La Spagna tra Goti Arabi e Berberi in uno degli ultimi

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Ebbe a scrivere Maurice Bardeche in “Che cosa è il Fascismo” (Volpe, Roma, 1980, pag.47) “Il solo
dottrinario di cui i fascisti del dopoguerra accettano le idee all’incirca senza restrizioni, non è né
Hitler né Mussolini, ma il giovane capo della Falange, il cui destino tragico lo sottrasse all’amarezza
del potere ed ai compromessi della guerra”, Frase bellissima come tante altre nel libro del
Bardeche, ma che non ha mai completamente convinto chi scrive.(1).
Senza voler togliere nulla alla figura di Josè Antonio Primo de Rivera, una delle più nobili del
fascismo come “fenomeno europeo”, si deve ammettere che il suo pensiero, al pari di quello di tanti
altri del campo “fascista” non riuscì a giungere ad una formulazione precisa, e per quel che è
possibile, “definitiva”. Il che contribuisce anche a spiegare l’insuccesso dei gruppi neo falangisti che
hanno tentato di proseguire l’azione della Falange dopo la parentesi franchista.(2)
Certamente si deve tenere conto soprattutto della precoce morte del capo falangista assassinato dai
“repubblicani”il 20 XI nel Novembre 1936, come è noto, infatti, Josè Antonio venne arrestato il 14
marzo di quell’anno, (il 18 luglio scoppiò l’insurrezione nazionale). Il capo della Falange, in carcere,
ebbe modo di scrivere vari saggi tra cui le note che qui presentiamo datate 13 agosto 1936, a
codesto scritto è stato dato il titolo “Germanici contro Berberi”; esso venne reso noto in Spagna
soltanto, se non erro, nella seconda metà degli anni 90. Lo presento ai lettori soprattutto allo scopo
di far conoscere anche in Italia un aspetto poco noto del pensiero di Josè Antonio, facendolo
precedere dalle considerazioni fatte a riguardo di tale scritto da Stanley G.Payne in “Fascism in
Spain 1923-1977” (University of Wisconsin Press.USA.1999.pagg221-222 : “Il saggio sosteneva una
concezione razziale della storia spagnola, fortemente unita a considerazioni storiche, religiose e
culturali che Josè Antonio non aveva mai esposto pubblicamente. In tale scritto egli affermava che la
Reconquista era stata una lotta tra un Nord germanico(visigoto), cattolico romano, ed europeo ed un
Sud, dominato da una elite araba, ma composto essenzialmente da una popolo “indolente fantasioso
e melanconico” andaluso, ispanico berbero: un diverso stock etnico che era o islamico o sempre più
indifferente alla religione. “In questa lotta i Berberi e gli aborigeni presero parte talvolta come
semplici fantaccini e talvolta semplicemente come rassegnati sudditi di uno o dell’altro gruppo di
conquistatori, seppur con una marcata preferenza, almeno in gran parte della Spagna, per i
Saraceni”; “dalla parte dei cristiani i principali capi erano tutti di sangue goto…. La Reconquista fu
una impresa europea, cioè, in quel tempo, germanica. Molte volte, in effetti, liberi cavalieri
provenienti dalla Francia e dalla Germania vennero in Spagna a unirsi alla lotta contro i Mori. I
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regni che essi fondarono ebbero innegabili fondamenta germaniche…. Considerevoli parte della
Spagna, specialmente le Asturie ,il Leon e il Nord della Castiglia furono germanizzate… nel corso di
un millennio. Senza considerare il fatto che in codeste zone l’affinità etnica con il Nord Africa era
minore che nel Sud e nel Levante” La monarchia unificata del quindicesimo secolo aveva continuato
la missione storica della cultura cristiano cattolica ed europea, in primo luogo unificando la Spagna
e poi creando un impero universale e difendendo la causa del cattolicesimo sia in Europa che nel
resto del mondo “La conquista delle Americhe0” fu anch’essa un’ impresa cattolica e germanica,
dotata di un “senso di universalità privo delle pur minime radici celtibere o berbere. Solo Roma e la
cristianità germanica avrebbero potuto trasmettere alla Spagna la… vocazione cattolica alla
conquista dell’America”. Ma la Spagna non è mai diventata omogenea né culturalmente né
etnicamente, i conflitti sociali e politici dei tempi più recenti rappresentano in larga misura la
rivolta del substrato berbero-plebeo della Spagna meridionale che è stata conquistata ma mai
interamente assimilata. “La discendenza berbera che si manifesta sempre di più appare in tutti gli
intellettuali di sinistra da (il poeta Mariano Josè de ) Larra a oggi. Neppure l’attaccamento a mode
straniere riesce a nascondere in tutta la produzione letteraria degli ultimi 100 anni il risentimento
dei vinti. In ogni scrittore di sinistra si trova il morbido desiderio di demolire, tanto persistente e di
cattivo gusto che può essere alimentato solo dall’animosità propria di una casta umiliata…. Quello
che essi odiano senza rendersene conto, non è il fallimento delle istituzioni che essi denigrano, ma
l’antico trionfo di queste, un trionfo sopra di loro… Essi sono i venti berberi che non perdoneranno
mai il fatto che i conquistatori – Cattolici e Germanici – portavano il messaggio dell’Europa”. Nello
stesso tragico periodo Josè Antonio scrisse sull’aristocrazia e sulla concezione della storia che
andava maturando e che rivela forti influenze spengleriane.
E passiamo ora al testo di Josè Antonio
“Che cosa è stata la Reconquista?” Una visione superficiale della storia tende a considerare la
Spagna come una sporta di sfondo o di substrato permanente sul quale sfilano le diverse invasioni,
alle quali noi spagnoli assistiamo come spettatori in quanto partì di un certo elemento aborigeno.
Dominazione fenicia, cartaginese, romana, gotica, africana……. Fin da bambini abbiamo assistito
mentalmente a tutte queste invasioni come soggetti passivi, vale a dire come membri del popolo
invaso. Nessuno di noi, nella sua romanzesca infanzia ha mai smesso di sentirsi il successore di
Viriato, di Sertorio, degli abitanti di Numanzia (3). L’invasore è sempre stato il nostro nemico;
l’invaso il nostro compatriota.
Quando le cose sono considerate con più calma, quando si matura, sorge questa perplessità: dopo
tutto – ci si chiede – non solo la mia cultura ma anche il mio sangue e le mie viscere hanno più in
comune con l’aborigeno celtibero o con il romano civilizzato? Vale a dire: non avrò il perfetto diritto,
anche per un diritto del mio sangue, a guardare la terra di Spagna con gli occhi dell’invasore
romano; a considerare con orgoglio questa terra non come la remota culla dei miei avi, ma come
incorporata dai miei avi a una nuova forma di cultura e di esistenza? Chi mi dice che all’assedio di
Numanzia, vi fosse all’interno delle mura più mio sangue, più miei valori culturali, che negli
accampamenti degli assedianti?
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Forse possono capire meglio tutto ciò specialmente coloro che vengono da famiglie che hanno visto
nascere nella America ispanica molte loro generazioni. I nostri avi residenti al di là dell’Atlantico.
come i nostri odierni parenti che risiedono laggiù, si sentono tanto americani quanto noi ci sentiamo
spagnoli; però sanno che la loro qualità di americani gli viene in quanto discendenti di coloro che
dettero all’America la sua forma attuale. Essi sentono l’America come interiormente loro perché i
loro avi la conquistarono. Quali avi venivano da un’ altra terra che è ora per i loro discendenti più o
meno straniera. In cambiò la terra in cui ora essi vivono, a loro straniera secoli or sono, è ora la loro
terrà, definitivamente incorporata da alcuni loro remoti antenati al destino vitale della loro stirpe.
Codesti punti di vista si basano su due diversi modi di intendere la patria: o come basata su una
terra o come fondata su di un destino. Per gli uni la patria è la base fisica della culla in cui vennero
posti;per loro ogni tradizione è una tradizione legata ad un determinato spazio, geografica. Per gli
altri la patria è la espressione fisica di un destino; la tradizione, intesa in questo modo, è soprattutto
temporale, storica. ”
Dopo questa previa delimitazione di concetti è possibile riprendere la domanda che ci ponevamo
all’inizio: che cosa fu la Reconquista? Già lo si sa, da un punto di vista insegnatoci fin dall’infanzia,
fu il lento recupero della terra spagnola da parte degli spagnoli contro i mori che la avevano invasa.
Però non è così. In primo luogo i mori (è più esatto chiamarli “mori” che “arabi”, la maggior parte
degli invasori erano barbareschi (berberi) del Nord Africa; gli Arabi, razza di molto superiore a loro,
formavano solo una minoranza dirigente, occuparono quasi totalmente la penisola iberica in poco
tempo più di quello necessario per una presa di possesso materiale, senza lotta. Dal Guadalete (anno
711) fino a Cavadonga (anno 718)(4) ) la Storia non parla di alcuna battaglia tra stranieri e
indigeni. Persino il regno di Todomir, nella Murcia, si formò grazie a compromessi con i mori. Tutta
l’immensa Spagna fu occupata pacificamente, naturalmente compresi gli spagnoli che vi abitavano.
Quelli che si ritirarono fino alle Asturie erano i superstiti dei dignitari e i militari goti, cioè di coloro
che tre secoli prima erano stati, a loro volta, considerati degli invasori. Il substrato popolare
indigeno (celtiberico, semitico in gran parte affine ai nordafricani nell’altra, il tutto più o meno
romanizzato) erano tanto estraneo ai Goti quanto agli Agareni appena arrivati.(5)
In più, costoro sentivano più motivi di simpatia etnica e di costumi con i popoli vicini dell’altro lato
dello stretto che con i biondi invasori provenienti dalla regione del Danubio giunti tre secoli prima.
Probabilmente la massa del popolo spagnolo sentì molto più di suo gusto l’ essere governata dai
mori che dominata dai Goti. Questo per quanto riguarda l’inizio della Reconqusita, della fine non vi
è niente da dire. Dopo 600,700 e,in alcuni luoghi, quasi 800 anni di convivenza, la fusione del sangue
e di costumi tra invasori e berberi era ormai indistruttibile:mentre la compenetrazione tra indigeni e
goti, ostacolata per 200 anni dal dualismo giuridico e sempre rifiutata dal sentimento razziale dei
germanici, non cessò mai di essere superficiale.
La Reconquista non è, dunque,. un’impresa del popolo spagnolo contro un’invasione straniera; è, in
realtà, una nuova conquista germanica; una lotta plurisecolare per il potere militare e politico tra
una minoranza semitica di una gran razza -gli Arabi- e una minoranza ariana anch’essa di una
grande razza -i Goti-, a questa lotta presero parte berberi e aborigeni come carne da cannone
(gente de tropa) come sudditi rassegnati dell’uno o dell’altro dominatore, forse con una marcata
preferenza, almeno per gran parte del territorio, per i saraceni.
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Fino a tal punto la Reconquista è stata una lotta tra fazioni che a nessuno è mai capitato di chiamare
“spagnoli” quelli che combattevano contro gli agareni; ma costoro sono stati definiti “i cristiani” in
opposizione ai “mori”. La Reconquista fu una guerra per il potere politico e militare tra due popoli
dominatori, polarizzata intorno a una lotta religiosa.
Dalla parte cristiana i capi principali erano tutti di sangue gotico. Pelayio lo si innalza sul pavese a
Covadonga come continuatore della Monarchia seppellita presso il Guadalete. I capitani dei primi
nuclei cristiani
hanno inequivocabile aria di principi di sangue e mentalità germanica. Inoltre si
sentono legati fin dal principio alla grande comunità cattolico-germanica europea.
Quando Alfonso il Savio aspira al trono imperiale, non adotta un atteggiamento stravagante: fa una
richiesta, sulla base della maturità politica del suo regno, per quello che poteva vivere da secoli nella
coscienza di principe cristiano-germanico di ognuno dei capi degli Stati che andavano sorgendo
nell’ambito della Reconquista.
La Riconquista è una impresa europea – vale a dire , in quel tempo -, germanica. Molte volte
accorrono a combattere contro i Mori liberi signori della Francia e della Germania. I regni che si
formano hanno un’innegabile impronta germanica. Forse, e non vi fu stato in Europa che avesse
meglio impresso il sigillo europeo del germanesimo che la contea di Barcellona e il regno di Leon.
Schematicamente – astraendo delle migliaia di spostamenti e le reciproche influenze tra tutti gli
elementi etnici componenti etniche rimescolate per 8oo anni – la trionfante Monarchia dei Re
Cattolici è la restaurazione della Monarchia gotico-spagnola, cattolico-europea rovesciata nel secolo
VIII. La mentalità popolare, inoltre, allora difficilmente distingueva tra la nazione e il suo re.
D’altra parte, estese zone della Spagna, particolarmente le Asturie, il Leon e il Nord della Castiglia
erano state germanizzate, quasi senza soluzione di continuità, per 1.000 anni (dagli inizi del V secolo
fino alla fine del XV, senza altre interruzione che gli anni che vanno dal Guadalete fino al recupero
delle zone settentrionali da parte dei capi goti cristiani) senza contare che l’ affinità etnica degli
abitanti di codeste zone con il Nord Africa era molto miniore di quella degli abitanti del Sud e del
Levante. L’unità nazionale sotto i Re cattolici è, dunque, l’edificazione dello Stato unitario spagnolo
nel senso europeo, cattolico, germanico, di tutta la Reconquista. E il culmine dell’opera di
germanizzazione sociale ed economica della Spagna, non lo si dimentichi, perché forse è stato in
questo che la costante berbera ha potuto trovare la sua prima possibilità di ribellione
In effetti: il tipo di dominio arabo era soprattutto politico e militare. Gli arabi possedevano solo
vagamente il sentimento della territorialità. Non si insignorivano delle terre, in senso strettamente
giuridico-privato. Così le popolazioni contadine dei territori maggiormente dominati dagli arabi
(Andalusia, Levante) rimaneva in una situazione in cui era loro possibile sfruttare liberamente la
terra, in piccole proprietà e, forse anche in forme di proprietà collettive, l’andaluso, aborigeno,
semiberbero e la popolazione berbera che alimentò più copiosamente le file arabe, godeva di una
pace semplice e libera, inetta a grandi imprese culturali, però deliziosa per un popolo indolente,
fantasioso e malinconico come quello andaluso. Invece i cristiani, germanici, portavano nel loro
stesso sangue il sentimento feudale della proprietà. Quando conquistavano delle terre instauravano
sopra di esse delle signorie, non solo di carattere puramente politico militare come gli arabi ma
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patrimoniali allo stesso tempo che politici. Il contadino, nel migliore dei casi, passava allo status di
vassallo: con il passare del tempo, quando per l’attenuazione dell’aspetto giurisdizionale, politico,
tali signorie andavano accentuando il loro carattere patrimoniale, i vassalli, completamente
sradicati, cadevano nella terribile condizione di lavoratori giornalieri.
L’organizzazione germanica, di tipo aristocratico, gerarchico, era, basicamente, molto più dura. Per
giustificare tale durezza si impegnava nella realizzazione di un qualche grande compito storico. Era,
in realtà, il dominio politico ed economico su un popolo quasi primitivo. Tutta quell’enorme
armatura: Monarchia, Chiesa, aristocrazia, poteva cercare di giustificare dei suoi pesanti privilegi a
titolo di realizzatrice di un grande destino storico. E lo tentò di farlo percorrendo due strade: la
conquista dell’America e la Controriforma.
E’ un luogo comune (messo in circolazione dalla letteratura berbera di cui si parlerà più avanti) il
dire che le conquista dell’America è un’impresa nata spontaneamente dal popolo spagnolo,
realizzata quasi a dispetto della Spagna ufficiale. Codesta tesi non può essere sostenuta seriamente.
Molte spedizioni vennero organizzate, certo, come imprese private, però il senso della
cristianizzazione della colonizzazione dell’America è contenuto nel monumento delle Leyes de Indias,
opera che racchiude quello che è stato un pensiero costante dello Stato spagnolo attraverso
vicissitudini secolari. E la conquista dell’America è anche una impresa cattolico-germanica. Possiede
un senso di universalità privo della benché minima radice celtiberica e berbera. Solo Roma e la
Cristianità germanica poterono trasmettere alla Spagna la vocazione espansionistica, cattolica, della
conquista dell’America. Quello che viene chiamato lo spirito avventuriero spagnolo sarà veramente
spagnolo nel senso aborigeno o berbero o sarà una delle manifestazioni del sangue germanico?. Non
si trascuri il dato secondo cui, ancora ai nostri giorni, le regioni da cui parte il maggior numero di
migranti, vale a dire, di avventurieri, sono quelle del nord, le più germanizzate, le più europee,
quelle che, da un punto di vita di razza e di ciò che è caratteristico,potrebbero definirsi le meno
spagnole. Invece è ancora oggi molto grande il numero di Andalusi e abitante del Levante che si
trapianta nel Marocco, a Orano, in Algeria e che vivono lì come se fossero del tutto a casa loro,
come una ceppo che riconosce la terra lontana da cui sradicarono la sua ascendenza. Questa deriva
meridionale e levantina verso l’Africa non ha nulla in comune con le spedizioni colonizzatrici dirette
in America. Inoltre Africa e America sono state sempre quasi le consegne di due partiti politici e
letterari spagnoli. Di due partiti che coincidono quasi sempre con quello liberale e quello
conservatore, quello popolare e quello aristocratico; il berbero e il germanico. Era cosa quasi
obbligatoria che ogni autore avverso all’aristocrazia, alla chiesa, e alla monarchia incorporasse nel
suo repertorio frasi come questa “Era meglio che la Monarchia spagnola, invece di estenuare la
Spagna nell’impresa americana, avesse mirato alla nostra espansione naturale, quella africana.”
A fianco della conquista dell’America la Spagna germanica (doppiamente germanica sotto la dinastia
asburgica) conduce in Europa la lotta cattolica per l’unità. Combatte questa lotta e alla lunga la
perde, e conseguentemente, perde L’America. La giustificazione morale e storica del dominio
sull’America risiedeva nell’idea dell’unità religiosa del mondo. Il cattolicesimo era la giustificazione
del potere della Spagna. Però il cattolicesimo aveva perso la partita. Vinto il cattolicesimo, la Spagna
rimaneva priva di un giusto titolo per l’Impero dell’Occidente. La sua credenziale era scaduta. Così
si vide l’astuto Richelieu che, per abbassare la Casa d’Austria non ebbe scrupoli ad aiutare i paladini
della Riforma. Egli sapeva molto bene che la pietra angolare degli Asburgo era l’unità cattolica della
cristianità.
E così, persa la partita prima in Europa, poi in America. quale compito di valore universale avrebbe
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potuto addurre la Spagna dominatrice – Monarchia, Chiesa, aristocrazia – per conservare la sua
situazione di privilegio? La mancanza dì giustificazione storica causava la dimissione da ogni
funzione direttiva, i suoi vantaggi economici e politici rimanevano come puri abusi. D’altra parte,
con il venir meno di ogni impegno, le classi dirigenti avevano perso forza e risolutezza, anche per la
propria difesa. Si può osservare una serie di fenomeni simili nel culmine della decadenza della
monarchia visigota. Così la forza latente, non ancora estinta, della popolazione berbera sottomessa,
intraprendeva apertamente la sua rivincita.
Perché, anche nelle ore di culmine del dominio esercitato su di essa, la “costante berbera” non aveva
cessato di esistere e di agire. Le popolazioni sovrapposte, quella dominate e quella dominata: la
germanica e quella aborigena berbera, non si erano fuse. E neppure si intendevano tra di loro. Il
popolo dominatore stava attento a non mescolarsi con quello soggiogato (fino al 1756 non si abrogò
una prammatica di Isabella la Cattolica che esigeva che si provasse la purezza del proprio sangue,
ossia, la condizione di cristiano vecchio (6), senza mescolanza con ebrei o mori, anche per svolgere
funzioni con una modestissima autorità. Il popolo dominato, nel frattempo, continuava a detestare
quello dominante. Con atteggiamento molto tipico, adottò verso i dominatori un’aria di sottomissione
condita di ironia. In Andalusia si arrivò ai più esagerati estremi dell’adulazione; però sotto tale
adulazione apparente si ci vendica con la più sprezzante burla verso l’oggetto dell’adulazione stessa.
Tale attitudine, quella burlesca, è la più dolcemente rassegnata che possa adottare un popolo
spogliato ed emarginato. Poi si manifesta l’odio, e , soprattutto, il consolidamento permanente della
separazione tra le due etnie. In Spagna l’espressione “il popolo” (“el pueblo”) conserva sempre un
tono particolare nutrito di ostilità. Il “popolo ebreo” comprendeva, naturalmente, anche i profeti;
l’espressione il “popolo inglese” include i lord; alla buon’ora un comune inglese non permetterebbe
mai che non lo si considerasse, sotto la denominazione e di inglese, unito ai nobili primi nobili del
paese!. Qui in Spagna non è così: quando si dice “il popolo”, si vuol intendere l’elemento
indifferenziato, quello che non viene specificatamente qualificato; quello che non appartiene
all’aristocrazia, né alla chiesa, né all’esercito, né a una qualche gerarchia. Lo stesso Don Manuel
Azaňa (7) ha detto: “non credo negli intellettuali, né nei militari, né nei politici, non credo che nel
popolo”. Però allora, gli intellettuali, i militari, i politici, al pari degli ecclesiastici e degli
aristocratici, non fanno forse parte anche loro del popolo?
In Spagna no, perché vi sono due popoli e quando si parla del “popolo”, senza specificare, si allude a
quello soggiogato, quello sottratto alla sua sempre rimpiante esistenza primitiva, indifferenziata,
antigerarchica e che, proprio per questo, detesta colmo di rancore, ogni gerarchia riconducibile alla
stirpe dei dominatori.
Codesta dualità è penetrata in tutte le manifestazioni della vita spagnola, incluso quelle che
appaiono meno popolari. Per esempio il fenomeno europeo della Riforma ebbe una versione ridotta,
però del tutto impregnata della lotta tra germanici e berberi, tra dominatori e dominati. In Spagna
non vi fu un solo caso di principe eretico come ve ne furono in Francia o in Germania. I grandi
signori rimasero aggrappati alla religione della loro casta. Ogni eretico, piccolo borghese o letterato,
era come un vendicatore degli oppressi. Nella sua dissidenza alitava più che una tematica teologica
un’incurabile avversione verso l’apparato ufficiale, formidabile, costituito dalla Monarchia, dalla
chiesa, dall’aristocrazia….
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E così è stato fino ali tempi più recenti. La linea berbera, sempre più manifesta man mano vede
declinare la forza contraria, si affaccia in tutta l’intellighenzia di sinistra, da Larra (8) fino ad oggi:
né la fedeltà alle mode straniere riesce a nascondere un accento di risentimento proprio dei vinti in
tutta la produzione letteraria spagnola degli ultimi cento anni. In qualsiasi scrittore di sinistra è
presente un gusto morboso di demolire, tanto persistente e tanto pieno di fastidio che non può
essere alimentato che da una animosità personale da appartenente a una casta umiliata. La
Monarchia, la Chiesa, l’aristocrazia, l’esercito danno sui nervi agli intellettuali di sinistra, di una
sinistra che a questi effetti incomincia già dalla destra. Non è che sottopongano quelle istituzioni a
una critica; è che, di fronte ad esse li prende una inquietudine ancestrale come quelle che prende i
gitani quando si nomina la “bicha”(vipera?). In fondo si tratta di manifestazioni dello stesso
richiamo del sangue berbero. Quello che, inconsciamente, loro odiano, non è il fallimento delle
istituzioni che essi denigrano ma l’antico trionfo di queste, il trionfo su loro stessi sopra coloro che
odiano tali istituzioni. Sono i berberi vinti che non perdonano ai vincitori – cattolici, Germanici -di
essere stati i portatori dei valori europei,
Il risentimento ha sterilizzato in Spagna ogni possibilità di cultura. Le classi dominanti non hanno
dato nulla alla cultura, il che non suole essere da nessuna parte la loro missione specifica. Le classi
sottomesse, per poter produrre qualcosa di considerevole dal punto di vista culturale, avrebbero
dovuto accettare il quadro dei valori europeo, germanico. che è quello vigente, ma esso suscitava
una infinita ripugnanza, dato che era, in fondo, quello degli odiati dominatori. Così, grosso modo,
può dirsi che l’apporto della Spagna alla cultura moderna è uguale a zero; salvo qualche grande
sforzo individuale, slegato da ogni scuola, e qualche piccolo cenacolo inevitabilmente avvolto in un
alone di estraneità “(di appartenenza ad un qualche paese straniero)”.
Forse la Spagna andrà a pezzi, dividendosi lungo una frontiera che traccia, nella stessa penisola
iberica il vero confine dell’Africa. Forse tutta la Spagna si africanizzerà. Quello che non si può
dubitare è che, per molto tempo, la Spagna cesserà di contare qualcosa in Europa. Noi che per
solidarietà culturale e anche per una misteriosa voce del sangue ci sentiamo legati al destino
dell’Europa, potremo forse mutare il nostro patriottismo basato sulla stirpe che ama questa terra
perché i nostri avi la conquistarono per darle forma, in un patriottismo tellurico che ami questa terra
per quello che è, nonostante che in essa si sia spento fin l’ultimo eco del nostro destino famigliare?”
Concludendo con qualche mia parola di commento, si può ritenere che si possano trovare in codesto
scritto delle affinità con certe idee espresse da Josè Ortega y Gasset (si veda l’antologia ‘Masse e
Aristocrazia’ Volpe, Roma, 1972)
Stupisce trovare tale svalutazione dello stesso popolo spagnolo (evidentemente Josè Antonio non
poteva risentire delle sue condizioni di prigioniero destinato al plotone d’esecuzione!). Lasciamo da
parte la questione delle componenti etniche (berbere o altro) del popolo spagnolo ;degli Arabi
possiamo affermare che probabilmente erano ai tempi della Conquista erano almeno parzialmente
diversi da quelli attuali: nei secoli essi hanno assorbito il sangue dei popoli sottomessi, a cominciare
da quelli negri. La civiltà arabo-islamica del passato, probabilmente è stata oggetto di
sopravvalutazione da parte di alcuni storici (un punto questo su cui converrà ritornare in futuro)
oggi la si può considerare da un punto di vista spengleriano (e non solo (9)ormai irrimediabilmente
decaduta. (Senza parlare degli apporti che all’epoca della sua grandezza ebbe da altri elementi
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etnici a partire da quelli persiani)
Quello che a noi interessa è la centralità nello scritto di Josè Antonio della grande impresa della
“Riconquista”, si è già detto che la storia dell’Europa può essere, almeno in parte, vista come quella
di una “fortezza bianca” assediata e assalita dai popoli asiatici e africani (cfr.Gonzague de Reynold
“La Cittadella Assediata” Idee in Movimento, Genova, 2002. Inutile rammentare che l’identificazione
tra “cristianità” ed Europa di quei tempi sarebbe oggi del tutto improponibile vuoi per le scelte
terzomondiste delle chiese cristiane vuoi per l’ormai irrimediabile scristianizzazione dell’Occidente.
In questo quadro hanno grande importanza sia l’invasione islamica della penisola iberica (favorita,
non dimentichiamolo, dalle locali comunità ebraiche) sia la sua Riconquista da parte delle forze
europee.
Questa non poté dirsi completata neppure nel fatale 1492.
Noi oggi abbiamo la triste ventura di dover assistere a quella che probabilmente sarà la definitiva
invasione del “mondo bianco” (Europa, Nord America, Australia) da parte dei popoli di colore. Delle
forze di questa invasione (per ora relativamente pacifica) una componente assai importante è quella
islamica e non si può ignorare che nel mondo islamico vi sia chi spera di riconquistare con
l’immigrazione quello che l’Islam una volta conquistò e poi dovette abbandonare come
l’Andalusia.Allo stesso modo, ma forse più a ragione, in Messico vi è chi spera che l’immigrazione
riconquisti territori strappati al paese del centramericano dagli Stati Uniti.
In questo ambito vi è chi indica la Reconquista come modello per un’ eventuale riscossa europea
(naturalmente in questo caso non si potrebbe contare su di un cristianesimo ormai religione del
“terzo mondo”e irrimediabilmente agonizzante in quello “bianco”). Potremo credere che sarebbe
forse più da guardarsi alle remote e autentiche origini dell’Europa e della sua civiltà: alle invasioni
indoeuropee. “Agli inizi, troviamo gli Ariani una razza di conquistatori che è il substrato di ogni
civiltà occidentale.”(Pino Rauti “ Le Idee che mossero il Mondo” Centro Editoriale Nazionale, Roma,
1966 pag. 12) C.D. Darlington “in “ L’Evoluzione dell’Uomo e della Società”(Longanesi, Milano,
1969) riporta a pag. 170 l’opinione del famoso archeologo Gordon Childe secondo il quale gli ariani
“appaiono dappertutto i promotori del vero progresso, e in Europa la loro espansione indica il
momento in cui la preistoria del nostro continente incomincia a divergere da quella dell’Africa o del
Pacifico.” Parrebbe lecito fantasticare su una “lotta finale”che, se vittoriosa, vedrebbe la cacciata di
masse di alieni dal nostro continente e l’instaurazione del dominio di elementi rimasti europei al di
sopra di masse informi ormai meticciate nel corpo, nell’anima e nello spirito e il modello non
potrebbe essere che quello di Sparta.
La prospettiva di uno scontro finale,
invece di essere costretti ad assistere impotenti, alla trasformazione del pianeta in un immondezzaio
infestato da una putrescente massa di bastardi, senza razza, senza patria e senza fede potrebbe
apparire seducente, anche se esso dovesse concludersi negativamente. Se non altro ad alcuni
sarebbe data la possibilità di finire “in bellezza” facendo proprio l’immortale grido di F. Solano
Lopez “Muero con my Patria”. E oggi la nostra Patria è la nostra Razza. (10)
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ALFONSO DE FILIPPI
NOTE
1) Anche il noto storico della “Rivoluzione Conservatrice”Armin Mohler accettava di essere
considerato “fascista”ma “nella tradizione di Josè Antonio Primo De Rivera.
2)Cfr “Las siete muertes de Falange Espaňola”in “Revista de Historia del Fascismo”N.1 Sett.Ott.2010
3)Viriato(190-139 aC)capo lusitano lottò a lungo contro Roma,fu ucciso a tradimento dai suoi,
QuintoSertorio123-72 aC)già sostenitore di Mario,rifugiatosi in Spagna si mise alla testa di una
ribellione di elementi locali,fu ucciso da l suo luogotenente Peperna, Numanzia capitale dei celtiberi
fu centro della resistenza antiromana,fu assediata da Scipione Emiliano(133-134 a C)alla fine i suoi
abitanti preferirono in gran parte uccidersi che darsi ai Romani.
4)Alla battaglia del fiume Guadalete (19 VII 711)le forze visigote vennero sconfitte da quelle araboberbere. A Cavadonga nel 722 la vittoria di Don Pelayo sugli invasori africani segnò l’inizio della
Reconquista.
5) I Saraceni venivano detti anche “Agareni”in quanto presunti discendenti di Abramo e della sua
schiava_ Agar
6) “Cristiani vecchi”cioè quelli non inquinati dal sangue di “conversi”mori o ebrei.
7 )Manuel Azana (1880-1940)primo ministro e poi presidente delle repubblica spagnola fino alla
sconfitta da parte delle truppe franchiste.
8)Mariamo Josè de Larra(1809-1837)scrittore spagnolo
9) “Il periodo creativo della civiltà araba si è ormai definitivamente esaurito in secoli ormai lontani.
A partire da un certo periodo,un migliaio di anni addietro,la civiltà “magica”(o ”araba” che dir si
voglia) è morta:è un albero secco .Rimangono le strutture;rimane l’Islam ,ormai
ossificato,pietrificato,incapace di evolvere dal suo interno,incapace di cambiare per sua forza
spontanea,perché è inaridito”Piero Ottone “Il Tramonto della nostra
Civiltà”(Mondadori,Milano,1994,pag.91)
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10)“Prepariamoci dunque a sparire dalla faccia del mondo. Contro il destino è impossibile andare.
Questione di battersi con onore nell’ultima battaglia. Questione di raccogliere le forze supreme e di
mostrare in faccia ai negri, ai gialli, che c’è ancora gente, che ci sono ancora popoli e razze, e
nazioni in questa vecchia, schifosa, marcia, decomposta, incancrenita Europa, capaci di sentire con
orgoglio, con fierezza, con dignità, con titanico stoicismo l’impegno assunto di fronte alla tradizione
avita”.V. Beonio Brocchieri introduzione a Oswald Spengler<Anni Decisivi>Bompiani,Milano,1934.
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