Ancora una volta la famiglia diocesana è posta di fronte al “dramma

A RCIDIOCESI DI F ERRARA - C OMACCHIO
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ISTITUTO “BETLEM PER CHI SOFFRE”
Omelia di S . E . M ons. P AOLO R ABITTI
In occasione delle esequie del Can. Don Giorgio Vitali
Letture della Messa: Sir 3,17-24; Gv 17 (versetti scelti)
9 Novembre 2009
Ancora una volta la famiglia diocesana è posta di fronte al “dramma” della morte di un
fratello sacerdote, ma è incoraggiata a volgere lo sguardo su Dio, sorgente della nostra
speranza. La morte, infatti, è un passaggio che proietta al vero traguardo cui è protesa la vita
umana: ovvero la perfetta unione con Dio.
È tanta e tale la fiducia che noi battezzati riponiamo nella misericordia di Dio, da indurci ad
auspicare e sperare che nessuno dei battezzati possa perdersi per l’eternità. Talora capita che
tale fiducia sia resa ancor più solida e fondata: l’esempio di vita di Don Giorgio rientra
esattamente in questa logica. E ne ho avuto conferma personalmente due giorni or sono,
proprio nel momento decisivo del trapasso a Dio di questo nostro Fratello e Confratello.
Dopo aver trascorso un periodo di degenza siglato dalla preghiera, dalla gentilezza, dalla
riservatezza e – ultimamente – da intensa sofferenza, Don Giorgio ha reso lo spirito a Dio,
confermando i presenti nella certezza che Dio adempie la sua promessa. Don Giorgio era
ansimante, il respiro si era fatto flebile e oltremodo faticoso; ha aperto gli occhi in un
barlume di coscienza, ha ricevuto l’assoluzione, si è disteso, ha esalto l’ultimo respiro e il
suo viso si è ricomposto in una pace e in una serenità piuttosto eloquenti.
Ho ripensato, tra me e me, a quelle intense parole del libro del Siracide: “Alla morte di un
uomo si rivelano le sue opere. Un uomo si conosce veramente alla fine” (Sir 11,27b.28b). E
l’epilogo dell’esistenza terrena di Don Vitali è stato caratterizzato da intensa preghiera, da
discreta e gentile sensibilità, da comunione ecclesiale solida e concreta e da un progressivo
configurarsi all’immagine di Cristo Crocifisso, la cui effigie troneggiava sulle spoglie pareti
della stanza di Don Vitali.
Le letture che sono state proposte in questa liturgia esequiale evidenziano, per un verso, il
valore della semplicità evangelica e – per altro verso – mettono in luce la preziosità della
comunione ecclesiale destinata a trasfigurarsi in comunione eterna.
Innanzitutto comincio con l’esplicitare il primo dei due aspetti richiamati poc’anzi: ovvero
la semplicità di vita. Ritengo che tutte le Comunità Parrocchiali che hanno fruito della
presenza e del ministero di Don Vitali, possano attestare che il tratto più significativo e
caratterizzante la figura e la personalità di Don Vitali, fosse costituito dalla semplicità di
vita e dall’umiltà.
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Reputava la sua persona culturalmente poco attrezzata e spiritualmente semplice. Negli
ultimi anni, inoltre, a causa della salute malferma, non sempre riusciva a partecipare alle
iniziative diocesane e alla vita del presbiterio. Nondimeno, nei dialoghi intercorsi, ho avuto
modo di verificare in Don Giorgio una spiritualità profonda, un interesse e un amore
notevoli per la vita della Diocesi, che si manifestavano nella lettura di ciò che veniva
prodotto e nell’aggiornamento con cui assecondava il percorso della Diocesi stessa.
Una semplicità ammirevole e un’umiltà meritoria, quella di don Giorgio. Non a caso Gesù
ha affermato: “imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11,29). Chi è mite ed
umile di cuore è anche semplice. Pertanto: non complicato nei rapporti, non tortuoso nelle
sue visioni, non pretenzioso nelle posizioni, non preconcetto nelle discussioni.
Una semplicità, quella di Don Giorgio, frutto e conseguenza del suo immedesimarsi con
Dio: tanto più vero quanto più riservato, tanto più profondo quanto più semplificato.
Credo che Don Giorgio possa impartirci una grande lezione di vita: la nostra esistenza è
come l’erba del prato; è come il fiore che sboccia al mattino e avvizzisce alla sera. Le nostre
Omelie spesso rimarcano questo concetto. Eppure talora capita di rimandare ad un
“domani”, che si auspica il più lontano possibile, il tempo della conversione e della
purificazione. Così come si rimanda continuamente quell’itinerario di progressiva
semplificazione di vita, frutto dell’incontro e della autentica comunione con Dio.
Invece, la gradualità di procedere nel proprio itinerario di fede è fondamentale.
Applicarsi con metodo e diligenza alla sequela di Cristo, è sinonimo di una vita impegnata e
protesa al raggiungimento della piena comunione con Dio.
Finché ci è dato tempo, è necessario applicarsi in questo senso, tenendo fisso lo sguardo su
Dio nostro Padre, nostro Giudice, nostro Amore, nostro Tutto.
E coloro che ci osservano diventano il banco di prova del nostro progresso nel suddetto
itinerario di conversione-semplificazione di vita, perché si trasformano in un appello e in un
invito, da parte di Dio, ad esercitare tutte le virtù che scaturiscono dalla semplicità
evangelica e dall’umiltà, attinta direttamente al cuore di Cristo. In tal senso, leggendo il
breve e icastico testamento di Don Giorgio si è colpiti dalla riconoscenza che Don Giorgio
ha nutrito nei confronti di Chi gli è stato benefattore: il Seminario e il Betlem, ai quali Don
Giorgio – benché povero e sobrio nell’uso dei beni materiali – ha voluto destinare i pochi
risparmi in suo possesso.
Non potrò dimenticare una scena molto significativa alla quale io stesso ho avuto modo di
assistere. Mentre Don Giorgio rendeva la sua anima a Dio, Coloro che lo attorniavano e che
più da vicino lo avevano assistito nei mesi di convalescenza presso il Betlem, sono stati
avvolti da un sentimento di profonda e sincera commozione. Tale commozione e tale affetto
sono l’attestato più autorevole di stima nei confronti di un uomo semplice, buono,
silenzioso, definito – dagli stessi ospiti del Betlem – “un uomo di Dio, un grande uomo”.
Un uomo di Dio, un uomo che ha trasfigurato il suo intenso rapporto con Dio e il suo
desiderio di una più intensa consacrazione di tipo monastico (che le esigenze diocesane non
gli hanno permesso di assecondare), in una disponibile e riservata delicatezza nei confronti
dei fratelli. La devozione si è fatta bontà e la bontà è stata maturata dalla sofferenza. Don
Giorgio ha vissuto con molto riserbo le prime fasi della sua malattia. Poi, quando essa ha
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determinato un suo trasferimento in una struttura più idonea, ha irradiato col suo sorriso –
raramente interrotto da qualche smorfia di dolore – il senso cristiano nell’affrontare e vivere
il dolore.
Passiamo ora al brano evangelico. Abbiamo ascoltato l’intensa preghiera di Gesù – alla
vigilia della sua Morte e Risurrezione – “Padre ti prego che coloro che mi hai dato siano
una sola cosa con me, come io sono una sola cosa con Te” (Cfr. Gv 17,17-21). Gesù,
pertanto, ha fatto della comunione, la carta di identità della Chiesa. Se amiamo, noi siamo di
Cristo. Se noi non corrispondiamo all’amore che ci è stato donato, non realizziamo la
preghiera di Cristo.
Ma la preghiera di Cristo proseguiva: “Voglio che anch’essi siano con me” (Gv 17,24). In
tal senso, si può affermare che la comunione di vita sia anch’essa un “transito”. Laddove c’è
comunione si respira un clima di armonia, di stima reciproca, di premura vicendevole: tutto
questo non è che un pallido riflesso, un’anteprima soggetta alla caducità della persona
umana, rispetto a ciò che Gesù ha chiesto per noi durante la grande preghiera al Padre. “Noi
saremo sempre con il Signore” (1Ts 4,17), afferma S. Paolo: ecco l’approdo definitivo di
una vita all’insegna della mitezza e della comunione. La definitività del Regno di Dio è
contraddistinta e tradotta da quest’unico termine: la comunione.
Don Giorgio è riuscito a trasformare la sua vita in amore e comunione. A tale riuscita hanno
senz’altro contribuito coloro che hanno stimato, seguito, soccorso, accudito, accompagnato
Don Giorgio – specie in questi ultimi quattro mesi conclusivi della sua avventura terrena – e
ai quali giunga il sentito ringraziamento di questa Chiesa diocesana e del Vescovo.
La comunione è l’unico mezzo che abbiamo per rendere questa terra un anticipo del Regno
di Dio. Viviamo in comunione, coltiviamo la comunione, sprigioniamo e diffondiamo la
comunione. Dov’è carità e amore ivi è comunione. Dov’è comunione ivi è sconfitta la morte
e Iddio regna. Dov’è carità, amore e comunione, lì c’è Dio!
Sia lodato Gesù Cristo
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