infelice” della borghesia europea, basato sull’incompatibilità fra universalizzazione reale della co scienza umana e particolarismo degli interessi privati capitalistici.
Per rifondare la teoria comunista è necessario, secondo Preve, riformulare la teoria
marxiana della struttura inserendovi, oltre
la dialettica tra forze produttive e rapporti
di produzione, un terzo elemento: la capacità antropologica globale di socializzare
in modo alternativo sia le forze produttive,
sia i rapporti sociali di produzione. Per
uscire dalla teologia comunista, si deve
operare una rivoluzione copernicana del
marxismo: il soggetto trasformatore deve
essere posto in posizione centrale e la struttura economica e sociale deve ruotargli
attorno. In Marx non vi è una teoria del
comunismo e di esso non si può dire nulla
se non si possiede il concetto di comunista,
inteso, nell’accezione hegeliana del termine, come figura antropologica concretamente capace di concepire e praticare rapporti comunisti di produzione. M.B.
AUTORI E IDEE
Interpretazioni di Nietzsche
Nel saggio L’ANTROPOLOGIA DI NIETZSCHE
(Morano Editore, Napoli 1995) Alberto
Giovanni Biuso ricostruisce le caratteristiche principali dell’antropologia pagana di Nietzsche, contrapposta a quella cristiana, ed esemplificata dalla figura del superuomo, i cui tratti salienti sono la capacità artistica di inventare forme, la superiorità intellettuale
rispetto alle masse e il controllo misurato delle passioni. Un diverso itinerario interpretativo viene sviluppato da
Fabio Polidori in NECESSITÀ DI UNA ILLUSIONE. LETTURA DI NIETZSCHE (Guerini e
Associati, Milano 1995), che analizza
la problematica della soggettività nella filosofia nietzscheana con l’intento
di mostrare la necessità dell’affermazione del soggetto, nonostante il riconoscimento del suo carattere illusorio. Ne L’ATEISMO DI NIETZSCHE E IL CRISTIANESIMO (con una postfazione di G. Penzo, Queriniana, Brescia 1994) Bernhard
Welte interpreta invece in chiave religiosa l’ateismo di Nietzsche, riconoscendo nella figura del superuomo
l’espressione del tentativo di raggiungere lo stato di grazia come unione tra
elemento umano e divino.
Secondo Alberto Giovanni Biuso, solo
delineando un itinerario che parta dai Greci
per giungere fino a Schopenhauer è possibile individuare le caratteristiche essenziali dell’antropologia nietzscheana. Il modello offerto dalla cultura greca consente
infatti di riconoscere in Nietzsche un’antropologia pagana contrapposta a quella
cristiana. Privilegiando l’elemento della
differenza e l’aspirazione dell’uomo ad
accrescere la propria potenza, l’etica antica
propone un uomo diverso da quello cristiano, capace di sopportare la sofferenza, senza lasciarsene distruggere e senza riferirsi a
un Dio che possa redimerlo. Pensatori cristiani come Agostino e Pascal appaiono in
tal senso come l’emblema di un’antropologia che deprime e umilia l’uomo, sottomettendolo a Dio, anche se Nietzsche riconoscerà a Pascal il merito di aver considerato
l’importanza del singolo rispetto alla massa e di aver stabilito il “significato non
democratico” della verità.
Riguardo a Spinoza, pur sottolineandone
la vicinanza filosofica con Nietzsche rispetto alla teoria deterministica, Biuso non
sovrappone le loro posizioni, in quanto la
concezione nietzscheana dell’amor fati è
distante dall’ammissione di un principio
monistico come quello spinoziano, considerato il fondamento dell’essere e del conoscere. A differenza dell’ontologia spinoziana, statica ed immobile nella sua perfezione, il pensiero di Nietzsche è dinamico
e “prospettico”, configurandosi come pensiero del divenire.
Al termine dell’itinerario interpretativo tracciato da Biuso troviamo Schopenhauer,
maestro indiscusso di Nietzsche; l’antropologia nietzscheana, secondo Biuso, non
avrebbe potuto strutturarsi senza quella
schopenhaueriana, per il rifiuto di ogni
misconoscimento e di ogni mistificazione
riguardo al male e alla sofferenza, ma anche per la sua connaturata componente
aristocratica. Ciò che Nietzsche non può
invece condividere della filosofia di
Schopenhauer è l’etica della rassegnazione
e della rinuncia. In riferimento a
Schopenhauer, Biuso mostra come la
condanna di Nietzsche delle masse, dei
principi dell’egualitarismo e della democrazia sia piuttosto una condanna estetica,
morale e spirituale. L’uomo-massa viene
disprezzato per la sua ottusità intellettuale,
la sua volgarità, la sua mancanza di gusto
estetico e il suo infantilismo, che lo conduce all’aspirazione di un appagamento totale dei suoi desideri, al di là dei divieti
imposti dal reale. Contro una interpretazione irrazionalistica della filosofia nietzscheana, Biuso mette qui in evidenza come
Nietzsche miri invece ad un controllo razionale delle passioni, opponendosi agli
estremismi dell’irrazionalismo e del razionalismo. La ragione in Nietzsche si configura come una “ragione prospettivistica”,
unione di pulsioni e di razionalità, aderente
al divenire e ai molteplici sensi del vivere.
Da un’altra prospettiva interpretativa,
Fabio Polidori analizza la complessa problematica nietzscheana della soggettività,
rilevando come per Nietzsche l’arte abbia
più valore della stessa verità. La critica di
Nietzsche alla soggettività come principio
unitario, come fondamento a cui ricondurre la molteplicità illusoria e menzognera
del reale, non sfocia nella dissoluzione
della soggettività stessa, ma anzi conduce
alla considerazione del necessario mantenimento di questa illusorietà e menzogna.
Di fatto, sottolinea Polidori, la filosofia di
Nietzsche mette in crisi lo statuto ontologico della verità, considerata non più come il
luogo da cui sorgono tutti i valori, ma come
un valore tra i valori e quindi come una
forma di illusione. La crisi della concezione unificatrice della verità, osserva Polidori,
non determina tuttavia in Nietzsche una considerazione della filosofia come attività interpretativa della molteplicità del reale, che
rappresenta invece la legittimazione del fondamento sostanziale della soggettività, a cui
l’arte dell’interpretare deve essere riferita.
La negazione della soggettività si manifesta in Nietzsche attraverso la volontà di
potenza che, muovendosi nella circolarità
temporale dell’eterno ritorno, nell’ambito
del divenire senza origine, rivela la sua
mancanza di razionalità, di causalità e di
finalità. Dell’eterno ritorno, fa notare Polidori, non si può infatti parlare, poiché esso
costituisce il “parlare stesso del linguaggio”; e neppure lo si può vedere, poiché
rappresenta “il vedere stesso della visione”. Nell’atto stesso in cui l’eterno ritorno
viene comunicato, si dissolve, mentre si
afferma la soggettività.
29
Infine, l’interpretazione proposta da Bernhard Welte intende evidenziare nell’ateismo di Nietzsche una componente divina,
in quanto l’aspirazione della volontà dell’io di essere implica l’aspirazione all’essere divino. Proponendo di andare “oltre”
l’uomo, e quindi auspicando un’immagine
di uomo perfetto e unitario, Nietzsche si
ricollega, secondo Welte, ad una prospettiva cristiana, fondata sull’aspirazione alla
conciliazione tra l’umano e il divino. Se per
Nietzsche esiste un unico volto del reale,
quello “confuso e dilacerato” di Dioniso,
“la grande voluta esistenza”, portando il
nome di Dioniso, rivela il suo legame inevitabile col divino. M.Mi.
Il sapere dell’anima
Privilegiando l’interpretazione dialettica della filosofia platonica rispetto a
quella metafisico-ontologistica, nel
suo saggio, SCRIVERE NELL’ANIMA. VERITÀ,
DIALETTICA E PERSUASIONE IN PLATONE (La
Nuova Italia, Firenze 1994), Franco Trabattoni mostra come la svalutazione
della scrittura da parte di Platone sia
da attribuire all’incapacità del discorso scritto di rispondere alle eventuali
domande del destinatario. In tale prospettiva, emerge in Platone l’opposizione tra discorso e sapere dell’anima.
Come la scrittura resta avvolta dal
silenzio, altrettanto si può dire per
Platone delle immagini nelle arti figurative, come fa notare Pierre-Maxime
Schuhl in PLATONE E LE ARTI FIGURATIVE (a
cura di S. Benassi, Book, Parigi 1994).
Analizzando in Platone il problema del
rapporto tra oralità e scrittura, Franco Trabattoni intende contrapporsi sia all’interpretazione della Scuola di Tubinga, che afferma che in Platone la verità appartiene alle
dottrine non scritte, sia all’interpretazione di
coloro che considerano la svalutazione platonica della scrittura come indice di scetticismo. Per uscire da questo dilemma Trabattoni mostra come l’insofferenza di Platone per
lo scritto, la sua predilezione per i dialoghi
orali non debba essere attribuita alla svalutazione della scrittura rispetto all’oralità, ma
alla constatazione dell’impossibilità del discorso scritto di rispondere alle eventuali
domande degli interlocutori per la sua fissità,
la sua incapacità di aiutarsi, di difendersi e di
andare oltre se stesso.
Da questo punto di vista, Trabattoni mette in
crisi l’ipotesi dell’esistenza di un testo orale,
al quale Platone avrebbe assegnato la funzione di esprimere i principi essenziali della sua
teoria. Inoltre il discorso scritto viene svalutato da Platone non solo per il suo intrinseco
mutismo e per l’impossibilità di sostenersi,
ma anche perché si rivolge indiscriminatamente a tutti, non potendo scegliere i suoi
interlocutori; del discorso orale, Platone mette
AUTORI E IDEE
in evidenza, invece, la mobilità, la possibilità
di adeguarsi agli interlocutori.
Non esiste dunque, per Trabattoni, una netta
contrapposizione tra scrittura e oralità, ma
piuttosto tra i discorsi e il “sapere dell’anima”: nell’ottica platonica il vero sapere è
quello dell’anima in quanto la verità è scritta
nell’anima. Così, mentre lo scrittore generico asservisce l’anima al discorso, il filosofo
dà la priorità all’anima, alla quale lo stesso
discorso è subordinato.
Sottolineando il nesso esistente nella filosofia platonica tra persuasione e verità, Trabattoni si propone di opporsi ad una concezione
della verità come imposizione acritica a favore di una concezione che considera come
inerente alla struttura stessa della verità l’accettazione della verità da parte degli ascoltatori. Solo privilegiando l’interpretazione dialettica di Platone contro l’interpretazione
scolastica rigidamente metafisica, è possibile mettere in evidenza il legame della verità
con la persuasione e quindi la relazione tra
filosofia e retorica.
Se in rapporto alla comunicazione orale i
discorsi scritti rivelano il loro carattere silenzioso, anche le immagini delle arti figurative, osserva Pierre-Maxime Schuhl, sono
per Platone figure mute. La pittura è un’imitazione imperfetta della realtà che allontana
dalla verità, in quanto si perde dietro alle
apparenze sensibili, seguendo le ombre effimere che scorrono nelle pareti della caverna.
Inoltre, il pittore è più distante dalla verità
dell’artigiano, che almeno riferisce la sua
attività all’idea, all’essenza, mentre il pittore
si limita a compiere una copia della copia,
rimanendo imprigionato nella maglia fittizia
dei fenomeni sensibili.
In questa prospettiva, fa notare Schuhl, la
pittura è vista da Platone come un’illusione,
in quanto crea un mondo fantasmagorico,
paragonabile all’illusione che viene determinata dai discorsi dei sofisti; come questi
ultimi sono incapaci di rivelare la verità,
generando continue immagini illusorie della
realtà, così anche le pitture si rivelano mirabili “giochi di prestigio”, frutto di un’arcana
magia che, se suscitano l’incantamento di
coloro che le contemplano, tuttavia mostrano tutta la loro inconsistenza. D’altra parte,
la bellezza propria delle arti figurative non
può che essere relativa, essendo molto lontana dalla percezione della bellezza assoluta
che ha un carattere ideale e spirituale.
La condanna platonica della pittura, osserva
Schuhl, si estende a tutte le altre arti figurative, considerate produttrici di innumerevoli
illusioni. Platone istituisce un paragone tra
l’arte del demiurgo, che plasma il mondo, e
la tecnica dell’artigiano, che costitruisce gli
oggetti del mondo. Infatti, se l’arte è una
semplice imitazione dell’apparenza del vero,
esiste un’arte più nobile, più elevata, che è
quella del demiurgo che, come uno scultore,
modella la materia ispirandosi alle essenze
ideali eterne. Di fronte a quest’arte divina, le
arti umane per Platone si rivelano ben poca
cosa, poichè si trovano negli «spazi intermedi tra essere e non essere». M.Mi.
Karl Popper
L’ultima opera di Popper
A breve tempo dalla scomparsa di Karl
Popper viene pubblicata la sua ultima
opera, ALLES LEBEN IST PROBLEMLÖSEN. ÜBER
ERKENNTNIS, GESCHICHTE UND POLITIK (Tutta
la vita è soluzione di problemi. Sulla
conoscenza, la storia e la politica, Piper,
Monaco di Baviera - Zurigo 1994), una
raccolta di interviste, saggi, discorsi
elaborati da Popper tra il 1958 e il 1993.
Parallelamente viene pubblicata, ad
opera del linguista Manfred Geier, una
monografia sulla vita e il pensiero dell’epistemologo, dal titolo: KARL POPPER
(Rowohlt, Reinbeck 1994).
Già dal titolo, l’ultima opera di Karl Popper,
Alles Leben ist Problemlösen, allude chiaramenteal nucleo teorico del razionalismo critico,
per il quale la scienza non comincia con la
raccolta dei dati, o fatti, ma con i problemi. Nella
Logik der Forschung (Logica della ricerca,
1934), in cui viene esposta la teoria falsificazionista della scienza, Popper riconduceva il metodo scientifico a tre ambiti fondamentali: problemi, teorie, critiche, sottolineando come la scienza viva dei suoi errori, superando i quali è in
grado di avvicinarsi all’ideale regolativo della
verità. L’atteggiamento critico nei confronti
delle questioni di scienza naturale, storia e
politica caratterizza anche i contributi presenti
in quest’ultima opera di Popper, che non solo
invita il lettore alla riflessione lucida e all’autocritica, ma costituisce anche una buona sin30
tesi dell’intera opera filosofica di Popper.
Laprima parte del volumeèdedicata aquestioni
di scienza naturale; nella seconda parte Popper
muove una critica impetuosa agli intellettuali,
giudicandoli responsabili dei grandi conflitti
ideologici e dei sacrifici umani in nome delle
idee. Qui Popper non risparmia neanche i politici e i loro rispettivi elettori, con riferimento ad
eventi di attualità relativi alla scena tedesca ed
austriaca. L’applicazione del principio di falsificabilità alla politica ha come diretta conseguenza la celebrazione dell’ideale della “società illuminata”, basata sull’esercizio critico della
ragione umana e sulla libertà di scelta. Alla luce
degli eventi d’attualità, Popper insiste particolarmente sulla necessità di definire i confini
della libertà: «Esiste un abuso della libertà
analogo all’abuso del potere statale. Abbiamo
bisogno della libertà per evitare l’abuso del
potere statale e abbiamo bisogno dello stato per
evitare l’abuso della libertà». Tali osservazioni
costituiscono una maturata riproposizione delle
note riflessioni su storicismo e società chiusa,
contenute nei due volumi di La società aperta e
i suoi nemici (1945).
Per una conoscenza generale della figura di
Popper e della sua produzione filosofica è certamente d’aiuto la recente monografia di Manfred Geier, che ripercorre la vita e la vicenda
intellettuale di Popper dalla sua nascita, a Himmelhof, nel 1902 sino ai suoi ultimi anni trascorsi in Inghilterra. La monografia è corredata da
una serie di citazioni, tratte dalle opere di Popper, e ne delinea prevalentemente il profilo
scientifico. L.R.
AUTORI E IDEE
Ortega y Gasset
Ad oltre vent’anni dalla prima traduzione, viene pubblicata una nuova edizione, a cura di Armando Savignano,
di COS’È FILOSOFIA? (Genova, Marietti,
1994) dello spagnolo José Ortega y
Gasset. Il motivo di questa riproposta
editoriale ha a che vedere senza dubbio con la peculiarità della recezione
dell’opera di Ortega in Italia, aspetto
questo sottolineato nel recente studio del noto ispanista Franco Meregalli, INTRODUZIONE A ORTEGA Y GASSET
(Laterza, Roma-Bari 1995).
La monografia di Franco Meregalli su
José Ortega y Gasset risponde alla necessità, che da tempo si avvertiva in Italia, di
una guida che aiutasse il lettore ad orientarsi nella dispersione labirintica in cui si
trova l’opera di Ortega nel nostro paese.
Ortega non ci ha lasciato il suo pensiero in
un’opera sistematica; al contrario, il pensiero di Ortega alimenta una vasta e varia
opera, che nasce da un costante rapporto
con la realtà circostanziale: il suo lascito
più prezioso sta proprio nella sua costante
attenzione verso il mondo circostante, verso gli eventi. Due aneddoti: nel 1937,
quando la guerra civile devastava la Spagna, Ortega scrisse un bellissimo saggio
sulla traduzione; a nessuno può sfuggire
oggi il valore politico di questo gesto: di
fronte alla guerra, egli predica la traduzione, cioè la possibilità del dialogo, che è per
lui la norma suprema della convivenza, il
luogo sacro dove risolvere ogni conflitto.
Poi, appena finita la Seconda Guerra Mondiale, in una Berlino divisa e in rovina,
vinta e umiliata, si recó a parlare dell’Europa unita, degli Stati Uniti d’Europa in
un’Europa che non esisteva più.
Ortega non era solo un filosofo; era professore, giornalista, scrittore, editore, conferenziere, politico, ecc., ma è pur vero
che il suo modo di fare filosofia, come
rileva Meregalli, permeava ogni suo gesto,
ogni sua azione. Il pensiero nasce non
come distrazione oziosa ma come bisogno
di orientarsi nella vita: è questo il vero
significato della “ragion vitale” propugnata da Ortega: la ragione non è un dono, ma
una facoltà che l’uomo ha sviluppato storicamente, e non per capriccio, ma come
necessità vitale; il pensiero, e quindi la
filosofia, è un’attività che l’uomo esercita
per non naufragare nel tempestoso mare
dell’esistenza. La necessità della filosofia,
la sete di conoscenza che ha l’uomo, viene
affiancata nel pensiero orteghiano da un
atteggiamento ludico-sportivo, e questo
perché le necessità umane, dirà Ortega con
un paradosso, appartengono all’ambito del
superfluo: l’uomo è un essere tecnico, un
essere che fugge la propria animalità, non
si adatta all’ambiente, cerca, anzi, mediante la trasformazione tecnica di adattare l’ambiente in direzione del proprio “benessere”. Ed è quindi quest’aspetto lus-
José Ortega Y Gasset
suoso del pensiero che segna la sua caratteristica principale. Pensare non per soddisfare la biologia, ma per rispondere a un
desiderio di felicità.
Cos’è filosofia? è il testo di un corso tenuto da Ortega nell’anno 1929. Era un momento di grande turbolenza sociale e politica, e il corso, in seguito alla chiusura
dell’Università, dovette spostarsi dalle aule
di una facoltà alla profanità di un teatro
madrileno. Tutta l’opera di Ortega presenta un forte carattere teatrale e Cos’è filosofia?, probabilmente a causa del luogo in
cui si svolse, riflette con ancora più evidenza questo carattere.
In questo testo ci troviamo di fronte alle
suggestioni della parola di Ortega: egli era
consapevole che non bastava convincere
ma bisognava soprattutto sedurre. E così
queste undici lezioni sono un crescendo
drammatico, una sorta di percorso preparatorio, in cui si fa una critica serrata sia
all’idealismo, sia al realismo (le due grandi metafore della filosofia), per mostrarci
31
alla fine, nuda, la sua proposta del “raziovitalismo”. Il debito con Heidegger è innegabile: il debito non è tematico, ma di
ricomposizione e di ristrutturazione dello
stesso pensiero orteghiano. Essere e tempio fu per Ortega una profonda scossa, ma
anche una conferma del proprio pensiero:
fu uno dei primi a rendere pubblica l’importanza filosofica dell’opera di Heidegger
quando il filosofo tedesco non era che uno
sconosciuto professore, mentre la fama di
Ortega era già ben solida, sia in Europa che
in America.
La lettura di Heidegger dà un impulso
decisivo alla svolta che si preparava da
tempo nel pensiero orteghiano: il passaggio dall’antropologia alla metafisica, e cioè
il bisogno di approfondire e di chiarire la
base del suo pensiero. Il dato primario e
fondamentale da cui, secondo Ortega, deve
partire la filosofia non è né il soggetto, né
l’oggetto, ma la dinamica co-esistenza di
un io col suo mondo, la “mia vita”, come
lui la chiamava: “essere” significa adesso
AUTORI E IDEE
“vivere”. Ortega approda ad una nuova
ontologia per la cui descrizione la filosofia, smarrita, volge il suo sguardo verso la metafora, e questa ci rivela tutta la
sua potenza filosofica, il suo potere rivelatore di verità (alétheia). La nuova idea
dell’Essere, la realtà radicale della vita
circostanziale, esige dunque una vera e
propria “riforma della filosofia”, che
deve materializzarsi in primo luogo in
una “riforma del linguaggio”. F.J.M.
Itinerari fenomenologici
Nel volume dal titolo: LA COSA STESSA.
SEMINARI FENOMENOLOGICI (Edizioni De-
dalo, Bari 1995), a cura di Giuseppe
Semerari, vari autori propongono
una serie di itinerari fenomenologici
con l’intento di mettere in evidenza
prospettive differenti riguardo al
modo di concepire la relazione del
soggetto con il mondo. Di Husserl è
recentemente apparsa, con introduzione di Giuseppe Semerari, una
nuova traduzione del noto saggio L A
FILOSOFIA COME SCIENZA RIGOROSA (trad.
it. di C. Sinigaglia, Laerza, Bari-Roma
1994) pubblicato nel 1911 sulla rivista «Logos».
Curato da Giuseppe Semerari, il volume La cosa stessa raccoglie scritti di
vari autori, che muovendo da “fenomenologie” diverse mettono in evidenza il
carattere antiteoreticistico della fenomenologia nel suo intento di delineare l’incontro del soggetto con il mondo e con
gli altri.
Nel saggio “Cominciamento” e “riduzione”. Considerazioni su ‘Erste Philosophie (1923-24), zweiter Teil’, Francesco Valerio mostra la diversità, nella
conoscenza della cosa, tra la “via cartesiana” e la “via fenomenologico-trascendentale”. Husserl infatti, pur valutando
positivamente il cogito cartesiano, non
può seguire fino in fondo la posizione di
Cartesio, in quanto la fenomenologia
della cosa stessa richiede «la determinazione del senso nella sua piena radicalità». Nella conoscenza della cosa Husserl
intende porre un inizio fenomenologico
immediatamente evidente, privo di presupposti; tale inizio non può trovarsi nel
mondo, inficiato dalla possibilità del non
essere, né, d’altra parte, coincidere con
l’io penso cartesiano, gravato irrimediabilmente da un “dogmatismo prefenomenologico”. La necessità della riflessione trascendentale, fa notare Valerio,
deriva così dal legame tra inizio fenomenologico e riduzione trascendentale.
Intervenendo su Heidegger e la “filosofia”, Giuseppina Strummiello mostra
la diversità della fenomenologia di
Heidegger da quella husserliana, riguar-
do al modo di intendere l’inizio fenomenologico. Infatti, per Heidegger, la questione dell’inizio è un “falso problema”,
poiché ciò che conta è il porsi stesso
della “linea” , non un punto qualsiasi di
essa. Per il giovane Heidegger, l’origine
è situata nell’intensificazione della vita,
laddove la fenomenologia non è altro
che «la vita compresa scientificamente». Successivamente Heidegger considera l’origine come la corrispondenza
del pensiero all’appello di ciò che è dato
ad esso. La concezione heideggeriana,
dal punto di vista teologico, è oggetto
anche dell’analisi di Martino Sgobba,
Sul problema teologico in Heidegger.
Secondo Heidegger, osserva Sgobba,
Dio deve essere incontrato e non conosciuto; opponendosi decisamente alla
teologia filosofica, Heidegger propone
un Dio vivente, un Dio ignoto, che si
palesa solamente a quel pensiero che
rinuncia a pensarlo. Espressione dell’atteggiamento heideggeriano verso Dio è
il silenzio, quel silenzio di chi, lontano
dalla teologia e dalla filosofia, si pone in
ascolto del Dio dei filosofi.
Il riferimento alla fenomenologia heideggeriana ritorna anche nel contributo
di Annalisa Caputo, Nietzsche e la fenomenologia, che evidenzia similitudini
e differenze della “fenomenologia” di
Nietzsche sia con la fenomenologia di
Heidegger, sia con quella di Husserl. In
comun e con la fenomeno logia di
Heidegger quella di Nietzsche ha la considerazione del pensiero come qualcosa
di “oscuro” e “nascosto” e che viene
dall’esterno. La fenomenologia di Nietzsche, osserva Caputo, può essere definita fenomenologia dell’essere, se per essere viene inteso il mondo formato dai
pensieri, i sentimenti e le azioni propri di
tutti gli esseri. D’altra parte, la fenomenologia di Nietzsche può essere considerata fenomenologia del soggetto se per
soggetto si intende il modo di rapportarsi dell’uomo al mondo, secondo i suoi
bisogni. Tuttavia è pur vero che laddove
Nietzsche parla di divenire, Husserl e
Heidegger prediligono parlare di tempo.
Sulla possibilità di uno sviluppo della
ricerca fenomenologica in direzione analitica si pronuncia Alberto Altamura
nel saggio: Per una fenomenologia ermeneutica. Il contributo della filosofia
analitica. La filosofia analitica, sottolinea Altamura, può di fatto saldarsi con il
risvolto ermeneutico della fenomenologia, poiché l’interpretare rappresenta il
modo in cui la comprensione del mondo
si concretizza. Mostrando come la coscienza sia intenzionale, Husserl, come
rileva Tugendhat, prospetta la possibilità di stabilire la relazione tra il soggetto
e l’oggetto come una relazione basata
sulla comprensione degli enunciati.
Dell’impostazione della fenomenologia
in Binswanger si occupa Domenica Discipio nel saggio: Per una “fenomenolo32
gia dell’amore”: Ludwig Binswanger.
Nella fenomenologia di Binswanger il
problema dell’essere non è più solamente intenzionale ed esistenziale, ma anche
duale. La fenomenologia rappresenta qui
la possibilità di determinare un differente rapporto terapeutico tra medico e paziente, rivelando una dimensione che, al
di là del rapporto tra servitù e signoria, si
manifesta nell’incontro tra uomo e uomo.
Quella di Binswanger è una fenomenologia dell’amore che, proponendo un
diverso rapporto io-tu, difende l’irripetibilità dell’individuo nella sua relazione con il mondo e con gli altri.
L’opposizione al naturalismo e allo storicismo, che caratterizza la fenomenologia di Husserl, risulta evidente in un
saggio del 1911, *** pubblicato originariamente sulla rivista «Logos» e di cui è
ora disponibile una nuova traduzione a
cura di Giuseppe Semerari. In effetti,
osserva Semerari nell’Introduzione al
volume, nella concezione husserliana
tutte le prospettive positivistiche, psicologiste, meccanicistiche possono essere
accomunate sulla base di una medesima
matrice naturalistica. Da questo punto di
vista, continua Semerari, la critica allo
storicismo è da porsi sullo sfondo. Infatti, quando nel saggio su Dilthey Husserl
attacca lo storicismo, per opporsi al relativismo, ha in mente una Weltanschauungsphilophie, una “filosofia della visione del mondo”. L’elemento nuovo di
questo saggio di Husserl, fa notare Semerari, è proprio la contrapposizione tra
Weltanschauung (visione del mondo) e
Wesensschauung (visione dell’essenza),
cioè l’opposizione tra una visione razionale, legata alle essenze e diretta verso
una verità “incontrovertibile”, e una visione del mondo basata su aspetti mentali ed emotivi. In tale prospettiva, i filosofi possono essere considerati o scienziati
rigorosi, schiavi della ragione, o saggi
profondi, che si interrogano sui principali misteri dell’essere. In ultima analisi, si può parlare in Husserl di un conflitto tra una verità solidificata in pietra e
una verità vivente. M.Mi.
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Riflessioni sull’etica
L’esigenza di fondare un’etica materiale dei valori, che integri la tradizione moderna dell’etica del dovere, dell’etica normativa con l’etica antica,
costituisce il centro delle riflessioni
contenute nello studio di Antonio Da
Re, LA SAGGEZZA POSSIBILE. RAGIONI E LIMITI
DELL ’ETICA (Gregoriana Libreria Editrice, Padova 1994). La riflessione sull’etica si sviluppa ulteriormente nella
prospettiva di Sergio Bartolommei, che
nel suo ETICA E NATURA (Laterza, RomaBari 1995) mostra la necessità di perseguire un’etica ambientale, che imponga il rispetto di «tutte quelle entità
con interessi moralmente rilevanti».
Affrontare il vasto ambito dell’etica
con la necessità di proporre nuove
chiavi di lettura, che rinuncino a interpretazioni unilaterali, è ciò che si propone Georges Cottier nei suoi SCRITTI DI
ETICA (Piemme, Casale Monferrato
1994), che analizzano il problema etico da una prospettiva cristiana.
Antonio Da Re si pone l’intento di realizzare nell’ambito dell’etica una mediazione
tra il formalismo astratto, tipico della morale di Kant, e la “saggezza pratica” presente nelle massime etiche di Aristotele
circa le conseguenze che scaturiscono dall’azione morale. Si tratta dunque, da un
lato, di riempire di contenuti l’astratta legge kantiana, dall’altro, di evitare il pericolo
del relativismo e dell’arbitrarismo implicito in tutte quelle teorie etiche che non
tengono conto della necessità dell’obbligazione morale.
Dopo aver esaminato l’etica fenomenologica di Max Scheler e di Nicolai Hartmann, che difendono l’etica materiale dei
valori, Da Re analizza l’etica discorsiva di
Karl-Otto Apel, che si qualifica essenzialmente come “etica della responsabilità”. Il
progetto implicito nella teoria di Apel consiste infatti nella trasformazione dell’etica
kantiana in un’etica della responsabilità,
che stabilisca una razionalità pratica in
grado di applicarsi alla realtà concreta dell’uomo: un tipo di razionalità che faccia
propria un’istanza normativa, in opposizione a un tipo di razionalità tecnico-stru-
mentale, legata al raggiungimento di fini
contingenti. Per Apel, tra gli estremi kantiani degli imperativi categorici e di quelli
ipotetici esiste una posizione intermedia,
costituita dalla possibilità di fondare le
norme materiali, i contenuti delle scelte
concrete.
In definitiva, l’etica di Apel si propone di
superare il dualismo tra idealità e realtà
sulla base del linguaggio. In questa prospettiva, osserva Da Re, si inserisce anche
la concezione morale di Paul Ricoeur, che
intende realizzare la conciliazione tra la
teleologia aristotelica e la deontologia kantiana. Ricoeur sostiene infatti un’etica che
sia fondata su un’ontologia dell’essere,
concepito come potenza-atto, in opposizione a un’etica basata sull’ontologia della
sostanza.
Un’etica materiale dei valori, fa notare Da
Re, pone problemi di autonomia dell’etica,
di un suo possibile rapporto con altri ambiti
come quello religioso o politico. Per quanto riguarda il rapporto tra etica e religione,
Da Re sostiene che se si vuole rimanere
coerenti all’oggetto stesso dell’etica non si
può prescindere dalle domande fondamentali relative al significato dell’esperienza
umana e morale, domande che implicano
un’interrogazione di carattere religioso.
D’altra parte, è l’ambito politico che rappresenta il luogo specifico nel quale i principi etici possono trovare una loro collocazione concreta.
Per quanto riguarda invece il rapporto tra
etica e natura, Sergio Bartolommei fa notare come nel dibattito filosofico abbiano prevalso finora due differenti concezioni della
natura: una di matrice kantiana, che afferma
la separazione tra uomo e natura e, di conseguenza, il dominio dell’uomo sulla natura e
la separazione della sfera morale dalla natura; l’altra, di ispirazione humiana e di formulazione darwiniana, che concepisce la natura
come strettamente collegata con la morale.
Bartolommei mostra invece come oggi s’intenda per natura l’ambiente non prodotto
dall’uomo, quel «sistema di relazioni bioetiche interdipendenti, governate da meccanismi omeostatici, per cui l’uomo come specie
biologica è solo una parte».
Secondo Bartolommei, le varie etiche si
sono divise fino ad oggi in due tendenze
fondamentali, a seconda che si sia preso
33
come riferimento un modello antropocentrico o un modello antiantropocentrico.
Bartolommei critica soprattutto l’etica antropocentrica che, basandosi sull’affermazione del primato assoluto della specie
umana su altre specie, finisce col sottrarre
ogni considerazione morale ai non-umani e
col privare la natura di un valore intrinseco.
Diversamente, osserva Bartolommei, le
etiche antiantropocentriche considerano il
valore intrinseco della natura, sollevando
la necessità di tutelare le cose come fini e
valori in sé. Un’ulteriore distinzione all’interno dell’ambito etico è quella tra le etiche
della norma assoluta e quelle della norma
relativa, che per Bartolommei appaiono
più plausibili, in quanto considerano come
rilevanti a livello morale gli “interessi di
benessere” di tutti gli animali percepienti e
senzienti. M.Mi.
Nei suoi Scritti di etica, Georges Cottier,
padre domenicano, ci offre un’analisi cristiana del problema etico attraverso un
costante confronto con il pensiero laico.
Che un cristiano, fa notare Cottier, abbia
sempre pronte delle risposte per ogni cosa,
è un falso mito; anche il più convinto fra i
cristiani, anche chi ha fatto voto a Dio,
prova in certi momenti la disperazione di
fronte al “proprio” male, di fronte all’incapacità di seguire la via della “vita”, che è
poi la via etica. In base a tale considerazione Cottier elabora una visione etica, quale
itinerario interiore che ha come fine la
“vita” in opposizione alla “morte”. Da qui
il rifiuto dell’eutanasia, della nascita in
provetta, dello sperimentalismo a oltranza.
L’opposizione naturale-artificiale viene affrontata da Cottier non solo riguardo a
tematiche strettamente tecniche, ma riguardo a tutto un modo di concepire, sentire e
vivere la propria coscienza. Pensare e agire
secondo logiche finalistiche significa fare i
conti con il bene, il male, con la propria
libertà, che è la prima responsabile di atti
che conducono alla perdizione, intesa come
perdizione di sé, del proprio valore, della
propria coscienza. Una coscienza artificiale non può rispondere ad alcuna esigenza,
poiché è vuota; una coscienza autentica
può invece riscattarsi in ogni momento e
riprendere il cammino che conduce, con
fatica, al bene. D.M.
TENDENZE E DIBATTITI
Placchetta con sfinge alata e palmetta (VI sec. a.C., da Ibiza)
34
TENDENZE E DIBATTITI
Dumezil e Detienne:
scritture del mito
A nove anni dalla morte di Georges
Dumezil, la pubblicazione di una raccolta di scritti inediti: LE ROMAN DES
JUMEAUX (Il romanzo dei gemelli, Gallimard, Parigi 1995) e la nuova edizione
di MITHE ET ÉPOPÉE (Mito ed epopea,
Gallimard, Parigi 1995), entrambi a cura
di Joël Grisward, ripropongono la lezione del grande maestro degli studi
indoeuropei. Sul tema del linguaggio
e della trascrizione del mito si segnalano i due volumi collettivi curati da
Marcel Detienne: TRANSCRIRE LES MYTHOLOGIES. TRADITION, ÉCRITURE, HISTORICITÉ
(Trascrivere le mitologie. Tradizione,
scrittura, storicità), Albin Michel, Parigi 1995) e LA DÉESSE PAROLE. QUATRE FIGURES DE LA LANGUE DES DIEUX (La dea parola. Quattro figure della lingua degli
dei, Flammarion, Parigi 1995).
L’importante inedito di Georges Dumezil,
Le roman des jumeaux, si presenta come
una collezione di “profili mitologici”, un
crocevia di piste di lettura che apre allo
specialista itinerari nuovi nell’universo
delle culture indoeuropee e regala al lettore
una straordinaria esperienza di scrittura
letteraria ed erudita insieme. La scelta del
curatore, Joël Griswald, è stata quella di
riproporre i testi nello stato di elaborazione
in progress in cui li aveva lasciati Dumezil;
l’insieme non sembra affatto soffrirne, considerata la programmatica incompiutezza
dello stile di ricerca di questo autore, che
preferisce indicare dei percorsi piuttosto
che dare delle soluzioni. Questi scritti costituiscono il terzo e ultimo pannello di un
trittico inziato con Heur et malheur du
guerrier (1969; trad. it., Le sorti del guerriero, 1990) e proseguito con Dieux souverains des Indo-Européens (Dei sovrani degli
indo-europei, 1977), che disegna la struttura trifunzionale che governa le civiltà indoeuropee.
La riflessione sulle tradizioni mitologiche
di un arco di popoli che va dall’India alla
Scandinavia consente a Dumezil di individuare una comune concezione tripartita
dell’universo e della società. È uno schema
classificatorio che ha condizionato religione, arte, organizzazione politica e letteratura dei popoli di origine indoeuropea, e che
evidenzia come una medesima struttura o
ideologia sia all’origine delle diverse culture. Ciascuna delle tre componenti, posta
in relazione gerarchica con le altre, presiede a un’attività umana essenziale: la sovranità religiosa e politica, la forza fisica e
militare, la produzione e la riproduzione.
Il riferimento ai gemelli rimanda all’universo della fecondità; appartiene appunto
alla terza funzione, quella “nutrice”, legata
alla coltivazione della terra e alla ripartizione dei beni, come nella tradizione vedica viene rappresentata nelle figure dei gemelli Nâsatya, e che nella variante greca si
trasforma nella coppia Prometeo-Epimeteo. Nell’ordine simbolico la gemellarità
richiama l’idea di complementarità; a fronte dell’astuzia e del coraggio di Prometeo,
che ruba il fuoco a Zeus per benevolenza
verso gli uomini, stanno la sventatezza e
l’ingenuità di Epimeteo, che in assenza del
fratello accoglie il regalo degli dei, Pandora, introducendo nel mondo degli uomini
fatica, dolore e vecchiaia. Rappresentanti,
nel mondo olimpico, delle ragioni degli
umani, Prometeo ed Epimeteo ne condividono il dramma, misurando le proprie forze con quelle soverchianti degli dei, giocando di furbizia, cadendo nell’errore, in
una vicenda che vede opporre l’astuzia alla
forza, la fame e la fatica degli uomini
all’indifferenza delle potenze divine. Le
varianti mitologiche di questa dialettica
che vede «il più furbo farsi gioco del meno
furbo», ma dove l’ultima parola spetta forse al sorriso superno degli dei, vengono
rintracciate da Dumezil nelle varie tradizioni letterarie indoeuropee. Il mito greco
che rinnova nel rito del sacrificio la vicenda di Prometeo rappresenta nelle figure
complementari dei gemelli il limite e la
sfida insite nella condizione umana. E.N.
Con l’invito a ripensare la mitologia come
oggetto conoscitivo, Marcel Detienne aveva lanciato, tempo fa, una formula leggermente provocatoria: «la mitologia è quello
che si scrive», conducendo poi un’indagine sugli effetti della scrittura nell’antica
Grecia. Con Transcrire les mythologies.
Tradition, écriture, historicité, frutto di
contributi collettivi, Detienne rilancia la
questione, ampliandola e precisandola attraverso il ricorso al comparatismo: come
viene operata la messa-in-scrittura della
tradizione e quali sono i suoi effetti? Si
passa insensibilmente dalla trascrizione
della mitologia alla scrittura della storia,
oppure vi è una separazione, per quanto
instabile, tra mito e storia?
A queste domande rispondono antropologi
e storici, che nei loro contributi al volume
trattano una serie di casi specifici che vanno dall’antico Israele alla Cina, dal Giappone a Roma e all’Indonesia, da Panama
alla Georgia e alla Grecia arcaica, in un
percorso che si snoda dal più antico passato
al presente e viceversa.
Per parlare di tradizione, osserva Detienne,
non è forse necessario aver già posto la
tradizione a distanza, appunto attraverso la
scrittura, per poterne elaborare il concetto
e, al contempo, operare la distinzione tra
società tradizionali, o prive di scrittura, e
società la cui tradizione è proprio quella di
non accontentarsi della tradizione? Per
Detienne è necessario analizzare come si
giunga a tale distinzione e come le società
tradizionali abbiano elaborato una riflessività culturale, in un gioco di norme e valori,
operando determinate scelte all’interno del
proprio passato. Si può scoprire allora come
il luogo di questa elaborazione siano proprio i miti e i riti, cioè i prodotti in apparen35
za più tradizionali di una società. Pertanto,
prima ancora di essere trascritta, una tradizione potrebbe già non essere più tale.
Presso gli Indiani Cuna, per esempio, l’uso
dei pittogrammi è legato a condizioni di
enunciazione fortemente rituali e serve a
fissare nuclei di conoscenza tradizionale,
quali liste di nomi di luoghi o personaggi.
Trascrivendo in immagini la parola rituale,
i pittogrammi rappresentano di fatto il supporto di un’autentica arte della memoria;
fissano e controllano la memoria di alcune
parole, rivelando il peso delle immagini in
una tradizione orale. Il Giappone del VIII
secolo, invece, offre l’esempio, probabilmente unico, di una doppia scrittura simultanea della tradizione: le due opere che la
fondano (i Racconti dei tempi antichi e gli
Annali del Giappone) fanno la loro apparizione presso la corte imperiale a otto anni di
distanza l’una dall’altra. Pur avvalendosi
della stessa scrittura (il cinese) e pur avendo
lo stesso argomento (le tradizioni giapponesi
a partire dalle origini del mondo) e lo stesso
obbiettivo (affermare la legittimità della famiglia imperiale), sono due trascrizioni della
storia giapponese completamente opposte. I
primi cercano di scrivere il racconto del
tempo degli uomini con il supporto di schemi elaborati per il tempo degli dei, testimoniando pertanto un momento inventivo
della tradizione; i secondi si avvicinano, al
contrario, al modello storiografico cinese,
attento alle date e alla cronologia, e privilegiando la linearità del racconto finiscono
per storicizzare la tradizione. Se, in un
primo momento, fu la visione degli Annali
ad affermarsi, nell’epoca Meiji si imposero
i Racconti, come memoria dell’ “autentica” identità giapponese.
Alla fine del VI secolo, si assiste in Grecia
alla scrittura delle Genealogie. La questione è se gli autori di questi testi replichino
semplicemente in prosa quanto era stato
già detto dai poeti, o se essi stessi operino
come storici veri e propri, la cui scrittura
mette ordine nei molteplici racconti delle
varie tribù. Anche la Georgia mostra un
esempio notevole di ambiguità tra mito e
storia. Una cronaca georgiana del XI secolo narra la conversione del paese, avvenuta
nel IV secolo; il primo libro descrive i
tempi che la precedono, quelli del paganesimo, mentre il secondo è dedicato alla
“storia” che ne segue. A partire da testimonianze raccolte in tempi recenti sul territorio georgiano, si può affermare che questa
cronaca riprende, fin nei minimi dettagli,
una struttura leggendaria appartenente all’oralità, quella dell’istituzione dei culti
pagani. Ma la cosa stupefacente è che questa omologia vale non solo per quanto si
narra dei tempi anteriori alla cristianizzazione, ma anche per il racconto della conversione, che prende a prestito un mito di
fondazione pagano, semplicemente corredandolo di qualche topos biblico. Insomma, la conversione ha potuto essere detta,
prima ancora che scritta, solo attraverso la
lingua del paganesimo.
TENDENZE E DIBATTITI
Al contrario, né in Cina - dove tuttavia la
scrittura storica sembra emergere da quella
oracolare -, né a Roma vi è contaminazione
con la mitologia. Il pontefice massimo redigeva ogni anno una cronaca, che veniva
resa pubblica; Cicerone fece, di quella
trascrizione, il punto di partenza della storiografia romana. Un’analisi rigorosa ha
permesso di stabilire che doveva trattarsi di
una relazione sui rapporti tra la città e le
proprie divinità, compilata dal pontefice in
virtù del potere conferitogli di conservare
la memoria degli eventi. Insomma, saremmo di fronte a una storia religiosa, una
specie di contabilità della pietà, in cui compaiono contratti obbliganti, solvibilità, attivi e passivi nei confronti delle divinità;
ma non c’è posto per i miti.
Detienne è curatore anche di un’altra importante raccolta di studi, La déesse parole.
Quatre figures de la langue des dieux, in
cui cinque specialisti di etnologia, antropologia e storia delle religioni: Detienne stesso, Gilbert Hamonic, Georges Charachidzé, Charles Malamoud e Carlo Severi, mettono in comune le proprie competenze per illustrare il linguaggio divino. Se
il Dio della Genesi biblica creò il mondo,
pronunciando delle parole, e parlò spesso
con il suo popolo e con i profeti, nelle
culture politeiste gli dei dialogano raramente con i mortali: occulti e misteriosi, se
pure parlano da soli o fra di loro, gli dei
storpiano le parole pur di sottrarle alle
orecchie avide dei devoti. Da qui la difficoltà di cogliere qualche frammento della
loro lingua.
Passando in rassegna i testi vedici e le
tradizioni orali degli Indiani Cuna, dei Bugis
indonesiani e delle popolazioni del Caucaso, si può rintracciare il nesso tra parola e
divinità. Si scopre allora che la “dea Parola” è la divinità della parola umana. Questa
seducente figura mitica, inscritta nei Veda,
contiene in sé tutta la scienza vedica, intrattenendo necessariamente legami privilegiati con il sapere sacrificale; ma è anche
colei che inizia il poeta ispirato.
Vi sono poi figure, come quella dei ventriloqui divini, che prestando la propria voce
agli dei, per farsene i portavoce, incarnano
una condizione limite. Nel Caucaso, i montanari georgiani (meene, che significa esattamente “linguisti”) sono i posseduti per
eccellenza. È il caso anche dei travestiti,
presso gli Indiani Cuna; la loro condizione
mostra chiaramente che per sentire, o far
udire, la voce degli dei occorre occupare
una posizione limite. Ma questa voce è
anche quella della sofferenza per ciò che
sfugge: presso i Cuna, la parola sciamanica
esprime il dolore di coloro che, colpiti da
estraneità, perdono i punti di appoggio ma,
proprio per questo, desiderano mantenere
il controllo su ciò che non è formulabile.
Esiste, inoltre, più di un legame tra la
lingua divina e la sessualità, tra la vista e
l’udito, anche se il dio unico del Caucaso,
il supremo Morige, rimane sprofondato in
un silenzio senza fine. Il linguaggio divino
è sempre, tutto sommato, quello di cui si
servono i mortali per designare i loro dei;
ma la dea Parola è al contempo discorso
umano e divino. Insomma, sono gli uomini
a tirare le fila di un sapere mai svincolato
dal potere, anche se il principio unico,
primo e assoluto, su cui riposa ogni ragion
d’essere del linguaggio divino, sfugge a
questo linguaggio. D.F.
propone riflessioni sui rapporti tra Stato e
Chiesa e analizza la situazione sociale del
tempo, influenzata da un cambiamento
politico radicale, la nascita del regime fascista. Il riconoscimento della libertà e della fraternità è il fondamento della concezione politica di Croce, alla sua fede in uno
spirito etico, che nella politica trova la sfera
della sua attività e lo strumento per un agire
morale. Mete politiche e mete sociali-morali non sono distinte nel disegno politico
di Croce. D.M.
Analisi crociane
Ne La poesia (1935) Croce rivede i temi
più celebri dell’Estetica, come l’intuizione
immediata, la poesia pura o “l’arte per
l’arte”, riproposti in una forma nuova che
trasforma, anche se non radicalmente, il
rapporto tra poesia e letteratura. La dittatura fascista, che caratterizza il contesto in
cui Croce redige quest’opera, fornisce all’autore, da una parte, la spinta all’isolamento dal dialogo e dal confronto con gli
altri letterati, come il De Sanctis, e dall’altra la necessità di considerare l’intellettuale in maniera fondamentalmente diversa da
quella degli anni precedenti.
L’opera è divisa in due parti, la prima delle
quali tratta della bellezza all’interno delle
forme artistiche in generale, mentre la seconda, attraverso singole conversazioni concrete, si occupa dei casi particolari in cui l’estetica si manifesta. L’impianto platonico ed
idealistico dell’opera, la cui impalcatura è
costituita dall’idea di bellezza che viene dedotta poi nei casi particolari, mantiene Croce
sulle linee della Filosofia dello Spirito anche
per la conferma, ribadita più volte, della
teorizzazione dell’intuizione lirica. La poesia, infatti, diventa unica e irripetibile grazie
alla capacità di produrre l’intuizione estetica
che, attraverso l’identità immediata di forma
e contenuto, diventa lirica del verso e principio originario dell’arte.
Come nell’Estetica, Croce sottolinea
l’estraneità della poesia, considerata “arte
per l’arte”, ad ogni forma di utilità. La
novità de La poesia, tuttavia, consiste nella
considerazione, accanto alle composizioni
in versi, della forma letteraria in prosa,
portatrice di quegli ideali culturali, emersi
nel quadro storico e politico di emergenza
in cui si trova Croce. In questo modo,
poesia e letteratura si affiancano in una
nuova forma che le rende sintesi di verità e
di azione civile. In particolare, la letteratura è intesa come quell’opera di civiltà in
grado di dar luogo ad una “esteticità senza
poesia”, nella quale accanto al valore artistico si colloca quello morale e politico. Per
quanto riguarda la poesia, da una parte
Croce ribadisce la necessità di intenderla
come la garanzia dell’opera di verità, distante dall’impegno civile, dall’altra ricorda come
il poeta sia allo stesso tempo un cittadino e
perciò investito di responsabilità morali e
civili. L’unità tra artista e uomo, in questo
modo, fa da sfondo ad un impegno nella
realtà effettiva, più evocato che dichiarato da
Croce, ma, in ogni caso, necessario. A.S.
Nell’ambito della riedizione dell’opera completa di Benedetto Croce sono
stati pubblicati due nuovi volumi, che
riportano opere dei primi anni Trenta:
ETICA E POLITICA (a cura di G. Galasso,
Adelphi, Milano 1994), in cui Croce affianca alla difesa della passione morale
considerazioni sulla storia e lo Stato, e
LA POESIA (Adelphi, Milano 1994), che
analizza i rapporti estetici e filosofici tra
le diverse forme letterarie.
Se si risale al periodo storico in cui Benedetto Croce scrisse Etica e politica (1931),
ci troviamo di fronte un regime fascista in
fase di affermazione, che si preparava ad
adottare una politica di censura e di soppressione. L’opera lascia trasparire una
duplice prospettiva: la prima legata al Croce delle passioni, della vita dionisiaca, delle virtù e dei difetti dell’epoca; la seconda
più calata nel merito di questioni politiche
e sociali, in cui vengono affrontati, tra
l’altro, i rapporti tra Stato e Chiesa, il ruolo
dello Stato e quello dei partiti, all’interno di
una concezione laica e moderna della politica. Le idee crociane di storia e di Stato
erano avverse all’ottuso moralismo di alcuni cattolici, così come ai fautori di un
machiavellismo spregiudicato. In quest’opera Croce sviluppa un diverso modo
d’intendere i rapporti tra storia e individuo,
identificando coscienza e divenire storico e
prendendo le distanze dall’idealismo hegeliano, che riconosceva allo spirito un’esistenza atemporale, al di sopra della storia.
L’opera si apre con un inno alla libertà di
spirito in continua evoluzione: contrario ad
ogni sterile moralismo, Croce difende qui
le passioni della vita con la naturalezza di
chi ha accettato tutte le contraddizioni terrene e ha imparato a conviverci. Argomenti
come onestà, volontà, amicizia, amore vengono trattati con una semplicità e con una
spontaneità tali da non intaccarne mai il
significato più puro e sublime. L’itinerario
che Croce percorre nel trattare questi concetti mostra venature autobiografiche che
lasciano emergere quasi un processo di
identificazione da parte del filosofo.
Il contesto degli anni giovanili insieme ad
un più ingenuo approccio al divenire sociopolitico è di fatto l’elemento che caratterizza la prima parte di Etica e politica. Nella
seconda, il Croce maturo politicamente
36
TENDENZE E DIBATTITI
Cabbala e Romanticismo
Nel 1991 e nel 1992 si sono svolti a
Kassel e a Gerusalemme due convegni
internazionali, che hanno avuto per
tema il complesso rapporto tra il Romanticismo tedesco e la Cabbala. Gli
atti di questi convegni vengono oggi
pubblicati col titolo: KABBALA UND ROMANTIK (Cabbala e Romanticismo, a
cura di E. Goodman-Thau, G. Mattenklott e C. Schulte, Max Niemeyer,
Tubinga 1994).
Che il Romanticismo tedesco abbia accolto
molti elementi della mistica, sia in campo
estetico, sia filosofico e teologico, è un
fatto ampiamente condiviso. Al contrario,
è poco noto che i romantici svilupparono
un interesse specifico per il misticismo
ebraico e in particolare per la Cabbala.
Nonostante il Romanticismo e lo studio
della Cabbala fossero due fenomeni culturali decisamente lontani, è storicamente
dimostrato che la Cabbala giocò un ruolo
assai rilevante nello sviluppo del Romanticismo tedesco.
I romantici non furono i primi ad accostarsi
al misticismo ebraico, dal momento che già
in epoca rinascimentale e barocca era stato
avviato, in ambienti cristiani, un processo
di avvicinamento alla tradizione cabbalistica. La specificità dell’approccio romantico va ricondotta innanzitutto al forte interesse, storico e linguistico-filosofico, nutrito da Schelling per la mitologia e la
rivelazione. Ad esso si affiancarono, anche
se più marginalmente, sia la disputa settecentesca sul panteismo, sia la rinascita di
una filosofia della natura di tipo teosofico,
magico e mistico in autori come Mesmer e
G. H. Schubert. Infine si potrebbero aggiungere i numerosi riferimenti alla Cabbala presenti nella letteratura rosacrociana
e massonica, come pure l’interpretazione
estetica del testo offerta da Hamann, Novalis e Schlegel.
Al crescente interessamento dei romantici
tedeschi per la Cabbala, fa riscontro, tuttavia, il netto rifiuto di quest’ultima da parte
dell’Illuminismo ebraico, conosciuto come
haskalah. Il disconoscimento della Cabbala da parte dell’illuminismo ebraico deve
essere inquadrato nel tentativo di liberare
l’ebraismo dal suo isolamento sociale e
culturale, per assimilarlo alla cultura illuministica tedesca (Mendelssohn, Maimon).
Per i membri dell’haskalah, la Cabbala
rappresentava il simbolo dell’arretratezza
degli ebrei, della loro irrazionalità, della
tendenza a ghettizzarsi e, per un certo periodo, venne considerata la principale responsabile della mancanza di autoconsapevolezza del popolo ebraico. L’avversione per la Cabbala venne addirittura “sancita” scientificamente e storicamente dalla
cosiddetta “scienza dell’ebraismo” (Zunz,
Beer, Graez), che la giudicò una sorta di
surrogato pagano, tendente al politeismo e
al panteismo, dunque completamente estra-
nea all’ebraismo monoteistico.
Il rifiorire dell’interesse della cultura ebraica
per la Cabbala, come riflesso di quello
romantico, è da ricondurre a Schelling, le
cui lezioni sulla mitologia e la rivelazione
vennero seguite con attenzione anche da
molti ebrei, fornendo loro la premessa per
un nuovo approccio alla Cabbala. Ma la
testimonianza più emblematica della ripercussione dell’interesse romantico sulla ricezione ebraica della Cabbala fu indubbiamente Gershom Scholem, il quale, del
resto, fu ben consapevole di tale influenza.
Lo studioso dichiarò infatti a più riprese
come la lettura della “filosofia della storia”
di Franz Joseph Molitor, amico e allievo
di Schelling, lo stimolasse allo studio della
Cabbala, e orientasse la direzione del suo
interesse non tanto alla “storia”, quanto
alla “metafisica” in essa presente. Tale
decisione è tanto più significativa, in quanto riflette non soltanto la natura filosofica
dell’approccio di Schelling e Molitor al
misticismo ebraico, ma anche l’avversione
di Scholem per ogni riduzione razionalistica dell’ebraismo alla sola dimensione etica, com’era stato per l’haskalah e per il
neokantiano Hermann Cohen. La difesa e
la salvaguardia della Cabbala da parte di
Scholem era animata, in fondo, dal medesimo proposito che sosteneva la critica
antiilluministica dei romantici: con la Cabbala, salvare la metafisica. A.Mo.
Per una storia
della filosofia cristiana
Il “Centro Internazionale di ricerca per
i principi fondamentali delle scienze”
di Salisburgo e l’ “Istituto di filosofia
cristiana” dell’Università di Innsbruck
hanno promosso un ambizioso progetto di ricostruzione della filosofia
“cristiana” degli ultimi due secoli. Con
il coordinamento di Emerich Coreth,
Walter M. Neidl e Georg Pfligersdorffer, una numerosa équipe di specialisti ha ricostruito questo complesso
panorama, del quale sono già apparsi
due volumi, a cura di Gaspare Mura e
Giorgio Penzo: LA FILOSOFIA CRISTIANA NEI
SECOLI XIX E XX (Città Nuova, Roma 19931994), rispettivamente dedicati alle
“Nuove impostazioni nel XIX secolo”
e al “Ritorno all’eredità scolastica”;
un terzo volume descrive le CORRENTI
MODERNE DEL XX SECOLO (Città Nuova,
Roma 1995).
Rispetto all’originale tedesco, Christliche
Philosophie im katolischen Denken des 19.
und 20. Jahrhunderts, il titolo dell’edizione italiana lascia intendere che il problema
di una filosofia cristiana è prevalentemente
interno al mondo cattolico, dato che il
motivo di una filosofia cristianamente orientata non emerge in area protestante, dove il
37
riferimento confessionale risulta piuttosto
estrinseco e non teoreticamente determinante. In proposito è interessante ripercorrere la storia del concetto di “filosofia cristiana”, che Heinrich M. Schmidinger
descrive nel primo volume. Nei primi secoli, la filosofia cristiana si identificava con la
stessa religione cristiana e la Weltanschauung ad essa collegata. Solo con il tempo e
con lo sviluppo di una vera e propria teologia si porrà il problema del rapporto tra
questa e la filosofia, giungendo all’ambigua mediazione di una filosofia cristiana.
Nel nostro secolo si arriverà, nello stesso
ambito cattolico, a contestare la sensatezza
di una simile dizione: celebre è, per esempio, la critica di Martin Heidegger, che
considerava una filosofia cristiana come
un ferro di legno o un cerchio quadrato.
Un’ulteriore difficoltà è quella di fissare i
confini cronologici del problema: la scelta
di limitarsi solo all’Ottocento e Novecento
non è di fatto dettata da mere ragioni di
praticità. I curatori riconoscono nel secolo
XVIII una cesura storica e culturale che
rende del tutto nuove le dimensioni della
problematica religiosa rispetto alle categorie preilluministiche. E’ ancora H. M. Schmidinger a motivare certe scelte lessicali,
ricostruendo la storia dei concetti di “scolastica” e “neoscolastica”. Mentre per il
primo esiste una tradizione consolidata,
per il secondo si ha a che fare con una
terminologia più recente, introdotta solo
nel 1862 autonomamente da J. Frohschammer e A. von Schmid, che risente di un’origine “politica”, avendo la parola inizialmente designato schieramenti ideologici di
sapore nettamente conservatore. È per questo che la fortuna della parola sarà piuttosto
limitata. Rafforzata dalla pubblicazione dell’enciclica Aeterni Patris (1879) di Leone
XIII, come osserva Roger Aubert, l’etichetta di neoscolastica andrà perdendo consenso
e prestigio nei decenni successivi.
Le quasi mille pagine del secondo volume
testimoniano il rilievo che il moderno confronto col tomismo ha avuto nel delineare
una filosofia cristiana. È significativo che
dei tre volumi in cui si articola l’opera
siano distinti cronologicamente solo il primo e il terzo (rispettivamente dedicati al
secolo XIX e al XX), mentre il secondo
abbraccia entrambi i secoli proponendo
un’accorpamento più teorico che storico,
determinato appunto dal riferimento al modello scolastico. Da notare, inoltre, che nel
primo volume l’area di lingua tedesca fa
decisamente da padrona, lasciando al pur
ricco panorama francese uno spazio un po’
ridotto. Nel secondo volume le proporzioni
risultano più equilibrate: gli autori italiani,
che nel primo erano ridotti ai nomi tradizionali di Rosmini e Gioberti, rispettivamente
esaminati da F. Evain e A. Rigobello, sono
ora più numerosi, essendo necessario dar
conto delle origini propriamente italiane
della neoscolastica fino agli esiti più recenti, testimoniati dagli esponenti della Università Cattolica di Milano. S.C.
TENDENZE E DIBATTITI
Theodor W. Adorno
Adorno tra estetica ed etica
L’opera di Adorno è oggetto di rinnovato
interesse per i suoi aspetti etici, estetici,
linguistici e critico-speculativi. Si segnalano tre recenti opere critiche: L’APPARENZA
DA SALVARE (Guerini e Associati, Milano
1994), di Elena Tavani, che intende rendere un’interpretazione globale della teoria
critica di Adorno nel suo porsi come interpretazione e comprensione dell’esperienza; VOM ERMATTEN DER AVANTGARDE ZUR VERNETZUNG DER KÜNSTE. PERSPEKTIVEN EINER INTERDISZIPLINÄREN ÄSTHETIK IM SPÄTWERK THEODOR W. ADORNOS (Dall’esaurirsi dell’avanguardia all’irretimento delle arti. Prospettive di un’estetica interdisciplinare nella
tarda opera di Theodor W. Adorno,
Suhrkamp, Francoforte s/M. 1993), di
ChristineEichel; ETHIKNACH AUSCHWITZ. ADORNOS NEGATIVE MORALPHILOSOPHIE(L’etica dopo
Auschwitz. La filosofia morale negativa di
Adorno, Argument, Amburgo 1993), di
Gerhard Schweppenhäuser.
Lo studio di Elena Tavani ripercorre analiticamente l’opera di Theodor W. Adorno al fine di focalizzarne gli interessi critico-speculativi e l’evidente tangenza con il
pensiero dell’ultimo Wittgenstein, nei confronti del quale Adorno non riconosceva
alcuna relazione, a causa della conoscenza
esclusivamente “positivistica” che possedeva di tale autore. L’interrogativo-chiave
attorno a cui ruota gran parte dell’opera di
Adorno, cioè «se sia possibile “un’esperienza” metafisica», fonda il significato del
“comprendere” come il tener fermo a
un’esperienza di trascendimento, di “resistenza” a tutto ciò che si configura come
già noto, già collocato e digerito, dato.
Metafisica non è in questo caso dottrina o
disciplina, ma la «forma della coscienza
per cui essa cerca di conoscere quello che è
qualcosa “di più” o che non è solo un fatto
che accade, e a cui tuttavia si deve pensare
perché ciò che accade [...] ci costringe a
farlo». Metafisica è quindi la “stessa esperienza” che costringe ad andare al di là del
38
puro dato di fatto e salva la possibilità del
superamento del “qui ed ora” e di tutti gli
schemi che ci restituiscono l’esperienza
come un reticolo di relazioni in cui tutto è
già predefinito. Pensare significa conseguentemente, per Adorno, immergersi in
un’esperienza, sapendo però anche tirarsene fuori; significa trascenderla, cedendo
alla forza orientativa del “sapere negativo”, di quel momento di ingenuità originario che “sentiamo”, pensando, e che apre il
confronto tra il “questo” del mondo dell’esperienza e un “qualcosa” che è in cerca
di formulazione.
Con indubbio accento antipositivistico, fa
notare Tavani, Adorno ritiene che la comprensione costituisca un’esperienza di lettura guidata da un modo di disporsi specificamente estetico, ossia dalla facoltà di
percepire nelle cose più di quanto esse sono
grazie al sentimento originario della loro
insufficienza e inadeguatezza a un senso
compiuto. Il campo dell’estetico, per Adorno, è comunque ben più ampio: nel suo
piano di riforma della razionalità è prevista
anche una “articolazione estetica” del pensiero nella terminologia stessa del linguaggio filosofico, che sperimenta l’insufficienza del “qui ed ora” nell’interrogazione e
nella propria eccedenza rispetto alla lettera. Qui, il mutismo del “dopo Auschwitz”
sembra potersi riassorbire nel “pensare in
costellazioni”, ossia in un linguaggio che
“indica”, ma solo in modo oscillante e
trapassante: se è vero che compito della
filosofia è dire l’indicibile, è altrettanto
vero, per Adorno, che l’assoluto rimane
innominabile.
L’utopia conoscitiva di Adorno si esplica
in modo esemplare nell’agire espressivo
delle opere d’arte, che producono l’evento
del comprendere, offrendosi come nesso di
elementi relazionati, sempre ripercorribile
e reinterpretabile. Soprattutto l’arte moderna, con il suo “sfrangiamento dei generi”, si presta perfettamente ad inserire nella
compagine dell’opera quell’elemento di
“resistenza” alla chiusura perfetta, all’unità risolutiva che segnala la “non-identità”,
persino materiale, dell’opera con se stessa:
essa costruisce per l’interpretante la possibilità del trascendimento del “qui ed ora” e
viene in questo modo incontro agli interessi etico-trascendentali di un pensiero alla
perenne ricerca del “senso”.
All’ultima estetica di Adorno ha dedicato
particolare attenzione Christine Eichel,
che interpreta la produzione di pensiero di
questo autore negli anni ’60 in contrasto
con l’esegesi più ortodossa. Già nelle tarde
opere di Adorno, osserva Eichel, è presente, paradossalmente, quell’estetica di cui si
avverte la necessità, nonostante l’esaurimento progressivo delle stesse avanguardie, che ha condotto al disorientamento
assoluto e all’arbitraria politica dell’anything goes in campo artistico.
Eichel identifica in Adorno il garante della
nuova concezione teoretico-estetica della
“Babele” dei generi e dei media, della
TENDENZE E DIBATTITI
Tra idealismo e ermeneutica:
Otto Pöggeler
In occasione del sessantacinquesimo
compleanno di Otto Pöggeler è apparso uno scritto commemorativo dal titolo: IDEALISMUS MIT FOLGEN. DIE EPOCHENSCHWELLE UM 1800 IN KUNST UND GEISTESWISSENSCHAFTEN (Idealismo e conseguenze. La soglia epocale del 1800
nell’arte e nelle scienze dello spirito, a
cura di G. Hans-Jürgen e J. Christoph,
Fink, Monaco di Baviera 1994). Nello
stesso periodo è stata pubblicata l’ultima opera di Pöggeler, SCHRITTE ZU
EINER ERMENEUTISCHEN PHILOSOPHIE (Passi
verso una filosofia ermeneutica, Karl
Alber, Friburgo-Monaco di Baviera
1994), una raccolta di saggi e conferenze sul pensiero ermeneutico negli
ultimi 150 anni.
Otto Poeggeler
compatibilità delle arti, addirittura della
“disartizzazione” dell’arte: il processo
osmotico che caratterizza le varie forme
dell’espressione artistica costituisce un
momento liberatorio, di espansione vitale,
attraverso il quale l’esperienza si apre alla
“pienezza dell’esistenza”.
L’individuazione di una dimensione positiva nel pensiero di Adorno caratterizza
anche l’interpretazione di Gerhard
Schweppenhäuser. Se infatti i testi più
classici di Adorno negano la possibilità di
una nuova etica, capace di contrastare il
disordine di un mondo ormai condannato,
alcune sue lezioni universitarie sulla filosofia morale sembrano dimostrare il contrario: Adorno persegue qui la formulazione di un’etica “dopo Auschwitz”, che attraverso un nuovo imperativo categorico
dovrebbe impedire il ritorno del totalitarismo politico, nonché fornire modelli di
«vita giusta in una società sbagliata».
La “filosofia morale negativa” di Adorno,
osserva Schweppenhäuser, risulta comun-
que intimamente paradossale, se è vero,
come afferma Adorno, che tutta la morale
si è costruita sul modello dell’immoralità
e che l’uomo non è dotato di piena libertà:
unica possibilità di un’etica sarebbe di
resistere alla “falsità dell’intero” attraverso la sistematica demistificazione di una
felicità artificiosa. In realtà, aggiunge
Schweppenhäuser, Adorno non intendeva
fondare una nuova etica, deduttiva o intuitiva che fosse, ma mirava piuttosto a portare ad espressione le “esperienze morali”
come reazioni spontanee al dolore umano:
solo questi momenti di ritorno impulsivo
alla moralità permettono, secondo Adorno, di sperare ancora nella sopravvivenza
di “cellule di umanità in un contesto inumano”. L.R.
39
Ormai comunemente associato al nome di
Hegel, l’idealismo tedesco segnò, tra il
XVIII e il XIX secolo, una svolta epocale,
i cui effetti furono avvertiti non soltanto in
campo filosofico, ma culturale in genere.
Non va dimenticato che questo movimento
di pensiero, malgrado la portata rivoluzionaria delle sue scoperte e l’immediata forza
di attrazione che esercitò su moltissimi
autori, ebbe alle spalle una lunga preistoria
e visse un intricato periodo di gestazione.
Proprio per questo, nella ricerca di un elemento che caratterizzi l’idealismo, balza
subito agli occhi una grande eterogeneità di
motivi.
La medesima sensazione di eterogeneità ci
viene trasmessa dallo scritto commemorativo del 65° compleanno di un eminente
specialista del pensiero hegeliano, Otto
Pöggeler. Dei 22 interventi che compongono il testo solo alcuni sono dedicati al
pensiero di Hegel, mentre la maggior parte
costituisce, nel suo complesso, una sorta di
milieu intellettuale, che evidenzia i molteplici aspetti della “svolta epocale del 1800
nell’arte e nelle scienze dello spirito” che
accompagna l’idealismo . Vengono analizzati, ad esempio, i collegamenti e le reciproche delimitazioni tra la filosofia del
Romanticismo (i fratelli Schlegel, Fichte,
Schelling, Hölderlin), l’illuminismo (Herder, Jacobi e Kant) e la letteratura classica
tedesca (Goethe). Dai diversi contributi si
può ricavare l’indicazione per cui il concetto di idealismo dovrebbe essere impiegato
non tanto in riferimento a un medesimo
contenuto speculativo, quanto piuttosto in
relazione a una determinata forma di confronto critico con il mondo del XIX secolo.
Dopo la fine sanguinosa della Rivoluzione
Francese e fino all’inizio della rivoluzione
industriale e scientifica, la speculazione
filosofica fu assorbita dall’impegno di cercare risposte nuove a un’antica domanda,
divenuta più che mai incalzante: «Che cos’è il divenire?». L’interpretazione della
filosofia idealistica fu, come è noto, lo
storicismo, cioè la tendenza, da un lato, a
TENDENZE E DIBATTITI
recuperare le origini della lingua, della
cultura e della società e, dall’altro, a rintracciare, nello scorrere degli eventi, il disegno della ragione speculativa. Ma storicizzare significava anche stabilire collegamenti tra il passato e il presente, l’astratto
e il concreto, l’ideale e il reale, e, sul piano
sociale, tra la rivendicazione all’autonomia da parte del soggetto civile e il rispetto
della volontà generale. In rapporto a tali
questioni, la filosofia e la poesia di quell’epoca presentarono soluzioni radicalmente diverse: la prima, infatti, accordò sempre
la priorità all’assoluto, mentre la seconda si
fece portavoce delle gravose rinunce che il
divenire della Ragione sub specie historiae
imponeva all’individuo, cioè la perdita della
sua libertà. Da questo punto di vista risulta
emblematica la conclusione del Wilhelm
Meister di Goethe, ripresa, tra gli autori del
volume, dal germanista Walter MüllerSeidel, secondo il quale presupporre che la
formazione dell’individuo sia nello stesso
tempo la storia di una malattia e della sua
guarigione, non implica alla fine che si
possa parlare di vera salvezza, dal momento che il prezzo della guarigione è la subordinazione del singolo all’imperativo dell’utile sociale.
Attraverso numerosi studi Otto Pöggeler
ha contribuito alla chiarificazione del percorso storico e spirituale che si snoda tra
Hegel e Heidegger. Mancava tuttavia finora un’opera di riferimento che raccogliesse
in modo sistematico il suo punto di vista
sulle questioni ermeneutiche. Questa carenza viene oggi colmata dalla pubblicazione dell’ultimo lavoro di Pöggeler, Schritte zu einer hermeneutischen Philosophie,
che raccoglie una serie di conferenze e di
studi composti dall’autore negli ultimi venticinque anni, e che ha per tema monografico proprio lo sviluppo dell’ermeneutica.
Sia che venga intesa come “teoria filosofica del comprendere”, o come “teoria della
corretta interpretazione testuale”, la determinazione dell’oggetto e del metodo dell’ermeneutica è già di per sé spiegazione e
interpretazione. Questo stato di cose descrive, del resto, un fenomeno ben noto a
ogni studioso dei problemi della comprensione, cioè il “circolo ermeneutico”, che è
tema e insieme elemento vivente in ogni
atto interpretativo. In questo suo ultimo
lavoro Pöggeler offre al lettore alcuni esempi di tale circolarità, e tematizza in particolare la questione di come la coscienza (Besinnung) filosofica, che ogni singolo individuo possiede, possa acquisire una validità oggettiva e incontestabile anche per la
comunità umana. I “passi” di Pöggeler verso una possibile soluzione di questa situazione sono, in realtà, vere e proprie “escursioni” in un territorio filosofico sterminato,
che si estende, a partire dal deserto ghiacciato dell’astrazione hegeliana, fino ai “sentieri interrotti” di Heidegger e dei suoi
allievi.
Dilthey, Bergson, Husserl, Scheler e Misch, soprattutto Oskar Becker, che dopo
Heidegger fu assistente di Husserl, rappresentano le tappe più importanti del percorso teorico di Pöggeler. A questi si aggiungono altri studi monografici su Hans Lipps, Werner Marx, sul circolo filosofico di
Erich Rothacker e dei suoi scolari, tra i
quali Joachim Ritter, Karl-Otto Apel e Jürgen Habermas (il volume ammonta a più di
500 pagine). Nella maggioranza dei casi
l’autore riprende e approfondisce alcuni
motivi conduttori della storia dell’ermeneutica, aiutandosi con numerose citazioni
di testi fondamentali. Il fraintendimento
hegeliano della teoria dell’interpretazione,
gli abbozzi diltheyani sul metodo delle
scienze dello spirito, il distacco di Husserl
dalla filosofia della vita e il suo rivolgersi
“alle cose stesse”, fanno parte del repertorio di Pöggeler quanto le sinuosità del percorso teorico heideggeriano e l’ermeneutica ontologica, velatamente criticata, di H.
G. Gadamer.
Malgrado la chiarezza dell’esposizione e la
gradualità con cui lo studioso ci conduce
passo passo nelle profondità del “circolo
ermeneutico”, alla fine resta però senza
risposta la domanda intorno alla possibilità
di uscire in qualche modo dal circolo, possibilità senza la quale anche la questione iniziale circa l’oggettività e la validità generale
del comprendere resta inevasa. Il limite, o
forse la sfida che Pöggeler con quest’opera
lancia all’ermeneutica odierna, riguarda, allora, la necessità di elaborare dei parametri di
riferimento e dei criteri di giudizio che guidino l’analisi ermeneutica, senza per questo
abbandonare la sua specificità, che è innanzitutto consapevolezza della propria storicità e relatività. A.Mo.
La modernità
in Augusto Del Noce
Nel volume AUGUSTO DEL NOCE. IL PROBLEMA DELLA MODERNITÀ (Edizioni Studium,
Roma 1995) vari autori si propongono
di discutere il significato della modernità nella filosofia di Augusto Del Noce
in relazione a diverse tematiche, tra le
quali emergono il valore del cristianesimo, il rapporto tra ateismo e trascendenza, la nuova struttura politica
della società dopo il crollo del comunismo e dopo la fine del regime fascista,
il legame con il liberalismo, il rifiuto
del pensiero reazionario.
Come viene sottolineato dagli autori presenti nel volume, il complesso rapporto tra
la filosofia di Augusto Del Noce e la modernità non può essere considerato secondo lo schema lineare dell’accettazione o
del rifiuto della modernità. Rocco Buttiglione (Del Noce maestro di filosofia) rileva come per Del Noce la modernità costituisca un “problema” non risolvibile semplicemente attraverso le categorie dell’adesione o della negazione. Infatti, sebbene
40
Del Noce abbia rifiutato determinati aspetti della modernità, non può tuttavia essere
ritenuto un filosofo reazionario, ancorato
alla tradizione. Secondo Del Noce, osserva
Giuseppe Riconda (Del Noce e l’esistenzialismo religioso), il moderno non deve
identificarsi necessariamente con l’ateismo,
ma deve piuttosto essere compreso all’interno dell’alternativa tra trascendenza e
immanenza.
Vittorio Possenti (Ateismo, filosofia e cristianesimo in A. Del Noce) mostra come
per Del Noce siano sbagliate tutte le interpretazioni univoche della modernità, che la
considerano come un “processo unitario”
volto all’affermazione del secolarismo e
della morte di Dio. D’altra parte, come
sottolinea Buttiglione, Del Noce si propone di mediare il cattolicesimo con la modernità, sostenendo il carattere essenzialmente cristiano della filosofia moderna,
intesa come “secolarizzazione del cristianesimo”. La filosofia non deve limitarsi a
registrare le verità eterne, ma deve valutarle in relazione ai problemi del tempo. Secondo Possenti, Del Noce critica il modernismo cattolico, perché finisce per subordinare il cattolicesimo alla cultura laicista
contemporanea.
Un altro aspetto degno di nota, nel contesto
del rapporto della filosofia di Del Noce con
la modernità, riguarda la riflessione sulle
ideologie politiche del comunismo e del
fascismo. Secondo Marcello Veneziani
(Del Noce filosofo del revisionismo in Italia) Del Noce è il filosofo più rappresentativo del revisionismo italiano: la sua analisi
del fascismo è caratterizzata dal legame
che egli individua tra comunismo e fascismo. Rispetto alla filosofia di Marx, la
posizione di Del Noce s’inquadra nell’ottica di un “pensare dopo Marx” e non “contro Marx”. Secondo Veneziani, nella filosofia di Del Noce, che considera il fascismo un male minore rispetto al comunismo, è possibile individuare due esiti del
comunismo: il suo “inveramento nel fascismo”, da una parte; dall’altra l’affermazione del suo risvolto neoborghese, in seguito
alla fine del regime fascista. Come rileva
anche Domenico Settembrini (Borghesia, liberalismo e fascismo), il fascismo,
per Del Noce, rappresenta una manifestazione più moderata del comunismo che è il
tentativo più estremo di «sostituire la religione della trascendenza con la religione
secolare e politica». Del Noce ritiene che
dopo il crollo del comunismo si aprano due
possibilità: il “risveglio religioso” o la
“società del benessere”; del tutto negativa è
invece la società “opulenta” uscita dal crollo
del comunismo, in quanto costituisce una
forma “insidiosa” di totalitarismo, peggiore
dello stesso comunismo e del nazismo.
Dal canto suo, Norberto Bobbio (Del Noce:
fascismo, comunismo, liberalismo) mostra
come Del Noce ritrovi nel fascismo quella
componente spiritualista di cui è privo sia
il materialismo comunista, sia il biologismo nazista. In base all’interpretazione di
TENDENZE E DIBATTITI
Noventa, Del Noce ritiene che l’errore del
fascismo sia un “errore della cultura” e non
“contro la cultura”. Fascismo e antifascismo
sono accomunati dall’errore dell’immanentismo. Tuttavia Bobbio non accetta l’idea
delnociana in base alla quale l’attuazione dei
principi liberali sia possibile solamente all’interno di una società cristiana. Infatti, pur
condividendo la critica delnociana al libertinismo delle società ricche, Bobbio si rifiuta
di coniugare la possibilità della riforma con
“l’intransigentismo cattolico”.
Claudio Vasale (Etica e politica in Augusto
Del Noce) mette in evidenza l’importanza
della tematica della libertà nella filosofia di
Del Noce. Il liberalismo delnociano può
essere definito, nello stesso tempo, postmoderno e antimoderno, in quanto Del Noce si
propone di distaccare il liberalismo dal “razionalismo perfettistico”. Come sottolinea
anche Bobbio, Del Noce, prima di essere un
democratico, è un liberale; la sua visione
della storia è antiperfettistica, poichè egli
considera negativamente la coniugazione di
liberalismo e liberismo nella fiducia cieca
nel mercato. Come rileva Vasale, il liberalismo di Del Noce non è storico, ma etico,
poiché si fonda sulla persona e sulla sua
responsabilità. Egli, infatti, difende una democrazia pluralistica basata sulla libertà etica e sull’adesione al valore trascendente
della metafisica.
L’originalità della posizione di Del Noce nei
confronti della modernità consiste nella sua
critica della visione immanentistica e laicistica della vita, inficiata di ateismo e di
materialismo, senza per questo ricadere in
una posizione di difesa intransigente della
tradizione. Come afferma Riconda, Del Noce
ha saputo coniugare nella sua filosofia due
realtà generalmente separate: tradizione e
avventura. M.Mi.
Femminismo e filosofia
La raccolta di saggi dal titolo: KNOWING
THE DIFFERENCE: FEMINIST PERSPECTIVES IN
(Conoscere la differenza.
Prospettive femministe in epistemologia, Routledge, Londra 1994), a cura di
Kathleen Lennon e Margaret Whitford,
delinea un confronto fra il pensiero femminista e quello postmoderno e individua in quest’ultimo un pericolo dal punto di vista del movimento di liberazione
della donna. Se la ragione e l’oggettività possano offrire un contributo importante alle donne che ricercano una piena eguaglianza è invece l’interrogativo
a cui cerca di dare una risposta il volume a cura di Louise M. Antony e Charlotte Witt, A MIND OF ONE’S OWN: FEMINIST
ESSAYS ON REASON AND OBJECTIVITY (Una
mente propria: saggi femministi sulla
ragione e l’obiettività, Westview/Plymbridge, Glendora 1993) dedicata ad un
confronto con la recente critica femminista della filosofia.
EPISTEMOLOGY
Uno dei temi principali di Knowing the
difference: feminist perspectives in epistemology è rappresentato dal pensiero postmoderno. A prima vista esso sembra essere congeniale al femminismo, in quanto
attacca i medesimi obiettivi: una razionalità compiuta e senza tempo, preesistente in
ogni individuo; una verità come corrispondenza ad una realtà, che è già prodotto delle
categorie razionali, e così via. Ma la risposta che viene dai saggi di Barwell, Fricker, Lovibond e Strickland è che il femminismo deve evitare il pericolo del pensiero postmoderno in quanto pensiero fondamentalmente relativista e nichilista. Per
spiegare la necessità dei cambiamenti che
propone e delineare la portata delle azioni
che dovrebbero condurre ad essi, il movimento femminista deve poter disporre di
un’idea di oggettività senz’altro più forte di
quella postmoderna. Il movimento femminista ha infatti il compito non solo di dimostrare che l’attuale modo dominante di guardare alle cose è socialmente condizionato e
limitato, ma anche di spiegare come e in
base a quali precise direttive dovrebbe essere cambiato. Queste rivendicazioni circa
la necessità e i mezzi per conseguire il
cambiamento devono poter dimostrare una
validità universalmente riconosciuta.
Fra le diverse risposte fornite dagli interventi raccolti nel volume vi è l’invito, variamente formulato, a operare con un ideale regolativo di accordo su un insieme di
verità e modelli di ragionamento, che devono contemporaneamente combinarsi con
un acuto senso della nostra fallibilità e
limitatezza, nel dialogo aperto e rispettoso
con altri punti di vista. Ciò tuttavia, fanno
osservare Dhanda, Seller e Yeatman, non
ci dà indicazioni su come le parti possano
confrontarsi quando provengono da situazioni totalmente differenti, dove non è neppure possibile concepire la possibilità di un
dialogo.
La raccolta A mind of one’s own: feminist
essays on reason and objectivity si apre con
alcuni saggi che si chiedono se il pensiero
dei classici della tradizione filosofica occidentale offra possibilità all’interpretazione
femminista. Marcia Homiak ritiene che il
punto di vista di Aristotele, basato su una
norma di vita che si accorda con la ragione,
non trascuri il ruolo delle emozioni nel
processo raziocinante e non abbandoni l’importanza dell’affetto e dell’affiliazione in
una vita completamente razionale, fornendo un modello di legittimazione delle emozioni che afferma contemporaneamente il
valore dell’autodeterminazione e del rispetto di sé. Annette Baier argomenta invece, sulla scorta di Hume, che la ragione
non sia una facoltà semidivina, ma un elemento naturale che gli esseri umani condividono con le altre creature che apprendono dall’esperienza. Hume anticipa il femminismo moderno nel sostenere che le norme umane siano sociali nella loro genesi
come nella portata dei loro progetti.
Secondo Margaret Atherton, la conce41
zione di Cartesio di una ragione separata e
non condizionata dalla natura del corpo
potrebbe essere il giusto presupposto per
una rivendicazione morale anche in coloro
che vorrebbero operare una discriminazione tra i sessi. A Kant dedica invece la sua
attenzione Barbara Herman, mostrando
come nella Metafisica dei costumi e in altri
scritti il filosofo tedesco sottolinei che l’interesse sessuale nei confronti di un altro
corpo spesso blocca il rispetto dell’altro
come persona, o porti, in altri casi, a offrirsi
volontariamente come oggetto. Il matrimonio sarebbe in tal senso la garanzia
legale che i membri della relazione sessuale siano considerati come persone eguali.
Nella seconda parte del volume vengono
ripresi alcuni aspetti della tradizione filosofica, severamente criticati dal femminismo. Rivolgendosi alle femministe che ritengono si debba rifiutare il concetto di
“donna” in quanto nozione universale, Elizabeth Rapaport riprende l’appello di
Catharine Mac Kinnon per un diritto universale, sostenendo che la legittima preoccupazione di enfatizzare le differenze non
deve portare alla negazione di elementi
comuni nell’oppressione di tutte le donne.
In tal senso, non solo è necessario un concetto di “donna”, ma anche un diverso
concetto universale di “essere umano”.
Secondo Charlotte Witt, nella recente critica femminista della metafisica è stato
fatto uso di un’analisi, essa stessa identificabile come metafisica. Il rifiuto della metafisica e dell’essenzialismo è una posizione teoretica pericolosa per il femminismo e
ci lascia senza risorse per effettuare una
convincente e radicale critica di una società
ingiusta. Louise Antony si confronta con
l’accusa principale del femminismo antianalitico: l’epistemologia tradizionale è
stata influenzata dai maschi nel concepire
la ragione come una facoltà che ci permette
di affermare che una realtà esiste indipendentemente dalla storia e dai concetti umani. Antony sottolinea innanzitutto come
questa critica sia anacronistica: se fossimo
in grado di raggiungere la piena verità,
purificando noi stessi di tutte le influenze
sociali e storiche, e se questo fosse un
progetto effettivamente realizzabile, allora
gli argomenti in favore dell’eguaglianza
sarebbero facilmente dimostrabili.
Infine Jean Hampton sviluppa una teoria
del contratto sociale, attingendo sia da
Hobbes, sia da Locke, e ritiene che sia
possibile trovare in questa tradizione ricche risorse riguardo ai concetti di sfruttamento e manipolazione. Anche qui l’attenzione per il concetto di contratto non implica una sottovalutazione dell’amore e delle
relazioni umane: un tale concetto può accrescere questi legami, anche semplicemente
rendendo le parti consapevoli delle diseguaglianze e delle ingiustizie che possono in
ultima analisi sovvertire la loro relazione. È
solo quando una domanda di giustizia distributiva è stata colta che l’amore può, secondo
Hampton, svilupparsi sinceramente. M.B.
TENDENZE E DIBATTITI
La filosofia europea
nel Nuovo Mondo
Due densi volumi dal titolo: SPECCHI
AMERICANI . LA FILOSOFIA EUROPEA NEL
NUOVO MONDO (a cura di C. Marrone,
G. Coccoli, G. Santese, F. Ratto, Castelvecchi, Roma 1994), raccolgono
gli atti dell’omonimo convegno internazionale svoltosi nell’ottobre del
1991 a Sansepolcro (Arezzo) e all’Università di Roma “La Sapienza”,
con l’intento di gettare nuova luce
su quel fenomeno di reciproco scambio di influenze che oramai da tempo coinvolge tradizione filosofica
europea e Nuovo Mondo.
I due volumi rendono assai bene conto
dei percorsi teorici che tra Europa e Americhe si sono vicendevolmente intrecciati
nel corso del tempo. La prima sezione,
intitolata: “La tradizione filosofica europea”, copre sinteticamente per grandi tappe
l’ampio periodo che va dall’antichità fino
al Novecento, con i contributi di Giuseppina Santese e Alessandra Bertini sulla
ricezione del mondo classico nel pensiero
politico di personaggi come Adams e Jefferson, padri fondatori degli Stati Uniti
d’America; di Guido Coccoli sulla penetrazione di Hegel e dell’hegelismo nell’Ottocento americano; di Franco Ratto su
Giorgio Tagliacozzo, pioniere degli studi
vichiani in America e instancabile portavoce della straordinaria modernità di Vico; di
Stefano Velotti sull’odierna interpretazione americana di Vico che si muove fra i
filoni neopragmatista (R. Rorty), retoricoumanista (M. Mooney) e fantastico puro
(D. Ph. Verene); di Emily Grosholz sull’impatto di Cartesio e Leibniz sulla tradizione
della filosofia analitica americana; e di Paolo D’Angelo sulla lettura dell’Estetica hegeliana da parte del geniale critico americano,
scomparso di recente, Paul de Man.
Tutta dedicata al “Novecento filosofico
americano” nel confronto diretto con la
filosofia continentale è invece la seconda
sezione del volume, che contiene i saggi di
Stefano Catucci sul dibattito americano
aperto dalla fenomenologia di ispirazione
husserliana; di Elena Tavani sul rapporto
anche difficile di Adorno con la cultura
americana e il confronto con la proposta
ermeneutica di Fredric Jameson, largamente
influenzata proprio da Adorno; di Paolo
Vinci sulla filosofia neopragmatistica di
Richard Rorty, che discute ampiamente tematiche importanti del pensiero heideggeriano, e non solo; di Giovanna Borradori su
Stanley Cavell e la sua estetica neo-scettica;
e di Franco Restaino sul dibattito intorno
alle diverse forme di realismo, con particolare riferimento a Goodman e Putnam.
La successiva sezione, “Linguaggio e scienza”, affronta alcuni punti nodali del pensiero epistemologico contemporaneo, investendo soprattutto l’ambito logico, linguistico e biologico-evoluzionistico: il razio-
nalismo di origine cartesiana all’interno
della concezione linguistica di Chomsky è
il tema del contributo di Caterina Marrone; Guido Frongia e Massimo Parampolini riflettono, rispettivamente, sulle interpretazioni di Wittgenstein elaborate da
Rorty e da Saul Kripke; il pensiero di
William James viene indagato a partire da
problematiche presenti nella filosofia di
Bergson da Stefania Mariani; le radici
darwiniane di Gregory Bateson sono al
centro del contributo di Anna Ludovico;
mentre sugli sviluppi in America settentrionale del dibattito sui temi della prospettiva, della rappresentazione, della percezione e della visione si sofferma Kim H.
Veltman, mettendo in evidenza soprattutto le radici europee delle concezioni americane.
“Etica e politica” costituisce l’ambito tematico entro il quale si collocano i contributi della quarta sezione, che affrontano
temi e problemi attualissimi anche nel dibattito etico-politico del nostro paese. Si va
così da Luciana Fiore, che interviene sulla
concezione della democrazia del più noto
filosofo americano Richard Rorty, a Stefano Petrucciani, che analizza la rilettura e
la riscoperta del pensiero di Marx da parte
della filosofia analitica americana; dal contributo di Giuseppe Turco Liveri sui critici americani del Liberalismo, a quello di
Francesco Saverio Trincia sui temi della
libertà e della razionalità complessa nella
teoria dell’agire di Jon Elster; e ancora da
Katia Tenenbaum, che si sofferma sull’influenza dell’esperienza americana sul
pensiero di Hannah Arendt, a Eugenio
Lecaldano, che riflette sul significato della teoria dell’etica nel più noto tra i pensatori morali americani, Alasdair MacIntyre,
e infine a Avrum Stroll, che interviene
direttamente come protagonista nel dibattito sulle teorie morali in America.
Una sezione a parte è inoltre dedicata a l’
“Identità latino-americana”, la cui idea cardine è rappresentata dalla necessità, da più
parti avanzata, di una filosofia della liberazione, con gli interventi di Arturo Rico
Bovio, di Afrian Renteira Diaz e Jairo A.
Taborda, che si fanno promotori di un
rinnovato progetto filosofico per l’America latina.
Chiude il secondo volume la sezione dal
titolo “Psicoanalisi e filosofia”, che presenta alcuni recenti sviluppi della ricerca
psicoanalitica statunitense: Fiorella Bassan analizza la rilettura del pensiero di
Jung nella cultura americana, illustrando,
inoltre, il lavoro di indagine dell’Istituto
Jung di New York nel campo dell’immagine mitica; Dino Ferreri prende in considerazione il complesso pensiero di Heinz
Kohut, il più significativo esponente della
scuola americana di psicoanalisi; Arcangelo Rosati, infine, esamina e discute la
cosiddetta pragmatica della comunicazione umana di P. Watzlawick, ossia la teoria
del comportamento/comunicazione nei sistemi di relazioni interpersonali. G.P.
42
Itinerari medici
ed epistemologici
Il contesto umano-scientifico in cui
oggi i medici si trovano a operare è
in forte degrado, a causa del dilagare di tecnologie sempre più avanzate e il venir meno di una coscienza
medica. Questa la situazione che
emerge dallo studio di Guido Bertolini, DIVENTARE MEDICI (Guerini e Associati, Milano 1994), che analizza e
mette in crisi l’attuale ruolo del
medico e della medicina, e dal saggio di Henrik R. Wulff, Stig Andur
Pedersen, Raben Rosenberg, FILOSOFIA DELLA MEDICINA (trad. it. di A. Parodi, Raffaello Cortina Editore, Milano
1994), che propone il confronto tra
un medico, un filosofo e uno psichiatra sull’arte medica. A ciò si aggiunge una serie di riflessioni sul
tema di Hans-Georg Gadamer, che
in varie interviste, raccolte in DOVE SI
NASCONDE LA SALUTE (a cura di A. Grieco e V. Lingiardi, trad. it. di M. Donati e M.E. Pozza, Raffaello Cortina
Editore, Milano 1994), affronta il rapporto tra salute malattia, criticando
quella categoria di scienziati che si
orientano verso una eccessiva settorializzazione del sapere a danno
dell’irripetibilità dell’individuo.
La questione che Guido Bertolini solleva in Diventare medici è quella della
difficoltà di ricuperare una coscienza
medica all’interno di un nuovo rapporto
medico-paziente; il problema mostra
caratteri epistemologici, se inquadrato
in un’operazione di smascheramento dei
falsi miti di una scienza medica considerata onnipotente. La messa in discussione delle nuove teorie scientifiche e, di
conseguenza, del ruolo del medico è il
modo con cui Bertolini cerca di trovare
soluzioni alternative alle carenze culturali attuali, che essenzialmente rispecchiano una mancanza di attenzione nei
confronti del singolo soggetto e della
sua condizione esistenziale di malato.
Per quanto riguarda la problematica medica, le responsabilità, oltre che del singolo medico, sono da attribuire all’intero sistema sociale. Con Filosofia della
medicina, Henrik R. Wulff, Stig Andur
Pedersen, Raben Rosenberg propongono un itinerario di riflessione per tutti
coloro che sentono l’urgenza di un
cambiamento radicale in tema di etica
medica.
A partire da grandi pensatori quali
Heidegger, Freud, Jung, il testo analizza
posizioni mediche, filosofiche e psicologiche, con l’intento di recuperare il
concetto di persona quale individualità
irripetibile dotata di spessore esistenziale. Un intero capitolo è dedicato all’angoscia heideggeriana, legata alla comprensione del mondo e della morte: aspet-
TENDENZE E DIBATTITI
Ubaldo Oppi, Les Trois Chirurgiens (1962, part.)
43
TENDENZE E DIBATTITI
to fondamentale per quanto riguarda una
ridefinizione di rapporto medico-paziente.
La medicina, dal punto di vista ermeneutico, non può limitarsi ad una applicazione
tecnica sull’individuo, come se fosse un
oggetto da riparare, ma deve recuperare il
suo ruolo di missione e di servizio nei
confronti di un individuo che è in primo
luogo persona e che, come tale, richiede
attenzione e ascolto. Il venir meno di un
atteggiamento nichilista da parte dei medici e delle strutture sanitarie consentirebbe
al malato, e non solo a lui, di ristabilire
rapporti comunicativi, parallelamente ad
un recupero coscienziale dell’indistruttibile bisogno di libertà che vige in ogni individuo.
L’interesse per una concezione umana della medicina, che Hans-Georg Gadamer
manifesta in Dove si nasconde la salute,
non è un fatto nuovo; l’eccezionalità consiste nell’approccio al problema. Gadamer
propone un’analisi dei pregi e dei limiti
della scienza moderna e del suo uso odierno. Il dramma consiste nella perdita del
valore dell’arte medica, quale “vicinanza”
tra medico e paziente, e insieme nella perdita del senso della propria libertà e pienezza spirituale a vantaggio di una percezione
parcellizzata dell’individuo. La conseguenza più grave, fa notare Gadamer, è che
medico e paziente si riducono reciprocamente a ruoli, rinunciando all’aspetto che li
caratterizza innanzitutto, il loro essere persone, il loro «essere fini a se stessi».
In uno dei capitoli del testo la riflessione di
Gadamer solleva l’impossibilità di oggettivare la salute, in quanto appartenente alla
categoria “dell’esserci”, operazione che la
scienza moderna attua riducendo la salute a
puro sentirsi, con il conseguente distacco
(concettuale) che ne deriva fra corpo e
spirito. Il lavoro di autopercezione e autocritica si dà come premessa necessaria in
un dialogo autentico fra medico e paziente,
atto a stabilire un equilibrio tra misure di
intervento tecnico e umano.
A tal fine Gadamer ripropone il recupero
delle antiche terapie naturali e uno stile di
vita sano, in cui corpo e mente, conscio e
inconscio raggiungano un’armonia; un ripristino, in tema di salute, della “giusta
misura” dei Greci. Si tratta di un atteggiamento che Gadamer ritiene non solo realizzabile, ma necessario in un contesto dove
prevarica il concetto di patologia a scapito
della prevenzione e della platoniana cura
dell’anima. D.M.
L’inconscio di Freud
Psichiatra di formazione psicoanalitica, Pierre Raikovic, ne LE SOMNEIL DOGMATIQUE DE FREUD (Il sogno dogmatico
di Freud, SYNTELABO, LE PLESSIS-ROBINSONS 1994), sostiene la tesi di un Freud
antifilosofo, che disconosce il suo grande debito nei confronti del pensiero
filosofico, in particolare di Kant e
Schopenhauer. nella storia la scoperta freudiana dell’inconscio è anche il
proposito di Gladys Swain in REVISITER
FREUD (Rivisitare Freud), che figura
come contributo al volume di autori
vari, DIALOGUE AVEC L’INSENSÉ. ESSAIS D’HISTOIRE DE LA PSYCHIATRIE (Dialogo con
l’insensato. Saggio di storia della psichiatria, Gallimard, Parigi 1994), a cura
di Marcel Gauchet.
Oltre a ripercorrere l’evoluzione e i vari
aggiustamenti della teoria freudiana, Le somneil dogmatique de Freud rimette in questione uno dei postulati della psicoanalisi, sostenendo la tesi della discontinuità tra l’ordine
della normalità e quello della patologia nella
vita psichica. Ma al centro di quest’opera vi
è in particolare la ripresa del noto dibattito
sul rapporto tra Freud e la filosofia.
Già a partire dagli anni ’70 Pierre Raikovic aveva trovato nel repertorio filosofico
tracce di quella che Freud considerava una
sua scoperta, l’inconscio. Ciò che Raikovic
prende di mira in questo suo lavoro è l’ostinazione di Freud nel voler rivendicare l’assoluta originalità dell’Es, frapponendo una
barriera tra la tradizione filosofica e le sue
osservazioni e teorie. Il titolo dell’opera,
volutamente polemico, riprende la nota
espressione usata da Kant per riconoscere a
David Hume il merito di averlo “svegliato”
dal suo idealismo metafisico. Per Raikovic
infatti, nella distinzione freudiana tra inconscio e coscienza si ripropone, sotto altre
vesti, il vecchio dualismo metafisico e teologico tra l’essere infinito e soprannaturale
e la realtà finita e terrestre.
Ripercorrendo tutta la tradizione filosofica
occidentale da Platone e Aristotele a
Cartesio e Kant, fino a Schopenhauer e
Heidegger, Raikovic mostra come il concetto freudiano di inconscio rientri nel paradigma della metafisica, non essendo altro che una variazione dell’idea di trascendenza, alla stessa stregua dell’ “idea trascendentale” e dell’ “Essere supremo”. Se
attraverso questi ultimi concetti si voleva
esprimere il carattere non esaustivo e quindi in qualche modo illusorio della realtà
empirica, con la nozione di inconscio viene
messo in luce il lato patologico del pensiero, ovvero il suo essere il risultato di un
meccanismo di difesa che non consente di
conoscere le proprie pulsioni e l’ “inquietante alterità” del mondo. Proprio in quanto
ritenuta uno dei generi più esemplari di
“pensiero individuale”, la filosofia viene
rifiutata da Freud come strumento di conoscenza. La filosofia, osserva Raikovic, è
44
per Freud il frutto di un processo patologico
che avanza come la paranoia, è un modo di
pensare analogo alla schizofrenia, che appartiene al registro della psicosi.
Raikovic mostra quindi la contraddittorietà
tra queste convinzioni di Freud e i debiti del
padre della psicoanalisi verso i filosofi, individuando sorprendenti analogie tra la prosa
freudiana e quella schopenhaueriana, nonostante Freud abbia affermato di aver letto
troppo tardi Schopenhauer per esserne stato
influenzato. Un esempio è costituito dalla
nota metafora del processo di “censura”.
Freud scrive, a tale riguardo, che un guardiano «ispeziona ogni tendenza psichica e le
impedisce di entrare in salone se non gli
piace»; in un testo di Schopenhauer leggiamo che la Volontà «fa la sua entrata come il
sultano nella sala del Divano per pronunciare come al solito un assenso o un rifiuto». Ma
Raikovic si spinge oltre, cercando anche le
influenze filosofiche indirette al pensiero
freudiano: essa individua nel noumeno un
antenato della Volontà e in Kant, dunque, il
padre dell’irrazionalismo di Schopenhauer.
Attingendo al pensiero di quest’ultimo, Freud
avrebbe così, «senza mai rendersene conto»,
ripreso lo schema fondamentale della filosofia kantiana, tant’è che l’inconscio risulterebbe
riducibile ad una “idea trascendentale”.
In una prospettiva per certi aspetti analoga a
quella di Raikovic, volta al recupero della
tradizione filosofica, si muove Gladys Swain
nel saggio Revisiter Freud, contenuto in
Dialogue avec l’insensé. Essai d’histoire de
la psychiatrie, opera postuma di Swain.
Psichiatra scomparsa nel 1993, Swain affronta la questione con un approccio di tipo
storicistico, con l’obiettivo di reinscrivere
nella storia una scoperta, quella dell’inconscio, che non è arrivata come un fulmine a
ciel sereno, ma ha avuto una gestazione
plurisecolare. Pinel, che ha per primo riconosciuto l’esistenza di una sfera psichica, è
considerato da Swain il pioniere. Una serie
di testi filosofici inquadrano il prima e il
dopo della rivoluzione di Pinel. Mentre Kant
e Maine de Biran restano al di qua della
soglia psichiatrica, in quanto continuano a
pensare che ci siano solo ragione e soggetto
tutti interi, Hegel, con grande penetrazione,
coglie la novità della concezione di Pinel e si
congratula con lui per «aver scoperto quel
che resta della ragione nei malati di mente e
nei maniaci» e per aver individuato in questo
il principio della loro guarigione.
È proprio alla concezione moderna del soggetto, secondo cui la follia cessa di essere lo
spossessamento irrimediabile e completo del
sé, che Swain attribuisce la nascita della
psichiatria. Nel 1800 il lavoro di Pinel annuncia che la follia non è un male incurabile
come si credeva, inaugurando così la psichiatria e ponendo le basi per la nascita della
psicoanalisi nel secolo successivo. Swain
pone la sua lettura in antitesi a quella di
Foucault, secondo il quale la nascita della
psichiatria era l’epilogo di una concezione
della follia che portava rinchiudere i malati
di mente con il pretesto di curarli. A.M.
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Meyer Schapiro: storia dell’arte,
marxismo e psicanalisi
Con il titolo:
THEORY AND PHILOSOPHY OF
ART: STYLE, ARTIST AND SOCIETY
(Teoria e
filosofia dell’arte: stile, artista e società, Braziller, New York 1994), è uscito
il quarto volume delle opere scelte
dello storico dell’arte Meyer Schapiro.
Il volume comprende alcuni saggi, per
lo più databili a partire dagli anni Sessanta, dedicati a questioni generali di
teoria dell’arte, che permettono un
confronto fra marxismo, psicoanalisi
e metodologia della ricerca storica
applicata al campo artistico.
Questo quarto volume delle opere scelte di
Meyer Schapiro giunge dopo i volumi
dedicati all’arte romanica, Romanesque Art
(vol. I, 1977), a quella del XIX e XX
secolo, Modern Art: 19th and 20th Centuries (vol. II, 1979) e a quella antica e
medievale, Late antique, early christian,
and medieval Art (vol. III, 1979). Nel saggio del 1966, Sulla perfezione, coerenza e
unità di forma e contenuto, Schapiro mostra, in opposizione alle teorie di Panofsky,
che questo rapporto fra forma e contenuto
potrebbe essere latitante in grandi capolavori, mentre potrebbe essere presente in
opere inferiori e descrive la cattedrale di
Chartres come modello di grandezza artistica, nonostante la sua incompiutezza ed
inconsistenza stilistica. Di solito, sottolinea Schapiro, contempliamo l’opera d’arte, concentrandoci soltanto su alcuni selezionati aspetti di essa e in funzione dell’esperienza passata. Ma la visione critica
dell’arte non è una singola, quasi mistica,
percezione dell’opera d’arte, bensì un processo graduale e collettivo. In questo Schapiro utilizza la sua conoscenza del marxismo per individuare nelle tensioni sociali e
nel senso di alienazione quelle cause che
danno vita a stili e forme, che possono
apparirci nel medesimo tempo espressive e
incoerenti.
Schapiro divenne noto nel mondo accademico dopo il 1930, attraverso i suoi studi
sulla scultura romanica. A Moissac scoprì
un’arte religiosa che mostrava molti segnali di conflitto tra un primitivismo arcaico e
un crescente realismo, tra una rigorosa co-
ordinazione e un’agitata tensione. Il processo di astrazione nell’arte romanica, osservava Schapiro, implica un’audace distorsione delle figure ideali e simboliche
per fini espressivi. Molti aspetti dell’arte
moderna furono così scoperti sperimentalmente da pittori che cercavano libertà fuori
dalla natura e dalla società e negavano
consapevolmente gli aspetti formali della
percezione che entrano nelle relazioni pratiche fra uomo e natura. Così nel saggio su
La scultura di Souillac, Schapiro mostra
come la scultura abbia cominciato ad emergere, in forma di rappresentazione autonoma, ai margini dell’arte religiosa come una
meravigliosa tecnica immaginativa, indirizzata alla fantasia secolare, pur essendo
governata dal contenuto e dai livelli materiali dell’esperienza sociale. La scultura
romanica si rivela in questo precorritrice
dell’arte moderna.
Negli anni Quaranta Schapiro ha allargato
il campo dei suoi interessi all’arte medievale e nell’articolo del 1943, L’immagine
del Cristo svanente, mostra come i dipinti
inglesi dell’Ascensione intorno all’anno
Mille, nei quali solamente le gambe o i
piedi di Cristo erano rappresentati ed il
resto del corpo scompariva tra le nubi,
abbiano sviluppato una nuova variazione
rispetto alle versioni del primo cristianesimo. Schapiro collega questa immagine alle
tendenze empiristiche e pragmatistiche, già
evidenti in Inghilterra. La scena è concepita dal punto di vista degli Apostoli come
testimoni dell’Ascensione: è la loro reale
visione della scomparsa di Cristo che rimpiazza l’immagine visionaria e teologica
della trionfale ascesa di Gesù. Il fatto che
l’aspetto soggettivo e individuale del sentimento religioso potesse esprimersi in questo modo nell’arte indica, secondo Schapiro, il peso dell’elemento popolare, individuale e contemporaneo, contro le stabilizzate forme istituzionali.
Nel quarto volume delle Opere scelte troviamo il saggio del 1953, Stile, in cui Schapiro
delinea un’ampia rassegna dei differenti concetti di stile, a cui gli storici dell’arte hanno
fatto ricorso dall’inizio del secolo. Qui si
mostrano i limiti in cui si incorre quando si
considera lo stile un concetto unificante e
totalizzante. Schapiro sottolinea inoltre il
suo scetticismo nei confronti di spiegazioni
45
basate su caratteri etnici o nazionali, sviluppatesi soprattutto nel corso degli anni Trenta,
e mostra come non vi sia corrispondenza
uniforme fra le caratteristiche di una cultura
e quelle della sua arte. Dal punto di vista di
una interpretazione sociale dello stile, i marxisti, osserva Schapiro, sono fra i pochi che
abbiano tentato di applicarne una teoria generale, che tuttavia è stata raramente applicata con un vero spirito di indagine.
In un saggio su Heidegger e Van Gogh si
muove alla difesa dell’opera e della storia
personale del pittore contro il fraintendimento del filosofo: quest’ultimo ha ricavato
uno scenario patetico di associazioni fra i
contadini ed il suolo che non sono avvalorate
dal dipinto stesso. Presunzione superficiale
di un’interpretazione metafisica che ignora
il lavoro dell’artista e le sue intenzioni in un
determinato momento della sua vita. Schapiro accusa Heidegger di trascurare la presenza dell’artista nell’opera.
Per quanto riguarda il rapporto dell’arte con
la psicoanalisi, questa non deve necessariamente, secondo Schapiro, escludere o contraddire l’interpretazione sociale. Ritenendo
che la psicoanalisi potesse aprire la porta ad
aspetti della produzione artistica altrimenti
difficili da cogliere, Schapiro si rivolge a
Freud, ma ben presto se ne distanzia, convincendosi che anche i livelli più profondi ed
inconsci del lavoro artistico siano il risultato
di specifiche circostanze sociali. Nel saggio
del 1956, Freud e Leonardo: uno studio di
storia dell’arte, Schapiro delinea le apparentemente inconciliabili differenze fra l’approccio analitico e quello storico, ritenendo
scorretto contrapporre spiegazioni storiche
o sociologiche a quelle psicologiche, in quanto anche le prime sono in parte psicologiche.
Nel tentativo di risolvere il dilemma tra
Marx e Freud, nel 1968 Schapiro pubblica un
saggio su Le mele di Cezanne, dove mostra
come il pittore francese usi la mela, motivo
con associazioni erotiche risalenti ai miti
antichi, come uno strumento per esprimere e
sublimare le sue più profonde ansietà e desideri; da qui la conclusione che in una società
ordinata, caratterizzata da cose e rapporti
perfettamente sottomessi (le mele), l’artista
può rappresentare le tipiche relazioni dell’essere umano come la solitudine, il conflitto, l’accordo, la lusinga ed anche gli stati di
godimento e di esaltazione. M.B.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Ferdinand de Saussure
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PROSPETTIVE DI RICERCA
Manoscritti “americani”
di de Saussure
Con il titolo: MANOSCRITTI DI HARVARD (trad.
it. di R. Petrilli, Laterza, Roma-Bari 1994),
è stata pubblicata in Italia, in prima
edizione mondiale, una raccolta di scritti
di Ferdinand de Saussure. Il volume, a
cura e con introduzione di Herman Parret, è attraversato da una guida alle
tematiche trattate: linguistica generale, fonetica, grammatica e mitografia.
Frammentari, ma spesso illuminanti,
questi scritti possono essere letti anche come nuove chiavi interpretative
della teoria linguistica saussuriana.
Presso la Houghton Library, sezione manoscritti e libri rari della Widener Memorial
Library, la biblioteca dell’Università di Harvard (Cambridge, Massachussetts, USA)
giacciono inediti, sin dal 1967, alcuni manoscritti di Ferdinand de Saussure, acquisiti
grazie all’interessamento del linguista russo
Roman Jakobson. La prima selezione antologica di questi scritti, che porta il titolo di
Manoscritti di Harvard, appare oggi in italiano. Il criterio della cernita, come sottolinea Herman Parret nel suo ampio e illuminante saggio introduttivo, Riflessioni saussuriane sul Tempo e sull’Io, consiste nella
volontà di presentare i testi maggiormente
contigui a problemi di filosofia del linguaggio.
Costituiti da fogli lacunosi, schede, disegni,
frammenti enigmatici o addirittura umoristici, questi manoscritti si configurano in una
fitta trama di citazioni, riprese, rinvii a scritti
anteriori o progettati: di fronte a notevoli
difficoltà di interpretazione, Parret ha voluto
approntare una guida ragionata per rendere
meglio intelligibili i percorsi di indagini. Tra
le sezioni presentate nel volume troviamo la
fonetica, di cui Saussure dà la seguente definizione: «Fonetica acustico-fisico-fisiologica» , una equivalenza che individua la necessità di conoscere la “macchina” di produzione delle “unità acustiche” della lingua. Il
fenomeno fonetico sottostà a quello acustico: la prima immagine delle parole, a livello
cerebrale, è di tipo acustico, per cui la fonologia, che si occupa solamente delle parole,
e la fisiologia, che indaga i meccanismi di
fonazione, risultano ridimensionate nell’ambito della linguistica. Quest’ultima non si
identifica però con la psicologia: «L’atto
linguistico sta nell’associazione tra un concetto psichico e un’immagine acustica».
De Saussure intende giungere a una “fonetica semiologica generale” o “pura”, ovvero
“semiologia del fonema”, che consideri in
special modo il fonema in quanto opposto al
silenzio, lo stagliarsi uditivo delle lettere di
fronte al silenzio. L’ “orecchio” viene quindi
descritto come l’analizzatore delle somiglianze “quantitative”, per la sua capacità di
distinguere le consonanti dalle vocali; si
delinea altresì una sfera qualitativa, la “sfera
fisica”, sulla superficie della quale somiglianze, identità e differenze si profilano
come rilievi. «Per l’orecchio il tempo è ciò
che lo spazio è per la vista», afferma de
Saussure; la catena fonetica è dunque una
vera e propria realtà fisica.
I manoscritti parlano inoltre di un temposfera, opposto al tempo lineare, a partire dal
quale soltanto si ha la percezione, parlando,
di ciò che diciamo: de Saussure considera
queste due dimensioni in contrasto con la
temporalità dei suoni «furtivi, fugaci, transitori». Esiste una tensione tra il fonema e
l’ambiente nel quale esso agisce che comporta differenziazioni a livello percettivo del
soggetto che le sperimenta. Quest’ultimo è
un “Soggetto Logico” (in quanto non creatore di atti linguistici) definito anche da de
Saussure un “Io-Sonno”.
Emerge qui l’influenza che esercitarono su
de Saussure le mitografie e le filosofie della
letteratura vedica. Cultore di testi quali il
Mahabharata e la Bagavad-Gita, egli trae da
essi le basi di una epistemologia non antropocentrica: la perfezione dell’io consiste
nell’uomo che dorme senza sognare, perfetto spirito senza coscienza del proprio io e
unica autentica rappresentazione di quest’ultimo. De Saussure giunge ad asserire che «il
conflitto tra l’India e il nostro pensiero occidentale» si delinea nel fatto che esso ha
sempre considerato l’io come conoscitore
delle proprie impressioni e opposto al nonio, mentre per tutte le dottrine indiane l’io è
escluso dalle sensazioni. La “carriera” (nel
duplice senso, quello antico di “cava” da cui
ricavare i materiali per una costruzione, e
quello etimologico, di “via intrapresa”) dell’Io-sonno si spinge verso il suono-vuoto,
creando un soggetto purificato da ogni contenuto (regola principale della fonetica semiologica); è attraverso il silenzio e le sue
interruzioni che il mondo sa direzionare al
nostro “orecchio” i suoi messaggi sonori.
M.G.B.
Illuminismo e matematica
nel Settecento francese
I lavori di Eric Brian, ricercatore al
Centre Alexandre Koyré d’Histoire des
Sciences et des Techniques di Parigi,
costituiscono un aspetto rilevante dell’attività di ricerca sulla storia delle
matematiche condotta in questo centro. Ora, il suo LA MESURE DE L’ETAT.
ADMINISTRATEURS ET GÉOMÈTRES AU XVIII
SIÈCLE (La misura dello Stato. Amministratori e geometri nel XVIII secolo,
Albin Michel, Parigi 1994) offre uno
studio sul pensiero matematico del
secondo Settecento francese e sui suoi
rapporti con la cultura illuminista. Il
testo eredita d’altra parte, mantenendola viva, la tradizione storiografica di
quel Centre de Synthèse che tanta
parte ha avuto nell’elaborazione della
cultura storica e filosofica francese contemporanea.
47
Pubblicato nella «Bibliothèque de Synthèse Historique», che fu di Henri Berr, questo studio di Eric Brian si propone di
analizzare le origini della moderna scienza
statistica nella seconda metà del Settecento
francese attraverso un esame delle interazioni tra l’evoluzione dell’analisi matematica e del calcolo delle probabilità, da una
parte, e le spinte innovatrici in seno all’amministrazione statale dall’altra, mettendo
in evidenza l’apporto che il nuovo approccio teorico, sviluppato dai pensatori dell’Illuminismo, e lo sviluppo delle matematiche hanno recato nelle pratiche dell’amministrazione pubblica francese. Se dunque il
suo oggetto proprio consiste in uno studio
di «un momento in cui storia delle scienze
e storia dell’amministrazione si incontrano», questo studio si rivela ben presto per
una ben più ampia trattazione della scienza
illuminista alla vigilia della rivoluzione e
del quadro civile e politico in cui si svolgono le vicende del calcolo matematico.
Muovendosi attraverso ambienti apparentemente eterogenei quali il circolo di Turgot e la scuola di D’Alembert, l’amministrazione dello Stato e l’Accademia delle
Scienze, Brian si propone infatti di mostrare come dietro le trasformazioni nell’amministrazione statale francese si celi il programma di riforma della monarchia cui
lavoravano le élites francesi negli anni
immediatamente precedenti la rivoluzione. I legami che collegano Condorcet e
Turgot, D’Alembert, Laplace e ancora
Condorcet delineano una tesi storiografica
di fondo che supera abbondantemente i
confini della “scienza della popolazione”:
la progressiva trasformazione del clima
culturale e delle attività scientifiche durante la seconda metà del XVIII secolo ha
consentito alle esigenze di razionalizzazione presenti negli ambienti più avanzati
dell’amministrazione dello Stato nella vita
culturale francese fin dalla Reggenza di
ottenere una legittimità scientifica prima
negata.
Lo sviluppo rigoglioso dell’analisi e del
calcolo delle probabilità diviene in tal modo
la trama di un’impresa intellettuale e scientifica di cui Condorcet e Turgot, Laplace,
Vauban, Monge e Du Séjour sono le figure
principali e in cui le discussioni di natura
scientifica prodotte dall’Académie des
Sciences appaiono legate a filo doppio alle
spinte innovatrici e riformatrici presenti all’interno dell’amministrazione dello Stato.
In questa vicenda, Turgot diviene il capofila di quell’élite riformatrice e illuminista
che, dall’interno dell’Amministrazione, ricerca nella collaborazione con la communauté savante la necessaria legittimazione
scientifica alla propria prospettiva di razionalizzazione dello Stato; mentre Condorcet rappresenta colui che fino alla rivoluzione trasformerà progressivamente l’Académie nel luogo deputato all’elaborazione
del nuovo sapere e alla sua circolazione
verso le esigenze amministrative e di governo. Esaurita, con la rivoluzione, la spin-
PROSPETTIVE DI RICERCA
ta di rinnovamento culturale e civile dell’Illuminismo, il procedere delle scienze
statistiche e demografiche viene infine ripercorso da Brian nel suo protrarsi fin nella
prima metà del XIX secolo.
Eric Brian realizza con questo libro un
interessante esempio di ricostruzione storica in cui pensiero filosofico, mutamenti del
clima culturale ed evoluzione delle scienze
vengono analizzati a partire dalle loro concrete interazioni e dagli effetti che hanno
potuto produrre sull’organizzazione del
sapere. Il testo, d’altronde, mostra una notevole consapevolezza metodologica: lungi dal procedere a caso, Brian critica con
forza il riduzionismo quantitativo che caratterizza al giorno d’oggi gran parte della
storiografia delle scienze sociali, rivendicando invece fortemente «la priorità dell’analisi genetica delle categorie della comprensione nel campo delle scienze sociali»,
e osservando che un appiattimento nella
contemporaneità, risultato di confronti diretti di risultati di discipline scientifiche
condurrebbe a «rinunciare al progetto di
scientificità delle scienze sociali.» Tale rivendicazione costituisce senz’altro uno degli aspetti più interessanti della ricerca di
Brian. La centralità della dimensione storica è infatti riaffermata come conditio sine
qua non per una piena comprensione dell’evoluzione della scienza e condizione di
scientificità per uno studio quantitativo dell’evoluzione delle scienze sociali.
Il testo riflette così la nuova metodologia
storiografica, sviluppata da alcuni giovani
studiosi, che senza troppi manifesti programmatici o “dichiarazioni d’intenti” si
applica diligentemente ad uno studio della
realtà storica nella molteplicità delle sue
componenti significative. Non è quindi
questione di dimostrare “a priori” la tesi
che vi siano state delle interazioni tra scienza, filosofia e nella gestione della cosa
pubblica: Brian si limita, ma lo fa in maniera assai accurata, a ripercorrere un problema storiografico, il rinnovamento del sistema di amministrazione anagrafica nella
Francia della fine del Settecento e, per
poter comprendere appieno l’evoluzione
di tale questione, si trova poco a poco
trascinato in una trattazione dei differenti
aspetti che tale processo mette in gioco.
Il lavoro di ricostruzione storiografica qui
presentato risulta allora pienamente indicativo del metodo di lavoro proprio di chi
opera presso il Centre Koyré: la centralità
della dimensione storica ne fa un luogo
strettamente legato agli studi storici, ma in
cui ciò avviene senza chiusure e, allo stesso
tempo, senza rincorse a preconcette “multidisciplinarietà”. L’interazione tra le varie
discipline e tra i differenti fenomeni culturali vi appare invece come una realtà di
fatto che proviene dallo spirito aperto con
cui questi ricercatori, e Brian in particolare,
ripercorrono i fenomeni trattati. Qui l’accuratezza filologica e l’ampiezza del tema
vengono bilanciati con un savoir faire che
rende il testo un equilibrato ed utile stru-
mento di lavoro per chi si occupa della
storia del XVIII secolo. Certo, siamo lontani dalle magistrali “riflessioni” di Koyré.
Tuttavia, la scuola è quella e l’approccio
ragionato alla storia, che non la riduca ad
una semplice ricerca di documenti, è chiaramente rintracciabile nei giovani studiosi.
In questo senso, le mediazioni di Coumet,
di Taton, di Costabel, si fanno sentire,
assicurando al Centro un ottimo livello
scientifico. In questa implicita moderazione e serietà di lavoro sta la professionalità
dei ricercatori del Centre Koyré. L.S.
Scritti di Seneca
Sono stati pubblicati, raccolti in un
solo volume a cura di Giovanni Reale,
TUTTI GLI SCRITTI IN PROSA (trad. di A.
Marastoni e M. Natali, Rusconi, Milano 1994) di Lucio Anneo Seneca. A ciò
si affianca la pubblicazione, a cura di
Concetto Marchesi, dell’opera che
meglio esprime la visione etica di Seneca, LA DOTTRINA MORALE (Laterza, BariRoma 1994).
La raccolta di scritti di Lucio Anneo Seneca, curata e introdotta da Giovanni Reale,
comprende i dialoghi, tra cui La brevità
della vita e La tranquillità dell’animo, e i
trattati, tra cui La clemenza e le Lettere a
Lucilio. Il presupposto che regge questa
raccolta consiste nel forte legame esistente
tra la biografia e la produzione filosofica di
Seneca che, secondo Reale, riconduce l’intera sua produzione a pochi concetti essenziali, riscontrabili in tutti i suoi scritti.
La vita tormentata del filosofo, di cui Reale
ricorda il periodo dell’esilio, la morte prematura dei suoi cari, il rapporto con Nerone
e infine la condanna al suicidio, si riflette in
un pensiero volto essenzialmente alla ricerca della serenità. Qui la felicità non è
intesa come raggiungimento edonistico del
piacere, bensì come ricerca della virtù e
della pace con se stessi, attraverso una
valutazione razionale delle cose. La filosofia diventa per Seneca terapia dell’animo e,
conseguentemente, ricerca etica per l’etica; una filosofia profondamente influenzata, da una parte, dall’ellenismo stoico ed
epicureo e, dall’altra, dal platonismo di
Filone. Il risultato, osserva Reale, consiste
in una riproposizione del neo-platonismo
cristiano, imbevuto, però, di elementi classici ed ellenistici.
L’etica di Seneca viene legittimata dalla
cosmologia, descritta e spiegata ampiamente nelle Lettere. Tema centrale è quello
della giustificazione della natura, spiegata
attraverso l’incontro di due principi, quello
attivo e quello passivo, presenti nell’universo. Lo stoicismo fa da sfondo a questa
interpretazione della natura corporeista e
panteista, in cui la presenza di Dio rende
viva e razionale la natura nella sua interez48
za. Ed è ancora lo stoicismo antico ad
influenzare Seneca nell’identificazione di
Dio con la Provvidenza ed il Fato. Ancora
nelle Lettere, infatti, si coglie la concezione di un Dio razionale che giustifica e
legittima ogni evento, considerato perciò
sempre sensato. La visione ciclica dell’universo, infine, accosta ancora la filosofia di
Seneca al pensiero di Zenone. La conflagrazione universale, infatti, spiega la nascita e il procedere circolare dell’universo,
giustificato in ogni suo movimento e finalizzato verso una nuova conflagrazione.
L’influenza che Seneca riceve dalla filosofia a lui precedente non si esaurisce tuttavia
nello stoicismo, insufficiente a spiegare
certi elementi assolutamente estranei ad
esso, come la concezione dell’uomo e di
Dio presenti nelle Questioni naturali, che
accostano Seneca al platonismo. L’uomo,
qui, viene considerato come “a due dimensioni”, ovvero l’anima e il corpo, che si
incontrano-scontrano nella sua individualità. Il corpo, come nella filosofia platonica, è considerato come il carcere dell’anima, autentica essenza spirituale dell’umano. Da qui l’immagine di un Dio spirituale,
lontano dalla materialità dei fenomeni, ma
tuttavia presente al momento della loro
creazione. L’apparente contraddizione tra
il materialismo stoico ed il dualismo platonico si risolve, secondo Reale, tenendo
conto dell’età di passaggio, tra età pagana
e quella cristiana, a cui appartiene Seneca.
La presenza di Dio nella natura non esclude
un dualismo ontologico tra la corporeità,
più distante da Dio, e lo spirito, suo simulacro.
Questo contrasto risulta meglio superato
nell’etica, trattata più nei particolari nelle
Lettere e nella Vita felice. La ricerca della
virtù, intesa come ricerca razionale che
predilige lo spirito al corpo, allontana Seneca dall’antica Stoà e lo avvicina, ancora,
a quell’ideale ascetico e platonico per cui il
bene si trova nel sovrasensibile e nella
“fuga dal corpo”. Questo, comunque, non
impedisce a Seneca di identificare la vita
felice con quell’atteggiamento conforme
alla natura e alla razionalità, ancora individuabile nel pensiero stoico.
Il superamento del pensiero ellenistico e di
quello platonico si realizza, infine, nell’individuazione di un principio completamente
assente nei due sistemi, ma paradigmatico
nel pensiero successivo, ovvero in quello
cristiano. Nelle Lettere, infatti, Seneca introduce nell’etica filosofica un concetto
nuovo per i greci e cioè quello di voluntas,
legato a quello di peccato. Se l’intellettualismo etico dei greci riportava il Bene sempre e comunque ad un fatto di conoscenza
e considerava, di conseguenza, il male come
dovuto all’ignoranza, Seneca, introducendo il concetto di volontà, separa la morale
e la virtù dalla conoscenza, per ricondurle
ad una sfera interiore e ancora inesplorata.
La teorizzazione della volontà apre, allora,
anche alla dimensione del peccato, vissuto
responsabilmente dall’individuo che “sa”
PROSPETTIVE DI RICERCA
di commettere il male ma, allo stesso tempo, “vuole” compierlo. In questo modo, la
contraddizione tra stoicismo e platonismo
viene oltrepassata da una nuova posizione,
quella neoplatonico-cristiana, in cui la trascendenza e la volontà realizzano quell’ideale di etica, che gli stoici hanno intravisto, ma non portato a compimento. A.S.
Preparare lo spirito all’appuntamento con
l’al di là, alimentando la forza morale e la
coscienza: questo l’intento di Seneca che
compare ne La dottrina morale. La riflessione filosofica, e con essa quella morale,
sono sempre state, nel caso di Seneca,
frutto di una coscienza libera e aperta; la
convinzione che la coscienza sia la sede
consapevole del bene e del male e che da
essa debbano scaturire le azioni buone è un
elemento privilegiato della dottrina morale
di Seneca.
Concetto Marchesi, curatore dell’opera,
mette a fuoco la peculiarità del pensiero
senechiano, tutto teso all’elevazione dello
spirito attraverso il distacco dai beni materiali e il recupero dell’amore universale, un
amore a cui Seneca arreca un valore divino,
peraltro onnipresente. La concezione che
egli attribuisce al male è quella di una
scarsa coscienza del valore della vita, di un
venir meno del significato che il cammino
terreno ha rispetto ad una dimensione divina; la prassi dell’amore viene vista come
unica risposta positiva per educare gli stolti
e i deboli.
L’analisi di Marchesi si spinge fino a cogliere l’aspetto altamente divino della dottrina morale di Seneca, elemento totalizzante dell’universo e dell’agire quotidiano,
di cui ogni spirito si deve alimentare per
guadagnarsi la pace interiore e per poterla
trasmettere agli altri. In un simile contesto
il dualismo anima-corpo trova la chiave di
soluzione nella Provvidenza, che fornisce
gli strumenti per liberarsi dalle catene del
corpo e ascendere al bene supremo, realizzando il disegno di un amore eterno; un
itinerario, questo, che viene applicato a
tutte le attività, dalla politica alle relazioni
sociali, fino all’elaborazione del dolore e
della miseria, considerate prove spirituali
che fortificano l’anima e alimentano la
saggezza. L’uomo saggio, per Seneca, è
colui che apprezza la vita per quello che è,
senza pretendere di più; la saggezza equivale alla libertà di spirito che si nutre della
propria energia e della forza divina. D.M
La logica ermeneutica
di Georg Misch
Con il titolo DER AUFBAU DER LOGIK AUF
DEM BODEN DER PHILOSOPHIE DES LEBENS.
GÖTTINGER VORLESUNGEN ÜBER LOGIK UND
EINLEITUNG IN DIE THEORIE DES WISSENS (La
costruzione della logica sul terreno della filosofia della vita. Lezioni di Göttingen sulla logica e sull’introduzione alla
teoria del sapere, a cura di G. KühneBertram e F. Rodi, Alber, Freiburg i.Br. München, 1994), è stato pubblicato il
testo dei corsi di logica, tenuti da Georg
Misch all’Università di Gottinga nel
periodo 1927-1934. Con queste lezioni
Misch si proponeva di sviluppare, sulla
base dei risultati della “filosofia della
vita” di Wilhelm Dilthey, una logica
intesa come teoria generale del sapere.
L’opera di Georg Misch (1878-1965) ha
avuto fino ad oggi una scarsa risonanza nella
cultura filosofica contemporanea. La sua
notorietà è legata soprattutto alla Geschichte
der Autobiographie (Storia dell’autobiografia, 1907-1962), opera monumentale, la cui
elaborazione ha accompagnato tutta la sua
vita di studioso, e che altro non è se non lo
sviluppo dell’intuizione del suo maestro
Wilhelm Dilthey, secondo cui l’autobiografia costituisce il nucleo germinale della conoscenza storica. Limitata fu l’eco degli
studi con i quali, nel corso degli anni Venti,
Misch aveva cercato di riportare la filosofia
diltheyana al centro della discussione filosofica contemporanea: il Vorbericht al volume
V delle Gesammelte Schriften (1923), prima
presentazione organica della filosofia diltheyana, citato con rispetto da Heidegger stesso
in Essere e tempo; il breve ma denso saggio
del 1924, Die Idee der Lebensphilosophie in
der Theorie der Geisteswissenschaften
(L’idea della filosofia della vita nella teoria
delle scienze dello spirito), importante per
l’influsso esercitato sull’antropologia filosofica di Helmuth Plessner; e il volume del
1930, Lebensphilosophie und Phänomenologie (Filosofia della vita e fenomenologia),
tempestiva ricezione di Essere e tempo e
confronto critico dell’orientamento diltheyano con la filosofia fenomenologica di
Husserl e di Heidegger nel suo insieme.
I motivi di questa scarsa risonanza sono di
ordine non solo teorico, ma anche politicoculturale. Di origine ebraica, Misch fu costretto a lasciare, nel 1935, la propria cattedra
di filosofia all’Università di Gottinga e, in
seguito alle leggi razziali hitleriane del 1938,
ad abbandonare la Germania (trascorrerà la
maggior parte degli anni di guerra a Cambridge). Dopo il suo ritorno a Gottinga nel
1946, Misch si dedica, nella mutata situazione filosofico-culturale del dopoguerra, quasi
esclusivamente alla prosecuzione della Geschichte der Autobiographie. Solo grazie a
Otto Friedrich Bollnow - allievo di Misch
a Göttingen e autore dello studio del 1936
Dilthey. Eine Einführung in seine Philosophie (Dilthey. Una introduzione alla sua
49
filosofia), tentativo estremo di far valere la
proposta filosofica diltheyana prima dell’oscuramento nazionalsocialista - il nome
di Misch sarebbe gradualmente riemerso dal
dimenticatoio e sarebbe stato connesso ai
tentativi di Josef König (a sua volta allievo
di Misch) e di Hans Lipps di sviluppare una
“logica ermeneutica”, che si situa all’incrocio dei territori della Lebensphilosophie diltheyana e della fenomenologia husserliana.
Sulla scia degli sforzi di Bollnow si è così
giunti, grazie all’attività di Frithjof Rodi,
che nelle sue opere Morphologie und Hermeneutik (Morfologia ed ermeneutica) e
Erkenntnis des Erkannten (Conoscenza del
conosciuto) si ricollega alla prospettiva di
Misch, e di Gudrun Kühne-Bertram, studiosa di Dilthey e della Dilthey-Schule, alla
pubblicazione dei corsi di lezioni di logica,
tenuti con regolarità da Misch a Göttingen
dal 1927-28 fino all’espulsione dall’Università nel 1933-34. Un anticipazione del contenuto di queste lezioni per il pubblico italiano
è stata offerta da Giovanni Matteucci, che
già prima della pubblicazione del testo tedesco ha curato, per la rivista «Discipline filosofiche» (n. 1, 1992), la traduzione di
alcuni passi salienti dei corsi di Misch,
riguardanti i problemi della significatività
e dell’espressione.
Questi corsi sviluppano e rendono esplicite
alcune concezioni che in Lebensphilosophie
und Phänomenologie erano rimaste implicite. L’atteggiamento critico-ermeneutico
predominante in quell’opera - che si esprime in un serrato e talvolta arduo confronto
con i testi husserliani e heideggeriani diventa qui proposta positiva di una propria
concezione logico-ermeneutica, o, più esattamente, di una logica “filosofica”, intesa
come teoria generale del sapere. Il problema
di una logica filosofica si trova, negli anni
Dieci e Venti, anche al centro delle preoccupazioni di Husserl (si pensi a opere come
le Ricerche logiche e Logica formale e
trascendentale) e di Heidegger, che nel
1925-26 aveva tenuto un corso su “Logica.
Il problema della verità”. Dopo la pubblicazione delle Ricerche logiche, Dilthey
aveva riconosciuto l’affinità della posizione di Husserl con la propria (rifiutando così
l’etichetta di “psicologismo” per la propria
fondazione delle scienze dello spirito). Ora
Misch - che nel 1912 aveva curato la pubblicazione di una ristampa della Logik di
Lotze, cioè di un pensatore che aveva svolto un ruolo fondamentale nella discussione
tra psicologismo e logicismo - sviluppa la
prospettiva della Lebensphilosophie di Dilthey nel senso di una logica intesa non
come logica formale, ma come teoria generale del sapere, per la quale è costitutivo il
riferimento ai risultati delle scienze umane,
e in particolare della linguistica, dell’antropologia, e della psicologia, per «far posto
nella logica al tipo vivente di concetti che
hanno origine nelle scienze dello spirito,
dove il conoscere si sviluppa nel comprendere a partire dal vissuto.»
Nella costruzione della logica Misch prende
PROSPETTIVE DI RICERCA
le mosse da una dislocazione dell’ambito del
“Logico”, che viene così ad avere una
portata più ampia rispetto a quelle concezioni che identificano logica e conoscenza
scientifica, concetto e giudizio. Il punto di
partenza della logica diventa l’analisi dei
fenomeni dell’espressione e del significato, considerati non solo come concetti attraverso cui le scienze dello spirito colgono
i loro oggetti, ma anche come una dimensione fondamentale della prassi e del comportamento vitale. Nelle espressioni della
vita, e sulla base dell’ “immersione nella
vita” (Darinnensein-im-Leben), che costituisce la condizione originaria dell’essere
umano, sorge una forma elementare del
comprendere e della significatività. I confini della sfera logica si allargano così a
coincidere con quelli del «divenir cosciente in generale», la cui forma originaria è
l’espressione. In questa prospettiva, Misch
sviluppa una fenomenologia del mondo
dell’espressione che comprende problemi
come quello della distinzione e del rapporto tra espressioni corporee e spirituali, animali e umane, linguistiche e non-verbali
(mimiche, musicali, gestuali).
La peculiarità della posizione di Misch
rispetto ad altri tentativi analoghi di descrivere e circoscrivere il fenomeno dell’espressione (Husserl, Plessner, Klages) sembra
consistere nella distinzione da lui effettuata, all’interno della forma discorsiva generale del linguaggio, delle formulazioni “puramente discorsive” dalle “espressioni evocative”. Mentre le formulazioni del linguaggio discorsivo (tanto nelle scienze della
natura quanto nelle scienze dello spirito) si
riferiscono in modo univoco a oggettualità
teoretiche, nelle asserzioni evocative (che
si trovano tanto nella prassi vitale quanto
nel linguaggio dell’arte e delle scienze, in
particolare delle scienze dello spirito) le
proposizioni sono il mezzo attraverso cui si
mostra «l’oggetto nella sua significatività». Si tratta qui non dell’oggettualità dell’oggetto intenzionale brentaniano e husserliano, ma delle “oggettualità ermeneutiche”, cioè di quegli oggetti sui generis che
non sono già costituiti, ma per così dire si
formano o vengono evocati attraverso
l’espressione e nel processo del comprendere. Nelle proposizioni evocative emerge
per Misch l’inesauribilità del fenomeno del
significato e trova espressione ciò che per
il linguaggio puramente discorsivo resta
“indicibile”. Con la differenza tra logica
discorsiva e logica dell’evocazione Misch
intende così far valere la tensione dialettica
tra conformità al pensiero (Gedankenmäßigkeit) e insondabilità (Unergründlichkeit)
della vita che egli deriva, come molti dei
concetti fondamentali della sua Logik, dall’interpretazione di alcuni motivi della filosofia di Dilthey.
Tenendo aperta questa tensione egli si propone, non da ultimo, di superare produttivamente la contrapposizione diltheyana tra
scienze della natura e scienze dello spirito.
M.M.
Wilhelm Dilthey e Georg Misch
50
NOTIZIARIO
Hans Ulrich Wöhler, uno dei massimi medievalisti tedeschi, ha recentemente raccolto nel volume dal titolo: Texte zum Universalienstreit.
Band II. Hoch-und mittelalterliche
Scholastik. Lateinische Texte des 13.
bis 15. Jahrhundert (Testi sulla disputa intorno agli universali. Vol. II.
Scolastica dell’Alto e del Basso
Medioevo. Testi latini dal XIII fino
al XV secolo, Akademie, Berlino
1994), alcuni fra i più importanti
testi concernenti la DISPUTA
INTORNO AGLI UNIVERSALI
nel Basso Medieoevo. Questa raccolta si va ad aggiungere ad un precedente volume curato dallo stesso
Wöhler, Testi sulla disputa intorno
agli universali (vol. I, 1992), che
conteneva venti fra i più famosi trattati sulla disputa intorno agli universali da Porfirio e Boezio sino alla
massima esplosione della questione
nel XI e XII secolo, con Abelardo e
Averroè.
Mentre il primo volume aveva un
carattere prevalentemente informativo, questo secondo presenta un’impostazione innovativa e coraggiosa.
I 12 contributi qui presentati sono in
gran parte di conoscenza esclusiva
dei più esperti medievalisti: accanto
a classici come il De ente et essentia,
di S. Tommaso, e alle più famose
questiones di Giovanni Duns Scoto
e Guglielmo D’Ockham, si collocano infatti scritti sugli universali di
Walter Burley, Gregorio da Rimini,
Heinrich Totting, Gabriel Brial,
Johannes Gerson, John Wyclif, nomi
che solitamente non ricorrono nelle
trattazioni tradizionali della tematica. É inoltre presentata per la prima
volta la traduzione in tedesco di un
trattato di Sigieri di Brabante, il De
aeternitate mundi, la cui pregnanza
contenutistica trascende il campo limitato della disputa logica. Questa
raccolta rappresenta un’occasione
per riscoprire il pensiero filosofico
del tardo Medioevo, che sottoforma
di una contrapposizione tra realismo
e nominalismo introduce a profonde
riflessioni di natura morale e teologica. L.R.
Nel marzo 1995 si è svolto ad Hammamet, in Tunisia, un congresso sovvenzionato dal Goethe Institut di Tunisi dal titolo: “AVERRO È OGGI”.
Il congresso riprende le fila di un
discorso iniziato nel novembre 1994
al Cairo, dove aveva avuto luogo un
dibattito specificamente dedicato alla
tematica “Averroè e l’Illuminismo”.
Il rinnovato interesse per il filosofo
medievale manifestato dal mondo
culturale arabo rispecchia l’esigenza di tali paesi di giungere finalmente ad un giusto equilibrio tra tradizione e modernismo, sotto la minaccia dell’integralismo religioso da una
parte e la pressione dell’Occidente
dall’altra. Riprendendo la definizione di Mosè Maimonide come «illuminista che crede nella rivelazione»,
che Strauß e Guttmann avevano formulato nel 1935, i filosofi raccolti ad
Hammamet, per la maggior parte
NOTIZIARIO
arabi, hanno riesaminato la figura di
Averroè, recuperandolo all’ortodossia islamica, contro una tradizione
filosofica che lo vuole come eretico;
ma hanno anche insistito sulla prossimità tra il pensiero averroiano e
talune espressioni dell’illuminismo
europeo. In particolare, è stata sottolineata la parentela di Averroè con il
Kant della Religione nei limiti della
pura ragione, opera in cui la critica
alla religione non implica comunque
il rifiuto della prospettiva etico-religiosa. L.R.
da tra le metafisiche barocche e la
critica illuministica. La questione
acquista ulteriore complessità se si
osserva che i personaggi chiamati in
causa nella bibliografia rosacrociana conservano tutt’oggi tratti mitici,
che permettono di collocarli nella
zona liminare tra esistente e fantastico, ossia nella leggenda. Un
esempio ne è lo stesso leggendario
fondatore della società, Christian
Rosenkreuz, della cui plurisecolare
esistenza gli stessi documenti seicenteschi forniscono informazioni
contraddittorie. L’unico dato certo
di cui oggi si dispone è un testo
programmatico di Johann Valentin
Andreae, pubblicato a Kassel da un
editote anonimo nel 1614 con il titolo: Fama Fraternitatis, dedicato a
«tutti i dotti e i sovrani d’Europa»,
che possedeva un tono deliberatamente provocatorio nei confronti
della cultura dominante. L.R.
Nel febbraio 1995 si è tenuta a Wolfenbüttel una mostra sul tema: “WO
SIND DIE ROSENKREUZER?”
(Dove sono i Rosacroce?), che ha
riproposto l’interrogativo circa la misteriosa origine e la natura della società segreta (la cui effettiva esistenza, d’altra parte, è tuttora soggetta
all’ipoteca del dubbio). Allestita dalla Biblioteca Philosophica Hermetica di Amsterdam e dalla HerzogAugust-Bibliothek di Wolfenbüttel,
la mostra consisteva nella presentazione di innumerevoli esemplari di
bibliofilia, codici ed archivi con documenti di antica stampa in tedesco
ed in latino, ma non forniva di per sè
alcuna chiave di accesso al mondo
sconosciuto dell’ermetismo rosacrociano. Molto più consistente dal punto di vista informativo risulta il catalogo, realizzato in occasione della
mostra, dal titolo: Cimelia Rhodostaurica. Die Rosenkreuzer im Spiegel der zwischen 1610 und 1660 entstandenen Handschriften und Drucke (I Rosacroce nello specchio dei
manoscritti e della stampa, apparsi
tra il 1610 e il 1660, Herzog August
Bibliothek, Wolfenbüttel 1995).
Il fenomeno “Rosacroce” viene qui
indagato soprattutto in relazione all’impatto culturale che ebbe sulla
vita culturale e religiosa dell’Europa
del XVII secolo, nella quale provocò
un radicale capovolgimento dei valori nella religione, nella scienza e
nella politica. Con riferimenti alla
mistica medievale, alle scienze occulte rinascimentali, nonché alla teologia, all’astrologia e alla matematica, i rosacrociani si proposero come
riformatori del mondo intero, di fronte al tramonto del papato e ai timori
apocalittici di un’Europa a metà stra-
Nelle sale della Mediateca di Sète
è stata inaugurata, nel maggio 1995,
la mostra: “PAUL VALERY,
L’INTIME, L’UNIVERSEL” (Paul
Valéry, l’intimo, l’universale), prima delle manifestazioni previste per
il cinquantesimo anniversario dalla
morte di Paul Valéry dalla città che
gli diede i natali. Il 20 luglio 1995
(fino al 15 ottobre), s’inaugureranno
due altre mostre: “Ostinato rigore”,
presso il Museo Paul Valéry, che
evocherà Valéry amante di pittura e
di architettura; “Fuochi terrestri”, invece, raccoglierà l’opera di 14 artisti
contemporanei sulla relazione, che
preoccupava Valéry, tra arte e scienza. Il 19 e il 20 ottobre 1995 e il 23 e
il 24 novembre 1995 si terranno incontri intenazionali e tavole rotonde
sull’opera di Valéry, ai quali interverranno Jean-François Lyotard e
François Barré.
Nelle sale della Mediateca di Sète
sono attualmente raccolti episodi
pubblici e privati del grande artista,
in una scenografia che mette bene in
evidenza la cesura che attraversa la
vicenda intellettuale di Valéry, tra
luce e ombra, tra parola e «impero
nascosto» della nostra mente. Sotto
la sola luce delle vetrine sono infatti
raccolti i manoscritti dello scrittore,
tra cui ve ne sono molti mai esposti
al pubblico, e la famosa pagina della
51
notte di Genova, furiosamente sfregiata dal poeta quando decise di venerare solo l’Intelletto. La flebile
luce delle vetrine illumina ancora
cinque dei suoi quaderni originali, i
cahiers, testimonianza di quel “teatro del di dentro”, che Valéry racchiudeva in queste pagine «dalle cinque alle sei del mattino, tra lampada
e sole», fino a quando i rumori della
casa non lo svegliavano al ruolo pubblico del poeta, del saggista, del filosofo. Accanto a questi tesori, provenienti dalla Bibliothèque Nationale,
proiettate su un muro, le immagini
del poeta accompagnate dalla sua
voce cercano di evocare più intimamente la sua presenza ai visitatori
della mostra.
Nelle altre due sale, invece, prevale
la luce, per mostrare il lato pubblico
del poeta in alternanza con episodi
della sua biografia. Vi sono foto e
testi presi dall’opera e dall’esegesi.
Si ripercorre la sua vita, da quando
era un bambino grassottello che parlava solo in italiano con la madre,
nata Grassi, all’episodio di quello
sconosciuto che salvò il piccolo di
tre anni dall’annegamento nel bacino dei giardini pubblici di Sète, dal
trasferimento a Montpellier, dove
conobbe Gide e Louys, al matrimonio parigino con Jeannie Gobillard,
nipote di Berthe Morisot, che lo avvicinò all’ambiente degli impressionisti. Di questi apprezzò solamente
Degas, restando insensibile alle arti
moderne e al cubismo. Sotto le vetrine compaiono brani della sua corrispondenza segreta con l’amica M.me
de Revelin, animatrice di uno dei
salotti progressisti della Parigi anni
’30. Mettere in mostra questi brani
privati di Valéry è una scelta precisa
degli organizzatori per “ridare carne”
a un’opera troppo spesso tacciata di
astrazione. La figlia Agata, di quasi
novant’anni, nota infatti che il padre
“scriveva con tutto il suo corpo”.
Chiude la mostra una serie di cinque
piccoli gabinetti di lettura, dipinti
con i colori delle barche del paese, in
cui si possono sfogliare le pagine dei
cahiers, ingrandite e plastificate, creati per permettere un’adesione intima e solitaria al «lavoro di questa
mano e di questo corpo che scrive»,
al «desiderio del soggetto per il linguaggio». G.Di L.
CONVEGNI E SEMINARI
Quaderno del manoscritto di Sodoma e Gomorra I. Risposte al questionario dell’album di Antoinette Fauré (1885 circa).
Marcel Proust (al centro). Risposte al questionario di un album (1890). I carnets.
52
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Proust e i filosofi
Organizzato dalla Marcel Proust Gesellschaft, presieduta da Reiner Speck, dal
3 al 6 novembre 1994 si è svolto a Bonn
un simposio di studi proustiani dedicato al rapporto tra Proust e i filosofi. Se
è vero che nella ‘Recherche’ nessun
personaggio si può dire impersoni in
modo positivo la filosofia, è altresì vero
che il costante confronto con la produttività del pensiero filosofico va annoverato tra i presupposti che hanno reso
possibile la nascita di quest’opera, punto di riferimento obbligato per la letteratura del Novecento.
Il tema del simposio è stato introdotto da
Ursula Link-Heer (“Proust und die Philosophen des 19. Jahrhunderts”) e da Völker
Roloff (“Die Philosophen des 20. Jahrhunderts und Proust”). Julia Kristeva (“Proust
et Heidegger”), che recentemente ha pubblicato un’importante ricerca su Le temps sensible (Il tempo sensibile, Parigi 1994), ha
preso le mosse dalla concezione heideggeriana del tempo per leggere la Recherche
anche dal punto di vista ontologico. È noto,
infatti, che per Heidegger la temporalità
dell’esistenza umana è caratterizzata da un
“essere prima di sé” (Sich-vorweg-Sein) e
dunque che il presente si determina attraverso il progetto di future possibilità. L’ “impazienza” che ne consegue, ha rilevato Kristeva, risulta del tutto consona allo spirito della
Recherche: non nella “preoccupazione”, ma
nella “gioia” è da vedere il fondamento esistenziale della temporalità proustiana. Ciò
che permette all’io di cogliere una temporalità percepibile sensibilmente non è il raccoglimento interiore, ma la dispersione. Proprio grazie a questa messa in valore della
dispersione è plausibile, secondo Kristeva,
vedere in Proust un pensatore ancora più
moderno di Heidegger.
Alla Recherche si è avvicinato invece da un
punto di vista fenomenologico Bernhard
Waldenfels (“Eigenmaß und Übermaß des
Sinnlichen. Überlegungen zur Proustschen
Ästhesiologie”), che riferendosi a Husserl e
a Merleau-Ponty ha messo in evidenza i piú
fondamentali aspetti dell’estetica proustiana
della corporeità. Jacques Rancière (“Proust
et la vérité”) ha ripreso il tema, già affrontato
da Deleuze, del rapporto tra segno e realtà in
Proust, per tracciare le coordinate di una
distinzione, poetologicamente proficua, tra
l’ambito della verità e quello dell’apparenza,
falsità e menzogna. Vincent Descombes
(“Proust: l’écrivain traducteur”) ha invece
prospettato un Proust impegnato nell’attività del tutto filosofica di dar traduzione letteraria al reale.
Il rapporto che lega Proust alla tradizione
della moralistica è stato ripercorso da Rainer Warning (“Proust und die Moralistik”).
Agostino e i moralisti francesi del Seicento
avevano distinto tra la “memoria”, in quanto
via verso un’interiorità salvifica, e la curiositas, in quanto impulsivo abbandono alla
fenomelogicità del mondo esterno. Muovendo dalla relazione tra il narratore e Albertine in La prisonnière, Warning ha mostrato
come in Proust la memoria sia già contaminata dalla curiositas. In questo modo Proust
mette capo all’antipodo di una poetica sostanzialistica, imperniata su ricordi arbitrari,
mentre la curiositas diviene per lui «esteticamente positiva». Della storia delle fonti dell’estetica proustiana si è occupato anche
Ulrich Schulz-Buschhaus (“Proust und die
philosophische Ästhetik des Nominalismus”), che ha messo in evidenza le numerose coincidenze tra Proust e le teorie estetiche di Benedetto Croce, benché i due non
abbiano mai influito l’uno sull’altro. Ma
Proust ha anche saputo attribuire un valore
estetico alla storicità del bello, così come
l’aveva concepita Hyppolite Taine.
Un’interpretazione dei rapporti tra Proust e i
filosofi del suo tempo, fondata su materiali
finora inosservati dalla critica, è stata proposta da Stefano Poggi (“Proust, Bergson und
der aphasische Symptomenkomplex”), che
ha preso le mosse dall’afasia che colpisce il
narratore nell’ultima scena della Recherche.
Il contesto ricostruito da Poggi è inizialmente storico-medico: giunta l’afasia, la memoria inizia a sfaldarsi, ma il cervello vive
ancora e dunque anche la coscienza. Qui è da
vedere la chiave per comprendere il concetto
di individualità nella Recherche, che in nessun caso può esser visto alla stregua di una
“unità sostanziale”. Di fronte al fenomeno
dell’afasia, Proust, che si documentava seguendo suo padre, il dottor Adrien Proust,
anch’egli autore di una memoria scientifica
sull’afasia, era incline all’ipotesi riduzioni53
stica, che riduceva l’eziologia dell’afasia,
appunto, alla semplice constatazione di una
lesione cerebrale. È certo però, ha fatto notare Poggi, che il romanziere Proust era in
grado di disporre delle cognizioni mediche
necessarie alla costituzione di una propria
interpretazione dell’afasia, che pur finalizzata ad un obiettivo letterario era indubbiamente originale e autonoma.
Sul dissidio tra Proust in quanto filosofo e in
quanto letterato è intervenuta anche Anne
Henry (“Proust et la crise du sujet: la fonction du modèle philosophique dans A la
recherche du temps perdu”). Secondo Henry, Proust ha sí fornito una philosophia prima, ma rendendola nel linguaggio di uno
scrittore: il letterato si è riappropriato del
filosofo e gli ha restituito la sua ambiguità, la
sua aria di mistero. Un’analisi molto fine di
quella che può ben essere definita la «filosofia dei sentimenti» della Recherche è stata
offerta invece da Inge Crosman Wimmers
(“Die Rolle der Gefühle in A la recherche du
temps perdu”), che sollevato gli esempi dell’angoscia da separazione e della gelosia.
Raffronti molto diretti tra Proust e le più
importanti correnti filosofiche del tardo Novecento sono stati proposti da Peter. V.
Zima (“Proust, Nietzsche und die Dekonstruktion”), che si è fermato sul rapporto
antitetico tra Proust e Jacques Derrida, da
Alois Hahn (“Proust und die konstruktivistische Erkenntnistheorie”), che invece ha
rilevato affinità tra la Recherche e le posizioni costruttivistiche di Humberto Majorana, e
da Manfred Schneider (“Proust und die
Theorie des Erhabenen”), che muovendo
dalla comprensione da parte di Proust della
teoria kantiana del sublime e passando attraverso diversi esempi cinematografici ha proposto una collocazione della Recherche a
pieno titolo nell’età del “post-moderno”.
Ha chiuso il simposio una tavola rotonda
(“Das multiple Ich und die gegenwärtige
Philosophie”), sulle implicazioni filosofiche
del concetto proustiano di individualità, alla
quale hanno partecipato tutti i relatori con
l’aggiunta di Karl Hölz e Riccardo Pozzo,
durante la quale sono state riassunte e contrapposte le interpretazioni proposte dai critici sul cruciale concetto proustiano di un “io
multiplo” (un concetto sul quale si è fermato
di recente Umberto Eco), ed è stata sollevata
la necessità di estendere il discorso anche
CONVEGNI E SEMINARI
alla dimensione della filosofia del linguaggio, includendo nella discussione le tesi avanzate di recente da Andrea Bonomi in Lo
spirito della narrazione (Milano 1994) sugli
universi di significato della Recherche. R.P.
Marx: interpretare
e mutare il mondo
All’Università di Berlino si è svolto nel
secondo semestre del 1994 un ciclo di
lezioni dedicate a “LA XI TESI SU FEUERBACH” di Marx alla luce del suo significato
storico ed attuale. Agli incontri hanno
partecipato i principali rappresentanti
del mondo universitario e politico tedesco, spinti soprattutto dal desiderio di
interpretare la filosofia marxiana in un
contesto finalmente depoliticizzato.
La XI Tesi su Feuerbach di Marx - «I filosofi
hanno solo interpretato in modi diversi il
mondo; ma si tratta di mutarlo» - possiede
una pregnanza storico-filosofica particolarmente accentuata per il mondo accademico
berlinese, tanto che la si può trovare impressa a lettere dorate nella parete di marmo
dell’Università. Gli interventi al ciclo di
lezioni si sono tutti mossi attorno alla questione centrale di una revisione storica, finalmente critica, di tale affermazione, che nel
recente passato è stata decontestualizzata e
piegata a fini ideologici.
L’intervento di apertura del ciclo, tenuto da
Volker Gerhardt, ha posto l’accento sulla
presenza di un’innegabile verità nelle parole
di Marx, «perché chi vuole agire politicamente non può ponderare ogni cosa in modo
pedante; deve innanzitutto sapere che alla
fine tutto dipende dall’azione. La politica
esige fatti». Tuttavia Gerhardt ha classificato la tesi marxiana come premoderna, riconoscendo in essa la riproposizione dell’identità platonica di teoria e prassi politica e
individuando la pericolosa conseguenza di
tale postulato nella negazione dell’autonomia
nomologica di azione politica e filosofia.
Gerhardt ha anche preso posizione in relazione al fatto che la formulazione comunemente conosciuta della tesi non corrisponde
all’originale marxiano, ma è frutto di una
rielaborazione compiuta da Engels, che pubblicò le tesi di Marx su Feuerbach solo nel
1888 (ossia ben 23 anni dopo la loro elaborazione), in appendice alla sua opera Ludwig
Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, modificando la tesi originale di Marx («I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi, si tratta ora
di cambiarlo») con la sostituzione di un
punto e virgola alla virgola e con l’aggiunta
di un avversativo. Secondo Gerhardt, tali
scelte formali non incidono tuttavia sull’aderenza contenutistica all’originale, perché se
è vero che l’inserimento dell’avversativo
evidenzia ulteriormente l’alternativa tra la
coscienza meramente interpretante e la tra-
sformazione rivoluzionaria, è altrettanto vero
che nell’Ideologia tedesca, concepita nello
stesso periodo, Marx dimostra di voler insistere proprio su tale alternativa.
Non sono dello stesso avviso Gerd Irrlitz e
Hans Christoph Rauh, che considerano le
modifiche operate da Engels come determinanti nella prassi politica per la connotazione dogmatica che attribuirebbero alle parole
di Marx, da cui la predilezione del regime
comunista per la versione engelsiana. Sulle
implicazioni ideologiche dell’asserto insiste
anche Oswald Schwemmer, che nel suo
intervento accosta la prospettiva monistica e
totalizzante del sapere rivoluzionario alle
pretese teocratiche della società odierna;
mentre Christian Möckel prende spunto
dalla tesi di Marx per sviluppare considerazioni sul valore filosofico dell’utopia della
società ideale nel mondo contemporaneo. Il
teologo Richard Schröder definisce invece
come assolutamente triviale il contenuto
speculativo delle parole di Marx, confrontandosi piuttosto con la sua critica alla
religione.
In occasione della tavola rotonda conclusiva
è stato posto in evidenza l’intervento di
Herbert Schnädelbach, che ha rimesso in
gioco una domanda centrale del ciclo, fondamentale per la maturazione di un’autocoscienza filosofica della modernità: che significato ha la frase di Marx nel contesto attuale
della speculazione filosofica, in un mondo
ormai lontano dalla contingenza storico-sociale con cui Marx si è confrontato? La
risposta di Schnädelbach non concede alle
parole di Marx possibilità alcuna di significazione all’interno della società contemporanea, nella quale la relazione tra “interpretare” e “modificare” il mondo si sarebbe
addirittura ribaltata nel suo contrario: «Oggi
cambiamo troppo spesso, tanto che siamo in
arretrato con l’interpretazione». L.R.
Sul simbolo
Il convegno dal titolo: “IL SIMBOLO OGGI.
TEORIE E PRATICHE”, tenutosi all’Università di Siena da 24 al 26 novembre 1994,
ha fornito l’occasione per un confronto
intorno ad un tema tra i più attuali nella
cultura contemporanea. La novità dell’iniziativa sta soprattutto nel suo approccio integralmente interdisciplinare, a conferma di un percorso metodologico, imposto dalla natura stessa dell’oggetto d’analisi.
Sostenere l’attualità della problematica simbolica non significa negarne una emergenza
teorica storicamente assai radicata, costante
e ricostruibile, come ha dimostrato R. Luperini (“Da Goethe a Lukács, da Marx a Benjamin”), testimoniando della vitalità della discussione sul simbolo dal Settecento ad oggi.
Tuttavia la natura ambigua e liminare del
termine simbolo, e dell’oggetto che esso
54
designa, ha spesso disorientato gli studiosi,
mettendo in crisi più d’un “sistema”. L’area
metodologica che più ha risentito di questo
disagio è senz’altro quella semiologica, come
ha ricordato G. Manetti (“La semiotica e il
simbolo”) mostrando come da de Saussurre
alla scuola greimasiana sia stato tutto un
sollecitare, più o meno esplicito, l’espulsione del termine “simbolo” dal nuovo orizzonte disciplinare. La nozione di “modo simbolico” (in Eco e, in parte in Quéré) e quella di
“semi-simbolico” (in Greimas, Floch, Thurlemann ed altri greimasiani) sembrano infatti un escamotage per confinare un concetto
decisamente scomodo ed imgombrante.
Del resto, lo stesso intervento di Eco (“Sul
simbolo”), ha richiamato la necessità di porre limiti ben precisi (e peirceani) ad una
interpretazione simbolica ormai debordante
e delirante, complice, da un lato, la prassi
decostruttiva e, dall’altro, la pervicacia massmediologica - con la conseguente formazione di forme di simbolismo degradato, sollevate da G. Dorfles (“Simbolo mito e feticcio
nella società contemporanea”). Eco ha fatto
notare l’inefficacia teorica del concetto di
“modo simbolico”, che ponendo l’accento
sul versante pragmatico e interpretativo assume già in sé il rischio di una deriva illimitata del senso. S’impone allora la questione,
a cui ha cercato di dare una risposta G. P.
Caprettini (“Il realismo dei simboli”), se al
simbolo corrispondano proprietà che ne garantiscano una riconoscibilità al di fuori del
contesto. M. Grande (“Simbolo e mito nel
cinema”), riferendosi ad autori come Goodmann e Metz, ha dimostrato come la problematica simbolica concerna necessariamente
anche il versante iconico del linguaggio, che
del resto non comprende solo il mondo delle
immagini cinematografiche, ma può ben riferirsi alla pratica figurativa dei pittori del
Trecento senese, come ha fatto notare O.
Calabrese (“L’efficacia simbolica”).
Nella sua critica ai semiotici ortodossi Franco Brioschi (“Continuo, discreto, denso,
articolato: il simbolo come unità sintattica”),
ha mostrato come i semiologi di stretta osservanza, con la loro “ontologizzazione del
linguaggio” non siano poi così lontani dalle
posizioni degli “eretici poststrutturalisti” di
stampo heideggeriano. All’opposizione continuo-discreto, Brioschi ha contrapposto
quella di denso-articolato, che presenta il
vantaggio di evitare il ricorso ad enti tipologici universali, dal più che vago sapore metafisico, sostituendovi, nella ricostruzione
del processo che fa dell’individuale un elemento simbolico, «una nozione “giuridica”
di codice, costituito esclusivamente da regole».
Se la nozione di simbolo scatena aspre battaglie dottrinali tra i semiologi, in ambito antropologico essa sembra godere invece di
uno statuto più saldo, come ha mostrato C.T.
Altan (“Simbolo e mito”), che ponendosi
esplicitamente nell’ottica propria di posizioni filosofiche quali il pragmatismo e lo strumentalismo - forte anche delle acquisizioni
teoriche di E. De Martino, da cui egli trae
CONVEGNI E SEMINARI
soprattutto il concetto di “destorificazione” , si è mosso alla ricerca di quella “terza via”,
nella comprensione del simbolico, in grado
di escludere tanto il “rifiuto intellettualistico” nei confronti del simbolo, quanto
l’“adesione acritica” ad esso. Nella strettoia
segnata da intelletto e irrazionalità, il concetto di “esperienza” simbolica, secondo Altan,
si pone innanzitutto come “conoscenza”
opposta a quella concettuale, razionale, come
“credenza” in grado di trascendere dalla
“ineliminabile dimensione soggettiva” alla
più generale, e altrettanto necessaria, valenza collettiva.
M. Squillacciotti (“L’interpretazione antropologica dei ‘simboli’ altrui”) ha utilizzato
l’osservazione diretta della tradizione sciamanica dei Cuna del Panamà per contestare
l’efficacia di analisi del simbolico «svolte
solo in termini di “testo” e avulse dal “contesto” storico culturale della comunicazione». L’interpretazione di simboli “altrui”,
non solo inerisce all’essenza stessa del fenomeno simbolico, ma risulta accentuato nella
prospettiva antropologica, come ha mostrato D. A. Conci (“Segno e realismo segnico”)
che, attraverso una pratica fenomenologica
dell’antropologia, ha affrontato il problema
del «disoccultamento dell’alterità e delle ragioni degli altri» chiamando in causa la
dimensione vissuta.
Muovendo dal concetto di “protosimbolo”,
S. Briosi (“Protosimbolo infantile e simbolo
poetico”) ha manifestato la convinzione che
il linguaggio infantile sia qualcosa di molto
simile a quello simbolico dei poeti. Secondo
Briosi, che parte soprattutto da studi piagetiani sulla genesi del linguaggio simbolico,
ma che si serve anche dei contributi della
psicolinguistica (Werner e Kaplan), oltre
che di categorie fenomenologiche (MerleauPonty, ma anche Sartre), lo spazio del protosimbolo infantile va separato nettamente
(oltre che da quello del segno “trasparente,
diretto”) da quello del simbolo poetico, propriamente detto, che si configura come esperienza eminentemente consapevole e “adulta”; nel “simbolismo” infantile, infatti, viene
a mancare, rispetto al simbolo poetico,
l’aspetto di “opacità” del significante, di
consapevole presa di distanza dal contenuto
esperienziale, propria, appunto, del simbolo
poetico.
Il simbolo poetico è stato oggetto anche
dell’intervento di A. Prete (“Del sapere poetico: simbolo, analogia, apparenza”), tutto
incentrato su una concezione sapienziale del
simbolo poetico. “Allegoria”, “analogia”,
“apparenza” costituiscono per Prete i “tre
campi di rifrazione dell’immagine” nello
specchio del linguaggio e, in definitiva, tre
sfumature delle diverse valenze che il simbolo assume in poesia. Secondo C. A. Augieri poi, il senso simbolico, caratterizzandosi come “micronarrazione delle esperienze identificanti”, deve essere posto in relazione diretta con una vera e propria “filosofia
del discorso narrativo”. E con il narrativo
viene rapportato il simbolo anche da G.
Bàrberi Squarotti (“Il romanzo come sim-
bolo”), il quale giunge addirittura a prospettare un’opposizione strutturale, intrinseca
alla tecnica e alla forma narrativa, tra “narrazioni di fatti” e narrazioni che procedono
invece per nuclei simbolici; questo secondo
genere di narrazione, ha osservato Bàrberi
Squarotti, «possiede in sé l’ambizione [...] a
conoscere i fini ultimi, i meccanismi interiori, il significato delle cose anche più semplici
della natura, quell’oltre e altrove, insomma,
che è al di là del fenomeno e delle apparenze». Ritornando in tema di analisi “letteraria”, G. Finocchiaro Chimirri ha esplorato
il versante simbolico dei personaggi della Nedda verghiana servendosi della prossemica e in
generale della comunicazione corporea.
Tra gli altri interventi ricordiamo ancora
soltanto l’analisi di M. Reda sull’importanza dei processi simbolici nella strutturazione
dell’Identità Personale e l’intervento di G.
Corlito, che ha applicato il già ricordato
approccio “simbolo vs. allegoria” alla lettura
della freudiana Interpretazione dei sogni; S.
Nannini e D. Parisi hanno invece tentato di
identificare eventuali meccanismi simbolici
nel comportamento delle reti neurali o nel
funzionamento della cosiddetta intelligenza
artificiale. C.G./M.G./F.S.
Storia della logica
e storia della filosofia
Nei giorni 9-10-11 novembre 1994 si è
tenuto presso la “Terza Università” di
Roma il convegno: “MOMENTI DI STORIA
DELLA LOGICA E STORIA DELLA FILOSOFIA”,
organizzato dalla Società Filosofica Italiana e dalla Società Italiana di Logica
e Filosofia della Scienza, che ha avuto
un carattere propedeutico, introduttivo alle problematiche tradizionali della storia del pensiero.
Giovanni Casertano (“La causa della conoscenza: discorso logico ed esigenza etica
nel Fedone platonico”) ha compiuto nel
suo intervento alcune riflessioni sulla nozione di causa nel Fedone, la cui corretta
individuazione risulta fondamentale in Platone, mostrando come il discorso platonico sulla causa leghi esigenza gnoseologica
ed esigenza etica. Infatti, se al discorso
vanno annesse le caratteristiche di probatorietà nell’individuazione ed esposizione
della verità, è pure vero che non lo si potrà
“comprendere” se non si assumerà un atteggiamento in generale “etico”, che rimanda alla scelta dell’anima piuttosto che
del corpo. Mario Mignucci ha invece offerto un’interpretazione del sillogismo aristotelico alternativa all’approccio tradizionale, analizzando le diverse definizioni che
Aristotele propone negli Analitici, nei Topici, negli Elenchi Sofistici e nella Retorica. Mignucci ha poi mostrato l’implausibilità dell’interpretazione tradizionale della
definizione aristotelica legata alla nozione
55
moderna di validità logica (Tarski), secondo cui il sillogismo aristotelico coinciderebbe con la deduzione valida. Aristotele,
ha osservato Mignucci, non associa mai il
sillogismo alla nozione di verità e il seguire
di una conclusione dalle premesse è indipendente dalla verità o falsità delle premesse. Secondo Mignucci, sono le nozioni di
causa o di condizione sufficiente che danno
corpo all’idea che in un sillogismo le premesse causano o condizionano la conclusione.
Enrico Berti (“La logica dell’argomentazione tra Aristotele e Ryle”) ha preso in
considerazione i Philosophical Arguments
(1945) di Gilbert Ryle, in cui il tipo di
argomento che attiene alla filosofia viene
caratterizzato come “reductio ad absurdum”, cioè come deduzione di contraddizioni e paradossi logici, che si differenzia
dall’induzione come pure dalla deduzione
di teoremi da assiomi o da postulati. Analizzando la distinzione che Ryle opera tra la
reductio ad absurdum forte e la redutio ab
absurdum debole, Berti ha mostrato che la
teoria della reductio di Ryle, come anche la
sua teoria degli errori categoriali, derivano
dalla teoria delle categorie di Aristotele.
Riferendosi agli Elenchi Sofistici, dove
Aristotele pone il compito del dialettico
nello smascherare le ambiguità del linguaggio, Ryle, ha osservato Berti, connota
la reductio forte come processo “dialettico”, che smaschera le ambiguità del linguaggio, deducendo da esse delle contraddizioni.
Eugenio Lecaldano (“L’influenza della
logica sulla ricerca storiografica di Hume”)
ha richiamato in particolare l’attenzione
sulla possibilità di un superamento dello
“scetticismo radicale” di Hume. Riferendosi ai risultati della logica formale e simbolica contemporanea, Lecaldano ha enucleato in Hume l’idea di causalità, che si
connette con la natura dell’induzione e la
natura dello scetticismo scozzese; la questione dei criteri adeguati per una valutazione, in termini più o meno probabilistici,
dell’affidabilità di una testimonianza su di
un evento naturale o storico; la questione,
nel terzo libro del Trattato, della possibilità
o meno di derivare conclusioni con il “deve”
da premesse con l’ “è”.
Carlo Sini (“La semiotica come fondazione della logica in Charles Sanders Peirce”)
ha considerato quelle opzioni essenziali
che hanno determinato intorno alla metà
degli anni Sessanta il percorso teoetico di
Peirce e che ne costituiscono motivi di
grande attualità. La prima opzione definisce l’autonomia della logica rispetto all’ontologia e alla psicologia; la seconda
opzione riguarda il rapporto tra relazioni
interne e relazioni esterne, per cui la riflessione sulle categorie e la conseguente riduzione dei fondamenti della logica alla semiotica rappresenterebbe per Sini una ripresa moderna della relazione medioevale
tra intentio secunda e intentio prima. La
terza opzione riguarda la critica dell’intui-
CONVEGNI E SEMINARI
zione e l’apertura della semiosi infinita.
Con l’abbandono della metafisica classica
e con la consapevolezza che la logica poggia sulla semiotica, Peirce introduce le sue
riflessioni sull’etica, a cui, ha notato Sini,
assegna un primato nell’ambito delle scienze normative, legittimando l’abduzione
come procedimento che rimanda infinitamente ad un’unica esperienza di verità.
Riferendosi al saggio di Blondel del 1903,
Principio di una logica della vita morale,
Armando Rigobello (“La logica della vita
morale in Blondel”) ha individuato quei
criteri immanenti all’azione, che la guidano verso il compimento delle sue interne
finalità. Blondel, secondo Rigobello, sostituisce alla logica dell’enunciazione affermativa (catafasis) e a quella della contraddizione (antifasis) una logica il cui sviluppo dialettico inizi dalla privazione (steresis), una dialettica immanente alla dinamica
dell’azione in quanto azione.
Tra gli interventi conclusivi, Alfonso Maieru (“Il linguaggio mentale tra logica e grammatica nel medievo”) ha tratteggiato la questione del linguaggio mentale nel Medioevo
sulla base dell’antica distinzione tra linguaggio interiore e linguaggio esteriore e della
distinzione aristotelica tra “cose”, “posizioni dell’anima” e “linguaggio orale”. Rispetto
alla questione se i modi di significare stiano
nell’intelletto o nel linguaggio, Maieru ha
tratteggiato alcune posizioni che svalutano
la grammatica nella sua autonomia e scientificità; le parole significano qui le cose non i
concetti; si danno proposizioni mentali vocali e scritte e la proposizione mentale funge
da fondamento delle altre, e può venire
analizzata nei suoi componenti.
Nella prima parte del suo intervento, Franco
Bianco (“Avalutatività della scienza come
principio metodico nella logica delle scienze
sociali”) ha affrontato la questione della definizione del concetto di “avalutatività”, optando per una lettura weberiana, legata per
essenza alla logica delle scienze sociali, che
si fonda su condizioni idealtipiche. Nella
seconda parte, Bianco ha chiarito che il presupposto sul quale si basa il principio della
avalutatività è la distinzione tra giudizi di
fatto e giudizi di valore. Nella terza parte,
Bianco ha sottolineato l’attualità delle riflessioni weberiane e l’importanza del principio
dell’avalutatività come «principio metodico
irrinunciabile nella logica delle scienze sociali». Infine Vito M. Abrusci (“Il concetto
di dimostrazione nel ‘900”) ha chiarito che
cosa si deve intendere per dimostrazione
logica, tratteggiandone due aspetti, “formale” (dimostrazione come oggetto sintattico)
e “contenutistico” (dimostrazione come costruzione), e integrandoli con quello relativo
alla “semantica delle dimostrazioni” come
modello di correlazione dell’aspetto formale
e contenutistico.
A margine dei lavori è stata organizzata una
tavola rotonda sull’insegnamento della logica nella scuola secondaria superiore, che ha
visto pareri unanimamente concordi sul valore formativo di un tale insegnamento. R.G.
La fondazione dell’estetica
filosofica
Pietro Kobau ha tenuto, dal 5 al 7 dicembre 1994, presso l’Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici di Napoli, un
seminario dal titolo: “LA FONDAZIONE DELL’ESTETICA FILOSOFICA: WOLFF, BAUMGARTEN,
MEIER”, che aveva come scopo una ricostruzione della genesi del concetto di
estetica filosofica attraverso l’analisi
delle concezioni di vari pensatori.
La prima definizione storica di estetica risale
al 1735 e compare, riferita alla conoscenza
sensibile, nella dissertazione di laurea di
Alexander Gottlieb Baumgarten, che ne
approfondirà poi i caratteri nel trattato Aesthetica seu scientia cognitionis sensitivae,
del 1750. Tuttavia, ha osservato Pietro Kobau, l’estetica intesa come dottrina dell’arte
non nasce direttamente né in Baumgarten, né
nel suo allievo principale, Georg Friedrich
Meier; sarà Kant che impiegherà il termine
come aggettivo per indicare un particolare
tipo di giudizio, preannunciando la crisi della definizione baumgarteniana. Kant, infatti,
diffidando per motivi gnoseologici e metodologici dell’estetica così come era stata
concepita da Baumgarten, fonderà un’estetica completamente nuova, mettendo definitivamente in ombra l’estetica illuministica
settecentesca.
Christian Wolff, maestro di Baumgarten,
affermava, nella teoria dei concetti chiari e
distinti, che un concetto (o una identità mentale) risulta chiaro, se è potenzialmente analizzabile, e risulta distinto, se è tanto analizzabile da poter essere comunicabile. In una
identica direzione razionalizzante, ha osservato Kobau, muove i primi passi anche Baumgarten, il cui grande merito è aver posto le
basi filosofiche dell’estetica. Baumgarten
riteneva che l’estetica non potesse ridursi
alle regole per la produzione d’arte o all’analisi dei suoi difetti psicologici, ma andava
considerata come “scienza della conoscenza
sensibile” e quindi come “gnoseologia inferiore”, rispetto alla logica, occupandosi di
una “facoltà conoscitiva inferiore”. Il parallelismo così istituito tra estetica e logica e il
conseguente interesse teorico-sistematico per
l’estetica, ha fatto notare Kobau, segnano un
importante progresso di Baumgarten nei confronti di Wolff: l’uomo non si riduce a conoscenza scientifica ma, al contrario, è fatto di
conoscenza razionale e conoscenza sensibile.
Già Cassirer notava come, rispetto a Wolff
e allo stesso Leibniz, Baumgarten opponesse alla teoria delle idee “chiare” e “distinte”
la conoscenza “chiara” e “confusa” dell’estetica. La sensibilità, fino ad allora considerata
“conoscenza inferiore” rispetto alla razionalità, viene da Baumgarten intesa come momento autonomo dello spirito umano, capace di darci una visione globale, unitaria degli
oggetti, una visione armonica e complessiva
delle parti che li costituiscono. L’estetica,
pertanto, coglie la bellezza degli oggetti e si
basa su un pathos innato, su una tensione
56
istintiva, che l’educazione può disciplinare.
Nella complessità degli stimoli e dei risultati
conseguiti da Baumgarten, Kobau ha poi
inquadrato l’opera di Georg Friedrich Meier. La prima edizione dei suoi Principi di
tutte le arti e scienze belle, apparsi nel 1748
(due anni prima dell’Aesthetica baumgarteniana), non va letta come un semplice plagio
del pensiero del maestro. Meier infatti accentua ancora di più gli elementi apologetici
della conoscenza sensibile, sottolineando il
valore delle arti e delle scienze belle, fino a
raccogliere tutta la letteratura coeva all’interno di un impianto identico a quello baumgarteniano. Inoltre, ha rilevato Kobau, il
concetto di giudizio di gusto, totalmente
assente nelle due parti dell’Aesthetica baumgarteniana e solamente accennato della Dissertatio del 1735, viene esteso da Meier, grazie
ad un’argomentazione filologica discutibile, a
tutto l’ambito della conoscenza sensitiva.
Nella Critica del giudizio, ha infine osservato Kobau, Kant, definendo il bello come
«ciò che piace senza concetto, senza interesse, come oggetto di un piacere universale»,
ribalta il concetto baumgarteniano secondo
il quale sentire e fantasia sono indipendenti
dall’intelletto, facendo dell’arte un opera del
genio, alla quale concorrono sia l’intelletto,
sia l’immaginazione; alla facoltà del genio di
produrre il bello fa riscontro il gusto, come
capacità di apprezzare il bello. R.S.
Neoplatonismo di Vico
In occasione del 250° anniversario della
morte di Vico e della pubblicazione
della SCIENZA NUOVA del 1744, Mario Agrimi, studioso di Vico, ha tenuto a Napoli,
dal 7 all’11 novembre 1994, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, un
seminario dal titolo: “UNITÀ NEL PENSIERO
DI GIOVAMBATTISTA VICO”, mostrando come
la concezione vichiana trovi il suo fondamento unitario nella tradizione “platonico-neoplatonica”.
La prospettiva storiografica di stampo idealistico individua nello sviluppo del pensiero
di Giambattista Vico una doppia gnoseologia, che si traduce in un “rovesciamento”
della visione che vede all’origine dell’umanità la bestialità, lo stato ferino. Non trascurando questa contrapposizione, Mario Agrimi ha tuttavia individuato il fondamento
dell’impianto teorico vichiano nella tradizione “platonico-neoplatonica”. Di fronte
all’avanzante cultura europea e all’aristotelismo scolastico, la cultura meridionale trova di fatto una forte identità e continuità
culturale in un “platonismo moderno”, riformatore, le cui significative espressioni sono
appunto Doria, Vico, ma anche, più tardi, F.
A. Grimaldi, Pagano, Filangieri, Cuoco.
D’altro canto lo stesso Meinecke, ha ricordato Agrimi, in forza del neoplatonismo ha
individuato in Vico, oltre che in Leibniz,
CONVEGNI E SEMINARI
Arnold e Shaftesbury, un “precursore” dello
storicismo.
Così, secondo Agrimi, la Prima Orazione
Inaugurale (1699), il De Antiquissima Italorum Sapientia (1710), la Sinopsi del Diritto
Universale (1720-22) e le diverse edizioni
della Scienza Nuova (1725, 1730, 1744)
sono tutte diversamente contraddistinte da
una metafisica neoplatonica del conatus, del
facere, articolata in due livelli: ideale e reale,
filosofico e filologico. In queste opere compare costante, se non esplicito, l’invito per
l’uomo di scavare nel proprio animo per
attingervi il divino, e di conseguenza individuarvi le categorie attraverso cui comprendere il mondo. Alla natura umana lapsa
resta, della natura divina, una vis veri, una
forza, un’energia di verità che dalla vita
primitiva del senso giunge al livello emozionale-fantastico, esplicandosi nella mente
pura, in un continuum cha va dal corpo
all’anima, e viceversa, senza distinzione tra
res extensa e res cogitans.
Con Badaloni, Giarrizzo e De Giovanni,
Agrimi ha riconosciuto il valore politico del
De nostri temporis studiorum ratione (1708)
in quanto manifesto del riformismo austriaco per le implicazioni che ha nella vita civile
e politica napoletana, per l’affermazione che
i cartesiani sono “docti imprudentes”, cioè
incapaci di formare i giovani alle responsabilità pubbliche e civili, escludendo tutto
quel vasto campo di conoscenze verosimili e
probabili e condannando l’eloquenza necessaria al sapiente per affrontare le irregolari e
multiformi espressioni della vita.
Uno dei motivi del grande successo di Vico
in questi ultimi anni, soprattutto in America,
ha osservato Agrimi, è la sua attenzione
esplicita o implicita alla tradizione retorica,
vista anche in relazione al suo ruolo istituzionale; Vico guardava, infatti, agli usi civili e
professionali dell’eloquenza. L’eloquenza
era per Vico una sorta di sapienza pratica;
l’adesione al discorso oratorio implicava un
atto di volontà: “flectere animos dictione”,
flettere l’animo con la parola. I sapienti
eloquenti che possono governare sono depositari di una sapienza civile, di una prudenza
civile; il loro iter pedagogico è legato alla
fantasia, alla memoria, alla poesia, alla storia,
ecc., ma soprattutto essi devono possedere una
mente “eroica” caratterizzata dall’ingegno.
Già negli anni successivi al rientro di Vico
dall’ “esilio di Vatolla”, ha sottolineato Agrimi, un’attenzione politico-sociale caratterizza le lezioni tenute all’Accademia di Medinaceli, della quale Vico fu membro. Nell’Accademia vigeva un uso della storia per la
politica e della politica per la storia: la storia
era considerata uno strumento di cui si deve
avvalere il politico. Con il passaggio dagli
spagnoli agli austriaci, ha fatto notare Agrimi, Vico si fa consapevole della necessità di
compiere scelte più esplicite; ormai non si
possono più fare solo orazioni erudite ed
eleganti. Così la precettistica retorica di Vico
segue ora un proprio percorso scolastico
istituzionale, mentre l’istanza umanistica anticartesiana si configura nelle tematiche del-
la topica, della memoria, dell’ingegno, del
probabile, del verosimile, integrandosi in un
più vasto percorso filosofico. Agrimi non ha
messo in dubbio che il ruolo istituzionale di
Vico professore di eloquenza abbia inciso
sulla sua riflessione filosofica, pur escludendo che nei compiti istituzionali di professore
di retorica all’Università Vico abbia illustrato la sua filosofia. Probabilmente, Vico comunicò il suo pensiero filosofico nelle accademie, luogo di diversa libertà intellettuale,
e nelle sue lezioni private. Dalla retorica
istituzionalmente professata Vico poteva
attingere elementi essenziali per la riforma del
sapere, che egli vedeva minato da un duplice e
contrapposto pericolo: l’insicurezza del dubbio
degli scettici e l’astratta rigidità dei dogmatici;
il pericolo maggiore, in tal senso, poteva venire
non tanto sul piano teorico, quanto sul piano
pratico e più immediatamente politico.
L’impegno riformatore vichiano ricompare
nella Scienza Nuova del 1725, considerata
da Agrimi un testo in sé compiuto e non,
come spesso si suole dire, una prima redazione delle successive edizioni. Nella Scienza
Nuova del 1725, ha sottolinenato Agrimi,
manca la dottrina dei ricorsi, in quanto Vico
affronta qui in modo diverso il problema
della continuità storica: la dottrina dei ricorsi, della ciclicità del tempo pagano, parallelamente a un’adesione alla dottrina del “circolo platonico”, risponde a una curvatura
pessimistica del suo pensiero e ad una polemica sempre più accesa con la cultura del
proprio tempo. Nell’edizione del 1725 la
storia segue un andamento ondulatorio, nel
senso che la dottrina del corso storico-politico è quello dell’acmé, del punto di perfezione, che possono raggiungere le nazioni; l’opera, ha osservato Agrimi, avrebbe potuto essere una sorta di manuale per aiutare i governanti a capire quando una nazione ha raggiunto uno stato di perfezione morale, intellettuale, politica, religiosa, e quando da questo stato comincia ad allontanarsi. C.N./G.V.
Memoria, abitudine,
esperienza
Dal 2 al 4 novembre 1994 Roberto Bordoli ha tenuto presso l’Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici di Napoli un ciclo
di tre seminari su “LA MEMORIA E L’ABITUDINE NEL SEICENTO”, con l’intento di ricostruire le origini e le trasformazioni delle
concezioni della memoria e dell’abitudine nei due principali autori filosofici
del XVII secolo, Descartes e Spinoza,
alla luce del pensiero e dell’opera di
Louis de La Forge.
Riflessioni sulla memoria e l’abitudine, ha
rilevato Roberto Bordoli, sono sparse in
tutta l’opera di Descartes, il che dimostra la
centralità del tema nella filosofia cartesiana.
La memoria è in prima istanza una facoltà
legata all’immaginazione e quindi al corpo;
57
in quanto tale essa ha ben poco in comune
con la spiritualità pura della res cogitans, in
quanto immateriale-intellettuale. Tuttavia
Descartes teorizza, oltre alla memoria “immaginativa”, anche una memoria “intellettuale” che è distinta dalla prima ed è implicata nella costituzione metafisica del tempo e
della sua percezione da parte della res
cogitans; da questo punto di vista, Bordoli
ha messo in evidenza l’importanza delle
Regulae ad directionem ingenii, come presupposto del “cartesianesimo” spinoziano.
L’abitudine in Descartes, ha proseguito Bordoli, si configura parallelamente alla memoria immaginativa, dato che sia i ricordi che le
abitudini vengono a configurarsi come il
risultato di automatismi che presiedono rispettivamente al rinnovamento di un’ideaimmagine e alla ripetizione di un movimento
corporeo. Memoria e abitudine sono perciò il
lato mentale e quello corporeo di un processo
che affonda le sue radici nel terreno dove si
effettua il collegamento dell’anima col corpo.
Anche La Forge, tra i primissimi seguaci del
cartesianesimo, imposta la questione della
memoria cercando di trovare momenti di
congiunzione tra il piano fisico della necessità meccanico-filologica e il piano intellettuale. Adottando la dottrina di S. Agostino
sulla natura dell’anima, ha osservato Bordoli, La Forge intende perfezionare o rafforzare
la dottrina di Descartes per ciò che riguarda
in particolare l’unione dell’anima col corpo.
Nella prefazione al suo Traitè, La Forge
evidenzia la conformità del pensiero di S.
Agostino con quello di Descartes sul problema dell’anima, dimostrando come per S.
Agostino la memoria sia una delle proprietà
dell’anima. In realtà La Forge vuole dimostrare che fondamentalmente Descartes e S.
Agostino hanno avuto una identica concezione sostanziale, immortale e immateriale
del pensiero-mente. In La Forge comincia a
farsi problema filosofico quello che per Descartes non era tale, ossia la comunicazione
tra res extensa e res cogitans, che Descartes
riteneva possibile oggetto di pura analisi
fisiologica. La Forge invece si distaccherà
proprio su questo piano da Descartes, invocando il ricorso all’esperienza non solo per
quanto concerne il livello fisiologico della
memoria immaginativa, ma anche per ciò
che riguarda il livello della memoria logicointellettuale.
In Spinoza, ha infine rilevato Bordoli, il
concetto di “esperienza” è maggiormente
articolato, e non si identifica esclusivamente con la sfera della sensibilità corporea; da questo punto di vista sia La Forge,
sia Spinoza si presentano come esiti possibili della critica alla concezione dualistica
cartesiana, approdando il primo a concezioni che possono essere ricondotte alla
corrente di pensiero dell’occasionalismo,
il secondo ad una nozione complessa, fisiologica e intellettiva allo stesso tempo, di
esperienza, che mostra una notevole prossimità con la concezione che la scienza
moderna avrà dell’esperienza. G.C.
CONVEGNI E SEMINARI
La ‘Dottrina della scienza’
compie 200 anni
Il 22 novembre 1994 si è svolta presso
l’Università di Genova una giornata di
studi sul tema: “LA ‘DOTTRINA DELLA SCIENZA’ DI FICHTE DUECENTO ANNI DOPO ”, per
celebrare il secondo centenario della
pubblicazione della prima stesura dell’opera fondamentale di Johann Gottlieb Fichte. All’incontro, organizzato
dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova, in collaborazione
con il locale Goethe-Institut e con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di
Napoli, hanno partecipato alcuni tra i
maggiori esperti del pensiero di Fichte: Reinhard F. M. Lauth, Claudio
Cesa, Marco Ivaldo, dei quali Giovanni
Moretto, che ha presieduto la giornata, ha ricordato il fondamentale contributo all’approfondimento della filosofia di Fichte in generale, e di quest’opera in particolare.
Johann Gottlieb Fichte. L’antica Università di Jena (incisione di C. Junghans)
58
Nel suo intervento su “Il progresso conoscitivo nella prima Dottrina della Scienza
di Fichte”, Reinhard Lauth ha messo in
evidenza come l’elemento di novità della
filosofia di Fichte nella sua prima fase
(ovvero dalle Eigne Meditationen fino alle
tre introduzioni alla Dottrina della scienza
del 1796-97) non vada cercato né nella
decapitazione della “cosa in sé” kantiana,
né nella concezione dell’io, bensì nel tentativo di pensare l’unità della ragione al di là
della scissione tra essere e dover-essere,
ovvero al di là del principio di relazione
proprio delle filosofie di Reinhold, Schelling e Hegel. Fichte, infatti, pensa l’io come
porre (Setzen), come attività (Tathandlung),
come autocostituirsi e autocomprendersi
intenzionale e libero, come unità analiticosintetica. Il porre se stesso dell’io può tuttavia avvenire soltanto in rapporto ad un
essere che viene “rappresentato” ed “esibito”; niente infatti esiste se non un porre e un
suo prodotto. In questo senso, ha osservato
Lauth, Fichte supererebbe l’unilateralità
sia di ogni realismo che non riconosca che
il suo essere, apparentemente in sé sussistente, è reale soltanto nell’essere consaputo, sia di ogni idealismo che misconosca la
indeducibilità di principio di questo essere
dalla sola attività soggettiva.
Questo porre, ha tuttavia osservato Lauth,
non va pensato come immanente, bensì
come sciolto tanto dall’essere quanto da se
stesso, ovvero come libera spontaneità intenzionale, che pretende di superare la iniquitas della diseguaglianza tra l’io e il suo
oggetto; l’io, anche nella conoscenza puramente teoretica, è un io pratico. Se però il
porre è libero, può esserlo soltanto al cospetto di un’istanza suprema ed assoluta,
che originariamente lo possibilizza e lo
riguarda; un’istanza che Fichte pensa come
“io assoluto”. Tuttavia l’io assoluto non si
identifica, secondo Lauth, con Dio; in Fichte vi è piuttosto una difesa, contro l’im-
CONVEGNI E SEMINARI
manentismo dilagante, della santità e della
trascendenza di Dio, in quanto tra Dio, nel
suo essere assoluto, e la sua manifestazione
permane sempre uno iato assoluto.
Nella sua relazione su “Genesi e struttura
generale della Dottrina della scienza”,
Claudio Cesa ha posto l’accento sul carattere incompiuto, in fieri, di questa celeberrima opera di Fichte. La difficoltà di quest’opera va riportata, secondo Cesa, a due
fattori che ne caratterizzano l’impianto
generale: l’uso di una terminologia corrente, ma con significati non usuali; e la elaborazione di un forte contenuto speculativo in
un linguaggio ancora prevalentemente kantiano.
Cesa ha poi cercato di mostrare, ripercorrendo analiticamente alcuni concetti e problemi fondamentali della Dottrina della
scienza - il rapporto tra io, non-io e io
assoluto; la questione della deduzione delle categorie; l’idea di autofondazione, autopoiesis dell’io; la precedenza del momento pratico su quello teoretico; il concetto di streben, come ciò che spinge l’io a
mantenersi identico con sé, e quello di
limite, che ogni essere limitato, ovvero non
identico a se stesso, non può non pensare
come qualcosa da superare -, come quest’opera fichtiana sia un libro di critica e di
metafisica, concetti che Fichte, a differenza di Kant, tende a riconciliare.
Marco Ivaldo infine, nella sua relazione
su “L’idea di filosofia trascendentale nella
prima Dottrina della scienza fichtiana”, ha
anzitutto cercato di fare i conti con le tre
principali obiezioni che tradizionalmente
sono state rivolte a Fichte: quella risalente
a Jacobi, ma tipica delle correnti di pensiero esistenzialistiche, che rimprovera alla
filosofia fichtiana di produrre un annichilimento della realtà del vivente e quindi di
avere un carattere fondamentalmente nichilistico; quella risalente a Hegel, ma tipica di ogni ontologia razionalistica, che rimprovera a Fichte di rimanere chiuso nella
soggettività e di essere quindi incapace di
cogliere speculativamente la realtà oggettiva; e quella risalente a Kant stesso, ma
tipica di tutte quelle posizioni critiche, che
ritengono insuperabile la separazione tra
epistemologia ed etica e perciò respingono
ogni prospettiva sistematica, che rimprovera alla filosofia fichtiana di costituire una
forma di metafisica inaccettabile. Per Ivaldo la prospettiva fichtiana non è che un’analisi dell’idea di libertà; la manifestazione
suprema dello spirito non è infatti la rappresentazione, ma l’originario porsi dello
spirito stesso, il suo dischiudersi in atto,
che si realizza sia nel rappresentare teoretico, sia nel formare pratico.
L’autoreferenza dell’io, ha però osservato
Ivaldo, è in ultima analisi resa possibile
solo da una eteroreferenza superiore, che
non elimina la libertà dell’agire spontaneo,
ma, aprendolo al suo essere proprio, al
tempo stesso lo giustifica; un imperativo
che prescrive la realizzazione dell’io puro
come pienezza della verità e del senso.
Proprio perché riconosce l’identità irriducibile dell’atto spirituale e ne opera una
fenomenologia genetica, illuminando l’imperativo etico-religioso che scaturisce dal
mistero della libertà, la filosofia trascendentale di Fichte consente, secondo Ivaldo,
di sviluppare una concezione multidimensionale e aperta della ragione, capace di
affermare e difendere l’autonomia dei saperi di esperienza, ma al contempo di opporsi ad ogni forma di scientismo limitante
e limitato. R.G.
La relatività del vero
Organizzato dalla SFI - Sezione trevigiana e dalla Cattedra di Ermeneutica
del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Venezia, si è tenuto a Vittorio Veneto, nei giorni 9 e 10 dicembre
1994, un convegno internazionale dal
titolo: “RELATIVITÀ DEL VERO”, che ha
visto, fra gli altri, la partecipazione di
Manfred Frank e Mario Ruggenini.
Dal punto di vista teoretico, più che meramente storiografico, Manfred Frank ha
inteso tematizzare il sorgere, nel primo
Romanticismo, del tema della “relatività
del vero”. Frank ha rilevato, in particolare,
come in Leonard Reinhold risulti centrale
il concetto di “soggetto assoluto”. Dal
momento, però, che Reinhold concepisce
l’intera coscienza come rappresentazione
di un oggetto rappresentato, anche la coscienza che si ha del proprio io si caratterizza come rapporto a un oggetto; in tal modo,
anche la soggettività fondante diviene
un’idea irraggiungibile per la rappresentazione, ovvero le viene attribuito (kantianamente) un ruolo meramente regolativo. Per
Reinhold, l’io assoluto, anziché un fondamento della deduzione, diventa - come lo
definirà Novalis, che di Reinhold fu allievo
- un “principio di approssimazione”. Successivamente, Friedrich Schlegel affermerà, contro Fichte e Schelling, la non
deducibilità della propria filosofia da un
principio primo fondamentale.
Il percorso da Reinhold a Schlegel indica,
secondo Frank, l’affermarsi dello scetticismo intorno alla possibilità di acquisire
verità assolute attraverso deduzioni che
muovano da un’evidenza suprema. Il contesto in cui questo scetticismo prende piede, ha osservato Frank, è la polemica contro Jacobi, secondo il quale, perché sia
possibile un sapere, deve darsi un fondamento assoluto, ovvero una proposizione
che valga in modo incondizionato. Tale
sapere viene definito da Jacobi “sentimento”, o “fede”.
Il problema che, in questi termini, si agita
agli albori del Romanticismo, ha fatto notare Frank, è familiare all’attuale filosofia
analitica: si tratta del cosiddetto “fondamentalismo”, che afferma la necessità di
59
un “sapere di base”, che è tale in quanto si
giustifica da sé, senza essere guadagnato a
partire da altro, e che comunica anzi la
propria certezza alle altre proposizioni conoscitive. Così, lo scetticismo dei protoromantici appare rivolto a minare alla base
proprio il “fondamentalismo” jacobiano:
proprio ciò che Jacobi escludeva, ovvero il
regresso all’infinito nelle condizioni della
conoscenza, rappresenta invece l’autentico statuto del nostro sapere, che si trova in
una condizione di progresso infinito, senza
un fondamento assoluto. A differenza di
quanto accade presso i relativisti contemporanei, la verità non viene posta come
relativa in quanto dipendente da schemi
concettuali o immagini del mondo particolari, bensì in quanto essa va rapportata a
una totalità che non ci è data. Risulta con
ciò abbozzato, sostiene Frank, il programma di un hegelismo che non trova però
coronamento nel sapere assoluto; resta soltanto la dinamica relativizzante che prevede il superamento di tutte le convinzioni
particolari, in forza del loro essere parti in
rapporto a una totalità. Questa totalità, che
pure non si lascia determinare, costituisce
tuttavia un elemento necessario al nostro
pensiero e, in questo modo, costituisce il
nostro sapere come “simbolico”.
Riprendendo la questione della relatività
del vero, Mario Ruggenini ha sostenuto
che occorre ricondurre la “questione della
relatività” a quella del relativismo. La pluralità del vero è stata espunta dalla tradizione filosofica, proprio a causa del timore di
un esito relativista; se però un’esperienza
di verità non può prescindere da un’esperienza di pluralità e di relatività del vero,
ciò non comporta affatto che si debba concludere a una tesi relativista. Per Ruggenini, costituiscono un mito infondato tanto la
convinzione relativa all’unicità del vero,
quanto quella della possibilità, per ciascuno, di “pensare ad arbitrio”.
Rispetto alla tradizione filosofica, che afferma che la verità o è una o non è, occorre
per Ruggenini tematizzare la questione
dell’“essere al mondo”; questo è l’enigma,
l’ “esperienza plurale del vero”. L’esperienza della verità delle cose è essenziale
all’esistenza: esistere è esperire la verità.
Con Heidegger, l’esperienza della verità è
costitutiva dell’esistenza, e quest’ultima si
definisce come l’accadere del mondo: solo
in quanto è aperto al mondo l’uomo incontra le cose. L’apertura al mondo avviene
come linguaggio: se non si dà linguaggio,
non si dà l’uomo, ma anche viceversa. In
questa dimensione linguistica, ha osservato Ruggenini, va ricercata la radice del
carattere intersoggettivo dell’esistenza:
l’uomo non si dà come singolarità, bensì
solo nel suo “parlare con altri”, luogo originario dell’esistenza; il colloquio, dunque, e non la singolarità dell’esistenza,
costituisce perciò il “Ci” dell’essere.
A questo proposito, Ruggenini ha rilevato,
nella prospettiva heideggeriana, tre aporie:
il rapporto tra Mitsein (essere-con) e Dasein
CONVEGNI E SEMINARI
(esserci), la mancata determinazione della
temporalità del Mitsein e, di conseguenza,
l’impossibilità di connettere l’esperienza
delle cose alla verità del singolo, ovvero di
giustificare il carattere plurale della verità.
L’esperienza intersoggettiva delle cose può
essere legittimata, a parere di Ruggenini,
riconoscendo che nessuna delle nostre esperienze di verità (neppure quella dell’esperienza interna) è mai davvero singola: le
“cose” sono il “contenuto” di ciò che, in
colloquio gli uni con gli altri, interpretiamo.
Ciò significa in primo luogo riconoscere la
nostra finitezza, determinata dal nostro essere parlanti. Ma il sigillo della finitezza, ha
precisato Ruggenini, è il non poter finire
mai, l’inconclusività che produce il discorso, fondata sull’inesauribilità del campo semantico. Quando non ci sono più parole da
dire, c’è la morte; solo la morte è la fine del
discorso. In quanto lo “stare al discorso” è
proprio dell’essere finito, occorre legare
l’esperienza del linguaggio a quella della
finitezza. Essere finiti nel linguaggio significa, ha sottolineato Ruggenini, non essere
mai il primo a prendere la parola, bensì
definirsi sempre come rispondenti. Anche
quando ci si vuole isolare, in realtà si risponde: con un rifiuto. F.C.
L’individualismo moderno
di Stirner
Si è tenuto a Napoli, all’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, dal 10 al
12 novembre 1994, un convegno internazionale di studi dedicato a “MAX STIRNER E L’INDIVIDUALISMO MODERNO”, in occasione del 150° anniversario dell’edizione de ‘L’unico e la sua proprietà’ (Lipsia
1844-45). Il convegno ha inteso mostrare come negli ultimi decenni l’interpretazione dell’opera di Max Stirner si sia
sviluppata su temi specifici, che oltrepassano l’ambito strettamente filosofico e teorico, abbracciando questioni che
riguardano la religione, il diritto, la letteratura, la teologia, la storia e così via.
I lavori sono stati aperti da una articolata
riflessione di Claudio Cesa, che ha evidenziato alcuni momenti importanti dell’interpretazione e dell’influenza del pensiero di
Max Stirner in Europa nell’ultimo secolo.
La prima giornata del convegno è stata dedicata al rapporto tra la formazione e il pensiero di Stirner, da un lato, l’idealismo tedesco
e il movimento “giovane hegeliano” dall’altro. La seconda giornata ha affrontato un
tema assai controverso, lo Stirner politico: i
rapporti tra il pensiero di Stirner e i vari
ambiti dell’anarchismo (“borghese”, “di destra” e, soprattutto, l’anarchismo bakuniano
e di matrice rivoluzionaria); l’influenza de
L’unico su Mussolini e altri pensatori della
cultura di destra, come Schmitt e Jünger;
Stirner e Nietzsche; infine, lo Stirner libera-
le. Nell’ultima giornata ci si è occupati dello
Stirner precursore dell’esistenzialismo ed
esistenzialista ante-litteram lui stesso: altro
tema che a partire dagli anni Trenta è stato al
centro del dibattito filosofico su questo autore. Non sono mancati contributi che hanno
cercato di interpretare il tema del convegno
in riferimento a particolari questioni teoriche, come, ad esempio, la critica stirneriana
del sacro, la filosofia de L’unico come “poetique de la rupture”, la dialettica di “decostruzione e differenza” applicata al testo di
Stirner.
Nella prima parte del convegno si è indagato
come Stirner sia stato influenzato dalla teoria dell’io di Fichte e soggiogato da un
ambiguo atteggiamento di attrazione-repulsione per l’opera di Hegel, un’attitudine che
in qualche modo Stirner mantiene anche con
i discepoli rivoluzionari di Hegel. In tale
contesto di indagine, David Mac Lellan ha
parlato di una «forte influenza di Stirner
sullo sviluppo delle idee di Marx». Dopo la
critica di Stirner a Feuerbach, Marx prende
le distanze dal materialismo di Feuerbach e
dalla sua idea di natura umana. La critica di
Proudhon e del “vero socialismo”, presente
per la prima volta ne L’ideologia tedesca,
risente, secondo Mac Lellan, delle critiche di
Stirner, così come la stirneriana teoria dell’io
creativo avrebbe influenzato la nuova concezione materialistica di Marx, a partire dal 1845.
Carlo Menghi ha presentato un’analisi critica di Stirner alla teoria del diritto pubblico,
quindi alla filosofia del diritto, alla teoria
dello Stato e della società civile in Hegel; una
critica, ha osservato Menghi, che Stirner
opera in nome di un individuo pensato come
“unità negativa”, che tautologicamente conferma se stessa in quanto negazione di ogni
essere altro dall’individuo particolare. Menghi ha messo anche in evidenza in Stirner
alcuni spetti del problematico rapporto di
rifiuto e di accettazione-rielaborazione della
filosofia hegeliana, come pure la contraddizione tra unicità esclusivista ed “unione degli egoisti”. Fabio Buzzani, a sua volta, ha
preso le mosse dai “tre spettri” che agitano
L’unico: Hegel, la critica rivolta a quest’ultimo dalla sinistra hegeliana e Feuerbach,
affrontando una serie di questioni centrali
nella filosofia di Stirner, definita come un
«pensiero eccentrico anche rispetto a se stesso». Il rapporto tra la filosofia di Stirner e il
mondo moderno è stata al centro anche della
relazione di William Brazill che, oltre ad
aver affrontato alcuni aspetti problematici
dell’interpretazione “psicologica” di Stirner, ha
messo in risalto l’originalità della sua critica al
moderno e, per altro verso, anche l’anticipazione di alcuni sviluppi dello stesso.
Il rapporto tra Stirner e Fichte è stato oggetto
di analisi da parte di Antonio Punzi e Thomas Unefeldt: il primo, più attento ai temi
filosofico-giuridici della legge, della forza e
della volontà comune; il secondo, alle differenze tra l’io di Stirner e quello di Fichte,
soprattutto attraverso la critica che il primo
muove al secondo.
Altro tema importante del convegno è stato
60
quello del rapporto tra Stirner e l’anarchismo. Antimo Negri ha descritto il pensiero
di Stirner come una teoria a metà strada tra
l’anarchismo e il liberalismo, sottolineando
per un verso il radicale antistatalismo di
Stirner e, per un altro, le peculiarità della sua
teoria della concorrenza, più legata alla dimensione della rivolta (Emporung) che a
quella del libero mercato; in tal senso Negri
ha descritto l’egoista stirneriano come un
tipo di “rampante” moderno. Sul rapporto tra
la concezione borghese e quella stirneriana
della concorrenza, ha richiamato l’attenzione anche Ferruccio Andolfi, che ha pure
messo a confronto i tratti che distinguono la
concezione romantica dell’individualismo
dalla teoria stirneriana dell’unico.
Carlo Roehrssen ha rilevato l’attualità di
Stirner nell’ «affermazione della individualità come dato primordiale e irriducibile»,
anche se, poi, ha lamentato «l’astoricità della
concezione dell’individuo» di Stirner nel
confronto fra la teoria anarchica del soggetto
“unico” e l’atteggiamento che Stirner prende
nei confronti del liberalismo e del comunismo. Giampiero Berti ha invece definito
Stirner “filosofo dell’anarchismo” che, portando all’estremo limite il processo di secolarizzazione iniziato dall’Illuminismo, si pone
nella labile frontiera tra secolarizzazione e
nichilismo, presentato da Berti come una
dimensione dell’anarchismo. Stirner svilupperebbe il suo pensiero in termini esclusivamente critici, evitando di esprimere progetti
e modelli alternativi di vita, per non ricadere
nelle dinamiche dell’alienazione.
Marco Cossutta ha dedicato il suo intervento al confronto fra le teorie della socialità e
della rivolta di Stirner e di Bakunin, sviluppando pure una comparazione tra le tesi
politiche e giuridiche di questi due filosofi e
le moderne teorie di matrice kelseniana e
scandinava, che descrivono il diritto come
una variabile dipendente della forza.
Nell’ultima sessione del convegno si è parlato dello Stirner “esistenzialista” e di alcuni
aspetti teoretici della sua opera principale.
R.W. Paterson ha sviluppato un confronto
tra L’unico e la sua proprietà e L’essere e il
nulla di Sartre, leggendo il primo come
un’anticipazione di alcune tematiche del secondo, considerato come la più completa
espressione dell’esistenzialismo ateo. Il nulla è, sia per Stirner che per Sartre, tanto la
dimensione di partenza di un io che rinuncia a
tutto ciò che è diverso da sé, quanto il processo
di appropriazione e consumo dell’altro.
Alberto Signorini ha colto la radice della
filosofia di Stirner nel suo carattere criticopolemico, che si articola attraverso la decostruzione dei concetti che, da Platone ad
Hegel, sono stati alla base della filosofia
europea, proponendo un pensiero della differenza il quale, diversamente dal pensiero
rappresentativo, non procede mediante giudizi predicativi.
Gli atti del convegno saranno pubblicati
entro il 1995 dalla casa editrice Guida di
Napoli, a cura di Enrico Ferri. E.F.
CONVEGNI E SEMINARI
Karl Marx e Fulvio Papi
Epoca e dialettica
In occasione della presentazione dell’ultima opera di Fulvio Papi, IL SOGNO
FILOSOFICO DELLA STORIA. INTERPRETAZIONI
SULL’OPERA DI MARX (Guerini e Associati,
Milano 1994), il 5 dicembre 1994 si è
tenuto alla Casa della Cultura di Milano un dibattito dal titolo: “EPOCA E
DIALETTICA”, al quale hanno partecipato, oltre all’autore, Silvana Borutti,
Mario Ruggenini, Aldo Trione.
Silvana Borutti ha ricondotto l’analisi di
Fulvio Papi sulla filosofia della storia di
Marx alla sua formulazione del concetto di
“configurazione di mondo” nel contesto di
una prassi. Il sogno filosofico della storia,
ha osservato Borutti, ristabilisce anzitutto
il nesso fra la concettualizzazione dei fenomeni nell’epoca capitalista e la dialettica
filosofica della coscienza, che sottende l’impostazione marxiana. Nell’analisi di Marx,
Papi individua tre elementi: quello diagnostico, quello dialettico e, infine, quello onirico-utopico, al quale appartiene la dimensione in cui si colloca l’utopia dell’unità
della storia. Essa assume in Marx due facies: la prima, l’umanizzazione della natura, resta implicita; la seconda, la critica
dell’economia politica, viene invece esplicitata.
Per ciò che concerne il primo aspetto, Borutti ha sottolineato come il tema antropologico acquisti in Marx una dimensione
naturalistica. La natura viene infatti pensata come una potenza produttiva, dominata
dalla tecnica; la dimensione naturalistica
del pensiero marxiano risiede, perciò, nel
fatto che il comunismo implica la liberazione delle potenzialità produttive “naturali”. Secondo Papi, questo schema impone
però la rimozione del carattere di alterità
della natura nei confronti del soggetto, nonché di quello di simbolicità. Per ciò che
concerne il secondo aspetto dell’unità utopica della storia, Borutti ha rilevato come,
secondo Papi, la critica filosofica dell’economia politica tenti di definire un “tempo
essenziale”, concepibile come lo Jetztzeit
benjaminiano, che si colloca al di là del
tempo lineare, al quale si attiene l’economia politica. In questo modo, sottolinea
però Papi, la connessione fra la storia e
l’autocoscienza viene fondata in una prospettiva marcatamente vicina a quella di
Hegel.
Aldo Trione ha sottolineato come l’elemento onirico-utopico costituisca l’autentica cifra della lettura marxiana di Papi, che
propone una risposta all’eclissarsi della
teoria marxiana in seguito al crollo dell’ipotesi e del progetto politico marxista.
Questa risposta consiste nell’affermazione
di Papi, secondo la quale, iuxta gli insegnamenti marxiani, le proposte politiche vanno cercate nell’orizzonte della propria contemporaneità, e solo entro questo orizzonte
è legittimo utilizzare un testo come quello
marxiano. La critica filosofica di Marx,
61
con il suo precorrere un’alterità utopica, si
configura nel contempo come un decreto di
fine della filosofia, cioè dell’ideologia relativa all’autonomia della riflessione concettuale. A questo proposito, Trione ha
richiamato e accostato alla filosofia di Papi
la lettura marxiana di Derrida, laddove
quest’ultimo sottolinea il carattere di apertura del presente nei confronti del futuro,
ovvero la necessità che la riflessione filosofica, perlomeno quando voglia definirsi
“marxiana”, venga pervasa da un’operosità costruttiva. Questa, ha ricordato Trione,
era d’altra parte l’interpretazione che del
materialismo storico forniva già Antonio
Banfi, il quale non intendeva ridurre la
dottrina di Marx a una fra le tante ideologie
filosofiche della storia, bensì alla prassi analitica della storia medesima, in grado di porsi
come suo elemento critico e dialettico.
Il filo conduttore delle questioni che si
muovono nell’opera di Papi, ha sostenuto
Mario Ruggenini, è costituito dalla necessità di rispondere alla domanda in merito
all’utilizzazione dell’opera di Marx, il che
implica di definire in che cosa consista, in
generale, la fine del dominio di un’egemonia in campo filosofico.
Nell’interpretazione di Papi, Ruggenini
individua tre elementi decisivi. Il primo
consiste nel rapporto intercorrente fra economia politica e critica della medesima: la
prima fornisce le coordinate dell’epoca
prese in esame, il capitalismo, mentre la
seconda incarna lo strumento analitico, la
CONVEGNI E SEMINARI
dialettica. Secondo Ruggerini, resta tuttavia da chiedersi se il rapporto tra epoca e
dialettica, proposto da Papi, costituisca oggi
una possibilità effettiva. Un secondo elemento rilevante nella lettura di Papi riguarda, secondo Ruggenini, la questione della
temporalità. Se Marx è colui che pensa
adeguatamente l’essere della storia, la realtà è già storia, perché essa individua nel
soggetto colui che è in grado di produrre il
proprio essere come storia. In questo, Marx
assume consapevolmente, secondo Ruggenini, una posizione ipermetafisica: la
realtà viene identificata con la soggettività.
Per questa via, il dominio del soggetto
produttore si rovescia, al suo culmine, nel
soggiacere del produttore medesimo al processo produttivo, come per altro verso ha
mostrato anche Heidegger, quando poneva la “questione della tecnica”. Un terzo
decisivo elemento dell’interpretazione di
Papi, ha infine rilevato Ruggenini, è costituito dal rapporto tra filosofia e linguaggio;
Papi mostra infatti come Marx intenda fornire le “parole”, attraverso le quali pensare
una realtà che è diventata oscura.
Intervenendo in sede di dibattito, Papi è
tornato sulla questione della soggettività;
attraverso tale nozione si realizza di fatto
l’espunzione della natura, concepita come
puro luogo di strumentalità. L’unità della
storia si definisce oggi nel silenzio del
mutamento entropico della natura. La nozione marxiana di merce, che riproduce il
dominio della produzione, ha fatto notare
Papi, appare effettivamente configurata nel
dominio planetario del soggetto. F.C.
Essere, nulla, progetto:
Sartre e Merleau-Ponty
Organizzato dal Seminario permanente di filosofia contemporanea, diretto
da Ubaldo Fadini e Adelino Zanini, si è
svolto nei giorni 26-27 novembre 1994,
presso l’Istituto filosofico Aloisianum
di Gallarate, un convegno sul tema:
“ESSERE-NULLA -PROGETTO. SU JEAN-PAUL
SARTRE E MAURICE MERLEAU-PONTY”, dedicato ad alcuni punti di contatto, riscontrabili nei due pensatori.
Contro l’apparente centralità della categoria
del corporeo in Sartre, Giorgio Nardone
(“Esistenza e realtà ne L’être et le néant e nei
Cahiers pour une morale”) ha tentato di
delineare in Sartre la figura di un “pensatore
della purezza”. La scissione fra la determinazione dell’essere “in sé” e quella dell’essere
“per sé” divide radicalmente il mondo in due
ambiti contrapposti. D’altra parte, l’essere
presso di sé della coscienza non comporta
un’oggettivazione del soggetto in virtù del
suo atto riflessivo, bensì un estroflettersi
della soggettività, nel suo caratterizzarsi come
temporalizzazione. In quanto “totalmente
esistito”, la protensione assoluta del sogget-
to comporta una rimozione della spazialità,
ovvero della corporeità medesima; in quanto
protensione statica, l’esistenza attualizza la
purezza, l’assoluta non commistione. Il mondo rappresenta per Sartre, ha sottolineato
Nardone, tanto un ostacolo da superare, quanto un’occasione; i due aspetti esprimono la
necessità, a un tempo, sia del contatto che
della separatezza fra il soggetto e il mondo,
in modo non dissimile da quanto avveniva
nella riflessione degli Stoici, quando essi
concepivano il mondo come l’occasione per
un libero progetto.
Ubaldo Fadini e Gianmario Pascucci (“Immaginazione e libertà: Jean-Paul Sartre”)
hanno affrontato il tema dell’intenzionalità
in Sartre, mediato dalla fenomenologia di
Husserl e da quella di Heidegger. Obiettivo
polemico di Sartre consiste qui nello smantellamento dell’identificazione di immagine
e oggetto, che sottende un’interpretazione
cosale, reificata, dell’immagine, ridotta a
“copia” dell’ente cui essa si riferisce. Non
all’ente, bensì all’attività intenzionale della
coscienza va ricondotta, per Sartre, la facoltà immaginativa, che rappresenta il fenomenizzarsi del tratto essenziale della coscienza,
cioè il suo carattere di trascendenza. Per
sostenere questa tesi, hanno osservato Fadini
e Pascucci, Sartre deve istituire una differenza radicale fra immaginazione e percezione,
per cui l’immagine non consiste in una percezione indebolita, non dà luogo a una duplicazione dell’ente intenzionato: dal punto di
vista della realtà dell’ente, quella dell’immagine è una non realtà. L’immaginazione rappresenta la negazione del mondo nella sua
totalità in quanto sintesi dell’esistente, la
posizione dell’irrealtà dell’immagine nei
confronti della realtà dell’ente. Si esplica
così il carattere di libertà della coscienza, che
la definisce nei confronti del mondo.
Judith Revel (“Per un espressionismo filosofico: Merleau-Ponty da Signes a La prose
du monde”) ha esaminato l’elaborazione in
Merleau-Ponty del concetto di espressione
lungo tre direttrici: il rapporto fra pensiero e
linguaggio, il confronto con de Saussure a
proposito della relazione fra la dimensione
soggettiva e quella oggettiva e, infine, il
confronto con Husserl, anch’esso mirato al
superamento della partizione fra la dimensione oggettiva e quella soggettiva del linguaggio. Se in de Saussure la questione del
rapporto tra pensiero e linguaggio trapassa in
quella della scissione tra dimensione sincronica e diacronica, nel passaggio fra le quali
avviene la desoggettivizzazione del pensato,
Merleau-Ponty rileva che in questo modo il
sincronico risulta “avvolto” dalla diacronia,
in quanto luogo dell’evolversi della tradizione linguistica. Oltre Husserl, Merleau-Ponty
rileva come l’uso linguistico comporti non
solo una desoggettivizzazione del linguaggio, ma anche la sua desoggettivizzazione.
La nozione di espressione fa riferimento, in
Merleau-Ponty, a una dimensione intersoggettiva, che coincide con il legame che si
fonda in una comunità, in una corporeità dei
soggetti viventi nella storia, che costruiscono la
62
loro realtà nella produzione immaginativa.
Secondo Pierre Della Vigna (“L’esistenzialismo umanista e la sua autocritica: Merleau-Ponty e Sartre”), mentre nella riflessione sartreana è presente un nucleo dualista, in
Merleau-Ponty s’impone, come unità proiettata nel futuro, una dimensione monistica
dell’ontologia. Nell’evolversi del movimento esistenzialista, la posizione di Sartre e
quella di Merleau-Ponty appaiono quasi rovesciarsi, fino a scambiarsi l’una con l’altra.
Partendo dal disinteresse per la politica come
impegno concreto e dalla sottolineatura dell’urgenza delle pulsioni individuali, Sartre
giungerà all’esigenza di “pensare la totalità”
come tentativo di adeguamento del proprio
impegno politico alla situazione “oggettivamente” data. Per contro, dalle posizioni rivoluzionarie del dopoguerra Merleau-Ponty
passa al “marxismo d’attesa”, con la revoca
all’azione politica della possibilità di esprimere
l’orrore dell’esistente.
A questo proposito, Adelino Zanini ha richiamato l’attenzione sull’ “irresolutezza”
rimproverata da Sartre a Merleau-Ponty. Già
in Umanesimo e terrore appare decisiva in
Merleau-Ponty la categoria del tragico, legata a quella di responsabilità. Per quanto, di
fronte al problema della scissione fra etica
individuale e oggettività delle condizioni
storiche date, la critica borghese voglia pervenire a una semplificazione della contingenza nella storia, la responsabilità della
scelta, secondo Merleau-Ponty, rimane inevitabilmente e tragicamente legata a quella delle
sue conseguenze, per quanto non scelte.
Tiziana Villani (“Il sentire dell’anima. Il
concetto di chiasma in Merleau-Ponty”) ha
tematizzato il concetto di “chiasma”, che in
Merleau-Ponty indica innanzitutto il rapporto di coappartenenza dei corpi sul piano
dell’immanenza. Il rapporto fra chiasma e
carne è quello della reversibilità, in particolare per quanto riguarda il concetto di ombra.
Su questa base, ha sottolineato la Villani,
Merleau-Ponty rivendica il carattere creativo del linguaggio, che risulta consustanziale
a una dimensione prelinguistica. Il linguaggio, in quanto espressione, è anzitutto organo di esperienza, di verità, che si realizza nel
“sentire”, concepito come il corto-circuito
fra organico e inorganico. Il piano del “neutro” rappresenta, appunto, quella dimensione di immanenza, in cui si esplica il sentire
come luogo in cui il soggetto perviene alla
propria destrutturazione.
Sul nesso che lega la religione ad alcuni nodi
strutturali della riflessione di Merleau-Ponty
è intervenuto Gianluigi Brena (“La religione in Merleau-Ponty”). Nel dopoguerra, volendo farsi carico del rapporto tra cattolicesimo e comunismo, Merleau-Ponty rilevava
come la posizione dei cattolici in politica
fosse radicata nella religione, e solo a partire
da quest’ultima fosse possibile comprenderla e criticarla “dall’interno”. Riferendosi agli
scritti del giovane Marx, Merleau-Ponty sostiene che la religione deve essere considerata come l’espressione del rapporto complessivo dell’uomo con gli altri uomini, con la
CONVEGNI E SEMINARI
natura, con la questione del male. La critica
di Merleau-Ponty al “Dio dei filosofi”, ha
osservato Brena, muove dalla critica all’idea
di un’assolutezza come data e, congiuntamente, alla critica degli idoli. Il fenomenizzarsi della religione prevede dunque il proprio articolarsi, da un lato, come preghiera e
come rivelazione naturale, dall’altro come
istituzione e ideologia. Il superamento di
questo secondo aspetto “dall’interno” appare costituire, per Merleau-Ponty, il compito
del filosofo nella società, nella convinzione,
contro Heidegger, della possibilità di una
filosofia cristiana nella ricerca (comune alla
religione e alla filosofia) della verità. F.C.
Teoria della mente
Presso la sede dell’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici di Napoli, in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione dell’Università di Roma
“La Sapienza” e con il Dipartimento di
Scienze Relazionali dell’Università di
Napoli “Federico II”, dall’11 al 13 novembre 1994 ha avuto luogo un convegno internazionale dal titolo: “INSIGHT E TEORIA DELLA MENTE NELLO SVILUPPO
E NELLA CLINICA”,
in cui varie tematiche
di teoria della mente sono state affrontate da una prospettiva sia teorica, sia evolutiva, sia clinica. Introdotti
da M. Ammaniti, che ha curato anche
la relazione conclusiva, hanno partecipato al convegno: N. Dazzi, P. Fonagy,
P. Hobson, I. Mays, D. Stern, A. Nunziante Cesare, A. Ferro, S. Muscetta, J.
e A.M. Sandler.
Introducendo al convegno, M. Ammanniti ha ricordato che il concetto di teoria della
mente fu usato per la prima volta solo nel
1978 da due ricercatori, Preemack e Woodruff, nel loro lavoro intitolato: “Lo scimpanzè ha una teoria della mente?”. Il concetto di teoria della mente si rivelò ben
presto fruttuoso, dando luogo a ricerche ad
indirizzo cognitivista ed evolutivo che partivano da interrogativi sulle capacità di
comprensione del funzionamento della
mente altrui da parte dei bambini. Ammanniti ha evidenziato poi come già da tempo,
sia pure in un contesto teorico e con un
linguaggio diversi, in campo psicoanalitico sia stato usato il concetto di interpretazione e insight, che ha diversi punti in
comune con la teoria della mente, in quanto
la capacità di introspezione verrebbe acquisita nel corso del trattamento analitico
dal paziente, consentendogli di comprendere il proprio funzionamento mentale.
N. Dazzi ha ripreso ed ampliato alcuni
punti già accennati da Ammanniti per quanto riguarda il concetto di teoria della mente
nei bambini, indicandone i punti essenziali: il bambino deve mostrarsi capace di
distinguere tra aspetti ontologici e aspetti
causali nella comprensione degli altri, dove
per aspetti ontologici si intende che il bambino è in grado di distinguere il fisico dal
mentale, gli oggetti dalle persone, e per
quanto riguarda gli aspetti causali è in
grado di cogliere le influenze del mondo
sul soggetto e del soggetto sul mondo.
Intervenendo in ambito clinico, P. Fonagy
ha mostrato come i bambini a tre anni
vedono i pensieri e le credenze, proprie
degli altri, come rappresentazioni del mondo reale; i pensieri sono cioè copie della
realtà. A quattro anni la realtà psichica del
bambino si modifica qualitativamente. Introducendo la prospettiva evolutiva, P.
Hobson ha mostrato come il bambino sia
condotto gradualmente verso l’acquisizione di una propria teoria della mente dall’esperienza interpersonale, che riceve impulsi fondamentali quando emerge nel bambino la comprensione delle false credenze.
La psicopatologia evolutiva, continua Hobson, mostra come nell’autismo si soffra
proprio di una compromissione delle relazioni interpersonali, di un insuccesso ad
acquisire la comprensione degli altri, a
sperimentare quel fondamentale impegno
intersoggettivo.
I. Mays ha indicato nell’integrarsi di tre
capacità - capacità di capire che un oggetto o una persona possano portare a più di
una rappresentazione; capacità di usare un
oggetto o persona per rappresentarne un’altra; capacità di rappresentare il mondo
mentale altrui -, che emergono nei bambini quasi simultaneamente già nel gioco del
“far finta”, la condizione necessaria per la
creazione di fantasie che informeranno la
concezione del mondo e di se stessi.
D. Stern ha messo in evidenza che il
contenuto della mente delle altre persone,
primariamente dei genitori, è per il bambino qualcosa di ovvio, qualcosa che lo
circonda per tutta la sua vita, il suo ambiente: le espressioni facciali, le espressioni emotive, sono per i bambini una
specie di “finestra meravigliosa”, che
mostra cosa le persone pensano e sentono.
L’imitazione nei bambini è un modo per
sapere che cosa l’altro diverrà, che cosa
succederà.
A. Nunziante Cesaro ha introdotto il punto di vista clinico e il problema dell’insight in connessione alle particolari relazioni di transfert e controtransfert. L’insight
può essere definito, secondo Nunziante
Cesaro, come una particolare qualità introspettiva, percettiva, cognitiva ed emotiva insieme, con cui sia il paziente sia
l’analista sono in grado, all’interno della
relazione terapeutica, di entrare in contatto con parti di sé per lo più sconosciute,
inconsce, scisse, rimosse. A questo punto,
se uno dei cardini del processo analitico è
il transfert, altro cardine è l’atteggiamento analitico, che pone in rilievo la capacità
dell’analista di comprendere e contenere,
padroneggiando e analizzando il proprio
controtransfert. Il pericolo, ha osservato
63
Nunziante Cesaro, è che i modelli teorici
guidino l’interpretazione del materiale analitico al punto di costituire una sorta di
pseudo-insight sia per l’analista che per il
paziente. A. Ferro ha messo invece in
rilievo l’importanza della relazione analitica che si instaura nella coppia analistapaziente, sottolineando il valore del delicatissimo, ma essenziale, ruolo giocato
dal controtransfert per consentire l’esperienza dell’insight e la conseguente acquisizione della capacità di costruire una teoria della mente da parte del paziente. In
particolare Ferro ha analizzato il formarsi
e lo svilupparsi della capacità di pensare
nel paziente.
Sulla scia dei due relatori precedenti, S.
Muscetta ha presentato una situazione di
tipo analitico attraverso l’esame particolareggiato di un caso clinico, ponendo in
rilievo la relazione esistente tra il buon
avanzamento dell’analisi e una graduale
acquisizione, da parte del paziente, della
capacità di comprendere il proprio funzionamento mentale e quello altrui, di riflettere sui propri processi di pensiero e di
costruirsi una rappresentazione di sé e
dell’altro.
J. Sandler ha postulato uno stato di identificazione primaria molto precoce, ma
persistente e tale da non risultare alla coscienza, pur permettendoci di sentire ciò
che l’altra persona sta sentendo, di realizzare la comprensione empatica grazie alla
duplicazione del proprio Sé. Sandler ha
inoltre indicato nell’inibizione dell’uso
della teoria della mente, il motivo che
potrebbe spiegare gran parte della violenza sociale, mentre l’incapacità di usare la
propria teoria della mente deriverebbe da
situazioni specifiche che portano a quella
che egli ha chiamata “empatia negativa”,
come forte difesa contro la comprensione
dello stato mentale dell’altro.
L’intervento conclusivo di M. Ammaniti
ha mostrato come sia il bambino di circa
quattordici mesi, sia l’adolescente esplorino il mondo circostante, confrontando il
proprio Sé con quello degli altri, chiedendo la partecipazione dei genitori attraverso la conferma delle proprie capacità e
competenze. I genitori, ha proseguito
Ammaniti, devono costituire per l’adolescente un polo identificatorio rassicurante
che garantisca la continuità con il passato.
L’infante lotta invece tra dipendenza materna e autonomia, quindi il polo paterno
funge da guida nell’eccitante esplorazione
del mondo circostante ed il polo materno
esplica, perlopiù, funzioni di contenimento, rassicurazione e regolazione del Sé.
R.A./A.L.
CALENDARIO
L’associazione Milano Arte Estetica
in collaborazione con la rivista Arte
Estetica ha organizzato, presso la
Fondazione Le Stelline di Milano, un
ciclo di conferenze su: Arte, Mito,
Simbolo. Questo il calendario degli
incontri: 31 maggio 1995, T. Kemeny: “Sul mito. Il mito come fedeltà
alla terra e alla vita”; 7 giugno 1995,
E. Rambaldi e M. Cucchi: “Simbolo,
Poesia, Filosofia. Valore e simbolo
della poesia nella contemporaneità”;
14 giugno 1995, E. Franzini: “Ipotesi
sul sublime nel Settecento e nella
contemporaneità”.
Informazioni: Prof. E. Franzini,
Dipartimento di Filosofia, Università
degli Studi, Via Festa del Perdono 7,
Milano
CALENDARIO
•
Dall’1 al 3 giugno 1995 all’Università di Salerno si è tenuto il Convegno
Nazionale dell’Associazione Italiana
per gli Studi di Estetica sul tema: La
Polifonia Estetica. Specificità e
Raccordi.
Informazioni: AISE, via San Fabiano 9, 52100 Arezzo. Fax: 0575
21941.
•
Con il titolo: Cento Anni di Filosofia Americana, si è tenuto a Cerisy
La Salle, dal 24 giugno al 1 luglio
1995, un convegno organizzato dal
Centre Culturel International de Cerisy La Salle, in collaborazione con
l’Università di Nantes e i Servizi Culturali dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Parigi. Tra gli interventi: H. Putnam: “Pragmatisme et réalisme”; P.
Engel: “Rorty and Davidson sur la
vérité”; R. Rorty: “Croyance religieuse et responsabilité intellectuelle”; D:
Davidson: “L’autorité de la première
personne et l’indetérmination de l’interprétation”.
Informazioni: Centre Culturel International de Cerisy La Salle, tel.
0033 33 45 91 66; fax 0033 33 46 11 39.
•
Esperti e giornalisti a confronto sui
grandi temi della bioetica in tre dibattiti organizzati dalla sezione genovese della Accademia Nazionale di
Medicina a Milano, il 29 giugno 1995,
a Roma, il 29 settembre 1995, e a
Napoli, il 9 novembre 1995, su quattro indicativi percorsi di ricerca: “Etica per la ricerca clinica”; “I principi
metodologici della ricerca scientifica”; “La ricerca sperimentale e clinica”; “Economia, equità e risorse”.
Relatori: M. Mori, I. Scardovi, A.
Mantovani, C. Flamigni, M. Zanetti.
Informazioni: Stefania Ledda,
Accademia Nazionale di Medicina Forum per la Formazione Biomedica, piazza della Vittoria 15/1,
16121 Genova, tel 010 54 58 611,
fax 541 761.
•
The Philosophy of Bertrand Russell è l’argomento della conferenza
a cura di Luisa Santonocito
dalla British Society for the History
of Philosophy, tenutasi dal 14 al 16
luglio 1995 all’Università di Southampton.
Informazioni: Ray Monk and Anthony Palmer, Department of Philosophy, University of Southampton,
Highfield, Southampton SO9 5NH.
“Some things I don’t understand about
events and states in semantics”; H. J.
Verkuyl: “On events as dividuals”; P.
Peterson: “Some propositions about
facts and events”; J. Brandl: “Do events recur?”; N. Asher: “Principles of
closure for event domains”; A. Meulen: “Chronoscopes: dynamic tools for
anaphora”; P. M. Bertinetto e D. Delfitto:
“Presuppositionality effects and the interpretation of temporal adverbs”.
Informazioni: Istituto Trentino di
Cultura, I-38050 Povo (Trento), tel 39
461 314444 fax: 39 461 314591. Istituto per la Ricerca Scientifica e Tecnologica: Fabio Pianesi e Achille Varzi, e-mail {pianesi, varzi} @ irst.itc.it.
•
•
A Caracas, dal 15 al 22 luglio 1995, si
terrà il II Congresso Mondiale di Fenomenologia, promosso da The World Institute for Advanced Phenomenological Research and Learning in
collaborazione con la Venezuelan
Philosophy Society. Pur estendendosi a tutti i settori della filosofia con
una prospetiva interdisciplinare, il
congresso si focalizzerà sul tema:
Phenomenology of life and of
human creative condition: nova
et vetera.
Informazioni: Anna-Teresa Tymieniecka, World Phenomenology Institute, 348 Payson Rd., Belmont, MA
02178, USA.
Dal 31 agosto al 3 settembre 1995 si
tiene presso la St. Edmund Hall di
Oxford il I simposio congiunto delle
associazioni britannica e tedesca di
estetica sul tema: Il giudizio critico.
Informazioni: Kerl-Heinz Ludeking, Schaperstrasse 10, D-10719
Berlino. Oppure: Richard Woodfield,
Nottingham Trent University, Nottingham NGI 4BU, U.K.
•
•
Il XIII Convegno Internazionale su
Aesthetics in Practice si terrà a
Lahti (Finlandia), dal 1 al 5 agosto
1995. La Città finlandese è tra i fondatori, insieme all’Università di Helsinki, l’Associazione Finlandese di
Estetica e l’Associazione di Studi
Avanzati Paijat-Hame, dell’Istituto
Internazionale di Estetica Applicata
(International Institute of Applied
Aesthetics) i cui campi di ricerca spaziano dall’estetica dell’ambiente all’educazione estetica, alle politiche
culturali di intervento, alla promozione della creatività nelle forme tradizionali e avanzate della “computer
art”.
Informazioni: I.I.A.A., “Tietoportii, Gate of Knowledge” Saimaankatu 11, 15140 Lahti, Tel. 0035818-7817857; fax: 00358-18-7817858.
In occasione del bicentenario della
pubblicazione dello scritto kantiano
Sulla Pace Perpetua, la Russian Kant
Society e la Kalingrad State University organizzano a Kalingrad, dal 19 al
22 Settembre 1995, la VII Conferenza Kantiana.
Informazioni: Prof. Dr. Vladimir
Bryushinkin, Department of Philosophy, Kalingrad State University,
Universitetskaya, 2, 236040 Kalingrad,
Russia. Tel (0112) 431229, fax (0112)
465813.
sian, and Oriental Traditions”.
Informazioni: “Eidos”, Universitetzkaya nab., 5, room 16, San Pietroburgo 199034, Russia. Tel (812)
218-4124; Fax: (812) 218-4172.
•
Il VI Convegno Nazionale dei
Dottorati di Ricerca in Filosofia
si terrà all’Istituto Banfi di Reggio
Emilia dal 25 al 29 settembre 1995 e
sarà articolato in dieci sezioni. Lunedì
25 settembre, per la sezione “Filosofia
Antica”, G. Giannantoni coordinerà
gli interventi di P. Dal Santo, L. Di
Capua, M. Falcioni, S. Fazzo, G. Negro e A. Trotta. Martedì 26 settembre,
per la sezione “Filosofia medievale e
rinascimentale”, L. Sturlese coordinerà gli interventi di A. Bertolacci, E.
Casadei, G. De Rosa, F. Frosini, L.
Mastropasqua, A. Saccon, F. Zanatta.
Mercoledì 26 settembre, per la sezione
“Estetica”, E. Mattioli coordinerà gli
interventi di C. Cantillo, L. Farulli, P.
E. Giordanetti, D. Guastini, M. Mazzocut-Mis e S. Tedesco. Mercoledì 27
settembre, per le sezioni “Il pensiero
del Seicento e del Settecento” e “Fenomenologia ed Esistenzialismo”, A.
Santucci e C. Sini coordineranno gli
interventi di A. Angelini, R. Ghirlanda, M. Marzialetti, S. Plastina, M. Pascucci, G. Azzarà, F. R. Casale, D.
Calabrò, V. Costa, N. Curcio, R. Giovagnoli, L. Marcucci, A. Marocco.
Giovedì 28 settembre, per la sezione
“Il Pensiero dell’Ottocento”, V. Verra
coordinerà gli interventi di S. Bassi, G.
Buccieri, S. Fuselli, G. Giacometti, I.
Lombardini; per la sezione “Logica ed
Epistemologia”, F. Barone coordinerà
gli interventi di A. Bellomo, M. Celentano, N. Vassallo; per la sezione “Filosofia del Linguaggio”, P. Leonardi
coordinerà gli interventi di R. Cavalieri, D. Chiricò, R. Contessi, C. Nizzo,
P. Perconti. Venerdì 29 settembre, per
la sezione “Il pensiero del Novecento”, G. Cotroneo coordinerà gli interventi di P. Armelini, E. Baccarini, C.
Bagnoli, E. Donaggio, L. Manfri, E.
Marano, L. Romano, E. Romito, D.
Tarizzo, M. Tempesta.
Informazioni: Istituto Banfi, via
Pasteur 11, 42100 Reggio Emilia, tel
e fax: 0522 554360.
•
•
•
Il Centro “EIDOS” di San Pietroburgo, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università, ha
in programma dal 10 al 15 agosto 1995
il II Convegno Internazionale di Cultura e Filosofia sul tema: Paradigms
of Philosophy, suddiviso in nove
sezioni, tra cui: “Philosophy as Art &
Art as Philosophy”, “The Postmodern
Condition and the Condition of metaphisics: Life, Language, Knowledge”, “Text and Ontology; The Ontological and Existential Tendencies of
Philosophy: Western European, Rus-
L’Istituto Trentino di Cultura e l’Istituto per la Ricerca Scientifica e Tecnologica sono i promotori del convegno internazionale: Facts and Events in the Semantics of Natural
Language, che si terrà dal 28 al 30
agosto 1995 a Trento. Relatori: J. Higginbotham: “On the role of events in
linguistic semantics”; T. Parsons:
64
Nel mese di ottobre 1995 il Centre
Culturel Français di Milano organizza una serie di incontri su Michel
Foucault. Lunedì 16 ottobre 1995 a
Milano: “Pensare la storia - Michel
Foucault: dall’archivio all’ontologia
del presente”, tra i relatori C. Sini, G.
Levi, F. Ewald, S. Natoli, P.A. Rovatti.
Mercoledì 18 ottobre, Bologna: “Filosofia e politica: Foucault fra teoria
del potere e pratica della resistenza”,
interventi di: V. Marchetti, A. Dal
Lago, A. Illuminati, V. Romitelli, M.
Bertani, A. Pandolfi, P. Virn, G.
Agamben. Giovedì 19 Ottobre, Roma:
“Foucault tra filosofia e scrittura”,
relatori: G. Agamben, J. Revel.
Informazioni: Nicolas Gulhot,
Ambassade de France en Italie, via
Bigli 2, Milano, tel. 02-76013966,
fax 02-76013669.
•
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Classici della filosofia
Una nuova proposta di lettura delle
opere fondamentali del pensiero filosofico è offerta dalla collana «I classici
della filosofia», pubblicata dalla casa
editrice Bruno Mondadori di Milano.
Nel 1994 sono già apparsi sei testi in
edizione integrale, altri invece solo in
edizioni non commentate. Si tratta del
FEDRO di Platone (a cura di F. Trabattoni), dell’ETICA di Abelardo (a cura di M.
Parodi), della MONADOLOGIA di Leibniz
(a cura di C. Calabi), della FONDAZIONE
DELLA METAFISICA DEI COSTUMI di Kant (a
cura di A. Vigorelli), della IDEA DELLA
FENOMENOLOGIA di Husserl (a cura di E.
Franzini), di AL DI LÀ DEL PRINCIPIO DEL
PIACERE di Freud (a cura di A. Civita).
L’aspetto innovativo di questa collana consiste nella originale formula di presentazione e di commento del testo, che senza
appesantirlo con un apparato soverchiante
di note o con introduzioni troppo prolisse,
vuole guidare il lettore all’analisi dell’opera e alla conoscenza del pensiero dell’autore. Si tratta, in questo senso, di una formula
editoriale che possiede una valenza di carattere didattico, nel senso che offre allo
studente opportunità di approfondimento a
diversi livelli (introduzione sintetica all’opera e all’autore, note e schede di analisi
del testo, profilo critico conclusivo), rendendo meno gravoso il confronto diretto
con l’opera, confronto che comunque si
presume sempre mediato dal lavoro di chi
insegna. Ogni testo presenta dunque diverse forme di approccio ai contenuti.
La prima forma è costituita da una breve
introduzione all’opera in questione, che ne
ripercorre brevemente la genesi e offre una
sintesi essenziale dei temi trattati. Fa seguito una scheda dedicata specificamente all’autore, arricchita da una bibliografia essenziale. Il testo, oltre ad essere chiosato da
brevi note chiarificative, è accompagnato
da alcune schede di approfondimento relative a determinati passaggi dell’opera o ad
aspetti nodali della filosofia dell’autore.
Per offrire un esempio, richiamiamo qui i
titoli che accompagnano la Fondazione
della metafisica dei costumi di Kant: “Metodo analitico e metodo sintetico”, “Kant e
Schiller: la polemica sul rigorismo”, “Sulla
popolarità in filosofia”, “Imperativo ipotetico e imperativo categorico”, “La dottrina
kantiana dei doveri”, “L’autonomia del
volere: Kant e Rousseau”, “Le morali eteronome”, “La trattazione speculativa dell’idea di libertà”.
Ciascun volume presenta alla fine un “profilo critico”, in cui il curatore affronta alcuni temi di più ampio rilievo che ricollegano
l’opera in questione al pensiero complessivo dell’autore. In questo senso Franco
Trabattoni fa seguire al Fedro un commento sulla “filosofia come educazione
dell’anima”, Massimo Parodi offre un
profilo dell’etica abelardiana come “impossibile progetto filosofico”, Clotilde
Calabi approfondisce il tema relativo a
“Leibniz e l’armonia del mondo”, Amedeo
Vigorelli studia il “fondamento della morale kantiana”, Elio Franzini si sofferma
su “temi e problemi della fenomenologia”,
Alfredo Civita avanza una riflessione sul
tema “psicoanalisi e pulsione di morte”. Al
termine di ciascun volume è riportato un
glossario dei termini-chiave dell’opera presentata. R.L.
Proposte, interventi, ricerche
Sul n. 25 (gennaio 1995) di «Sensate
esperienze» appare un servizio dal titolo: C’È CHI DICE. LETTERE A EPICURO, in cui
sono presentati alcuni “esperimenti”
di costruzione di testi filosofici da parte di giovani allieve della classe III L del
Liceo Scientifico “N. Copernico” di
Bologna. È un approccio nuovo alla
filosofia, che nasce dall’esigenza di
incrementare nei giovani la motivazione per lo studio di una disciplina
che si rivela, anche quando si tratta di
autori lontani, passibile di venire insegnata attraverso il dialogo-confronto
con il filosofo.
L’animatore di questa esperienza, Pietro
Biancardi, chiarisce come in partenza egli
avesse impostato lo studio della filosofia
greca nell’ottica di consentire alla classe di
conseguire gli obiettivi relativi alle capaci65
tà di scomporre un testo, di coglierne gli
elementi costitutivi, di evidenziarne i nessi
interni, di definire la terminologia filosofica. Rimaneva però la sensazione che, nonostante i progressi degli alunni, «le diverse soggettività», con un lavoro così strutturato, imperniato forse troppo sulla dimensione filologica, non riuscissero ad esprimersi e confrontarsi pienamente. Da qui è
nata la decisione di avviare un nuovo itinerario, relativo al tema: “Felicità nelle filosofie ellenistiche”, che sollecitasse «prese
di posizione più decise e personali». La
proposta (che a nostro avviso può essere
accostata a quella svoltasi in una classe
dell’ITIS “Cobianchi” di Verbania; cfr. il
n. 22-23 di «Informazione Filosofica», p.
79) si è tradotta nella richiesta alle allieve,
al termine di una serie di letture, di rispondere per iscritto ad uno degli autori studiati,
«attraverso un discorso personale, coerente e disciplinato». Vengono di seguito riportati, su «Sensate esperienze», tre elaborati di alunne, sotto forma di diverse e
possibili “risposte” alla Lettera a Meneceo
di Epicuro.
Si segnala infine, sullo stesso numero di
«Sensate esperienze», un’ampia recensione critica di Pasquale Palmeri del volume
collettivo dal titolo; Modelli di ragionamento nella filosofia antica. Una proposta
didattica (a cura di Carlo Natali, Laterza,
Roma-Bari 1994; da noi già recensito sul n.
19 di «Informazione filosofica»), che raccoglieva il frutto di un lavoro condotto dal
«Laboratorio didattico di filosofia» dell’IRRSAE Veneto. Al termine di una discussione dei diversi ordini di problemi
implicati in quel testo, Palmeri trae la conclusione che «l’insegnamento della filosofia è altra cosa dall’insegnamento della
storia della filosofia» e che occorre «abbandonare l’idea di una ricostruzione non
discontinua della storia del pensiero filosofico, anche solo rapportato ad uno specifico “filo conduttore”». R.L.
STUDIO
Bertrand Russel, Ludwig Wittgenstein, Karl Popper, Paul Feyerabend
66
STUDIO
STUDIO
La filosofia della scienza
fino ad oggi
L’epistemologia contemporanea è
oggetto di due studi di orientamento
introduttivo, che ne ricostruiscono lo
sviluppo in quest’ultimo secolo. Si tratta di INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA SCIENTIFICA DEL ‘900 (Studium, Roma 1994), di
Michele Marsonet, e de LA FILOSOFIA
DELLA SCIENZA NEL XX SECOLO (Laterza,
Bari-Roma 1995), di Donald Gillies e
Giulio Giorello.
L’opera di Michele Marsonet offre una
sintesi storica e sistematica della filosofia
della scienza dagli inizi del ‘900 ad oggi. Gli
elementi su cui viene impostata l’analisi
sono, in primo luogo, l’importanza dell’analisi del linguaggio, che costituisce il fondamento dell’epistemologia contemporanea;
in secondo luogo, il legame concettuale e
storico tra i due rami principali del dibattito
epistemologico attuale: la filosofia analitica
e il pragmatismo.
Il volume si apre con la descrizione del
passaggio dal positivismo del XIX secolo al
neopositivismo logico del Circolo di Vienna. L’esigenza di un criterio di esattezza,
infatti, ha richiesto l’uso di un linguaggio
unificato che, attraverso l’uso di enunciati
empirici e logico-matematici, fornisse certezza e sistematicità alla scienza. Da qui,
ricorda Marsonet, grazie anche all’apporto
di filosofi come Max Weber che, pur non
appartenendo di diritto alla scuola epistemologica, hanno contribuito notevolmente a
chiarire il concetto di razionalità scientifica,
l’epistemologia ha dovuto fare i conti con la
filosofia del linguaggio, che ha garantito la
distinzione tra linguaggio filosofico ed esperienza scientifica. La filosofia analitica ha
affrontato problemi come il nominalismo e il
platonismo che rimandano, necessariamente, a questioni di ordine metafisico: Carnap,
e poi Wittgenstein e Popper, hanno posto il
problema della verità degli enunciati e, di
conseguenza, della realtà dei fenomeni. La
logica estensionale e l’analisi del rapporto
tra significato, significante e oggetto ha spostato il tema da un’analisi prettamente linguistica ad una di tipo ontologico. Secondo
Marsonet, la filosofia analitica, una volta
giunta al tema degli esistenziali e dei quanti-
ficatori, non è più stata in grado di fornire
quei criteri di certezza e universalità che
erano richiesti.
L’impossibilità di arrivare ad una verità assoluta, applicabile sempre e comunque, ha
introdotto, di fatto, l’altro ramo dell’epistemologia attuale e cioè il pragmatismo. L’abbandono della ricerca della verità universale
e la propensione per un criterio che indirizzi
l’individuo al meglio e all’utilità pratica,
infatti, sembra essere l’orientamento più seguito dall’epistemologia negli ultimi tempi.
Seguendo questa tendenza, Marsonet termina la sua analisi con la presentazione del
pensiero di Rorty e Dewey che, sposando
l’ermeneutica all’epistemologia, realizzano
di fatto il legame tra filosofia del linguaggio
e pragmatismo.
Lo studio di Donald Gillies e Giulio Giorello, più che offrire una descrizione sistematica e storica degli ultimi sviluppi della filosofia della scienza, fornisce una serie di inquadramenti dell’epistemologia contemporanea,
scelti soggettivamente dagli autori e a volte
slegati tra loro. Sono infatti sei gli argomenti
affrontati sia nella loro specificità epistemologica, attraverso il confronto di più voci,
anche contrastanti, sia dal punto di vista
dell’aspetto psicologico e biografico degli
autori trattati.
Il primo tema proposto è l’induttivismo.
Esaltato dal Circolo di Vienna, il metodo
induttivo viene criticato da Popper e da
Duhem che, con argomentazioni diverse, lo
smantellano. È interessante notare che oltre
la descrizione teorica delle argomentazioni,
gli autori presentano anche degli esempi
concreti, come quello di Keplero e della
scoperta delle orbite ellittiche, in cui il metodo induttivo non ha funzionato. Il secondo
argomento scelto da Gillies e Giorello è il
convenzionalismo, attraverso le figure di
Poincarè e di Duhem. Con la scoperta delle
geometrie non euclidee, la sintesi a priori
kantiana, con la relativa concezione della
geometria e della fisica, ha subito un forte
scossone. Poincarè è il primo a far vacillare
la certezza nella geometria kantiana, pur
riconoscendo la sua semplicità e applicabilità, che in seguito, viene ripresa da Duhem.
Per quanto riguarda l’osservazione e gli enunciati protocollari, a fianco dell’interpretazione di Carnap, che fornisce certezza e univocità ai protocolli, Gillies e Giorello presenta67
no posizione opposte, come quella di
Feyerabend, che ritiene invece i fatti, e
quindi le osservazioni, carichi di teoria.
La quarta parte del volume tratta la demarcazione tra scienza e metafisica: accanto a
Kant, Wittgenstein e il Circolo di Vienna,
Gillies e Giorello propongono la concezione
di Popper che, da un lato fornisce importanza
alla metafisica nella logica della scoperta
scientifica, dall’altro la delimita nettamente
dalla scienza, grazie al criterio di falsificabilità. Gli ultimi argomenti trattati nel volume
riguardano, essenzialmente, la filosofia della scienza post-popperiana. A proposito delle rivoluzioni scientifiche e della crescita
della conoscenza vengono presi in considerazione Kuhn, Feyerabend e Lakatos che,
pur nelle reciproche differenze, hanno teorizzato la rottura tra i paradigmi e l’impossibilità della cumulazione come criterio di
crescita scientifica. È ancora Feyerabend il
protagonista dell’ultima parte del volume
che affronta la libertà intellettuale dello scienziato e della società: il caso Galileo, esposto
in Contro il metodo, esemplifica l’uso anarchico della scienza, possibile esclusivamente in una società tollerante e libera. A.S.
Donne e filosofia
Ad opera di Giulio de Martino e Marina
Bruzzese, viene pubblicato uno studio
dal titolo emblematico: LE FILOSOFE (Liguori, Napoli 1994). Il volume offre
una sintesi, analitica e divulgativa, del
pensiero al femminile, raccogliendo le
proposte teoriche, filosofiche e letterarie delle donne che, dalle origini del
mondo greco ad oggi, hanno portato
un contributo al mondo della filosofia.
Pur costituendo una raccolta dettagliata del
pensiero al femminile, il testo è retto da una
ipotesi interpretativa che vede il pensiero
delle donne essenzialmente legato alla prassi
e, quindi, all’ambito etico e pratico. Per
questo, Giulio de Martino e Marina Bruzzese hanno privilegiato gli aspetti concreti
del pensiero delle autrici prese in considerazione, tralasciando le speculazioni prettamente teoretiche. Presupposto di fondo è,
STUDIO
comunque, la ricerca e l’individuazione del
concetto di “autorità”, privato della connotazione tipicamente maschile della cultura
occidentale. In altre parole, de Martino e
Bruzzese, ispirati dalla filosofia della differenza, hanno voluto riportare la donna al
senso di originarietà proprio dell’età antica,
attraverso la voce di letterate e filosofe della
storia del pensiero.
Il volume è suddiviso in nove capitoli che
affrontano, in ordine cronologico, la problematica femminile del mondo greco e romano, del mondo cristiano, dell’epoca medievale, dell’età moderna, del secolo barocco,
del Romanticismo, dell’età moderna e di
quella contemporanea. Ogni capitolo offre
una panoramica storico-culturale che fornisce il quadro in cui inserire le autrici trattate,
affrontate nelle loro biografia, nelle loro
proposte teoriche e nella presentazione di
alcuni brani esemplificativi. Chiude il volume una serie di schede didattiche riassuntive
degli argomenti trattati.
Nel mondo greco la donna rappresenta l’elemento di raccordo tra la metamorfosi e la
generazione sessuale. Caratterizzata dunque
da un aspetto mistico e religioso, la donna,
agli albori della filosofia, vista come sintesi
del pensiero logico, perde di autorità e viene
relegata alla periferia della cultura. In età
romana la donna riacquista un ruolo amministrativo ed educativo ma, a partire dall’età
cristiana, diventa l’elemento di impurità e
debolezza, facile al peccato. Dopo l’età medievale, in cui si nota un risveglio intellettuale femminile, basti pensare alla fervida attività nelle abbazie, si passa a descrivere l’età
moderna caratterizzata dalla riforma protestante. È il momento delle donne letterate,
come Mary Astell, che propongono un pensiero femminile e femminista. Nell’età barocca si assiste alla restaurazione cattolica e
all’emergere di personaggi, come Madeline
de Scudery, che esaltano il sentimentalismo
e l’eroismo facile. È l’Illuminismo, comunque, a portare un risveglio generale nella
filosofia femminile ad opera di personaggi
come M.me de Lambert, con le sue opere
pedagogiche, e Olympe de Goufes, con la
sua Dichiarazione dei diritti delle donne e
delle cittadine, scritta in piena Rivoluzione
Francese. Dopo l’esperienza romantica, e qui
spicca il nome di M.me de Stael, grande spazio
è dedicato all’età moderna e contemporanea.
Fino al 1945, la produzione di pensiero femminile è in mano a donne come Elizabeth
Förster Nietzsche e l’amica Lou Andreas
von Salomè, che riflettono nelle proprie
lettere l’eco della filosofia di Friedrich Nietzsche, psicanaliste come Anna Freud e Melanie Klein, che affrontano lo studio dei
bambini sottoposti ad analisi, pedagogiste
come Maria Montessori, che trasporta la
pedagogia in ambito psicologico. La parte
finale del volume, dedicata all’età contemporanea, coglie gli elementi più significativi
del pensiero della differenza. Dopo l’analisi
del pensiero di Simone Weil e di Hannah
Arendt, che rappresentano il pensiero pratico e di sinistra, opposto alla cultura reaziona-
ria e teorica, ci si sofferma su Luce Irigary,
la teorica del pensiero della differenza, in cui
l’identità femminile viene ripensata a partire
dalla sessualità. In opposizione a Freud e alla
cultura del “padre”, Irigary propone il modello femminile, determinato dal desiderio e
dall’apertura all’altro, non come prototipo
maschile ma come “differenza” da cogliere
sempre e comunque. A.S.
ra cristiana e quella araba ed ebraica.
Come il primo volume, anche questo si
chiude con una raccolta di scritti critici,
storici e scolastici, che hanno affrontato il
Medio Evo, e con una serie di schede biobibliografiche che, in ordine alfabetico,
percorrono le tappe principali dei filosofi
trattati. A.S.
Filosofia ellenistica
Il Medioevo
Circa un anno dopo l’apparsa del volume dedicato alla filosofia antica, è stato pubblicato, a cura di Pietro Rossi e
Carlo A. Viano, il secondo volume con
il titolo: STORIA DELLA FILOSOFIA. IL MEDIOEVO (Laterza, Bari-Roma 1995).
Fedeli all’impostazione dell’opera, Pietro
Rossi e Carlo A. Viano offrono in questo
volume della loro Storia della filosofia,
dedicato al Medioevo, una panoramica
approfondita e dettagliata della tradizione
filosofica medioevale che va al di là di ogni
atteggiamento ideologico o finalistico. Gli
eventi filosofici, infatti, sono proposti nel
loro intrecciarsi e sovrapporsi senza dipendere in alcun modo da una chiave di lettura
unitaria e ben definita. In questo modo,
anche la storia, che accompagna l’esposizione del pensiero filosofico, diventa un
racconto di fatti che si sviluppano senza
dirigersi verso una meta prestabilita o, in
ogni caso, senza realizzare lo sviluppo intrinseco dello spirito. Così il volume racconta i mille anni della filosofia medievale,
a partire dai monasteri del 400 sino allo
sviluppo scientifico del 1400, accompagnando le teorie filosofiche ai principali
fatti storici che ne fanno da sfondo.
Una particolarità del volume consiste nel
taglio fondamentalmente laico che regola
l’esposizione: i filosofi sono presentati nella loro sistematicità teorica che sostituisce
l’inquadramento religioso, tipico di diversi
manuali di filosofia medievale. In altre
parole, personaggi come Anselmo o Tommaso vengono proposti nella loro elaborazione concettuale al di là della considerazione che l’ordine ecclesiastico, ad esempio nella loro beatificazione, ne ha in seguito proposto. La suddivisione del volume in
capitoli segue un ordine cronologico scandito ora dagli argomenti, ora dai personaggi principali. Vediamo, così, diversi capitoli dedicati alle tematiche principali del
Medio Evo, come la disputa sugli universali o la nascita delle università, insieme a
capitoli monografici dedicati a Tommaso
d’Aquino e a Guglielmo d’Ockham, considerati i pensatori di maggior spicco dell’età medievale. Rossi e Viano mostrano
grande attenzione nei confronti di pensatori come Anselmo e Abelardo, di cui viene
presentata anche una biografia; grande rilievo è dato inoltre all’incontro tra la cultu68
In Germania è stata pubblicata una storia della filosofia ellenistica, curata da
Helmut Flashar. Con i suoi due corposi
volumi, quest’opera, dal titolo: DIE ELLENISTISCHE PHILOSOPHIE. DIE PHILOSOPHIE DER
ANTIKE IV (La filosofia ellenistica. Filosofia antica IV, Verlag Schwabe, Basilea
1994), offre una trattazione completa e
analitica del pensiero filosofico ellenistico, aggiungendosi ai tre volumi già
pubblicati nel contesto di un ampio
progetto storico-filosofico dal titolo:
GRUNDRISSE DER GESCHICHTE DER PHILISOPHIE.
L’intento che guida questo nuovo studio
sulla filosofia ellenistica è chiaramente quello di fornire un quadro oggettivo del mondo
filosofico antico, attraverso la definizione
parallela di scuole e singoli pensatori. I due
volumi di cui l’opera consta abbracciano
trecento anni di storia e rispettano i termini
temporali dell’età ellenistica forniti da Droysen, che ne identificò gli esordi con la morte
di Alessandro Magno e l’epilogo con la fase
finale della Repubblica romana. La stessa
interpretazione della cultura ellenistica come
prima espressione della diffusione del concetto di “comunità spirituale”, al di là delle
discriminazioni classiche tra greci e barbari,
è il risultato del chiaro influsso di Droysen.
Lo studio, che si caratterizza per un’organizzazione dei contenuti rigidamente sistematica, trova il suo motivo conduttore nel tema
fondamentale della “trasmissione dell’insegnamento” dai singoli filosofi alle scuole e al
di fuori di esse, nella consapevolezza che
mai come nell’età ellenistica la filosofia ha
influenzato in modo tanto determinante la
storia dei popoli.
Il testo si apre con la trattazione della figura
di Epicuro ad opera di Michael Erler e
prosegue offrendo un panorama variopinto e
affascinante di scuole e pensatori più o meno
noti. L’opera si conclude con uno studio su
Cicerone, di cui sono autori Günter Gawlick e Waldemar Görler, nel quale ci si
interroga sulle ragioni della fama del filosofo latino, che per secoli ha fatto parte del
novero dei pensatori più letti e citati, pur non
avendo formulato una dottrina originale. La
risposta che i due autori forniscono si riallaccia alla dimensione fortemente storica del
pensiero ellenistico : se Cicerone ha infatti
goduto di così grande riconoscimento è innanzitutto perché ha contribuito a “fare” la
storia, gli stati e le ideologie. L.R.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
LA CULTURA
Anno XXXII, n. 3, dicembre 1994
Il Mulino, Bologna
Tempo ed esperienza, di G. Sasso: l’introduzione e i paragrafi conclusivi di uno
studio di G. Sasso sul tempo, L’evento ed il
divenire (di prossima pubblicazione presso
Il Mulino di Bologna).
Identità e indifferenza, di M. Visentin: verità e bene, principi fondativi della cultura
occidentale, nel loro rapporto ed in relazione alla frattura determinata dal linguaggio;
frattura emblematicamente raffigurata dalla cultura del nostro secolo.
L’argomentazione confutativa, di S. Petrucciani: riflessioni su alcuni punti del
pensiero di Apel e in particolare sulla sua
rivisitazione trascendentalpragmatica dell’argomentazione confutativa di Aristotele.
Scrittura autobiografica e filosofia della
politica nei ‘Gesta Ottonis’ di Liutprando,
di P. Garbini.
Su due paragrafi (6-7) della ‘Textkritik’
maasiana, di G. Inglese.
Giorgio Falco, la scelta e il periodizzamento, di G. Arnaldi.
Edith Stein: l’apprendistato fenomenologico, di A. M. Pezzella: la formazione
fenomenologica di Stein a Gottinga, dalla
tesi di laurea sull’analisi dell’esperienza
empatica alla comprensione della struttura
della persona umana.
Le questioni inedite. “Siena, biblioteca
comunale degl’intronati, L XI 24”, contributo alla storia della posterità di Giovanni
Capreolo (1), di P. Conforti.
Il prologo al commento di Giobbe di San
Tommaso d’Aquino, di C. Pandolfi.
Genealogia e secolarizzazione. A proposito di Cielo e Terra di G. Marramao, di M.
Fimiani: un’analisi dell’ultimo lavoro, pubblicato da Marramao.
IRIDE
Anno VII, n 13, dicembre 1994
Il Mulino, Bologna
Perché il linguaggio è importante per l’intelligenza artificiale?, di M. Dascale: dopo
aver analizzato alcune spiegazioni tipiche
dell’importanza del linguaggio per l’intelligenza artificiale, l’articolo cerca di coglierne sia i fondamenti, sia le difficoltà.
L’ermeneutica letteraria e i problemi della
contestualizzazione, di M. Pagnini.
AQUINAS
Anno XXXVII, n. 3,
settembre-dicembre 1994
Pontificia Università Lateranense, Roma
Michael Walzer: teoria politica e critica
sociale, un’intervista biografico-filosofica
di Sergio Caruso.
Per un servizio sapienziale della filosofia
nella Chiesa, di M. Sánchez Sorondo.
Seguono una serie di articoli che discutono
il termine “liberaldemocrazia”: Dalla democrazia liberale al liberalismo democratico, di R. Bellamy; Liberaldemocrazia, di
A. Davidson; Come difendersi dalle definizioni persuasive di “liberaldemocratico”?,
di E. Lecaldano; Liberalismo e democrazia: cooperazione o conflitto?, di S. Veca.
L’esilio ou-topico dell’etica: L.
Wittgenstein, di P. Pellecchia: la centralità
del problema etico in Wittgenstein.
Virtù e comunità nella proposta di Alasdair MacIntyre. Due fondamenti per una teoria etica?, di E. Pariotti.
Nostalgia e confusione, di M. A. Castro: la
frattura nell’attuale cultura occidentale rispetto alle categorie di conoscenza e realtà.
Il mondo è davvero indipendente dalla mia
volontà, di A. Voltolini: alcuni temi fenomenologici e schopenhaueriani nel giovane Wittgenstein.
Metafisica ed esistenza di Dio nel periodo
precritico di Kant, di S. Nicolosi: nella fase
precritica, riguardo al problema dell’esistenza di Dio Kant elabora una soluzione
metafisica, la cui struttura logica appare
formulata sulla falsariga di Cartesio.
L’impossibilità del patriottismo costituzionale: una critica a Habermas, di E. J.
Nimni: sull’impossibilità di tradurre in pratica le prescrizioni normative dell’idea dello Stato-nazione.
Democrazia e filosofia: la loro radice comune, di F. Savater: versione ridotta della
voce “democrazia” di un Dizionario filosofico, a cura dell’autore.
69
Potere femminile e politica: resoconto di
un recente dibattito, tenutosi presso l’Istituto Gramsci Toscano.
BOLLETTINO DEL CENTRO STUDI
VICHIANI
Anni XXIV-XXV, 1994-1995
Bibliopolis, Napoli
Cinque esemplari postillati della Scienza
Nuova, di D. Rotoli.
I giganti in Vico, di R. Mazzola: la trattazione dei giganti in Vico come esempio di
sovrapposizione tra il poeta e il filosofo.
Vico e i “figliuoli di Dio”. Ricerche sui
giganti nel ‘Diritto Universale’ e nella
‘Scienza Nuova Prima’, di L. Boschetto.
Platone e Vico, di A. Tucker: una interpretazione della filosofia vichiana dal punto di
vista platonico in merito a contenuti e modi
del filosofare di Vico.
Le epistole vichiane e la nascita dell’idea
di scienza nuova, di M. Sanna.
Sul Vico di Piovani, di C. Vasoli.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Natura umana e conoscenza storica in Vico.
Sulle recenti “riletture” vichiane di Leon
Pompa, di E. Nuzzo.
Appunti di lettura sul cartesianesimo napoletano tra ‘600 e ‘700, di C. Cantillo.
Giuliano Bajamonti, un vichiano dalmata,
di S. Roic.
Segue una serie di interventi sulla penetrazione del pensiero di Vico in Spagna.
L’identità di uno ed essere nel commentario al Parmenide di Porfirio e la recezione
in Vittorino, Boezio ed Agostino, di G.
Girgenti: i frammenti di un commentario
tardo-antico al Parmenide platonico attribuito a Porfirio, unico filosofo greco in cui
i paradigmi della filosofia classica dell’henologia e dell’ontologia coincidono.
Rilievi sulla traduzione del ‘De Aeternitate Mundi’ di Proclo in arabo, di C.
Ghielmetti.
Identità della metafisica e oblio dell’essere, di V. Possenti: la conoscenza dell’essere in J. Maritain.
SEGNI E COMPRENSIONE
Anno IX, n. 24, gennaio-aprile 1995
Capone Editore, Lecce
Dialogo su Hjelmslev, di C. Caputo e A.
Ponzio.
Depressione: approccio antropo-fenomenologico al problema della terapia familiare, di L. Longhi e P. Verrienti.
La comprensione della storia. La filosofia
della storia nell’Italia del primo Ottocento, di A. Verri: la filosofia della storia in Italia, all’inizio del secolo scorso,
all’interno della matrice filosofica vichiana che consente di delineare un filo
conduttore organico e corente con la
tradizione italiana dell’Umanesimo e del
Rinascimento.
Etiche e dominio di sé. Un confronto tra
Adorno e Foucault, di S. Berni: il rapporto
tra l’ultima fase del pensiero di Foucault e
il pensiero francofortese in merito alla questione della razionalizzazione del passato
come mezzo per la comprensione dell’attualità. L’articolo tenta di delineare i termini di un confronto all’interno dei concetti di
soggetto, natura e anima-corpo.
Le “occasioni filosofiche” di Ludwig
Wittgenstein, di F. R. Recchia Luciani:
revisione di alcune tematiche centrali del
pensiero di Wittgenstein a partire dall’antologia recentemente apparsa negli Stati
Uniti, Philosophical Occasions 1912-1951
(Indianapolis 1993).
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Anno LXXXVI, n. 4, ottobre-dicembre
1994
Vita e Pensiero, Milano
Finito e infinito e l’idealismo della filosofia, di G. Movia: la terza parte del saggio
dedicato all’essere determinato della logica hegeliana.
DISCIPLINE FILOSOFICHE
n. 1, 1994
FuoriThema, Bologna
La rivista è suddivisa in due sezioni: la
prima, “Hermeneutika”, è dedicata allo
scritto di W. Benjamin, Sul concetto della
storia (1939-1940), ultima opera del filosofo, pubblicato postumo nel 1950. Si tratta di uno scritto che non ha mai avuto un
posto centrale nella letteratura critica dedicata a Benjamin, anche perché propone
un’alleanza sincretica tra materialismo storico e teologia non facilmente accettabile.
In realtà si tratta di uno scritto illuminante
nella delineazione del dibattito politico e
culturale alla vigilia del secondo conflitto
mondiale e rappresenta anche un’interessante chiave di lettura per interpretare la
crisi del marxismo attuale. Il presupposto
teorico dello scritto è che la storia non è
soltanto scienza, ma anche rammemorazione, che definisce il senso del legame e
del continuo intersecarsi tra presente e passato. Importante anche la componente della teologia storica in merito alla questione
della secolarizzazione. Nella sezione compaiono i seguenti articoli: Le tesi filosoficostoriche di W. Benjamin, di G. Kaiser;
Materialismo storico o messianismo politico?, di R. Tiedemann; L’eccedenza del
presente, di B. Moroncini; Redenzione del
passato, di G. Bonola: sull’origine ed il
senso delle metafore della salvezza in questo scritto di Benjamin; Motivi apocalittici
e teologici dell’Eingedenken storico in
Walter Benjamin , di B. Maj.
Nella sezione “Phainomenologika” troviamo i seguenti saggi:
Genesi e struttura dell’esperienza, di V.
De Palma: l’analisi fenomenoloca dell’esperienza a partire dalle Lezioni sulla
sintesi passiva di Husserl.
L’ingresso nella contemporaneità, di E.
Kiss: la filosofia di Brentano nel dibattito
1850-1870: essa può essere inquadrata all’interno di un modello fondato sulla cop70
pia concettuale “plausibilità” e “possibilità” e funge da tramite tra la filosofia austriaca e la contemporaneità.
Rappresentare e giudicare, di R. Martinelli:
l’origine ed il ruolo della dottrina degli oggetti
intenzionali nella psicologia di Brentano.
TEORIA
Anno XIV, n. 2, 1994
ETS, Pisa
Nel vivo dell’essere. Per un dialogo sull’ontologia, di R. De Monticelli: l’alternativa tra i due grandi progetti di ontologia
del nostro secolo, il progetto della riduzione dell’ontologia a semantica logica e gli
avversari di questa operazione.
Wittgenstein, il linguaggio e l’interpretazione, di L. Perissinotto: l’atteggiamento di
Wittgenstein verso l’interpretazione e l’interpretare, il nesso tra linguaggio ed interpretazione.
L’ermeneutica e il trascendentale, di L.
Cortella: la sostituzione operata dall’ermeneutica contemporanea del paradigma soggettivistico con quello linguistico ha posto
la questione se l’ermeneutica possa raccogliere all’interno delle proprie coordinate
teoriche l’eredità della filosofia trascendentale, dal momento che l’ermeneutica ha
oggi definitivamente sostituito la categoria
del trascendentale con uno “sfondo”, cioè
una struttura non oggettivabile, che non
può essere mai risolto in un sapere.
Credere alle cose e credere agli dei. Teorie
della credenza da Renouvier a Dukheim, di
G. Paoletti.
FILOSOFIA
Anno XLV, n. 2, maggio-agosto 1994
Mursia, Milano
Kierkegaard e l’ironia socratica, di G.
Gallino: l’ironia esprime praticamente l’irriducibilità del singolo rispetto ad ogni
tentativo di totalizzazione e conduce a riconsiderare i presupposti ed i fini della
conoscenza stessa. Essa costituisce pertanto, configurandosi in termini di negatività,
un monito contro l’ontologia e la dialettica
ed un approdo, in Kierkegaard, verso la
salvezza.
L’iperrazionalismo di Oswald Spengler e
l’interpretazione di Otto Neurath del tramonto dell’Occidente, di F. Ingravalle: la
critica di Neurath all’opera principale di
Spengler è metodologica ed è rivolta alla
filosofia complessiva della storia di Spengler: la sua posizione viene accusata di
RASSEGNA DELLE RIVISTE
essere una forma di iperrazionalismo di
stampo cartesiano.
Libertà umana e dono ontologico. La penultima filosofia di Luigi Pareyson, di F. P.
Ciglia.
L’informe bergsoniano nella filosofia di
Serres, di A. Delcò: la funzione delle immagini all’interno della concezione generale del linguaggio e dell’espressione in
Bergson e l’incidenza di queste strutture in
Serres.
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’
Anno XVII, n. 1, 1994
Rosemberg & Sellier, Torino
Il fascicolo è dedicato a Jürgen Habermas,
di cui ricorre il sessantacinquesimo compleanno, in occasione del suo congedo dall’insegnamento accademico attivo. I saggi
qui raccolti, tutti legati alla tradizione della
teoria critica della società elaborata dalla
Scuola di Francoforte, sono il frutto di un
incontro e di un dibattito attivo dal 1990, il
“Seminario permanente di teoria critica”.
Per una razionalità pratica dialogica, di L.
Cortella: le questioni fondamentali di etica
contemporanea come superamento del paradigma etico moderno.
Riflessioni critiche sull’etica del discorso,
di A. Ferrara: le tappe del pensiero etico di
Habermas e l’ambiguità non risolta dell’etica del discorso.
Sfere di valore e conflitti: quale universalismo? Weber, Habermas e l’osservazione/
partecipazione dell’agire pratico, di M.
Calloni.
Habermas e la teoria dello sviluppo morale , di F. Andolfi: il contatto tra Habermas
e le scienze psicologiche e sociali, in particolare Kohlberg, in merito ad una conferma
scientifica dell’etica della comunicazione.
Legittimità tramite legalità. L’innesto habermasiano della ragion pratica nel diritto
positivo (Tanner Lectures), di L. Ceppa.
L’etica dell’argomentazione di K. O. Apel:
una presentazione ed alcune critiche, di V.
Marzocchi: i punti centrali della proposta
etica di Apel a partire dagli anni ’70 attraverso il processo di genesi.
Sulla giustificazione razionale della norma etica, di S. Petrucciani: una ricostruzione del percorso argomentativo attraverso
cui Apel ha proposto la tesi della fondazione razionale della norma etica.
RIVISTA DI FILOSOFIA
Vol. LXXXVI, n. 1, aprile 1995
Il Mulino, Bologna
Definire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, di J. Hintikka: la questione
della verità nei problemi di linguaggio.
L’olismo della credenza e l’olismo del significato: John Searle su “rete” e “sfondo”, di E. Lepore: la dottrina dell’olismo
del significato, le sue implicazioni per la
filosofia del linguaggio e della mente e le
argomentazioni in proposito di Searle.
Lo schiavo delle passioni, di J. P. Wright:
la centralità della spiegazione humeana
della ragione e delle passioni nelle discussioni posteriori sul rapporto tra religione e
morale.
Impressioni e idee sulla ventunesima
“Hume Society Conference”, di F. Baroncelli: resoconto del convegno tenutosi a
Roma il 20-24 giugno 1994.
Denis Diderot e la “differenza”, di M.
Brini Savorelli: Diderot e le donne.
La figura di Federigo Enriques fra rivalutazione e deformazione, di L. Gallo.
Per un’ermeneutica naturalistica: la critica di Hans Albert all’ermeneutica pura, di
L. Cataldi Madonna: recensione di H. Albert, Kritik der reinen Hermeneutik. Das
antirealismus und das Problem des Verstehens (Mohr, Tübingen 1994)
QUADERNI SARDI DI FILOSOFIA,
LETTERATURA E SCIENZE UMANE
Anno I, n. 1, giugno-dicembre 1994
Dattena, Cagliari
Prospettive fenomenologiche nella cultura
contemporanea, di A. Delogu: i temi di
fondo della filosofia contemporanea aperti
dalla prospettiva fenomenologica: il rapporto tra coscienza e mondo, l’esperienza,
la soggettività, problemi etici e scientifici.
Fondamenti della conoscenza. Inconscio e
cognitivismo, di G. Nuvoli: il problema
della conoscenza in un’ottica cognitivista.
Problematiche fenomenologiche e operatività clinica ad orientamento fenomenologico in campo psichiatrico, di F. Mura.
Identità e differenze, di G. Invitto: la prospettiva della “persona” dal punto di vista
del pensiero della differenza sessuale, che
tende a mettere in luce la diversità dei
soggetti uomo-donna.
La restaurazione creatrice di Augusto Del
Noce, di G. Aliberti: le analisi storiografiche di Del Noce contenute in Rivoluzione,
Risorgimento e Tradizione.
Soggetti e valori. Per una filosofia della
differenza, di M. Forcina: percorsi femminili in relazione ai valori.
Le filosofie del circolo e la questione del
chi? In Levinas, di C. Meazza.
RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
Anno XLIX, n. 4, 1994
Franco Angeli, Milano
n. 4, ottobre-dicembre 1994
PUF, Parigi
Alessandro di Afrodisia, De Fato II-VI, in
prospettiva aristotelica, di C. Natali: il
problema del destino e il rapporto con lo
stoicismo.
L’exigence morale, di J. Granier: il progetto di una nuova fondazione della morale
per guidare la ricostruzione dell’insieme
dei valori.
Iniziare con Spinoza. Errore e metodo nel
‘Tractatus De Intellectus Emendatione’, di
L. Vinciguerra: il problema che pone questo trattato sul metodo di Spinoza è come,
partendo dall’essere in errore, si possa giungere alla verità ed al vero bene. La posizione di Spinoza e la confutazione di Cartesio.
Istants fondateurs et image de soi dans
l’oeuvre de Proust, di J. L. VieillardBaron.
Filosofia ebraica oggi, di G. Lissa.
La technique et le temp, di J. P. Milet:
pensare l’attualità della tecnica nelle sue
dimensioni economica, sociale e politica e
più generalmente culturale, come elemento che inquieta l’humanitas dell’uomo.
L’ermetismo nei Lincei, di L. Boneschi: il
ruolo dei Lincei in rapporto alla Rivoluzione scientifica e la presenza di elementi
mutuati dalla cultura ermetica.
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN
Vol. 92, n. 4, novembre 1994
Institut supérieur de philosophie
Louvain La Neuve
71
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Tema della rivista: “La ricezione della Scuola di Kyoto in Europa”.
zione dello spirito e ci si interroga sull’attualità di questo pensiero.
Sur la personne et l’oeuvre de Hajime Tanabe, di J. Laube: l’articolo tenta di individuare
il rapporto esistente tra il pensiero di Tanabe,
secondo rappresentante della Scuola di Kyoto, e la fenomenologia di Husserl.
La lecture du jurnal selon Hegel: “une
sorte de prière du matin réaliste”?, di M.
Bienenstock: prendendo le mosse dall’attenzione che Hegel porta sia all’evento
particolare, sia allo speculativo, l’articolo
tenta di chiarire il senso della sua attitudine
per la storia e la politica attraverso l’esame
di Note e frammenti di Jena (1803-1806).
Nishida Kitarô, l’école de Kyoto et l’ultranationalisme, di P. Lavelle, la Scuola di
Kyoto, Nishida e i suoi discepoli, pur mostrando da un lato un atteggiamento di
collaborazione con il regime nazionalista e
con l’idea di superiorità del Giappone e del
suo dominio mondiale, dall’altro lato hanno resistito alle componenti più estreme e
militariste di questo indirizzo.
L’ontologie structurale et le dialogue des
mondes, di H. Rombach: l’ontologia strutturale si oppone all’ontologia essenzialista
della tradizione metafisica e segna l’abbandono dell’universalità astratta propria
dell’antropologia filosofica classica a favore di un’antropologia concreta, fondante
un’ontologia pluriforme. Tale ontologia
strutturale sembra emergere all’interno
della Scuola di Kyoto.
Hegel et Schelling: critique du formalisme et
prise en charge de la contingence, di J. M.
Lardic: il rispetto del contingente è l’elemento
che segna la differenza tra la dialettica ed il
formalismo della costruzioneschellingiana. Ciò
indica non solo l’allontanamento di Hegel da
Schelling nel periodo jenese, ma rivela anche il
sorgere dell’esigenza della distinzione dialettica tra infinito e natura finita, che emergerà con
chiarezza nella Scienza della logica.
Philosophia Perennis. Anton Dumitriu
(1905-1992), di V. Ciomos.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
Ottobre-dicembre 1994
PUF, Parigi
Milieu et logique du lieu chez Watsuji, di A.
Berque: l’apporto del pensiero giapponese
al progetto di “mesologia”.
Système de l’amour et de la mort chez
Dante, di B. Pinchard.
Karl Löwith et le nihilisme japonais, di B.
Stevens.
Giordano Bruno et la théorie des liens, di
T. Dagron: il tema dell’infinito e delle
forme in Bruno.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 57, n. 4, ottobre-dicembre 1994
Beauchesne, Parigi
Stanley Cavell. Au-delà du scepticisme, di
C. Imbert: il filo rosso che percorre l’opera
di Cavell, professore ad Harvard e figura
eminente della filosofia americana, è l’evidenza di uno scetticismo moderno che ha
avuto delle ricadute sull’arte americana e
sul pensiero politico contemporaneo.
Esthétique et pneumatologie philosophique chez Schleiermacher, di E. Brito: dopo
aver esposto la concezione di Schleiermacher
relativa al posto dell’estetica, disciplina critica, nel sistema delle scienze, e quello dell’arte, come simbolizzazione individuale,
nella cornice dell’etica, viene analizzata la
comprensione dell’arte da parte del filosofo
come teoria della produzione e dell’espressione, come un’estetica dell’automanifesta-
REVUE DE MÉTAPHYSIQUE
ET DE MORALE
Anno 99, n. 4, ottobre-dicembre 1994
Armand Colin, Parigi
Tema della rivista: “La IV parte dell’Etica
di Spinoza”.
Le modèle de l’homme libre, di P. Temkine: il personaggio del saggio nella IV parte
dell’Etica costituisce un modello di uomo
libero, fondamentale in un percorso etico
come manifestazione del desiderio stesso
della ragione.
Rôle et fonction des valeurs à l’origine des
sociétés, di L. Pezzillo: la teoria razionale
dello Stato in Spinoza e le connessioni con
la realtà effettiva della natura umana.
Éthique IV: les propositions 70 et 71, di P.
Macherey: ragione e passioni in Spinoza.
“Lieu”, Nishida, Nishitani, Derrida, di R.
Elberfeld: questi tre autori, pur in modo
differente, procedono in direzione del luogo della non-apparenza.
Spontanéité et nature: le cas d’Andô Shôeki,
di J. Joly.
conduttore della sua riflessione politica
sembra essere la questione: quale socialismo elabora il marxismo?
Tema della rivista: “La filosofia italiana”.
Vico, Hercule et le “principe héroïque” de
l’histoire, di A. Pons: la figura di Ercole,
centrale nell’ermeneutica mitologica della
Scienza nuova.
La philosophie de l’histoire en Italie dans
la première moitié du XIX siècle, de Janelli
a Cattaneo, di A. Verri.
G. Gentile réformateur de la dialectique
hégélienne, di E. Buissière: la riflessione su
Hegel in La riforma della dialettica hegeliana rappresenta un possibile anello di congiunzione tra Gentile e le problematiche
legate alla finitudine del soggetto proprie
della filosofia contemporanea. Un’analisi
che si pone in linea anche con la riflessione
di Spaventa sulla logica hegeliana.
Une pensée de l’ouverture. Luigi Pareyson,
di R. Pineri.
La philosophie politique de Norberto
Bobbio ou un social-libéralisme tragique,
di A. Tosel: il pensiero poltico di Bobbio
non può essere semplicemente ricondotto
ad una polemica con il marxismo nella
versione gramsciana e togliattiana. Il filo
72
Les fondements d’une éthique de la similitude, di A. Matheron: le proposizioni 29-31
e corollari di Ethica IV.
VIX (Éthique IV Appendice chapitre 7) ou
peut-on se sauver tout seul?, di J. M.
Beyssade.
Le problème de la connaissance dans la
doctrine philosophique de F. H. Jacobi
(II), di L. Strauss.
J. B. S. P.
Vol. 25, n. 3, ottobre 1994
University of Manchester, Manchester
Tema della rivista: “Heidegger”.
Meaning and language in early Heidegger:
from Duns Scotus to Being and Time, di M.
Rampley: l’articolo mette in luce la genesi
delle riflessioni sul significato di Essere e
Tempo negli studi husserliani e nella lettura
di Scoto.
Philosophy of methodology in Heidegger’s
‘Die Idee der Philosophie und das Weltanschauungsproblem’ (1919), di Y. Fuchs: il
comune sfondo di Heidegger e Carnap e la
loro relazione con il dibattito neokantiano
sull’indipendenza della forma logica dalle
questioni metafisiche ed empiriche.
The philosophic bases of Heidegger’s politics. A response to Wolin, di S. Sikka:
Heidegger ed il nazismo.
Gnothi Sauton: Heidegger’s problem ours,
di N. K. Swazo.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Heidegger, early and late: the vanishing of
the subject, di J. Hodge: la questione della
soggettività è definitivamente sostituita in
Heidegger da un’attenzione verso l’intenzionalità e l’ermeneutica.
MAN AND WORLD
Vol. 27, n. 4, ottobre 1994
Kluwer Academic Publishers, Dordrecht
Postmodernism and contemporary italian
philosophy, di H. J. Silverman: recensione
di G. Borradori: Recoding Metaphysics:
the new italian philosophy (Northwestern
University Press, Evaston 1988).
Wholes, parts and sequences in Aristotle,
di D. J. Blyth: analisi di Metafisica, L, I
(1069 a 19-21).
Kant’s argument for causality in the second analogy, di G. Steinhoff.
Prediction versus retrodiction in Mill, di
Y. Steinitz: la tesi della pluralità delle cause in Mill in rapporto alla natura induttiva
delle scienze.
Capital punishment and the sanctity of life,
di R. Holyer.
DAIMON
On the existential interpretation of human
sciences , di D. Ginev: l’interpretazione
esistenziale della scienza in Heidegger e la
sua genesi ontologica a partire dall’essere
umano.
Synopsis of a theory of modernity, di J. A.
Ibañez-Noé: un tentativo di sviluppare una
prospettiva teoretica che unifichi i molteplici fenomeni della modernità; i concetti
di libertà, soggetto ed oggetto, umanesimo,
ragione, scienza, positivismo, scetticismo,
illuminismo, filosofia tedesca.
Nietzsche and Epicurus, di J. P. Vincenzo.
Minded body/embodied mind, di G. J. Seidel: varie prospettive filosofiche attraverso
cui si è cercato di risolvere la questione del
rapporto anima-corpo.
The philosophical framework of Sartre’s
theory of the theater, di J. M. Edie.
n. 8, 1994
Università de Murcia, Murcia
Tiempo, verdad, y posibilidad en Aristóteles y la filosofía helenística, di H. Weidemann: tempo, verità e possibilità in Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Diodoro
Crono.
Agostino Steuco y la perennis philosophia.
Sobre algunos aspectos y dificultades de la
concordia entre prisca theologia y cristianismo, di M. A. Granada: analisi dello
scritto principale di Steuco, pubblicato nel
1540, in cui viene sviluppato il programma
ficiniano di accordo dottrinale tra prisca
theologia e Cristianesimo.
La ontología de Lessing y la metáforas de
la deshumanización, di A. Andreu: analisi
dell’ontologia sociale del Nathan il saggio
di Lessing. Le problematiche sono qui affrontate attraverso metafore, in forma di
parabole o allegorie.
Aquí y ahora, desde la hermenéutica, di F.
Duque.
INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL
QUARTERLY
Vol. XXXIV, n. 4, dicembre 1994
Fordham University, New York
Merleau-Ponty’s view of creativity and its
philosophical consequences, di W. S.
Hamrich.
La unidad interna del saber en G. Kalinowski, di M. Ballester: analisi in prospettiva
genetica del pensiero di Kalinowski, in particolare del passagio tra logica e matafisica.
Química y salvacíon, di J. L. Villacañas.
Meta-química, estética e iluminación, di E.
Ocaña.
AXIOMATHES (Anno V, n. 1, aprile 1994, Il
Poligrafo, Padova) presenta un fascicolo
monografico dal titolo: “Mereologies”. Il
fascicolo successivo (n. 2-3, dicembre 1994)
presenta il titolo: “European cities and the
birth of modern scientific philosophy”, in
cui segnaliano, tra gli altri, l’articolo di L.
Dappiano, L’idealismo di Oxbridge tra
Lotze e Meinong. A proposito delle origini
della filosofia analitica. Figura inoltre la
pubblicazione dei Dettati sul tempo di Brentano.
PER LA FILOSOFIA (Anno XI, n. 32, set-
tembre-dicembre 1994, Massimo, Milano)
presenta un fascicolo monografico sul tema:
“La riscoperta della natura”; segnaliamo,
tra gli altri, l’articolo di G. Nicolaci, L’idea
di natura tra Heidegger ed Aristotele, incentrato sull’analisi del seminario heideggeriano del 1940, Sul concetto e l’essenza
della physis, in cui il problema della natura
diventa l’occasione di ripensare il senso e
la possibilità della metafisica. Figura inoltre l’articolo: Natura umana e storia in
Vico, di U. Galeazzi.
TEMPO PRESENTE (n. 166, ottobre 1994)
presenta un intervento di A. G. Sabatini dal
titolo 15 ottobre 1844: e Dio creò Nietzsche, breve celebrazione del filosofo in
occasione dell’anniversario della nascita.
IL CORPO (Anno I, n. 2, marzo 1994)
Acerca del conflicto entre los discursos
“Metafísico”, “Postmetafísico” y “Teológico”, di L. S. Rueda: analizzando tre modi
di pensare tipici del pensiero contemporaneo, l’articolo prende in esame in particolare gli argomenti di Habermas e Apel in
favore del pensiero postmetafisico e le reazione nell’ambito della teologia.
Does knowledge entail justification, di L.
S. Carrier: il problema della giustificazione
della conoscenza nell’epistemologia contemporanea.
Explicando la explicacíon, di A. J. Diéguez: analisi e valutazione dei principali
modelli di spiegazione scientifica.
Langer, language and art, di J. H. Gill: la
filosofia dell’arte di Suzanne Langer e la
distinzione fondamentale tra la natura e la
funzione del linguaggio e dell’arte.
Metáfora literaria y conocimiento, di E.
Romero Gonzáles, l’intento dell’articolo è
di dimostrare che le metafore in letteratura
hanno una finalità cognitiva.
A taste of Medeleine: notes towards a philosophy of place , di J. Malpas: la tematica
del luogo in Proust e Bachelard.
Inconmensurabilidad empírica. Un enfoque macrológico, di E. Moya Cantero: riflessione sulle implicazioni del concetto di
“rivoluzioni scientifiche”, oggetto delle
analisi di Kuhn.
73
ribadisce in questo secondo fascicolo l’intento di fare del corpo, per la sua capacità di
andare oltre l’ambito delineato dalla ragione, il suo bisogno di contatto con l’alterità,
il suo produrre costantemente senso, un’area
di lavoro in cui si colloca la collaborazione
tra sociologi, storici, psicoanalisti, filosofi,
antropologi, letterati. Il corpo diventa così
anche la metafora dell’intersecarsi dei campi del sapere, al di là delle chiusure dei vari
ambiti di studio propri delle scienze umane. Il presente fascicolo pubblica la trascrizione della registrazione del suicidio collettivo di Jonestown (18 novembre 1978).
FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VII, n. 3,
settembre-dicembre 1994, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un fascicolo monografico dal titolo: “Simone Weil.
Verità religiosa e vita profana”. Contiene
anche un saggio della stessa Weil dal titolo:
I tre figli di Noè e la storia della civiltà
mediterranea.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
LA CULTURA
Anno XXXII, n. 3, dicembre 1994
Il Mulino, Bologna
Tempo ed esperienza, di G. Sasso: l’introduzione e i paragrafi conclusivi di uno
studio di G. Sasso sul tempo, L’evento ed il
divenire (di prossima pubblicazione presso
Il Mulino di Bologna).
Identità e indifferenza, di M. Visentin: verità e bene, principi fondativi della cultura
occidentale, nel loro rapporto ed in relazione alla frattura determinata dal linguaggio;
frattura emblematicamente raffigurata dalla cultura del nostro secolo.
L’argomentazione confutativa, di S. Petrucciani: riflessioni su alcuni punti del
pensiero di Apel e in particolare sulla sua
rivisitazione trascendentalpragmatica dell’argomentazione confutativa di Aristotele.
Scrittura autobiografica e filosofia della
politica nei ‘Gesta Ottonis’ di Liutprando,
di P. Garbini.
Su due paragrafi (6-7) della ‘Textkritik’
maasiana, di G. Inglese.
Giorgio Falco, la scelta e il periodizzamento, di G. Arnaldi.
Edith Stein: l’apprendistato fenomenologico, di A. M. Pezzella: la formazione
fenomenologica di Stein a Gottinga, dalla
tesi di laurea sull’analisi dell’esperienza
empatica alla comprensione della struttura
della persona umana.
Le questioni inedite. “Siena, biblioteca
comunale degl’intronati, L XI 24”, contributo alla storia della posterità di Giovanni
Capreolo (1), di P. Conforti.
Il prologo al commento di Giobbe di San
Tommaso d’Aquino, di C. Pandolfi.
Genealogia e secolarizzazione. A proposito di Cielo e Terra di G. Marramao, di M.
Fimiani: un’analisi dell’ultimo lavoro, pubblicato da Marramao.
IRIDE
Anno VII, n 13, dicembre 1994
Il Mulino, Bologna
Perché il linguaggio è importante per l’intelligenza artificiale?, di M. Dascale: dopo
aver analizzato alcune spiegazioni tipiche
dell’importanza del linguaggio per l’intelligenza artificiale, l’articolo cerca di coglierne sia i fondamenti, sia le difficoltà.
L’ermeneutica letteraria e i problemi della
contestualizzazione, di M. Pagnini.
AQUINAS
Anno XXXVII, n. 3,
settembre-dicembre 1994
Pontificia Università Lateranense, Roma
Michael Walzer: teoria politica e critica
sociale, un’intervista biografico-filosofica
di Sergio Caruso.
Per un servizio sapienziale della filosofia
nella Chiesa, di M. Sánchez Sorondo.
Seguono una serie di articoli che discutono
il termine “liberaldemocrazia”: Dalla democrazia liberale al liberalismo democratico, di R. Bellamy; Liberaldemocrazia, di
A. Davidson; Come difendersi dalle definizioni persuasive di “liberaldemocratico”?,
di E. Lecaldano; Liberalismo e democrazia: cooperazione o conflitto?, di S. Veca.
L’esilio ou-topico dell’etica: L.
Wittgenstein, di P. Pellecchia: la centralità
del problema etico in Wittgenstein.
Virtù e comunità nella proposta di Alasdair MacIntyre. Due fondamenti per una teoria etica?, di E. Pariotti.
Nostalgia e confusione, di M. A. Castro: la
frattura nell’attuale cultura occidentale rispetto alle categorie di conoscenza e realtà.
Il mondo è davvero indipendente dalla mia
volontà, di A. Voltolini: alcuni temi fenomenologici e schopenhaueriani nel giovane Wittgenstein.
Metafisica ed esistenza di Dio nel periodo
precritico di Kant, di S. Nicolosi: nella fase
precritica, riguardo al problema dell’esistenza di Dio Kant elabora una soluzione
metafisica, la cui struttura logica appare
formulata sulla falsariga di Cartesio.
L’impossibilità del patriottismo costituzionale: una critica a Habermas, di E. J.
Nimni: sull’impossibilità di tradurre in pratica le prescrizioni normative dell’idea dello Stato-nazione.
Democrazia e filosofia: la loro radice comune, di F. Savater: versione ridotta della
voce “democrazia” di un Dizionario filosofico, a cura dell’autore.
69
Potere femminile e politica: resoconto di
un recente dibattito, tenutosi presso l’Istituto Gramsci Toscano.
BOLLETTINO DEL CENTRO STUDI
VICHIANI
Anni XXIV-XXV, 1994-1995
Bibliopolis, Napoli
Cinque esemplari postillati della Scienza
Nuova, di D. Rotoli.
I giganti in Vico, di R. Mazzola: la trattazione dei giganti in Vico come esempio di
sovrapposizione tra il poeta e il filosofo.
Vico e i “figliuoli di Dio”. Ricerche sui
giganti nel ‘Diritto Universale’ e nella
‘Scienza Nuova Prima’, di L. Boschetto.
Platone e Vico, di A. Tucker: una interpretazione della filosofia vichiana dal punto di
vista platonico in merito a contenuti e modi
del filosofare di Vico.
Le epistole vichiane e la nascita dell’idea
di scienza nuova, di M. Sanna.
Sul Vico di Piovani, di C. Vasoli.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Natura umana e conoscenza storica in Vico.
Sulle recenti “riletture” vichiane di Leon
Pompa, di E. Nuzzo.
Appunti di lettura sul cartesianesimo napoletano tra ‘600 e ‘700, di C. Cantillo.
Giuliano Bajamonti, un vichiano dalmata,
di S. Roic.
Segue una serie di interventi sulla penetrazione del pensiero di Vico in Spagna.
L’identità di uno ed essere nel commentario al Parmenide di Porfirio e la recezione
in Vittorino, Boezio ed Agostino, di G.
Girgenti: i frammenti di un commentario
tardo-antico al Parmenide platonico attribuito a Porfirio, unico filosofo greco in cui
i paradigmi della filosofia classica dell’henologia e dell’ontologia coincidono.
Rilievi sulla traduzione del ‘De Aeternitate Mundi’ di Proclo in arabo, di C.
Ghielmetti.
Identità della metafisica e oblio dell’essere, di V. Possenti: la conoscenza dell’essere in J. Maritain.
SEGNI E COMPRENSIONE
Anno IX, n. 24, gennaio-aprile 1995
Capone Editore, Lecce
Dialogo su Hjelmslev, di C. Caputo e A.
Ponzio.
Depressione: approccio antropo-fenomenologico al problema della terapia familiare, di L. Longhi e P. Verrienti.
La comprensione della storia. La filosofia
della storia nell’Italia del primo Ottocento, di A. Verri: la filosofia della storia in Italia, all’inizio del secolo scorso,
all’interno della matrice filosofica vichiana che consente di delineare un filo
conduttore organico e corente con la
tradizione italiana dell’Umanesimo e del
Rinascimento.
Etiche e dominio di sé. Un confronto tra
Adorno e Foucault, di S. Berni: il rapporto
tra l’ultima fase del pensiero di Foucault e
il pensiero francofortese in merito alla questione della razionalizzazione del passato
come mezzo per la comprensione dell’attualità. L’articolo tenta di delineare i termini di un confronto all’interno dei concetti di
soggetto, natura e anima-corpo.
Le “occasioni filosofiche” di Ludwig
Wittgenstein, di F. R. Recchia Luciani:
revisione di alcune tematiche centrali del
pensiero di Wittgenstein a partire dall’antologia recentemente apparsa negli Stati
Uniti, Philosophical Occasions 1912-1951
(Indianapolis 1993).
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Anno LXXXVI, n. 4, ottobre-dicembre
1994
Vita e Pensiero, Milano
Finito e infinito e l’idealismo della filosofia, di G. Movia: la terza parte del saggio
dedicato all’essere determinato della logica hegeliana.
DISCIPLINE FILOSOFICHE
n. 1, 1994
FuoriThema, Bologna
La rivista è suddivisa in due sezioni: la
prima, “Hermeneutika”, è dedicata allo
scritto di W. Benjamin, Sul concetto della
storia (1939-1940), ultima opera del filosofo, pubblicato postumo nel 1950. Si tratta di uno scritto che non ha mai avuto un
posto centrale nella letteratura critica dedicata a Benjamin, anche perché propone
un’alleanza sincretica tra materialismo storico e teologia non facilmente accettabile.
In realtà si tratta di uno scritto illuminante
nella delineazione del dibattito politico e
culturale alla vigilia del secondo conflitto
mondiale e rappresenta anche un’interessante chiave di lettura per interpretare la
crisi del marxismo attuale. Il presupposto
teorico dello scritto è che la storia non è
soltanto scienza, ma anche rammemorazione, che definisce il senso del legame e
del continuo intersecarsi tra presente e passato. Importante anche la componente della teologia storica in merito alla questione
della secolarizzazione. Nella sezione compaiono i seguenti articoli: Le tesi filosoficostoriche di W. Benjamin, di G. Kaiser;
Materialismo storico o messianismo politico?, di R. Tiedemann; L’eccedenza del
presente, di B. Moroncini; Redenzione del
passato, di G. Bonola: sull’origine ed il
senso delle metafore della salvezza in questo scritto di Benjamin; Motivi apocalittici
e teologici dell’Eingedenken storico in
Walter Benjamin , di B. Maj.
Nella sezione “Phainomenologika” troviamo i seguenti saggi:
Genesi e struttura dell’esperienza, di V.
De Palma: l’analisi fenomenoloca dell’esperienza a partire dalle Lezioni sulla
sintesi passiva di Husserl.
L’ingresso nella contemporaneità, di E.
Kiss: la filosofia di Brentano nel dibattito
1850-1870: essa può essere inquadrata all’interno di un modello fondato sulla cop70
pia concettuale “plausibilità” e “possibilità” e funge da tramite tra la filosofia austriaca e la contemporaneità.
Rappresentare e giudicare, di R. Martinelli:
l’origine ed il ruolo della dottrina degli oggetti
intenzionali nella psicologia di Brentano.
TEORIA
Anno XIV, n. 2, 1994
ETS, Pisa
Nel vivo dell’essere. Per un dialogo sull’ontologia, di R. De Monticelli: l’alternativa tra i due grandi progetti di ontologia
del nostro secolo, il progetto della riduzione dell’ontologia a semantica logica e gli
avversari di questa operazione.
Wittgenstein, il linguaggio e l’interpretazione, di L. Perissinotto: l’atteggiamento di
Wittgenstein verso l’interpretazione e l’interpretare, il nesso tra linguaggio ed interpretazione.
L’ermeneutica e il trascendentale, di L.
Cortella: la sostituzione operata dall’ermeneutica contemporanea del paradigma soggettivistico con quello linguistico ha posto
la questione se l’ermeneutica possa raccogliere all’interno delle proprie coordinate
teoriche l’eredità della filosofia trascendentale, dal momento che l’ermeneutica ha
oggi definitivamente sostituito la categoria
del trascendentale con uno “sfondo”, cioè
una struttura non oggettivabile, che non
può essere mai risolto in un sapere.
Credere alle cose e credere agli dei. Teorie
della credenza da Renouvier a Dukheim, di
G. Paoletti.
FILOSOFIA
Anno XLV, n. 2, maggio-agosto 1994
Mursia, Milano
Kierkegaard e l’ironia socratica, di G.
Gallino: l’ironia esprime praticamente l’irriducibilità del singolo rispetto ad ogni
tentativo di totalizzazione e conduce a riconsiderare i presupposti ed i fini della
conoscenza stessa. Essa costituisce pertanto, configurandosi in termini di negatività,
un monito contro l’ontologia e la dialettica
ed un approdo, in Kierkegaard, verso la
salvezza.
L’iperrazionalismo di Oswald Spengler e
l’interpretazione di Otto Neurath del tramonto dell’Occidente, di F. Ingravalle: la
critica di Neurath all’opera principale di
Spengler è metodologica ed è rivolta alla
filosofia complessiva della storia di Spengler: la sua posizione viene accusata di
RASSEGNA DELLE RIVISTE
essere una forma di iperrazionalismo di
stampo cartesiano.
Libertà umana e dono ontologico. La penultima filosofia di Luigi Pareyson, di F. P.
Ciglia.
L’informe bergsoniano nella filosofia di
Serres, di A. Delcò: la funzione delle immagini all’interno della concezione generale del linguaggio e dell’espressione in
Bergson e l’incidenza di queste strutture in
Serres.
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’
Anno XVII, n. 1, 1994
Rosemberg & Sellier, Torino
Il fascicolo è dedicato a Jürgen Habermas,
di cui ricorre il sessantacinquesimo compleanno, in occasione del suo congedo dall’insegnamento accademico attivo. I saggi
qui raccolti, tutti legati alla tradizione della
teoria critica della società elaborata dalla
Scuola di Francoforte, sono il frutto di un
incontro e di un dibattito attivo dal 1990, il
“Seminario permanente di teoria critica”.
Per una razionalità pratica dialogica, di L.
Cortella: le questioni fondamentali di etica
contemporanea come superamento del paradigma etico moderno.
Riflessioni critiche sull’etica del discorso,
di A. Ferrara: le tappe del pensiero etico di
Habermas e l’ambiguità non risolta dell’etica del discorso.
Sfere di valore e conflitti: quale universalismo? Weber, Habermas e l’osservazione/
partecipazione dell’agire pratico, di M.
Calloni.
Habermas e la teoria dello sviluppo morale , di F. Andolfi: il contatto tra Habermas
e le scienze psicologiche e sociali, in particolare Kohlberg, in merito ad una conferma
scientifica dell’etica della comunicazione.
Legittimità tramite legalità. L’innesto habermasiano della ragion pratica nel diritto
positivo (Tanner Lectures), di L. Ceppa.
L’etica dell’argomentazione di K. O. Apel:
una presentazione ed alcune critiche, di V.
Marzocchi: i punti centrali della proposta
etica di Apel a partire dagli anni ’70 attraverso il processo di genesi.
Sulla giustificazione razionale della norma etica, di S. Petrucciani: una ricostruzione del percorso argomentativo attraverso
cui Apel ha proposto la tesi della fondazione razionale della norma etica.
RIVISTA DI FILOSOFIA
Vol. LXXXVI, n. 1, aprile 1995
Il Mulino, Bologna
Definire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, di J. Hintikka: la questione
della verità nei problemi di linguaggio.
L’olismo della credenza e l’olismo del significato: John Searle su “rete” e “sfondo”, di E. Lepore: la dottrina dell’olismo
del significato, le sue implicazioni per la
filosofia del linguaggio e della mente e le
argomentazioni in proposito di Searle.
Lo schiavo delle passioni, di J. P. Wright:
la centralità della spiegazione humeana
della ragione e delle passioni nelle discussioni posteriori sul rapporto tra religione e
morale.
Impressioni e idee sulla ventunesima
“Hume Society Conference”, di F. Baroncelli: resoconto del convegno tenutosi a
Roma il 20-24 giugno 1994.
Denis Diderot e la “differenza”, di M.
Brini Savorelli: Diderot e le donne.
La figura di Federigo Enriques fra rivalutazione e deformazione, di L. Gallo.
Per un’ermeneutica naturalistica: la critica di Hans Albert all’ermeneutica pura, di
L. Cataldi Madonna: recensione di H. Albert, Kritik der reinen Hermeneutik. Das
antirealismus und das Problem des Verstehens (Mohr, Tübingen 1994)
QUADERNI SARDI DI FILOSOFIA,
LETTERATURA E SCIENZE UMANE
Anno I, n. 1, giugno-dicembre 1994
Dattena, Cagliari
Prospettive fenomenologiche nella cultura
contemporanea, di A. Delogu: i temi di
fondo della filosofia contemporanea aperti
dalla prospettiva fenomenologica: il rapporto tra coscienza e mondo, l’esperienza,
la soggettività, problemi etici e scientifici.
Fondamenti della conoscenza. Inconscio e
cognitivismo, di G. Nuvoli: il problema
della conoscenza in un’ottica cognitivista.
Problematiche fenomenologiche e operatività clinica ad orientamento fenomenologico in campo psichiatrico, di F. Mura.
Identità e differenze, di G. Invitto: la prospettiva della “persona” dal punto di vista
del pensiero della differenza sessuale, che
tende a mettere in luce la diversità dei
soggetti uomo-donna.
La restaurazione creatrice di Augusto Del
Noce, di G. Aliberti: le analisi storiografiche di Del Noce contenute in Rivoluzione,
Risorgimento e Tradizione.
Soggetti e valori. Per una filosofia della
differenza, di M. Forcina: percorsi femminili in relazione ai valori.
Le filosofie del circolo e la questione del
chi? In Levinas, di C. Meazza.
RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
Anno XLIX, n. 4, 1994
Franco Angeli, Milano
n. 4, ottobre-dicembre 1994
PUF, Parigi
Alessandro di Afrodisia, De Fato II-VI, in
prospettiva aristotelica, di C. Natali: il
problema del destino e il rapporto con lo
stoicismo.
L’exigence morale, di J. Granier: il progetto di una nuova fondazione della morale
per guidare la ricostruzione dell’insieme
dei valori.
Iniziare con Spinoza. Errore e metodo nel
‘Tractatus De Intellectus Emendatione’, di
L. Vinciguerra: il problema che pone questo trattato sul metodo di Spinoza è come,
partendo dall’essere in errore, si possa giungere alla verità ed al vero bene. La posizione di Spinoza e la confutazione di Cartesio.
Istants fondateurs et image de soi dans
l’oeuvre de Proust, di J. L. VieillardBaron.
Filosofia ebraica oggi, di G. Lissa.
La technique et le temp, di J. P. Milet:
pensare l’attualità della tecnica nelle sue
dimensioni economica, sociale e politica e
più generalmente culturale, come elemento che inquieta l’humanitas dell’uomo.
L’ermetismo nei Lincei, di L. Boneschi: il
ruolo dei Lincei in rapporto alla Rivoluzione scientifica e la presenza di elementi
mutuati dalla cultura ermetica.
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN
Vol. 92, n. 4, novembre 1994
Institut supérieur de philosophie
Louvain La Neuve
71
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Tema della rivista: “La ricezione della Scuola di Kyoto in Europa”.
zione dello spirito e ci si interroga sull’attualità di questo pensiero.
Sur la personne et l’oeuvre de Hajime Tanabe, di J. Laube: l’articolo tenta di individuare
il rapporto esistente tra il pensiero di Tanabe,
secondo rappresentante della Scuola di Kyoto, e la fenomenologia di Husserl.
La lecture du jurnal selon Hegel: “une
sorte de prière du matin réaliste”?, di M.
Bienenstock: prendendo le mosse dall’attenzione che Hegel porta sia all’evento
particolare, sia allo speculativo, l’articolo
tenta di chiarire il senso della sua attitudine
per la storia e la politica attraverso l’esame
di Note e frammenti di Jena (1803-1806).
Nishida Kitarô, l’école de Kyoto et l’ultranationalisme, di P. Lavelle, la Scuola di
Kyoto, Nishida e i suoi discepoli, pur mostrando da un lato un atteggiamento di
collaborazione con il regime nazionalista e
con l’idea di superiorità del Giappone e del
suo dominio mondiale, dall’altro lato hanno resistito alle componenti più estreme e
militariste di questo indirizzo.
L’ontologie structurale et le dialogue des
mondes, di H. Rombach: l’ontologia strutturale si oppone all’ontologia essenzialista
della tradizione metafisica e segna l’abbandono dell’universalità astratta propria
dell’antropologia filosofica classica a favore di un’antropologia concreta, fondante
un’ontologia pluriforme. Tale ontologia
strutturale sembra emergere all’interno
della Scuola di Kyoto.
Hegel et Schelling: critique du formalisme et
prise en charge de la contingence, di J. M.
Lardic: il rispetto del contingente è l’elemento
che segna la differenza tra la dialettica ed il
formalismo della costruzioneschellingiana. Ciò
indica non solo l’allontanamento di Hegel da
Schelling nel periodo jenese, ma rivela anche il
sorgere dell’esigenza della distinzione dialettica tra infinito e natura finita, che emergerà con
chiarezza nella Scienza della logica.
Philosophia Perennis. Anton Dumitriu
(1905-1992), di V. Ciomos.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
Ottobre-dicembre 1994
PUF, Parigi
Milieu et logique du lieu chez Watsuji, di A.
Berque: l’apporto del pensiero giapponese
al progetto di “mesologia”.
Système de l’amour et de la mort chez
Dante, di B. Pinchard.
Karl Löwith et le nihilisme japonais, di B.
Stevens.
Giordano Bruno et la théorie des liens, di
T. Dagron: il tema dell’infinito e delle
forme in Bruno.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 57, n. 4, ottobre-dicembre 1994
Beauchesne, Parigi
Stanley Cavell. Au-delà du scepticisme, di
C. Imbert: il filo rosso che percorre l’opera
di Cavell, professore ad Harvard e figura
eminente della filosofia americana, è l’evidenza di uno scetticismo moderno che ha
avuto delle ricadute sull’arte americana e
sul pensiero politico contemporaneo.
Esthétique et pneumatologie philosophique chez Schleiermacher, di E. Brito: dopo
aver esposto la concezione di Schleiermacher
relativa al posto dell’estetica, disciplina critica, nel sistema delle scienze, e quello dell’arte, come simbolizzazione individuale,
nella cornice dell’etica, viene analizzata la
comprensione dell’arte da parte del filosofo
come teoria della produzione e dell’espressione, come un’estetica dell’automanifesta-
REVUE DE MÉTAPHYSIQUE
ET DE MORALE
Anno 99, n. 4, ottobre-dicembre 1994
Armand Colin, Parigi
Tema della rivista: “La IV parte dell’Etica
di Spinoza”.
Le modèle de l’homme libre, di P. Temkine: il personaggio del saggio nella IV parte
dell’Etica costituisce un modello di uomo
libero, fondamentale in un percorso etico
come manifestazione del desiderio stesso
della ragione.
Rôle et fonction des valeurs à l’origine des
sociétés, di L. Pezzillo: la teoria razionale
dello Stato in Spinoza e le connessioni con
la realtà effettiva della natura umana.
Éthique IV: les propositions 70 et 71, di P.
Macherey: ragione e passioni in Spinoza.
“Lieu”, Nishida, Nishitani, Derrida, di R.
Elberfeld: questi tre autori, pur in modo
differente, procedono in direzione del luogo della non-apparenza.
Spontanéité et nature: le cas d’Andô Shôeki,
di J. Joly.
conduttore della sua riflessione politica
sembra essere la questione: quale socialismo elabora il marxismo?
Tema della rivista: “La filosofia italiana”.
Vico, Hercule et le “principe héroïque” de
l’histoire, di A. Pons: la figura di Ercole,
centrale nell’ermeneutica mitologica della
Scienza nuova.
La philosophie de l’histoire en Italie dans
la première moitié du XIX siècle, de Janelli
a Cattaneo, di A. Verri.
G. Gentile réformateur de la dialectique
hégélienne, di E. Buissière: la riflessione su
Hegel in La riforma della dialettica hegeliana rappresenta un possibile anello di congiunzione tra Gentile e le problematiche
legate alla finitudine del soggetto proprie
della filosofia contemporanea. Un’analisi
che si pone in linea anche con la riflessione
di Spaventa sulla logica hegeliana.
Une pensée de l’ouverture. Luigi Pareyson,
di R. Pineri.
La philosophie politique de Norberto
Bobbio ou un social-libéralisme tragique,
di A. Tosel: il pensiero poltico di Bobbio
non può essere semplicemente ricondotto
ad una polemica con il marxismo nella
versione gramsciana e togliattiana. Il filo
72
Les fondements d’une éthique de la similitude, di A. Matheron: le proposizioni 29-31
e corollari di Ethica IV.
VIX (Éthique IV Appendice chapitre 7) ou
peut-on se sauver tout seul?, di J. M.
Beyssade.
Le problème de la connaissance dans la
doctrine philosophique de F. H. Jacobi
(II), di L. Strauss.
J. B. S. P.
Vol. 25, n. 3, ottobre 1994
University of Manchester, Manchester
Tema della rivista: “Heidegger”.
Meaning and language in early Heidegger:
from Duns Scotus to Being and Time, di M.
Rampley: l’articolo mette in luce la genesi
delle riflessioni sul significato di Essere e
Tempo negli studi husserliani e nella lettura
di Scoto.
Philosophy of methodology in Heidegger’s
‘Die Idee der Philosophie und das Weltanschauungsproblem’ (1919), di Y. Fuchs: il
comune sfondo di Heidegger e Carnap e la
loro relazione con il dibattito neokantiano
sull’indipendenza della forma logica dalle
questioni metafisiche ed empiriche.
The philosophic bases of Heidegger’s politics. A response to Wolin, di S. Sikka:
Heidegger ed il nazismo.
Gnothi Sauton: Heidegger’s problem ours,
di N. K. Swazo.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Heidegger, early and late: the vanishing of
the subject, di J. Hodge: la questione della
soggettività è definitivamente sostituita in
Heidegger da un’attenzione verso l’intenzionalità e l’ermeneutica.
MAN AND WORLD
Vol. 27, n. 4, ottobre 1994
Kluwer Academic Publishers, Dordrecht
Postmodernism and contemporary italian
philosophy, di H. J. Silverman: recensione
di G. Borradori: Recoding Metaphysics:
the new italian philosophy (Northwestern
University Press, Evaston 1988).
Wholes, parts and sequences in Aristotle,
di D. J. Blyth: analisi di Metafisica, L, I
(1069 a 19-21).
Kant’s argument for causality in the second analogy, di G. Steinhoff.
Prediction versus retrodiction in Mill, di
Y. Steinitz: la tesi della pluralità delle cause in Mill in rapporto alla natura induttiva
delle scienze.
Capital punishment and the sanctity of life,
di R. Holyer.
DAIMON
On the existential interpretation of human
sciences , di D. Ginev: l’interpretazione
esistenziale della scienza in Heidegger e la
sua genesi ontologica a partire dall’essere
umano.
Synopsis of a theory of modernity, di J. A.
Ibañez-Noé: un tentativo di sviluppare una
prospettiva teoretica che unifichi i molteplici fenomeni della modernità; i concetti
di libertà, soggetto ed oggetto, umanesimo,
ragione, scienza, positivismo, scetticismo,
illuminismo, filosofia tedesca.
Nietzsche and Epicurus, di J. P. Vincenzo.
Minded body/embodied mind, di G. J. Seidel: varie prospettive filosofiche attraverso
cui si è cercato di risolvere la questione del
rapporto anima-corpo.
The philosophical framework of Sartre’s
theory of the theater, di J. M. Edie.
n. 8, 1994
Università de Murcia, Murcia
Tiempo, verdad, y posibilidad en Aristóteles y la filosofía helenística, di H. Weidemann: tempo, verità e possibilità in Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Diodoro
Crono.
Agostino Steuco y la perennis philosophia.
Sobre algunos aspectos y dificultades de la
concordia entre prisca theologia y cristianismo, di M. A. Granada: analisi dello
scritto principale di Steuco, pubblicato nel
1540, in cui viene sviluppato il programma
ficiniano di accordo dottrinale tra prisca
theologia e Cristianesimo.
La ontología de Lessing y la metáforas de
la deshumanización, di A. Andreu: analisi
dell’ontologia sociale del Nathan il saggio
di Lessing. Le problematiche sono qui affrontate attraverso metafore, in forma di
parabole o allegorie.
Aquí y ahora, desde la hermenéutica, di F.
Duque.
INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL
QUARTERLY
Vol. XXXIV, n. 4, dicembre 1994
Fordham University, New York
Merleau-Ponty’s view of creativity and its
philosophical consequences, di W. S.
Hamrich.
La unidad interna del saber en G. Kalinowski, di M. Ballester: analisi in prospettiva
genetica del pensiero di Kalinowski, in particolare del passagio tra logica e matafisica.
Química y salvacíon, di J. L. Villacañas.
Meta-química, estética e iluminación, di E.
Ocaña.
AXIOMATHES (Anno V, n. 1, aprile 1994, Il
Poligrafo, Padova) presenta un fascicolo
monografico dal titolo: “Mereologies”. Il
fascicolo successivo (n. 2-3, dicembre 1994)
presenta il titolo: “European cities and the
birth of modern scientific philosophy”, in
cui segnaliano, tra gli altri, l’articolo di L.
Dappiano, L’idealismo di Oxbridge tra
Lotze e Meinong. A proposito delle origini
della filosofia analitica. Figura inoltre la
pubblicazione dei Dettati sul tempo di Brentano.
PER LA FILOSOFIA (Anno XI, n. 32, set-
tembre-dicembre 1994, Massimo, Milano)
presenta un fascicolo monografico sul tema:
“La riscoperta della natura”; segnaliamo,
tra gli altri, l’articolo di G. Nicolaci, L’idea
di natura tra Heidegger ed Aristotele, incentrato sull’analisi del seminario heideggeriano del 1940, Sul concetto e l’essenza
della physis, in cui il problema della natura
diventa l’occasione di ripensare il senso e
la possibilità della metafisica. Figura inoltre l’articolo: Natura umana e storia in
Vico, di U. Galeazzi.
TEMPO PRESENTE (n. 166, ottobre 1994)
presenta un intervento di A. G. Sabatini dal
titolo 15 ottobre 1844: e Dio creò Nietzsche, breve celebrazione del filosofo in
occasione dell’anniversario della nascita.
IL CORPO (Anno I, n. 2, marzo 1994)
Acerca del conflicto entre los discursos
“Metafísico”, “Postmetafísico” y “Teológico”, di L. S. Rueda: analizzando tre modi
di pensare tipici del pensiero contemporaneo, l’articolo prende in esame in particolare gli argomenti di Habermas e Apel in
favore del pensiero postmetafisico e le reazione nell’ambito della teologia.
Does knowledge entail justification, di L.
S. Carrier: il problema della giustificazione
della conoscenza nell’epistemologia contemporanea.
Explicando la explicacíon, di A. J. Diéguez: analisi e valutazione dei principali
modelli di spiegazione scientifica.
Langer, language and art, di J. H. Gill: la
filosofia dell’arte di Suzanne Langer e la
distinzione fondamentale tra la natura e la
funzione del linguaggio e dell’arte.
Metáfora literaria y conocimiento, di E.
Romero Gonzáles, l’intento dell’articolo è
di dimostrare che le metafore in letteratura
hanno una finalità cognitiva.
A taste of Medeleine: notes towards a philosophy of place , di J. Malpas: la tematica
del luogo in Proust e Bachelard.
Inconmensurabilidad empírica. Un enfoque macrológico, di E. Moya Cantero: riflessione sulle implicazioni del concetto di
“rivoluzioni scientifiche”, oggetto delle
analisi di Kuhn.
73
ribadisce in questo secondo fascicolo l’intento di fare del corpo, per la sua capacità di
andare oltre l’ambito delineato dalla ragione, il suo bisogno di contatto con l’alterità,
il suo produrre costantemente senso, un’area
di lavoro in cui si colloca la collaborazione
tra sociologi, storici, psicoanalisti, filosofi,
antropologi, letterati. Il corpo diventa così
anche la metafora dell’intersecarsi dei campi del sapere, al di là delle chiusure dei vari
ambiti di studio propri delle scienze umane. Il presente fascicolo pubblica la trascrizione della registrazione del suicidio collettivo di Jonestown (18 novembre 1978).
FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VII, n. 3,
settembre-dicembre 1994, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un fascicolo monografico dal titolo: “Simone Weil.
Verità religiosa e vita profana”. Contiene
anche un saggio della stessa Weil dal titolo:
I tre figli di Noè e la storia della civiltà
mediterranea.
NOVITÀ IN LIBRERIA
AA.VV.
Beowulf and the Dragon
Heinemann Library, aprile 1995
pp. 24, UK £ 6.50
Questa storia, che racconta come Beowulf va incontro alla propria morte,
è una delle storie senza tempo, presenti nelle culture di tutto il mondo.
Questa serie risponde alle necessità
del Key Stage 2 di includere la lettura
dei miti e delle leggende da parte dei
bambini.
AA.VV.
Native Americans
Allen & Unwin, aprile 1995
pp. 64
Attraverso illustrazioni colorate, fotografie, domande e pagine di attività, il libro illustra ai bambini la cultura e la storia dei Nativi americani.
Adams, Anthony - Durham, Ken
Writing from South Africa
CUP Educational, maggio 1995
UK £ 4.95
Il libro fa parte di una collana scolastica, da utilizzare in classi di ragazzi
dai 14 ai 17 anni. Ogni volume esamina le qualità particolari del modo di
scrivere e descrivere di una regione o
di una nazione, ma anche i particolari
aspetti e le tematiche proprie ai popoli in ogni parte del mondo. Questo
testo fornisce molti immagini e prospettive diverse sul Sud Africa e sul
suo popolo.
Adeline, Yves-Marie
Le carré des philosophes:
réponses à la crise de la modernité
Maisnie-Trédianel, marzo 1995
pp. 127, F 90
Si tratta di una lettura del mondo in
quattro proposizioni: scienza, esistenza, presenza e volontà.
Agamben, Giorgio
Bartleby ou De la contingence
tr. dall’it. di Carole Walter
Circé, marzo 1995
pp. 88, F 68
Partendo da una meditazione sul personaggio di Bartleby, lo scriba eponimo del romanzo di Melville, il filosofo italiano interroga la questione della contingenza (definita come ciò che
è senza necessità e che quindi può
non essere). Si tratta di una problematica fondamentale all’interno di una
prospettiva post-metafisica. Il pubblico sarà senz’altro interessato da
questo libro.
Airaksinen
The Philosophy
of the Marquis de Sade
Routledge, marzo 1995
pp. 224, UK £ 12.99
Questo testo fornisce una lettura teoretica della filosofia del Marchese de
Sade. Esamina le pretese di de Sade,
secondo il quale, per essere felici e
liberi, bisogna fare del male e discute
le motivazioni del tipico eroe sadeiano, che conduce una vita piena di
piacere perversi ed estremi.
Alexy, Robert
Recht, Vernunft, Diskurs.
Studien zur Rechtsphilosophie
NOVITÀ IN LIBRERIA
Suhrkamp, marzo 1995
pp. 288, DM 22,80
Si tratta di singoli lavori su tre ambiti
tematici: la logica e l’interpretazione,
il discorso ed il diritto, i diritti ed i
principi.
sue opere per l’epoca contemporanea. Vengono esaminati gli aspetti
profetici della sua opera, enfatizzando in particolar modo la dimensione
spirituale di Kant.
Arendt, Hannah
Verità e politica
Bollati Boringhieri, maggio 1995
pp. 128, L. 22.000
Due saggi, versione riveduta di due
articoli apparsi rispettivamente nel
1967 e nel 1963. Nel primo si affronta
la caratteristica essenziale del totalitarismo, che consiste nel fabbricare la
verità; nel secondo troviamo alcune
riflessioni sul significato e le implicazioni della ricerca scientifica.
Almond, Brenda
An Introduction
to Applied Ethics
Blackwell Publishers, marzo 1995
pp. 320, UK £ 14.99
Questo testo fornisce una guida aggiornata ai dibattiti morali dei nostri
giorni, comprensiva di resoconti sugli influssi derivati da teorie precedenti. Il testo segue uno sviluppo logico che parte dalle implicazioni più
personali ed immediate, a livello individuale, per arrivare fino alle applicazioni pratiche più estensive ed allargate della teoria etica contemporanea.
Armezzani, Renzo
Ad occhi aperti.
Immagini di Mario Giacomelli
Quattroventi, aprile 1995
pp. 224, L. 30.000
Figura e opere dell’isegnante e studioso di filosofia Mario Giacomelli,
scomparso nel 1994.
Almond, Brenda
Moral Action and Christian Ethics
Cambridge UP, marzo 1995
UK £ 35
Come determiniamo se un’azione è
giusta o sbagliata? Questo lavoro esamina il comportamento morale e le
origini delle linee-guida che noi seguiamo.
Atwell, John E.
Schopenhauer on the Character
of the World:
The Metaphysics of Will
Univ. California Press, maggio 1995
pp. 236, UK £ 28
Questo lavoro analizza in maniera
critica e simpatetica l’opera principale di Schopenhauer, Il mondo come
volontà e rappresentazione, dimostrando che il sistema filosofico che
viene promosso costituisce un insieme coerente.
Altham, J.E.J. (a cura di)
World, Mind, and Ethics:
Essays on the Ethical Philosophy
of Bernard Williams
Cambridge UP, aprile 1995
UK £ 12.95
Bernard Williams è una delle figure
più rilevanti della teoria etica degli
ultimi anni. In questa raccolta di studi, un gruppo di studiosi a livello
internazionale, che sono stati stimolati dal suo lavoro, forniscono nuove
risposte ad esso e Williams a sua
volta risponde a loro ed alle questioni poste. Gli argomenti proposti includono anche l’eguaglianza
e la coerenza.
Bacon, John
Universals and Property Instances.
The Alphabet of Being
Blackwell, aprile-maggio 1995
pp. 200, £ 35
Bacon tracciò una teoria metafisica
molto consistente e sofisticata, secondo la quale sia i particolari comuni che le proprietà e le relazioni sono
una serie di tropi. I vantaggi di questo
approccio vengono illustrati nelle applicazioni della teoria alla semantica,
ai fatti ed allo stato delle cose, della
modalità, del tempo, del credo e delle
causalità.
Applebaum, David
The Vision of Kant
Element Books Ltd, aprile 1995
pp. 192, UK £ 4.99
Questo libro, contenente una selezione degli scritti più importanti di Kant
sulla metafisica, l’etica e la conoscenza, è uno studio sull’importanza
della sua vita, del suo pensiero e delle
Baker, Lynne Rudder
Explaining Attitude:
A Practical Approach to the Mind
Cambridge UP, marzo 1995
74
UK £ 12.95
Questo studio si oppone alla concezione dominante del credo, così come
la si riscontra in filosofi come Dennett e Fodor. Secondo questo punto di
vista, che è anche quello predominante, le convinzioni, ammesso che
esistano, sono costituite da stati della
mente. Lynne Rudder Baker rifiuta
quest’opinione e la sostituisce con il
realismo pratico.
Barnes, Jonathan (a cura di)
The Cambridge companion
to Aristotle
Cambridge UP, marzo 1995
UK £ 12.95
Aristotele è uno dei grandi pensatori
della tradizione occidentale, ma è anche uno dei più difficili. I contributi a
questo volume non intendono cammuffare la natura di questa difficoltà,
ma cercano di offrire un’esposizione
chiara alle tematiche filosofiche presentate dalla sua opera.
Bauman, Zygmunt
Life in Fragments:
Essays in Postmodern Moralities
Blackwell Publishers, aprile 1995
pp. 256, UK £ 13.99
Questo libro rappresenta una continuazione della trattazione di motivi e
temi, già affrontati da Bauman nel
suo studio Postmodern Ethics. In questo nuovo volume, egli sostiene che la
nuova epoca post-moderna potrebbe
rappresentare un alba più che un tramonto per l’etica, la quale si potrebbe
emancipare dalla falsa coscienza ereditata dalla modernità.
Békési, Janos
’Denken’ der Geschichte?
W. Fink, aprile-maggio 1995
pp. 208, DM 48
La decostruzione è basata su di una
teoria della storicità e ciò avviene
tramite il suo riferimento esplicito
alla dimensione storica dei concetti,
che vengono criticati, da un punto di
vista decostruttivista, perché si trovano all’interno di un insieme. Ogni
studio sulla storia ed il metodo del
procedimento decostruttivista dovrebbe quindi confrontarsi con il concetto
di storia di Derrida.
Benhabib - Butler Cornell
Fraser
Feminist Contentions
Routledge, marzo 1995
pp. 160, £ 10
Questo volume presenta il dibattito
tra quattro delle femministe americane più rilevanti: Seyla Benhabib,
Judith Butler, Drucilia Cornell e Nancy Fraser. Vengono discussi alcuni
degli argomenti-chiave della teoria
femminista.
Berger, P.L. - Luckmann Th.
(a cura di)
Modernität, Pluralismus
und Sinnkrise. Die Orientierung
des modernen Menschen
Vlg. Bertelsmann-Stift
aprile-maggio 1995
pp. 80, DM 20
NOVITÀ IN LIBRERIA
Bergson, Henri
Leçons d’histoire de la philosophie
à Clermont (1887-94);
Leçons d’histoire de la philosophie
moderne (1892-94)
a cura di H.Hude - J.L. Dumas
PUF, aprile 1995
pp. 320, F 220
La parte essenziale del volume è costituita dai tre corsi tenuti presso il
Liceo Enrico IV tra il 1892 ed il 1894;
un corso sulla storia della filosofia
moderna da Bacon a Leibniz, un corso sulla Critica della ragion pura di
Kant, un corso sulla storia della teoria
dell’anima. Quest’ultimo corso, contemporaneo a Materia e memoria, è
particolarmente elucidante. Si tratta
di un volume di ambito universitario.
Berkeley, George
Teoria della visione
Guerini, aprile 1995
pp. 120, L. 16.000
L’analisi della percezione visiva induce il filosofo irlandese ad elaborare
le fondamenta del suo “idealismo materiale”, secondo il quale la materia,
intesa come realtà esterna al nostro
corpo, non è che un’illusione.
Berman, David (a cura di)
Arthur Schopenhauer
J M Dent, maggio 1995
UK £ 6.99
Questo volume fa parte della serie
Everyman, riedita con formato di pagina che prevede ampi margini per le
note e ristampata in caratteri più facilmente leggibili. Ogni titolo include un’introduzione tematica a cura di
esperti della materia, una cronologia
della vita e dell’epoca dell’autore,
riassunti dei testi del filosofo, delle
schede di lettura con annotazioni, una
selezione dei contributi critici e delle
note.
Beyer, Uwe
’Die Tragik Gottes’.
Ein Philosophischer Kommentar
zur Theologie Eugen Drewermanns
Königshausen & Neumann
aprile-maggio 1995
pp. 246, DM 39,80
L’introduzione critica e coinvolgente
alla teologia di Drewermann, che ci
presenta qui Uwe Beyers, si interroga
su come - attraverso le immagini ed i
concetti che riflettono l’atmosfera dominante umana (p. es. la paura, il
desiderio, la fiducia) - sia possibile
un avvicinamento alla verità ‘una’,
incomprensibile e priva di immagini, di Dio.
Bickmann, Claudia
Differenz oder das Denken
des Denkens
Felix Meiner, aprile-maggio 1995
DM 128
Bidet, Jacques
John Rawis et la théorie
de la justice
PUF, maggio 1995
pp. 144, F 98
Rawis propone la “utopia realista” di
una società ordinata secondo giustizia, senza però arrivare alle conclusioni conseguenti alle premesse da lui
formulate. In questo libro, si troverà
un’esposizione della Théorie de la
justice, alla quale si aggiunge una
prospettiva critica. Il libro si rivolge
agli specialisti del settore.
Blondel, Maurice
1893, les deux thèses
PUF, marzo 1995
pp. 784, F 380
Nel 1893 Blondel pubblica la sua
prima tesi sull’Action e la sua breve
tesi latina sul Vinculum leibniziano.
Si tratta di un volume universitario.
Böckle, Franz
Ja zum Menschen. Bausteine
einer Konkreten Moral
Kösel, marzo 1995
pp. 218, DM 38
Il famoso esponente della teologia
morale, morto nel 1991, risponde a
scottanti questioni di ordine morale,
di importanza fondamentale per la
nostra epoca. Le sue indicazioni di
percorso, pubblicate postume e qui a
cura di Gerhard Höver, sono oggi più
attuali che mai e rappresentano un
aiuto in situazioni conflittuali concrete.
Il pensiero sociale e politico di Simone Weill, filosofa e scrittrice francese, si collegano alla sua ricerca religiosa. Contro la forza, di fianco ai
deboli, ai vinti, intende collocare la
sua ricerca appassionata ed intransigente della verità e della giustizia.
Huguette Bouchardeau rintraccia questa coerenza battagliera, sul filo dei
testi e della vita di questa donna. Il
libro è adatto al vasto pubblico.
pp. 200, F 95
Il volume mostra come la nascita della ragione abbia condotto ad un fallimento, partendo da tre grandi momenti: il Fedone di Platone, la Critica della ragion pura di Kant e Essere
e tempo di Heidegger. La causa di
questa sconfitta viene presentata attraverso la teoria algoritmica dell’informazione. L’autore è uno specialista di questi argomenti.
Bouveresse, Jacques
La perception et le jugement
Jacques Bouveresse
J. Chambon, marzo 1995
pp. 300, F 160
Il volume raggruppa quattro studi che
analizzano i rapporti tra la percezione
ed il giudizio, discutono le versioni
moderne della teoria dell’inferenze
circoscritte in autori come Gregory o
Wittgenstein e paragonano le analisi
di Grege e di Husserl sui rapporti tra
pensiero, giudizio e percezione. Il
libro incontrerà senz’altro il favore
del pubblico.
Brunschwig, Léon
Descartes et Pascal,
lectures de Montaigne
pref. di Thierry Leterre
Pocket, aprile 1995
pp. 200, F 36
Questolibro, considerato come uno
studio classico delle origini del pensiero francese, sembra essere il testamento filosofico di un uomo che scrive per sopravvivere al disastro della
Seconda Guerra Mondiale ed alle persecuzioni. Un libro di interesse per un
vasto pubblico.
Brachtendorf, Johannes
Fichtse Lehre vom Sein.
Eine kritische Darstellung
der Wissenschaftsleheren
von 1794, 1798/99 und 1812
Schöningh, aprile-maggio 1995
pp. 320, DM 78
Bodei, Remo
Libro della memoria
e della speranza
Il Mulino, aprile 1994
L. 10.000
Sommario: La speranza dopo il tramonto delle speranze; Addio del passato: memoria storica, oblio e identità
collettiva; L’altro sangue d’Europa.
Bodei, Remo
Le prix de la liberté:
aux origines de la hiérarchie
socilale chez Hegel
tr. dall’it. di Nicola Giovannini
Cerf, aprile 1995
pp. 126, F 59
Attraverso uno studio dell’opera di
Hegel, vengono percorse le forme
della giustificazione della gerarchia
sociale. Un volume di sicuro interesse per il pubblico.
Bressolette, M. - Mougel, R.
(a cura di)
Jacques Maritain face
à la modernité: enjeux
d’une approche philosophique
Presses univer. du Mirail-Toulouse
maggio 1995
pp. 344, F 180
Jacques Maritain si è presentato nel
1922 come un “anti-modernista”, per
essere “ultra-modernista”: la sua opera
filosofica cerca di creare le basi e di
ordinare i valori della modernità, come
per giudicare e raddrizzare gli errori e
le pesantezze che costituiscono ciò
che della modernità si ritorce contro
l’uomo. Si tratta di un volume di
ambito universitario.
Boehm, G. (a cura di)
Was ist ein Bild
W. Fink, marzo 1995
pp. 459, DM 48
Siamo molto distanti dall’essere in
possesso di una “scienza dell’immagine” (Bildwissenschaft) o di una “storia dell’immagine” (Bildgeschichte),
come invece hanno voluto credere a
lungo la storia della lingua e la filologia. Ciò nonostante, la discussione
sulla rappresentazione è una costante
della cultura europea.
Breton, Stanislas
L’autre et l’aillers
Descartes & Cie, aprile 1995
pp. 148, F 90
Si tratta di narrazioni filosofiche: l’autore, prendendo a pretesto alcuni ricordi di viaggi in Australia, America
ed Asia, si interroga sulla pretesa
universalista del pensiero occidentale dell’essere, che viene confrontato
con la visione orientale. Il volume
incontrerà l’interesse di un vasto pubblico.
Bös, Gunther
Curiositas. Die Rezeption
eines antiken Begriffes
durch christliche Autoren
bis Thomas von Aquin
Schöningh, aprile-maggio 1995
pp. 242, DM 42
Breuer, Clemens
Person von Anfang an?
Der Mensch aus der Retorte
und die Frage nach dem Beginn
des menschlichen Lebens
Schöningh, aprile-maggio 1995
pp. 410, DM 48
Bouchardeau, Huguette
Simone Weill
Julliard, maggio 1995
F 130
Brisson, Luc - Meyerstein, Walter
Puissance et limites de la raison:
le problème des valeurs
Belles lettres, marzo 1995
75
Buddensiek, Friedemann
Die Medallogik des Aristoteles
in den ‘Analytica Priora A’’
Olms, aprile-maggio 1995
pp. 144, DM 37,80
Bull, Malcolm
Apocalypse Theory
and the Ends of the World
Blackwell Publishers, aprile 1995
pp. 350, UK £ 15.99
Il volume fornisce una rassegna di
3000 anni di pensiero apocalittico.
Questo libro, tracciando la storia del
millenaresimo dai tempi antichi fino
al XVII secolo, riesce ad analizzare il
dibattito moderno e post-moderno, in
cui tornano in circolazione i temi apocalittici, da Zoroastro a Derrida.
Burke, C. et al. (a cura di)
Engaging with Irigaray
Columbia UP, marzo 1995
pp. 448, $ 18
Si tratta della prima raccolta di saggi
che cerca di andare oltre alla questione dell’esistenzialismo, allo scopo di
fornire un contributo critico all’apporto di Irigaray alle teorie di diverse
discipline, prima tra tutte la filosofia.
Cancik, Hubert
Nietzsches Antike
J.B. Metzler, aprile-maggio 1995
pp. 180, DM 48
Hubert Cancik intende mettere in evidenza l’importanza della civiltà antica per la filosofia di Nietzsche, la
portata della sua critica alla filosofia
e dell’umanismo, l’influsso della concezione dell’anticità di Nietzsche apertamente dichiarato o sottostante
alle opere - sui filosofi, i filologi ed i
teologi del XX secolo.
Carr, B. - Mahalingam, I.
(a cura di)
Companion Encyclopedia
of Asian Philosophy
Routledge, marzo 1995
pp. 1000, £ 85
Questa enciclopedia è divisa in sei
sezioni, ognuna delle quali copre una
specifica tradizione. Le filosofie trat-
NOVITÀ IN LIBRERIA
tate comprendono quella asiatica, zoroastrica o persiana, indiana, buddista, cinese, giapponese ed islamica.
Carr, Brian
Morals and Society
in Asian Philosophy
Curzon Press, aprile 1995
pp. 260, UK £ 35
Il volume, basato sulle prima conferenza della European Society for
Asian Philosophy, contiene una serie
di contributi che investigano gli argomenti ed i temi delle tradizioni filosofiche indiana, cinese, giapponese ed
islamica, sia antichi che moderni.
Cassin, Barbara
L’effet sophistique
Gallimard, aprile 1995
pp. 70£ , F 250
La sofistica non ha sempre goduto
della buona reputazione da parte della tradizione filosofica. Alla verità
assoluta del filosofo si opporrebbe
infatti la technê senza coscienza dei
sofisti, la quale non avrebbe fondamenti all’interno dei valori. Partendo
dai testi sofisti, Barbara Cassin modifica la percezione tradizionale dell’Antichità e ne rivaluta la modernità.
Volume di sicuro interesse per il pubblico.
Cassirer, Ernst
Nachgelassene Manuskripte
und Texte
vol. I: Zur Methaphysik
der symbolischen Formen
a cura di J.M. Krois, O. Schwemmer
Felix Meiner, aprile-maggio 1995
pp. 410, DM 164
Nell’aprile del ’95, in occasione del
cinquantesimo anniversario del giorno della morte di Ernst Cassirer, viene pubblicato questo primo di venti
volumi, che comprendono importanti
lavori e appunti per la Filosofia delle
forme simboliche, tratti dal lascito di
Cassirer.
Cauquelin, Anne
Les animaux d’Aristote:
sur l’Histoire naturelle d’Aristote
Lettre volée, aprile 1995
pp. 33, F 70
Gli scritti di Aristotele sugli animali
suscitano delle rêveries marine. Senza dubbio, egli aveva frequentato le
rive dell’Ebeo, della Macedonia, dell’isola Lesbo, dell’Asia minore. La
sua tomba, che si trova in Asia, è
dedicata al mare, alle isole misteriose, al
vulcano ed alle pianure flegee. Il volume
si indirizza al grande pubblico.
Caygill, Howard
A Kant Dictionary
Blackwell Publishers, maggio 1995
pp. 400, UK £ 14.99
Questo dizionario si occupa della vita
e delle opere di Kant; le voci illustrano la natura storica del linguaggio
filosofico. Ogni voce indica le origini
di un termine particolare, come questo è stato trasmesso a Kant e come
egli lo ha modificato nel corso della
sua ricezione.
Champeau, Serge
Ontologie et poésie: trois
études sur les limites
du language
Vrin, aprile 1995
pp. 280, F 210
La filosofia, nel momento in cui cerca
di dire che cosa significhi la parola
“essere”, sconfina nella poesia. In
che modo questa parola si distingue
da quella del poema? Il volume presenta un’analisi dello sviluppo di tre
poeti: H; Michaux, A. du Bouchet, P.
Jaccottet che, ognuno a modo suo,
meditano sull’essere al mondo e riflettono sui rapporti tra discorso e
poema. Si tratta di un saggio di ambito universitario.
vare un sostituto alla concezione meccanicistica del mondo sostenuta dalla
scienza moderna.
Cole, Thomas
The Origins of Rhetoric
in Ancient Greece
Johns Hopkins UP, maggio 1995
pp. 208, UK £ 13
È giusto giudicare la retorica greca
delle origini tramite quanto esemplificato da Platone ed Aristotele? Argomentando in opposizione rispetto
alla convinzione comune che sia giusto farlo, questo lavoro vede la retorica greca delle origini come una serie
di sforzi decisamente non sistematici
di esplorare, più per tentativi che per
precetti, tutti gli aspetti del discorso.
Chappell, T.D.J.
Aristotle and Augustine
on Freedom: Two Theories
of Freedom, Voluntary Action
and Akrasia
Macmillan Press, marzo 1995
pp. 240, UK £ 40
Questo testo considera i punti di contrasto tra la teoria della libertà e delle’azione volontaria in Aristotele ed
Agostino. L’autore sostiene che ci
sono in realtà tre condizioni di azione
volontaria, e non due, come sostenuto generalmente. Egli esamina anche la discussione di Aristotele dell’
akrasia.
Conway, Pierre
Aristotelian Formal
and Material Logic
Univ. Press America, aprile 1995
pp. 330, UK £ 35.95
Questo libro, basato sull’analisi della
forma e della materia del pensiero
umano in Aristotele, esamina i tre
passi che compie la mente per arrivare alla verità: la definizione, il giudizio ed il ragionamento. Il libro analizza anche qual è il materiale necessario al sapere scientifico e dimostrativo.
Copp, David
Morality, Normativity, and Society
Oxford UP Inc, maggio 1995
pp. 272, UK £ 30
Questo trattato difende una forma di
realismo naturale, che sia realtivamente morale. L’intuizione-guida è
che ogni società deve essere caratterizzata da un codice sociale morale,
in modo da permettere ai suoi membri di avere una convivenza positiva.
Charpa, Ulrich
Philosophische
Wissenschaftshistorie.
Grundsatzfragen/Verlaufsmodelle
Viweg, aprile-maggio 1995
pp. 258, DM 72
Chevalley, Catherine
Pascal, contingece et probalité
PUF, aprile 1995
pp. 128, F 45
La nozione di probabilità occupa oggigiorno un posto importante all’interno della filosofia della conoscenza, sia che si tratti dei problemi posti
dalla fisica contemporanea o della
questione della formazione dei credi.
Questo libro propone un’analisi del
legame tra la formalizzazione dei rischi dei giochi e la conoscenza, in
rottura con in progetto metafisico
moderno in Pascal.
Dagognet, François
L’invention de notre monde:
l’industrie: pourqoi et comment?
Encre marin, marzo 1995
pp. 205, F 130
Perché i filosofi hanno denigrato l’industria? L’autore cerca di analizzare
quali sono i fattori che accrescono le
ricchezze, fino a cantare le lodi delle
nuove merci e delle trasformazioni
del paesaggio urbano e rurale. L’opera descrive un universo fantastico, i
cui contorni sono avvolti dal buio, a
causa della questione sociale rimasta
irrisolta. Ma, rispetto a questo punto,
la critica non deve riguardare il sistema in quanto tale. Il volume è di
ambito universitario.
Ciancio, Claudio - Perone, Ugo
Cartesio o Pascal?
Rosenberg & Sellier, aprile 1995
pp. 160, L. 25.000
Riflessioni sull’esperienza della modernità come frattura, l’autonomia
della ragione e dell’uomo, il nesso
finito-infinito, la rilevanza filosofica
del cristianesimo e del processo di
secolarizzazione.
Dastur, François
Husserl, des mathématiques
à l’histoire
PUF, maggio 1995
pp. 128, F 45
I problemi dei fondamenti fenomenologici della logica, della temporalità della coscienza, dell’inter-soggettività e della storia sono stati scelti
dall’autore come luoghi esemplari per
l’interrogazione sul trascendentalismo e dell’idealismo husserliano.
L’autore è uno specialista del settore.
Clarke, C.J.S.
Reality through the Looking Glass:
Science and Awareness
in the Postmodern World
Floris Books, aprile 1995
UK £ 12.99
Il volume esamina una serie di approcci filosofici e mistici alla realtà e
sostiene che abbiamo bisogno di un
nuovo concetto di realtà, basato sulla
nostra consapevolezza di dover tro-
76
Debuisson, Daniel
Mitologie del XX secolo
Dedalo, maggio 1995
pp. 350, L. 35.000
Le teorie elaborate intorno al tema
del “mito” dai tre maggiori studiosi
del nostro secolo.
Del Noce, Fabrizio
Non uccidere
Mondadori, maggio 1995
pp. 220, L. 28.000
Eutanasia, sperimentazione genetica,
trapianti, aborto, pena di morte: fino
a che punto possiamo controllare e
manipolare la vita umana.
Delcò, Alessandro
Morfologie
Cinque studi su Michel Serres
Franco Angeli, aprile 1995
pp. 176, L. 25.000
Serres incomincia a parlare la lingua
delle morfologie: nuova lingua senza
regole per dire tutte le forme, dalle
più sistematiche alle più vaghe, dal
caos puro alla complessità meglio
integrata.
Delgenhausen, I. - Döbler, M.
(a cura di)
Vernunftbegriff und Menschenbild
bei Leonard Nelson
dipa-Vlg., aprile-maggio 1995
pp. 120, DM 28
Derrida, Jacques
Mal d’archive:
une pression freudienne
Galilée, aprile 1995
pp. 154, F 140
Il volume contiene il testo della conferenza tenuta il 5 giugno 1994 a
Londra in occasione del convegno
internazionale, dal titolo Memory, the
Question of Archives. I disastri che
caratterizzano questa fine di millennio sono anche gli archivi del male:
dissimulati o distrutti, proibiti, depistati, respinti. Sono due i fili conduttori: la psicoanalisi dovrebbe portare
ad una rivoluzione almeno parziale
della problematica degli archivi; il
tragitto di una discussione con lo storico americano dell’ebraismo: Yerushalmi. Il pubblico sarà senz’altro
interessato da questo libro.
Derrida, Jacques
Moscou aller-retour
Ed. de l’Aube, maggio 1995
pp. 144, F 89
Si tratta di un’opera in tre parti: nella
prima, Derrida si interroga sulla possibilità di parlare della situazione russa, tenendo conto del “peso” dei diari
del viaggio a Mosca degli anni ’30;
nella seconda, egli si confronta con la
filosofia russa, sotto forma di conversazione; nell’ultima parte, infine, il
filosofo russo M. Ryklin si interroga
sulla portata della filosofia di Derrida
per la Russia. Il libro sarà di sicuro
interesse per il pubblico.
Dickinson, Gwen Griffith
Johann Georg Hamann’s
Relational Metacriticism
de Gruyter, marzo 1995
pp. 534, DM 268
La denominazione “metacriticismo
NOVITÀ IN LIBRERIA
relazionale” indica le tendenze fondamentali del pensiero di Hamann,
così come questo appare nei suoi scritti
di filosofia del linguaggio, di epistemologia e di antropologia. Quest’analisi si basa su di una selezione dei suoi
saggi.
Dilthey, Wilhelm
Ecrits d’esthétique;
suivi de ‘La naissance
de l’hémeneutique’
tr. dal tedesco di Danièle Cohn
a cura di Sylvie - Heinz Wismann
Cerf, aprile 1995
pp. 318, F 180
Questi testi, pubblicati tra il 1887 ed
il 1910, consacrati al movimento attraverso il quale l’umanità si eleva
alla vita dello spirito, colgono la genesi del particolare, laddove esso si
innalza all’universale: nelle opere e
nell’immaginazione creatrice. Il volume si rivolge agli specialisti del
settore.
Dixsaut, Monique (a cura di)
Renverser le platonisme
Vrin, aprile 1995
pp. 320, F 230
Il volume presenta le diverse figure
dell’anti-platonismo nell’epoca moderna e contemporanea, secondo tre
prospettive: il ribaltamento della metafisica speculativa voluto da Kant,
Nietzsche, ma anche Heidegger e
Wittgenstein; il processo intentato a
Platone da Popper, Russel e Crossmann, a causa del suo supposto totalitarismo; ed il disagio che coglie i
commentatori, nel momento in cui si
accingono all’interpretazione. Si tratta
di un saggio di ambito universitario.
Dorff, Elliot
Contemporary Jewish Ethics
and Morality: A Reader
Oxford UP Inc., aprile 1995
pp. 352, UK £ 12.95
Questo volume è un’introduzione all’etica da una prospettiva ebraica. Il
lettore viene condotto all’interno degli argomenti che hanno una precisa e
peculiare impostazione metodologica; gli vengono inoltre offerti degli
esempi di posizioni ebraiche su problemi morali contemporanei.
Dosse, François
Le champ du signe: 1945-1966
LGF, maggio 1995
pp. 472, F 65
In qualità di storico, l’autore ha
rintracciato la portata teorica, istituzionale ed esistenziale dello strutturalismo. Questo primo tomo copre il periodo dall’insorgenza del
movimento fino al suo apogeo,
nell’anno 1966, occupandosi di figure come Lévi-Strauss, Michel
Foucault, Louis Althusser, Roland
Barthes... Il libro sarà di sicuro
interesse per il pubblico.
Dosse, François
Histoire du structuralismie
vol. II: Le chant du cygne:
1967 à nos jour
LGF, maggio 1995
pp. 542, F 65
Grazie ad un’indagine meticolosa, F.
Dosse mostra fino a che punto dietro
alle grandi figure come Barthes,
Foucault, Lacan ci fu un’intera generazione che fu nutrita dallo strutturalismo, mentre era anche rimessa in
discussione dal ritorno della storia e
del soggetto. Il libro sarà di sicuro
interesse per il pubblico.
Eco, Umberto
The Perfect Language
Blackwell Publishers, aprile 1995
pp. 400, UK £ 19.99
Dai primi tempi bui dell’umanità fino
al Rinascimento si pensava che la
lingua parlata nel Giardino dell’Eden
fosse perfetta, in grado di esprimere
tutte le cose possibili, mentre tutte le
lingue ed i linguaggi successivi non
fossero che eredi in declino di questa
prima lingua. Si tratta di un’indagine
della storia di quest’idea.
Dubouchet, Paul
La philosophie du droit de Hegel:
essai de lecture des ‘Principes’’
L’Hermès, maggio 1995
pp. 110, F 98
Il libro si articola in due parti ben
distinte: la prima è consacrata alla
lettura in senso stretto, la seconda è
riservate alle note ed al commento. E
questa seconda parte segue passo a
passo la prima, rispettando ovviamente il testo di Hegel. L’autore è
uno specialista del settore.
Edel, Susanne
Methaphysik Leibnizens
und Theosophie Böhmes.
Die Kabbala als tertium
comparationis für eine
rezeptionsgeschichtliche
Untersuchung
der individuellen Substanz
Steiner, aprile-maggio 1995
pp. 225, DM 88
Si tratta della tesi di laurea tenuta da
S. Edel presso l’università di Francoforte sul Meno nel ’94.
Dummett, Michael
Frege: Philosophy of Mathematics
Duckworth, aprile 1995
pp. 344, UK £ 14.99
La filosofia di Gottlob Frege (18481925) viene da molti considerata come
uno dei punti di partenza del movimento analitico moderno. Questo è il
secondo dei due volumi dedicati alle
conseguenze della filosofia di Frege
ed alla discussione sulle sue tematiche, dopo il volume Frege: Philosophy of Language.
Edelman, Bernard
La maison de Kant
Bourgois, maggio 1995
pp. 180, F 70
Si tratta di una specie di favola morale, di un percorso immaginario, insolito, misero e grandioso di un
filosofo, che potrebbe essere Kant:
la guerra, le donne, l’infanzia,
l’educazione e, infine, un ripiegamento malinconico su se stesso. È
un libro indirizzato ad un pubblico
universitario.
Duncan, Steven M.
A Primer of Modern Virtue Ethics
Univ Press America, aprile 1995
pp. 124, UK £ 14.95
La funzione di questo testo è di essere
sia un’introduzione all’etica dei valori sia un tentativo di tracciare i contorni di un sistema completo dell’etica,
in cui la virtù abbia il posto centrale.
Il volume cerca di dare all’etica della
virtù il ruolo di “competitrice autonoma” con le altre teorie dell’etica.
Eley, Lothar
Fichte, Schelling, Hegel.
Operative Denkwege
im ‘deutschen Idealismus’
Ars Una, aprile-maggio 1995
pp. 114, DM 58
Elliot, R.
Environmental Ethics
Oxford UP, aprile-maggio 1995
pp. 258, £ 10
Questo volume offre una selezione di
alcuni degli articoli più interessanti
scritti sull’etica e sull’ambiente negli
ultimi vent’anni.
Düsing, Klaus
Das Problem der Subjektivität
in Hegels Logik. Systematische
und entwicklungsgeschichtliche
Untersuchungen zum Prinzip
des Idealismus und zur Dialektik
Bouvier, aprile-maggio 1995
pp. 99, DM 120
Si tratta della terza edizione di quest’opera, che ha anche una nuova
post-fazione.
Epitteto
Ce qui dépend de nous:
’Manuel’ et ‘Entretiens’
tr. dal greco di Myrto Gondicas
Arléa, maggio 1995
pp. 203, F 35
Epitteto, il rappresentante della filosofia stoica, esercita un influsso profondo sulla filosofia occidentale. Viene qui ripresa la parte essenziale del
suo insegnamento: il suo manuale ed
una scelta dei suoi migliori colloqui.
Dutt, Carsten
Hans-Georg Gadamer.
Eine Einführung
Manutius-Vlg., marzo 1995
pp. 120, DM 28
Dyer, Colin
Beginning Research in Psychology:
A Practical Guide to Research
Methods and Statistics
Blackwell, maggio 1995
pp. 448, UK £ 8.99
Questo testo dà, in modo accessibile
e comprensibile, tutte le informazioni necessarie per quanto richiesto, per
le materie di statistica e progettazione, dagli esami di psicologia dell’ Alevel all’AEB, al JMB e a Londra.
Epstein, Richard
The Semantic Foundations of Logic
Oxford UP, marzo 1995
pp. 412, £ 45
Questo testo copre tutti gli aspetti
della semantica e le loro applicazioni
alla logica, descrivendo la semantica
formale, le tavole di verità e le trascrizioni tramite la logica. Il testo interes-
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serà agli specialisti del settore informatico che lavorano nel settore della
logica, dell’intelligenza artificiale e
della linguistica, ai filosofi e a chi si
occupa di matematica applicata.
Erasmo
Eloge de la follie
Slatkine, aprile 1995
F 40
Un testo fondamentale del pensiero
rinascimentale.
Fairbairn, Gavin
Contemplating suicide:
The language of Ethics
and Self-harm
Routledge, marzo 1995
pp. 208, UK £ 11.99
Vengono presi in considerazione diversi apetti legati al suicidio. La parte
principale del libro si occupa della
ricostruzione della storia naturale del
suicidio, inteso come un dolore che si
arreca a se stessi, e di esaminare alcune tematiche etiche che vengono sollevate da questa azione.
Fan, Changyang
Sittlichkeit und Tragik.
Zu Hegels Antigone-Deutung
Bouvier, aprile-maggio 1995
pp. 143, DM 48
Questa presentazione storico-critica
dimostra, attraverso un’esemplare conoscenza ed una particolare prospettiva, che l’aspetto unitario, sistematico e centrale dell’opera hegeliana è
rintracciabile sia nell’attualità dell’estetica di Hegel che nella sua filosofia pratica.
Fassbänder, Pantaleon
Zwischen Individualismus
und Gemeinsinn. Die bioethische
und moraltheologische
Abtreibungsdebatte
in den Vereinigten Staaten
aus kulturethischem Blickwinkel
Roderer, marzo 1995
pp. 300, DM 52
Si tratta della tesi di laurea, tenuta da
Fassbender presso l’Università di
Bonn nel 1994.
Fédier, François
Regarder voir
Belles lettres, maggio 1995
pp. 350, F 140
F. Fédier, il responsabile francese delle Oeuvres complètes del filosofo M.
Heidegger, riunisce qui, oltre a degli
esercizi di fenomenologia, sedici testi scritti tra il 1973 ed il 1993, di cui
la maggior parte è inedita, consacrati
alla difesa del pensatore, accusato di
aver sostenuto il nazionalsocialismo
dal 1933 al 1945. L’autore è uno
specialista del settore.
Fichte, J. Gottlieb
Dottrina della scienza
Guerini, maggio 1995
pp. 200, L. 30.000
Raccolta delle lezioni tenute a Koenigsberg nel 1807, proposte per la prima volta al lettore italiano: espongono una confutazione ante litteram dell’idealismo e dell’empirismo.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Figal, Günther
Sokrates
C.H. Beck, marzo 1995
pp. 140, DM 19,80
Il libro è caratterizzato dalla tesi, secondo la quale si potrebbe ricavare
un’immagine credibile di Socrate dall’opera di Platone, nella quale Platone stesso renderebbe sufficientemente chiaro quali sono gli elementi “socratici” e quali quelli “platonici”.
Fischer, H.R. (a cura di)
Die Wirklichkeit
des Konstruktivismus.
Zur Auseinandersetzung
um ein neues Paradigma
Carl-Auer-Systeme
aprile-maggio 1995
pp. 330, DM 59
Flam, Helena
L’uomo emozionale
Anabasi, aprile 1995
pp. 96, L. 10.000
Si elaborano i fondamenti di una visione filosofico-psicologica che tenga conto degli aspetti emozionali dell’esperienza umana e non solo di quelli
razionali.
Florival, G. (a cura di)
Dimensions de l’exister
Vrin, maggio 1995
pp. 266, F 255
Il senso dell’esistente - il filo conduttore di queste ricerche - è stato analizzato secondo quattro temi: la temporalità, l’alterità, la corporalità, la differenza culturale. Il volume si rivolge
agli specialisti del settore ed all’ambito universitario.
Fougeyrollas, Pierre
Vers la nouvelle pensée:
essai postphilosophique
L’Harmattan, marzo 1995
pp. 240, F 130
Disponiamo degli strumenti intellettivi necessari alla comprensione dei
rivolgimenti di cui siamo più spettatori che attori? L’autore ritiene che
non sia così e si augura l’insorgere di
un nuovo pensiero che aiuti ad uscire
dalla situazione di confusione che
caratterizza l’epoca contemporanea.
Furnham, Adrian - Oakley, David
Why Psychology?
UCL Press, maggio 1995
pp. 128, UK £ 7.50
Quest’introduzione spiega che cosa
significhi studiare e mettere in pratica
la psicologia, occupandosi quindi di
un campo che spesso è irto di malintesi. Il volume fornisce un’ampia prospettiva anche sugli scopi della psicologia, mostrandone la grande diversità, ricchezza e profondità, in
uno stile accessibile ed introduttivo alla materia.
Gadamer, Hans Georg
Verità e metodo 2.
Integrazioni e sviluppi
Bompiani, aprile 1995
pp. 770, L. 35.000
Raccolta di saggi che riportano le
idee guida di Verità e metodo, le
integrazioni essenziali e gli sviluppi
successivi.
Galewicz, W. et al. (a cura di)
Kunst und Ontologie. Für Roman
Ingarden zum 100. Geburtstag
Ed. Rodopi, marzo 1995
pp. 235, FOL 70
Si tratta di uno scritto dedicato a Roman Ingarden per il suo centesimo
compleanno.
Gesang, Bernward
Wahrheitskriterien im Kritischen
Rationalismus. Ein Versuch
zur Synthese analytischer,
evolutionären
und kritisch-rationaler Ansätze
Ed. Rodopi, aprile-maggio 1995
pp. 158, FOL 48
Il libro contiene un interessante tentativo di proporre un’integrazione criteriologica del razionalismo critico,
utilizzando una nuova versione della
teoria della conoscenza evoluzionistica.
Galien, Claude
L’âme et ses passions
tr. e a cura di V.Barras,
T. Birchler, A. Morand
pr. di Jean Starobinski
Belles Lettres, maggio 1995
pp. 240, F 130
I tre trattati etici che vengono qui
presentati e tradotti costituiscono ciò
che resta di un’opera di oltre venti
libri, che, secondo il commento dello
stesso Galien, manifestava le sue “opinioni sulle questioni di filosofia morale”. Il libro si rivolge al grande
pubblico.
Gilbert, Paul
La simplicité du principe:
prolégoménes à la métphysique
Culture et verité, aprile 1995
pp. 282, F 199
Si tratta di una riflessione sul senso
dell’esistenza umana che, per l’autore, acquisisce il suo senso nell’incontro con gli altri.
Garewicz, J. - Haas, A.M.
(a cura di)
Gott, Natur, Mensch in der Sicht
Jacob Böhmes und seine Rezeption.
Vorträge gehalten anläßlich
eines Arbeitsgespräches vom 16.
bis 20. Oktober 1989
in der Herzog-August-Bibliothek
Harrassowitz, marzo 1995
pp. 280, DM 98
Il volume raccoglie gli interventi presentati durante il convegno di studio
su Böhme e la ricezione della sua
concezione di Dio, natura ed uomo,
tenutosi nel 1989.
Gobry, Ivan
Procès de culture:
mise en question chrétiennes
de la modernité
Régnier, maggio 1995
pp. 295, F 150
Si tratta di un saggio filosofico che si
schiera per la riscoperta della cultura,
prendendo le difese dell’umanismo e
del cristianesimo. Il libro si rivolge al
vasto pubblico.
Göranzon, B. (a cura di)
Skill, Technology and Enlightment.
On Practical Philosophy
Springer, marzo 1995
pp. 371, DM 74
Il volume esplora i problemi dello
sviluppo di una prospettiva rispetto
alla tecnologia ed alla società, ai limiti dell’Illuminismo, ai rapporti tra critica culturale ed epistemologia della
conoscenza pratica e tra questa ed
una concezione non elitaria dell’esperienza, al ruolo delle arti come base
della riflessione e rispetto a molti altri
argomenti.
Garrison, Elise P.
Groaning Tears
E J Brill, maggio 1995
pp. 236
Quest’analisi del suicidio nella tragedia greca del V secolo analizza i risvolti etici del e sul pubblico di questo genere di spettacolo ed esamina il
suicidio nel contesto di opere teatrali
basate su motivazioni specifiche: evitare una disgrazia, la sofferenza, il
lutto e sacrificare se stessi per un bene
superiore.
Gorgé, V. - Moser, R. (a cura di)
Begegnungen mit dem Chaos.
Referate einer Vorlesung
des Collegium Generale
der Universität Bern
Haupt, aprile-maggio 1995
pp. 93, CHF 24
Si tratta degli interventi tenuti nel
corso di una lezione del Collegium
Generale dell’università di Berna.
Garver, Eugene
Aristotle’s Rhetoric.
An Art of Character
Univ. of Chicago Pr., marzo 1995
pp. 328, $ 22
La retorica di Aristotele, in parte capacità professionale ed in parte attività etica, emerge dal suo importante
lavoro filosofico e rappresenta un
valido contributo alle investigazioni
contemporanee della natura della ragione pratica.
Grayling, A.C.
Philosophy: A Guide Through
the Subject
Clarendon Press, maggio 1995
pp. 520, UK £ 12.99
Questo libro di testo per il livello
undergraduate non serve solo come
un’introduzione alla filosofia, ma anche come una guida ai principali filosofi ed alle più importanti tematiche
filosofiche. Comprende anche delle
tavole riassuntive ed esplicative delle
principali aree filosofiche.
Geldard, Richard
The Vision of Emerson
Element Books Ltd, aprile 1995
pp. 192, UK £ 4.99
Andando al di là della reputazione di
importante figura in campo letterario
di cui gode Emerson, questo studio
cerca di affermare il suo ruolo di
pensatore e filosofo americano di tutto rilievo. Il libro include gli scritti
più importanti di Emerson e delle voci
esplicative della sua terminologia.
Green, Richard
The Thwarting of Laplace’s Demon:
Arguments Against the Mechanistic
78
World-view
Macmillan Press, marzo 1995
pp. 224, UK £ 42.50
Questo testo si prefigge di mostrare
come la cornice meccanicista delle
idee associata alla scienza moderna
distorca il nostro modo di comprendere non solo la mente umana, ma
anche gli attributi fondamentali della
vita stessa. Prima che ci si possa liberare di quest’influenza che modifica i
fatti, bisogna modificare la nostra
nozione di causalità.
Groethuysen, Bernard
Philosophie et histoire
Albin Michel, aprile 1995
pp. 359, F 140
La maggior parte dei testi importanti
di questo filosofo, che si situa all’incrocio delle più significative correnti
filosofiche e sociologiche, come il
marxismo, il pensiero di Max Weber
e la fenomenologia. Il volume contiene testi su Diderot, Nietzsche, sul
tempo, sulla 3e cycle-Recherche, ed
altri. Si rivolge agli specialisti del
settore.
Grosseteste, Robert
On the Six Days of Creation:
A Translation of the ‘Hexaemeronn’
Oxford UP, maggio 1995
pp. 380, UK £ 30
Questa traduzione del testo latino
dell’Hexaemeronn è un complemento a quella di Dales e Gieben: rende
conto dell’unità del sapere latino, in
cui lo studio di Dio include lo studio
del mondo intero. Il libro dovrebbe
interessare agli studiosi ed agli studenti di filosofia medioevale, di teologia e di letteratura.
Großheim, M. (a cura di)
Leib und Gefühl. Beiträge
zur Anthropologie
Akademie Vlg., marzo 1995
pp. 300, DM 84
Il volume si sforza di trovare un fondamento filosofico al crescente interesse, evidenziatosi negli ultimi decenni, per gli ambiti fenomenologici
del corpo e del sentimento. I risultati
di questo lavoro interdisciplinare vengono qui riferiti dall’autore.
Guillaume, Anne-Marie
Mal, mensonge et mauvaise foi:
une lecture de Kant
pref. di Jean Ladriére
Presse universitaires de Namur
aprile 1995
pp. 458, F 300
Il volume offre una lettura globale del
corpus kantiano, da una prospettiva
che si interroga su come pensare il
male, che rappresenta una delle sfide
della filosofia contemporanea. Al termine di quest’analisi, il nucleo del
male radicato risiede nell’impurità
che alberga nell’arbitrio umano e trova la sua espressione nella malafede,
nel raccontare menzogne a se stessi.
Il volume si rivolge agli specialisti
del settore.
Haase, Michaela
Galileische Idealisierung.
Ein pragmatisches Konzept
de Gruyter, aprile-maggio 1995
NOVITÀ IN LIBRERIA
pp. 283, DM 164
Questa tesi di laurea, discussa dalla
Haase presso la Freie Universität di
Berlino nel ’93, analizza la teoria dei
presupposti semplificati riguardo agli
oggetti di ricerca delle scienze naturali e sociali, che sono strettamente
legati all’insorgere della meccanica
galileiana.
Habermas, Jürgen
Theorie des kommunikativen
Handelns
Suhrkamp, marzo 1995
DM 46,80
Si tratta dell’opera in due volumi sull’attività comunicativa.
Habermas, Jürgen
Vorstudie und Ergänzung
zur Theorie des kommunikativen
Handelns
Suhrkamp, marzo 1995
pp. 608, DM 29,80
Haeffner, Mark
Dictionary of Alchemy
Aquarian, marzo 1995
pp. 304, UK £ 6.99
Si tratta di un libro che permette di
comprendere la scienza e la filosofia
pre-newtoniana. Il volume include
sia la dimensione materialistica della
trasmutazione dei metalli che la ricerca interiore tesa all’illuminazione mistica. Vengono illustrate la tradizione
occidentale, quelle indo-tibetane e
quella cinese taoista.
Hagger, Nicholas
Overlord: The Triumph
of Light 1944-1945
Parti I e II
Element Books Ltd, maggio 1995
pp. 112, UK £ 12.99
Si tratta delle prime due parti di un
poema epico in dodici parti che presenta gli eventi storici dell’ultimo
anno della Seconda Guerra Mondiale, in un complesso contesto, che include anche Cristo e Lucifero. Questo volume tratta della storia dal DDay fino all’attentato alla vita di Hitler il 20 luglio ed al suo risultato
catastrofico.
Hampshire, Stewart
Innocenza ed esperienza.
Un’etica del conflitto
Feltrinelli, maggio 1995
pp. 184, L. 35.000
Gli uomini da sempre hanno vissuto
seguendo ideali di vita diversi. Non
c’è individuo o società moderna che
possa evitare i conflitti che sorgono
da interessi e doveri morali incompatibili; anzi proprio da questo conflitto
ineliminabile ha origine la morale.
Harwood, John
Eliot to Derrida:
The poverty of Interpretation
Macmillan Press, aprile 1995
pp. 208, UK £ 12.99
Si tratta di un ritratto sardonico del
culto dell’interprete specialista, da
I.A. Richards e la Scuola di Cambridge a Jacques Derrida, fino ai suoi
discepoli. Questo studio vuole dimostrare che il “modernismo” ed il “postmodernismo” sono invenzioni accademiche.
Raccolta di meditazioni sulla filosofia “quotidiana”.
Hayes, Nicky - Topley, Paula
Psychology:
An Introduction Workbook
Longman Education, aprile 1995
UK £ 6.99
Questo libro è pensato come un aiuto
per gli studenti del corso di psicologia GCSE. Vengono infatti chiaramente spiegati gli argomenti che fanno parte delle conoscenze richieste
per questo corso. Il libro può essere
utilizzato dagli studenti come un eserciziario in cui scrivere; inoltre raccoglie i testi dei compiti di esame ed
alcuni quiz a cui rispondere e da poter
controllare autonomamente.
Haslam, Andrew Parsons, Alexandra
North American Indians
Two-Can Publishing, maggio 1995
pp. 64, UK £ 3.99
Questo libro fa parte di una serie che
intende esaminare le grandi civiltà
del mondo, il loro modo di considerare il nostro mondo di oggi e quindi di
fare storia in una maniera particolare,
da un punto di vista e da un approccio
inusuali. Il libro sui Nativi americani
aiuta a ricostruire i loro modi di vita,
le culture e le loro credenze.
Heidegger, Martin
Lettera sull’ “umanismo”
Adelphi, maggio 1995
pp. 90, L. 10.000
Tentativo filosofico di ricostruire
un’etica e un umanismo dopo le rovine della Seconda Guerra Mondiale e
la perdita di senso del mondo contemporaneo, dominato dalla tecnica.
Haug, W.F. (a cura di)
Historisch-kritisches
Wörterbuch des Marxismus
vol. II: Banknoten bis Dummheit
Argument, aprile-maggio 1995
pp. 400, DM 129
Questo secondo volume, che fa parte
di una raccolta in dodici libri e segue
quello intitolato Abbau des Staates
bis Avantgarde, comprende più di
1000 voci riguardanti il marxismo,
diventate importanti per la teorizzazione marxista, con le sue diverse
linee pratiche e teoriche, e per i concetti dei movimenti di liberazione
sociale.
Heinekamp, A. - Mertens, M.
(a cura di)
Leibniz-Biographie
vol. II: Die Literatur
über Leibniz (1981-1990)
Klostermann, aprile-maggio 1995
pp. 368, DM 108
Heinzmann, Richard
Thomas von Aquin.
Eine Einführung in sein Denken
Kohlhammer, marzo 1995
pp. 281, DM 34
Si tratta di una scelta di testi, presentati in versione latina e tedesca.
Hauskeller, Michael
Atmosphäre. Philosophische
Untersuchungen zum Begriff
und zur Wahrnehmung von Atmosphären
Akademie Vlg., marzo 1995
pp. 300, DM 68
In quanto percettore, l’essere umano
si trova sempre immerso in un mondo
di importanza affettiva, e solo a partire da questa motivazione è possibile
il riconoscimento dell’oggetto.
Hannover, Ingolf
Geschichte und Gerechtigkeit.
Ein geschichtsphilosophischer Essay
Lit, aprile-maggio 1995
pp. 56, DM 14,80
Haviland, Eric
Kostas Axelos: une vie pensée,
une vie vecue
pr. di Jean-Michel Palmier
L’Harmattan, maggio 1995
pp. 163, F 90
Viene qui presentata la biografia di
Kostas Axelos, nato ad Atene nel
1924 ed arrivato a Parigi nel 1945.
Vengono raccontate le peripezie di
una vita che Axelos non ha mai vissute separate dal suo pensiero. Vengono anche forniti diversi approfondimenti sull’opera poderosa ed insuperabile di questo autore greco. Il volume interesserà al grande pubblico.
Harper, Sophie
Degree Course Guide:
Psychology: 1995 / 1996
Hobsons, aprile 1995
UK £ 4.99
Hay, Luise L.
Puoi guardare la tua vita.
Meditazioni
Sansoni, maggio 1995
pp. 272, L. 25.000
Hekman, Susan J.
Moral Voices, Moral Selves.
Carol Gilligan
and Feminist Moral Theory
Polity Press, aprile-maggio 1995
pp. 200, £ 12
Questo libro è una nuova ed originale
messa in discussione dei problemi
centrali della teoria morale. Gilligan
sostiene che non esiste solo una voce
vera e morale, ma due: una maschile
ed una femminile. I valori morali e
ciò che è legato ad essi in una prospettiva femminile e relazionale, dipendono dalle interrelazioni con gli altri.
Hermanni, Fr. - Steenblock, V.
(a cura di)
Philosophie Orientierung.
Festschrift zum 65. Geburtstag
von Willi Oelmüller
Fink, marzo 1995
pp. 312, DM 78
Alla fine del XX secolo, ci si aspetta
più che un orientamento dalla filosofia. Questo volume raccoglie contributi che, sull’esempio dei campi di
discussione contemporanei, scandagliano le possibilità di questa disciplina.
Herrschaft, Lutz
Theoretische Geltung.
Zur Geschichte
eines philosophischen Paradigmas
79
Königshausen & Neumann
aprile-maggio 1995
pp. 210, DM 48
Questo lavoro, seguendo il filo della
discussione sulle idee della validità in
Lotze, Windelband, Rickert, Brauch
e Hans Wagner, traccia i contorni dei
criteri della valutazione delle teorie
di validità assiologiche, della logica
dei principi ed obiettivistiche.
Hersch, Jeanne
Lo stupore filosofico.
Una storia della filosofia
Sansoni, maggio 1995
pp. 350, L. 30.000
La storia della filosofia occidentale
delineata per grandi filoni, con la
ricostruzione di ogni scuola e del pensiero di ogni pensatore.
Hess, Rémi
25 livres clé de la philosophie
Marabout, maggio 1995
F 48
Vengono presentati in ordine cronologico degli estratti di opere, che spingono ad approfondire tramite una lettura integrale. Tra i titoli scelti: Il
banchetto di Platone, l’Etica di
Spinoza, la Critica della ragion pura
di Kant, il Discorso sul metodo di
Cartesio, ed altri. Il libro si rivolge al
grande pubblico.
Heuer, B. - Prucha, M.
(a cura di)
Der Umbruch in Osteuropa
als Herausforderund
für die Philosophie
Lang, aprile-maggio 1995
pp. 250, DM 80
Heuser-Kessler, M.L. Jacobs, W.G.
(a cura di)
Schelling und
die Selbstorganisation.
Neue Forschungsperspektiven
Duncker & Humblot, marzo 1995
pp. 294, DM 132
Hirsch, Walter
Das Drama des Bewußtseins.
Literarische Texte
in philosophischer Sicht
Königshausen & Neumann, marzo
1995
pp. 151, DM 24
Vengono scelti drammi e romanzi
dalla tradizione letteraria di quattro
secoli, ai quali contrapporre le tradizioni filosofiche corrispondenti. L’autore si prefigge di dimostrare che la
letteratura ed il pensiero scaturiscono
da un comune moto culturale che
caratterizza la loro epoca.
Höffe, O. (a cura di)
Immanuel Kant: Zur ewigen Frieden
Akademie Vlg., marzo 1995
pp. 240, DM 29,80
In dodici contributi, raccolti in questo
volume, si cerca di “decifrare” il testo
di Kant. Esso viene interpretato in
questo senso in maniera sistematica e
viene rintracciata la sua portata politica, che viene anche inserita nel suo
e nel nostro contesto socio-storico.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Hofmann, Alexander
Bedeutungsbegriff
und Bedeutungstheorie.
Zur Erklärung eines Rätsels
Francke, marzo 1995
pp. 231, DM 68
Finché il senso di una domanda non
viene spiegato secondo il suo significato, esso deve restare misterioso; così
come una domanda è possibile solo
nel caso in cui assuma la forma della
teoria del significato. Questo studio
vorrebbe risolvere questo enigma.
Hohmann, Werner L.
Ferdinand Ebner. Bedenker
und Ebner des Wortes
in der Situation
der “geistigen Wende”
Die Blaue Eule, marzo 1995
pp. 304, DM 56
Hollinger, Robert
Pragmatism: From Progressivism
to Post-modernism
Praeger Publishers, aprile 1995
pp. 376, UK £ 62.50
Questi saggi esplorano lo sviluppo
del pragmatismo americano, sullo
sfondo della cultura e della politica
americane del XX secolo. Il libro
enfatizza le interrelazioni tra gli argomenti filosofici di base sollevati dal
pragmatismo come movimento filosofico.
Honneth, Axel
The Struggle for Recognition:
The Moral Grammar
of Social Conflicts
Polity Press, aprile-maggio 1995
pp. 260, £ 39.50
Questo lavoro sostiene che la struggle for recognition (“lotta per il riconoscimento”) è e dovrebbe essere al
centro dei conflitti sociali. Honneth
esamina gli argomenti proposti da
Hegel e li situa sullo sfondo della
concezione della vita umana come
lotta per l’esistenza, proposta dalla
filosofia moderna.
Humboldt, Wilhelm von
Le dix-huitème siècle;
Plan d’uns anthropologie comparée
tr. dal tedesco di C. Losfeld
intr. di Jean Quilien
Presses univer.de Lille
maggio 1995
pp. 204, F 150
Questi due scritti del 1796 e del 1797,
incompleti, costituiscono lo sviluppo
di una riflessione iniziata nel 1790,
sulla base dell’assimilazione del criticismo, che riguarda diversi campi
del sapere ed importanti dimensioni
dell’esperienza umana: la politica, la
storia, l’estetica... Essi si prefiggono
di rintracciare le linee direttrici di
un’antropologia comparata. Il volume sarà di sicuro interesse per il pubblico.
Hundert, Edward M.
Lessons from an Optical Illusion:
On Nature and Nurture, Knowledge
and Values
Harvard UP, maggio 1995
pp. 288, UK £ 19.95
Si dice spesso che i fatti sono fatti, ma
i valori sono relativi. Ma si verificano
quotidianamente delle situazioni in
cui queste distinzioni iniziano a diventare più confuse. Questo nuovo
bilancio del dibattito sulla natura ed il
cibo esamina le ragioni di questa confusione, considerando anche settori
come l’intelligenza artificiale, la neurologia e la linguistica.
collocandosi alle soglie della grande
scolastica di Albert Le Grand, di Bonaventura e Tommaso d’Aquino. Si
tratta di un volume di ambito universitario.
Jelden, E. (a cura di)
Prototheorien - Praxis
und Erkenntnis?
Leipziger-Univ.-VlG
aprile-maggio 1995
pp. 216, DM 40
Irrgang, Bernhard
Grundriß der medizinischen
Ethik
UTB, aprile-maggio 1995
pp. 304, DM 33,80
Il volume presenta la strumentazione
dell’etica professionale, orientata all’applicazione, che dovrebbe aiutare,
nelle situazioni-limite proposte alla
medicina, a prendere delle decisioni
fondate dal punto morale.
Jolivet, Jean
Philosophie médiévale arabe
et latine
Vrin, aprile 1995
pp. 320
Il Medioevo ha visto la presenza simultanea di due religioni universaliste: il cristianesimo e l’islamismo, e
di tre tradizioni culturali: quella greca, quella latina e quella araba. Questo libro esamina i loro rapporti ed
alcune delle loro singole figure del
XII secolo. Si tratta di un volume di
ambito universitario.
Jaescke, W. (a cura di)
Philosphie und Literatur
im Vormärz. Der Streit
um die Romantik (1820-1854)
Felix Meiner, aprile-maggio 1995
DM 98
Janaway, Christopher
Immages of Excellence.
Plato’s Critique of the Arts
Clarendon Pr., aprile-maggio 1995
pp. 240, £ 30
Platone sosteneva nel Repubblica che
le forme di poesia, dramma e musica
accettate tradizionalmente sono manchevoli. Questo famoso punto di vista di Platone è stato rifiutato da molti
pensatori. Junaway sostiene che questa opinione apparentemente ostile
esprime una coerente e profonda valutazione delle arti, che invece non è
stata recepita come tale.
Jouary, Jean-Paul
A che cosa serve la filosofia?
Salani, maggio 1995
pp. 144, L.18.000
La filosofia? Una cosa troppo difficile che suscita ansia e preoccupazione
nel lettore neofita. Considerata troppo astratta, lontana dalla vita, incomprensibile, soprattutto inutile. Questo
libro vuole dimostrare che non è così:
si tratta solo di presentare i problemi
nel modo giusto.
Jung, Werner
Von der Mimesis zur Simulation.
Eine Einführung
in die Geschichte der Ästhetik
Junius, aprile-maggio 1995
pp. 290, DM 29,80
Jankélévitch, Vladimir
Pensare la morte
Cortina, aprile 1995
pp. 100, L. 15.000
Uno sguardo alla vita dal difficile
margine che separa l’esistenza dal
nulla. Ne deriva un punto di vista sul
mondo e sulle cose che affronta ogni
questione con il sorridente beneficio
dell’ironia.
Kaiser, Ph. - Peters, D.St.
(a cura di)
Organismus - Evolution - Mensch.
Ein Gespräch zwischen Philosophie,
Naturwissenschaft und Theologie
Pustet, marzo 1995
pp. 224, DM 62
Jannicaud, Dominique (a cura di)
L’intentionnalité en question:
entre phénoménologie
et recherches cognitives
Vrin, marzo 1995
pp, 400, F 198
Gli specialisti delle scienze cognitive
ed i filosofi di tradizione analitica
intavolano, con il movimento fenomenologico, un dialogo inedito sul
concetto dell’intenzionalità, che oggigiorno sta avendo molto successo. I
vari specialisti sono ben lungi dal
cercare di unificare artificialmente i
loro punti di vista. Il volume è di
ambito universitario.
Kalogerakos, Ioannis G.
Seele und Unersterblichkeit.
Untersuchungen zur Vorsokratik
bis Empedokles
Teubner, marzo 1995
pp. 256, DM 78
Kamm, F.M.
Morality, Mortality: Rights,
Duties and Value
vol. 2
Oxford UP Inc., maggio 1995
pp. 352, UK £ 37.50
Con questo secondo volume, l’autrice continua il suo sviluppo di una
teoria etica non consequenzialista e
delle sue applicazioni ai problemi etici pratici. La Kamm esamina la distinzione tra ammazzare e lasciare
che qualcuno muoia, i concetti dei
diritti, delle prerogative e della supererogazione.
Jean de La Rochelle
Summa de anima
a cura di Jacques-Guy Bougerol
Vrin, marzo 1995
pp. 296, F 240
Quest’opera, qui presentata in latino,
composta da uno dei maestri della
teologia, costituisce la sintesi più importante sull’anima e i suoi poteri,
80
Kämpf, Heike
Tauschenbeziehungen.
Zur anthropologischen
Fundierung des Sybolbegriffs
W. Fink, marzo 1995
pp. 194, DM 48
Partendo da una ricostruzione e dalla
critica dei concetti simbolici tradizionali, questo libro cerca di far dialogare la filosofia e l’etnologia. Gli approcci filosofici all’etnologia seguono l’esempio di Ernst Cassirer, il cui
concetto simbolico viene però ampliato alla dimensione interindividuale e pragmatica.
Kant, Immanuel
Qu’est-ce qu’un livre?
pres. e tr. di Jocelyn Benoist
PUF, aprile 1995
pp. 160, F 55
L’autore ed il proprietario del libro
possono dire ciascuno, con lo stesso
diritto, del volume: è il mio libro! Ma
questo diritto dell’autore non è un
diritto sulla cosa, perché sa di cosa
tratta l’esemplare, ma un diritto innato sulla propria persona, di sapere
quindi che nessun’altro possa far discorrere il volume con il pubblico
senza il suo consenso. Si tratta di un
volume di ambito universitario.
Kant, Immanuel
Il male radicale
Mondadori, maggio 1995
pp. 100, L. 8.000
Le basi del comportamento etico a
partire dalla natura eticamente valutabile dell’uomo, le sue regole fondamentali di condotta, il rispetto per la
legge morale.
Kant, Immanuel
Fondazione della metafisica
dei costumi
Rizzoli, maggio 1995
pp. 400, L. 18.000
La prima formulazione della morale
kantiana precedente alla stesura della
Critica della ragion pratica. Testo
tedesco a fronte.
Kant, Immanuel
Opus Postumum
a cura di Eckart Forster
Cambridge UP, aprile 1995
UK £ 12.95
Questo volume è la traduzione dell’opera più importante di Kant, Opus
Postumum, un’opar che Kant stesso
definì il suo “capolavoro”, il perno su
cui ruota tutto il suo sistema filosofico. Questo lavoro doveva costituire
la transizione dalle basi metafisiche
della scienza naturale alla fisica.
Kellerer, Christian
Die Befreiung des abendländischen
Denkens
Stroemfeld, marzo 1995
pp. 680, DM 48
La Befreiung des abendländischen
Denkens di Kellerer, le cui basi furono da lui formulate negli anni ’30,
riguarda le scienze naturali olistiche,
la psicologia e la critica della conoscenza filosofica.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Kenny, Anthony
Frege: An Introduction
to the Founder of Modern
Analytic Philosophy
Penguin, aprile 1995
pp. 240, UK £ 7.99
Questa biografia di Frege, il fondatore della logica moderna, mostra che,
benché egli fosse poco conosciuto,
ebbe un grande influsso sulla filosofia analitica, attraverso Russell, e sulla filosofia continentale, attraverso
Husserl.
Kertész, András
Die Ferse und der Schild.
Über Möglichkeiten und Grenzen
kognitionswissenschaftlicher
Theorien der Erkenntnis
Lang, aprile-maggio 1995
pp. 242, DM 70
Keulartz, Josef
Die verkehrte Welt
des Jürgen Habermas.
tr. dall’olandese di I. v. der Art
Junius, aprile-maggio 1995
pp. 240, DM 48
Kierkegaard, Søren
Una recensione letteraria
Guerini, aprile 1995
pp. 144, L. 22.000
La novella Due epoche, di Thomasine Buntzen, offrì al filosofo-teologo
danese l’occasione per sviluppare
complesse considerazioni esteticomorali.
Kierkegaard, Søren
Sul concetto di ironia
in riferimento costante a Socrate
Rizzoli, aprile 1995
pp. 336, L. 16.500
È il parto di un accoppiamento non
proprio giudizioso tra entusiasmo e
ironia: entusiastico nella deduzione
giovanile con cui si vota alla filosofia, ironico nel distacco che pone tra
la materia e sé, e tra sé e il lettore.
Kiesiel, Theodore
The Genesis of Heidegger’s
’Being and Time’
Univ. of California
aprile-maggio 1995
pp. 608, $ 22
Attraverso una sofferta ricerca negli
archivi europei e nella corrispondenza privata di Heidegger, Kiesiel riesce a fornire un resoconto continuo
dello sviluppo del filosofo nei suoi
primi anni di attività e del suo progredire verso il suo capolavoro.
Klassen, Norman
Chaucer on Love, Knowledge
and Sight
D S Brewer, maggio 1995
pp. 256, UK £ 29.50
Klassen fa riferimento alla filosofia
naturale medioevale ed alla metafisica per chiarire l’uso da parte di Chaucer del motivo della vista nella sua
poesia d’amore, quando il poeta vuole esplorare il rapporto tra amore e
conoscenza.
Kleingeld, Pauline
Fortschritt und Vernunft.
Zur Geschichtsphilosophie Kants
Königshausen & Neumann, marzo
1995
pp. 232, DM 48
Questo studio mira a stabilire quale
sia la collocazione sistematica della
filosofia della storia all’interno del
pensiero di Immanuel Kant e ad analalizzarne i pensieri-guida.
Kroker, E.J.M. - Dechamps B.
(a cura di)
Information - eine dritte
Wirklichkeitsart neben
Materie und Geist.
Königsteiner Forum
FAZ, marzo 1995
pp. 200, DM 29,50
Il volume contiene i contributi al forum di Königstein.
Kwame, Safro
Readings in African Philosophy:
An Akan Collection
Univ. Press America, maggio 1995
pp. 318, UK £ 31.50
Quest’antologia, che si occupa di un
preciso gruppo etnico, propone una
raccolta di saggi di filosofia africana.
Il libro si occupa di argomenti fondamentali riguardanti la vita ed il sapere
e copre le aree tradizionali e comuni
della ricerca filosofica, come la metafisica, il femminismo, l’etica degli
affari.
Knoell, Dieter R.
Zur gesellschaftlichen Stellung
der Kunst zwischen Natur
und Technik. Untersuchungen
zum Verhältnis von Ästhetik
und Politik in den Kunstkonzeption
der kritischen Theorie
des Neopositivismus
vol. II: Neopositivistische
Kunsttheorie zwischen Elitekunst
und Massenproduktion
Olms, marzo 1995
pp. 236, DM 39,80
Laruelle, François
Théorie des étrangers
Kimé, marzo 1995
pp. 336, F 185
Attraverso la psicoanalisi, la democrazia e la teoria di ciò che è “straniero”, il volume cerca di raggiungere
una soluzione insolita alle antinomie
della filosofia, attraverso la fondazione di una teoria, il cui fattore unificante è l’uomo in quanto istanza del
reale. A seconda dei materiali che
essa utilizza, prende la forma di una
scienza delle moltitudini umane, di
una teoria democratica piuttosto che
di una filosofia della psicoanalisi. Si
tratta di un saggio di ambito universitario.
Kolnai, Aurel
The Utopian Mind and Other Papers:
a Critical Study in Moral
and Political Philosophy
Athlone Press, marzo 1995
pp. 288, UK £ 42.00
Si tratta di una critica dell’utopia,
cioè di un modo di valutazione che si
contrappone a quello del senso comune. Questo libro si rivolge a chiunque
si occupi di questi valori e della natura della libertà, sia essa personale,
politica o filosofica.
Koribaa, Nabhani
Philosophes de l’humanité:
Grèce, Rome, Indie, Chine, Perse,
Islam, Europe médiévale et moderne
Publisud, aprile 1995
pp. 99, F 68
Si tratta di una presentazione dei filosofi rappresentativi delle grandi civiltà che si propone di dare un panorama il più esaustivo possibile agli
studenti liceali ed universitari, ed al
pubblico in generale.
Laycock, Steven W.
Mind as Mirror and the Mirroring
of Mind. Buddhist Reflections
on Western Phenomenology
State of New York Pr., marzo 1995
pp. 352, $ 22
Questo studio, radicato nella visione
dialettica madhyamika e nella fenomenologia articolata zazen, scopre
ed esamina i presupposti metodologici che danno vigore alle opere di
Husserl, Sartre e Merleau-Ponty.
L’autore mette seriamente in discussione alcuni degli assunti fondamentali della tradizione fenomenologica
occidentale riguardanti la natura della mente.
Kreimendahl, L. (a cura di)
Aufklärung und Skepsis.
Studien zur Philosophie
und Geistesgeschichte des 17.
und 18. Jahrhunderts.
Günter Gawlick zum 65. Geburtstag
am 1. März 1995. Im Verbindung
mit Hans Ulrich Hoche
und Werner Stube
Frommann-Holzboog, marzo 1995
pp. 320, DM 184
Leaman, Oliver
Friendship East and West:
Philosophical Perspectives
Curzon Press, maggio 1995
pp. 260, UK £ 35
Nella filosofia contemporanea, si è
risvegliato l’interesse per il concetto
di amicizia. Questo libro offre non
solo una trattazione delle idee dell’amicizia presso i Greci ed i Cristiani, ma anche un’indagine sull’amicizia nella prospettiva islamica, ebraica, cinese, giapponese ed indiana.
Kreuzer, Johann
Augustinus
Campus, marzo 1995
pp. 150, DM 24,80
Questa introduzione rappresenta anche una spiegazione della “estraneità
interiore” che interessa la storia del
nostro pensiero. Essa non mira né ad
un augustinismo al di là dei tempi né
ad una storia delle idee agostiniane,
quanto alla ricerca delle tracce del
pensiero agostiniano che possono ancora essere interessanti e stimolanti.
Lechner, Raimund
Zwischen Rationalismus
und Tradizionalismus.
Offenbarung und Vernunft
81
bei Jakob Frohschammer
Lit, aprile-maggio 1995
pp. 480, DM 78,80
Si tratta della tesi di abilitazione all’insegnamento tenuta da Lechner
presso l’università di Monaco di Baviera nel 1993.
Lefort, Claude
Ecrire à l’épreuve du politique
Pocket, marzo 1995
pp. 398, F 44
Il volume raccoglie scritti e studi apparsi nelle diverse riviste ed opere
collettive, insieme ad interventi tenuti in occasione di manifestazioni varie. Si tratta di un’opera che incontrerà il favore e l’interesse del pubblico.
Lehmann, Günther
Ästhetik der Utopie.
Arthur Schopenhauer,
Sören Kierkegaard, Georg Simmel,
Max Weber, Ernst Bloch
Günther Neske, aprile-maggio 1995
pp. 294, DM 58
Lehmann, Jennifer M.
Deconstructing Durkheim:
A Post-post Structuralist Critique
Routledge, aprile 1995
pp. 288, UK £ 13.99
Questo studio fornisce una coerente
analisi testuale della sociologia di
Durkheim, dal punto di vista dello
strutturalismo critico. L’ontologia sociale di Durkheim viene analizzata
come una teoria sociologica della realtà, guidata da un’apparente tensione tra il determinismo sociale e l’ind i v id u al i s mo .
Leibniz, Gottfried Wilhelm
L’estime des apparences:
21 manuscrits de Leibniz
sur les probabilités,
la théorie des jeux,
l’ésperance de la vie
a cura di M. Parmentier
Vrin, marzo 1995
pp. 472, F 220
Parallelamente alle ricerche teoriche
(sul problema dei non, della parte e
della speranza matematica), l’analisi
dei giochi di moda e quella successiva sulla speranza della vita ci rivelano che qui il punto di vista non è
quello di un matematico, ma quello di
un logico e di un teorico dei giochi
ante litteram. L’opera é presentata in
versione bilingue latino-francese. Si
tratta di un saggio di ambito universitario.
Leist, Anton
Wege der Moral Begründung
W. Fink, marzo 1995
pp. 320, DM 68
Il volume cerca di dare un quadro
delle più importanti posizioni teoretiche all’interno della filosofia morale
contemporanea. Non si cerca tanto
qui di far comparire una dopo l’altra
le vari posizioni, ma piuttosto di cercare di farle rientrare, come varianti,
in due tipi di struttura di motivazione,
di fondazione.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Lenk, Hans
Schemaspiela. Über
Schemainterpretationen
und Interpretationskonstrukte
Suhrkamp, aprile-maggio 1995
pp. 280, DM 40
Hans Lenk cerca di sviluppare un’integrazione costruttiva all’approccio
alla filosofia dei costrutti dell’interpretazione. A questo scopo, egli inserisce anche punti di vista filosoficoantropologici, neurofisiologici, che
vengono utilizzati in modo teoricoconoscitivo.
Leonardi, Paolo
On Quine: New Essays
Cambridge UP, maggio 1995
UK £ 40
In questa raccolta, un gruppo di accreditati filosofi offre una valutazione critica della grande portata degli
scritti di Quine. All’interno degli argomenti investigati, si trovano l’interpretazione, l’epistemologia, l’ontologia, la modalità e la verità matematica.
Lindemann, G. - Wobbe, Th.
(a cura di)
Denkachsen, Zur theoretischen
und institutionellen Rede
vom Geschlecht
Suhrkamp, aprile-maggio 1995
pp. 320, DM 22,80
L’erosione delle teorie totalizzanti ha
coinvolto anche la ricerca delle donne. Questo porta ad una ricerca di
certezze definitive, da una parte; ma,
dall’altra, apre anche il campo e dà,
alle nuove teorie, la possibilità di
emergere.
Losurdo, Domenico
Die Gemeinschaft, der Tod,
das Abendland. Heidegger
und die Kriegsideologie
tr. dall’italiano
J.B. Metzler, marzo 1995
pp. 366, DM 58
Losurdo riscontra questa dimensione
politica nel pensiero di Heidegger,
che lo porta a vedere sotto una prospettiva nuova, non semplicisticamente politica, il lavoro e la vita di
Heidegger.
Lowe, Jonathan
Locke on Human Understanding
Routledge, maggio 1995
pp. 224, UK £ 6.99
Questo libro guida attraverso un’analisi dell’opera più importante di
Locke, il Saggio sull’intelletto umano, che risulta essere un’opera fondamentale per molti settori della filosofia e soprattutto per l’epistemologia,
la metafisica, la filosofia della mente
e della lingua.
Lucas, J.R.
Responsibility
Clarendon Press, aprile 1995
pp. 306, UK £ 12.99
La responsabilità è un concetto-chiave del nostro modo di pensare morale, sociale e politico, che però non
viene sempre capito correttamente.
L’autore di questo studio discute ampiamente ed in maniera accessibile a
tutti della responsabilità in diverse
aree della vita umana, dai rapporti
personali e sessuali alla politica.
volume intitolato A Theory of Literary
Production . Continuando il progetto
della teoria di Althusser, Macherey si
occupa di presentare un’esegesi molto
coerente di testi classici della letteratura e della filosofia francesi, dal XVIII secolo fino agli anni ‘70.
Lucrezio
La nature des choses:
De rerum natura
tr. e a cura di Chantal Labre
Arléa, maggio 1995
pp. 333, F 45
Quest’opera, uno dei grandi libri dell’umanità, inaugura, al di là di ogni
ambizione strettamente scientifica,
una morale del materialismo, una
morale del vivente e della sua fragilità, una morale del sentimento.
Machiavelli, Nicolò
Le prince - Il principe
a cura di Gérard Luciani
Gallimard, marzo 1995
pp. 338, F 50
In questo saggio filosofico-politico,
pubblicato nel 1532, Machiavelli studia le diverse tipologie di Stato, i
diversi modi attraverso i quali sono
state costituitie ed i diversi modi di
conservarle. In questa prospettiva,
vengono esaminati le qualità ed i difetti del principe. Il volume si rivolge
ad un vasto pubblico.
Lühe, Astrid von der
David Humes ästhetische Kritik
Felix Meiner, aprile-maggio 1995
DM 86
Lyons, Williams
Modern Philosophy of Mind
J M Dent, marzo 1995
pp. 336, UK £ 5.99
Con questo libro, dal formato di
pagina che consente di avere dei margini ampi per le note, l’editore presenta, nell’introduzione al volume, la
più recente scuola di filosofia della
mente ed include anche una bibliografia annotata, una selezione della
critica ed una cronologia delle vite e
del periodo in cui vissero gli autori.
MacIntyre, Alasdair
Geschichte der Ethik im Überblick.
Vom Zeitalter Homers
bis zum 20. jahrhundert
Beltz, aprile-maggio 1995
DM 32
Magnard, Pierre (a cura di)
La dignité de l’homme:
actes du colloque tenu à
la Sorbonne -Paris IV
en novembre 1992
Champion, aprile 1995
F 298
Durante il Rinascimento comparve un
ideale di individualità libera, con una
netta valorizzazione della personalità:
attraverso la sua virtù, la sua forza di
carattere l’individuo diventa padrone
di se stesso. Non è certo per caso che
Pico de La Mirandola scrive un trattato sulla dignità dell’uomo, in cui si
insiste sulla libertà dell’uomo nel culto dovuto a Dio. I contributi al convegno sono di specialisti del settore.
Lyotard, Jean Francois
Anima minima.
Sul bello e il sublime
Pratiche, aprile 1995
Quattro saggi in omaggio a Kant. Ci
si interroga sui problemi del gusto e
del senso comune, sulle differenze
fra bello e sublime, fino a ritrovare il
sublime all’origine di ogni grande
produzione artistica e del suo godimento, come sentimento o sensazione elementare, inconsapevole, anima
minima, appunto.
Mailloux, Steven
Rhetoric, Sophistry, Pragmatism
Cambridge UP, maggio 1995
UK £ 11.95
Questo testo esplora in diversi modi
in cui la retorica, il sofismo ed il
pragmatismo si sovrappongono, per
quanto riguarda le loro implicazioni
teoretiche e politiche. Il volume dimostra anche come essi contribuiscano alla formazione di una nuova concezione delle scienze umane all’interno dell’accademia e ad un dibattito
più esteso sulla politica culturale.
Lyotard, Jean-François
L’enthousiasme: la critique
kantienne de l’histoire
LGF, marzo 1995
pp. 111, F 26
L’analisi kantiana dell’entusiasmo,
suscitata dalla rivoluzione francese,
che importanza dà alla storia e che
significato assume per noi, a due secoli di distanza? Il saggio è destinato
agli insegnanti ed agli studenti di filosofia ed agli storici.
Lytton, Rosina Bulwer
Shells from the Sands of Time
Thoemmes Press, maggio 1995
pp. 272, UK £ 14.75
Rosina Bulwer Lytton, dopo essere
stata vilipesa e considerata come la
moglie folle di Edward Bulwer Lytton, attaccò suo marito, utilizzando la
penna, generalmente all’interno dei
suoi romanzi sensazionalistici. Questa è una raccolta dei suoi saggi di
letteratura e filosofia.
Maine de Biran
De l’aperception immédiate:
mémoire de Berlin 1807
a cura di François Azouvi
Vrin, aprile 1995
pp. 328, F 198
Questa nuova edizione dell’opera in
cui Maine de Biran discute la questione del sapere se ci sia una percezione
immediata interna ed in cosa consista; essa ci confronta con un’opera
della maturità che dimostra molta
maestria. Operando una sintesi dei
suoi lavori precedenti, riassumendoli
in forma concisa, Biran procede ad
un’analisi rigorosa dei fatti primitivi
del senso interno.
Macherey, Pierre
The Object of Literature
Cambridge UP, marzo 1995
s.p., UK £ 11.95
Questo è il primo lavoro di Macherey
relativo alla letteratura, dopo il suo
82
Malberg, Arne
Theories of Mimesis
Cambridge UP, marzo 1995
pp. 230, £ 11
Si tratta di un resoconto sul linguaggio ed il tempo, un tracciato dei movimenti della mimesi dalla filosofia
platonica della similarietà alle idee
moderne della diversità. Vengono
discusse la teoria e la storia della
mimesi attraverso analisi narratologiche di testi di Platone, Cervantes,
Rousseau e Kierkegaard.
Malcolm, Budd
Values of Art: Pictures,
Poetry and Music
Allen Lane, aprile 1995
pp. 224, UK £ 20.00
Il libro è un tentativo di spiegare la
questione centrale dell’estetica: perché l’arte è valida? Il filosofo e studioso di estetica, autore di questo
libro, accompagna il lettore attraverso le teorie più importanti dell’arte,
esaminandole e suggerendo una sua
teoria, che passa attraverso le arti
visive, la letteratura e la musica.
Mall, Ram Adhar
Philosophie im Vergleich
der Kulturen. Interkulturelle
Philosophie - eine neue
Orientierung
Wiss. Buchges., aprile-maggio 1995
pp. 200, DM 39,80
A lato delle definizioni concettuali e
contenutistiche dell’interculturalità si
trova anche la pratica della filosofia
nelle culture, e deve essere considerata. In questo senso, vengono brevemente presentati gli aspetti più importanti della filosofia cinese, indiana, europea, africana e latino-americana.
Maréchal, Joseph
Il punto di partenza
della metafisica
Vita e pensiero, aprile 1995
L. 72.000
Lezioni sullo sviluppo storico e teoretico del problema della conoscenza.
Marquet, Jean-François
Singularité et événement
J. Millon, aprile 1995
pp. 240, F 150
Fare uscire la storia dalla filosofia per la quale potrebbe essere come una
giustapposizione ricapitolatrice - questo è il compito di questo saggio.
Innanzi tutto è possibile ripercorrere
le tappe della filosofia dalle sue origini greche fino ad oggi. È poi possibile
riflettere su un termine filosofico, non
importa a partire da quale percorso.
Si tratta di un volume di ambito universitario.
Masayuki, Ninomiya
La pensée de Kobayashi Hideo:
un intellectuel japonais
au tournant de l’histoire
Droz, marzo 1995
pp. 364, F 180
Si tratta di una monografia su di un
intellettuale giapponese di tutto rilievo, vissuto tra il 1920 ed il 1983.
L’autore è uno specialista del settore.
NOVITÀ IN LIBRERIA
McClamrock, Ron
Existential Cognition.
Computational Minds in the World
The Univ. of Chicago Pr., marzo 1995
pp. 192, $ 29
Questo libro sintetizza lo stato in cui
si trovano la filosofia e la scienza
cognitiva, rispetto a come la mente
interagisce con il mondo per produrre
pensieri, idee ed azioni. L’indagine di
McClamrock ha implicazioni per la
filosofia, la scienza cognitiva, l’informatica e la psicologia.
McCulloch, Gregory
The Mind and its World
Routledge, maggio 1995
pp. 264, UK £ 12.99
Questo libro propone un’introduzione ad una serie di controversie contemporanee che caratterizzano il campo della filosofia della mente e del
linguaggio. Vengono considerati gli
ultimi dibattiti che si svolgono in
ambito filosofico e della scienza cognitiva riguardo alla tematica se il
soggetto pensante abbia bisogno di
un ambiente, in modo di essere in
grado di pensare.
McGuinness, Brian (a cura di)
Ludwig Wittgenstein:
Cambridge Letters.
Correspondence with Russell,
Keynes, Moore, Ramsey and Graffi
Blackwell Publishers, maggio 1995
pp. 200, UK £ 45.00
Si tratta di una raccolta di lettere
scritte tra Wittgenstein ed i rappresentanti della Scuola di Cambridge.
Chi scrive a Wittgenstein non fa parte
solo della sua cerchia di allievi, ma è
anche suo ispiratore e mentore, come,
per esempio, Bertrand Russell.
Meehan, Johanna (a cura di)
Habermas and Feminism
Routledge, aprile 1995
pp. 256, UK £ 12.99
I saggi contenuti in questo lavoro
analizzano diversi aspetti della teoria
di Habermas, a partire dalla sua teoria
morale, per arrivare fino agli argomenti politici dell’identità e della partecipazione. Essi illustrano anche il
significato potenziale che il lavoro di
Habermas può avere per le riflessioni
femminili sul potere, le norme e la
soggettività.
Mendelssohn, Harald von
Sören Kierkegaard.
Ein Genie in einer Kleinstadt
Klett-Cotta, marzo 1995
pp. 320, DM 58
Mensching, Günther
Thomas von Aquin
Campus, marzo 1995
pp. 150, DM 24,80
Con questo volume, l’autore vuole
proporre una nuova lettura di questo
filosofo. Egli cerca di vedere Tommaso d’Aquino nel segno del grande
Illuminismo europeo, al fine di permetterne una lettura laica.
Merleau-Ponty, Maurice
La nature: notes, cours du Collège
de France; suivi de Résumés
de cours correspondants
de Maurice Merleau-Ponty
Seuil, aprile 1995
pp. 380, F 149
Si tratta di un approccio al concetto di
natura ed alla sua storia da parte di un
filosofo, il quale eredita le sue teorie
direttamente da Husserl e Heidegger.
Il volume si rivolge agli specialisti
del settore.
Miller, David
Pluralism, Justice,
and Equality: Reading Spheres
of Justice
Oxford UP, aprile 1995
pp. 320, UK £ 13.99
I saggi di questo volume sostengono
e sviluppano le idee centrali del precedente lavoro di Michael Walzer,
Spheres of Justice.
Merolle, Vincenzo
The Correspondence
of Adam Ferguson
Pickering & Chatto, aprile 1995
UK £ 135.00
Questa edizione della corrispondenza di Adam Ferguson contiene oltre
quattrocento lettere, di cui la maggior
parte è inedita. Nella corrispondenza
sono incluse lettere tra Ferguson e
Adam Smith, tra David Hume e
Alexander Carlyle e di molte altre
figure dell’Illuminismo scozzese.
Misrahi, Robert
Construction d’un château:
traité du bonheur
Seuil, aprile 1995
pp. 155, F 29
Il castello è la dimora dell’essere?
Proprio per rispondere a questa domanda è stato scritto questo libro.
Esso si trasforma in una proliferazione barocca di una metafora o in una
costruzione onirica e architettonica
di qualcosa di immaginario. Il pubblico troverà questo libro molto interessante.
Merton, Thomas
Conjectures of a Guilty Bystander
Burns & Oates, maggio 1995
pp. 368, UK £ 10.95
In questa serie di note, opinioni, esperienze e riflessioni Thomas Merton
esamina alcuni degli argomenti morali più urgenti del suo tempo. Oltre a
queste riflessioni, Padre Merton commenta il pensiero a lui contemporaneo di autori come Camus, Gandhi e
Barth.
Molnár, Géza von
Goethes Kantstudien.
Eine Zusammenstellung
nach Eintragungen
in seinen Handexemplaren
der ‘Kritik der reinen Vernunft’
und der ‘Kritk der Urteilskraft’
Böhlaus Nachfolger Vlg., marzo 1995
pp. 358, DM 48
Moser, Paul - Trout, J.D.
(a cura di)
Contemporary Materialism:
A Reader
Routledge, marzo 1995
pp. 400, UK £ 16.99
Questo lavoro analizza il materialismo, in modo da riflettere l’impatto
cha ha avuto sul pensiero moderno
nel campo della metafisica, della filosofia della mente e della teoria dei
valori. Gli scritti qui raccolti forniscono il tracciato dei problemi contemporanei, delle posizioni e dei temi
del materialismo.
Merton, Thomas
The Way of Chuang Tzu
Burns & Oates, maggio 1995
pp. 160, UK £ 6.95
Questo libro, che è il risultato di cinque anni di lettura, di studio e di
meditazione, descrive il pensiero di
Chuang Tzu, il più spirituale dei filosofi cinesi ed il portavoce del taoismo. Il libro è illustrato con disegni
tratti dal Libro della pittura Tao.
Meyerson, Emile
De l’esplication dans
les sciences, 1927
Fayard, marzo 1995
pp. 784, F 390
In quanto filosofo, Meyerson si contrappone al convenzionalismo ed al
positivismo, perché sostiene che essi
operano una razionalizzazione del reale. In quest’opera, egli testa la sua
teoria della scienza attraverso dei confronti storici e filosofici. Egli mostra
anche che le teorie sbagliate, rovesciate, sono interessanti quanto quelle “vere”. Questo volume incontrerà
il favore del pubblico.
Muglioni, Jacques
Auguste Comte: un philosophe
pour notre temps
Kimé, aprile 1995
pp. 192, F 135
L’opera di Comte coniuga la riflessione filosofica, cioè lo spirito d’insieme e l’immensa storia i cui sviluppi rappresentano l’umanità indivisibile. Come si può uscire da questa
grande crisi storica che si eternizza
sotto i nostri occhi, senza che si possa
intravedere, nel mondo presente e
presso gli spiriti migliori, qualche
soluzione di pensiero o rappresentazione positiva dell’avvenire? Si tratta
di un volume di ambito universitario.
Miller Jr, Fred D.
Nature, Justice, and Rights
in Aristotle’s ‘Politics’
Clarendon Press, aprile 1995
pp. 384, UK £ 40
Questo studio del testo di Aristotele
si oppone all’idea che il concetto dei
diritti sia alieno al pensiero di Aristotele, portando a prova dell’opinione
di Miller la descrizione di come la
teoria della giustizia di Aristotele sia
in realtà una pretesa di diritti individuali, che sono sia politici che basati
sulla natura.
Müller, G.
Das kritische Geschäft
der Vernunft. Symposium
zur Ehre von Gerhard Funke
Bouvier, aprile-maggio 1995
pp. 112, DM 49
Si tratta dei quattro interventi presentati durante il simposio in onore di
Gerhard Funke, dedicato alla questione dell’uso critico della ragione
nella teoria e nella prassi.
83
Munster, Arno
La différence comme
non-indifference: éthique
et altérité chez Emmanuel Lévinas
Kimé, marzo 1995
pp. 160, F 120
Il volume contiene una conversazione
con E. Lévinas, il quale - mettendo al
centro del suo pensiero l’epifania del
viso come esteriorità che danneggia e
lacera il sensibile - oltrepassa i limiti
della filosofia classica: egli fonda un
pensiero dell’etica e del significato
primario che troverà un’espressione
originale nella sua filosofia della trascendenza etica presso altri autori.
Nasr, Seyyed Hossein
Islamic intellectual tradition
a cura di Mehdi Aminrazavi
Curzon Press, maggio 1995
pp. 360, UK £ 35
Questo volume riunisce numerosi saggi del metafisico iraniano ed ontologista Seyyed Hossein Nasr, riguardanti la filosofia islamica e gli intricati rapporti tra la cultura persiana e
le sue scuole filosofiche.
Natoli, Salvatore
I nuovi pagani
Il Saggiatore, aprile 1995
pp. 144, L. 22.000
Una riflessione intorno alla possibilità, per l’uomo contemporaneo, di abitare diversamente il nostro pianeta.
Neuser, Wolfgang
Natur und Begriff.
Zur Theoriekonstruktion
und Begriffsgeschichte
von Newton bis Hegel
J.B. Metzler, marzo 1995
pp. 225, DM 58
Sullo sfondo di una teoria della storia
dei concetti, vengono studiate diverse concezioni di conoscenza della
natura che sono riscontrabili nella
fisica e nella filosofia post-newtoniane.
Nietzsche, Friederich
Werke. Kritische Gesamtausgabe
tomo 2, vol. IV:
Vorlesungsaufzeichnungen
a cura di F. Bormann
de Gruyter, marzo 1995
pp. 637, DM 270
Questa parte dell’edizione completa
in quattro volumi ed otto tomi delle
opere di Nietzsche contiene dei testi
che erano fin qui rimasti inediti, tra i
quali la traduzione del libro I e di
alcune parti del libro II della Retorica
di Aristotele, così come l’introduzione all’epigrafica latina.
Nietzsche, Friederich
The Complete Works
of Friedrich Nietzsche:
Unfashionable Observations
Vol. 2
a cura di Richard T. Gray
Stanford UP (CUP), maggio 1995
pp. 280, UK £ 25.
Viene qui presentata la traduzione
inglese delle Unzeitgemäße Betrachtungen (Unfashionable Observations) di Nietzsche. Il tema che collega questi quattro saggi è l’atteggiamento di Nietzsche rispetto ai movi-
NOVITÀ IN LIBRERIA
menti principali e popolari della cultura europea, e soprattutto tedesca, a
lui contemporanea.
O’Connor, T. (a cura di)
Agents, Causes and Events.
Essays on Indeterminism
and Free Will
Oxford UP, aprile-maggio 1995
pp. 288, £ 15
I saggi di questo volume raccolgono
le più importanti discussioni riguardanti le prospettive di arrivare ad un
resoconto indeterministico soddisfacente della libertà d’azione.
Oehler, Klaus
Sachen und Zeichen.
Zur Philosophie des Pragmatismus
Klostermann, aprile-maggio 1995
pp. 270, DM 68
Gli argomenti trattati nei saggi qui
riuniti coprono il periodo tra il 1968
ed il 1994, e sono stati scritti in relazione alle lezioni ed ai seminari dell’autore, legati alla filosofia del
pragmatismo e soprattutto intorno alla
figura di Peirce.
Osterman, Bernt
Value and Requirements:
An Enquiry Concerning
the Origin of Value
Avebury, aprile 1995
pp. 202, UK £ 35
Questa monografia analizza le origini del valore. Vengono stabiliti i suoi
fondamenti concettuali e si fa riferimento alle idee di von Wright, Mackie
e Lewis. Viene analizzata l’applicazione alla vita e al mondo del giudizio
sul valore e viene discusso il modo di
argomentare di questi autori.
Papadopoulo, Alexandre
Introduction à la philosophie
russe: des origines à nos jours
Seuil, marzo 1995
pp. 300, F 180
Il panorama di una filosofia nazionale che esprime i caratteri propri ai
russi, il loro atteggiamento davanti
alla vita ed alla morte, la giustizia e
l’ingiustizia, la morale e la religione:
da Lomonossov a Herzen, da Khomiakov e Gogol a Tolstoï, da Soloiev
e Dostoïevsky a Berdiaev, da Bakunin a Plekhanov e Lenin, da Florensky a Soljenitsyne. Si tratta di un libro
indirizzato al grande pubblico.
Pappas, Nickolas
Plato and ‘The Republic’
Routledge, aprile 1995
pp. 208, UK £ 7.99
Questo testo guida il lettore attraverso La repubblica di Platone, la sua
opera più importante. Con questo
volume, vengono offerti il contesto,
l’analisi, il testo; ma viene anche affermata l’importanza di Platone per il
pensiero occidentale.
Patocka, Jan
Papiers phénoménologiques
a cura di Erika Abrams
J. Millon, maggio 1995
pp. 304, F 190
Questa raccolta di scritti, degli anni
1965-1976, propone due assi principali: quello del movimento dell’esi-
stenza e quello del movimento dell’apparizione, in un confronto critico
con il pensiero di Husserl, Heidegger
e Fink. Da un asse all’altro, si trovano
le premesse dell’elaborazione della
fenomenologia “asoggettiva”. Il volume è di ambito universitario.
Critica della ragion pura di Kant. In
quest’opera, consacrata ai problemi
di fondamenti della filosofia, ci si
interroga sul senso dell’eclissi di questa facoltà in Reinhold e Fichte, ma
anche in Habermas. Si tratta di un
libro di ambito universitario.
Peckhaus, Volker
Hermann Ulrici (1806-1884).
Der Hallesche Philosoph
und die englische Algebra der Logik
Hallescher Vlg., aprile-maggio 1995
pp. 184, DM 24,80
Il volume contiene una scelta di testi
di Ulrici sulla logica ed una bibliografia dei suoi scritti.
Pieper, Josef
Werke in acht Bänden
vol. III: Schriften
zum Philosophiebegriff
Felix Meiner, aprile-maggio 1995
pp. 336, DM 76
Il primo volume dell’edizione delle
opere di Pieper contiene, insieme a
scritti già pubblicati, anche delle conferenze inedite, il discorso in occasione dell’abilitazione a Münster, la
conferenza introduttiva (la preparazione filosofica) e quella sulla filosofia non cristiana del periodo in cui si
trovava come professore ospite negli
Stati Uniti.
Peetz, Siegbert
Die Freiheit im Wissen.
Eine Untersuchung zu Schellings
Konzept der Rationalität
Klostermann, aprile-maggio 1995
pp. 360, DM 98
La tesi di queste analisi è che lo specifico del concetto della razionalità di
Schelling è da vedere nella libertà che
costituisce la possibilità di stabilire
un comportamento alterabile, che
deve essere applicato, al fine di permettere la costituzione del sapere e
delle modalità della conoscenza.
Pietschmann, Herbert
Das Ende
des naturwissenschaftlichen
Zeitalters
Weitbrecht, marzo 1995
pp. 368, DM 39
Si tratta di un viaggio molto particolare nel pensiero delle scienze naturali. È un’opera fondamentale per la
storia della scienza moderna.
Perloff, Majorie
Postmodern Genres
Univ. Oklahoma Press, aprile 1995
pp. 288, UK £ 14.50
Questo testo mette in risalto il valore
e la portata della cultura al di là delle
discipline tradizionali della vita “professionale” e mette alla prova i limiti
delle arti letterarie, musicali, grafiche, plastiche e di performance..Nel
libro si sostiene che il post-modernismo trasforma l’interpretazione minando sottilmente le affermazioni
generiche.
Pinto, Louis
Les neveux de Zarathoustra:
la réception de Nietzsche en France
Seuil, aprile 1995
pp. 205, F 130
Nietzsche, tradotto molto presto, è
stato, per la Francia, un punto di riferimento essenziale ed è poi stato ancora più considerato negli anni ’60.
Per capire come Nietzsche sia diventato filosofo, bisogna ricostruire la
genealogia delle diverse interpretazioni che possono essere comprese
attraverso la storia sociale degli interpreti. Si tratta di un libro indirizzato a tutti i lettori, senza distinzione di sorta.
Perone, Ugo
Nonostante il soggetto
Rosenberg & Sellier, aprile 1995
pp. 192, L. 28.000
Piana, Giovanni
Mondrian e la musica
Guerini, aprile 1995
pp.120, L. 16.000
Le relazioni estetico-filosofiche che
legano lo stile pittorico di Piet Mondrian alle tendenze delle avanguardie
musicali che gli furono contemporanee.
Platone
The Statesman
tr. e a cura di Julia Annas
Cambridge UP, marzo 1995
pp. 200, UK £ 9.95
Questa traduzione, con bibliografia,
note ed introduzione, de Il Politico di
Platone, la sua opera politica così
poco considerata, è fondamentale per
comprendere lo sviluppo del suo pensiero politico. Per certi aspetti, quest’opera continua i temi de La repubblica , in particolar modo l’importanza della conoscenza e del sapere come
requisiti per dirigire gli altri.
Picavet, Emmanuel
Approches du concret:
une introduction à l’épistémologie
Ellipses-Marketing, aprile 1995
pp. 158, F 95
Si tratta di un’introduzione ad alcuni
dei maggiori temi della teoria della
conoscenza e della filosofia della
scienza.È un libro indirizzato al grande pubblico.
Platone
Concordantae in Platonis
opera omnia
pars I: Euthyphiro
curavit Mauro Siviero
Olms, aprile-maggio 1995
pp. 212, DM 68
Piché, Claude
Le jugement critique en appel:
Kant et ses épigones
Vrin, aprile 1995
pp. 248, F 198
Contrariamente alle apparenze, la facoltà di giudizio è al centro della
84
Plotino
Ennead III.6
a cura di D.B. Fleet
Clarendon Pr., aprile-maggio 1995
pp. 544, £ 40
Quest’edizione in inglese dell’opera
di Plotino, con un’introduzione ed il
commento, è l’unica versione di questo lavoro presentata da uno specialista del settore. Tutto ciò che nel commento si trova in greco, è tradotto e
l’opera è presentata sotto forma di
testo a fronte.
Porte, Michèle (a cura di)
Passion des formes: dynamique
qualitative sémiophysique
et intelligibilité, à René Thome
vol. II
ENS Fontenay-Saint-Cloud
aprile 1995
pp. 821, F 220
Il volume traccia lo sviluppo della
filosofia e della storia delle matematiche qualitative: dall’attualità
di Aristotele alla nuova geometrizzazione della fisica quantitativa.
Relaziona anche sulla storia e la
filosofia delle scoperte e sulle vie
della ricerca in tutti i campi della
conoscenza. Il libro è indirizzato
agli specialisti del settore.
Praetorius, Ina
Skizzen zur feministischen Ethik
M. Grünewald, marzo 1995
pp. 168, DM 29,80
Pzrywara, Erich
Analogia entis metafisica
Vita e Pensiero, aprile 1995
L. 87.000
La struttura originaria e il ritmo cosmico.
Rai, Milan
Chomsky’s Politics
Verso, maggio 1995
pp. 160, UK £ 12.95
Si tratta di uno studio degli scritti
politici di Noam Chomsky. Il libro è
un’introduzione alle idee fondamentali che sono alla base della critica dei
mass media e dell’ordine nella nostra
epoca da parte di questo intellettuale.
Vengono inclusi un sommario della
sua visione del futuro e della sua
personale visione del socialismo libertario.
Rath, Ingo W.
Wenn Pan gewährt...
Platons Philosophie
als mythologische Grenzerfahrung
Passagen-Vlg., marzo 1995
pp. 208, ÖS 320
Requate, Angela
Die Logik der Moralität
in Hegels Philosophie des Rechts
Junghans, aprile-maggio 1995
pp. 126, DM 28
NOVITÀ IN LIBRERIA
Resnik, Salomon
Sul fantastico
Vo. 2: Impatti estetici
Bollati Boringhieri, maggio 1995
pp. 240, L. 38.000
L’esperienza estetica non prescinde
mai, per sua natura, dalla sensibilità
dell’osservatore e dalla sua disponibilità a lasciarsi prendere dall’oggetto in cui l’attività creativa dell’artista
si è esplicata.
Reynolds, Dee
Symbolist Aesthetics
and Early Abstract Art:
Sites of Imaginary Space
Cambridge UP, aprile 1995
pp. 220, UK £ 40.00
Si tratta di un’analisi del ruolo dell’immaginazione sia nella letteratura
che nella critica dell’arte. Questo testo esamina i lavori di Rimbaud,
Mallarmé, Kandinsky e Mondrian,
ridefinisce i rapporti tra il simbolismo e l’arte astratta ed indica delle
prospettive metodologiche per uno
studio comparato della poesia e della
pittura.
Richir, Marc
La naissance des dieux
Hachette, maggio 1995
pp. 191, F 75
Da dove vengono gli dei e la loro
genealogia? Il caso degli dei greci,
nel percorso che va dalle leggende
della fondazione delle città fino alla
tragedia, permette di cogliere un lavoro di mitologizzazione che mira a
giustificare la legittimità della regalità. Ma questo legame è così complesso che il lavoro della giustificazione
fallisce ogni giorno, finché verrà rimesso in discussione il pensiero filosofico, insieme alla poesia tragica.
Rist, J.M.
Plotino. La via della realtà
Melangolo, maggio 1995
pp. 300, L. 28.000
Monografia di Plotino. Traccia un
profilo della sua filosofia e approfondisce alcuni modi tematici ancora inesplorati: i suoi rapporti con Platone;
la conoscenza dell’uno; la bellezza, il
bello e il bene, il libero arbitrio; la
felicità.
Robinson, Michael D.
Eternity and Freedom:
A Critical Analysis
of Divine Timelessness as
a Solution to
the Foreknowledge/free will Debate
Univ. Press America, aprile 1995
pp. 266, UK £ 37.95
L’autore sostiene che esiste un modello del tempo divino che permette a
Dio di avere la conoscenza del futuro
senza che questo metta in pericolo il
libero arbitrio. Il libro sostiene che la
conoscenza senza limiti temporali di
Dio può essere interessata dagli avvenimenti delle creature, visto che questo è un pre-requisito per la vera libertà umana e per l’interazione della
personalità divina con la creatura.
Rodi, Fr. (a cura di)
Dilthey -Jahrbuch für Philosophie
und Geschichte
der Geisteswissenschaften
vol. IX/1994-95
Vandenhoeck & Ruprecht
aprile-maggio 1995
pp. 390, DM 98
Roehr, Sabine
A Primer on German Enlightenment:
With a Translation
of Karl Leonhard Reinhold’s
’The Fundamental Concepts
and Principles of Ethics’
Univ. Missouri Press, maggio 1995
pp. 304, UK £ 36.95
Questo lavoro è in grado di fornire il
contesto del lavoro di Reinhold e permette quindi di apprezzarne la portata. Il volume analizza gli elementi
morali, religiosi, politici e filosofici
dell’Illuminismo tedesco, così come
la storia del loro sviluppo ed illustra
come il concetto di illuminismo di
Kant non fu il solo ad influenzarne la
crescita.
Rossi, Paolo
Naufragi senza spettatore.
Storia dell’idea di progresso
Mulino, maggio 1995
pp. 130, L. 15.000
La tensione essenziale tra la speranza
di novità straordinarie e l’angoscia di
imminenti catastrofi è presente fin
dall’origine della modernità. Alle giovani generazioni l’autore augura che,
senza credere nel mito del progresso
unilaterale, esse possano sempre nutrire ragionevoli speranze per il proprio futuro.
Sadler, Ted
Nietzsche: Truth and Redemption.
Critique of the Postmodernist
Nietzsche
Athlone Press, maggio 1995
pp. 200, UK £ 42
Il volume tende a controbattere alle
interpretazioni dei commentatori postmoderni che, ricostruendo il rapporto
di Nietzsche con Schopenhauer e
Heidegger, sostengono che Nietzsche
non era né un relativista né un pluralista e che egli apprezzava la verità a
livello esistenziale.
Rowe, Ch.J. (a cura di)
Reading the ‘Statesman’.
Proceedings of the 3rd
Symposium Platonicum
Academia-Vlg., marzo 1995
pp. 420, DM 98
Il volume presenta gli interventi tenuti nel corso del terzo Symposium Platonicum.
Sainsbury, R.M.
Paradoxes
Cambridge UP, maggio 1995
UK £ 10.95
Questa nuova edizione aggiornata di
questo testo, prende in considerazione anche dei nuovi lavori sui paradossi. Vengono quindi forniti un’introduzione ad una serie di paradossi ed
alle loro possibili soluzioni, insieme
a delle domande che sollecitino il
lettore ad occuparsi di questi argomenti e a dei riferimenti bibliografici
alla letteratura sull’argomento.
Royle, Nicholas
After Derrida
Manchester UP, aprile 1995
pp. 28, UK £ 12.99
Questo studio su Derrida mira a spiegare che cosa Derrida a da dire su di
una serie di argomenti, compresi i
molluschi, la sorpresa, il sentire le
voci, il pericolo assoluto, la telepatia,
il riso, gli autoritratti ed i fantasmi. Il
libro presenta anche una serie di interpretazioni diverse, che precedono
e seguono Derrida.
Roetz, Heiner
Konfuzius
C.H. Beck, marzo 1995
pp. 133, DM 19,80
L’autore ricostruisce, sulla base di
traduzioni proprie, la struttura fondamentale dell’etica del confucianesimo, con un risultato: nonostante l’accento sulla tradizione e la società, la
sua etica si fonda sul pensiero del
“sé” e dell’autonomia - con un’analogia con il pensiero occidentale.
Russell, Bertrand
La conoscenza del mondo esterno
Tea, maggio 1995
pp. 234, L. 14.000
La raccolta delle conferenze tenute
da Russell nel 1914 a Boston sulla
natura, i limiti e le possibilità del
metodo logico analitico in filosofia.
Rorty, Richard
L’espoir au lieu du savoir:
introduction au pragmatisme
Albin Michel, aprile 1995
pp. 153, F 89
Si tratta di un’introduzione alla corrente filosofica dominante negli Stati
Uniti, il pragmatismo. Secondo la filosofia pragmatica, la filosofia dovrebbe essere sgombrata dal discorso
ontologico, in favore di una teoria
dell’azione che sarebbe il fondamento teorico della democrazia. Si tratta
del primo e del secondo ciclo introduttivi.
Rutherford, Donald
Leibniz and the Rational Order
of Nature
Cambridge UP, maggio 1995
UK £ 35
Il testo cerca di dimostrare l’unità
sistematica del pensiero di Leibniz,
in cui convivono coerentemente la
teodicea, l’etica, la metafisica e la
filosofia naturale. L’idea fondamentale che sottosta al suo sistema è quella della natura concepita come un
ordine stabilito da Dio in modo da
massimizzare le opportunità per
l’esercizio della ragione.
Rosen, Zvi
Max Horkheimer
C.H. Beck, marzo 1995
pp. 170, DM 24
Rossi, Jean-Gérard
Le problème ontologique
dans la philosophie analytique
Kimé, maggio 1995
pp. 288, F 175
Il problema della legittimità della questione tra il soggetto ed il predicato
serve qui da filo conduttore per una
rilettura della filosofia analitica, mettendo in rilievo il problema del dualismo ontologico dei particolari e degli
universali, permettendo anche di liberare gli schemi concettuali rivali.
Nel periodo tra le due guerre, emerge
un nuovo schema concettuale: la nozione dell’avvenimento. Si tratta di
un volume di ambito universitario.
Rutherford, P.B.
The Art of Plato
Duckworth, aprile 1995
pp. 256, UK £ 40
Questo studio è un contributo all’interpretazione letteraria dei dialoghi
di Platone, sulla base della loro struttura formale, della loro caratterizzazione, della lingua e del linguaggio
figurato. Vengono prese in considerazione laGorgia, il Simposio, la Repubblica ed il Fedro e viene esaminata la personalità di Socrate.
85
Santiago-Otero, Horacio (a cura di)
Dialogo filosofico-religioso
entre cristianismo, jiudaismo
e islamismo durante la edad media
en la peninsula iberica
Brépols, aprile 1995
pp. 507, F 325
Il volume raccoglie gli interventi, in
lingua spagnola, francese ed inglese,
tenuti durante il convegno internazionale svoltosi a Sao Lorenzo de El
Escorial dal 23 al 26 giugno 1991 ed
organizzato dalla Societé internationale pour l’étude de la philosophie
médioévale. Le interferenze tra le culture cristiana, ebrea e musulmana nell’elaborazione della cultura spagnola
sono al centro delle relazioni degli
specialisti del settore.
Santoni, Ronald E.
Bad Faith, Good Faith
and Authenticity
in Sartre’s Early Philosophy
Temple Univ., maggio 1995
pp. 256, UK £ 19.95
Nel corso dell’elaborazione della sua
filosofia, Sartre sembra essersi occupato della “malafede”, la “naturale”
predisposizione umana a sfuggire alla
nostra libertà e di mentire a noi stessi.
Questo studio presenta un’analisi, una
ricostruzione ed una differenziazione
di questo argomento nelle prime opere di Sartre.
Santos, Boachentura de Sousa
Towards a New Common Sense:
Law, Science and Politics
in the Paradigmatic Transition
Routledge, aprile 1995
pp. 550, UK £ 17.99
Considerando i tre concetti-chiave
(legge, potere e scienza), Santos dimostra che ci sono stati degli spostamenti epistemologici nel campo del
pensiero critico sociale ed enfatizza
l’impotenza della modernità nel trasformare decisamente la vita quotidiana e la pratica di vita.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Schaub, Diana J.
Erotic Liberalism:
The Feminized Philosophy
of Montesquieu’s ‘Persian Letters’
Rowman & Littlefield, aprile 1995
pp. 224, UK £ 19.95
Il volume si occupa delle Lettere persiane di Montesquieu, sostenendo
che questo racconto è una critica filosofica al dispotismo, in tutte le sue
forme: domestico, politico e religioso. Il libro rivela che Montesquieu
pensava che l’Illuminismo fosse fallito, come filosofia, perché non aveva
riconosciuto che l’essere umano è un
essere erotico.
Schelling, F.W.J.
Über das Wesen
der menschlichen Freiheit
a cura di O. Höffe - A. Pieper
Akademie Vlg., aprile-maggio
1995
pp. 250, DM 29,80
Tredici autori analizzano lo scritto
di Schelling del 1809, ne sondano
le fonti e le affermazioni sistematiche. Il bene, il male, il problema
della teodicea e della autodeterminazione umana sono al centro delle
riflessioni di questi specialisti.
Schipper, Lewis
Introduction to Philosophy
and Applied Psychology.
Conversational Topics
in Philosophy and Psychology:
a Book of Workshops
Univ. Press America, aprile 1995
pp. 394, UK £ 34.95
Questo testo rende accessibili agli
studenti le linee fondamentali del
pensiero dei grandi pensatori. Allo
scopo di sottolineare la natura interattiva del processo di insegnamento e di apprendimento, il testo
è strutturato in workshop, che si
occupano di focalizzare l’attenzione principalmente sulla filosofia,
con alcuni riferimenti ad argomenti correlati di psicologia.
Schmid, Peter A.
Ethik als Hermeneutik.
Systematische Untersuchungen
zu Hermann Cohens Rechtsund Tugendlehre
Königshausen & Neumann
aprile-maggio 1995
pp. 300, DM 68
Il primo confronto di Cohen con
l’etica kantiana lo porta a considerare l’etica come una “ermeneutica
del mondo umano”. La filosofia
della religione di Cohen si dimostra essere un’estensione, in senso
stretto, degli scopi sociali e politici, ma con altri mezzi.
Schmidtz, David
Rational Choice and Mor
al Agency
Princeton UP, marzo 1995
pp. 296, $ 40
È razionale essere morali? Come
possono coniugarsi la razionalità e
la moralità, nel loro essere umane?
Queste domande sono al centro dell’esplorazione dei legami tra razionalità e moralità condotta da
Schmidtz. Quest’indagine introdu-
ce ai campi della meta-etica e della
teoria della scelta razionale, visto
che l’autore sviluppa delle concezioni legate a cosa significhi essere morali e razionali.
Schwarz, O. - Pechmann, A. V.
Der global verstrickte Mensch.
Neues Handeln
aus anthropozentrischer Sicht
Wiss. Buchges., aprile-maggio
1995
pp. 203, DM 39,80
Gli autori si propongono di fornire
una via di uscita alla discussione
sugli aspetti ecologici ed etici riguardanti la crisi della sopravvivenza nell’epoca moderna che ormai, pur essendo diffusa a livello
mondiale, è ad un punto morto.
Essi collocano al primo posto l’esistenza dell’antropocentrismo e, attraverso le sbalorditive scoperte
degli ultimi cinquantanni (come
l’auto-organizzazione), arrivano a
risultati sorprendenti.
Schnell, Martin W.
Phänomenologie des Politischen
W. Fink, marzo 1995
pp. 345, DM 68
Husserl e Gurwitsch concepiscono
la fenomenologia come una scienza universale che mostra come ogni
cosa data prenda forma per noi.
Questo approccio diventa problematico nel caso dei fenomeni politici che Husserl e Gurwitsch riescono ad esprimere in modo insufficiente, per quanto riguarda il significato che è loro proprio, in
quanto questi autori considerano
l’esperienza come una sfera priva
di conflitti e risanatrice.
Searle, John
The Construction of Social Reality
Allen Lane, maggio 1995
pp. 256, UK £ 20
Questo trattato intende considerare come la realtà sociale si costruisca attraverso le impressioni dei
sensi: come, ad esempio, venga
“costruita” una banconota da cinque sterline a livello sensoriale,
con tutto ciò che questo implica in
termini di valore sociale, a partire
dal pezzo di carta stampato che
viene visto e toccato.
Scholtz, Gunter
Ethik und Hermeneutik.
Schleiermachers Grundlegung
der Geisteswissenschaften
Suhrkamp, aprile-maggio 1995
pp. 328, DM 24,80
Schröer, Christian
Praktische Vernunft
bei Thomas von Aquin
Kohlhammer, marzo 1995
pp. 240, DM 59,80
Si tratta della tesi di abilitazione
all’insegnamento universitario tenuta da Schröer presso l’università
di Monaco di Baviera.
Selby, Keith - Cowdery, Ron
How to Study Television
Macmillan Press, aprile 1995
pp. 256, UK £ 8.99
Con questo libro, gli studenti dovrebbero essere in grado di analizzare e discutere ogni programma o
genere televisivo. Il volume contiene capitoli dedicati alle maggior
parte di emissioni televisive ed aiuta anche a ricercare, preparare e
presentare un progetto per gli studi
sulla comunicazione ed i media, i
Media and Communication Studies.
Schubert, Andreas
Platon: ‘Der Staat’.
Ein einführender Kommentar
UTB, aprile-maggio 1995
pp. 170, DM 19,80
Il commento getta luce in modo
esemplare sugli aspetti centrali di
questo capolavoro di Platone.
Schulte, Günter
Die grausame Wahrheit der Bibel.
Eine Anthropologie
unserer Vernunft
und unserer Moral
Campus Vlg., marzo 1995
pp. 200, DM 38
L’autore intraprende un’attenta lettura dei primi libri dell’Alto Testamento e rivela che essi sono una
pacificazione ed una liberazione
dall’istinto all’omicidio, sia da parte
umana che divina, attraverso azioni
violente ed offerte sacrificali.
Seneca
La vie heureuse,
La Brièvité de la vie
tr. dal latino di F. Rosso
Arléa, maggio 1995
pp. 192, F 35
Si tratta di un saggio sull’incostanza dei principii, l’inutilità dell’affarismo, la vanità dello spettacolo
politico. Questo saggio è seguito
dalla corrispondenza tra Cartesio e
la principessa Elisabeth su la Brevità della vita.
Seneca, Lucius Annaeus
Naturales Quaestiones Naturwissenschaftliche
Untersuchungen
tr. e a cura di M.F.A. Brok
Wiss. Buchg., marzo 1995
pp. 550, DM 128
Dopo molto tempo, viene qui presentata per la prima volta una traduzione in tedesco delle Naturales
Quaestiones . Lo scopo che si prefigge Seneca con quest’opera è di
arrivare alla perfezione dei costumi, attraverso la conoscenza della
natura e dell’intelligenza divina.
Schumann, Maurice
Bergson ou Le retour de Dieu
Flammarion, aprile 1995
pp. 140, F 90
Il libro descrive le tre tappe decisive del pensiero bergsoniano: la
durata, l’intuizione e l’imprevedibilità, a partire dalle quali oggi è
possibile pensare alla riconciliazione tra razionalità e fede, scienza
e libertà. Questo saggio è anche
una testimonianza personale dell’autore e dei suoi incontri con i
grandi scienziati di questo secolo.
Il volume incontrerà l’interesse del
pubblico.
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Shiva, Vandana
Monocultura della mente.
Punti di vista sulle biodiversità
e sulla biotecnologia
Bollati Boringhieri, maggio 1995
pp. 188, L. 22.000
Riflessione sulla protezione delle
biodiversità, sulle implicazioni
della biotecnologia e sulle conseguenze per l’agricoltura della preminenza a livello mondiale del sapere scientifico occidentale.
Sichère, Bernard
Histoires du mal
Grasset, maggio 1995
pp. 282, F 125
Una storia della storia del male,
così come viene illustrata da alcuni
filosofi e da alcuni romanzieri. Una
lunga conclusione spiega perché
una storia esaustiva del male è
estremamente pericolosa per il suo
autore. Viene anche spiegato perché tutti i filosofi che hanno voluto
pensare al male sono diventati romanzieri. Il volume interesserà al
grande pubblico.
Simplicio
Simplicius on Aristotle
’On the Soul’
parti I e II, 1-4
Duckworth, maggio 1995
pp. 224, UK £ 35
In questo volume, il commentatore
Simplicio si occupa della prima
metà del trattato di Aristotele Dell’Anima, analizzando anche ciò che
sopravvive in Aristotele dei suoi
predecessori e dei suoi stessi rivali, per quanto riguarda la natura
dell’anima. Questo testo è la fonte
delle successive teorie neoplatoniche del pensiero e della percezione
sensoriale.
Société d’Etudes Kantiennes
de Langue Française
Congrès (1; 1993; Dijon).
L’année 1793, Kant:
sur la politique et la religion:
actes du 1er congrès
de la Société d’Etudes Kantiennes
de Langue Française
a cura di Jean Ferrari
Vrin, marzo 1995
pp. 272, F 120
Testimone lontano ma attento dei
grandi avvenimenti dell’anno 1793,
Kant pubblicava questo stesso anno
due opere importanti: Teoria e pratica e religione nei limiti della
semplice ragione. Attraverso la ricostruzione dell’orizzonte storico
e dei dibattiti filosofici del tempo,
questo volume presenta una serie
di studi suggestivi su questi due
testi di Kant. Si tratta di un libro di
ambito universitario.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Soothill, William E.
Hodous, Lewis
A Dictionary of Chinese
Buddhist Terms
Curzon Press, maggio 1995
pp. 550, UK £ 95.00
Il buddismo ha dominato il pensiero della Cina ed i suoi pensatori per
circa mille anni si sono occupati
della filosofia buddista. Questo
dizionario serve da fonte di interpretazione della cultura cinese, ma
anche da importante punto di riferimento per uno studio comparato
degli originali sanscriti e pali.
Souville, Odile
L’homme immaginatif:
de la philosphie esthétique
de Bachelard
Lettres modernes, maggio 1995
pp. 147, F 140
Si tratta di una lettura, adatta ai
nostri tempi, della teoria di Bachelard sull’immaginazione, che privilegia le immagini delle forme e
delle materie, rispetto alle immagini delle forme visive.
Speer, A. (a cura di)
Die Bibliotheca Amploniana.
Ihre Bedeutung im Spannungsfeld
von Aristotelismus,
Nominalismus und Humanismus
de Gruyter, marzo 1995
pp. 517, DM 310
Si tratta degli interventi tenuti nel
corso del simposio di ricerca sulla
Biblioteca Amploniana del marzo
1993.
si del mondo e di interpretarlo, è
impotente di fronte a questa perdita e può agire solo se si rivolge ad
un nuovo metodo di conoscenza:
l’arte.
che, cercando di rispondere ai bisogni spirituali dell’umanità, ignora i bisogni materiali di milioni di
persone che vivono nella miseria.
Teichman, Jenny
Evans, Katherine (a cura di)
Philosophy: A Beginner’s Guide
Blackwell, marzo 1995
pp. 301, UK £ 10.99
Questo testo fornisce un’introduzione alla filosofia, così come viene studiata nei paesi di lingua inglese. Il lettore viene guidato attraverso le questioni centrali ed importanti delle filosofia, della natura dell’esistenza, del sapere, della
libertà, di Dio, della morale, della
politica, della scienza, dei meccanismi e degli scopi della ragione e
dell’esistenza umane.
Stein, Gertrude
The Geographical History
of America
Performing Arts Jnls, maggio 1995
pp. 248, UK £ 12.50
Questo volume, pubbblicato per la
prima volta nel 1936, riunisce scritti
di prosa, dialoghi, meditazioni filosofiche e brevi commedie di una
delle figure più importanti di questo secolo, una scrittrice influente
e caratterizzata dall’interesse per
la sperimentalità linguistica. G.
Stein presenta le sue opinioni sulla
mente umana: che cos’è, come lavora e come si differenzia dalla
natura umana.
Teichman, Jenny (a cura di)
An Introduction to Modern
European Philosophy
Macmillan Press, aprile 1995
pp. 288, UK £ 14.99
Questo volume contiene dei saggi
su Hegel, Kierkegaard, Marx,
Nietzsche, Sartre, Simone de Beauvoir, Habermas, Foucault, tra gli
altri, e sugli “avvenimenti” del ’68.
Nel libro è possibile trovare anche
delle descrizioni delle diverse tradizioni della filosofia europea del
XIX e del XX secolo, con una rassegna di diversi punti di vista.
Steiner, George
La nostalgia dell’infinito
Anabasi, aprile 1995
pp. 96, L. 10.000
Viene analizzato il problema socio-culturale generato dal declino
dei grandi sistemi religiosi istituzionali, il “vuoto” che essi decadendo avrebbero lasciato dietro di
sé.
Stekeler-Weithofer, Pirmin
Sinnkriterien. Die logischen
Grundlagen kritischer Philosophie
von Platon bis Wittgenstein
Schöningh, aprile-maggio 1995
pp. 330, DM 98
Spinoza, Baruch
’Traité de la réforme
de l’ntendement’ ; suivi de
’Les principes de la philosophie’
de Descartes’
et de ‘Pensées méthaphysiques’
a cura di Roland Caillois
Gallimard, marzo 1995
pp. 257, F 32
Queste opere, considerate come
propedeutiche all’Etica, contengono tutti gli elementi spinoziani definitivi e permettono anche di misurare la differenza tra i due tipi di
pensieri: quello di Cartesio parte
dalla coscienza individuale senza
arrivare a ritrovare l’essere di cui
dubita, mentre quello di Spinoza
parte dal Tutto, di cui la coscienza
individuale è un modo.
Sullivan, Shirley D.
Psychological and Ethical Ideas.
What Early Greeks Say
Brill, marzo 1995
pp. 380, FOL 115
Thiel, Christian
Philosophie und Mathematik.
Eine Einführung
in ihre Wechselwirkungen
und in die Philosophie
der Mathematik
Wiss. Buchges., aprile-maggio
1995
pp. 364, DM 49,80
Sun-Joo Shin
The Logical Status of Diagrams
Cambridge UP, aprile 1995
UK £ 24.95
I diagrammi sono stati considerati
troppo a lungo come utensili euristici e quindi come elementi non
validi per il riscontro matematico.
Questo libro si contrappone a questo pregiudizio contro la visualizzazione nella storia della logica e
delle matematiche e fornisce le basi
per lavorare in maniera visuale sul
ragionamento naturale.
Thompson, Mel
Teach Yourself Philosophy
Teach Yourself, maggio 1995
pp. 192, UK £ 5.99
Si tratta di un’introduzione, accessibile a tutti, alle questioni centrali
della filosofia occidentale e a come
i maggiori filosofi le abbiano esplorate. Che cosa possiamo sapere con
certezza del mondo e di noi stessi?
Possiamo provare l’esistenza di
Dio? Come sono legati il corpo e la
mente? Queste sono alcune delle
domande su cui ci si interroga.
Stachowiak, H. (a cura di)
Pragmatische Tendenzen
in der Wissenschaftstheorie
Felix Meiner, aprile-maggio 1995
DM 298
Süssbauer, Alfons
Intentionalität, Sachverhalt,
Noema.
Eine Studie zu Edmund Husserl
Alber, aprile-maggio 1995
pp. 520, DM 118
Tilliette, Xavier
Recherche sur l’intuition
intellectuelle de Kant à Hegel
Vrin, aprile 1995
pp. 296, F 230
Come mai l’intuizione intellettiva,
bandita da Kant, è stata reintegrata
così prontamente dai suoi migliori
allievi? Perché l’intuizione riabilitata è divenuta così impermeabile
agli avvenimenti ed agli stati psichici, fino a non perdere il suo
carattere intellettivo? Il volume
propone un’inchiesta nell’ambito
dell’Idealismo tedesco e del primo
Romanticismo. Si tratta di un saggio di ambito universitario.
Steffens, Andreas
Poetik der Welt.
Von der Erfindung
des Unwahrscheinlichen.
Möglichkeiten der Philosophie
am Ende des Jahrhunderts
EVA, aprile-maggio 1995
pp. 152, DM 32
Per via delle distruzioni causate
dall’essere umano, sono andati persi sia l’uomo che i mondi. La filosofia, come metodo per appropriar-
Tallis, Raymond
Newton’s Sleep: The two Cultures
and the two Kingdoms
Macmillan Press, aprile 1995
pp. 304, UK £ 14.99
Il volume esamina i ruoli complementari della scienza e dell’arte
nella vita umana. Si occupa anche
dell’accusa mossa alla scienza a
causa del suo vuoto a livello spirituale e di quella riguardante l’arte
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Tobias, Michael
A Vision of Nature:
Traces of the Original World
Kent State UP, aprile 1995
pp. 312, UK £ 35.50
Per molte centinaia di anni, gli esseri umani hanno dovuto misurarsi
con l’idea della natura. In questo
testo, l’autore cerca di rivelare l’impatto estetico, psicologico e filosofico della terra sull’umanità. Il
libro è quindi una panoramica dell’estetica ecologica.
Treays, Rebecca
The Brain
Usborne Publishing, maggio 1995
pp. 32, UK £ 3.99
Questo libro solleva il velo su ciò
che succede all’interno della mente umana. Utilizzando dei cartoni e
dei diagrammi, rivela la complessità dei meccanismi biologici e
psicologici del cervello. Vengono
esplorati la memoria, le illusioni
inconsce ed ottiche, i sogni e lo
strano moldo delle percezioni extrasensoriali.
Tsai Chih Chung
Sunzi Speaks: The Art of War
Thorsons, maggio 1995
pp. 160, UK £ 5.99
Viene qui presentato, sotto forma
di fumetto, il classico cinese, il
lavoro fondamentale di strategia
militare, dal titolo L’arte della
guerra, che ha influenzato i leader
militari, i politici e chi si occupa di
affari ad alto livello.
Valdés, E.G. - Zimmerling, R.
(a cura di)
Facetten der Wahrheit. Festschrift
für Meniholf Wewel
Alber, marzo 1995
pp. 512, DM 98
Van Eck, Caroline
The Question of Style
in Philosophy and the Arts
Cambridge UP, maggio 1995
UK £ 32.50
I secoli XVIII e XIX testimoniano
di un cambio nella percezione delle arti e della filosofia. Nelle arti
questo periodo di transizione si può
collocare intorno al 1880. Questi
saggi, appartenenti ad una serie in
undici tomi, esaminano le circostanze, le caratteristiche e le conseguenze di questo passaggio storico.
Vining, Joseph
From Newton’s Sleep
Princeton UP, marzo 1995
pp. 368, $ 30
In un’opera sorprendentemente
originale, non indirizzata solamente ai procuratori legali ma anche a
chi è interessato al dilemma dei
nostri giorni: la perdita di significato, Vining ci invita a riconsiderare la legge come una forma di
pensiero unica, inseparabilmente
legata ad ogni cosa del mondo che
crea l’identità umana.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Visker, Rudi
Michel Foucault:
Genealogy as critique
Verso, marzo 1995
pp. 288, £ 19.95
Si tratta di una ricostruzione del
corpus delle opere di Foucault,
dalla sua prima opera sulla follia
alla Storia della sessualità. Visker
offre un ritratto di Foucault come
di un autore che non rientra né
nella categoria relativista né in
quella positivista, ma come l’inventore di una nuova analisi dei
meccanismi moderni del controllo
e dell’esclusione.
Voltaire
Dizionario filosofico
Einaudi, maggio 1995
pp.430, L.17.000
Waser, Ruedi
Autonomie des Selbstbewußtseins.
Eine Untersuchung
zum Verhältnis
von Bruno Bauer und Karl Marx
1835-1843
Francke, marzo 1995
pp. 238, DM 68
Weigel, S. (a cura di)
Falschenpost und Postkart.
Korrespondenzen zwischen
’Kritischer Theorie’
und ‘Poststrukturalismus’
Böhlau, aprile-maggio 1995
pp. 240, DM 35
In questo libro si cerca di rendere
visibili alcuni percorsi di contatto: al
di là della istituzione paralizzante dei
lager, vengono analizzate le forme di
corrispondenza tra i primi rappresentanti della “teoria critica” (in particolare Benjamin ed Adorno) e della
“teoria francese”.
Welsch, Wolfgang
Vernunft. Die zeitgenössische
Vernunftkritik und das Konzept
der transversalen Vernunft
Suhrkamp, aprile-maggio 1995
pp. 960, DM 148
Questo tipo di ragione dei “passaggi”
ci dà delle competenze specifiche per
il mondo contemporaneo. Ci mette in
condizione di passare da configurazioni di significato a dimensioni di
realtà diverse tra loro e di prendere in
considerazione approcci differenti.
Essa ci permette quindi di orientarci
all’interno di basi non stabili, costituite come un insieme disordinato.
Whitebook, Joel
Perversion and Utopia:
A Study of Psychoanalysis
and Critical Theory
The MIT Press, maggio 1995
pp. 368, UK £ 19.95
In questo contraddittorio con le critiche post-moderne della psicoanalisi, Joel Whitebook si schiera per una
reintegrazione dell’investigazione
dell’inconscio priva di compromessi di Freud, che non escluda gli apporti politici e filosofici della teoria
critica.
Whitehead, Alfred North
Procés et réalité,
Essai de cosmologie
tr. dall’inglese di D.Charles
M. Elie - M. Fauchs et al.
Gallimard, aprile 1995
pp. 592, F 210
Questo importante testo del filosofo
e matematico inglese, apparso nel
1929, coniuga una riflessione epistemologica ed un’immaginazione
metafisica audace, dialogando con
Platone, Cartesio, Hume e Kant.
L’opera offre una visione totale, organica e cosmologica della realtà,
colta nel suo divenire, dall’atomo
più insignificante a Dio. Il volume si
rivolge agli specialisti del settore.
Wolff, Michael
Die Vollständigkeit
der Kantischen Urteilskraft.
Mit einem Essay über
Freges Begriffsschrift
Klostermann, marzo 1995
pp. 320, DM 98
Wolff-Metternich
Brigitta-Sophie von
Die Überwindung
des mathematischen
Erkenntnisideals.
Kants Grenzbestimmung
von Mathematik und Philosophie
de Gruyter, aprile-maggio 1995
pp. 214, DM 134
Si tratta della tesi di laurea tenuta
dalla von Wolff-Metternich presso
l’università di Bonn nel 1993, nella
quale si sostiene che i limiti fissati da
Kant per la matematica e la filosofia
possono essere letti come una critica
ad ogni filosofia con pretese di definitività.
Wille, R. - Zickwolff
Begriffliche Wissensverarbeitung.
Grundfragen und Aufgaben
Wissenschaftsvlg., marzo 1995
pp. 324, DM 48
Si tratta degli interventi tenuti in
occasione della Begriffliche Wissensverarbeitung del febbraio 1995.
Sono stati allora discussi i seguenti
argomenti: l’orientamento filosofico, le questioni sull’apporto del sapere, di concetti e sistemi concettuali come i compiti centrali dell’analisi, della comunicazione, della richiesta di informazioni, dell’acquisizione del sapere.
Zabarella, Jacopo
Über die Methoden
(‘De methodis’)/Über
den Rückgang (‘De regressu)
a cura di R. Schicker
W. Fink, marzo 1995
pp. 344, DM 68
Quale impronta ha l’evidenza scientifica? È un metodo della logica e se
sì, perché? Jacopo Zabarella (15331589), uno dei principali pensatori
del Rinascimento, risponde a queste
domande, che hanno portato alla discussione sui principi della logica in
quell’epoca.
Zeidler, Kurt Walter
Kritische Dialektik
und Transzendentalontologie.
Der Ausgang des Neukantianismus
und die post-neukantianische
Systematik R. Hönigwalds,
W. Cramers, B. Bauchs, H. Wagners,
R. Reiningers und E. Heintels
Bouvier, marzo 1995
pp. 372, DM 98
Wotling, Patrick
Nietzsche et le problème
de la civilisation
PUF, aprile 1995
pp. 384, F 198
La civilizzazione come problema e
questo problema come centro organizzatore di un insieme di questioni
in Nietzsche: dal pensiero dell’apparenza a quello dell’eterno ritorno.
Si tratta di un asse di riflessioni che
permettono, partendo dall’ipotesi
della volontà di potenza, di chiarificare il doppio orientamento dell’analisi nietzschiana: geologica e creatrice, medica ed artistica. Si tratta di
un saggio di ambito universitario.
Wipfler, Pius A.
Religion des Geistes.
Die Religion ohne Institution
R.G. Fischer, marzo 1995
pp. 188, DM 24,80
Wittgenstein, Ludwig
Lezioni 1930-1932
Adelphi, maggio 1995
pp. 170, L. 28.000
Le lezioni che il filosofo tenne a
Cambridge dal 1930, periodo in cui
riprese la sua ricerca filosofica e la
profonda revione critica della prospettiva del Tractatus.
Wright, Georg Henrik von
Erkenntnis als Lebensform.
Zeitgenössische Wanderung
eines philosophischen Logikers
Böhlau, marzo, 1995
pp. 324, ÖS 476
Georg Henrik von Wright, il successore di Wittgenstein a Cambridge ed
una figura carismatica della filosofia scandinava, presenta, con questo
libro, la sua autobiografia intellettuale.
Wohlman, Avital
Maïmonide et Thomas d’Aquin:
un dialogue impossible
Ed. universitaires de Fribourg
aprile 1995
pp. 196, F 190
Questo studio tenta di cogliere i tratti che assume la differenza iniziale,
la rottura, tra due modi diversi di
concepire il rapporto dell’uomo con
Dio: l’accettazione della Legge e dei
comandamenti, presso Maimonide e
l’apertura alla grazia redentrice, in
Tommaso d’Aquino. Si tratta di un
saggio di ambito universitario.
Yun Lee Too
The Rhetoric of Identity
in Isocrates: Text, Power, Pedagogy
Cambridge UP, aprile 1995
pp. 288, UK £ 35.00
Si tratta di un’interpretazione delle
opere di Isocrate, che dimostra come
la retorica sia un linguaggio che l’autore utilizza per crearsi un’identità
politica nell’Atene del IV secolo. Il
libro mostra anche come il discorso
di Isocrate si rivolga alle ansietà che
circondano la parola scritta in una
cultura che considera la parola pronunciata oralmente.
Wokler, Robert
Rousseau and Liberty
Manchester UP, maggio 1995
pp. 320, UK £ 14.99
Questi saggi analizzano il posto assunto dalla libertà nella filosofia morale e politica di Rousseau, ed anche
le origini, il significato, la forza e la
debolezza, la portata delle argomentazioni da lui avanzate.
(a cura di A.M.; trad. it. di L.T.)
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