Salome - Il giornale dei Grandi Eventi

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Anno XII - Numero 1 - 16 gennaio 2007
L'intervista
Parlano il regista Albertazzi
il soprano Patanè
ed il direttore Neuhold
A Pag 2
La danza dei Sette Veli
L’erotico e scandaloso
cuore dell’opera
A Pag 8 a 9
Metamorfosi del
personaggio
Salome nella tradizione
letteraria
A Pag
10
I tagli di Strauss
Salome più casta e
testo essenziale
A pag. 14
SALOME
di Richard Strauss
Salome
2
Il
La Stagione 2007
al Teatro Costanzi
Parlano il regista Albertazzi, il soprano Patanè ed il baritono Golesorkhi
L
«Nel nostro “prologo” la fusione
tra opera letteraria e musicale»
a Salome di Richard
Strauss apre la stagione 2007 del Teatro dell’Opera di Roma,
con un’edizione molto
attesa per la regia di
Giorgio Albertazzi, alla
sua quarta esperienza lirica. «Lavoro veramente
piacevole, la mia più importante regia lirica. Sono almeno quindici anni che desideravo fare la Salome,
per la sua carica erotica dirompente, per l’avanguardismo che in essa si respira:
il Manifesto dell’Espressionismo del 1905, Schönberg,
Kandinskij e Klee, tutto
questo è alle porte». Parla
da innamorato Albertazzi, che per l’occasione ha
scritto un prologo in prosa che introduce l’opera
di Strauss. «Il prologo di
circa venti minuti, in italiano, riassume il testo di
Wilde introducendo lo spettatore al musikdrama e
creando una fusione, senza
soluzione di continuità, tra
l’opera letteraria e quella
musicale», spiega il Regista collaboratore Tito
Schipa Jr, curatore del
commento sonoro con
Mario Distaso. Gli attori
in scena durante il prologo sono Maruska Albertazzi (nella parte di Salome), Anita Bartolucci
(Erodiade) e Sergio Romano (Erode). Giorgio
Albertazzi interpreta la
voce fuori campo di Jochanaan. «I tre attori –
commenta Albertazzi - ci
conducono dentro il mondo
di Strauss. Penso, infatti,
che lo sbocco naturale della
tragedia di Wilde sia proprio la musica di Strauss».
«Quello del musicista continua il Regista - è uno
scenario fatto di passioni
non corrisposte, dominato
dalla luna ed al cui centro
vi è un’eroina, Salome,
creatura adorabile e allo
stesso tempo vergine fatale
e necrofila. ‘Voglio’ è il suo
verbo: Salome è eccessiva,
in preda a qualcosa di furibondo. E’ bambina e ragazzo insieme, forse un androgino: è Alfred Douglas, il
bellissimo Bosie amato da
Wilde».
L’opera al Teatro Costanzi Salome è stata rappresentata 10 volte, la
prima il 9 marzo 1908.
Nel 1924 a dirigerla fu lo
stesso autore, mentre l’edizione del 1977, con la
regia di Margherita Wallmann, fece scandalo per
il
soprano
Felicia
Weathers (Salome) che
rimaneva nuda al termine della danza dei sette
veli. L’ultima volta è stata rappresentata nella
stagione 1977/78.
In questa edizione è la
stessa Francesca Patanè
(soprano nel ruolo di Salome) ad eseguire la cele-
~ ~ La Copertina ~ ~
A.C. da Gustav Klimt - Salome o Giuditta II (1909)
Coll. priv.
Il G iornale dei G randi Eventi
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Andrea Marini
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bre “Danza dei sette veli”,
la ‘Salomes Tanz’ di
Strauss. «Il corpo di Salome seduce perchè è schivo e
sessualmente ambiguo –
sostiene Albertazzi - appassionato e cinico, pronto
al riso e alle lacrime. Una
danza che è una drammaturgia, un racconto, il racconto di una perdizione
estetizzante e di una passione necrofila». In merito
alle caratteristiche canore della protagonista,
Francesca Patenè sostiene che «Quello di Salome è
un ruolo difficile, nel monologo finale che segue la
Danza così come all’inizio
con Jochanaan. Per fortuna
la natura mi ha dotata di
una voce adatta a ruoli come questo o quello di Turandot che è una delle figure da me più spesso interpretate. Nel ruolo di Salome cerco di ottenere le sfumature d’espressione, la capacità di destreggiare con i
colori, cosa nient’affatto
semplice che richiede una
tecnica particolare».
La direzione dell’orchestra è affidata al Maestro
austriaco
Günter
Neuhold, scelto per sostituire in extremis Alain
Lombard, che ha dovuto
rinunciare all’incarico
per motivi di salute. «Il
mio primo contatto con la
Salome – afferma il Direttore - è stato vari anni fa
al Teatro Regio di Parma.
Questo nuovo allestimento
del Costanzi mi sembra
molto bello e affascinante».
Appassionate anche le
parole del Baritono Annoshan Golesorkhi (nel
ruolo di Jochanaan):
«Questa produzione è veramente bella, con un’orchestra eccellente in un’opera così difficile non solo
per il canto ma anche per
gli strumentisti, anche i
costumi, di immaginario
storico, sono molto belli. Insomma un nuovo allestimento davvero speciale».
«Abbiamo lavorato con
gioia. La musica – conclude Albertazzi – è insieme
rapimento e pitagorica razionalità, non ti lascia ed è
inafferrabile».
Si. Men.
Giornale dei Grandi Eventi
8 - 14 Marzo
WERTHER
Direttore
Interpreti
di Jules Massenet
Alain Lombard
Rolando Villazon, Beatrice Uria-Monzon,
Natale De Carolis, Yvette Bonner
Direttore
Interpreti
di Giuseppe Verdi
Gianluigi Gelmetti
Angela Gheorghiu, Vittorio Grigolo,
Renato Bruson, Giuseppe Filianoti
Direttore
Interpreti
di Gaetano Donizetti
Bruno Campanella
Carmela Remigio, Aldo Caputo,
Alberto Rinaldi, Anna Procleme
20 Aprile - 3 Maggio
16 - 22 Maggio
LA TRAVIATA
LA FILLE DU RÉGIMENT
15 - 23 Giugno
MANON LESCAUT
Direttore
Interpreti
27 Novembre - 2 Dicembre
Direttore
Interpreti
21 - 30 Dicembre
di Giacomo Puccini
Donato Renzetti
Norma Fantin, Marco Berti
MOSÈ IN EGITTO
di Gioachino Rossini
Antonino Fogliani
Michele Pertusi, Giorgio Surian,
Anna Rita Taliento, Stefano Secco
LA VEDOVA ALLEGRA
di Franz Lehàr
Daniel Oren
Fiorenza Cedolins, Vittorio Grigolo, Markus Werba
Direttore
Interpreti
La Stagione Estiva 2007
alle Terme di Caracalla
NABUCCO, TURANDOT, PAGLIACCI
~~
La Locandina ~ ~
Terme Costanzi, 16 - 21 gennaio 2007
Opera inaugurale della stagione 2007
SALOME
Musikdrama in un atto
Libretto di Hedwig Lachmann (traduzione tedesca del dramma di Oscar Wilde)
Musica di Richard
Strauss
..
Günter Neuhold
Prima rappresentazione: Dresda, Konigliches Opernhaus, 9 dicembre 1905
Maestro concertatore e Direttore
Regia
Regista collaboratore
Scene
Costumi
Movimenti coreografici
Disegno Luci
Giorgio Albertazzi
Tito Schipa Jr.
Lorenzo Fonda
Elena Mannini
Gabriella Borni
Alessandro Santini
Personaggi / Interpreti
Francesca Patanè / Morenike Fadayomi (17, 19/1)
Salome (S)
Annoshah Golesorkhi
Jochanaan (Bar)
Reiner Goldberg
Erode (T)
Graciela Araya
Erodiade (MS)
Mario Zeffiri
Narraboth (T)
Paggio di Erodiade (A)
Monica Minarelli
Primo Ebreo (T)
Aldo Orsolini
Secondo Ebreo (T)
Aldo Bottion
Terzo Ebreo (T)
Gianluca Floris
Quarto Ebreo (T)
Ulfried Haselsteiner
Carlo Di Cristoforo
Quinto Ebreo (B)
Robert Holtzer
Primo Nazareno (T)
Secondo Nazareno (B)
Christian Sist
Primo Soldato (B)
Markus Hollop
Secondo Soldato (B)
Danilo Serraiocco
Uomo della Cappadocia (B)
Fabio Tinalli / Francesco Luccioni
Una Schiava (B)
Piera Lanciani / Susanna CristoFanelli /
Arianna Morelli
Danzatrici del Corpo di Ballo
Alessandra Amato / Francesca Bertaccini /
del Teatro dell’Opera
Micaela Grasso / Daniela Lombardo
ORCHESTRA DEL TEATRO DELL'OPERA
In lingua originale con sovratitoli in italiano
L’opera sarà preceduta da un Prologo da Oscar Wilde
(traduzione e drammaturgia di Giorgio Albertazzi)
Voce off
Erodiade
Erode
Salome
Personaggi / Interpreti
Giorgio Albertazzi
Anita Bartolucci
Sergio Romano
Maruska Albertazzi
E
Il
Salome
Giornale dei Grandi Eventi
rano alcuni anni che
nei corridoi del Teatro dell’Opera di Roma si vociferava della Salome del compositore tedesco Richard Strauss come
titolo d’apertura di una
stagione. Alla vigilia si dava per certo nelle ultime
due stagioni, superata poi,
per diversi motivi, dalla
Semiramide di Rossini e dal
Don Giovanni di Mozart.
Ora finalmente a lei spetta
l’onore di aprire questa
stagione con la regia di un
“leone” del Teatro italiano,
quel Giorgio Albertazzi,
mai piegato ai compromessi, per la quarta volta
alle redini di un’opera lirica. In questa edizione la
musica di Strauss sarà preceduta da un “prologo” in
prosa, della durata di una
ventina di minuti, scritto
dallo stesso Albertazzi,
che vedrà in scena degli attori accompagnati dalla
voce narrante fuori campo
di Jochannan, interpretato
dello stesso Albertazzi.
Salome è personaggio narrato fin dai Vangeli, immortalato da numerose
opere pittoriche con il piatto d’argento sul quale le
viene offerta da Erode la testa di San Giovanni Battista
da lei freddamente chiesta.
Un personaggio riportato
in primo piano nella tradizione letteraria da Oscar
Wilde – cui si rifà il libretto
di Strauss - come simbolo
decadente di fine ‘800. E’
un fantasma della fine di
quel secolo, fine che è an-
che grande mutamento di
costumi, di gusti, conclusione di un’epoca.
A dirigere l’orchestra in
questo atto unico, non è il
maestro Alain Lombard,
che purtroppo – come già
altre volte – ha dovuto rinunciare all’ultimo momento per motivi di salute,
sostituito dal direttore austriaco Günter Neuhold. Le
scene sono del pittore-scenografo Lorenzo Fonda , il
quale alterna l’attività in
teatro con l’arte. Dopo una
3
Le Repliche
mercoledì 17 gennaio, ore 20,30
giovedì 18 gennaio, ore 20,30
venerdì 19 gennaio, ore 20,30
sabato 20 gennaio, ore 18,00
domenica 21 gennaio, ore 16,30
serie di ritratti di personalità di altissimo livello (da
Madonna a Re Hussein di
Giordania), sta attualmente
ultimando una grande pala
d’altare per la chiesa di
Santa Caterina d’Alessandria a San Pietroburgo.
Salome, simbolo decadente di un’epoca
La vicenda si svolge in una notte di luna a
Gerusalemme, nella reggia di Erode tetrarca
di Giudea.
rità delle sue affermazioni. Per distrarsi,
il Tetrarca, invaghito della figliastra, le
chiede di danzare per lui: Salome acconsente a condizione che Erode le lasci
scegliere la ricompensa.
Così, davanti alla coppia regale, Salome inizia la sua celebre danza dei Sette Veli. Al culmine dell'eccitazione per
l'erotica esibizione, Erode chiede a Salome quale sia la ricompensa. Ed ella chiede la testa di Jochanaan su un piatto d’argento. Erodiade si compiace della richiesta della figlia, mentre il Tetrarca, inorridito, supplica Salome di accettare una qualsiasi altra ricompensa e arriva ad offrirle
anche metà del suo regno purché desista dalla propria richiesta. Ma la giovane è irremovibile. Così Erode, esasperato, si vede costretto a pagare il suo debito e consegna al
carnefice l'anello della morte. Questi entra nella prigione,
riemergendo poco dopo con la testa di Jochanaan su un
vassoio d'argento.
Salome riceve il vassoio, contempla la testa sanguinante e
le si rivolge con un canto pieno di voluttà, affermando
«perché non mi guardasti?...». Poi, al colmo dell’eccitazione, stringe la testa sanguinante, baciandone la bocca. Inorridito, Erode ordina alle guardie di ucciderla. Salome soccombe schiacciata sotto gli scudi dei soldati.
La Trama
Atto Unico – Mentre Erode banchetta con i cortigiani, si
leva nella notte la voce del profeta Jochanaan, rinchiuso
prigioniero in una cisterna.
Nella reggia si aggira solitaria Salome, figlia della regina
Erodiade, che viene attirata dalla voce del profeta e, nonostante gli avvertimenti dei soldati e del capitano Narraboth,
innamorato di lei, pretende di vedere il prigioniero.
Così Jochanaan viene condotto dinanzi a Salome contro cui
scaglia violente invettive. La sua ira è rivolta contro il tetrarca Erode e la moglie Erodiade che hanno macchinato
l'assassinio di Filippo, fratello di Erode e primo marito di
Erodiade. Mentre il Profeta inveisce, Salome s'invaghisce di
lui e accecata dal desiderio non ascolta le sue parole. Narraboth, folle di gelosia, si suicida ai suoi piedi, ma Salome, incurante, continua la sua opera di seduzione. Ma invano,
perché il Profeta non si piega e ritorna nella sua prigione.
Sopraggiunge Erode, che rimane inorridito per la morte
del capitano Narraboth e per le cupe minacce di Jochanaan che si odono provenire dalla cisterna, mentre i giudei si schierano contro di lui e i nazareni difendono la ve-
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Il
Giornale dei Grandi Eventi
I
Salome
5
Annoshah Golesorkhi
Francesca Patanè e Morenike Fadayomi
Jochanaan, ascetico
profeta indifferente
al fascino di Salome
Salome, seduttrice
sensuale e vendicativa
l baritono Anooshah Golesorkhi presta la voce a Jochanaan. Il
cantante, ospite regolare dei maggiori teatri europei e statunitensi, ha debuttato al Metropolitan di New York con il ruolo di
Nabucco. Sempre al Metropolitan ha
cantato come Scarpia in Tosca, in Rigoletto, come il Conte di Westmoreland in Sly
di Wolf-Ferrari, collaborando con Placido Domingo; come Jago in Otello, diretto
dal Maestro Gherghiev, come Amonasro
in Aida ed Alfio in Cavalleria Rusticana. E'
stato protagonista presso la Staatsoper di
Vienna (Germont in Traviata), la San
Francisco Opera (come protagonista in
Arshak II), la Deutscheoper Berlin (Rigoletto, Nabucco, Cavalleria rusticana, I Pagliacci, ed Aida) e ad Amburgo (Macbeth).
Reiner Goldberg
I
Erode, sovrano insicuro
e patrigno di Salome
l tenore Reiner Goldberg interpreta il ruolo
di Erode. Nato a Crostau, ha studiato con Arno Schellenberg alla Musikhochschule di
Dresda. I suoi primi ingaggi risalgono al 1967,
presso il Teatro Popolare di Salisburgo, e al 1973,
presso l’Opera di Dresda, dove, nel 1977, diventa Kammersänger. Nel 1981 è nell’Ensemble di
solisti dell’Opera di Berlino, ed inizia la sua carriera internazionale. L’artista si è esibito nei principali ruoli del repertorio tedesco a Vienna, Monaco, Salisburgo, Bayreuth, al Metropolitan di
New York, Zurigo, Amburgo, Barcellona, Lisbona. Ha collaborato con i più grandi direttori,
quali Herbert von Karajan, Lorin Maazel, Claudio Abbado, Daniel Barenboim, Georg Solti, Giuseppe Sinopoli. Sono numerose anche le sue
partecipazioni a concerti cameristici e sinfonico-corali.
E
Graciela Araya
Erodiade, malvagia
madre di Salome
rodiade è interpretata dal mezzosoprano Graciela Araya. Nata in
Cile, l’artista ha debuttato a Santiago nel ruolo di Enrichetta ne I Puritani. Alla Staatsoper di Vienna ha interpretato Octavian nel Cavaliere della Rosa di R. Strauss, la Contessa Geschwitz in Lulu di Berg, Elisabetta nella Maria Stuarda di Donizetti, Donna
Maria D’Avalos in Gesualdo di Alfred Schnittke
(nella prima esecuzione mondiale, diretta da M.
Rostropovich), Orlofsky in Die Fledermaus di J.
Strauss. Al Teatro dell’Opera di Amsterdam ha
interpretato di Monteverdi il ruolo di Penelope
ne Il Ritorno di Ulisse in Patria e di Ottavia ne
L’Incoronazione di Poppea; è stata inoltre Cornelia
nel Giulio Cesare di Händel, diretto da Marc
Minkowski, Clairon in Capriccio di R. Strauss;
Agni in Kopernikus di Claude Vivier (in prima
esecuzione europea), Maddalena in Rigoletto. Il
suo repertorio prevede anche i ruoli di Carmen, Charlotte in Werther,
Maddalena in Rigoletto, Federica in Luisa Miller, Concepción ne L’Heure
Espagnole di Ravel, Mrs. Quickly in Falstaff, Laura ne La Gioconda, Marcellina ne Le Nozze di Figaro. la protagonista ne La Lupa di Marco Tutino, Herodias nella Salome e Annina nel Rosenkavalier.
L
a voce di Salome è quella
dei soprano Francesca Patanè (16, 18, 20, 21 gennaio)
e di Morenike Fadayomi (17 e 19
gennaio). Francesca Patanè proviene da una illustre famiglia di
musicisti italiani ed è cresciuta tra
Berlino e New York. La sua preparazione musicale è avvenuta
presso la Manhattan School of
Music. Dopo aver lavorato alcuni
anni nel campo della moda come
modella è rientrata in Italia dove,
avendo partecipato al Concorso
Voci Verdiane di Busseto, ha seguito gli stage del M° Carlo Bergonzi. La sua carriera come soprano lirico-spinto inizia a Torino
con l’opera Adriana Leucovreur che
la vede acclamata protagonista Francesca Patanè
sotto la direzione del maestro Daniel Oren. Da allora si è specializzata nel versante drammatico
d’agilità, diventando specialista nei ruoli quali Lady Macbeth e
Turandot. Tuttavia la duttilità della
sua voce le permette di spaziare in
un repertorio come Tosca, Manon
Lescaut, Il Tabarro, La Forza del destino. L’abbiamo ascoltata lo scorso
aprile al Teatro dell’Opera di Roma, come protagonista in La leggenda di Sakùntala.
Morenike Fadayomi, nata a Londra, vive tra l’Inghilterra, l’Africa e
la Svizzera. La sua attività artistica
è iniziata con la danza per proseguire con il canto. Dal 1993 al 1996
è stata solista al Teatro di Basilea,
dove ha cantato nei ruoli principali del grande repertorio lirico. Contemporaneamente è stata ospite al
Festival Bregenzer, all’Opera del
Morenike Fadayomi
Cairo, a Vienna, a San Paolo del
Brasile, a Tokio, a Bologna, a Ravenna, a Los Angeles. E’ particolarmente apprezzata per i ruoli operettistici, che ha cantato nei
principali festival del mondo.
Mario Zeffiri
Narraboth, vittima del
fascino della principessa
N
arraboth è interpretato dal tenore Mario Zeffiri. Il cantante è nato ad Atene, dove si è laureato in Giurisprudenza e
ha iniziato lo studio del canto. Grazie ad una borsa di studio della fondazione "Maria Callas" ha continuato gli studi musicali in Italia. Membro dell'Accademia del Teatro della Scala, ha
avuto come maestro Alberto Zedda. Predilige la vocalità del belcanto italiano ottocentesco e del barocco italiano e francese.
E' stato invitato nei più importanti teatri nazionali ed internazionali; in particolare, per il Teatro dell'Opera di Roma ha eseguito la
Messa di Gloria di Rossini, diretto da J. Lopez Cobos, ha debuttato
nel ruolo di Argirio nel Tancredi; recentemente, nel 2006, ha interpretato il ruolo di Evino ne La Sonnambula.
Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto: Corrado M. Falsini
Salome
6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Storia dell’opera
Censurata a Vienna, in scena
con successo a Dresda
L
a Salome di Strauss
fu composta a partire dal 1903. Pochi
mesi prima il compositore bavarese aveva avuto
modo di assistere, al
Kleines Theater di Berlino, ad una rappresentazione dell’omonima tragedia di Oscar Wilde con
la
regia
di
Max
Reinhardt e Gertrud Eysoldt nel ruolo della protagonista. Il dramma di
Wilde, originariamente
scritto in francese, venne
Richard Strauss
dato per quell’occasione
nella traduzione in lingua tedesca di Heidwig
Lachmann. Strauss rimase folgorato dal soggetto
e ne affidò immediatamente la riduzione librettistica al poeta viennese Anton Lindner, che
era già stato autore del
testo
dell’Hochzeitlich
Lied (canzone nuziale),
presente nella raccolta
straussiana dei lieder op.
37.
Anton Lindner iniziò subito a lavorare, ma la prima bozza che inviò a
Strauss non piacque affatto al compositore, il
quale lo sollevò dall’incarico. «Niente libretto di
tipo tradizionale!», affermò il compositore
«Comincerò direttamente
col testo di Wilde: “Com’è
bella questa sera la principessa Salomè”» e si mise
lui stesso a lavoro, conscio che avrebbe saputo
far meglio da solo. Il te-
sto del libretto rimase
piuttosto fedele alla traduzione dell’originale
francese, se non per
qualche taglio dettato
dalle esigenze della musica. Strauss fu impegnato nella stesura dell’abbozzo dai primi mesi del
1902 al settembre 1904,
poi fino al giugno 1905 si
dedicò all’orchestrazione. Terminata l’opera bisognava mandarla in
scena.
Naturalmente
Strauss aveva in mente
Vienna, ma la
storia fu diversa. Il compositore partì per la
città austriaca,
confidando nell’aiuto di Mahler, al tempo direttore artistico
dell’Hofoper
Theatre.
Ma
giunto in città,
iniziarono
a
manifestarsi le
prime
difficoltà. Mahler
fece notare che
il
calendario
della Hofoper
di Vienna era
tutto occupato,
per le celebrazioni dell’onomastico
dell’Imperatore Franz
Joseph (4 ottobre) e per il
150° anniversario della
nascita di Mozart (27
gennaio 1906). Su suggerimento dello stesso
Mahler, Strauss si rivolse
al direttore del Deutsches Volkstheater - secondo teatro viennese Rainer Simons, il quale
rifiutò di rappresentarela nel suo teatro per motivi di censura. L’11 ottobre Mahler comunicò al
compositore che la censura avrebbe vietato l’opera in tutta Vienna per
motivi morali e religiosi.
Al fine di aggirare la
censura Mahler suggerì,
come estremo tentativo,
di mutare il nome di
Giovanni Battista in “Bal
Hanaan”. L’escamotage
però fu presto smascherato dai giornali che sollevarono un gran polverone. Il 25 ottobre 1905, il
giornale
“Illustriertes
Wiener Extrablatt” ricordò che al tempo della
direzione artistica di
Wilhelm Jahn, predecessore di Mahler alla Hofoper, la censura aveva
vietato tre opere che offendevano la religione e
lo Stato: Herodiade (1881)
di Massent, I medici
(1893) di Leoncavallo e
Andrea Chenier (1896) di
Giordano. Era la fine di
ogni speranza per la Salome a Vienna. Il 31 ottobre arrivò formalmente
il preannunciato rifiuto
da parte del capo censore Emil Jettel von Ettenach, con la motivazione
«la rappresentazione scenica di eventi rientranti nel
dominio della patologia sessuale non si addice ai nostri teatri di corte…».
Strauss alla
prima prova
per restituire le parti, la
cui
difficoltà vocale
sembrava
loro insormontabile.
Tuttavia
l’entusiasmo mostrato da Karl
B u r r i a n Manifesto prima edizione di Salome
(Erode)
ma il ritocco fortunatache già aveva imparato
mente non fu inserito
la propria parte a memonella partitura a stampa.
ria - incoraggiò gli altri
colleghi e le prove poteCritiche solo morali
rono effettivamente iniziare. Il ruolo di Salomè
Aneddoti a parte l’opera
fu quello che creò le
ebbe un ottimo consenso
maggiori difficoltà: il sodi pubblico e le poche criprano wagneriano Marie
tiche che seguirono furoWittich, suggerita a
no esclusivamente di tipo
Strauss direttamente da
morale. Nel 1096 andò in
Da Vienna a Dresda
Cosima Wagner, aveva
scena al Comunale di
problemi ad interpretare
Breslvia con la cantante
Fortunatamente
però
la scabrosa parte di della
croata
Fanchette
Strauss aveva proposto
principessa sedicenne.
Verhunc, la prima ad esel’opera anche a Dresda,
Spesso la Wittich alla
guire personalmente la
dove non ci furono partiprove si mostrava seccaDanza dei Sette Veli. In Itacolari problemi. Salome
ta dalle richieste del regilia il debutto dell’opera fu
andò, così, in scena il 9
sta di un atteggiamento
il 23 dicembre 1906 a Todicembre 1905 al Köniai limiti della decenza.
rino, diretto dallo stesso
gliches Opernhaus, con
All’indignato
grido
Strauss, ma anticipato di
la direzione di Ernst Von
«Questo non lo faccio, sono
qualche ora da una prova
una donna per bene», seSchuch, ottenendo uno
generale pomeridiana,
guì il secco rifiuto di
successo strepitoso. Il caaperta al pubblico, alla
spogliarsi sulla
Scala di Milano, diretta
scena durante la
da Arturo Toscanini.
Danza dei Sette
In occasione della ripresa
Veli. Alla fine per
all’opera di Dresda, 25
quella scena la
anni dopo la sua compocantante fu sostisizione, Strauss apportò
tuita da una balalcuni ritocchi alla strulerina, espedienmentazione e chiarì come
te che sarà riperealizzare la Danza dei
tuto da molte alSette Veli: «una danza
tre interpreti.
orientale pura e semplice,
Un altro gustoso
più seria e moderata che si
aneddoto racconpossa, assolutamente decenta che il conte
te, eseguita quanto più posVon
sibile sullo stesso posto, quaMarie Wittich prima interprete di Salome Nikolaus
Seebach - sovrinsi sopra un tappeto di oratendente dell’opera di
st era composto da Mazioni». Una esecuzione,
rie Wittich nel ruolo di
Dresda – era preoccupato
dunque, ben lontana daSalomè, Karl Burrian in
dell’ilarità che avrebbe
gli eccessi seduttivi e sesquello di Erode e Carl
suscitato il suono framsuali a cui ci hanno abiPerron in quello di Jokamentato del contrabbastuato le lascive rapprenaan, con la regia di Wilso solo, nel passo in cui
sentazioni succedutesi
li Wirk e un orchestra di
questo strumento imita la
negli anni, poco attente
102 elementi. Nonostanlussuria di Salomè in atalle reali intenzioni delte le difficoltà sorte nelle
tesa della decapitazione
l’autore. Eccessi che però
prove, anche i cantanti
del Battista. Durante le
con il tempo si sono conottennero un buon sucprove il Conte chiese al
solidati in una prassi esecesso personale. Alcuni
compositore di coprire
cutiva, ormai attesa anche
aneddoti narrano che gli
quel suono e Strauss agdal pubblico.
giunse il corno inglese,
artisti si recarono da
Claudia Capodagli
Il
Salome
Giornale dei Grandi Eventi
A
7
Analisi Musicale
Salome, uno scandalo fortunato
lla prima berlinese di Salome l’imperatore Guglielmo II, scandalizzato dall’argomento, dichiarò
che Strauss si era molto
danneggiato componendo un’opera così amorale. Molti anni dopo,
Strauss annotò, riprendendo la frase del Kaiser: «Ma come? Grazie a
Salome mi sono fatto costruire la mia villa di Garmisch!».
Quirino Principe, attento
e acuto studioso di
Strauss, ricorda un altro
significativo aneddoto
che risale all’aprile del
1945 quando le truppe
americane occuparono
Garmisch. Un ufficiale
statunitense, il maggiore
Kramers, aveva scelto la
splendida villa del musicista come quartier generale e voleva dunque che
l’artista se ne andasse
con tutta la sua famiglia.
Il nipote diciottenne di
Strauss affrontò il militare: «Lei non sa che mio
nonno è l’autore di Salome
e del Rosenkavalier?». A
quelle parole il maggiore
Kramers si inchinò e si
ritirò. Due episodi che
dimostrano la fortuna
arrisa a Strauss grazie
proprio a Salome (ed al
Cavaliere della Rosa).
In effetti l’opera ispirata
al dramma di Oscar Wilde costituì un momento
fondamentale nella carriera di Strauss. Reduce
dal grande successo incontrato nel campo del
poema sinfonico, ma anche da due avventure
teatrali non entusiasmanti (Guntram e Feuersnot) proprio con Salome
Strauss si impose come
uno dei più geniali autori di teatro del primo
Novecento.
L’atto unico
Il primo elemento di novità è costituito dalla
scelta dell’atto unico,
sulla scia dell’esperienza
già vissuta con Feuersnot.
L’atto unico non era nella tradizione tedesca,
abituata, anzi, agli interminabili drammi wagneriani. Il modello era, caso
Casa di Strauss a Garmisch
mai, italiano con Cavalleria rusticana che pochi
anni prima (1890) aveva
entusiasmato l’Europa e
che aveva annoverato fra
i suoi più accesi estimatori anche Gustav Mahler, grande amico di
Strauss.
L’atto unico consentiva
una efficacia drammaturgica notevole, una
narrazione essenziale.
Strauss ne fece tesoro
non solo in Salome” ma
anche nella successiva
Elektra.
Il debito nei confronti di
Wagner si vede essenzialmente nella struttura
interna e nella orchestrazione. La struttura privilegia il discorso musicale
aperto, con il ricorso al
leitmotiv come elemento
costruttivo delle trame
musicali, di natura più
sinfonica che lirica. E poi
l’orchestra, ampliata ed
estremamente dinamica
sul piano del colore. Percussioni infoltite, organo
ed armonium a dare corposità, nutriti archi e fiati variati con l’inserimento dell’”Heckelphon”,
un tipo di oboe baritono
costruito nel 1904 e usato
anche in Elektra. Di natura wagneriana, ancora,
l’eccesso di cromatismi,
la verbosità armonica
con un uso sempre più
acceso della dissonanza.
Ma qui la natura delle
scelte è di segno differente. Il cromatismo non
è, come in Tristano, segno di una sensualità
calda e profondamente
umana, ma l’affermazione gridata di un erotismo sfrenato, voluttuoso, calato in atmosfere
esotiche, di sapore orientaleggiante. E l’armonia
è più aggressiva, tagliente, urtante: non è in gioco l’impossibilità di
amarsi da parte di Tristano e Isotta (le dissonanze irrisolte), è in
campo tutt’altro: il gusto
per il macabro, la necrofilia, una passione sfrenata e immorale. Nell’offrirci il quadro di un ambiente decadente e votato all’inferno, Strauss si
Richard Strauss
lasciava inevitabilmente
alle spalle il tardoromanticismo per abbracciare il
nascente
espressionismo. Si guardino le date:
Salome è del 1905, Elektra
del 1909, lo stesso anno
di Erwartung con cui
Schoenberg varò il teatro
espressionista, appunto.
Orgia di suoni
Magnifico manipolatore
della strumentazione (il
virtuosismo orchestrale
fu una delle doti peculiari di Strauss: basti
pensare alla varietà
espressiva e formale dei
suoi poemi e alla incredibile ricchezza di sfumature delle sue tavolozze timbriche) fu abile
nel giocare con le voci
abbandonandole al canto lirico, ma obbligandole anche a urla terrificanti. Si pensi all’austera vocalità di Jochanaan,
oppure alla capricciosa
voluttà di Salome o ancora alla complessa figura (vocale e psicologica) di Herodes combattuto da atteggiamenti
differenti. Strauss, insomma, costruì con Salome una partitura perfetta nei suoi contrasti interni e soprattutto un
geniale dramma teatrale
che rinuncia a qualsiasi
preludio introduttivo, si
apre nel silenzio e poi
trascina lo spettatore in
un’orgia di suoni che ha
il suo momento culminante nella strepitosa
“Danza dei sette veli”: un
saggio di orchestrazione
in un crescendo di tensione (il pensiero corre,
pur nella consapevolezza di due situazioni musicali ben differenti, al
Bolero raveliano) e di vitalità orgiastica assolutamente straordinario.
A Salome, come si è detto, seguì Elektra, più o
meno sulla stessa strada
musicale (la novità era
rappresentata dall’ingresso, come collaboratore, del poeta Hoffmansthal). E poi nel
1911 arrivò Der Rosenkavalier con il quale
Strauss seppe mutare
totalmente rotta, rinverdendo la propria fortuna, ma soprattutto, dimostrando che l’itinerario seguito nei suoi due
precedenti atti unici, così violento ed esasperante, aveva il valore di
una rottura, premessa
necessaria ad una nuova
“armonia”, interiore ed
esteriore. Alla “danza dei
sette veli” subentrava la
nostalgia sognante del
“Valzer del Cavaliere della
rosa”. Strauss poteva serenamente ampliare i
propri possidenti a Garmisch.
Roberto Iovino
Salome
8
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La danza nella letteratura
M
Da sempre a cavallo tra ritualità
omento di incontro a scopo
rituale, occasione di puro divertimento,
atto creativo con finalità
estetiche proprie, la danza nella letteratura ha assunto nei secoli significati simbolici differenti.
Nella Bibbia non è soltanto l’episodio di Salomè a soffermarsi sulle
armoniose movenze di
un corpo che cede al richiamo musicale per disegnare nell’aria arabeschi che magicamente
diffondono nell’atmosfera energia e sensualità.
C’è anche la gioia collettiva – che diviene ballo delle donne del popolo
d’Israele mentre acclamano David vittorioso
sul nemico, causando
l’invidia di Saul: «… le
donne danzavano e cantavano alternandosi “Saul ha
ucciso i suoi mille, David i
suoi diecimila”…» (Samuele 1-18). O ancora il
tripudio festoso e danzante degli Ebrei di fronte al vitello d’oro, che accende questa volta l’ira
di Mosè, reduce dalla
montagna e furioso di
fronte alle manifestazioni incontrollate della sua
gente in onore dell’idolo
pagano. (Esodo, 32-6). O,
infine, la danza individuale dello stesso David,
che si lascia andare a
suon di tromba dinanzi
all’Arca del Signore (Samuele, 2-14).
Nella tradizione classica
Ma è la tradizione classica greca e romana a fornire le prime interpretazioni culturali ed antropologiche del fenomeno.
L’importanza della danza nella vita di allora si
riflette anche nella ricchezza linguistica a riguardo (in latino esiste
una terminologia assai
varia per designare i vari tipi di ballo), indice
anche del ruolo primario
e onnipresente che essa
rivestiva in ogni performance di carattere musicale: la parola “orchestra” deriva da “orcheo”,
ballare in greco, e “coro”
delle giostre festose e
danzanti descritte da Lorenzo il Magnifico e dal
Poliziano nel secolo successivo.
Nel Rinascimento
da “choros”, danza in giro accompagnata da canti.
Platone attribuisce al ballo un ruolo fondamentale
nell’educazione dei giovani: «la musica riesce a
mettere in relazione due anime facendole vibrare in maniera identica. E’ un ponte
che getta l’uomo di là da un
abisso per raggiungere un
altro uomo». Parole bellissime che il filosofo greco
scrive nel secondo libro
delle “Leggi” e che riprende nel settimo, tornando
a riflettere sull’importanza della musica nella formazione giovanile, in cui
danze e cori appaiono
momenti di aggregazione
fondamentali per la crescita del cittadino.
Esiodo nella “Teogonia” ci
offre un’immagine elegantissima delle fanciulle
sul monte Elicona che, coi
«piedi delicati», si muovono armoniosamente
sulle note di una melodia
attorno alle sorgenti,
mentre Virgilio descrive
un più virile e atletico ballo rituale nel brano dell’
Eneide in cui racconta i funerali di Anchise.
Nella tradizione cristiana
Nel simbolismo cristiano
medievale fa invece la
sua comparsa il tema
iconografico della danza
dei beati e degli angeli,
che ritroviamo ovviamente nel Paradiso dantesco: nel settimo canto,
gli “spiriti attivi” si muovono «come pesci in peschiera» manifestando la
loro gioia con aumento
di fulgore; nel decimo gli
“spiriti attivi”, disposti
in tre corone concentriche, danzano intorno a
Dante e Beatrice come
«donne non da ballo
sciolte». Corrispettivo in
negativo delle carole angeliche è la “Danza Macabra”, topos figurativo e
letterario con funzione
di “memento mori”, che
si diffonde nel tardo Medioevo, soprattutto in seguito alla grande peste
del 1348: scheletri – personificazioni della morte
che eguaglia - ballano insieme ad uomini abbigliati in modo da rappresentare le diverse categorie della società dell’epoca.
Ed è ancora per esorcizzare il terribile morbo
che, nella cornice del Decameron, i dieci ragazzi
ingannano il tempo con
movimenti coreografici a
suon di musica: nell’autunno del Medioevo il
tema riconquista con il
Boccaccio la sua valenza
profana come momento
di spensieratezza associato soprattutto alla giovinezza e anticipa così lo
spirito carnascialesco
Nel Cinquecento si afferma la danza di corte,
in cui passi e posizioni
dei ballerini vengono
disciplinati in codici che
costituiscono parte integrante dell’educazione
degli aristocratici: nel
Cortegiano,
Baldassar
Castiglione traccia il ritratto ideale della nobildonna: «…abbia ella notizie di lettere, di musica, di
pittura e sappia danzar e
festeggiare» (libro III,
cap. IX).
A poco a poco la danza
va affermando la propria identità artistica all’interno di un mondo,
quello del teatro, che
troverà il suo apogeo
nella spettacolarità del
L’
Barocco. La letteratura
teatrale stessa è ricchissima di riferimenti in
proposito: basti pensare
alla scena shakesperiana del ballo in cui Romeo e Giulietta si conoscono e si innamorano.
Un intero campionario
delle danze in voga nel
Seicento è contenuto
inoltre nel ventesimo
canto dell’ Adone, il più
lungo poema della letteratura italiana: anche in
questo caso il Marino
non smentisce la consueta creatività verbale
ritraendo
il
“contrapasso”, la “gagliarda”, la “sarabanda”,
la “ciaccona” e il
“riddon” con sfoggio di
metafore e lessico pirotecnico, per terminare
con un assolo di Tersicore, musa protettrice
della Danza.
Celebre, nelle Grazie
del Foscolo, la descrizione del ballo di una
Danze orientali, nuova
Le Salome del T
aspetto più evidente, ed erotico,
è la scoperta del
ventre. Dimenticato sotto ai maglioni, mortificato dalla cintura a vita
bassa che lo fa intravedere, il ventre scoperto è
un’immagine che riporta
al benessere estivo. E alla
Danza del Ventre, che rivaluta i centri di gravità
permanente e gli ombelichi del mondo, li esalta e
ci ricorda che, molto prima di volerlo piatto ad
ogni costo grazie a penalizzanti “diete mangiagrassi”, il ventre è sorgente di vita, simbolo
della donna madre, della
fecondità e delle fertilità.
Aspetti che derivano dal
passato remoto delle
“Danze Orientali”, nome
esatto rispetto “Danza
del Ventre”, soprannome
inventato dai viaggiatori
occidentali quando secoli
fa videro danzare liberamente le donne in Oriente. Colpiti, allora come
oggi, dalle incredibili vibrazioni del ventre di
danzatrici che pur ferme,
sembrano volare, come
se la magia prendesse
possesso del corpo con il
ritmo della musica. Il nome più esatto di questa
danza è “raks el sharqi”,
danza orientale, praticata anche da uomini e dotata di molti aspetti e varianti in base agli strumenti che si usano (veli,
bastoni, cimbali) ed ai
Paesi di provenienza.
Soprattutto negli ultimi
anni la Danza Orientale
ha trovato terreno fertilissimo in tutta Italia, per
moda, ma non solo: è paragonabile, infatti, a una
ginnastica dolce, agisce
sulle articolazioni e dà
molti benefici, a partire
dal rilascio delle tensioni
muscolari. E poi determina un miglioramento
della circolazione sanguigna, a livello psicologico favorisce l’acquisizione di una maggiore
Il
Salome
Giornale dei Grandi Eventi
à e seduzione
delle tre fanciulle: «Ma
se danza, vedila! tutta
l'armonia del suono/scorre
dal suo bel corpo, dal sorriso/della sua bocca; e un
moto, un atto, un vezzo/manda agli sguardi venustà improvvisa…»(Vesta).
Nell’Ottocento recuperano la tradizione medievale della Danza Macabra Goethe, con una
grottesca ballata (“La
danza della morte”) in cui
un campanaro assiste
ad una coreografia notturna di zombie, e Baudelaire con una lirica
contenuta nei “Fiori del
Male” in cui le piroette
grottesche di una donna
ridotta a scheletro sono
occasione
per
una
profonda
riflessione
sulla fugacità della vita.
Se la festa da ballo è una
delle scene topiche della
grande narrativa ottocentesca (pensiamo soltanto a
Flaubert,
Stendhal, Tolstoj, Hugo), l’immagine più impressa nei ricordi delle
letture infantili è quella
delle scarpette rosse,
emblema della ribellione adolescenziale, nella
fiaba omonima di Andersen. Ballerino e cantante in gioventù, nonché figlio di un calzolaio, lo scrittore danese
aveva seguito con gran-
de interesse la nascita e
l’evoluzione delle scarpette da punta che proprio nei primi decenni
del diciannovesimo secolo facevano la loro
comparsa sulle scene
europee.
Tra le numerose opere
dedicate al tema nella
narrativa novecentesca,
infine, ricordiamo Festa
da ballo di Francis Scott
Fitzgerald che ritrae con
vivacità, attraverso gli
occhi della protagonista, l’energia elettrizzante e contagiosa delle
9
nuove danze del secolo:
«… Cominciò a ballare.
Non avevo mai visto niente di simile prima di allora…Era il Charleston…
Ricordo il doppio ritmo di
tamburo simile a un grido… e l’inconsueto oscillare delle braccia e il bizzarro effetto dell’incrociarsi delle ginocchia…
Quella musica selvaggia
mi aveva turbata già dalle
prime battute… Per poco
non gridai quando, incidentalmente, una mano
mi sfiorò la schiena!».
Ines Aliprandi
Cuore dell’opera di Strauss
La sensuale danza
dei Sette Veli
L
passione anche in Italia
Terzo Millennio
consapevolezza corporea, di un senso di rinascita e di riscoperta della
femminilità. La musica
d’accompagnamento
amplifica le potenzialità
terapeutiche della danza
ed è di per sé un elemento benefico e curativo:
possiede peculiarità, studiate nell'ambito della
musicoterapia, che hanno influenze fisiche e psichiche definite di "effetto
di rilassamento". Forse
ciò che la fa più apprezzare, oltre ad esaltare la
propria sensualità, è che
la Danza del Ventre può
essere iniziata a qualunque età. Diversamente
dalle altre danze occidentali già in un anno di
studio si riesce a ottenere
un livello discreto in
quella che è considerata
espressione perfetta del
femminino (ecco perché
nella danza del ventre
riescono bene anche le
europee!). A diffondere
l’arte antica, che fu anche
di Salomè, è oggi un fiorire di Mouna, Aziza,
Amar, Noor, Anahita,
non odalische del Terzo
Millennio, ma danzatrici-insegnanti molto spesso italiane che, abbracciata l’arte orientale, si
identificano e totalizzano
col nuovo mondo. «Perché la danza orientale è
un’arte e come ogni arte
consiste in tre cose: la teoria, la pratica ed il cuore»,
dicono gli esperti. Il primo atto di amore, infatti,
lo si deve compiere verso
sé stessi, scegliendo anche un nome arabo non
per rinnegare la propria
identità, ma per abbracciare una nuova vita. Le
prossime adepte hanno
l’imbarazzo della scelta:
se ci si sente “principesse” ci si può ribattezzare
Amira, Amina se “donna
di pace e di armonia”, o
Jamilah e Jumanah se
“bella ed elegante” o
“perla”.
Monica Corbellini
a danza dei Sette Veli
si ricollega ad antichi
miti orientali ed è
strettamente connessa alla
figura della divinità mesopotamica Ishtar, Grande
Madre e dea dell’Amore
venerata ad Uruk.
Per nulla considerata una
manifestazione di “lussuria”, la danza aveva un forte carattere rituale, di grande sacralità.
Secondo il mito la dea Ishtar, recatasi nell’Oltretomba alla ricerca del marito
Tammuz, per poter varcare
ciascuno dei sette cancelli
degli Inferi, fu costretta da
un Demone a togliersi uno
ad uno i sette veli che indossava, fino a rimanere
completamente nuda. Solo
dopo aver ceduto l’ultimo
velo la dea poté riabbracciare il suo amato ed ottenere che per tre mesi l’anno
Tammuz potesse tornare
sulla terra.
Non è difficile ravvisare
nella leggenda uno dei tanti miti che rimandano al ciclo della fertilità, al ritorno
della vita-primavera dopo
la morte-inverno, ma Ishtar potrebbe rappresentare
anche la Verità, che non ha
bisogno di veli…
Infinite, poi, le simbologie
legate al numero Sette, fin
dall’Antichità considerato
magico e misterioso, il risultato della somma del 3
(lo spirito, il maschile) con
il 4 (la materia, il femminile): i sette sigilli, il candelabro a sette luci, e poi i chak-
ra, i cieli del sistema tolemaico, i sapienti, le maraviglie del mondo…
Anticamente la
danza dei Sette
Veli era anche parte di un dramma
sacro in cui la sacerdotessa
che
rappresentava la
Dea era chiamata
Salomè, ovvero
“Pace”, dalla parola ebraica Shalom.
Come spesso avviene tuttavia le
leggende si intersecano, stratificano fino a confondersi in numerose
versioni.
Nella
Bibbia Salomè è Maruska Albertazzi nella danza dei Sette
pure identificata Veli nel “Prologo” di Salomè
come una delle Tre
elusivo nella sua sensuaMarie ai piedi della croce
lità, permea di sé l’intera
ed i suoi veli rappresentaopera e culmina proprio
no in questo caso i vari linella danza dei Sette Veli.
velli dell’apparenza mateIl ritmo di questa danza è
riale, della nostra perceziopercepibile nel testo stesso,
ne sensibile, che vengono a
pervaso da una musicalità
poco a poco abbandonati
diffusa, in cui la parola cesnel progressivo avvicinarsi
sa di essere descrittiva, preal cuore del Mistero.
cisa, univoca: la tessitura
Ma nei passi biblici più nopare una polifonia di frasi
ti si carica di erotismo l’epimusicali; non domande e
sodio di Salomè, figlia di
risposte coerenti, ma un
Erodiade, che danza per
fluire continuo di trame socompiacere la lussuria di
nore, fluttuanti e instabili
Erode ed ottenere da lui in
come lo sono i corpi in mocambio la testa del Battista.
vimento, soprattutto quelli
Ed è a questa interpretazioche accettano di perdere la
ne che si riallaccia Oscar
propria autocoscienza per
Wilde nella sua rivisitaziofluidificarsi nella malincone teatrale del mito, in cui
nia dell’amore…
la rappresentazione del
I. A.
corpo, ora invadente, ora
Salome
10
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Le metamorfosi del personaggio
S
Salome nella tradizione letteraria
ul finire del I sec. d. C.
è lo storico Giuseppe
Flavio nelle sue Antiquitatum Iudaicarum a darci
notizia di Salfime come figlia di Erodiade ed Erode
Filippo. Quando nel 28 d.C.
Erode Antipa, fratello di Filippo, sposato con la figlia
del re arabo Areta e governatore romano delle regioni
della Galilea e della Perea,
fece un viaggio a Roma, conobbe la cognata Erodiade
e ne nacque una reciproca
passione. Unendosi Erodiade in concubinato con Erode Antipa, Salfime entrò
nella casa dello zio-patrigno. Nessuno osò protestare contro il pubblico scandalo, tranne Giovanni il
Battista.
L’episodio, associato a
Salfime, lo troviamo citato
per la prima volta nelle Sacre Scritture e precisamente nel Nuovo Testamento.
E? nei Vangeli di Marco e
Matteo che compare la figlia di Erodiade come colei
che chiese, sotto ordine della madre, la testa di Giovanni Battista su un vassoio d’argento. Tutto ciò
che emerge dai testi sacri
riguardo a Salfime - di cui
peraltro non viene menzionato il nome - è la figura di
una fanciulla completamente asservita al volere
della madre, della quale
rappresenta lo strumento
di vendetta nei confronti di
colui che ha osato giudicarla.
Nel tardo Medioevo due
grandi poeti allusero alla
fanciulla danzatrice, ma
anch’essi senza farne il nome: Dante (Paradiso,
XVIII, 135) e François Villon nella Double ballade.
Erodiade amante
del Battista
In età romantica Heinrich
Heine si allontanò dal contesto tradizionale, introducendo il motivo d’amore
come movente della richiesta della testa del Battista
da parte della vendicativa
Erodiade. Nel suo Atta Troll
Erodiade, colpevole della
morte del Battista di cui era
segretamente innamorata,
appare nella cavalcata degli
spiriti che si vedono dalla
Oscar Wilde in costume da Salome
finestra della strega Uraka.
Erodiade diventa, dunque,
un’eroina moderna, “malata” d’amore, un amore violento e irrazionale. La Salomè di Oscar Wilde è senza
dubbio figlia di questa visione.
A fine Ottocento circolavano a Parigi tante Salomè.
Matteo, 14, 1 - 12
Tra le versioni che Oscar
Wilde senza dubbio conobbe, vi furono Herodias e Salambò di Gustave Flaubert.
In Herodias Flaubert si mantiene fedele alla fonte Biblica, seppur arricchendola di
particolari narrativi e facendo della danza di Salomè il
punto focale del racconto.
I Vangeli
In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia
della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato
dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera
in lui». Erode aveva arrestato Giovanni e lo
aveva fatto incatenare e gettare in prigione
per causa di Erodiade, moglie di Filippo,
suo fratello. Giovanni, infatti, gli diceva:
«Non ti è lecito tenerla». Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo
considerava un profeta.
Venuto il compleanno di Erode, la figlia di
Erodiade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re ne fu contristato, ma a
causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data e mandò a decapitare
Giovanni nel carcere. La sua testa venne
portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre.
Marco, 6, 17 - 29
Erode, infatti, aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di
Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, che
E’ ancora Erodiade però il
personaggio principale, la
cui figlia, Salomè, non è altro che uno strumento nelle
sue mani, indispensabile al
fine di realizzare la sua
vendetta nei confronti del
Battista. Nel romanzo Salambò la protagonista è invece una giovane fanciulla,
una bellissima vergine devota della luna: Salambò,
appunto, figlia del re cartaginese Amilcare. La Salomè
di Wilde riprende molto
pure da questa fanciulla:
anch’essa amante della sua
verginità, devota della luna, insoddisfatta dal mondo che la circonda e incapace di affrontare la nuova
realtà che attraverso il profeta Battista le si presenta
dinanzi. La difesa della
propria castità diventa
un’ossessione, origine di
morbose fantasticherie nella Erodiade di Stèphane
Mallarmé. In questo lavoro,
come in Heine, Erodiade si
sovrappone al personaggio
di Salomè, realizzando una
fusione emblematica tra le
due figure femminili. Sempre in clima decadente, Ju-
egli aveva sposato. Giovanni diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello». Per questo Erodiade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma
non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su
di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava
molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio,
quando Erode per il suo compleanno fece
un banchetto per i grandi della sua corte, gli
ufficiali e i notabili della Galilea. Entrata la
figlia della stessa Erodiade, danzò e piacque ad Erode e ai commensali. Allora il re
disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e
io te lo darò». E le fece questo giuramento:
«Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse
anche la metà del mio regno». La ragazza uscì
e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?».
Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia subito su un
vassoio la testa di Giovanni il Battista». Il Re ne
fu rattristato; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle
un rifiuto. E subito mandò una guardia con
l’ordine che gli fosse portata la testa. La
guardia andò, lo decapitò in prigione e
portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.
les Laforgue dedica una
della sue Moralitès Legendaires al personaggio di Salomè: si tratta però di una
Salomè squisitamente caricaturale, un’abile parodia
del mito della principessa
ebrea, svuotato di tutto il
suo contenuto tragico.
La Salome di Oscar Wilde
Nel 1893 venne pubblicata
contemporaneamente a Parigi ed a Londra la Salomè di
Oscar Wilde. La tragedia fu
composta da Wilde a Parigi
subito dopo il successo londinese de Il ventaglio di Lady
Windermere, nel corso dei
due mesi che nell’autunno
del 1891 lo scrittore irlandese trascorse nella capitale
francese. Il personaggio di
Salomè ossessionava all’epoca la mente di Wilde per
la sua complessa natura di
mistica: vergine innocente e
casta ed al tempo stesso
esempio supremo dell’incarnazione crudele della
bellezza. La sua, in particolare, diventa una Salomè
non più strumento passivo
nelle mani della madre conferendole per primo una
propria vita, un proprio
protagonismo. La giovane
fanciulla sarà separata nettamente dalla figura della
madre e caricata di quella
lussuria necrofila che, dopo
Wilde e Strauss, non possiamo più separare dalla
sua immagine e dalla sua
danza. Salomè si muove
ora solo nel proprio interesse, per poter richiedere ciò
che lei in prima persona desidera. Nella tragedia di
Wilde, infatti, rivolgendosi
al tetrarca, afferma: «Io non
ascolto mia madre. E’ per me
stessa che io chiedo la testa di
Jokanaan in un bacile d’argento». Nella danza dei sette
veli Salomè è divenuta
energia libera, significante
fluttuante, in movimento
nel magico regno del desiderio e della seduzione.
Dotato di concisione verbale e linearità narrativa,
basato su profondi contrasti interiori, il dramma di
Wilde, come lo stesso
Strauss affermò dando inizio al suo lavoro, «reclama la
musica!».
Silvia Mendicino
Il
Salome
Giornale dei Grandi Eventi
11
L’autore del poema alla base del libretto
U
Oscar Wilde: ritratto di un dandy
mesi gli editori fanno a
n nome altisogara per accaparrarsi il
nante ed eccentrisuo Poems (1881). Affaco come il persoscinato dall’estetismo,
naggio che lo indossa,
segue le evoluzioni di
Oscar Fingal O'Flaherty
questa corrente filosofica
Wills Wilde, nasce a Due letteraria ispirandosi a
blino il 16 ottobre 1854. Il
John Ruskin ed a Walter
padre, Sir William, è un
Pater. I suoi atteggiainsigne oculista, la mamenti sregolati e dissoludre, Jane Francesca Elti stuzzicano la critica e
gee, è un’emancipata
l’opinione pubblica. Uno
donna di cultura ed alla nascita di Oscar il salotto dei Wilde è un
crogiuolo di saperi ed
opinioni, un punto di
riferimento per la Dublino colta di metà Ottocento. Dopo aver collezionato brillanti risultati al Trinity College della capitale irlandese, il giovanissimo
Wilde viene mandato a
Oxford, dove si distingue nello studio dei
classici e per il particolare abbigliamento che
sfoggia nelle aule. I
pantaloni di velluto e
le collane di piume sbigottiscono i professori
ed accendono i rifletto- Oscar Wilde nel 1882
ri su quell’eccentrico
dei suoi celebri aforismi
ragazzo venuto dall’Irdiventa così la sua maslanda. Dopo la laurea,
sima per la vita: «Per ennel 1880 si trasferisce a
trare nella migliore soLondra, dove in pochi
N
cietà, oggi, bisogna servire
buone colazioni alla gente.
Divertirla o scioccarla,
nient’altro!».
I viaggi, le amicizie
La popolarità del giovane
Wilde accresce grazie alle
vignette pubblicate dal
giornale
umoristico
“Punch” ed alla satira teatrale del librettista
William Gilbert, che
nelle sue opere-parodie prende di mira l’estetismo e le sue frivolezze. L’occasione per
un ciclo di readings negli Stati Uniti permette
allo scrittore irlandese
di conoscere alcuni tra
i più importanti esponenti della letteratura
statunitense dell’epoca.
Tornato in Europa, Parigi diventa la sua seconda casa. Quì subisce il fascino letterario
di Balzac ed ha modo
di incontrare Victor
Hugo, Paul Verlaine
ed Emile Zola. Mentre
frequenta i salotti dei
Mardis de la rue de Rome,
redige i suoi due primi
drammi romantici, Vera
(1883) e The Duchess of Padua (1883). Diventa amico
dell’attrice
Sarah
Bernhardt, per la quale
inizia a scrivere Salomé.
Nel 1884 si sposa con
Constance Lloyd, figlia di
un importante avvocato,
dalla quale ha due figli.
Grazie a loro, Wilde si dedica alla stesura di racconti e fiabe, raccolti nel
celebre The Happy Prince
and Other Tales (1888). In
questo periodo di forte
ispirazione, lo scrittore
partorisce le sue opere
più celebri: del 1891 sono
i racconti Lord Arthur Savile’s crime and other stories
e il suo unico e illustre romanzo Il ritratto di Dorian
Gray, perfetta sintesi dei
principi estetici, da lui incarnati. Nei successivi
cinque anni, scrive le
commedie che lo portano
al successo teatrale: Lady
Windermere’s fan (1892), A
woman of no importance
(1893), An ideal husband
(1895), e The importance of
being Earnest (1895), ritratto satirico dell’alta società. Già dal 1893, però,
la sua vita privata inizia
ad alienargli i favori di
quei salotti che egli schernisce con ironia. A Londra si vocifera della relazione con Lord Alfred
Douglas, figlio ribelle del
Marchese di Queensberry
e giovane poeta, che nel
1894 traduce in inglese il
suo Salomé. Dopo le denunce del padre di Alfred, irritato per il coinvolgimento del nobile nome di famiglia nello scandalo, Wilde subisce una
condanna per omosessualità e viene recluso per
due anni nel carcere di
Reading. In prigione, scrive The ballad of Reading
Gaol (1897) e l’amaro De
Profundis (1897), raccolta
di brani estrapolati da
una lettera scritta al suo
amore clandestino. Scontata la pena, si stabilisce a
Parigi, dove, rimasto con
pochi spiccioli, dorme all’hotel d’Alsace e si fa
chiamare Sebastian Melmoth. Alla morte per meningite, il 30 gennaio
1900, il suo vero nome
cessa di essere una condanna ed entra nella leggenda.
Ja. Ma.
La nuova Opera venne
inaugurata nel 1985 con
Der Freischutz di Carl
Maria Von Weber e da
allora è un susseguirsi di
successi dovuti soprattutto all’eccellenza dell’Orchestra, la Sächische
Staatskapelle Dresden, tra
le più importanti del
mondo intero ed al valore artistico dei Maestri
che si contendono l’onore di dirigerla. La tradizione è, infatti, di tutto
rispetto. Hanno diretto
la Staatskapelle geni immortali come J. Sebastian
Bach, Christoph Gluck,
Domenico
Cimarosa,
Wolfgang Amadeus Mozart, Carl Maria von Weber, Richard Wagner,
Johann Brahms, Hector
Berlioz, Richard Strauss.
Grazie alla tradizione
musicale della città e all’alta qualità artistica degli interpreti e dei musicisti, la “Semperoper ” si
annovera oggi tra i più
noti teatri dell’opera.
Il successo e la condanna
Il Teatro della prima rappresentazione
Königliches Opernhaus di Dresda
el 1838 fu posta a
Dresda la prima
pietra del nuovo
teatro d’opera di Corte.
Su progetto di Gottfried
Semper, situato nella bellissima Theaterplatz, il
Königliches Opernhaus
fu inaugurato il 12 Aprile
del 1841 con la messa in
scena del Torquato Tasso
di Goethe e la Jubel – Ouverture di Weber. Per il
teatro iniziò così una fervida attività fino al 1869,
quando fu distrutto da
un incendio. Nel 1871
Manfred Semper, figlio
di Gottfried, cominciò la
ricostruzione della seconda "Semperoper" su
progetto del padre, da
lui rispettato anche nelle
decorazioni e negli ornamenti. Il 2 Febbraio 1878
s’inaugurò il nuovo tea-
tro con l’Ifigenia di
Goethe. Lo stile dell’edificio è ispirato al Rinascimento italiano: la facciata presenta due piani
d’arcate semicircolari sovrapposte ed un terzo livello in rientranza. Sulla
sommità del prospetto
una quadriga bronzea
trainata da pantere con
Dioniso ed Arianna,
opera dello scultore
Schilling. A sinistra ed a
destra della facciata vi
sono delle nicchie ospitanti rispettivamente le
statue di Shakespeare e
Sofocle e di Molière ed
Euripide. All’ingresso
troviamo Schiller e
Goethe. Ai primi del Novecento il teatro fu al
centro dell’attenzione
mondiale rivelando Richard Strauss operista
con le prime assolute di
Feuersnot (21 Novembre
1901), Salome (9 Dicembre 1905) e Rosenkavalier
(26 Gennaio 1911). La
“Semperoper” fu distrutto una seconda volta sotto i bombardamenti anglo-americani del
febbraio 1945 ma, come
novella Araba Fenice, rinacque dalle proprie ceneri in virtù di un accuratissimo lavoro di ricostruzione che si mantenne fedele al progetto originario. Poche, infatti,
sono le differenze tra la
vecchia “Semperoper” e
l'attuale: la platea è stata
ingrandita, anche se i posti si sono ridotti; la scena é stata ampliata di 12
metri per consentire l'utilizzo delle più moderne
tecniche scenografiche.
Salome
12
I
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Analogie e differenze tra Wagner e Strauss
Richard & Richard: compositori a confronto
n una simpatica vignetta pubblicata il
15/16 febbraio 1896
sul foglio umoristico genovese “Sacripante di Circassia”, sotto il titolo
“Una nuova ditta” è raffigurato Wagner che prende per mano due bambini (Verdi e Rossini) e li
conduce alla sua scuola
della “musica dell’avvenire”.
Né Rossini né tantomeno
Verdi furono appassionati seguaci di Wagner,
la cui arte era lontanissima dalle loro concezioni.
Ma furono effettivamente pochi i compositori
che tra la seconda parte
dell’Ottocento e il primo
Novecento riuscirono a
sfuggire alla influenza
del grande cantore di
Tristano ed Isotta. Tutta la
cultura a cavallo dei due
secoli ne rimase coinvolta. Si pensi ai poeti maledetti francesi, si pensi a
tutta la produzione teatrale del tardo Ottocento
parigino (Massenet, ad
esempio), si pensi, al travaglio che dovettero affrontare i musicisti italiani, eredi di Verdi (Puccini, Mascagni, Franchetti,
Leoncavallo) eppure costretti a misurarsi con un
nuovo modo di concepire il discorso musicale
(l’armonia in primo piano) e la struttura teatrale.
Naturalmente per molti
l’infatuazione per Wagner ebbe il valore di una
“sbornia” benefica, di
una spinta a proiettarsi
in avanti in una fase di
evidente crisi del linguaggio musicale europeo. Così, passata la
sbronza, qualcuno si pose addirittura in posizione antiwagneriana: pensiamo a Stravinskij il cui
teatro, razionalmente fu
concepito in chiave, appunto, opposta a quella
del Tedesco.
Per altri Wagner costituì,
invece, un punto di riferimento irrinunciabile
per tutta la vita. Basta
pensare ad Anton Bruckner, sinfonista dalla vena
quasi schubertiana, eppure wagneriano convinto e fedele: si ascolti la
sua Settima Sinfonia il cui
Richard Wagner
Richard Strauss
Adagio nacque sotto
fra i due c’era e riguardal’impressione della morva le scelte formali. La
te del suo idolo. E, su tutmusica dell’avvenire priti, Richard Strauss che,
vilegiava due forme per
pur con evidenti diffecerti aspetti nuove nella
renze di personalità e di
cultura tedesca: l’opera
obbiettivi artistici, fu il
(o meglio il dramma mupiù lucido continuatore
sicale) e il poema sinfonidel teatro wagneriano.
Nella Germania di fine Ottocento
un
giovane studente di Conservatorio doveva fare i
conti con Wagner e con
Brahms che il
musicologo
Eduard Hanslick
aveva
posto su opposte barricate: il primo,
con Liszt rappresentava la
“musica dell’avvenire”, il Una nuova ditta
secondo era il
poderoso difensore della
co (creato proprio da Liszt). Richard Strauss pritradizione. Tutte storie,
naturalmente,
che
vilegiò proprio queste
due forme, dedicandosi
Schoenberg e altri smonal poema nella prima fatarono senza problemi
negli anni immediatase della propria carriera e
mente successivi. Tanto
al teatro nella seconda.
Wagner quanto Brahms
Richard & Richard
erano legati indissolubilmente alla storia (enIl suo legame con Watrambi discepoli, idealgner è avvertibile innanmente,
dell’ultimo
zitutto nel trattamento
Beethoven) e nello stesso
orchestrale. L’ampliatempo progressisti. Ma
mento degli organici (a
una differenza sensibile
fronte del sinfonismo
brahmsiano, sonoro, certo, ma più contenuto rispetto a quello di Bruckner e del successivo
Mahler) è il risultato di
una ricerca di effetti e di
colori che ha nella tavolozza wagneriana il punto
di partenza.
In
Strauss,
poi, questo
ampliamento
si accompagna ad un più
deciso intento
virtuosistico,
all’idea
di
“stupire” l’ascoltatore con
effetti di particolare impatto emotivo
ed espressivo.
C’è, a volte,
una esteriorità
quasi
“teatrale”
nell’orchestra
straussiana
che la distingue da quella di Wagner, più seriosamente calata nella sua
buca, lontana dagli occhi
indiscreti del pubblico,
tesa alla creazione di atmosfere adatte alla rievocazione del “mito”.
Wagneriano è il ricorso al
leitmotiv, termine abusato nel primo Novecento,
quando un qualunque tema conduttore pareva legare indissolubilmente
l’autore alla causa wa-
gneriana. Così Puccini in
“Boheme” nell’accompagnare la tenera Mimì con
una melodia a tratti appena sussurrata entrava
di diritto nella schiera dei
seguaci di Wagner! Il leitmotiv è in realtà qualcosa
di più complesso e
profondo che non un
semplice tema associato a
un personaggio; assume
la funzione di un elemento-guida nella intricata
architettura sonora di un
sinfonismo denso quale è
quello del teatro wagneriano. E straussiano, si
può aggiungere. Anche
qui il meccanismo compositivo è di tipo sinfonico, coinvolgendo voci e
strumenti in un tessuto
complesso, denso, irto,
nel quale gli sviluppi musicali passano dalla buca
al palcoscenico in un
coinvolgimento totale
della massa esecutrice.
Da Wagner, infine, discende l’uso plateale del
cromatismo e di una tonalità sempre più allargata, alla ricerca di orizzonti armonici inediti.
Raccogliendo il testimone dal suo grande maestro, Strauss seppe andare in questo campo molto
avanti. Con l’amico Mahler traghettò la cultura tedesca nel Novecento rivestendola di nuovi significati e di inedite tensioni. Lo fece, tuttavia,
senza rinnegare il passato, al contrario, continuando ad amare i suoi
maestri. Non solo Wagner, ma anche Bach e
soprattutto Mozart. Proprio l’amore per Mozart,
portò Strauss, in un suo
scritto del 1940, a criticare il Maestro Wagner,
quando a proposito del
testo di quest’ultimo,
“Opera e dramma”, annotò: «Questo libro straordinario ha solo una piccola
lacuna: manca il pieno apprezzamento della melodia
pura di Mozart… dalla fantasia dei nostri classici sono
scaturite melodie che vanno
considerate tra i simboli più
alti in cui si manifesta l’anima umana…». Progressista, sì, ma nel rispetto
della storia.
Roberto Iovino
Il
Salome
Giornale dei Grandi Eventi
N
13
Effetti dei tagli di Strauss sul libretto
Una Salome casta ed un testo essenziale
el 1903 al Kleines Theatre di
Berlino, con la
regia di Max Reinhardt,
Strauss ebbe per la prima volta modo di assistere ad una Salomè in
tedesco. Il dramma di
Wilde fu dato nella
nuova traduzione di
Hedwig Lachmann. Il
poeta viennese Anton
Lindtner aveva già offerto al compositore la
propria collaborazione
per realizzare un libretto d’opera da questo
splendido dramma; al
tempo della prima berlines Strauss aveva già
ricevuto il libretto di
Lindtner, si trattava di
un’abile versificazione
che però lo ispirava poco. La traduzione della
Lachmann, al confronto, gli parve splendida
e già le prime parole
«Wie schon ist die Prinzessin Salome heute Nacht!» (Com’è bella, questa
sera, la Principessa Salomè!) gli parvero mirabilmente adatte alla
musica. Strauss decise,
dunque, per la traduzione in prosa tedesca.
Tuttavia egli non si accontentò di mettere in
musica la pura e semplice traduzione tedesca del dramma (le poche modifiche apportate dalla Lachmann avevano come fine esclusivo quello di dare una
maggiore
risonanza
poetica alle frasi a volte
eccessivamente secche
di Wilde, tramite la
scelta di un verbo o di
un aggettivo più ricercato, più intenso), bensì
annotò personalmente
sulla propria copia della traduzione modifiche affatto irrilevanti
non solo per la consistente quantità dei tagli
apportati al testo, ma
anche e soprattutto per
la comprensione della
visione personale del
musicista riguardo all’opera.
I tagli
L’obiettivo principale
di Strauss era quello di
eliminare dal testo tut-
Richard Strauss
to quanto potesse essere superfluo e non
strettamente necessario
alla comprensione del
dramma interiore della
giovane principessa.
Vengono pertanto eliminate tutte le disquisizioni di ordine religioso riguardo ai Giudei,
ai Romani e ai Farisei,
con l’eccezione della
sola discussione tra i
cinque giudei all’interno della quarta scena
(la suddivisione in scene è introdotta da
Strauss) in merito alla
natura del loro Dio. Tale discussione è stata
addirittura protratta
più a lungo da Strauss,
molto probabilmente
per accentuare la pedanteria degli interlocutori. Vengono snelliti
gli interventi dei personaggi secondari ed eliminate frasi relative alla comprensione di loro
tratti
caratteriali.
Strauss elimina, inoltre,
le informazioni circa i
rapporti di parentela
tra i personaggi, il loro
passato. Ciò che il compositore realizza è una
concentrazione dell’azione sia a livello “macroscopico”, ossia a livello di trama, sia a livello “miscroscopico”,
cioè a all’interno dei
singoli interventi mediante sintesi di più fra-
si in una, semplificazioni di costrutti grammaticali, soppressione delle frasi “relative”. Questi ultimi interventi sono dettati soprattutto
dal bisogno di adattare
il testo alla musica, esigenza per la quale
Strauss spesso modifica
anche il ritmo della frase, ossia l’ordine delle
parole. E’ opportuno
soffermarsi su una modifica in particolare apportata dal compositore. Durante la prima
comparsa in scena di
A
Salome, Wilde fa così
esprimere la principessa: «Io non resterò qui.
Non posso restarvi. Perché il tetrarca mi guarda
continuamente con quegli
occhi di talpa sotto le palpebre tremolanti?... E’
strano che il marito di mia
madre mi guardi così.
Non
so
cosa
significhi…non è vero, lo
so bene.» Strauss elimina
l’ultima frase («Non so
cosa significhi...non è vero, lo so bene») conferendo
al
personaggio
un’ingenuità, una pu-
rezza ed un’innocenza
estranee all’eroina di
Wilde. La forte carica di
sensualità ed erotismo
presente in Wilde è
quasi del tutto assente
nella Salome di Strauss.
La protagonista del
dramma musicale è una
vergine non più che
quattordicenne. Molte
delle modifiche apportate da Strauss al testo
di Wilde tendono proprio a questo obiettivo:
rappresentare l’innocenza della giovane
principessa, di contro
all’immagine di “mostro sanguinolento” riservatale dalla tradizione. Il testo della Salome
di Strauss è qualcosa di
particolare: non un libretto, nè una messa in
musica di un dramma
parlato in forma inalterata. Si tratta di un adattamento, ad opera del compositore stesso, dell’omonimo dramma teatrale di
Wilde nella traduzione
in lingua tedesca ad opera
di
Lachmann.
Strauss, in linea con i
suoi tempi, rappresenta
il compositore dotato di
competenza teatrale e
letteraria oltreché musicale, capace pertanto di
dominare ogni aspetto
del proprio lavoro.
Si. Men.
Curiosità
La pronuncia di Sàlome
ll’epoca della
composizione
di Salome (inizi 1902 – giugno
1905) risalgono anche
i primi contrasti del
lungo e difficile rapporto tra Richard
Strauss ed il suo futuro librettista Hugo
von Hofmannsthal
che con lui firmerà
opere come Elektra, Il
Cavaliere della Rosa,
Arianna a Nasso, La
Donna
senz’ombra,
Elena Egizia, Arabella.
Hofmannsthal aveva
sottoposto al musicista un proprio soggetto ed al rifiuto di Hugo von Hofmannsthal
questi impegnato nella Salome, per ripicca
reagì facendogli notare
come la corretta pronuncia del nome della
sensuale e spietata fanciulla protagonista dell’opera non fosse né
“Sàlome” alla tedesca,
né “Salomé” alla francese e come compare
nell’opera di Oscar
Wilde, bensì “Salòme”
alla greca.
Strauss, ignorando il
puntiglioso letterato,
continuò a considerare
il nome secondo la
pronuncia tedesca “Sàlome”.
Mi. Mar.
Salome
14
D
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il compositore
Richard Strauss
iscendente di una famiglia nella quale la
tradizione musicale
si tramandava da generazioni, Richard Strauss nacque a
Monaco di Baviera , l’11 giugno 1964 con una straordinaria sensibilità artistica. Gli
agi economici che, grazie ad
una fabbrica di birra, il ramo
materno assicurò alla famiglia, gli offrirono la possibilità di studiare e di affinare
questo talento. A quattro anni Richard suonava il pianoforte ed a sei il violino,
manifestando fin da subito
la volontà di dedicarsi alla
composizione. Ancora studente nelle scuole elementari, diede alle stampe una
sinfonia in re minore, la Festmarch op. 1, compose diversi
lieder, concerti e composizioni da camera. La prima
produzione straussiana ligia
agli accademismi romantici
e priva di intemperanze ed
in particolare la Serenade op.
7, scritta a soli diciassette anni, gli attirarono le simpatie
e la stima di Hans von Bulow, il quale nel 1885 gli affidò la guida dell’orchestra
di Meiningen. In un periodo
particolarmente fecondo e
stimolante per l’ambiente
musicale diviso tra la seducente scuola “neotedesca” di
Listz e Wagner e la più radicata tradizione romantica
che faceva capo a Brahms,
Strauss aderì inizialmente
alla seconda, fedele all’indirizzo antiwagneriano che il
padre aveva tentato, con
ostinazione, di trasmettergli,
ma successivamente finì col
cedere alla tendenza tutta
wagneriana della musica a
programma. Questa virata
stilistica è attribuita all’amicizia che Strauss strinse a
Meiningen con Alexander
Ritter, apostolo listziano dell’anarchico potere evocatore
della musica, sciolta dai limiti e dai vizi formali. Nel
1896, abbandonata, la carica
offertagli da von Bulow,
Strauss compì il suo primo
viaggio in Italia e compose
Aus Italien, con cui si gettò
alle spalle il romanticismo
accademico e si misurò con
il poema sinfonico che caratterizzò la sua produzione fino al 1903.
I furenti ritmi dispari e gli
scalmanati cromatismi, lo fe-
cero apparire un rivoluzionario della scena musicale,
ma si rivelarono un amore
passeggero che andò scemando con la scoperta del
Richard Strauss nel 1870, al tempo
della sua prima composizione
teatro e l’incontro con il librettista Hugo von Hofmannsthal. All’attività compositiva Strauss affiancò
sempre la direzione d’orchestra. Dal 1889 al 1894 fu direttore del Teatro di Corte di
Weimar, dal 1894 al1898 fu
scritturato dalla Hofoper di
Monaco e nel 1898 fu primo
direttore d’orchestra a Berlino, carica che lasciò solo nel
1918 per l’impegno con l’Opera di Vienna, dove rimase
fino al 1924 quando si ritirò
per dedicarsi esclusivamente alla composizione.
Una prima ed incosciente incursione nel teatro era avvenuta con Guntram nel 1894,
a cui la neosposa Pauline de
Anha partecipò come cantante e che si rislose in un insuccesso. Strauss fece allora
più tranquillamente ritorno
alla sua musica a programma. Solo qualche anno più
tardi comprese che le possibilità espressive del poema
sinfonico erano giunte al limite ed intuì che il tempo
del dispotismo del dramma
wagneriano aveva esaurito
il suo corso e la sua potenza.
Tornò, quindi, a rivolgere il
proprio sguardo creativo al
teatro musicale. La prima
opera teatrale davvero matura fu Salome (1905), seguita
dall’Elektra (1909) opera questa suggestiva che si colloca
al confine tra la produzione
postwagneriana e quella
espressionista per i marcati
tratti barbarici e che segna
l’inizio della feconda collaborazione con von Hof-
mannsthal. Questo incontro
produsse un’ulteriore svolta
nello stile straussiano verso
una semplicità ed una raffinatezza dei mezzi espressivi
che trovò la sua migliore
concretizzazione nel Rosenkavalier (1911) e che spinse Strauss a saggiare con alterne fortune i più diversi
generi di teatro musicale,
dal neoclassico Ariadne auf
Naxos (1912, seconda versione 1916) al mitologico Die
aegyptische Helena (1928,
nuova versione 1933), alla
commedia di intrigo Araberlla (1933) fino al più semplice
ma riassuntivo Capriccio
(1941) una sorta di commedia conversata in cui la musica si fa discreta, reagendo
in direzione diametralmente
opposta all’eredità dei trionfi wagneriani.
Il periodo più interessante
della vita del musicista coincise certamente con l’instaurazione del regime nazista
che nel 1933 gli offrì la presi-
H
Richard Strauss al tavolo da lavoro
denza della Musikkammer
del Reich, carica che egli accettò pur non simpatizzando per la causa. Alla morte
di von Hofmannsthal avvenuta nel 1929, Strauss aveva
però stretto collaborazione
con Stefan Zwig, librettista
viennese di origine ebraica,
fatto che lo indusse per ragioni di opportunità alle dimissioni nel 1935.
Al termine del conflitto
mondiale, Strauss fu esiliato
in Svizzera sotto l’accusa di
collaborazionismo con il regime, ma l’ingiusta disposizione fu poi revocata nel
1947 e permise al musicista
di fare ritorno nella sua amata dimora di Garmisch che
gli era stata requisita dagli
americani per farne il comando della zona, dove si
spense due anni più tardi, l’8
settembre 1949. Solo tre mesi prima, in occasione dei festeggiamenti per il suo ottantacinquesimo compleanno, durante le prove del Rosenkavalier salì per l’ultima
volta sul podio per dirigere
il terzetto finale dell’opera
che fra tutte rimaneva la sua
preferita e che per espressa
volontà dell’autore accompagnò i suoi funerali.
Lu. San.
La librettista
Hedwig Lachmann
edwig Lachmann nasce nel 1865 nel
villaggio di Stolpe, nella Germania
nordorientale. Il padre, corista, si rivela essere una figura fondamentale per l’educazione artistico-letteraria della giovane
Hedwig. Nel 1880 la ragazza va a studiare
ad Augsburg, dove muove i primi passi nell’insegnamento delle lingue e
nella professione di traduttrice. Dopo una breve esperienza in Inghilterra e prima di
intraprendere un viaggio a
Budapest che le rimarrà caro
nei suoi Poemi Ungheresi
(1889), si trasferisce a Dresda.
Nel 1892 a Berlino conosce il
poeta Richard Dehmel, con il
quale stringe un rapporto
d’amicizia che durerà tutta
la vita. Qualche anno più tardi, nel 1899, si innamora di
Gustav Landauer, all’epoca
giovane anarchico e brillante
studente di filosofia, oltre che un giornalista
free-lance. Gustav ed Hedwig si sposano ed
hanno due figlie. All’inizio del nuovo secolo, probabilmente nel febbraio 1900,
Hedwig decide, insieme al marito, di cimentarsi nella traduzione in tedesco della
versione inglese del Salomé, già tradotta
dall’originale francese nel 1894 da Lord Alfred Douglas, giovane amante di Oscar Wilde. Dopo qualche mese è già pronta una prima versione. Nonostante il testo tedesco
sconti il disagio di un doppio passaggio ri-
spetto all’originale, il risultato della Salomé
di Lachmann resta comunque fedele ed il
testo appare soltanto poco più rude, ma al
contempo energico, in grado di suscitare un
maggiore effetto retorico. A Richard
Strauss, che cerca una traduzione tedesca
del Salomé, la versione di Lachmann piace
molto, anche più di quella
del celebre poeta viennese
Anton Lindner, che per primo ha suggerito al compositore di musicare il testo di
Wilde. Hedwig Lachmann
diventa così la “librettista”
della nuova opera di Strauss,
che la renderà famosa. All’inizio della Prima Guerra
Mondiale
si
conclude
l’amicizia con Richard Dehmel: la Lachmann non perdona al poeta la sua vigorosa posizione interventista. Quasi al
termine del conflitto, il 21 febbraio 1918, in una Germania profondamente
colpita dalla guerra, Hedwig Lachmann
muore, per una polmonite. Un anno più tardi, una raccolta dei suoi ultimi poemi viene
data alle stampe dal marito, la cui storia personale, delle sue ferventi posizioni anarchiche e della sua energica battaglia ideologica,
si conclude nel 1919 in un carcere bavarese,
dopo aver tentato invano, alla testa di un manipolo rivoluzionario, di instaurare a Monaco una “repubblica sovietica”.
J. M.
Il
Salome
Giornale dei Grandi Eventi
R
Nella mostra al Quirinale “Turchia 7000 anni di Storia”
L’enigna del medaglione con i capelli dei Donizetti
imane un enigma
la storia di quel piccolo medaglione
d’oro, apribile, con all’interno due ciocche di capelli e sulle due facce
esterne i nomi e le date di
morte dei due fratelli
Giuseppe e Gaetano Donizetti.
E’ normalmente conservato al Palazzo di Topkapi a Istanbul ed ora è uno
dei 43 reperti protagonisti
della mostra allestita nelle Sale delle Bandiere del
Palazzo del Quirinale, organizzata in occasione
della visita del Presidente
della Repubblica Turca in
Italia.
Di forma ovale e fattura
italiana del XIX secolo,
decorata con fiori e foglie
in smalto viola, giallo e
verde, la piccola “reliquia” raccoglie due ciocche di capelli, una bianca
ed una castana. Su un lato vi è l'iscrizione «Giuseppe Donizetti - 12 febbraio
1856», mentre sul rovescio, anch'esso decorato,
la scritta «Gaetano Donizetti 8 aprile 1848»: entrambe le date sono quelle di morte dei due compositori, il primo noto per
N
15
aver lavorato come direttore d'orchestra presso la
corte del sultano Mahmud II, introducendovi la
musica classica occidentale e finendo lì la sua vita con il titolo di Pascià,
mentre il secondo è il celebre compositore dell’Elisir d’Amore.
Quarantatrè reperti, dice-
vamo, per ripercorrere
7000 anni di storia, che
vanno dal 7° millennio
a.C., alla fine dell'Impero
Ottomano nel 1923, con i
fasti della corte del
Topkapi.
Dall'Anatolia, infatti, cul-
la delle civiltà, si può dire
che tutto è partito. Fin dal
neolitico quando, intorno
alla fine dell' 8° millennio
a.C., nella piana di Konya
gli uomini di Çatalhöyük,
dopo aver selezionato semi e piante, da semplici
raccoglitori di alimenti
divennero contadini ed
allevatori. Fu la grande
svolta. Da quel momento
iniziò una catena creatrice di civiltà che si diramò
verso l'Europa e verso
Oriente. Si iniziò a stoccare i raccolti ed ecco nascere gli strumenti amministrativi per la loro gestio-
ne: i sigilli, la
contabilità. Si
affermarono
le prime forme di scrittura, esportate
poi verso la
Mesopotamia. Si divulgò il culto
della Madre
Terra,
dea
della fertilità,
che divenne
Demetra per i
greci e Cerere
per i romani.
Alcuni oggetti, come una
piccola figura
femminile del 3° millennio a.C. in oro ed elettro
(lega naturale di oro ed
argento con cui furono
realizzate le prime monete), escono per la prima volta dal museo delle
Cività Anatoliche di
Ankara.
Via via si ripercorre la
storia, si riscendono i secoli, fino ai capolavori che
accompagnavano, meno
di un secolo fa, la vita fastosa all’interno della
Corte dell’Impero Ottomano. Ori e smalti per i
bacili, pietre incastonate
sulle copertine dei Corani. Talvolta stupisce come il gusto d’Oriente si
avvicini a quello d’Occidente.
"Turchia. 7000 anni di
storia", Roma, Palazzo del
Quirinale, Sale delle Bandiere, fino al 31 marzo. Ingresso gratuito da Piazza del
Quirinale.
Aperta dal lunedi al sabato
dalle 9.30 alle 13.30 e dalle
15.30 alle 19.00; la domenica, ore 8.30-12.00. Informazioni: www.quirinale.it
El. Ca.
Il Concerto per i 50 anni dalla morte di Toscanini
Una celebrazione da dimenticare
on è stato certo il
modo migliore per
celebrare i 50 anni
dalla scomparsa di Arturo
Toscanini avvenuta a Rivardele, New York il 16 gennaio 1957. Il Concerto rigorosamente ad inviti tenutosi
il 9 gennaio scorso al Teatro
dell'Opera (trasmesso da
Rai3 alle 12,30 di martedì 16
gennaio - con l’ascolto immaginabile -, nella “Giornata Toscanini” della Rai,
n.d.r.), organizzato dal Comitato per le celebrazioni di
questo Cinquantenario, ha
lasciato il pubblico piuttosto
perplesso, per musiche annunciate da programma ma
non concordate con l'orchestra, per il forfait - ufficialmente a causa di una influenza - dei due cantanti, il
soprano Anna Rita Taliento
ed il tenore Vittorio Grigolo,
egregiamente sostituiti da
una amica dell'Opera di Roma come Fiorenza Cedolin
e dal volenteroso Massimiliano Pisapia.
Un programma corto, troppo corto, tanto da lasciare il
pubblico in platea ad interrogarsi. Ironico spettacolo
quello delle persone che
non volevano abbandonare
i posti e si intrattenevano,
come in un intervallo, mentre sul palco gli attrezzisti
provvedevano a smontare i
microfoni. In pratica solo tre
brani, aperti da una Suite,
un collage di arie dalla Carmen di Bizet, opera con la
quale il Toscanini debuttò al
Teatro Costanzi di Roma
nel 1892, sei anni dopo il
suo rocambolesco esordio
sul podio come direttore,
avvenuto a Rio di Janeiro
sostituendo - lui violoncellista - il direttore brasiliano
Miguez che aveva abbando-
nato bacchetta ed orchestra
dopo il primo atto di una
Aida. Certo, se le esigenze
televisive richiedevano un
programma contenuto, si
sarebbe dovuto guardare al
Concerto di Capodanno da
Vienna, dove in mondovisione viene trasmessa solo
la seconda parte dell’appuntamento.
Paradossalmente questo
senso di improvvisazione a
mezzo secolo dalla sua morte ha caratterizzato il ricordo di Toscanini, passato alla
storia proprio per il suo rigore, per la sua puntigliosità. Poi, nel programma il
Maestro Gelmetti, sempre
appassionato dal podio, ha
voluto unire – lasciando
però più di qualcuno qualcuno dubbioso - senza soluzione di continuità il Preludio del III atto di Traviata ed
il preludio alla morte di
Isotta dal Tristan und Isolde
di Wagner, opera quest’ultima dopo aver diretto la
quale Toscanini - per ammirazione - smise di comporre.
A chiudere il concerto il finale del primo atto, quello
della «gelida manina», della
Bohème di Puccini, opera da
Toscanini diretta nella prima esecuzione assoluta.
Questo il concerto d’apertu-
ra delle celebrazioni. Forse se ci possiamo permettere tali Comitati, che nascono da nessuno invocati - per
commemorazioni che, invece, andrebbero realizzate da
istituzioni pubbliche od in
coordinamento tra i vari
teatri italiani, piuttosto che
rastrellare a destra e sinistra
patrocini - e forse fondi istituzionali, dovrebbero curare con maggiore professionalità le organizzazioni,
ma soprattutto permettere
al pubblico – che si dimentica sempre, è il primo protagonista – di potervi assistere. Soprattutto se si vuole
“ricordare” qualcuno, sarebbe meglio una azione
“divulgativa”, piuttosto che
un concerto per presunti
VIP che neppure intervengono, lasciando enormi e
tristi buchi in platea.
And. Mar.
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