Metodologie e percorsi per la didattica, l’educazione, la riabilitazione, il recupero e il sostegno Collana diretta da Dario Ianes Fred R. Volkmar e Lisa A. Wiesner L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta Guida teorica e pratica per genitori, insegnanti, educatori Edizione italiana a cura di Leonardo Emberti Gialloreti Traduzione di Carmen Calovi Indice 7 Presentazione all’edizione italiana (L. Emberti Gialloreti) 9 Prefazione (G.B. Mesibov) 11 Premessa 15 CAP. 1 Che cos’è l’autismo? 39 CAP. 2 Quali sono le cause dell’autismo? 59 CAP. 3 Come si arriva alla diagnosi 99 CAP. 4 Interventi educativi e riabilitativi per l’autismo 139CAP. 5 L’età prescolare 163CAP. 6 L’età scolare 189CAP. 7 Dall’adolescenza all’età adulta 215CAP. 8 Come affrontare i comportamenti problematici 247CAP. 9 Come affrontare i problemi sensoriali e dell’alimentazione 263CAP. 10 Come affrontare i disturbi del sonno e le crisi epilettiche 283CAP. 11 La famiglia e le sue dinamiche 295Bibliografia Presentazione all’edizione italiana Ci trovavamo — la collega Francesca Benassi e io — presso il Child Study Center della Yale University. Discutevamo con il professor Volkmar su come valutare l’efficacia dei trattamenti nell’autismo. In una pausa dei lavori notammo un libro da poco pubblicato, scritto proprio da Fred Volkmar e Lisa Wiesner e indirizzato a genitori, insegnanti e educatori di persone con autismo. Ci siamo subito entusiasmati per un libro rigorosamente scientifico, ma scritto in modo accessibile a tutti. Questo volume è ora disponibile anche per il lettore italiano, grazie alla competenza e alla professionalità dell’editore Erickson. Quando il mondo cambia, anche le risposte devono cambiare. I Disturbi dello Spettro Autistico si evidenziano nell’età evolutiva ed è necessario trattarli il più precocemente possibile. Ma non sono una realtà esclusiva dell’infanzia. Per i progressi sociali e sanitari, l’aspettativa di vita si è allungata per tutti, anche per le persone con autismo. C’è dunque bisogno di uno strumento che aiuti genitori e educatori ad accompagnare le persone con autismo attraverso tutte le fasi della vita: dalla prima infanzia all’età adulta, arrivando anche alle preoccupazioni dei genitori sul «durante noi e dopo di noi». Il volume è indirizzato a genitori e insegnanti che vogliono meglio comprendere cosa sia l’autismo e cosa fare con i loro bambini. Ma anche chi è vicino a persone adulte può trovare nel testo un aiuto per individuare i trattamenti più adeguati e pianificare a lungo termine. Questa guida, redatta in linguaggio non tecnico, è una sintesi a mio avviso ben riuscita di esperienza clinica, risultati 8 L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta della ricerca scientifica e approccio umano. Il volume aiuta a capire cosa sia una diagnosi di autismo, quali siano i trattamenti disponibili e come scegliere quello più adatto. L’autismo si presenta con ampie differenze individuali. Per questo, il testo guida il lettore verso quelle informazioni che più riguardano le sue specifiche problematiche. Lungo il percorso si troveranno anche esempi pratici, tratti da domande che, negli anni, genitori e insegnanti hanno realmente posto agli autori. L’edizione italiana ha mantenuto la struttura di base del testo originale, anche se alcune sezioni, soprattutto quelle che riguardano la scuola, i servizi pubblici e la legislazione, sono state in parte modificate per adattarle al contesto italiano. Scopo del libro è quello di rendere accessibili a tutti sia i risultati della ricerca scientifica, sia l’esperienza vissuta da tante famiglie. Saranno i nostri lettori a dire se l’obiettivo è stato raggiunto. Leonardo Emberti Gialloreti, Ph.D. Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione Università degli Studi di Roma Tor Vergata 2 Quali sono le cause dell’autismo? Le prime descrizioni e trattazioni dell’autismo si concentravano soprattutto su quello che oggi potremmo definire autismo «classico», vale a dire autismo nel senso stretto del termine, e molto meno su quelli che oggi intenderemmo come disturbi dello spettro autistico o «del fenotipo autistico» come talvolta viene definito. Come abbiamo accennato nel capitolo 1, il primo resoconto di Kanner sull’autismo ebbe una grande influenza, in molti modi diversi, sebbene nel tempo alcune delle sue iniziali osservazioni siano state modificate. La sua descrizione dell’autismo era particolarmente chiara riguardo a quelle che egli riscontrava come caratteristiche centrali presenti nel disturbo (problemi nell’interazione sociale e risposte inusuali all’ambiente). Kanner fu anche esplicito nel suggerire che l’autismo fosse congenito, vale a dire che i bambini nascevano con il disturbo, anche se ora sappiano che a volte sembrano svilupparlo nei primi anni di vita. Kanner ipotizzò che l’autismo non fosse associato a disabilità intellettiva (ritardo mentale), perché i bambini se la cavavano bene in alcune parti dei test di quoziente intellettivo (QI). Alcuni aspetti del suo studio indussero erroneamente a pensare, ad esempio, che i genitori dei bambini con autismo potessero in qualche modo causare il disturbo. L’idea iniziale (ed errata) che l’autismo fosse più comune nelle famiglie in cui i genitori erano persone affermate portò indirettamente a una conseguenza molto infelice negli anni Cinquanta del Novecento: incolpare il genitore (solitamente la madre) 40 L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta delle difficoltà del bambino. Nel tentativo di intervenire su quello che egli considerava il problema fondamentale, Bruno Bettelheim, dell’Università di Chicago, esortava ad allontanare i bambini dalla famiglia. L’idea che i genitori causassero in qualche modo l’autismo danneggiò una generazione di genitori, che si sentirono responsabili dei problemi dei loro figli. Tuttavia, a partire dagli anni Sessanta e soprattutto negli anni Settanta, la ricerca iniziò a dimostrare che l’autismo era un disturbo a base cerebrale. Seguendo i bambini con autismo nel corso del tempo, divenne chiaro che molti di essi — forse circa il 20% — sviluppavano crisi epilettiche. Altri manifestavano caratteristiche insolite all’esame neurologico, come riflessi «primitivi» persistenti (che sono presenti alla nascita, ma che generalmente scompaiono dopo pochi mesi). Alcuni studi rilevarono che tra i bambini con autismo c’era una maggiore frequenza di casi di complicazioni prima o dopo il parto. Altri studi ancora riferirono associazioni tra l’autismo e una serie di condizioni mediche note per influire sullo sviluppo cerebrale; cosa più importante, divenne chiaro che l’autismo aveva un forte aspetto genetico. Anche se ancora non sappiamo quale ne sia la causa precisa, i dati più attendibili indicano che si tratta di un disturbo neurologico con una forte componente genetica. Ancora non conosciamo la causa genetica precisa (o le cause genetiche precise), ma siamo molto più vicini, rispetto anche solo a pochi anni fa, a individuare i geni responsabili. Cause genetiche dell’autismo Negli anni Settanta del Novecento, un articolo scritto da un qualche autorevole genetista suggerì l’idea che la genetica non rivestisse alcun ruolo nell’autismo. All’epoca, tuttavia, questo disturbo era relativamente raro e i dati molto scarsi. Di lì a poco tempo, fu pubblicato uno studio molto importante di Susan Folstein e Michael Rutter (1977), nel quale si mostrava che l’incidenza dell’autismo nei gemelli identici (o monozigoti) era doppia rispetto a quella rilevata nei gemelli dello stesso sesso ma dizigotici.1 I gemelli identici hanno geni identici, mentre i gemelli dizigotici condividono solo alcuni geni. L’implicazione di questo studio era che poteva esserci una forte componente genetica Naturalmente i gemelli identici o monozigoti sono sempre dello stesso sesso, ma anche gli studi genetici sui gemelli eterozigoti si sono generalmente concentrati su gemelli dello stesso sesso, per via della differenza di genere che si rileva per questo disturbo; in altre parole, per via di questa differenza di genere, le ricerche generalmente non hanno considerato gemelli eterozigoti maschio e femmina. 1 Quali sono le cause dell’autismo? 41 nel determinarsi dell’autismo. Numerose ricerche hanno ora dimostrato che è proprio così (per una trattazione dettagliata si veda Rutter, 2005), e sono emersi anche altri risultati. Man mano che gli scienziati iniziavano a esaminare il ruolo della genetica nell’autismo, divenne evidente che l’incidenza del disturbo era maggiore tra i fratelli e le sorelle dei bambini con autismo. I rapporti indicati variavano da 1 a 10 a 1 a 50. Questo può non sembrare un rapporto particolarmente alto, se non si considera il fatto che, nella popolazione generale, la frequenza dell’autismo classico o in senso stretto va circa da un caso su 800 a uno su 1000 e che, per quanto l’autismo non sia affatto diffuso tra i fratelli e le sorelle dei bambini autistici, la frequenza è nettamente maggiore rispetto alla popolazione generale. La genetica dell’autismo Ruolo importante dei fattori genetici indicato da: •tassi elevati di concordanza nei gemelli identici (se un gemello ha il disturbo, è molto probabile che lo abbia anche l’altro); •maggior rischio di autismo per i fratelli e le sorelle dei bambini con autismo (2-10%, significativamente superiore rispetto alla frequenza nella popolazione generale). Quali sono i geni coinvolti? •Sembra che i geni che contribuiscono all’autismo siano molteplici. Si sta attualmente lavorando per identificarli. Che cosa succederà quando i geni verranno individuati? •Sarà possibile sviluppare modelli animali. •Conosceremo meglio il modo di operare dei geni nel cervello. •Ci potrebbero essere implicazioni per la diagnosi e lo screening. Altri studi, inoltre, iniziarono a considerare i problemi correlati nei fratelli e nelle sorelle dei bambini con autismo, rilevando che, anche quando questi non avevano l’autismo, sembravano avere, con maggiore frequenza, altri problemi, comprese difficoltà di linguaggio e di apprendimento. Non è ancora del tutto chiaro che cosa venga ereditato, nell’autismo. È possibile che si erediti una predisposizione generale ad alcune difficoltà più che l’autismo in sé e per sé. Studi recenti sui familiari dei bambini con autismo sembrano indicare che tra di essi possano esserci tassi più elevati di disturbi d’ansia e dell’umore e, forse, maggiori difficoltà sociali. Sebbene la ricerca abbia evidenziato con sempre maggiore chiarezza l’importanza dei fattori genetici nell’autismo, non abbiamo ancora risposte definitive. La genetica dell’autismo non è trasparente né facile e sembra probabile siano coinvolti più geni, con stime che vanno da un numero di 4 42 L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta a 20 o più. A rendere la cosa ancora più complicata c’è anche la possibilità che non tutte le forme di autismo abbiano le stesse basi genetiche e che derivino invece da fattori diversi; ad esempio, potrebbe esserci un problema specifico al momento del concepimento, quando c’è la possibilità che parte del materiale genetico vada perso o che si verifichi una mutazione genetica. Potrebbero essere coinvolti anche altri fattori, come ad esempio difficoltà alla nascita che interagiscono con una predisposizione genetica causando l’autismo. Si sta lavorando molto per individuare i geni potenzialmente responsabili dell’autismo. Quelli che potrebbero essere coinvolti (noti come geni candidati) sono attualmente oggetto di indagine. Appare probabile che nel corso dei prossimi anni venga identificata qualche causa genetica (o più cause genetiche) dell’autismo. Epilessia e anomalie elettroencefalografiche Uno degli elementi importanti che aiutò i medici a rendersi conto che i genitori non avevano colpa dell’autismo dei loro figli fu una crescente consapevolezza del rischio, superiore alle attese, che i bambini autistici avevano di sviluppare crisi epilettiche. I disturbi epilettici (anche detti epilessia o convulsioni) sono un gruppo di condizioni determinate da un’attività elettrica anomala nel cervello. I sintomi dei disturbi epilettici sono molto eterogenei: possono andare da brevi episodi nei quali il bambino sembra «distrarsi» a convulsioni molto evidenti per le quali il bambino cade per terra, perde coscienza e ha periodi alterni di contrazione e rilassamento muscolare. Ci sono molti tipi diversi di epilessia (si veda il capitolo 10). Uno dei modi con i quali i medici ricercano l’attività epilettica è l’elettroencefalogramma (o EEG), che misura l’attività elettrica nel cervello. Sia i primi studi sia quelli più recenti indicano che circa il 50% dei soggetti con autismo presenta anomalie nell’EEG; i risultati relativi all’EEG sono differenziati e non specifici dell’autismo, ma la maggiore frequenza di anomalie denota, chiaramente, dei problemi di base nel modo in cui il cervello è «cablato». Nella popolazione di bambini «normali», le frequenze di esordio delle crisi epilettiche sono più elevate attorno all’epoca della nascita e poi diminuiscono sensibilmente nel corso del tempo. La figura 2.1 presenta i risultati di due studi condotti con bambini con autismo e disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato (DGS-NAS) e i dati ottenuti da un campione normativo di bambini britannici. Le frequenze di comparsa di crisi epilettiche sono più elevate tra i bambini con autismo classico. 5 L’età prescolare Fino a tempi relativamente recenti si sapeva poco delle manifestazioni iniziali dell’autismo. Quasi tutte le informazioni provenivano dalle descrizioni che i genitori facevano dei loro figli all’età di 3 o 5 anni fino al momento in cui ricevevano la diagnosi. In sostanza, ai genitori veniva richiesto di ricordare la prima fase dello sviluppo del bambino. Un altro modo per rilevare le caratteristiche dei primi anni era quello di visionare i filmini girati in occasione della festa del primo compleanno o a Natale e di osservare il comportamento dei bambini in modo retrospettivo. Entrambi questi approcci fornivano informazioni, ma per i ricercatori era frustrante non poter lavorare direttamente con bambini piccoli con autismo. Le cose stanno ora cambiando radicalmente: vediamo diagnosi e interventi precoci più frequentemente e questo ha ripercussioni importanti a livello dei servizi e sul piano della ricerca. Possiamo così provare a individuare gli aspetti più rilevanti dello sviluppo nell’autismo e forse queste conoscenze ci permetteranno di sviluppare interventi migliori. Conoscere i primi segni premonitori dell’autismo, magari anche quelli più piccoli, ci aiuterà anche a effettuare screening più accurati. In questo capitolo facciamo una panoramica di quanto attualmente si sa delle manifestazioni dell’autismo nei neonati e nei bambini in età prescolare e di alcuni dei metodi di intervento utilizzati. Nell’autismo abbiamo oggi diagnosi abbastanza precoci; non è così per l’Asperger, che viene di solito diagnosticato tardivamente. 140 L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta Nel suo studio originale, Leo Kanner leggeva l’autismo come congenito, qualcosa che il bambino aveva fin dalla nascita. Le ricerche nelle quali è stato chiesto ai genitori quando iniziavano a preoccuparsi dello sviluppo del figlio mostrano che la maggior parte di loro iniziava ad avere timori durante il primo anno di vita del bambino, circa il 90% cominciava a preoccuparsi al compimento del secondo anno e tutti si allarmavano quando il bambino arrivava ai 3 anni. Nella figura 5.1 sono presentati i dati sull’età di esordio del disturbo, secondo quanto rilevato nel quadro del lavoro condotto per definire l’autismo nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 4a edizione (DSM-IV). Occorre tener presente che stiamo parlando di quando i genitori iniziano a preoccuparsi, non di quando cominciano a manifestarsi piccoli segnali di difficoltà che uno specialista potrebbe riconoscere prima. Considerati i dati a nostra disposizione, cosa preoccupa i genitori (e i professionisti) nei primi anni di vita del bambino? 120 Numero di casi 100 80 60 40 20 0 6 12 18 24 30 36 40 48 54 60 Età di esordio riferita (in mesi) Fig. 5.1 Età di esordio: casi con diagnosi clinica di autismo dalla sperimentazione sul campo del DSM-IV. Riproduzione autorizzata da: Volkmar F. e Klin A. (2005), Issues in the classification of autism and related conditions. In F. Volkmar, R. Paul, A. Klin e D. Cohen (a cura di), Handbook of autism and pervasive developmental disorders, 3a ed., Hoboken, NJ, Wiley, p. 20. L’età prescolare 141 Osservare i bambini molto piccoli non è facile, perché cambiano con estrema rapidità e perché il loro comportamento, anche nell’arco di una singola giornata, può variare enormemente. In genere, passano buona parte del tempo dormendo e osservarli al momento giusto è essenziale per chi desidera esaminarli. Inoltre, alcuni comportamenti del tutto adeguati in una certa fascia di età possono diventare segnali di allarme in un’altra. Ad esempio, alcune delle forme di gioco che i bambini molto piccoli praticano esplorando gli oggetti con la bocca diventano preoccupanti se, quando il bambino cresce, non vengono sostituite da forme di gioco più evolute. Nei bambini piccoli si rilevano normalmente salti evolutivi importanti, ad esempio quando il bambino sembra volere qualcosa, la sua capacità di ottenerlo, la capacità di raggiungere qualcosa e segnalare al genitore, tramite il contatto oculare, che quella cosa gli interessa. Queste capacità si sviluppano durante il primo anno di vita. Data la variabilità negli stati di veglia/sonno, nel comportamento e nella motivazione del bambino, può essere difficile per i genitori riuscire a far sì che il piccolo dimostri cose che evidenziano uno sviluppo normale o, al contrario, un comportamento di cui preoccuparsi: ciò crea alcune difficoltà nella valutazione. Ad esempio, i motivi per cui i bambini possono fare le cose con lentezza possono essere diversi e alcuni sviluppano metodi alternativi per farle. Un altro problema è la regressione. Alcuni bambini sembrano avere uno sviluppo normale ma poi perdono alcune abilità, spesso l’uso della parola: circa il 20-30% dei genitori di bambini con autismo riferisce la perdita rapida o graduale del linguaggio verbale. Il bambino sembra poi essere meno interessato all’interazione sociale. Gli studi che hanno analizzato i filmini indicano che in alcuni casi i bambini non presentano alcun problema fino al compimento del primo anno, ma poi regrediscono. Altri studi indicano che a volte quella che i genitori percepiscono come una regressione è piuttosto un arresto nello sviluppo; in altre parole, il bambino si sviluppa più o meno normalmente ma poi l’evoluzione rallenta. In altri casi, nei quali anche i genitori riferiscono una regressione, una discussione approfondita con loro rivela che già prima c’erano motivi di preoccupazione. È facile comprendere quanto sia complicato, in simili casi, interpretare la regressione. È accertato che un esordio molto tardivo, con uno sviluppo del tutto normale fino ai 3 o 4 di età a cui segue una profonda regressione, non è buon segno. Sono attualmente in corso studi per comprendere il significato della regressione nell’autismo. L’età prescolare 161 Domande e risposte 1 Mio figlio e sua moglie hanno un bambino di 8 mesi; è il primo figlio. So che forse sono una nonna che si preoccupa troppo, ma mi sembra che Billy non si comporti come gli altri bambini. Non sembra avere interesse per le cose che interessano gli altri miei nipoti. Se lo si chiama per nome non si gira e quando gli parlo non sorride. Sembra che gli piaccia fissare le cose che si muovono. È troppo presto per preoccuparsi che possa avere l’autismo? Non è troppo presto. Lei ha colto in pieno il tipo di cose che devono destare sospetto a questa età: l’assenza di reazioni alle altre persone e un maggiore interesse verso gli oggetti. Anche se a questa età non è sempre possibile fare una diagnosi certa, è possibile avviare un intervento se ci sono buoni motivi per farlo. Dovrebbe parlare dei suoi timori con suo figlio e la moglie e invitarli a discuterne con il pediatra o il medico di famiglia, che potrà effettuare uno screening per i disturbi dello sviluppo e/o indirizzarli ai servizi per la valutazione. 2 A nostra figlia, che ha 4 anni, è stato diagnosticato l’autismo quando ne aveva 2. Ha fatto ottimi progressi con un programma ABA piuttosto intensivo e strutturato e frequentando per qualche ora in settimana (sempre di più) un servizio tipo scuola dell’infanzia. Mia moglie e io stiamo valutando se iscriverla alla scuola dell’infanzia (con qualche aiuto) l’anno prossimo. Quando si può dire che la «cura» ha funzionato? In primo luogo è davvero una cosa positiva che vostra figlia abbia risposto bene al trattamento. Ponete una domanda precisa, ma al contempo sollevate un’altra questione importante: i cambiamenti. I cambiamenti di programma riescono meglio quando sono stati pianificati e predisposti con anticipo e il bambino è preparato. Le persone che l’hanno aiutata finora potranno sicuramente darvi molti suggerimenti utili e anche il fatto che abbia già frequentato, anche se per periodi limitati, un ambiente simile alla scuola e i coetanei a sviluppo tipico renderà il cambiamento più facile. Ci sono diverse cose che potete fare molto prima perché le cose filino il più possibile lisce, ad esempio andare a vedere la classe e l’insegnante e mostrarle le immagini. Quando definite il piano educativo personalizzato, considerate da dove la bambina è partita e dove l’équipe vorrebbe che arrivasse; all’inizio può essere utile prevedere molti aiuti e poi, se le cose vanno bene, ridurli o eliminarli. 162 L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta Alla vostra domanda esplicita, quella sulla cura, è difficile rispondere, perché la risposta dipende da cosa intendete per «cura». Molti bambini con disturbi dello spettro autistico hanno esperienze scolastiche molto positive, a volte anche senza troppi aiuti formali. Spesso, anche i bambini con livelli di funzionamento più elevati mantengono alcune bizzarrie o fissazioni da adulti, così come succede a molte persone con sviluppo tipico. Siate orgogliosi dei progressi che ha fatto fino a oggi e state a vedere come va l’esperienza alla scuola dell’infanzia. Buona fortuna! 3 Sono un pediatra in pensione. Il mio primo nipote ha ora 15 mesi e ancora non parla. Sono preoccupato perché quando sente il suo nome non reagisce e non sembra «scattare» alla vista delle persone (se faccio un suono strano non mi guarda). Ha avuto molte infezioni alle orecchie, ma una volta passate l’udito era a posto (ha già fatto diversi esami dell’udito). Ogni volta che ne parliamo, mia nuora si agita molto e non vuole farlo valutare dal neuropsichiatra infantile. Potete darmi un consiglio? Ha ragione a essere preoccupato. Riconoscere le fragilità evolutive di un figlio può essere un processo difficile per i genitori, soprattutto se si tratta del primogenito e non hanno termini di confronto. Ovviamente lei ha una grande esperienza, ma è anche nel ruolo non facile del suocero. In situazioni come queste può provare a parlarne in privato con suo figlio e a esporgli i suoi timori. Può anche suggerire ai genitori di portare il bambino a un gruppo di gioco o in un altro contesto, dove possano vedere i suoi coetanei a sviluppo tipico e osservare quali sono i comportamenti caratteristici per la sua età. 8 Come affrontare i comportamenti problematici Nell’autismo e nelle condizioni correlate le difficoltà comportamentali possono assumere forme molto diverse, alcune comuni e altre meno frequenti. Tra i comportamenti comuni ci sono movimenti ripetitivi, come i manierismi che coinvolgono le mani e le dita, o movimenti più complessi che coinvolgono l’intero corpo, come il dondolare avanti e indietro. A volte i comportamenti problematici possono assumere altre forme, come scoppi d’ira o atti autolesionistici (ad esempio sbattere la testa). Il bambino può nutrire interessi molto inconsueti, ad esempio può allineare giochi e bambole anziché giocarci. I comportamenti problematici tendono a modificarsi nel corso del tempo: spesso raggiungono picchi di criticità nella prima metà dell’adolescenza; altre volte si mantengono più o meno immutati, ma quello che può essere leggermente problematico in un bambino di 3 anni può diventare un grande problema in un ragazzino di 13! In questo capitolo esamineremo alcuni dei problemi comportamentali e delle difficoltà emotive che si osservano nei disturbi dello spettro autistico. Occorre tenere presente che, quando un bambino presenta un determinato problema, è necessario lavorare non soltanto con lui, ma anche con le persone che lo conoscono molto bene. Inoltre bisogna ricordare che qui discuteremo l’intera gamma di difficoltà che si possono rilevare nell’autismo, ma che un particolare soggetto potrebbe presentarne soltanto alcune o anche nessuna. Nella valutazione dei possibili interventi occorre sempre ponderare sia i benefici sia i rischi potenziali. 216 L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta In questa sede, e per gli scopi che ci proponiamo, raggrupperemo i comportamenti problematici e le difficoltà emozionali in alcune ampie categorie che includono le manifestazioni più frequenti di entrambi; passeremo poi a discutere alcuni aspetti generali degli interventi. Verso la fine del capitolo parleremo anche dei comportamenti problematici connessi a condizioni di salute mentale, un aspetto molto importante per i soggetti dello spettro autistico cognitivamente più dotati. In un mondo perfetto ci troveremmo davanti a una chiara corrispondenza biunivoca fra comportamento problematico o difficoltà emotiva e conseguente trattamento; purtroppo nel mondo reale le cose sono di gran lunga più complicate. In primo luogo nei bambini con DSA, soprattutto nei casi in cui c’è maggiore compromissione, può essere difficile applicare le categorie diagnostiche abituali (questo è un problema che si pone con tutti i bambini con disabilità significative). Per di più, talvolta le altre difficoltà/disturbi compresenti a quello autistico non vengono riconosciute: in sostanza, la diagnosi di autismo o sindrome di Asperger rende più difficile il riconoscimento di altre difficoltà, come ansia o depressione. Come vedremo più avanti in questo capitolo, tali aspetti complicano la scelta del trattamento più appropriato; anche i bambini cognitivamente più dotati possono avere «crisi» e altre difficoltà, ma a volte non è facile capirle. Come già accennato, spesso i bambini presentano difficoltà plurime: ad esempio, le difficoltà di attenzione possono accompagnarsi a comportamenti stereotipati (ripetitivi e apparentemente non finalizzati); in questi casi è importante decidere su quali concentrarsi e stabilire i potenziali rischi e benefici del trattamento. A volte lo stesso comportamento problematico è dovuto a una molteplicità di fattori; altre volte, tuttavia, il fatto che un bambino presenti più comportamenti problematici è molto importante nella scelta dell’intervento. Di fatto, spesso sembra che i comportamenti problematici viaggino in gruppo! Per ragioni di semplicità facciamo generalmente riferimento al «bambino», ma le considerazioni esposte valgono anche per gli adolescenti e gli adulti. Problemi comportamentali e dell’umore frequenti nelle condizioni dello spettro autistico Tipo di comportamento Esempi specifici Stereotipie •Dondolarsi. •Muovere le dita o le mani. •Altri comportamenti ripetitivi. Come affrontare i comportamenti problematici Autolesionismo e aggressività •Fare del male a se stessi o agli altri. •Distruggere oggetti. Rigidità e perseverazione •Resistenza al cambiamento. •Perseverazione, compulsione. •Interessi insoliti. Iperattività e difficoltà attentive •Elevati livelli di attività. •Difficoltà di attenzione. •Impulsività. •Scappare/correre via. Problemi di umore •Depressione. •Ansia. •Disturbi bipolari. 217 Gli interventi comportamentali: una breve introduzione Gli interventi comportamenti e educativi sono generalmente il trattamento di prima scelta per le difficoltà comportamentali. Esistono moltissime ricerche sulla comprensione e sul trattamento di tali difficoltà che hanno utilizzato criteri di valutazione e intervento ispirati alla cosiddetta analisi applicata del comportamento (Applied Behavior Analysis, ABA). L’ABA si basa sul presupposto che i bambini con DSA, come tutti gli altri, apprendono tramite l’esperienza; perciò, gli eventi che precedono le difficoltà comportamentali (gli antecedenti) e quelli che le seguono (le conseguenze) assumono grande importanza. Per antecedenti s’intendono tutti quei fattori che attivano i comportamenti; ad esempio, se si chiede al bambino di smettere di dondolarsi e di mettere via i giocattoli e lui ha un accesso di collera, è facile intuire che il bambino non vuole smettere di dondolarsi né mettere via i giocattoli. Se la reazione all’accesso di collera è quella di lasciare che il bambino continui a dondolarsi, il messaggio forte e chiaro che gli si dà (la conseguenza) è che non deve badare a quello che gli diciamo! Esistono diversi approcci alla gestione dei comportamenti problematici; in fondo al volume sono fornite alcune indicazioni di base. Poiché spesso i genitori (ma anche gli insegnanti) si trovano a doversi occupare di più cose contemporaneamente, per loro non sempre è facile fare un passo indietro per osservare il «quadro completo» in cui i comportamenti problematici avvengono. Ci sono alcuni principi generali da tenere presenti. In primo luogo, non bisogna dedicare attenzione al bambino soltanto quando si comporta male: se si vuole incoraggiare il comportamento positivo, bisogna assicurarsi di riconoscerlo e lodarlo specificamente. In altri termini, uno dei «trucchi» per 218 L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta gestire i comportamenti problematici è avere idee chiare riguardo ai tipi di comportamento positivo alternativi a quelli problematici. In generale, una delle cose più importanti da fare è osservare, cercando di individuare eventuali costanti nei comportamenti problematici; ad esempio, il comportamento si manifesta solo in un certo momento o luogo, o in seguito a una determinata attività? Consideriamo cosa succede prima e cosa succede dopo il comportamento: viene in qualche modo (involontariamente) gratificato? Tale approccio di valutazione viene a volte indicato come analisi ABC, cioè analisi degli antecedenti (Antecedent), del comportamento (Behavior) e delle conseguenze (Consequence). L’obiettivo è quello di rinforzare il comportamento positivo; a questo scopo, quando un bambino assume un comportamento che noi riteniamo positivo, sarà necessario lodarlo esplicitamente e immediatamente. Per molti aspetti, la risoluzione delle difficoltà comportamentali sta nel condurre il bambino ad aumentare i comportamenti positivi, sostituendoli a quelli problematici. Prepararsi in anticipo è utile: se sappiamo che una certa situazione crea difficoltà o stress al bambino, bisogna avere pronto un piano d’azione. Prevenire un problema è più facile che doverlo gestire nel bel mezzo di una crisi. Inoltre, occorre tenere presente che, quando si cerca di eliminare o ridurre un comportamento problematico, al suo posto dovrà accadere qualcos’altro. Bisogna osservare attentamente il bambino: spesso si riescono a notare i piccoli segnali comportamentali che potrebbero indicare l’inizio di una difficoltà. Questi campanelli di allarme vanno utilizzati per prevenire i comportamenti problematici, magari dando al bambino qualcosa di diverso da fare o indicargli una strategia più efficace per comunicare i suoi bisogni (ad esempio lo scambio di immagini, si veda il capitolo 4). Quando è realmente necessario mettere dei limiti o collegare le azioni alle loro conseguenze bisogna essere chiari, specifici e andare fino in fondo. Di nuovo, gran parte della battaglia si gioca sulla preparazione: se abbiamo un piano possiamo attuarlo, anziché farci cogliere di sorpresa e rimanere disorientati. Se, ad esempio, il bambino ha difficoltà quando si va a fare la spesa al supermercato, è opportuno pensare a un piano prima di uscire. In primo luogo va fatto tutto il possibile perché le prime uscite per la spesa vadano nel migliore dei modi, magari con uscite molto brevi per acquistare il suo cibo preferito. Con i bambini che hanno difficoltà a gestire i cambiamenti, il principio da seguire è quello di introdurli gradualmente, utilizzando le esperienze positive come base per nuovi apprendimenti. Dopo un certo tempo si potrà usare una lista della spesa (se necessario corredata di fotografie, aiuti visivi o etichette dei prodotti ritagliate dalle relative confezioni) da completare con l’aiuto del bambino. Se il bambino ha difficoltà Come affrontare i comportamenti problematici 219 comportamentali, occorre dirgli in anticipo che cosa succederà nel caso dovesse comportarsi in modo problematico: «Lucia, al supermercato non si urla; se urli, dovremo andare via e non potremo prendere il gelato». Può essere utile annotare le osservazioni e/o creare una tabella nella quale segnare l’ABC dei comportamenti problematici. Quali sono gli antecedenti, quale il comportamento e quali le conseguenze? Spesso, prestando maggiore attenzione, si iniziano a notare segnali costanti e significativi. Ad esempio, il comportamento problematico potrebbe verificarsi soltanto in un luogo o in un preciso momento della giornata. Occorre anche osservare attentamente l’ambiente: talvolta modifiche apparentemente piccole all’ambiente del bambino (ad esempio trasformare un luogo disorganizzato e troppo ricco di stimoli in un ambiente più semplice e strutturato) possono determinare cambiamenti enormi nel suo comportamento. I bambini con DSA rispondono bene alla strutturazione, alla prevedibilità e alla coerenza, perciò è importante accertarsi che l’ambiente non contribuisca in qualche modo alla comparsa dei comportamenti problematici. Inoltre, bisogna esaminare le funzioni del comportamento. Se il bambino sta usando un comportamento per ottenere attenzione, allora si può decidere di ignorarlo (cioè di non considerare quanto di inappropriato sta facendo) e di prestargli attenzione quando inizia a fare qualcosa che si desidera faccia. Se il bambino (come la maggior parte dei bambini) non accetta i «no», occorre fare attenzione a non rinforzare gli scoppi di rabbia e gli altri comportamenti inappropriati; a volte i genitori, senza rendersene conto, incoraggiano questo tipo di comportamento facendo esattamente ciò che il bambino vuole. È importante diventare sempre più abili nel «sorprendere» il bambino a fare la cosa giusta — anche solo per un istante — così da poterlo lodare per quella anziché punirlo per il comportamento «sbagliato». A volte i problemi sorgono perché il bambino cerca di evitare i compiti o altre attività. Cedere, in questi casi, significa dargli un messaggio forte e chiaro su come può fare quello che gli pare! Piuttosto, si può provare a farlo impegnare per un breve lasso di tempo in un’attività, poi lodarlo e lasciargli fare dell’altro per un po’ di tempo. Se possibile, si può anche incoraggiarlo a una comunicazione adeguata ed esplicita. Alcuni comportamenti riconducibili a problematiche sensoriali (si veda il capitolo 9) possono essere affrontati trovando forme più appropriate; a questo scopo può fornire un contributo prezioso il terapista occupazionale. Facciamo un esempio: se il bambino si dondola molto a lungo, si può provare a circoscrivere questo comportamento solo a un determinato luogo (magari la sedia a dondolo), fissando periodi di tempo in cui il bambino può dondolarsi, 220 L’autismo dalla prima infanzia all’età adulta alternandoli a periodi in cui svolge le sue attività (la durata delle quali può essere progressivamente estesa). Spesso i bambini che hanno gravi difficoltà comunicative utilizzano i comportamenti problematici come modalità (inappropriata) per esprimersi. Per cercare di ridurre al minimo questo tipo di difficoltà nella gestione dei comportamenti problematici è importante utilizzare forme comunicative molto semplici e chiare, assicurandosi di avere l’attenzione del bambino quando ci rivolgiamo a lui. Occorre essere precisi rispetto a quanto vogliamo, cercando di fornirgli strumenti appropriati per comunicare i suoi bisogni e desideri, ad esempio con un cartellino «Aiuto» per chiedere, senza urlare, di essere aiutato. È importante aiutare i bambini a comunicare — a qualunque livello si trovino — sentimenti di frustrazione, ansia e così via. Il logopedista dovrebbe essere in grado di suggerire strategie o metodi utili in questo senso e concordare insieme allo psicologo scolastico o al terapista comportamentale le modalità del caso. Come sempre, occorre tenere presente il quadro complessivo. Spesso è facile dire che cosa non vogliamo che il bambino faccia, ma è molto più importante insegnarli che cosa vogliamo che faccia. Gli insegnanti, lo psicologo scolastico, il logopedista e il terapista occupazionale o quello della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva possono fornire ciascuno un punto di vista prezioso, essere di supporto uno all’altro e dare ai genitori ottimi suggerimenti. Talvolta è necessaria l’assistenza di uno specialista in terapia comportamentale; purtroppo, le differenze individuali tra i bambini con DSA sono tali da richiedere interventi «su misura». La collaborazione di uno specialista esterno può essere di grande aiuto in questo processo, soprattutto se il comportamento è particolarmente problematico. Esistono numerosi approcci comportamentali che possono aiutare genitori e insegnanti con il loro lavoro orientato a modificare i comportamenti del bambino. Errori comuni nella gestione dei comportamenti problematici Usare un linguaggio troppo complesso. Quando i bambini o gli adolescenti appaiono in forte difficoltà, c’è spesso il comprensibile desiderio, da parte di insegnanti e genitori, di sostenere, rassicurare e confortare. Tuttavia sovente si tende a utilizzare un linguaggio troppo complicato per il bambino; è più utile comunicare in maniera breve, semplice e diretta. Il linguaggio complesso è difficile da comprendere e servirà soltanto ad aumentare la frustrazione del bambino.