LA RESPONSABILITÀ 231 DELLA SOCIETÀ IN HOUSE: IL CONTROLLO ANALOGO, GLI APICALI DI FATTO E LA NECESSITÀ DI UN’INTERPRETAZIONE ESTENSIVA DELL’ART. 5 DEL DECRETO Luigi Pecorario, Avvocato in Roma, Dottore di ricerca in Diritto penale Università degli di Studi di Roma Tre Individuati a livello comunitario e nazionale i confini giuridici della produzione in house, ed in particolare del requisito del cd. controllo analogo, l’autore si interroga sull’applicabilità agli enti in house della disciplina 231. In relazione a ciò viene esaminata la dottrina e la giurisprudenza rilevante, con particolare attenzione agli indirizzi in materia di in house della Suprema Corte di cassazione, senza trascurare la portata normativa delle recenti direttive europee in materia di appalti. Di seguito, colta l’esigenza di confrontarsi con un sistema che oggi vede le società in house soggette al d.lgs. 231/2001, anche in relazione alle indicazioni operative fornite dalle linee guida dell’ANAC, l’autore sviluppa la sua indagine nell’intento di ricostruire l’astratta riconducibilità nel novero dei possibili autori individuali dei reati-presupposto 231 delle «persone preposte all’esercizio del controllo analogo». Viene al riguardo particolarmente considerato il parallelo tra l’influenza determinante che deve esercitare l’ente affidante sul soggetto affidatario e la condizione di dominio richiesta affinché prenda corpo e sostanza la definizione di apicalità di fatto ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. a), seconda parte, d.lgs. 231/2001. 1. La «produzione» in house La produzione in house (di seguito solo «in house») costituisce una delle due forme1 di cui dispone la pubblica amministrazione per l’approvvigionamento di beni, servizi o lavori2 senza fare ricorso al mercato. L’espressione in house può essere correttamente utilizzata quando la produzione di beni, lavori o servizi, l’erogazione di servizi pubblici o l’esercizio di pubbliche 1 Ulteriore riferimento è alla modalità del cd. contracting out che presuppone la scelta dell’amministrazione di affidare all’esterno l’approvvigionamento di beni, l’esecuzione di servizi o lavori, oppure l’erogazione di servizi pubblici o lo svolgimento di una funzione pubblica, ricorrendo, dunque, a strumenti di natura contrattuale, come l’appalto. 2 Sul tema si veda su tutti Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2013. 206 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti funzioni sono curati direttamente dagli organi, uffici e strutture del soggetto pubblico ovvero attraverso il ricorso a società all’uopo costituite3. Istituto di origine anglosassone4, i confini giuridici dell’in house sono oggi ben marcati nell’ordinamento comunitario grazie all’opera creatrice della Corte di Giustizia, volta ad enucleare in maniera via via maggiormente precisa le condizioni in presenza delle quali risulta legittimo un affidamento diretto da parte di un’amministrazione aggiudicatrice di servizi pubblici ad altro soggetto, in deroga all’applicazione delle generali norme comunitarie in tema di concorrenza5. Nelle sentenze Arhem e RI.SAN della Corte di Giustizia comunitaria venne per la prima volta individuato «nel rapporto di delega interorganica tra amministrazione aggiudicatrice e soggetto aggiudicatario (data dalla dipendenza finanziaria e amministrativa, sia gestionale che organizzativa di quest’ultimo nei confronti della prima) un fattore in grado di escludere la necessità di ricorrere alle procedure ad evidenza pubblica nell’affidamento dell’appalto6». Tale principio ha ricevuto poi una formulazione maggiormente compiuta nella paradigmatica sentenza Teckal7. Obiettivo della Corte è stato quello di fare chiarezza sul rapporto che si pone all’interno del mercato comune tra il principio di tutela della concorrenza e la capacità della pubblica amministrazione di auto-organizzarsi per meglio rispondere alle esigenze di pubblico interesse di cui è portatrice: e ciò con riguardo segnatamente all’affidamento di contratti pubblici e di concessioni. In buona sostanza il tema che viene affrontato, e risolto, è quello della compatibilità con i principi del Trattato dell’affidamento diretto da parte di pubbliche amministrazioni a particolari categorie di società dello svolgimento in regime «contrattuale» di compiti di esecuzione di lavori, o della prestazioni di servizi e forniture, senza il ricorso alle procedure di evidenza pubblica. La Corte nella circostanza ha rilevato che non si configura una fattispecie comunque riconducibile al regime dei pubblici appalti, ed in particolare non si rinviene un contratto pubblico d’appalto, quando il contratto sia stato stipulato, da una parte, da un ente locale e, dall’altra, da una persona giuridicamente distinta da quest’ultimo «laddove l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo 3 Due sono i principi fondamentali del diritto europeo in tema di in house: il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche ed il principio di tutela della concorrenza. Recentemente il Consiglio di Stato ha affermato che «l’in house rappresenta legittima declinazione del generale principio di autoproduzione, che è corollario del principio di libera amministrazione» (sez. VI, 18 maggio 2015, n. 25159). 4 L’in house conosce i propri albori nell’ordinamento del Regno Unito nella procedura del Compulsory competitive tendering prevista dal Local Government, Planning and Land Act del 1980 e nella procedura del Best Value, in cui si impone alle autorità pubbliche che ne sono soggette l’individuazione della soluzione organizzativa più economica, efficiente ed efficace per l’esercizio delle proprie competenze e per l’acquisizione delle risorse all’uopo necessarie attraverso un sistema di comparazione che prevede il confronto tra auto-produzione da parte della medesima autorità e soluzioni alternative, quali, in via precipua, le offerte provenienti da soggetti terzi. 5 Sul punto si vedano le considerazioni di Volpe, «Le nuove direttive sui contratti pubblici e l’in house providing: problemi vecchi e nuovi», testo della relazione per il 61° Convegno di Studi Amministrativi su «La nuova disciplina dei contratti pubblici fra esigenze di esemplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione», Varenna, 17-19 settembre 2015, con riferimenti di dottrina. L’autore rileva come l’istituto non sia concepito come modello a sé stante ma unicamente come possibilità, da parte dell’amministrazione, di affidamento diretto di un appalto prescindendo dall’evidenza pubblica: una vera e propria «eccezione». 6 Corte di Giustizia UE, 10 novembre 1998, in C-306/1996 e Corte di Giustizia UE, 9 settembre 1999, in C-108/1998. 7 Corte di Giustizia UE, 18 novembre 1999, in C-107/1998. La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 207 analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’Ente o con gli enti locali che la controllano8». Due requisiti indefettibili sono dunque venuti a costituire i capisaldi fondanti la legittimità di procedure di affidamento diretto di servizi pubblici: la sussistenza di un rapporto di controllo «analogo» tra PA aggiudicatrice e soggetto affidatario9 nonché la destinazione, in misura prevalente, dell’attività di quest’ultimo a favore della prima (cd. «soggetto dedicato10»). Ora, condividendo le esigenze11 che hanno ispirato sul tema l’opera interpretativa della Corte di Giustizia12, a parere di chi scrive e soprattutto per la sedes materiae che l’accoglie, appare qui di seguito opportuno soffermarsi in dettaglio sul requisito del controllo «analogo». Su di esso, infatti, farà perno l’indagine volta a valutare l’astratta riconducibilità nel novero dei possibili autori individuali dei reati-presupposto delle «persone preposte al controllo analogo» in quanto comprese de plano nella nozione di cd. apicali di fatto. 2. Il controllo cd. «analogo» Dopo la sentenza Teckal, l’attenzione della Corte di Giustizia si è appuntato esclusivamente sull’affinamento del significato da attribuire al concetto di controllo «analogo», secondo un linea di tendenza decisamente evolutiva - ed al tempo stesso restrittiva - rispetto al dato di partenza13. In tema Clarich, Manuale di diritto amministrativo, cit., 352 s. Sul tema si vedano su tutti le riflessioni di Monziani, Controllo analogo e Governance Societaria nell’affidamento diretto dei servizi pubblici, 2009, 87 ss. 10 A riguardo Monziani, cit., 94, «il requisito della prevalenza dell’attività non è stato oggetto di particolari approfondimenti: in tema si registra la posizione espressa dall’Avvocatura generale comunitaria, la quale ha avuto modo di esprimersi per prima sul punto, inizialmente in senso negativo affermando che il requisito in esame non è soddisfatto allorquando l’ente affidatario svolge essenzialmente la propria attività con operatori o enti territoriali diversi da quelli che compongono l’amministrazione aggiudicatrice (Conclusioni dell’Avvocato Generale M. Philippe Leger, presentate il 15 luglio 2000 nella causa C-94/1999), e poi giungendo ad una ricostruzione più precisa della materia cha ha portato a proporre il principio fondamentale secondo cui il giudice nazionale è tenuto ad accertare quale sia la parte più importante dell’attività tenendo conto di elementi non solo quantitativi, con precipuo riferimento al fatturato, ma anche qualitativi e della prospettiva di sviluppo in cui l’attività accessoria eventualmente si ponga (Conclusioni dell’Avvocato Generale Christine Stix-Hackl, presentate il 12 gennaio 2006 nella causa C-340-04)». 11 Sempre Monziani, cit., 91 ss., in cui si evidenzia come «In tale opera di perimetrazione dei contorni dell’affidamento cd. in house, la Corte di Giustizia ha fatto perno sul requisito che consentiva maggiori sviluppi interpretativi, ossia quello del controllo analogo, in quanto formula ancora inesplorata non facente parte delle tradizioni amministrative nazionali e quindi suscettibile di costituire una sorta di involucro il cui contenuto andava definito nella sua interezza attraverso l’opera della giurisprudenza». 12 Dal canto suo la Corte di Giustizia a recepito l’indicazione dell’Avvocatura Generale limitandosi a puntualizzare che «il fatturato determinante è rappresentato da quello che l’impresa in questione realizza in virtù delle decisioni di affidamento adottate dall’ente locale controllante, compreso quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni» (Corte di Giustizia UE, sez. I, 11 maggio 2006, in C-340/04). In dottrina si vedano le considerazioni di Montedoro, Il regime della responsabilità degli amministratori nelle società pubbliche, in Le società commerciali: organizzazione, responsabilità e controlli, Vietti (a cura di), Milano, 2014, 335 ss. In particolare «l’attività principale può consistere nello svolgimento di un servizio pubblico locale a favore dell’utenza, quanto in un rapporto contrattuale tra società in house ed ente pubblico, o enti pubblici controllanti, funzionali a consentire lo svolgimento a favore dell’ente pubblico di lavori, servizi e forniture». 13 Dato di partenza che può essere riassunto (si vedano sentenze Arnhem/RI.SAN elaborate dalla pronuncia Teckal in nota 5) in una dipendenza finanziaria e amministrativa, sia gestionale che organizzativa, del soggetto aggiudicatario nei confronti della PA: in altri termini facoltà dell’ente di influire sulle decisioni del gestore ed assenza di un prestatore o fornitore che sia effettivamente un soggetto terzo rispetto all’amministrazione aggiudicatrice. Per un commento alle prime prese di posizione della Corte di Giustizia in tema di affidamento in house cfr. Galesi, In house providing: verso una concreta definizione del «controllo analogo»?, in Urb. e app., 2004, 931 ss. 8 9 208 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti Il primo aspetto che è stato avvalorato come fondante il concetto di controllo analogo riguarda «la sussistenza tra amministrazione aggiudicatrice e soggetto destinatario dell’affidamento di un rapporto di delegazione interorganica, in ragione del quale quest’ultimo si configura come parte della complessiva organizzazione della prima14». Rapporto di delegazione interorganica che consente di ritenere legittimo l’affidamento diretto in quanto il destinatario si trova nella condizione di non poter esprimere una volontà imprenditoriale autonoma, attuando viceversa scelte ed indirizzi unilateralmente determinati dall’amministrazione o dalle amministrazioni di cui l’ente è strumentale15. Un’ulteriore indicazione in ordine ai caratteri del controllo «analogo» si trova nella sentenza Truley, dove la Corte ha sottolineato come «ai fini dell’integrazione del requisito in esame, non è sufficiente un mero controllo a posteriori, bensì una situazione in cui, da un lato, le pubbliche autorità verificano non solo i conti annuali dell’organismo considerato, ma anche la sua amministrazione corrente sotto il profilo dell’esattezza, della regolarità, dell’economicità, della redditività e della razionalità, mentre, dall’altro lato, le stesse autorità appaiono autorizzate a visitare i locali e gli impianti aziendali del medesimo organismo16». Tale tendenza, volta al ridimensionamento dell’ambito applicativo dell’affidamento in house, si mostra ancor più netta nella statuizione Stadt Halle in cui viene chiarito come «il requisito del controllo analogo richieda la necessaria partecipazione pubblica totalitaria, posto che la partecipazione, pur minoritaria, di soggetti privati al capitale sociale, alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi17». Attenta dottrina ha però evidenziato come la pronuncia – pur costituendo un nuovo importante affinamento dell’istituto – non abbia tuttavia colto l’occasione di chiarire in quali termini dovesse essere attuato in concreto il controllo di tipo organizzativo-amministrativo, così da lasciare aperta la necessità – di cui la giurisprudenza successiva acquisirà consapevolezza18 – di affiancare alla verifica circa la totale partecipazione pubblica della società destinataria dell’affidamento diretto, «un apprezzamento in ordine alla sussistenza, nel caso concreto, di indici di effettivo controllo, quali quelli consistenti nel diritto di nomina degli amministratori della società, oltre che degli organi di revisione, da parte dell’ente pubblico affidante nonché nell’esercizio, in capo a quest’ultimo, di penetranti forme di controllo sui più rilevanti aspetti dell’attività sociale che siano in grado di condizionare totalmente tale attività, negando qualunque alterità soggettiva tra amministrazione aggiudicatrice e compagine affidataria del servizio19». Corte di Giustizia UE, 14 novembre 2002, in C-310/01, Diddi. In dottrina Guccione, Affidamenti in house e nozione di organismo di diritto pubblico, in Riv. trim. app., 2004, 1089, si parla a riguardo di «una sorta di «prolungamento amministrativo», ovvero come una longa manus dell’ente affidante, in quanto legato a quest’ultimo da un rapporto di dipendenza formale, economica ed amministrativa ed in assenza della capacità di esprimere una volontà imprenditoriale autonoma». 16 Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2003, in C-373/2000. 17 Corte di Giustizia UE, 11 gennaio 2005, in C-26/2003. Concetto recentemente ribadito in Corte di Giustizia UE, 19 giugno, 2014, C-574/12. 18 Rinvia a nota n. 27. 19 Così in dottrina Ferraro, La nuova ricostruzione dell’in house providing proposta dalla Corte di giustizia nella sentenza Stadt Halle, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2005, 1004 ss. Sul tema degna di nota è anche la comunicazione della 14 15 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 209 L’opera di delimitazione della «casa» entro le cui mura poter considerare legittimo l’affidamento diretto di un servizio pubblico locale prosegue nella sentenza Parking Brixen20. La Corte di Giustizia ritiene di dover escludere la sussistenza del requisito del controllo analogo qualora «i soggetti destinatari di affidamenti in house siano dotati della particolare forma societaria della società per azioni. Siffatta connotazione renderebbe precario il controllo del Comune (Ente affidante) ritenuta la spiccata vocazione commerciale dell’azienda spa (inizialmente municipalizzata) ed i considerevoli poteri conferiti al consiglio di amministrazione, senza che in pratica venga esercitato alcun controllo gestionale da parte dell’ente affidante21». Siffatta pronuncia ha innescato – soprattutto con riferimento alle regole del diritto societario vigenti nel nostro ordinamento – uno dei temi più complessi in tema di affidamento diretto di servizi pubblici, cui merita da subito accennare. Il problema di fondo che pongono le società in house risiede di fatto nella verifica già in astratto della loro compatibilità – per quanto specificamente attiene al ruolo ed ai compiti del socio pubblico (cd. controllo analogo) – con la disciplina positiva della società per azioni dettata dal codice civile. Tale disciplina, infatti, si caratterizza, come è noto, per il riconoscimento di poteri gestionali assai ampi in capo agli organi di amministrazione della società, esercitabili in maniera del tutto indipendente rispetto all’assemblea dei soci. Nel sistema tradizionale22, a fronte delle competenze dell’assemblea ordinaria dei soci (art. 2364 c.c.) e dell’assemblea straordinaria (art. 2365, comma 1, c.c.), è espressamente previsto che «la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale». Previsioni che risultano quantomeno «distoniche», se non palesemente contrarie, rispetto allo stringente requisito del controllo analogo: sembrerebbe, allora, preferibile optare, ove si intenda ricorrere all’in house mediante il ricorso ad apposito veicolo societario, per il modello della società a responsabilità limitata, la cui disciplina è di gran lunga «più flessibile» e «modulabile» rispetto a quella della s.p.a., per quanto riguarda, in particolare, l’ampia autonomia rimessa alle decisioni dei soci nella configurazione del complessivo sistema di governo della società23. Da ultimo tuttavia, non è mancato chi ha scorto una residua possibilità di utilizzazione del modello di cui alla società per azioni nel caso in cui la forte autonomia del management sia temperata da una previsione statutaria, non modificabile se non con maggioranza che richieda il voto dell’ente affidante, in forza Commissione europea, 26 giugno del 2002, diretta al Governo italiano per sollecitare le modifiche all’art. 113 del Testo Unico degli Enti Locali in cui si precisa che «la sussistenza del requisito del controllo analogo debba passare attraverso la verifica che l’amministrazione controllante eserciti «un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato che riguardi «l’insieme delle più importanti atti di gestione del medesimo». 20 In questi termini Monziani, cit., 102. 21 Corte di Giustizia UE, 13 ottobre 2005, in C-458/03. I giudici comunitari erano stati chiamati a decidere «se l’attribuzione di una concessione di pubblici servizi senza svolgimento di una pubblica gara sia compatibile con il diritto comunitario qualora l’impresa concessionaria sia una società per azioni costituita mediante trasformazione di un’azienda speciale di un’autorità pubblica e il cui capitale sociale al momento dell’attribuzione sia interamente detenuto dall’autorità pubblica concedente, il cui Consiglio di Amministrazione disponga però dei più ampi poteri di ordinaria amministrazione e possa concludere autonomamente, senza l’accordo dell’assemblea dei soci, taluni negozi entro un valore di cinque milioni di euro». 22 Ma anche in quello monistico (cfr. artt. 2409 sexiesdecies c.c.) che dualistico (cfr. artt. 2409 octies). 23 Così in dottrina Gruner, Compiti e ruolo del socio pubblico: direzione (società miste) e dominio (società in house), in Il diritto dell’economia, vol. 25, n. 78, 2/2012, 9 ss. 210 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti della quale l’impresa in questione possa rendere servizi solo nei confronti di quest’ultimo, non essendo legittimata, viceversa a compiere alcuna prestazione a favore di altri committenti pubblici o privati. In questo modo si attribuisce all’ente pubblico un vero e proprio «potere di vita o di morte», essendo la società impossibilitata a svolgere attività diverse da quelle relative o connesse all’affidamento, con piani industriali del tutto vincolati dalla concessione e dai contratti24 ad essa connessi. Continuando nell’opera di definizione del perimetro al cui interno procedere ad affidamenti diretti di servizi pubblici locali, i giudici comunitari hanno posto due ulteriori elementi significativi a presidio del modello in house. Per un verso, si è ritenuto che il canone di effettività del requisito del controllo analogo si arricchisca della cd. «dimensione temporale» in cui esso si snoda25, nel senso che «non è da ritenere sufficiente la sussistenza di tale condizione al momento dell’affidamento diretto, dovendo, quest’ultima, assieme all’altro requisito necessario a tale scopo (la prevalenza dell’attività), risultare continuativamente soddisfatta anche dopo l’attribuzione del servizio onde evitare operazioni elusive delle regole concorsuali comunitarie26». Successivamente, la Corte è giunta a vagliare, negativamente, ai fini della sussistenza del controllo analogo, la fattispecie in cui l’ente pubblico affidante «detiene il capitale della società destinataria dell’affidamento, non direttamente, ma tramite una società holding». L’intervento restrittivo si appunta sul fatto che «l’esistenza di un siffatto tramite può, a seconda delle circostanze del caso specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice su una società per azioni in forza della mera partecipazione al suo capitale sociale27». Recentemente la Corte di Giustizia ha quindi colmato il vuoto interpretativo lasciato in dote dalla sentenza Stadt Halle28, rilevando come la partecipazione totalitaria rappresenti una condizione necessaria, ma non ancora sufficiente, dovendosi ulteriormente verificare la presenza di strumenti di controllo da parte dell’ente pubblico più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile a favore del socio totalitario29. In particolare, «l’amministrazione aggiudicatrice deve essere in grado di esercitare un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti dell’entità affidataria ed il controllo esercitato deve essere effettivo, strutturale e Il riferimento è a Perfetti, Miti e realtà nella disciplina dei servizi pubblici locali, in Dir. amm., 2006, pag. 423. Ancora Monziani, cit., pag. 108. 26 Corte di Giustizia UE, 10 novembre 2005, C-29/04. Secondo l’argomentazione dei giudici comunitari «l’aggiudicazione di un appalto deve essere esaminata, ai fini in considerazione, tenendo conto dell’insieme delle fasi in cui esso si snoda, nonché dell’obiettivo perseguito e non solo dello svolgimento cronologico in senso stretto». 27 Corte di Giustizia UE, 11 maggio 2006, in C-340/04. In particolare è stato evidenziato come «non risulti compatibile con la direttiva n. 93/36 l’affidamento diretto di un appalto ad una società per azioni il cui consiglio di amministrazione possiede ampi poteri di gestione esercitabili in maniera autonoma e il cui capitale è interamente detenuto da un’altra società per azioni (holding), della quale è a sua volta socio di maggioranza l’amministrazione aggiudicatrice. Più specificamente, la Corte, pur ammettendo che partecipazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, anche se insieme ad altri enti pubblici, all’intero capitale della società aggiudicataria potrebbe indicare, comunque in maniera non decisiva, l’esercizio di un controllo analogo, tuttavia procedendo secondo il metodo informato sul canone dell’effettività, stante la previsione statutaria, tale controllo si ridurrebbe semplicemente nei poteri che il diritto societario riconosce alla maggioranza dei soci, con conseguente considerevole limitazione della possibilità in capo all’ente pubblico di influire sulle decisioni delle società». 28 Vedi nota n. 17. 29 In tal senso si esprime Volpe «Le nuove direttive sui contratti pubblici e l’in house providing: problemi vecchi e nuovi», cit., pag. 3. 24 25 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 211 funzionale30», fino a considerare il controllo analogo espresso nel potere di nomina degli organi direttivi della società e nella presenza di un funzionario incaricato di controllare ed orientare l’operato della società in house. Inoltre, è stato riconosciuto che, a siffatte condizioni, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da più autorità pubbliche che possiedono in comune l’entità affidataria, senza la necessità di un esercizio individuale dello stesso da parte di ciascuna di esse (cd. controllo congiunto31). 2.1. ...i recenti sviluppi europei Occorre ora rivolgere l’attenzione sulle novità (in tema) contenute nelle nuove direttive sui contratti pubblici32 che dovranno essere recepite in Italia entro il 18 aprile 2016. Sgombrando fin da subito il campo da possibili conflitti ermeneutici33, occorre premettere come per l’individuazione dell’in house venga nuovamente ribadita la centralità del ruolo svolto dal controllo analogo. Tuttavia, le direttive si pongono in controtendenza rispetto a quanto fin ad oggi tessuto dalla Corte di Giustizia, allargando le maglie dell’accessibilità alla produzione in house attraverso l’inserimento di alcune significative novità, sia con riferimento agli elementi più consolidati sia in relazione a profili del tutto innovativi34. Con riguardo al controllo analogo, fermo l’assunto secondo cui tale condizione risulta soddisfatta qualora l’amministrazione aggiudicatrice svolga un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative dell’affidatario in house35, di grande rilievo ed innovativa36 è la previsione secondo cui un siffatto rapporto di controllo può anche essere di tipo indiretto ovvero il soggetto affidatario potrà essere controllato da una persona giuridica diversa che a sua volta è controllata dall’ente affidante37. Viene codificato il cd. controllo analogo congiunto già espressamente accolto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia38: il riferimento è all’in house frazionato o pluripartecipato39 in cui il controllo non è più personale ed esclusivo ma svolto assieme agli altri soggetti partecipanti nel capitale del soggetto affidatario40. Corte di Giustizia UE, sentenza de 29 novembre 2012, C-182/11 e C- 183/11. Corte di Giustizia UE, Econord, C-182/11 e C-183/11, cit. 32 Volpe «Le nuove direttive sui contratti pubblici e l’in house providing: problemi vecchi e nuovi», cit., 9 ss. Il riferimento normativo è all’art. 12 direttiva appalti (n. 2014/24/UE), all’art. 28 della direttiva settori speciali (n. 2014/25/UE) e all’art. 17 della direttiva concessioni (n. 2014/23/UE). 33 Le nuove direttive non parlano mai di in house ma regolano il fenomeno con riguardo agli appalti e alle concessioni tra enti nel settore pubblico, o agli appalti tra amministrazioni aggiudicatrici (per i settori speciali), aggiudicati ad una «persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato», cosi correttamente evidenzia Volpe, cit., 4 ss. 34 Così Mangani, Contratti pubblici, così la direttiva europea allarga le maglie dell’in house, in Edilizia e Territorio, Quotidiano del Sole 24 Ore, 19 marzo 2015. 35 Vedi Corte di Giustizia nota n. 30. 36 Innovativa rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale su cui vedi nota n. 27 37 Il riferimento è al fenomeno delle holding di partecipazioni. 38 Vedi sopra nota n. 31. 39 Le condizioni richieste, tutte da soddisfare, affinchè si possa parlare di in house frazionato o pluripartecipato sono: 1) il controllo congiunto; 2) la prevalenza dell’attività oltre l’80%; 3) assenza nell’ente controllato di una partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione delle novità introdotte dalle recenti direttive. 40 Nelle direttive viene chiarito come le amministrazioni aggiudicatrici esercitino il controllo in modo congiunto con le altre qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali dell’organismo controllato devono essere composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti; b) i soci pubblici devono essere in grado di esercitare 30 31 212 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti Ulteriore precisazione riguarda l’altro requisito rilevante della produzione in house: il concetto di «prevalenza dell’attività». Tale condizione viene identificata in termini quantitativi dalla direttiva nella misura dell’80% dell’attività complessiva ed a tal fine si prescrive che si faccia riferimento al fatturato totale medio – o ad altro indice equivalente – dell’ultimo triennio antecedente all’affidamento. Inoltre, viene precisato che ai fini dell’identificazione della stessa, possono essere prese in considerazione non solo le prestazioni rese dal soggetto affidatario direttamente a favore dell’ente affidante, ma anche quelle svolte a favore di altri soggetti a loro volta controllati dall’ente affidante41. Profili del tutto innovativi riguardano: il connotato della misura della partecipazione pubblica42 e le nuove modalità di affidamento all’interno del modello in house classificabili segnatamente «in house verticale capovolto» ed «in house orizzontale43». Le nuove direttive abbandonano l’impostazione più rigorosa fino ad oggi affermata dalla giurisprudenza, consentendo al soggetto affidatario di essere partecipato anche da privati, sia pure con alcune cautele. Se da un lato viene infatti riaffermato il principio generale secondo cui il soggetto affidatario controllato dall’ente affidante non deve avere alcuna partecipazione diretta di capitali privati, dall’altro si ammette però una deroga a tale principio: viene infatti consentito che vi sia la partecipazione di capitali privati che non comportino controllo o poteri di veto, che tali forme siano prescritte da disposizioni legislative nazionali, e che non esercitino in ogni caso un’influenza dominante sul soggetto affidatario44. Altra rilevante novità è sita nella possibilità che l’affidamento in house sia operato da un soggetto controllato (che evidentemente abbia la qualifica di amministrazione aggiudicatrice) a favore dell’ente controllante o anche di un altro soggetto da quest’ultimo a sua volta controllato. In particolare rilevano due fattispecie diverse: L’in house verticale capovolto dove il soggetto controllato, essendo a sua volta amministrazione aggiudicatrice, affida al soggetto controllante lo svolgimento delle prestazioni così da generare una sorta di bi direzionalità dell’in house; l’in house orizzontale che implica l’esistenza di tre soggetti ove un ente A aggiudica un appalto o una concessione ad una società B, e sia A che B sono controllati da un altro soggetto C45. congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato; c) l’organismo controllato non deve perseguire interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipati. 41 Così ultimo paragrafo dell’art. 12 della direttiva appalti n. 2014/24/UE, dell’art. 28 della direttiva settori speciali n. 2014/25/UE e dell’art. 17 della direttiva concessioni n. 2014/23/UE. 42 Si ritiene opportuno parlare di «connotato» in quanto va ad accedere ed articolare al «requisito» del controllo analogo. Si veda sul punto p. 196. 43 In tal senso si esprime Volpe, cit., 11. 44 In tal senso, espressamente, il punto 32 dei considerando della direttiva n. 2014/24/UE ed il punto 46 dei considerando della direttiva n. 2014/23/UE. In dottrina così Mangani, cit., 3. 45 In altri termini, non vi è alcuna relazione diretta tra A e B, ma entrambi sono in relazione di in house con il soggetto C, che controlla sia A che B, così ancora Volpe, cit., 11. Al fenomeno si è recentemente interessata la Corte di Giustizia UE, sentenza 8 maggio 2014, C-15/13. La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 213 2.2. La traduzione del modello comunitario dell’in house nel nostro ordinamento: Le modalità di esercizio del controllo analogo La declinazione compiuta del concetto di produzione in house nell’ambito dell’ordinamento interno è svolta in via principale dal giudice amministrativo, ed attraverso la giurisprudenza del Consiglio di Stato46 risulta necessariamente omologata ai principi generali affermati con la sentenza Teckal47, oltre ad un’attenta definizione delle peculiarità proprie dell’istituto. Continuando, per le ragioni esposte48, a rivolgere una particolare attenzione al requisito del controllo analogo, può notarsi come la giurisprudenza prevalente tenda a configurare il controllo analogo attraverso la necessità di predisporre «uno strumento, di carattere sociale ovvero anche parasociale, ma diverso dai normali poteri che un socio, anche totalitario, esercita in assemblea, che in ogni momento possa vincolare l’affidataria agli indirizzi dell’affidante49», il quale abiliti la prima ad esercitare nei confronti del secondo «un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti», così che il gestore si atteggi «ad una sorta di longa manus dell’affidante, pur conservando natura distinta ed autonoma rispetto ad esso», realizzando così «una sorta di amministrazione indiretta, nella quale la gestione del servizio resta saldamente nelle mani dell’ente concedente attraverso un controllo gestionale e finanziario stringente sull’attività della società affidataria, la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo sorbente ad operare in favore di questo50». Attenta dottrina51, ha rilevato come l’esistenza di un controllo analogo postuli la facoltà, da parte dell’amministrazione, di adottare «atti di dominio gestionale», costituiti da direttive aventi natura cogente quali: la pianificazione finanziaria della società controllata, la determinazione della politica dei prezzi e l’offerta anche in relazione alla qualità del prodotto o dei servizi nonché alle relative caratteristiche da assicurare per il soddisfacimento dell’interesse pubblico. Alla luce di ciò, risulta necessario che un moderno concetto di governance societaria «in house» esprima regole e processi «necessariamente orientati» al controllo analogo, tale così da consentire all’ente pubblico affidante una penetrante e decisiva attività di gestione, ed appunto, controllo, sul soggetto affidatario. Governance societaria che così intesa e strutturata non può che essere costretta a confrontarsi ed adeguarsi, come vedremo, con la sfera dei rischi normativi sottesi al Decreto 231, ed in particolare con il rischio della commissione di uno dei reati presupposto da parte di quelle persone preposte all’esercizio del controllo analogo che ne risultano «di fatto» i principali destinatari insieme agli organi societari, al personale dipendente ed a tutti gli stakeholders. Sentenza, Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660. Vedi nota n. 7. 48 Vedi note 11 e 12 in riferimento alla funzionalità che il requisito svolgerebbe nella sistema 231. 49 T.A.R. Lombardia Brescia, 6 marzo 2008, n. 213 in cui si distanzia da un precedente e minoritario indirizzo giurisprudenziale secondo cui si tratterebbe di «un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica» così T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 9 gennaio 2007, n. 72. 50 T.A.R. Puglia, Bari, 8 febbraio 2007, n. 362. 51 Monziani, cit., 138 ss. 46 47 214 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 3. Applicabilità della disciplina 231/2001 alla produzione in house: un possibile dualismo ermeneutico a seguito dei recenti sviluppi europei e delle indicazioni operative fornite dell’ANAC Come è noto il Decreto 231 ricomprende nel suo ambito di applicazione le «società» senza specificare alcunché con riguardo alle società a partecipazione pubblica. A tale riguardo è stato segnalato52 come appaia ragionevole ritenere che, anche alla luce della relazione ministeriale che ha accompagnato il Decreto53, il legislatore delegante «avesse di mira la repressione dei comportamenti illeciti nello svolgimento di attività di natura squisitamente economica, e cioè assistite da fini di profitto. Con la conseguenza di escludere tutti quegli enti pubblici che, seppure sprovvisti di pubblici poteri, perseguono e curano interessi pubblici prescindendo da finalità lucrative». Verrebbero conseguentemente a ricadere all’interno della disciplina del Decreto tutte quelle figure soggettive pubbliche in veste societaria che svolgono attività commerciale54. La vicenda pone quindi l’esigenza di una riflessione, non necessariamente solutoria ed esaustiva, sull’tema dell’assoggettabilità alla disciplina del Decreto delle «organizzazioni pubbliche in forma privatistica». In tale ambito vengono fatte rientrare, in accordo con le definizioni codicistiche, diverse figure soggettive volte «all’esercizio di compiti di amministrazione: le associazioni e le fondazioni; le società per azioni od altre società commerciali deputate all’esercizio dell’attività d’impresa, imprese pubbliche; altre società per azioni le quali rivestendo anche esse la forma organizzativa di società commerciali, non sono deputate all’esercizio di attività d’impresa ma a compiti di PA, di carattere non imprenditoriale (se vogliamo usare la terminologia comunitaria ‘a carattere non industriale e commerciale’). Tutte queste categorie di soggetti sono a loro volta ascritte, ai fini della disciplina dei contratti pubblici, alla categoria di origine comunitaria, degli organismi di diritto pubblico, o rispettivamente delle imprese pubbliche55». Non sembrano dunque sussistere incertezze sulla riconducibilità delle imprese pubbliche in forma societaria alla piena applicazione del Decreto, stante l’ormai immediata percezione che il discrimine tra la non applicazione e l’applicazione del Decreto non deriva dalla natura dell’ente bensì dall’esercizio o non di un’attività 52 Si veda Manacorda, Le società a partecipazione pubblica, La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, Aa.Vv., Bologna, 2014, 59 ss. 53 Relazione Ministeriale allo schema di d.lgs. 231/2001, La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, cit, 1351 ss. 54 Vasta l’elaborazione dottrinale sul tema, si vedano su tutti Ielo, Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli enti, in questa Rivista, 2/2009, 102; D’Arcangelo, Le società a partecipazione pubblica e la responsabilità da reato nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità, in questa Rivista, 4/2010, 183; Di Giovine, Sanità ed ambito applicativo della disciplina sulla responsabilità degli enti: alcune riflessioni sui confini tra pubblico e privato, in Cass. pen., 2011, 1896; Manacorda, La responsabilità amministrativa delle società miste, in questa Rivista, 1/2006, 157; Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi del proprio interesse, in Cass. pen., 2004, 2201; Pistorelli, Brevi note sulla responsabilità da reato degli enti pubblici economici, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2011, 875. 55 Così Cerulli Irelli, Amministrazione Pubblica e Diritto Privato, Torino, 2011, 39 ss. La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 215 economica, che qui è di natura pubblica avendo per oggetto la gestione di denaro pubblico56. Ben diverse difficoltà ed incertezze sembrano, al contrario, doversi porre in relazione alle società «deputate all’esercizio di compiti di amministrazione pubblica», categoria, oramai particolarmente estesa, sia a livello statale che locale57, in cui ricade per l’appunto la produzione in house. 3.1. L’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sui connotati qualificanti le società in house La Suprema Corte nel corso degli ultimi anni, con successive pronunce58, ha delineato e chiarito lo statuto delle società in house. L’intervento del giudice di nomofilachia si conclude con l’affermazione della giurisdizione della Corte dei Conti per il giudizio di responsabilità nei confronti degli organi della società in house, nell’ipotesi in cui venga loro addebitato di aver arrecato danno al patrimonio della società. In realtà la ricostruzione del modello in house operata dalla Corte appare, come si vedrà, particolarmente rilevante per la individuazione di un percorso che porti a conclusioni mirate anche in materia di responsabilità amministrativa delle società in house, ai sensi del Decreto. La Suprema Corte muove da un duplice rilievo: «che nell’attuale assetto normativo il perseguimento delle finalità istituzionali proprie della PA si realizza anche mediante attività disciplinate in tutto o in parte dal diritto privato (...); in secondo luogo, che le società di capitali eventualmente costituite o comunque partecipate da enti pubblici per il perseguimento delle finalità loro proprie non cessano solo per questo di essere società di diritto privato, la cui disciplina, se non diversamente disposto riposa tuttora sule norme dettate dal c.c., come confermato dal dettato dell’art. 2449 dello stesso codice (...)59». Evidenzia ancora la Corte come «in ossequio ad un principio comune a tutti gli enti dotati di personalità giuridica, la società si configura come un soggetto di diritto pienamente autonomo e distinto, sia rispetto a coloro che, di volta in volta, ne impersonano gli organi sia rispetto ai soci, ed è titolare di un proprio patrimonio, riferibile ad essa sola e non a chi ne detenga le azioni o le quote di partecipazione. Pertanto, non solo risulta impossibile imputare personalmente agli amministratori o ad altri soggetti investiti di cariche sociali la titolarità del rapporto di servizio intercorrente tre l’ente pubblico e la società cui sia stato affidato l’espletamento di 56 Così Manacorda, Le nuove frontiere del decreto 231: l’attività economica pubblica, in questa Rivista, 3/2011, 33. Il riferimento è all’assunto giurisprudenziale sancito dalla Cass. pen., sez. II, sent. 28699, 9 luglio 2010 e sent. 234, 10 gennaio 2011, con le quali la Suprema Corte attrae alla disciplina del d.lgs. 231/2001 l’attività economica pubblica. 57 Si veda ancora Cerulli Irelli, Amministrazione Pubblica e Diritto Privato, 2012. 58 Si veda Cass., S.U., 24 marzo 2015, n. 5848; Cass., S.U., 26 marzo 2014, n. 7177; Cass., S.U., 25 novembre 2013, n. 26283. Conclusioni che intervengono a modificare il precedente orientamento della Suprema Corte che demandava al giudice ordinario la giurisdizione sull’azione sociale di responsabilità anche in presenza di società a partecipazione pubblica. 59 Cass., S.U., 25 novembre 2013, n. 26283 (orientamento costante recentemente confermato negli interventi del 2014 e del 2015). La Suprema Corte interviene per modificare, in parte, l’orientamento cui le Sezioni Unite avevano dato corso a partire con la sent. 26806/2009, per escludere la giurisdizione della Corte dei Conti in presenza di danni cagionati dagli organi sociali al patrimonio sociale di una società a partecipazione pubblica. 216 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti compiti riguardanti un pubblico servizio, ma soprattutto non può dirsi arrecato alla PA il danno che gli atti di mala gestio, posti in essere dagli organi sociali, abbiano inferto al patrimonio della società60». La Corte precisa infine che «la giurisdizione contabile va esclusa fin quando non si arrivi a negare la distinzione stessa tra ente pubblico partecipante e società di capitali partecipata; ovvero non si attribuisca alla società partecipata la qualifica di ente pubblico, soluzione peraltro non accettabile in presenza del disposto dall’art. 4, l. 70/1975, a tenore del quale occorre l’intervento del legislatore per la costituzione di un ente pubblico61». Sulla base di quanto riferito, la sentenza volge quindi la sua attenzione alle società in house. In tutte le considerazioni come sopra svolte, sottolinea la Corte, svolge un ruolo centrale la distinzione tra la società di capitali (soggetto di diritto privato) ed i propri soci (ancorché eventualmente pubblici), distinzione che si ritrova anche nel caso di società unipersonale dove il capitale sociale appartiene ad un unico socio. E proprio tale aspetto rende necessario, secondo le Sezioni Unite, una particolare riflessione su quel particolare fenomeno giuridico che va sotto il nome dell’in house providing. La Corte ricorda come l’in house, pur configurandosi originariamente come figura di stampo eminentemente giurisprudenziale, non abbia tardato a trovare cittadinanza nella legislazione e giurisprudenza nazionale62. Conseguentemente: «è dunque possibile considerare oramai ben delineati nell’ordinamento i connotati qualificanti della società in house, costituita per finalità di gestione di pubblici servizi e definita dai tre requisiti già più volte ricordati: la natura esclusivamente pubblica dei soci, l’esercizio dell’attività in prevalenza a favore dei soci stessi e la sottoposizione ad un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici». Sempre secondo la medesima sentenza delle Sezioni Unite, ai fini della configurabilità di una società in house «è necessario che detti requisiti sussistano tutti contemporaneamente e che tutti trovino il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale63». La Corte ritiene che le caratteristiche dell’in house, con particolare riguardo alla vicenda del controllo analogo, rendano evidente l’anomalia del fenomeno dell’in house nel panorama del diritto societario: «è già anomalia non piccola il fatto che si abbia qui a che fare con società di capitali non destinate (se non in via del tutto marginale e strumentale) allo svolgimento di attività imprenditoriali a fine di lucro, così da dover operare necessariamente al di fuori del mercato (...) Ma ciò che davvero è difficile conciliare con la configurazione della società di capitali, intesa quale 60 Conseguentemente la responsabilità nei confronti della società, dei creditori e dei terzi in genere che grava sugli organi sociali va ricondotta alla disciplina di cui all’art. 2392 ss. c.c. 61 La Corte ricorda a tale riguardo che «solo in presenza di società di fonte legale, regolate da una disciplina sui generis di chiara impronta pubblicistica, quale ad esempio la RAI, è parso necessario pervenire a conclusioni diverse: si veda Cass., S.U., 22 dicembre 2009, n. 27092». 62 T.U. Enti Locali, d.lgs. 18 agosto 2000 e s.m.i., artt. 113, comma 4, lett. a) ed art. 113 bis, comma 1, lett. c). A tal riguardo rileva la recente previsione contenuta nell’art. 11 bis, d.lgs. 216/2014, «Regioni e enti locali: armonizzazione di sistemi contabili e schemi di bilancio» ai sensi del quale regioni ed enti locali devono redigere il bilancio consolidato anche con le proprie controllate e partecipate tra cui de plano rientra la produzione in house. Con riferimento agli assunti di giurisprudenza si veda sopra il precedente paragrafo. 63 Cass., S.U., 25 novembre 2013, n. 26283. La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 217 persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, è la totale assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell’ente pubblico titolare della partecipazione sociale64». La Corte sottolinea poi come la vicenda del controllo analogo abbia caratteristiche ben diverse dal potere di direzione e coordinamento conosciuto dal diretto societario (art. 2497 ss. c.c.) che attiene all’individuazione delle linee strategiche dell’attività d’impresa senza mai annullare del tutto l’autonomia gestionale della società controllata. Qui infatti gli amministratori conservano una propria autonoma sfera di autonomia decisionale e, soprattutto, essi non possono prescindere dal valutare «se ed in quale misura quelle direttive eventualmente comprimano in modo indebito l’interesse della società controllata». In buona sostanza, siamo in presenza di un fenomeno volto regolare l’unitarietà imprenditoriale della grande impresa con l’autonomia delle singole società appartenenti al gruppo. Diversa evidentemente è la situazione della società in house. Ciò sia per la piena subordinazione dei suoi gestori all’ente pubblico partecipante65 «nel quadro di un rapporto gerarchico che non lascia spazio a possibili aree di autonomia e di eventuale motivato dissenso» sia «per l’impossibilità stessa di individuare nella società un centro d’interessi davvero distinto rispetto all’ente pubblico che l’ha costituita e per il quale essa opera». La Suprema Corte conclude da ultimo in modo netto: «la società in house si viene configurando come un’entità interna all’ente pubblico e l’uso del vocabolo società qui serve solo allora a significare che, ove manchino più specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario; ma di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile parlare». Dall’attenta disamina della pronuncia, dunque, discende l’assunto secondo cui le società in house assumono solo la veste esteriore di società, costituendo viceversa delle mere articolazioni dell’ente pubblico. Di conseguenza, se non risulta possibile configurare un rapporto di alterità tra l’ente pubblico partecipante e la società in house che ad esso fa capo, dovrebbe ritenersi che i tratti qualificanti dell’ente in house – privo di una sua distinta titolarità – possano far ritenere che anche questo unitamente all’ente partecipante sia sottratto tout court all’applicazione del Decreto secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 366. 3.2. ...ma i recenti sviluppi europei Ma i recenti sviluppi europei, come analizzato precedentemente, sembrerebbero però condurre in un futuro – quanto mai immediato – ad un possibile dualismo ermeneutico circa l’applicabilità del Decreto 231 alle società in house. Cass., S.U., 25 novembre 2013, n. 26283. Come noto l’art. 2380 del c.c. stabilisce che «la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori». 66 In dottrina il dubbio circa la possibilità di estendere la qualifica di enti pubblici al cd. affidamento in house viene sollevato da Ielo, Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli enti, cit., 107, nota 39. L’Autore lo definisce «un prolungamento amministrativo degli enti territoriali che ne detengono la partecipazione». 64 65 218 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti In particolare, sembrerebbero far propendere per una soluzione «inclusiva» del modello in house come delineato dalle direttive, due rilievi principali. Da un lato l’impostazione che consente al soggetto affidatario di essere partecipato anche da privati, sia pure con alcune cautele, e dall’altro la determinazione precisa del concetto di prevalenza dell’attività nella misura dell’80%, con la possibilità dunque per il soggetto affidatario di vedersi garantita per un 20% la possibilità di distogliere la sua attività dai compiti ad esso affidati dal soggetto controllante67: ciò infatti significherebbe in entrambi i casi un distacco comunque evidente dalla sfera cognitiva ma a quel punto non più contenitiva dell’ente pubblico. Si tratta di previsioni di notevole impatto. In linea di principio, tali novità sembrerebbero dunque consentire un’applicazione certa del Decreto quantomeno in riferimento a quelle società affidatarie partecipate da privati ovvero nelle fattispecie in cui residuasse in capo all’ente controllato il 20% di autonomia nella gestione dell’attività. Ciò pone evidentemente un tema critico in merito all’opportunità di un’eventuale futura interpretazione omnicomprensiva circa l’ingesso de plano del soggetto in house sotto la cogenza della normativa 231, posto che l’inserimento di un partner «privato», ancorché con funzioni di mero finanziamento, e l’eventuale esercizio «autonomo» (20%) dell’attività, a valenza commerciale, da parte dell’affidatario portano a ricomprendere il nuovo modello comunitario dell’in house sotto la disciplina del Decreto 231. 3.3. ...le linee guida dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Le indicazioni fornite oggi dall’ANAC, in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza con riguardo alle società in house debbono peraltro essere attentamente considerate, nell’attuale contesto. Dalle pagine delle Linee Guida68 si può cogliere infatti come l’Autorità ritenga pacifica l’applicabilità del Decreto 231 alla produzione in house, in via generale, e come gli stessi piani triennali di prevenzione della corruzione in una logica di semplificazioni degli adempimenti debbano sinergicamente coordinarsi con le previsioni in esso contenute69. L’Autorità ritiene che «tra le società in controllo pubblico rientrino anche le società in house in considerazione della peculiare configurazione del rapporto di controllo che le amministrazioni hanno con le società in house»70. Da ciò ne discende, sempre secondo l’authority, la regola secondo cui «si impone che anche alle società in house debbano necessariamente applicarsi i presidi anticorruzione». Alla luce di ciò, viene richiesta e pretesa come necessaria un’azione sinergica tra le due normative (Decreto 231 e normativa anticorruzione): «occorre rafforzare presidi Tema ampiamente trattato nel capitolo precedente. Il riferimento è alle «Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle PA e degli enti pubblici economici», determinazione n. 8, del 17 giugno 2015. 69 Linee guida pagine 12 e 18. 70 Linee guida pagina 9. 67 68 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 219 anticorruzione già adottati mediante il Modello di cui ai sensi del d.lgs. 231/2001, la cui adozione deve essere assicurata dalle amministrazioni controllanti» e ciò ritenendo che «depone in tal senso il tenore letterale dell’art. 1, d.lgs. 231/2001 che dispone espressamente che le sue disposizioni non si applicano «solo» allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni d di rilievo costituzionale»71. In ultimo, dunque, è lo stesso avverbio «solo» a certificare l’orientamento dell’ANAC volto a ritenere l’ente in house fuori dal disposto di cui all’art. 1, comma 3 e quindi indirizzato all’applicabilità del Decreto72. 4. Art. 5, comma 1, lett. a), seconda parte del d.lgs. 231: i cd. apicali che esercitano «anche di fatto» la gestione ed il controllo dell’ente. Estensibilità del criterio oggettivo d’imputazione alle persone preposte al controllo analogo Nel delineare i criteri d’imputazione della responsabilità all’ente sul piano oggettivo, il Legislatore ha recepito l’indicazione della legge delega incentrata non tanto sulla posizione formale rivestita dal soggetto agente73 quanto piuttosto sulla funzione da lui in concreto svolta74. Più precisamente, il Legislatore ha usato una tecnica di tipizzazione incentrata su un criterio di tipo «oggettivo funzionale75», come attestato dall’assimilazione dell’apice di diritto all’apice di fatto76, rilevando un concetto di qualifica di tipo dinamico e non statico77. Considerato ciò, la materia in argomento porta a volgere la nostra attenzione sulla nozione di «apicalità di fatto78». A tal proposito, occorre innanzitutto notare come – ricalcando testualmente la legge delega – lo schema di decreto legislativo abbia ricondotto tale locuzione alle Linee guida pagina 11. Nella medesima direzione si pongono le previsioni concernenti il Codice di Comportamento, la Formazione ed il Monitoraggio, come indicate nelle Linee guida alle pagine 14 e 16. 73 Di differente opinione e sostenitore di un criterio di tipo soggettivo-funzionale risulta De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Trattato di diritto penale, Parte Generale, Milano, 2008, 149 ss. 74 Sul tema è numerosa la produzione dottrinale, si vedano su tutti Pulitanò, La responsabilità da reato degli enti: i criteri d’imputazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 415 ss.; Manna, La cd. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: il punto di vista del penalista, in Cass. pen., 2003, 1101/115 s; Rordorf, I criteri di attribuzione della responsabilità. I Modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire i reati, in Le Società, 2001, 1297 ss.; Paliero, La responsabilità penale della persona giuridica: profili strutturali e sistematici, in Aa.Vv., La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia punitiva, Torino, 2004, 21 s.; Vignoli, Societas punir ipotest: profili critici di un’autonoma responsabilità dell’ente collettivo, in Diritto penale e processo, 2004, 909; Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, in Indice pen., 2006, 50; Pecorella, Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità, In Aa.Vv., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano, 2002, 67; Di Giovine, La responsabilità degli enti: lineamenti di un nuovo modello di illecito punitivo, in Manna (a cura di), Diritto e impresa: un rapporto controverso, 2004, 423-568; Santi, La responsabilità delle società e degli enti, Milano, 2004; Pelissero, La responsabilità degli enti, in Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Leggi complementari, Vol. I, 13 ed., Milano, 2007, 863. 75 Così la Relazione Ministeriale allo schema di d.lgs. 231/2001. 76 In questi termini Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in Reati e Responsabilità degli enti, Guida al d.lgs. 231/2001, Lattanzi (a cura di), 2° ed., 2010, 57 ss. 77 Si veda anche in giurisprudenza G.u.p., Trib. Milano, 3 novembre 2010. 78 A tali fini è utile richiamare la definizione di apicale contenuta nel chapter eight – sentencing of organizations, part a – general application principles, §8A1.2. Application Instructions – Organizations, delle Federal Guidelines, 2015 «(B) «High-level personnel of the organization» means individuals who have substantial control over the organization or who have a substantial role in the making of policy within the organization». 71 72 220 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti funzioni di gestione e controllo: esse devono concorrere ed assommarsi nel medesimo soggetto il quale, per essere qualificato come apicale, deve esercitare pertanto oggettivamente un vero e proprio «dominio» sull’ente79. Per quanto attiene all’esercizio «anche di fatto» delle funzioni di carattere apicale, da una lettura attenta della cospicua elaborazione dottrinale sul punto80, non può non emergere come il fondamento della rilevanza di siffatta apicalità derivi da un’esegesi necessariamente comprensiva di due incisi normativi. Il primo è facilmente estrapolabile dal riferimento alle «funzioni» effettuato dalla prima parte della disposizione81: determinante apparirebbero in tal senso i termini qualificatori dell’art. 2639 c.c., che, in rapporto ai soggetti attivi dei reati societari, equipara ai soggetti formalmente investiti della qualifica o titolari della funzione prevista dalla legge coloro che esercitano in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti a tale qualifica o funzione82. L’altro, discende dal testo della seconda parte dell’art. 5, comma 1, lett. a), che richiede il necessario concorso di due condotte83, gestione «e» controllo: l’uso congiunto dei due termini «suggerisce una condizione di ‘dominio’ o comunque di egemonia esercitata sulla societas al di fuori delle stesse funzioni tipiche di governo segnalate nella prima parte della disposizione: è il caso del cd. ‘socio tiranno’, il quale – per riprendere la formulazione utilizzata nei lavori preparatori – detentore della quasi totalità delle azioni, detta dall’esterno le linee guida della politica aziendale ed il compimento di determinate operazioni84». Solo in presenza di queste due condizioni, dunque, il cd. apicale di fatto potrà ritenersi legittimato ad agire nell’interesse dell’ente medesimo85. 4.1. ...estensibilità del criterio oggettivo d’imputazione alle persone preposte al controllo analogo Ora, con una tecnica esegetica che utilizzi e sfrutti la combinazione e la sinergia tra testi normativi ed assunti giurisprudenziali, appare chiaro all’interprete 231 come la suddetta definizione di «apicalità di fatto» (ovvero condizione di dominio) – nei termini sopra enunciati – possa venir utilmente invocata per «portare» all’interno della categoria degli apicali le persone preposte all’esercizio del controllo analogo. Non può infatti non essere considerato in egual senso lo stesso pregnante «dominio» che deve caratterizzare l’azione di chi esercita il controllo analogo sulla società in house. 79 L’art. 5, comma 1, lett. a), seconda parte, recita «nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente». 80 Su tutti si veda De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., 153 s. 81 Art. 5, comma 1, lett. a), prima parte, ove si legge «da persone che rivestono funzioni di (...)». 82 La giurisprudenza sul punto ha affermato che «nel valutare se un soggetto possa qualificarsi come amministratore di fatto dell’ente e così impegnarne la responsabilità ai sensi del d.lgs. 231/2001, è necessario accertare la presenza di elementi che possano far ritenere che il soggetto abbia appunto svolto significativamente e continuativamente le relative funzioni gestorie», così si è pronunciato il Tribunale Milano, 20 dicembre 2004. 83 La valorizzazione in senso cumulativo e non alternativo del riferimento legislativo a gestione e controllo induce la dottrina a ritenere esclusi da tale nozione i sindaci, titolari appunto di poteri di semplice controllo. 84 In questi termini De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., 153 s. 85 La giurisprudenza sul punto ha affermato che «l’art. 5 richiede con specificazione non eludibile che la persona fisica eserciti la gestione ed il controllo dell’ente; definizione, questa, ben precisa e che tende a circoscrivere la categoria, poiché comporta il dominio ovvero la disponibilità dell’ente in capo a tale persona», così Tribunale Torino, 11 ottobre 2005. La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 221 Le sfumature pratiche ed operative di siffatto requisito, riconosciuto come caposaldo per l’identificazione di una pura ed operativa produzione in house, possono essere qui raccolte schematicamente mediante l’annunciazione per «ingredienti» delle componenti che delimitano e riempiono l’involucro del controllo analogo, rendendo in tal senso effettivo ed efficace il dominio esercitato dall’ente pubblico così come enucleato dagli attuali assunti giurisprudenziali e dalle attuali e nuove direttive europee. Nel dettaglio, conferiscono certezza di un adeguato ed efficace controllo analogo inteso come «dominio» di fatto sull’amministrazione aggiudicatrice la presenza indefettibile, in una «dimensione temporale86», delle seguenti circostanze: «a) il possesso dell’intero capitale azionario; b) il controllo del bilancio; c) il controllo sulla qualità dell’amministrazione; d) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti, sino a giungere al potere del controllante di visitare i luoghi di produzione; e) la totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali; f) la determinazione dell’ordine del giorno del Consiglio di Amministrazione; g) l’indicazione dei dirigenti, in modo da realizzare un controllo «strutturale», che, in quanto tale, «non può limitarsi agli aspetti formali relativi alla nomina degli organi societari ed al possesso della totalità del capitale azionario; h) la necessità di previsioni statutarie che attribuiscano all’ente affidante un diritto di veto sulle decisioni del CdA; i) uno statuto che sia più ampio rispetto a quello di una normale società per azioni e che preveda un raccordo espresso tra ente e costituzione del CdA; l) l’assenza di un oggetto sociale ampio ed articolato87». Alla luce di ciò, appare chiaro come la necessità che sussistano tali circostanze conduca a ritenere il concetto di «dominio» qualificante un corretto e strutturato esercizio del controllo analogo equiparabile alla «condizione di ‘dominio’ o comunque di egemonia esercitata sulla societas» richiesta affinché prenda corpo e sostanza la definizione di apicalità di fatto. 5. Conclusioni La produzione in house, alla luce delle considerazioni fatte, sembra innanzitutto condurre l’interprete ad una riflessione circa la possibile applicabilità ad essa del Decreto 231. Laddove, le società in house si manifestino come mera articolazione (organo) dell’ente partecipante – che per semplificazione definiremo modello in house puro – qui il modello societario servirà esclusivamente a delineare il paradigma organizzativo dell’ente in house e non sarà più possibile parlare di una società di capitali, intesa come persona giuridica distinta cui corrisponda un autonomo centro decisionale: l’ente in house attraverso la delegazione interorganica sarà espressione della volontà e della capacità dell’ente partecipante, fino ad identificarsi con l’ente stesso. Vedi nota n. 25 Cons. giust. amm., Sicilia, 4 settembre 2007, n. 719; Cons. St., sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6736; T.A.R. Lazio, sez. II ter, 16 ottobre 2007, n. 9988; 86 87 222 La responsabilità amministrativa delle società e degli enti Saremo dunque in presenza di un ente pubblico (amministrazione aggiudicatrice) e quindi come tale escluso ai sensi dell’art. 1 del Decreto 231. Per converso, qualora non sussistano come visto gli elementi indefettibili indicati dalla Suprema Corte di cassazione ovvero l’in house puro, si dovrebbe addivenire a conclusioni diverse, ulteriori ed orientate verso una soluzione questa volta inclusiva dell’in house nell’ambito d’applicazione del Decreto. Ciò sarà ancora più evidente in sede di recepimento delle nuove direttive europee, in quanto la produzione in house potrà non più esaurirsi in un ambito esclusivamente pubblicistico ovvero verrà a residuare in capo all’ente aggiudicatario la possibilità di distogliere nella misura del 20% la sua attività dai compiti ad esso affidati dal soggetto controllante, il che eliminerà qualsiasi dubbio circa l’applicabilità del Decreto a siffatta tipologia in house. Posto nei termini sopra indicati il problema teorico, l’interprete 231 deve oggi confrontarsi con un sistema che vede le società in house soggette nel loro complesso al Decreto 231, secondo i principali orientamenti. Considerato ciò, nella produzione in house l’«influenza determinante/dominio» che deve esercitare l’amministrazione aggiudicatrice attraverso il controllo analogo, condurrebbe inevitabilmente a ritenere le persone preposte all’esercizio di tale funzione de plano ricomprese nel novero dei soggetti di cui all’art. 5, comma 1, lett. a), seconda parte, ovvero tra i cd. apicali che «anche di fatto» esercitano secondo una condizione di dominio la gestione ed il controllo dell’ente, con conseguente estensibilità agli stessi della qualifica di «destinatari» del MOG 231. Il modello 231 della società in house dovrà di necessità essere sinergicamente orientato alle modalità di svolgimento in concreto del controllo analogo, con conseguente estensione alle persone preposte ad esso delle canoniche previsioni contenute nella sua parte generale e speciale, ed in particolare dei contenuti inseriti nelle seguenti sezioni: destinatari (per l’appunto), reporting all’Odv e flussi informativi, sistema sanzionatorio, piano di formazione e comunicazione, mappatura dei processi ed identificazione delle aeree sensibili, nonché la previsione di un’azione sinergica sia con il RSP (Responsabile della prevenzione della corruzione) che con il RT (Responsabile per la trasparenza). Resta evidente che la responsabilità per l’eventuale violazione delle norme del Decreto da parte delle persone preposte al controllo analogo farebbe capo esclusivamente all’ente controllato in quanto da ritenere a questo punto «di fatto» componenti «occulti» della sua stessa governance societaria, stante l’impossibilità di estendere l’imputabilità 231 all’ente pubblico in quanto rientrante tra i soggetti esclusi dall’art. 1, comma 3, del Decreto. Da ultimo, il recente rilievo accordato dalle direttive, nell’ambito del fenomeno in house, alla nozione di gruppo imprenditoriale88, senza apparente difficoltà, riporterebbe in auge il fenomeno del gruppo di imprese già attuale nelle dinamiche applicative – controllante/controllata – dell’addebito 231. In particolare, non si potrebbe giungere ad ignorare come nella produzione in house con controllo analogo «indiretto», alla holding di partecipazione non potrebbe 88 Vanno in questa direzione sia la possibilità di operare l’affidamento a favore di un soggetto controllato anche indirettamente dall’ente affidante, sia la definizione di attività prevalente, sia infine la previsione da ultimo esaminata che – nell’ambito del così detto in house inverso – consente l’affidamento infragruppo, cioè tra soggetti entrambi controllati da un terzo soggetto. La responsabilità amministrativa delle società e degli enti 223 più essere mosso l’appunto giurisprudenziale secondo cui «ai fini di un’eventuale responsabilità da reato (...) pare mancare in capo alla holding il dovere di impedire che le altre società presenti nel medesimo gruppo conformino la loro condotta ai dettami del diritto penale (...) essendo la holding un mero titolare di partecipazioni azionarie (...) e nessun obbligo d’intervento incombe sul socio come tale89». Nel controllo indiretto, infatti, la holding sarà non solo sicuramente detentrice delle partecipazioni azionarie di uno o più enti in house, ma apparirà in ogni caso strutturalmente immedesimata – come richiesto dall’istituto – nell’amministrazione aggiudicatrice che ne detiene a sua volta il controllo. Ne consegue che sarà richiesto alla stessa holding di esercitare in prima persona il controllo analogo, da cui ne discenderà fisiologicamente un «obbligo d’intervento», comportando, alla luce delle precedenti considerazioni, l’attribuibilità della definizione di apicali di fatto alle persone deputate al suo esercizio con ciò che ne consegue ai fini di un’eventuale responsabilità da reato ai sensi del Decreto. 89 G.u.p. Trib. Milano, 17 novembre 2009.