SOCIETÀ ITALIANA DI ECONOMIA AGRARIA XLV Convegno di Studi “Politiche per i sistemi agricoli di fronte ai cambiamenti: obiettivi, strumenti, istituzioni” Portici, 25-27 settembre 2008 L’ AGRICOLTURA CONTADINA TRA COMPETITIVITA’ E INNOVAZIONE di Giuseppe Gaudio, Sonia Angelisi e Mario Coscarello1 1. Introduzione Lo sviluppo delle aree rurali ha assunto in questi ultimi anni un’importanza crescente. Le ragioni di ciò nascono dall’esigenza, a livello comunitario, di individuare nuovi paradigmi per raggiungere gli obiettivi posti dalla nuova politica comunitaria e dall’esigenza, a livello scientifico, di far emergere nuove ed eterogenee pratiche di fare agricoltura e una diversa relazione con l’ambiente, con il territorio, con attori locali, con la produzione, improntata sulla sostenibilità, solidarietà, equità ed eticità. Dal punto di vista teorico, si fa riferimento ai percorsi di sviluppo rurale (van der Ploeg, 2006; Cavazzani et al., 2006), al modello di produzione contadino (Milone, 2004; Ventura e Milone, 2005), alle reti agroalimentari alternative (Renting et al., 2003) e all’altra economia (Albert, 2003; Saroldi, 2003). L’analisi empirica si basa: • sull’utilizzazione dei risultati del seminario nazionale su “l’Altra agricoltura… verso un’economia rurale sostenibile e solidale”, tenutosi presso l’Università della Calabria dal 24 al 26 gennaio 2008 e promosso dalla sede regionale per la Calabria dell’INEA2, in collaborazione con la Rete Nazionale per lo sviluppo rurale e il Dipartimento di Sociologia dell’Università della Calabria, all’interno del quale studiosi, esperti, operatori, tecnici hanno dibattuto, confrontato idee e 1 Giuseppe Gaudio, Ricercatore INEA Calabria ([email protected]), Sonia Angelisi, stagista INEA Calabria ([email protected]) e Mario Coscarello, stagista INEA Calabria ([email protected]) 2 L’INEA, fin dal 1994, ha inserito lo sviluppo rurale fra i temi centrali delle proprie attività istituzionali, caratterizzate da azioni di ricerca ed azioni di supporto alla Pubblica amministrazione sia in sede nazionale che regionale. percorsi e scambiato saperi, competenze ed esperienze sulle iniziative in corso nelle aree rurali3; • sulla lettura del Piano Strategico Nazionale (PSN), del Quadro Strategico Nazionale (QSN) e dei Programmi di Sviluppo Rurale delle 21 regioni/province; • su un’indagine quanti-qualitativa in corso presso la sede regionale dell’INEA. I risultati del seminario hanno condotto all’ideazione di un progetto di ricerca4 con l’obiettivo, da un lato, di produrre nuovi strumenti e metodi e, dall’altro, di ridefinire politiche pubbliche di sviluppo a supporto dei processi reali in corso. Il lavoro qui presentato, certamente non esaustivo, perché ancora in corso di ulteriori riflessioni ed approfondimenti quanti-qualitativi, assume, oggi, una particolare rilevanza perché è quasi conclusa la programmazione 2000-2006 e già avviata quella per il periodo 2007-2013 e perchè queste dinamiche sollevano alcune questioni alle quali la ricerca, le politiche e gli attori locali, compresi quelli del sistema agricolo, non possono restare indifferenti. Il lavoro pone attenzione sulla cosiddetta “agricoltura contadina”, dove le risorse, prime fra tutte il lavoro familiare, sono prodotte, riprodotte e valorizzate all’interno dell’azienda agricola e dove c’è un uso congiunto in più attività, da quelle della produzione di beni alimentari a quelle della produzione di servizi ambientali e sociali, a differenza di quanto avviene nel modello convenzionale. E’ un processo di cambiamento che definisce nuovi metodi, pratiche e comportamenti. E’ anche un processo di innovazione, all’interno del quale si ridefiniscono termini quali la competitività e nuove forme di governance per l’entrata nei luoghi decisionali di soggetti nuovi, portatori di pratiche ed iniziative eterogenee. Tutto ciò, altresì, di 3 La Sede regionale dell’INEA per la Calabria e il Dipartimento di Sociologia dell’Università della Calabria stanno concludendo il lavoro di revisione degli atti che saranno inseriti a breve sul sito dell’INEA (www.inea.it) e pubblicati nella collana Quaderni Informativi della Rete Nazionale per lo sviluppo rurale. 4 Il progetto di ricerca, strutturato in fasi propedeutiche, basa il suo metodo su un dialogo continuo tra agricoltori, tecnici dei servizi di sviluppo, associazioni professionali, ricercatori per costruire un linguaggio comune e creare un terreno condiviso di idee capaci di proporre innovazioni da sperimentare attraverso azioni pilota sul territorio. La metodologia adottata è caratterizzata dalla combinazione di metodi quantitativi (indagini, dati statistici, analisi dati/informazioni, ecc.) e metodi qualitativi (casi studio, focus group, incontri territoriali, analisi di contesto, interviste a testimoni privilegiati, seminari, ecc.). Un’altra novità importante è rappresentata dal fatto che nel progetto, grazie a due convenzioni di tirocinio e di formazione e orientamento sottoscritte tra INEA, Facoltà di Economia e Università della Calabria, sono coinvolti attivamente (formazione sul campo) gli studenti del Corso di Laurea Specialistica in Discipline Economiche e Sociali per lo Sviluppo e la Cooperazione. 2 ripensare in profondità la produzione di politiche a supporto delle nuove iniziative territoriali. 2. I processi di cambiamento nelle aree rurali In Italia, a partire dalla fine degli anni ’50, le campagne sono state investite da profonde trasformazioni, i cui effetti (la diffusione della proprietà diretto-coltivatrice, l’agricoltura a tempo parziale, l’affermazione di un’agricoltura specializzata, l’esodo agricolo, l’aumento del costo del lavoro e della meccanizzazione, il ricorso ai fertilizzanti e ad altri prodotti chimici) hanno avuto conseguenze importanti e contrastanti (INEA, 1997): • aumento della produzione agricola e sostegno dei redditi degli agricoltori, penalizzati da una strategia di sviluppo concentrata sulla grande industria e sulle aree urbane; • creazione di un nuovo paesaggio agrario e rurale; • aumento del tasso di inquinamento ed accumulo delle eccedenze alimentari; • aumento, in maniera incontrollata, della spesa comunitaria; • impedimento della modernizzazione del settore, perché le “garanzie” di mercato minavano lo spirito imprenditoriale; • produzione di squilibri tra i diversi paesi, tra i diversi comparti e tipologie aziendali. Dal punto di vista scientifico, il dibattito sull’articolazione territoriale (Bagnasco, 1977) ha favorito, al posto della teoria economica che, fino agli anni settanta, considerava lo sviluppo come un processo lineare ed omogeneo, l’emergere di una nuova concezione dello sviluppo in cui il territorio diviene una variabile determinante nell’identificazione delle molteplici tipologie (Garofoli, 1991; Storti, 2000). Questi processi di cambiamento, determinando al tempo stesso profonde differenziazioni territoriali, hanno reso la realtà regionale e subregionale molto differenziata. Pur con situazioni differenti, in rapporto ai contesti storico-insediativi e socio-economici, quasi tutte le aree rurali sono in qualche maniera investite da trasformazioni che hanno prodotto nuovi scenari, nuove problematiche, nuovi approcci e nuovi modelli di sviluppo. L'intensità e le modalità dello sviluppo hanno condizionato anche le trasformazioni e gli 3 adattamenti strutturali interni all'agricoltura [AA. VV., 1992; De Benedictis, a cura di, 1990 e 1995; Mantino, 1995]. A partire dal 1988, con la pubblicazione del documento della Commissione sul futuro del mondo rurale, e successivamente con le misure di accompagnamento della riforma Mc Sharry e la creazione, all’interno di Agenda 2000, del secondo pilastro della PAC, la politica di sviluppo rurale (De Filippis, 2004) ha disegnato un nuovo modello di agricoltura. Le motivazioni di tale cambiamento sono diverse: vanno ricercate nei cambiamenti della politica europea (limitazioni delle produzioni, riduzione del sostegno, incremento dei costi di produzione e dei costi legati a nuove forme di garanzia verso l’ambiente e verso i consumatori) fortemente condizionata da vincoli di bilancio e dal contesto internazionale, ma anche legate a un nuovo modo di intendere ed utilizzare lo spazio rurale frutto della crisi del paradigma di modernizzazione e del crescente numero di evidenze della sua insostenibilità. Tale modello si caratterizza in “… una maggiore rispondenza alle esigenze del mercato e una migliore competitività, la sicurezza e la qualità degli alimenti, la stabilizzazione dei redditi agricoli, la presa in considerazione dei problemi ambientali nell’ambito della politica agricola, una maggiore vitalità delle zone rurali, la semplificazione e un maggior decentramento...” (Commissione europea, COM, 2003-23def). L’UE promuove, in pratica, un’agricoltura competitiva e multifunzionale5 nel contesto di una strategia globale di sviluppo rurale sostenibile. Questo comporta una revisione del paradigma teorico di riferimento poiché il concetto di sviluppo rurale fa emergere dal punto di vista economico quello delle economie di scopo, di rete, di agglomerazione, piuttosto che quello delle economie di scala, e concetti quali quello di sapere locale, risorse sociali e beni di relazione. Dal punto di vista politico, l’attenzione si sposta (o si sarebbe dovuta spostare) dagli strumenti finalizzati principalmente alla riduzione dei costi a quelli atti a sostenere, 5 Il dibattito sul concetto di multifunzionalità coinvolge ricercatori (Velazquez, 2004; Henke, 2004), molti paesi ed organizzazioni (OCSE, 2001), ma anche la stessa UE (UE, 1999). Secondo l’UE, il termine multifunzionalità sintetizza il nesso fondamentale tra agricoltura sostenibile, sicurezza alimentare, equilibrio territoriale, conservazione del paesaggio e dell’ambiente, nonché la garanzia dell’approvvigionamento alimentare. In Italia, il ruolo multifunzionale dell’agricoltura ha trovato un riconoscimento ufficiale con l’emanazione sia del decreto legislativo n. 228/2001 che del decreto legislativo n. 99/2004. 4 incentivare e regolare una maggiore compatibilità con le esigenze sociali, prime fra tutte quella ambientale. In Italia, grazie alla molteplicità dei sistemi agricoli territoriali (Fabiani, 1991), il processo di modernizzazione dell’agricoltura ha condotto all’individuazione di tre tipologie estreme: • un’agricoltura, la “vera” agricoltura, che remunera le risorse ad un livello comparabile a quello degli altri settori e che è inserita nei circuiti di mercato; • un’agricoltura, ritenuta marginale, perché secondo il modello industrialista era priva di quelle economie di scala, di quella specializzazione e standardizzazione necessarie per stare sul mercato, che impiega le risorse ad un basso livello di produttività e di remunerazione e che è sostanzialmente esclusa dai circuiti commerciali; • la cosiddetta “agricoltura contadina”6, dove non tutto viene regolato dal mercato, ma vi è un solo parziale inserimento in esso. Questa ultima tipologia di agricoltura, forse più delle altre, si è mantenuta viva negli anni e ha manifestato sempre più originali potenzialità quando, come oggi, l’attenzione è posta sullo sviluppo rurale locale, sulle economie di scopo, sulla valorizzazione del capitale umano e sociale, sulla flessibilità e sulla multifunzionalità, sulla diversità e specificità territoriali. Questo modello è fortemente legato al progetto che si danno i diversi attori che operano in un determinato territorio e non dipende esclusivamente dai condizionamenti esterni del mercato. E’ la modalità che ha permesso a molti agricoltori di adottare strategie di sicurezza nel fronteggiare mercati divenuti sempre più competitivi. Alla sua base vi è la spinta a mantenere o accrescere l’autonomia rispetto ai processi di integrazione nel sistema agroalimentare, che implica invece un aumento della dipendenza. Molte imprese agricole totalmente dipendenti dall’industria sono state travolte dai processi di selezione e ristrutturazione di pezzi consistenti del sistema agroalimentare. Sono invece sopravvissute proprio quelle aziende che solo parzialmente hanno accettato 6 Questo modello non va confuso con l’agricoltura di sussistenza che ha connotato le campagne prima dell’avvento del capitalismo, ma è strettamente connesso con la fase di industrializzazione del settore primario. 5 di integrarsi nel mercato ed hanno saputo sviluppare forme di diversificazione e rapporti informali con le reti locali di valorizzazione del territorio. L’agricoltura nel suo processo di modernizzazione, mirando ad un aumento della produttività e alla riduzione dei costi dei fattori7, ha subito una continua disconnessione dei processi produttivi dai fattori limitanti, soprattutto la terra, e di conseguenza anche dal territorio, considerato dalla società generale un “bene pubblico” e dalla letteratura scientifica un fattore strategico e una risorsa importante per favorire/ritardare i processi di sviluppo (Cersosimo, 2000). Le stesse tecniche agricole, frutto del processo di interazione uomo-natura, vengono oggi costruite prevalentemente al di fuori dell’ambito territoriale nel quale devono essere utilizzate, comportando una serie di inefficienze e soprattutto un uso delle risorse naturali che non sempre ne garantisce la riproducibilità, necessaria alla diffusione di uno sviluppo endogeno. L’esito inatteso del processo di industrializzazione dell’agricoltura si può chiarire ricostruendo le diverse modalità di organizzare un’azienda agricola e di produrre una strategia imprenditoriale (van der Ploeg, 2006). Attraverso lo studio IMPACT, introdotto da Van der Ploeg (2002) e ripreso in seguito da vari autori, viene ideato il cosiddetto “Triangolo del valore dall’agricoltura moderna”, secondo il quale l’agricoltura convenzionale, sebbene rimanga il nucleo fondamentale dell’agricoltura, è sempre meno in grado di rispondere al nuovo paradigma dello sviluppo rurale, per cui lo sviluppo dell’agricoltura avviene lungo tre percorsi alternativi praticabili dalle imprese: deepening, broadening, regrounding. 3. Il modello “contadino” La “specificità contadina”, che solo apparentemente presenta aspetti arretrati e inefficienti, ha conservato maggiormente quel capitale “sociale” e “naturale” che, oggi, potrebbe risultare prezioso nei nuovi processi di sviluppo da attivare nell’attuale società chiamata a fronteggiare rischi inediti come i cambiamenti climatici8. 7 Il modello fordista applicato anche in agricoltura si è infatti risolto principalmente nella ricerca di economie di scala dell’industria a monte ed a valle del settore agricolo. Tale processo ha portato ad una omologazione delle tecniche ed a forme di organizzazione della produzione e commercializzazione finalizzate alla standardizzazione della materia prima agricola. 8 A tal proposito, sui rapporti tra agricoltura e cambiamenti climatici, si segnala la trasmissione Report, dal titolo “Buon Appetito”, andata in onda domenica 13 aprile 2008. 6 Nell’agricoltura contadina, dove le risorse sono prodotte e riprodotte all’interno dell’azienda agricola, il lavoro costituisce una risorsa specifica e ben differenziata rispetto alle altre e non direttamente sostituibile con il capitale. Anche gli investimenti di tipo tecnologico vengono quindi finalizzati alla valorizzazione delle risorse specifiche, prime fra tutte il lavoro familiare. La presenza di produzioni diverse e di attività diverse nella famiglia consente di spostare risorse da una produzione/attività all’altra a seconda dell’andamento del mercato salvaguardando gli investimenti materiali ed immateriali effettuati dall’impresa/famiglia (De Benedictis, 1995). Il “modello contadino” mostra, inoltre, una maggiore sostenibilità da un punto di vista ambientale poiché riesce a riprodurre le risorse produttive a differenza di quanto avviene nel modello di modernizzazione, dove l’obiettivo è quello di aumentare la produttività delle risorse naturali. Le evidenze della presenza del “modello contadino” nel panorama rurale europeo sono sempre più numerose sia in Italia che in Europa (van der Ploeg, 2006; Milone, 2004; Ventura e Milone, 2005). Il quadro che emerge è quello dell’esistenza di una prospettiva di sviluppo sostenibile nel lungo periodo, inteso come il mantenimento, all’interno delle zone rurali, della capacità di produrre beni differenziati attraverso processi nei quali vengono riprodotte le risorse naturali e le conoscenze. Il cambiamento verso questo nuovo paradigma è stato operato “dal basso” e da un sempre crescente numero di imprese che hanno adottato nuove strategie per garantirsi non solo la sopravvivenza, ma la vitalità e la riproduzione della propria azienda attraverso un modello sempre più distante da quello della modernizzazione e dalla sua capacità di creare una totale dipendenza dell’agricoltore nei confronti del suo sentiero tecnologico. Il nuovo modello emergente è basato su meccanismi capaci di ridurre i costi di transazione e di catturare valore aggiunto attraverso specificazioni qualitative legate a funzioni molto diversificate che, oltre a quella produttiva o nutrizionale, fanno riferimento a quella ambientale e dei servizi sociali e che coinvolgono aspetti come la qualità del processo e le componenti immateriali legate al contesto ambientale e naturale locale. Ma quali caratteristiche hanno queste aziende? 7 Queste imprese sono gestite da conduttori giovani ed istruiti con aspettative e fiducia nel futuro del settore, integrate nel tessuto economico e sociale del territorio o alla ricerca di nuovi strumenti di integrazione, con relazioni attraverso le quali hanno individuato nuovi mercati e nuovi prodotti che corrispondono alle esigenze di fasce crescenti di consumatori. Aziende di successo con redditi soddisfacenti per l’agricoltore e per la sua famiglia e soprattutto con una nuova consapevolezza dell’importanza del proprio lavoro, della propria crescita professionale, aperte a nuove sperimentazioni e spesso in cerca di nuovi alleati. Non si tratta di aziende marginali condotte da quella fascia di popolazione rurale di età avanzata che aveva sopravvissuto grazie a quelle misure di politica sociale che negli anni ‘70 e ’80, avevano accompagnato il processo di modernizzazione dell’agricoltura (indennità di disoccupazione e di maternità, prepensionamento, ecc.). A tale modalità sono, infatti, legati “stili aziendali” (Ventura e Milone, 2005; van der Ploeg, 2006) che fanno riferimento al valore dei rapporti familiari e delle reti relazionali locali (Elia, 2006), alla cultura diffusa nel territorio, all’interpretazione del processo produttivo come costruzione sociale (Paci, 1980) ed al rapporto con il mercato e con la tecnologia in funzione delle proprie convenienze. 4. La risposta del “locale”: l’agricoltura che non ti aspetti Attraverso l’analisi delle pratiche differenziate di fare agricoltura in Europa, viene dunque teorizzato un nuovo paradigma emergente in contrasto con quello della modernizzazione. Questo processo è un processo endogeno, definito sostanzialmente dagli attori sociali, che produce ricchezza sociale declinata in termini di nuovi legami tra agricoltura, società e natura. Anche il modo di produrre contadino è da declinare al plurale per sottolineare i diversi modi di fare agricoltura, rispetto al modello convenzionale, e dunque l’estrema eterogeneità delle pratiche agricole (Corrado, 2006). Le nuove strategie contadine sono finalizzate a ricercare nuove economie in azienda e a ridefinire e strutturare nuovi legami con il territorio, a riappropriarsi di risorse e saperi e a preservare il territorio il paesaggio e l’ambiente. Un altro concetto importante è quello dell’autocertificazione ovvero questo processo di assunzione di responsabilità nei confronti anche dei consumatori e far sì che i produttori siano anche sempre più interessati a costruire 8 relazioni con i consumatori con gli altri attori sociali, che rimanda alla territorializzazione nei termini di salvaguardia, rivitalizzazione e solidarietà economica. A tal fine, si strutturano nuove reti e forme di cooperazione tra gli stessi produttori, che spesso le legano anche ad altre entità locali, quali amministrazioni locali ed enti di ricerca o ad altri territori attraverso forme di scambio, di esperienze e di saperi (ARSIA, 2007). Il legame con il territorio (Sivini, 2006) rimanda alle relazioni tra l’agricoltura contadina e gruppi di acquisto solidale (GAS) e l’organizzazione di mercati contadini (Elia, 2006), distretti di economia solidale (Saroldi, 2003), la riappropriazione e valorizzazione delle risorse locali (Corrado, 2007). Infine, ma fondamentale, è la ricerca di autonomia dei contadini, costruita attraverso l’autogestione delle risorse, Questo è anche un elemento che può sostenere lo sviluppo locale, può essere funzionale a trattenere ricchezza sul territorio e a distribuire benefici tra i diversi attori sociali che possono concorrere a questo processo di condivisione. Le imprese agricole, valorizzando le proprie risorse, esplorano percorsi innovativi e ridefiniscono il proprio ruolo. Gli ambiti in cui si muove l’agricoltura sono molto complessi: coniugano in forma responsabile attività produttive e servizi alla persona, attività economica e di servizio, imprenditorialità e volontarietà, ragioni private e pubbliche, beni privati e collettivi, pratiche aziendali ed esperienze di rete, iniziative autonome e governance. Esistono nella realtà pratiche alternative di produzione e consumo, di protezione sociale e reti di relazioni che: • contribuiscono al miglioramento della qualità della vita e alla capacità di attrazione di un sistema locale; • rigenerano stili di vita, nonché rivitalizzano valori, propri dei territori rurali; • promuovono pratiche ed iniziative coerenti tra bisogni delle popolazioni e competitività delle aree rurali. La funzione produttiva primaria sempre più si confonde con una funzione etica e sociale producendo un processo che ha molte sfaccettature e che coinvolge diversi livelli: oltre quello economico, pervade la sfera del sociale, della politica, delle risorse naturali ed ambientali. I processi in agricoltura e nelle aziende agricole sempre più si intrecciano con elementi materiali ed immateriali del territorio, attori economici e sociali ed istituzioni. 9 L’azienda agricola si apre all’esterno e diventa parte integrante di percorsi di sviluppo territoriale. Queste aziende agricole perseguono un equilibrio tra l’attuazione di processi produttivi che generano prodotti agricoli competitivi, la sostenibilità economica, connotazioni etiche e solidali, consumo consapevole e l’offerta di servizi di carattere sociale. L’agricoltura a finalità sociale o l’agricoltura ad economia locale e solidale appare come una nuova frontiera delle attività agricole. L’uso dell’azienda agricola per la sostenibilità economica e per il soddisfacimento di bisogni sociali, quali il recupero e l’inserimento di soggetti svantaggiati, attività didattiche e formative, inclusione sociale e opportunità di reddito nelle aree rurali, ancora invisibile a molti policy makers, è una realtà (Di Iacovo e Senni, 2006; ARSIA, 2007). In altri casi ancora, cercano di resistere alla modernizzazione del settore, riorganizzandosi dal basso (costruendo reti informali, utilizzando marchi etici, social labels, sistemi che auto-certificano la tracciabilità sociale del prodotto), su una domanda sensibile alle istanze etiche e dando luogo a “filiere corte” e consumo “consapevole” in alternativa all’economia globalizzata9. Entrambi i processi cercano di dare risposta, accrescendo i livelli competitivi delle aree rurali, a problematiche inerenti i sistemi di welfare e di inclusione sociale (Di Iacovo, 2003), nonché di miglioramento della qualità della vita, e/o a problematiche inerenti la sostenibilità etica e sociale dei processi produttivi. I percorsi sono molto diversi tra loro in termini di tipologie di attività, di categorie sociali coinvolte e in termini di obiettivi specifici. Pur tuttavia, è possibile rintracciare un obiettivo globale e un filo comune che lega le diverse e complesse attività: • si esce dai confini dell’azienda agricola per costruire reti economiche e sociali che rivitalizzano le aree rurali; • concetti come quelli di reciprocità, collaborazione, partecipazione, eticità e solidarietà convivono con quelli di benessere, mercato e profitto; • si ricostruisce un tessuto sociale aperto a nuovi soggetti; • la funzione produttiva primaria sempre più si confonde con una funzione sociale ed etica; 9 Interessanti spunti di riflessione e di evidenza empirica su tale tema vengono fuori dalla ricerca PRIN, Anno 2004, coordinata da Ada Cavazzani e condotta dall’Unità di Ricerca dell’Università della Calabria dal titolo “Reti sociali innovative per lo sviluppo rurale sostenibile”. 10 • si mette in moto un processo e una progettualità integrata che coinvolge diversi soggetti e diversi livelli (economico, sociale, istituzionale); • si creano alleanze tra agricoltori, tra questi e i cittadini delle aree rurali ed urbane, tra questi e i decisori politici; • le diverse attività rientrano negli obiettivi di carattere generale all’interno delle politiche dei Fondi Strutturali quali quelle di favorire la sostenibilità ambientale, le pari opportunità e l’occupazione; • si contribuisce a realizzare forme alternative ed innovative di mercato affinché il valore aggiunto possa restare sempre più legato alla produzione e al territorio. 5. Le innovazioni dell’agricoltura contadina Mai come adesso l’agricoltura sta vivendo un momento di forte innovazione, che parte proprio dalla riscoperta della natura multifunzionale del processo produttivo agricolo e dalla nuova consapevolezza che ne ha l’agricoltore. Gli agricoltori che oggi stanno rivitalizzando le aree rurali elaborano soluzioni originali, fortemente contestualizzate, capaci di affrontare problematiche complesse determinate dall’introduzione nel processo produttivo di una nuova attenzione all’ambiente, al territorio ed allo stesso consumatore, nonché al sociale. C’è sempre maggiore interesse intorno alla capacità delle attività agricole, e delle risorse che queste utilizzano, di rispondere anche ad esigenze di carattere sociale, quale l’agricoltura sociale, per due ordini di motivi: da un lato, a seguito del più generale ripensamento del ruolo che l’agricoltura può svolgere nella società; dall’altro, a seguito della crisi dei tradizionali sistemi di welfare nel rispondere ai nuovi bisogni in contesti rurali. Questo ultimo tipo di attività aziendale sta raccogliendo un interesse crescente negli anni più recenti sia da parte del mondo agricolo che da parte di operatori sanitari e dei servizi sociali, degli studiosi, degli Enti locali e dei policy makers (Di Iacovo, 2003; Di Iacovo e Senni, 2006). Nello stesso tempo, aumenta la necessità di organizzare queste esperienze innovative che rischiano di rimanere limitate o disperse e, pertanto, incapaci di diventare volano di sviluppo territoriale. 11 La riscoperta di legami funzionali con il territorio vuol dire anche la ricerca di sinergie da parte dell’impresa agricola con soggetti nuovi, quali le associazioni dei consumatori, quelle per la tutela dell’ambiente e del sociale. Il territorio, con le sue istituzioni, diventa il vero protagonista del processo di rinnovamento dell’agricoltura e del mondo rurale. E’ sul territorio che possono essere create le condizioni per la realizzazione di una tale convergenza e quindi le sinergie necessarie allo sviluppo delle attività innovative. La funzione delle istituzioni del territorio è quella di dare coerenza a norme formali ed informali, provenienti da ambiti diversi e spesso contradditori tra di loro con l’identità del territorio. Identità che risiede nelle sue risorse, nella sua storia e nella sua cultura e può salvaguardare la competitività e l’innovatività dell’impresa agricola. Il nuovo paradigma, basato sulla diversità, in opposizione all’omologazione di quello precedente, si avvale della possibilità di costruire reti a cui partecipano attori provenienti da settori diversi (agricoltura, ambiente, formazione, servizi socio-sanitari, ecc.). In questo nuovo paradigma non sono solo più le caratteristiche intrinseche del prodotto ad avere valore, ma tutti quei contenuti legati alle modalità di produzione, alla storia, alla località. La costruzione di reti in cui possono nascere sinergie tra settori e territori diversi, dove gli stessi utenti danno garanzie attraverso la propria esperienza, costituisce una soluzione tecnologicamente avanzata a questi problemi. L’innovazione consiste, infatti, in conoscenze tecniche ed organizzative che favoriscono il miglioramento dei processi produttivi o delle funzioni d’impresa e questo rispetto sia alla competitività dell’impresa, ma soprattutto alla sua compatibilità con il benessere collettivo. Lo sviluppo di sinergie tra il progetto collettivo del territorio ed il progetto individuale dell’imprenditore nasce all’interno di un contesto negoziale dove i comportamenti dei singoli sono valutati rispetto alle aspettative collettive e dove è possibile disegnare e rendere operativi norme e condizioni socio–economiche più adeguate ad uno sviluppo sostenibile e autonomo del territorio. Conferire visibilità all’aspetto multifunzionale dell’impresa, infatti, vuol dire che questa deve relazionarsi non più solo con attori economici ed istituzionali del settore, ma con attori esterni a questi che partecipano al sistema territoriale locale a diverso titolo. Questo crea nuove opportunità per l’impresa, ma un aumento della complessità dei suoi 12 processi informativi e decisionali. Il ruolo delle istituzioni diviene, quindi, quello della mediazione delle esigenze dei diversi attori, della ricomposizione degli interessi e del fornire all’impresa gli strumenti per il governo di una tale complessità. La governance, quindi, è uno dei possibili modi di coordinamento di attività complesse e interdipendenti tra di loro. Il crescente interesse per nuove forme di governance nasce dal fatto che le istituzioni tradizionali quali il mercato e lo Stato non sono più adeguate a governare la crescente complessità conseguente al riconoscimento delle specificità territoriali, ai bisogni ed esigenze di una società sempre più complessa e di dimensioni globali. Alcuni problemi di grande rilevanza per la società, come, ad esempio, la sicurezza alimentare e la sicurezza ambientale hanno già messo in evidenza i limiti di un approccio tradizionale di governo e la necessità di nuove forme di governance multi livello che creino il necessario coordinamento tra il livello locale e il livello sovranazionale passando per i livelli intermedi. Questi problemi, infatti, hanno bisogno non di norme uniformi, piuttosto di un consenso generale sugli obiettivi e di norme e pratiche localmente specifiche. Tali pratiche hanno messo in discussione il concetto di competitività, che non appartiene più e solo all’agricoltura modernizzata, standardizzata e omologata o comunque non può più, e solo, essere valutata attraverso fattori strettamente economici. La lettura della competitività si sposta dai mercati globali e guarda al territorio come uno spazio dove l’azienda ritrova nuovi mercati, domande e servizi e copartecipa allo sviluppo sostenibile e solidale del territorio. Emerge quindi un altro tipo di competitività: il risintonizzarsi sul territorio restituisce anche una competitività locale all’azienda, che non solo contribuisce allo sviluppo locale sostenibile ma è in grado di rigenerarsi e di riprodursi anche economicamente. Al termine competitività gli si da un senso, una direzione, e la si misura in funzione del territorio e della multifunzionalità. Quanto più ha le sue radici nel territorio, quanto più usa il capitale ecologico, capitale sociale e capitale culturale per connettersi con i consumatori tanto più è competitiva. La competitività va letta come la capacità di un’azienda di accogliere le sfide esterne (opportunità e minacce), di affrontarle e di riuscire a rigenerarsi, a riprodursi e ad ampliare le proprie attività. 13 Inoltre, la questione ambientale, i problemi di sicurezza alimentare, le problematiche di eccedenza produttiva, che negli ultimi anni hanno messo in discussione la necessità stessa di mantenere un settore agricolo vitale in Europa, hanno definitivamente rotto la coerenza interna tra paradigma scientifico dominante nelle scienze agrarie e norme socio–politiche che regolano lo sviluppo del settore agricolo. In questo nuovo processo di costruzione delle conoscenze cambiano le modalità ed i rapporti tra l’impresa, le Università e gli istituti di ricerca all’interno dei quali viene prodotta la conoscenza scientifica. Vi è, infatti, un passaggio dal modello lineare di trasferimento della conoscenza che parte dalla produzione scientifica per giungere all’impresa, ad un modello in cui soluzioni imprenditoriali, localmente specifiche, vengono studiate e riprodotte con metodi scientifici. Si crea una nuova dialettica tra ricerca scientifica ed evidenza empirica all’interno della quale il metodo scientifico mette in discussione teorie dominanti, formalizzando l’evidenza empirica e facilitando il trasferimento delle pratiche (Di Iacovo, 2003). Da molte evidenze empiriche (Di Iacovo e Senni, 2006; ARSIA, 2007) emergono però due elementi promettenti per il ridisegno delle relazioni tra scienza e impresa: • la nuova capacità degli imprenditori agricoli di relazionarsi, anche in termini di linguaggi, con il mondo della ricerca; • esistono già i semi di cambiamento all’interno del mondo della ricerca e dell’assistenza tecnica poiché spesso è proprio grazie alla presenza di ricercatori e tecnici che è stato possibile creare dinamiche locali innovative. C’è spazio per una ricerca nuova, non tradizionale, che corrisponda alle necessità e ai problemi attuali e futuri. La ricerca deve riuscire a combinarsi con più efficacia con i processi reali che avvengono sul territorio, per sostenerli ed indirizzarli. Ancora troppo poco fa la ricerca scientifica su tematiche come queste: agricoltura contadina, sovranità alimentare, biodiversità, risorse ambientali e beni comuni. 6. Novità, limiti, ritardi e contraddizioni delle politiche Se quanto detto è testimoniato dalle esperienze che, negli ultimi anni, si stanno consolidando in Italia (Carbone et al., 2007; Ventura e Milone, 2005; Di Iacovo, 2003; Cavazzani et al., 2006; Saroldi, 2003), le politiche come rispondono a queste sollecitazioni che provengono spesso in maniera autonoma dal territorio? 14 Non vi è dubbio che Agenda 2000 ha rappresentato uno dei passaggi più delicati degli ultimi anni ed ha per certi versi operato una razionalizzazione dell’insieme di strumenti che prima avevano funzionato in maniera frammentata (Mantino, 2002). Da questo punto di vista, la programmazione 2000-2006 può essere vista come un passo in avanti verso un’impostazione di una politica di sviluppo diversa rispetto al passato, più coerente e più ambiziosa, pur con tutti i limiti emersi durante la fase di attuazione. Anche il nuovo Regolamento (CE) n. 1698/2005 sullo sviluppo rurale introduce, in continuità con Agenda 2000, importanti cambiamenti capaci di incidere positivamente nelle economie rurali sia in termini di modelli di sviluppo e di governance che rispetto alle questioni ambientali, all’evoluzione delle condizioni sociali e di miglioramento della qualità della vita (INEA, 2006). Tutto ciò è coerente con quelli che sono gli obiettivi posti a Lisbona e Goteborg, nonché dagli Orientamenti Strategici Comunitari, rispetto alla promozione dei sistemi competitivi e sostenibili, nonché all’uso integrato delle politiche. Sono anche chiari e precisi gli obiettivi e le strategie attraverso cui si articola il Piano Strategico Nazionale (PSN) e, a cascata, i Piani di Sviluppo Regionali (PSR), suddivisi in quattro assi10 all’interno dei quali scegliere tra un set misure quelle più adatte a raggiungere gli obiettivi prefissati. La tematica, qui trattata, trova una sua prima sommaria definizione, come specifica area di intervento, in maniera esplicita e/o implicita, nella nuova programmazione dello sviluppo rurale. Nel Piano Strategico Nazionale (PSN) e nei Piani di Sviluppo Regionale 2007-2013 vengono inserite, nel primo Asse, enunciazioni di principio che fanno riferimento all’ammodernamento aziendale, alla riconversione ed adeguamento tecnologico e agli standard (impatto ambientale, sicurezza alimentare, ecc.), alla gestione dei fattori produttivi e al superamento dei imiti imposti dalla dimensione fisica delle aziende, al rafforzamento della competitività delle filiere, anche a quelle che hanno una dimensione territoriale contenuta, ecc.. Anche nell’Asse II, laddove si parla, 10 La nuova Politica di Sviluppo Rurale 2007-2013 si articola nei seguenti 4 Assi: 1. l’Asse I “Miglioramento della competitività del settore agricolo-forestale” è relativo alle misure rivolte al capitale umano e fisico nel settore agroalimentare-forestale e alle produzioni di qualità; 2. l’Asse II “Miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale” è rivolto alla protezione delle risorse naturali, alla conservazione degli habitat ad alto valore naturale e paesaggistico; 3. l’Asse III “Miglioramento della qualità della vita delle zone rurali e diversificazione dell’economia rurale” mira allo sviluppo delle infrastrutture e del capitale umano, al fine di migliorare l’occupazione e di promuovere la diversificazione dell’economia rurale; 4. l’Asse IV (LEADER) estende il metodo della programmazione bottom up con interventi integrati e multisettoriali, a tutte le misure del PSR. 15 tra gli altri, di cambiamenti climatici e biodiversità a causa della prosecuzione dell’attività agricola intensiva e dell’esodo rurale dovrebbe rientrare a pieno titolo l’agricoltura contadina. La cosiddetta agricoltura sociale è al contrario inserita esplicitamente fra le “azioni chiave” dell’Asse III, relativo al miglioramento della qualità della vita ed alla diversificazione dell’economia rurale quando si afferma “… una tendenza che appare interessante promuovere e sostenere è quella legata alle imprese produttive anche agricole e di servizi che operano nel campo della cosiddetta agricoltura sociale (uso dell’azienda agricola per il soddisfacimento di bisogni sociali quali il recupero e l’inserimento di soggetti svantaggiati, attività didattiche per la scuola, ecc.)” (PSN, 2007, p. 46). Anche il Quadro Strategico Nazionale (QSN) che fa capo ai due fondi strutturali del FERS e del FSE, nella indicazione delle priorità da perseguire da parte delle Regioni nei propri POR, apre non in maniera esplicita alcuni spazi significativi (vedasi Asse VII, sistemi produttivi, ed Asse VIII, sistemi territoriali) che, in fase di attuazione dei programmi, possono essere coperti anche dall’agricoltura contadina. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda la progettazione integrata che il Piano Strategico Nazionale per lo sviluppo rurale (PSN) prevede e “consiglia” alle regioni e che può essere attivata in fase di implementazione operativa dei programmi. Da questo punto di vista, molte regioni hanno già esplicitamente previsto il ricorso alla progettazione integrata rinviandone peraltro la specifica definizione ad un momento successivo, quello della predisposizione dei bandi. La lettura dei PSR ha reso possibile una prima verificare circa le modalità di incentivazione di tali forme di agricoltura. Pur tuttavia, la sola analisi dei PSR non è sufficiente per definire gli spazi che i programmi regionali di sviluppo rurale aprono al modello multifunzionale e contadino. In fase di implementazione dei programmi, e quindi nell’ambito dei bandi attuativi delle misure o nell’ambito delle azioni previste dall’Asse Leader, possono infatti aprirsi per le aziende agricole nuove possibilità e spazi operativi. Nei PSR, la maggior parte delle Regioni (19/21) fanno esplicito riferimento nella misura relativa alla diversificazione aziendale (misura 311) allo svolgimento delle attività di agricoltura sociale nelle diverse tipologie all’interno delle quali si declina (inclusione sociale, riabilitazione, servizi sociali, servizi educativi, ecc.). Scarso riferimento viene 16 dato, salvo rare eccezioni (ad esempio, le Marche e la Lombardia), nel favorire pratiche ed attività rientranti nel modello dell’agricoltura contadina così come sono state descritte nei paragrafi precedenti. In complesso, tuttavia, l’esame dei POR e dei PSR 2007-2013, evidenzia una sostanziale difficoltà nel cogliere le occasioni offerte dai processi di sviluppo locale per ricostruire su nuove basi, un nesso tra sviluppo territoriale, protezione sociale e sviluppo economico-produttivo eco-sostenibile mediante la sperimentazione di modelli innovativi. I PSR sono una fondamentale occasione per sperimentare nuovi e necessari percorsi per preparare il dopo 2013. Lo sviluppo dell’agricoltura, ed in particolare di quella qui trattata, richiede politiche a base territoriale ed orientate allo sviluppo generale poiché spesso si verifica che le aziende di successo operano all’interno di contesti locali di qualità. Le possibilità offerte dai programmi di sviluppo rurale all’agricoltura contadina sono d’altro canto essenziali per il suo sviluppo in quanto possono consentirle di uscire dalla attuale posizione di nicchia per entrare a pieno titolo nell’ambito della multifunzionalità delle aziende agricole. Esistono dunque ampi spazi per la crescita dell’agricoltura contadina come espressione della multifunzionalità delle aziende agricole e le politiche pubbliche dovrebbero avere tutto l’interesse ad incoraggiare tale crescita poiché la presenza simultanea di aspetti etici e sociali, di valorizzazione dei legami fra agricoltura e territorio, di diversificazione e valorizzazione delle attività agricole la inserisce perfettamente nella logica dello sviluppo rurale. L’agricoltura multifunzionale ha molteplici positività: • costituisce una nuova fonte di reddito; • trasforma le aziende agricole in centri di generazione di servizi nonché in opportunità di inserimento lavorativo per persone a ridotta contrattualità; • offre una prospettiva unitaria dello sviluppo economico, sociale ed ambientale, finora oggetto di politiche indipendenti e separate. Il problema è: se si passa dall’enunciazione di principio alla traduzione pratica delle azioni, delle risorse finanziarie assegnate, del senso o direzione da dare allo sviluppo è possibile perseguire, con questa politica e attraverso i PSR, obiettivi orientati alle problematiche qui trattate? 17 La risposta è si, perché con questa politica si può fare di tutto e di più. Non avendo disegnato, al di là delle enunciazioni di principio, un modello di sviluppo concreto e chiaro ancoràto alle specificità locali, concertato (in termini sostanziali e non formali) sul territorio e per il territorio e con il protagonismo degli attori locali, tutti possono partecipare, l’agricoltura modernizzata, quella marginale e quella “contadina”. Per rispondere in maniera efficace a tali problematiche devono corrispondere nuovi strumenti conoscitivi capaci di: • comprendere una realtà sempre più complessa che nasce dall’interazione tra tendenze globali e esigenze fortemente contestualizzate del singolo e della collettività; • legare coerentemente le diverse fasi della programmazione (analisi contesto, obiettivi, strategie, misure, azioni, piano finanzario) e dell’attuazione (requisiti di accesso, meccanismi di priorità e criteri di selezione idonei ad individuare percorsi di sviluppo ben definiti (sostenibili, eco-compatibili, ecc.); • agevolare i percorsi imprenditoriali che concorrono allo sviluppo rurale e che rispondono alle nuove esigenze della società europea e delle comunità locali; • disegnare programmi territoriali di sviluppo che tengano conto di una risorsa importante da cui partire (le buone pratiche sul territorio di imprenditori che hanno intrapreso tali percorsi). 7. Cosa fare Innanzitutto, bisogna uscire da alcune ambiguità di fondo che ancora caratterizzano le politiche comunitarie e di conseguenza quelle nazionali e regionali. Quali sono queste ambiguità? Una prima ambiguità deriva dall’utilizzo dei fondi strutturali. I fondi strutturali non possono e non devono essere una “mera erogazione di risorse pubbliche”, ma devono essere letti e percepiti come opportunità attraverso le quali sperimentare “processi di sviluppo”. Un’altra considerazione è relativa al fatto che la politica di sviluppo rurale risente ancora, e molto, dell’involucro della PAC all’interno della quale nasce e come tale ragiona ancora oggi (anche se meno rispetto al passato) in una logica tutta interna al mondo dell’agricoltura che mantiene approcci difensivi, tradizionali e consuetudinari, 18 indirizza gli interventi prevalentemente nel settore agricolo ed in alcune regioni soprattutto agli agricoltori, costruisce partenariati di tipo settoriali e favorisce modelli di produzione convenzionali, tradizionali, rispetto a quello che dovrebbe essere invece il modello di produzione eco-sostenibile. Conviene riflettere sul ruolo e sui limiti delle politiche ed un primo passaggio dovrebbe essere quello di far uscire l’agricoltura e le relative politiche dal settorialismo in cui spesso sono relegate ed in cui spesso esse stesse si relegano per motivi difensivi. Ciò significa gestire il nuovo ciclo di programmazione 2007-2013 in maniera integrata e coordinata con le altre politiche di sviluppo, significa trasformare i PSR nella loro applicazione concreta da contenitori di vecchia PAC in veri strumenti di sviluppo locale, centrati sull’impresa, ma attenti a valorizzare il legame con il territorio. Lo sviluppo rurale deve essere visto come un risultato congiunto tra diversi settori di attività, di fattori endogeni ed esogeni, di processi negoziali tra attori locali non necessariamente dentro il settore delle attività agricole, quindi portatori, invece, di interessi diversificati, ma integrabili in una strategia condivisa e collettiva. Il PSR non dovrebbe essere altro che uno strumento per lo sviluppo locale delle aree rurali, e non la politica di sviluppo rurale. In tutti i paesi avanzati le politiche di sviluppo rurale assumono una valenza sempre più territoriale nel senso che l’accento viene posto sulle condizioni generali che creano sviluppo nei diversi ambiti territoriali piuttosto che sulle politiche settoriali le quali, come rileva l’OCSE (2006), non sono più in grado di far emergere il potenziale delle regioni rurali. L’approccio stenta peraltro a decollare nell’U.E. tanto che nel nuovo ciclo dei Fondi strutturali 2007-2013 le politiche di sviluppo rurale vengono riportate nell’ambito prettamente agricolo separandole dalle politiche regionali. Eppure un’azienda è competitiva se opera in un territorio competitivo ed è questo il motivo per cui lo sviluppo rurale deve assumere una dimensione orizzontale degli interventi. Un altro degli errori di impostazione del regolamento sullo sviluppo rurale è quello di aver creato una sorta di dicotomia tra il primo asse e il terzo asse sull’obiettivo di diversificazione, quasi ritenendo o lasciando intendere che gli interventi che si fanno nel primo asse sono gli interventi per l’agricoltura competitiva, quella precedentemente definita come la vera agricoltura. Al contrario, la diversificazione aziendale e l’ammodernamento delle aziende concorrono entrambe a dare competitività alle aziende. 19 Infine, nel definire i PSR le Regioni hanno individuato11, tenuto conto degli orientamenti comunitari e degli indirizzi contenuti nel PSN, gli ambiti territoriali di applicazione delle misure. Essi rappresentano un tentativo lodevole che va al di là dell’approccio tradizionale (Anania e Tenuta, 2007) che vuole il territorio rurale associato alla marginalità e quello urbano legato all’idea di centralità, ricchezza e sviluppo. Pur tuttavia, la territorializzazione dei PSR non trova rispondenza con i criteri di individuazione dei distretti agroalimentari e rurali individuati dalla Legge di orientamento (L. n. 228/01). Visti i ritardi di recepimento tra le regioni italiane della suddetta normativa, e quindi la sua scarsa applicabilità, la programmazione 2007-2013 (individuazione di bisogni e degli interventi per soddisfarli) nella maggior parte delle regioni è stata operata con la metodologia del PSN. Laddove, però, le regioni hanno già provveduto a recepire le indicazioni della legge di orientamento per la costruzione dei distretti, come si concilia la doppia territorializzazione? In secondo luogo, per produrre delle politiche c’è necessità di metodo e di idee, avendo la consapevolezza che il come fare, il perché fare e con chi fare è molto più importante del cosa fare. Come tutti i processi di sviluppo, anche i percorsi rurali qui trattati hanno bisogno della spinta propulsiva dei saperi e dell’interazione delle diverse forme di conoscenza: scientifica, manageriale, tacita, locale, tradizionale e così via (Fonte et al., 2007). Per favorire un nuovo modello locale, l’agricoltura contadina dovrebbe svilupparsi mediante processi ed azioni su più fronti, insieme con gli operatori locali e volte a rafforzare il sistema delle conoscenze, consolidare le esperienze in atto, potenziare le relazioni tra operatori pubblici e privati, sviluppare azioni di servizio al modello che si costruisce. Il primo problema che si pone è quello di approfondire le caratteristiche del contesto per individuare percorsi di sviluppo locale rispondenti alle esigenze della popolazione. Le aree rurali difficilmente riusciranno ad esprimere tutto il proprio potenziale attrattivo se si limiteranno a valorizzare in modo esclusivamente commerciale le componenti della 11 Sulla base della metodologia OCSE, adattata al caso Italia, sono state individuate quattro macrotipologie di aree: a) Poli urbani; b) Aree rurali ad agricoltura intensiva; c) Aree rurali intermedie; d) Aree rurali con problemi complessivi di sviluppo, fermo restando che, nei singoli PSR, le Regioni avrebbero potuto adottare articolazioni del proprio territorio mediante l’utilizzo di indicatori aggiuntivi per identificare le tipologie più appropriate alle specificità regionali. 20 ruralità – l’offerta turistica, i valori della tipicità – e non punteranno a favorire la rigenerazione di valori immateriali che sono alla base della domanda di ruralità. In secondo luogo andrebbe colmato il deficit informativo e formativo. Spesso gli agricoltori che si apprestano a presentare istanze a valere sulle misure dei PSR o i tecnici delle regioni che preparano i PSR, non hanno cognizione del fatto che alcune misure dello sviluppo rurale possono essere utilizzate per diversificare le attività, per costruire modelli di sviluppo diversi rispetto a quelli convenzionali. Si sottolinea, inoltre, l’importanza della formazione e della consulenza agli agricoltori. Con la nuova politica agraria l’imprenditore si trova infatti di fronte nuove sfide e nuove prospettive con cui deve imparare a relazionarsi. Il ruolo dell’agricoltore non è più limitato alla produzione, occorre che impari nuove professioni garantendo nuovi servizi (qualità, sicurezza alimentare, ambiente, servizi sociali, ecc) e di fatto gli imprenditori molto spesso non hanno le competenze e gli strumenti necessari per intraprendere le cosiddette funzioni secondarie dell’agricoltura. In terzo luogo, sarebbe necessario aumentare la densità delle relazioni tra gli attori locali, pubblici e privati, appartenenti a diversi settori. Le relazioni dovrebbero definire sistemi organizzativi volti alla gestione integrata del processo di sviluppo locale. Un altro importante lavoro da fare è quello di allargare i partenariati a nuovi soggetti esterni al mondo agricolo, ma con i quali il mondo agricolo intrattiene relazioni e che fino a poco tempo fa non avevano tradizionalmente nessun rapporto. Ci sono ambiti nuovi di intervento che presuppongono conoscenze e professionalità nuove tra gli operatori e tra i tecnici e l’interazione tra soggetti diversi. Rafforzare ed espandere le reti relazionali ha, inoltre, una valenza più ampia nel processo di sviluppo rurale perché potrebbe rivelarsi un’operazione cruciale nel determinare la capacità di attrazione e la reputazione dei sistemi locali. Queste reti spesso sono già abbozzate a livello rudimentale e, dunque, si tratta solo di rivitalizzarle e gestirle in modo imprenditoriale, in forte connessione con le economie locali legate alla domanda di ruralità che proviene dalle aree urbane come espressione appunto di bisogni profondi, valoriali. Di conseguenza è necessario un ripensamento della governance, affinché lo sviluppo rurale possa assumere al centro pratiche agricole alternative, non quelle moderne convenzionali, in modo tale da rafforzare i soggetti capaci di cooperare socialmente per la difesa di “beni comuni”. 21 In quarto luogo sarebbe opportuno supportare, mediante azioni di servizio, lo sviluppo della progettualità, la diffusione delle esperienze e delle buone pratiche. Infine, bisogna tendere ad una reale integrazione tra azioni/interventi e politiche. La complessità delle problematiche che attengono all’agricoltura contadina e alla multifunzionalità dell’agricoltura richiede un approccio integrato. Non ha pertanto senso, come spesso accade, che si guardi con diffidenza alla possibilità di integrare politiche (e risorse finanziarie) dell’agricoltura, dell’ambiente, del sociale se l’obiettivo è quello di assicurare servizi più diffusi, percorsi più inclusivi, pratiche eco-compatibili e, nel contempo, accrescere reputazione e reddito per le imprese agricole. Si tratta di favorire un processo che non è mosso unicamente dai mercati e dalla tecnologia, ma anche da altre forze propulsive, come la flessibilità dell’organizzazione sociale e la rigenerazione di quei valori del mondo rurale compatibili coi cambiamenti culturali derivanti dalla crisi fordista. Si tratta di un’azione che per conseguire effettivi risultati dovrà necessariamente far leva sia sulle Misure dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) relative agli Assi I (ammodernamento aziendale, servizi, informazione, ricambio generazionale, accrescimento del valore aggiunto dei prodotti, infrastrutturazione, ecc.), all’Asse II (metodi eco-compatibili, investimenti non produttivi, ecc.) e all’Asse III (diversificazione, formazione ed informazione) e su politiche di altri settori, a partire dai corrispettivi Programmi Operativi Regionali (POR) relativi alle politiche regionali e di coesione fino alle politiche sociali, ambientali, occupazionali, sanitarie, ecc.. E’ dunque l’approccio integrato – che la gran parte delle Regioni intende privilegiare a livello di enunciazione di principio nella nuova programmazione per una molteplicità di obiettivi - quello che può permettere di sviluppare l’agricoltura contadina. I nuovi interventi comunitari, ma anche nazionali e regionali, muovono nell’ottica dell’aggregazione. E’, infatti, evidente che la gestione di un territorio non dipende da una singola impresa, ma dalle scelte della generalità degli imprenditori agricoli. Dal punto di vista operativo, si dovrebbe fare riferimento ai progetti integrati territoriali o ai distretti rurali in quanto possono rappresentare un territorio nella sua globalità: modelli di coesione sociale e promozione del capitale umano, sviluppo del welfare comunitario, integrazione tra settori diversi (agricoltura, ambiente, cultura, servizi, infrastrutturazione sociale e fisica, ecc.), economia solidale ed eco-compatibile. 22 8. Conclusioni Il lavoro pone all’attenzione che oggi è possibile coniugare attività agricola per la produzione di derrate alimentari e produzione di esternalità positive per il territorio, grazie ad un numero crescente di imprese che disegnano nuovi percorsi, più rispondenti alle nuove esigenze della società europea e globale. L’agricoltura contadina si compone di attività che non sono solo finalizzate alla produzione del reddito, ma anche e soprattutto alla riproduzione delle risorse produttive, le quali sono alla base di tutto il processo vitale dell’azienda. Autonomia del produttore e cooperazione sociale sono le risposte che i “contadini” stanno dando alla “modernizzazione”. Il lavoro propone un rovesciamento di prospettiva al fine di concepire le politiche come utili strumenti di sostegno ai processi determinati da pratiche sociali consolidate a livello locale. Le iniziative avviate in tale direzione in alcuni contesti dimostrano che anche a livello istituzionale si stanno producendo trasformazioni significative (Ventura e Milone, 2005). Tali processi, complessi ed eterogenei, coinvolgono una pluralità di soggetti, riguardano molteplici dimensioni, elaborano strategie economicamente e socialmente sostenibili, enfatizzano il rapporto e attuano nuove forme di governance rurale, autonome ed ancorate alle domande provenienti dai soggetti attivi nelle aree stesse. Dai risultati emersi dal progetto di ricerca più generale ed ancora in corso, sintetizzati in questo lavoro, si possono trarre alcune importanti considerazioni. In primo luogo risulta evidente lo stretto legame esistente fra la diversificazione e il territorio in cui l’impresa agricola si trova ad operare. Infatti, solamente senza perdere di vista le richieste dei consumatori e le potenzialità del contesto in cui l’impresa è localizzata è possibile diversificare la propria attività agricola in maniera coerente. E’ indubbio quindi il ruolo che sono chiamati a svolgere gli attori locali, pubblici e privati: • promuovere e valorizzare le risorse insite in ciascun luogo; • enfatizzare il legame con il territorio e guidare verso scelte funzionali; • potenziare la qualità del territorio valorizzandone le produzioni tipiche e tutti quegli elementi che lo rendono unico differenziandolo dai territori concorrenti. 23 La complessità del sistema istituzionale italiano e la presenza di molteplici politiche attive contemporaneamente, ma separatamente, rendono prioritaria una riflessione ad ampio spettro che affronti in modo sistemico il problema della definizione di strumenti in grado di agevolare lo sviluppo dell’agricoltura contadina in Italia al fine di migliorare la sinergia di quelli esistenti e di individuarne di nuovi. Nell’immediato, come si è visto, finanziamenti alle iniziative descritte possono venire dalle politiche di sviluppo rurale e da quelle regionali e di coesione le cui opportunità vanno ora sfruttate fino in fondo anche implementando in modo sinergico le diverse politiche. In base all’evidenza empirica della disseminazione di esperienze pratiche, messe in moto in alcune Regioni, viene fuori che all’interno di queste attività si stabilisce un circolo virtuoso tra inclusione di soggetti svantaggiati, maggiori e più efficaci servizi alle persone, buona occupazione e sviluppo sostenibile. Tuttavia tale processo non potrà consolidarsi senza un ruolo attivo delle politiche pubbliche il cui principale compito dovrebbe essere oggi quello, da un lato, di assecondare e facilitare questo processo e, dall’altro, di orientarlo là ove si massimizzino ad un tempo i ritorni per gli imprenditori agricoli ed i benefici per i territori interessati. In questo momento in agricoltura ci troviamo all’interno di un dinamismo che in alcuni momenti e in alcune aree ridisegna non solo le pratiche agricole, ma il ruolo delle attività agricole all’interno della società, le dimensioni e le caratteristiche settoriali e la figura e le aspettative dell’imprenditore agricolo. Ci troviamo all’interno di una serie di percorsi innovativi che differiscono tra loro non tanto per l’obiettivo, ma quanto per gli strumenti e soprattutto per il controllo locale del processo e per la loro capacità, nel lungo periodo, di costruire delle alternative promettenti e credibili per l’agricoltura europea. Un’agricoltura in forte transizione a cui viene chiesto di porre l’obiettivo della produzione di esternalità positive che sembrano costituire gli unici prodotti a cui l’Europa non può rinunciare. Sarebbe velleitario contrapporre in termini conflittuali o alternativi il paradigma del modo di produrre contadino a quello convenzionale, industriale, ma vedere, invece, questo impianto analitico come una modalità per capire in che modo valori tradizionali del mondo rurale che fanno riferimento alla reciprocità, alla solidarietà riesce a dare 24 reputazione alle attività imprenditoriali per fare in modo che la capacità di quei processi produttivi legati al capitale sociale che è proprio della cultura contadina possano arrecare benessere, produrre valore aggiunto, produrre sviluppo, servizi sociali, nuovi servizi ambientali. Bibliografia AA. VV. (1992): Strategie familiari, pluriattività e politiche agrarie, Studi & Ricerche INEA, Il Mulino, Bologna. AIAB (2007): Bio agricoltura. Buona due volte, Roma. Albert M. (2003): Il libro dell’economia partecipativa, Il Saggiatore, Milano. Anania G. e Tenuta A. 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