La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -‐ ISSN 2282-‐3808

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 La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 1 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale N.7 – Maggio 2015 ISSN 2282-­‐3808 Direttore responsabile: Alfonso Marino Redazione: Carlo Verdino Luogo di pubblicazione: Napoli/Italia -­‐ Editore e proprietà: Associazione Transeuropa Piazza Carolina 10, 80132 Napoli (IT) Presidente: Marcello Chessa INDICE Samir Amin. Contro Hardt e Negri. Moltitudine o Generalizzata Proletarizzazione? ……………………………………………………………………………... pag. 3 Leonardo Boff. The Time For Mental Ecology .……….….………………….... pag. 12 Alfonso Marino. Indicatori, sostenibilità, crescita: l’economia non direttamente osservabile …………………….………………….………………..….......... pag. 13 Riccardo Ierna. Per un nuovo rapporto tra ricerca scientifica e pratica sociale. Dove va la psichiatria senza manicomio? ...……………….............. pag. 34 Marge Piercy. Benvenuti nel post femminismo e la sinistra è obsoleta ........... ………................................................................................................................................... pag. 43 André Sapir. Youth unemployment: It’s growth, stupid! ………............ pag. 44 Robert Stevens. Devastation of health care in Greece ………………….….. pag. 45 2 Samir Amin è direttore del Terzo World Forum a Dakar, Senegal. I suoi libri pubblicati da Monthly Review sono The Liberal Virus, The World We Wish to See, The Law of Worldwide Value, and, most recently, The Implosion of Contemporary Capitalism. Contro Hardt e Negri Moltitudine o Generalizzata Proletarizzazione? di Samir Amin (da Monthly Review, novembre 2014, vol.66 – n.6) Questa critica è stata ispirata dalla lettura del voluminoso libro dei due teorici di sinistra Michael Hardt and Antonio Negri dal titolo Commonwealth (2011). Le considerazioni, seguono le riflessioni di “Impero e Moltitudine”, Monthly Review (Novembre 2005) in parte presentate nel volume “Impero” (2000) e “Moltitudine” (2004). —L’Editore Il termine moltitudine è Stato usato per la prima volta in Europa, sembra, dal filosofo tedesco Spinoza, al quale Michael Hardt e Antonio Negri si richiamano in modo esplicito. Il suo sinonimo, “gente comune” usato nelle città del Ancien Régime che privava del potere e della partecipazione politica (riservata alla monarchia e all’aristocrazia), del potere economico (riservato alla proprietà feudale e alla nascente finanza, collocata sia in città che in campagna) e del potere sociale ( riservato alla Chiesa e al clero). Lo status della gente comune era differente. In città, dove gli artigiani, i piccoli mercanti, cottimisti, poveri, e mendicanti nel paese, erano senza terra. La gente comune nella città era inquieta e di frequente esplodevano violente insurrezioni. Erano spesso mobilitati da altri soggetti – in particolare dalla nascente borghesia, la parte attiva della Third Estate in France – in conflitto con l’aristocrazia. Forme simili di organizzazione era esistito in precedenza e altrove. I plebei di Roma antica e le città – Stato del Rinascimento Italiano sono note. In Inghilterra, la rivoluzione del XVII secolo, i differenti ambiti di conflitto che emergevano tra la Società e la Corona, appartenente allo stesso strato sociale. Ho sottolineato che realtà simili possono essere ovunque fuori dall’Europa, come Taipings nell’ottocento in Cina. Le vicissitudini della Rivoluzione Francese hanno aperto uno spazio forte per l’intervento della plebe (la moltitudine di quel tempo) nel conflitto tra borghesia (Terzo Stato) da un lato e monarchia e aristocrazia dall’altro. Il conflitto rapidamente evolve tra le parti ( aristocrazia, borghesia, monarchia) e la plebe ha avuto la meglio per un po' nel 1793 con il gruppo politico conosciuto come The Mountain. Robespierre, rappresentò la domanda di questa plebe: evidenziando il contrasto tra la “politica economica per le persone e quella per i proprietari terrieri (proprietari di fortune)” (usando all’epoca concetti e termini ancora oggi utilizzati come sottolinea Florence Gauthier).1 Una osservazione iniziale e generale: Le rivolte della plebe sono la prova che gli esseri umani non hanno sempre accettato l'oppressione, la mancanza di diritti, la povertà di cui sono La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 3 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino stati oggetto nei vari sistemi politici e sociali in differenti luoghi nel tempo. La dialettica del conflitto tra desiderio di libertà dell’essere umano ( un tema antropologico) e l’ineguaglianza che viene loro imposta ( un tema di sociologia politica) e una realtà transtorica permanente. Seconda osservazione: tutte le rivolte della plebe – l’antica moltitudine – sono state sconfitte. Queste due osservazioni dovrebbero farci concludere che in una interpretazione strettamente economica e deterministica della storia, questo accade perché la domanda della plebe ( un tipo di comunismo basato sull’aspirazione all’uguaglianza) non è realizzabile in quanto lo sviluppo delle forze produttive ha portato, all’invenzione del capitalismo, rappresentato nell’esercizio del potere dalla borghesia? Non discuterò questo tema, pur riconoscendone l’importanza e il contributo dato da Marx e dall’analisi storica condotta dal Marxsismo. Pierre Dardot e Christian Laval offrono una magnifica analisi di questo tema alla quale rimando il lettore.2 Il precoce anarchico Pierre-­‐Joseph Proudhon usò il termine “moltitudine” nella metà dell’ottocento per descrivere la realtà sociale della Francia urbana del tempo ( in particolare Parigi); Dardot and Laval fanno esplicito riferimento all’analisi.3 Questa descrizione era, per il tempo, perfettamente corretta, questa è anche la mia opinione (noto che all’epoca Marx non criticò quell’idea). Nella Restaurazione Francese, durante la Monarchia di luglio, il potere politico ed economico era riservato all’aristocrazia e alla borghesia, segmentate da un conflitto che tendeva alla rimodulazione dei privilegi e del potere, tutta interna. Le persone comuni, che erano la maggioranza a parigi, erano escluse. All’interno dei diversi gruppi, il nuovo proletariato industriale era ancora in formazione e minoranza. Le prime presenze erano nell’industria tessile e nelle miniere di carbone. La proletarizzazione ha avuto inizio in Francia ma era in fase avanzata in Inghilterra. Nella storia della Francia, questa moltitudine (o questa plebe) continua ad essere attiva. Non dimentichiamo il 1793, il 1848, in parte il 1871 nel quale si pensava di poter ritornare. Ma, ancora una volta fallirono. Detto questo, non credo sia possibile usare il termine moltitudine per descrivere il nostro tempo in Francia, in Europa e nel mondo, ripeto in particolare per la società contemporanea. Questo termine Diventa pericolosamente ingannevole. Nel lungo periodo, la tendenza del capitale all’accumulazione trionfa dalla seconda metà dell’ottocento e con essa il proletariato cresce, trasformando diversi memmbri della gente comune (la plebe, la moltitudine) in venditori del loro lavoro al potere del capitale “reale” o “formale” come da Marx analizzato. Essere proletario è un nuovo status, continuamente cambiato e in continuo sviluppo fino all’oggi. Questa avanzata inesorabile della proletarizzazione, attraverso la combinazione unica (specifica nel tempo e nello spazio) formata da (1) I tratti dominant dell’organizzazione tecnologica capitalistica, (2) le lotte dei proletari contro questa organizzazione capitalistica e/o di trovare opportunità più favorevole, e (3) le strategie sviluppate dal capitale in risposta alle lotte del proletariato con l’obiettivo di frammentarle. Non c’è nulla di nuovo in linea di principio, sebbene il risultato di ogni combinanzione data è spesso unico e specifico, perchè legato alla particolare fase di sviluppo dell’accumulazione capitalistica all’interno del contesto locale e nazionale, ma anche in relazione alla dimensione nella quale è incardinato la Nazione/Stato. Queste combinazioni sono strutturate 4 con differenti specificità ma i tratti dominanti, prima evidenziati, hanno determinato il capitalismo globale con i sui equilibri e disequilibri. In particolare il contrasto tra la proletarizzazione del centro e delle dominate periferie è tipico di quanto affermato in precedenza, ma necessario per l’accumulazione globale. Ci sono, poi, buone ragioni per vedere da vicino e concretamente alla proletarizzazione evitando generalizzazioni troppo zelanti ed eccessivamente ampie. Se è vero che la storia del Marxsismo della Seconda e Terza Internazionale, sfortunatamente, ha vissuto spesso la tentazione di fare generalizzazioni di questo tipo e, di conseguenza, riservato il termine proletariato ad un segmento di quest'ultimo. Esempi dell’uso esclusivo del termine sono riferiti per i lavoratori o minatori del 800 e lavoratori delle grandi imprese dal 1920 al 1960 organizzate dalla linea Fordista. L’idea di guardare al segmento particolare del proletariato, spiega – senza scuse – gli errori nelle strategie per la lotta di classe sviluppate storicamente dall’ Internazionale. In certi luoghi e nel tempo, questo segmento del proletariato si è trovato in un contesto più favorevole a perseguire le loro lotte. Le lotte di questo segment, spesso vincenti però, anche se comprese dagli altri segmenti erano difficilmente esportabili. L’avanzata sociale dopo la Seconda Guerra Mondiale, la riforma dello Stato (la nascita del Welfare State) sono stati risultati importanti. Ma la forza dei movimenti che hanno reso possibile questi progressi nascondono anche la loro debolezza. Un solo segmento del proletariato, ha dimenticato gli altri, sia proletarizzati o in via di proletarizzazione oppure in altre condizioni e forme, in particolare i contadini. Questa negligenza ha reso impossibile richiamare il capitalism alle proprie responsabilità, e incoraggiato il reintegro di una cospicua parte del proletariato sottomettendolo alla logica dell’accumulazione. Per quanto mi riguardo ho proposto una interpretazione abbastanza differente da quella di Hardt e Negri, che ho chiamato "proletarizzazione generalizzata" del mondo contemporaneo all’inizio, del 1975. Ho posto l’accento in questa interpretazione sia sullo status di proletario imposto che sulla estrema segmentazione, così come ho sottolineato la concomitanza – non il cambiamento – tra queste due caratteristiche, da un lato e l’estrema centralizzazione del controllo del capitale dall’altro. Una quota sempre crescente di lavoratori non sono altro che venditori della propria forza lavoro loro al capitale, sia direttamente quando sono dipendenti della società o indirettamente quando sono ridotti al rango di subappaltatori, una realtà che non deve essere oscurata dalla apparente autonomia conferita dal loro status giuridico. Ad esempio, nelle famiglie di agricoltori, titoli di proprietà (in terreni e attrezzature) vengono vanificati a causa delle detrazioni applicate, sia a monte che a valle, dai monopoli capitalistici. Numerose piccole e medie imprese, producono prodotti e servizi con lavoratori freelance che di fatto appartengono alla stessa realtà: il proletariato generalizzato. Oggi tutti I lavoratori vendono il loro potere, incluso quello cognitive se necessario. In queste condizioni, l’evoluzione del Sistema non riduce l’area in cui il valore della legge opera, ma al contrario di quanto affermato da Hardt e Negri, dimostra in tutta la sua potenza, la dura realtà. Nel diagramma che utilizzo per illustrare la questione, il valore della legge è dato dalla gerarchia dei salari (in generale dei lavoratori).4 Tutti i lavoratori (80 o 90%?) lavorano 8 ore al La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 5 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino giorno per 250 giorni all’anno per produrre beni e servizi (utili e no). Ma la remunerazione del loro lavoro permette loro l’acquisto di un volume di beni e servizi riguardanti soltanto quattro ore del proprio lavoro giornaliero. Tutti loro (produttivi e improduttivi) sono ugualmente sfruttati dal capitale. Ho affinato questo studio analizzando il vertiginoso sviluppo del surplus assorbito nel Dipartimento III, che viene completato dal Dipartimento I (produzione di beni e servizi per la produzione) e dal Dipartimento II (produzione di beni e servizi per i consumatori finali).5 La segmentazione del proletario generalizzato, trova conferma e spiegazione nelle strategie implementate dal capitale, nel mercato di monopolio (il necessario complemento alla nascita di un proletariato generalizzato) che avvia e controlla l’indirizzo dato dalla ricerca tecnologica, incoraggiando la segmentazione. Questa segmentazione non è l’atto unilaterale delle strategie implementate dal capitale. La resistenza delle vittime e le battaglie intraprese in relazione alle strategie del capitale determinano le forme di segmentazione. Ci sono esempi concreti: la solidarietà sviluppata in queste lotte – come quella dei ferrovieri francesi di SNCF attenuano in qualche modo il devastante effetto di una proletarizzazione generalizzata e segmentazione dei lavoratori, anche se simultaneamente la rafforzano. Queste strategie di lotta, come a prima vista dimostrato da Alain Touraine, sono utili se, date le peculiarità della società contemporanea e dei movimenti sociali, determinano risposte specifiche a ciascuno dei suoi segmenti. L'obiettivo di una strategia efficace per una lotta comune consiste proprio nell'individuare sotto-­‐obiettivi strategici che consentono l'unità nella diversità. [se questo non accade aumenta la segmentazione NdR] Non sempre ci sono lotte e progetti che contengono risposte adeguate alla sfida dell’unità nella diversità. Hardt e Negri non aiutano ad avanzare ipotesi e pensieri militanti per la soluzione di questo problema. Il loro insistere sul significato dell’effetto liberatorio prodotto dalle lotte spontanee è sproporzionato. Riconoscere la realtà di questi effetti liberatori è semplice e certamente non richiede alcuna analisi pomposa. La vera difficoltà sorge appena ci poniamo questa domanda: come possiamo articolare la segmentazione delle lotte in una strategia ampia e generalizzata? Hardt e Negri non dicono nulla in merito. La generalizzata proletarizzazione e la sua segmentazione è di pari passo con i cambiamenti della struttura del capitale. La transazione del monopolio dalla sua forma iniziale (dal 1880 al 1975), poi nella sua forma contemporanea, che ho chiamato monopolio generalizzato simboleggia questi cambiamenti. La centralità del potere di questi monopoli — senza una parallela concentrazione della proprietà legale del capital – ha completamente trasformato la natura della borghesia, la gestione del potere politico al servizio dell’astratto dominio del capitale. La borghesia stessa è in gran parte costituita da agenti stipendiati del capitale, in particolare i produttori di conoscenza utili per il capitale. Hardt e Negri non definiscono questi valori cognitivi con precisione per valutarne il loro significato. Questi agenti salariati, lavorano otto ore, ricevono compensi per acquistare beni e servizi, la cui produzione è costata di più, anche molto di più, di otto ore. Loro non possono partecipare al surplus prodotto, sono lavoratori e consumatori. Sono borghesi e sono consapevoli di esserlo. L’affermazione e l’analisi è sviluppata in The Implosion of Contemporary Capitalism, al quale Hardt e Negri non hanno dato attenzione.6 6 Le analisi precedent focalizzate solo sulle trasformazioni al centro del Sistema, non evidenziano le diverse forme di proletarizzazione della società nelle periferie del capitalism che sono differenti e specifiche. Riprenderò questa tesi, nella mia critica ad Hardt e Negri in merito all’imperialismo. Inoltre siamo abbastanza lontani dalla diversificazione e dallo status che ha caratterizzato la moltitudine del passato. Infatti, siamo nella esatta situazione opposta. Prima di Hardt e Negri, Touraine aveva confuse la nuova segmentazione con la “fine del proletariato” e sostituito con le lotte dei “movimenti sociali” specifici di ognuno di questi segmenti sociali come lotte del proletario. Hardt e Negri, ritornano al Touraine, dunque al termine moltitudine. Nella loro analisi, il capitalismo è in declino ( per me, in piena forza e crescente) e viene sostituito da una fioritura di modalità di sfruttamento del lavoro simili a quelle del passato, precedenti alla proletarizzazione e alla legge del valore. Hardt e Negri non specificano quali sono queste modalità e il tipo di sfruttamento del lavoro. Il loro silenzio non spiega cosa sostituisce la legge del valore. Marx affermava che le turbolenze di mercato, mascherano il potere della legge del valore, che controlla completamente le turbolenze. Allo stesso modo, la diversità delle componenti della società proletarizzata (la moltitudine) maschera il potere della legge del valore, più precisamente la legge del valore globalizzato, che forma tale diversità. Invece di analizzare le forme concrete di segmentazione generalizzata del proletariato, Hardt e Negri presentano l’analisi sui "beni comuni", che non contribuisce molto, nonostante la sua lunghezza e ripetitività, a ciò che è noto da tempo sull'argomento. Ci sono scritti sui "beni comuni" che chiariscono concetti fondamentali meglio di Hardt e Negri e mettono in discussione anche quei concetti che permettono all'ideologia dominante del mercato di integrare le esternalità nel suo sistema.7 Il silenzio sulla realtà della diversità sociale contemporanea, Hardt e Negri lo sostituiscono con analisi interminabili in merito alla "biopolitica" e al "capitalismo cognitivo". Riferirsi alla politica come "biopolitica" non mi preoccupa, perché Michel Foucault è chiaro in merito e, Hardt e Negri evidenziano un loro contributo sul tema. Ma io non sono convinto che ci sia qualcosa di nuovo. Per me, la politica è sempre stata biopolitica, gestione della vita umana, individuale e sociale. Insieme a Dardot, Laval e Marx, credo che l’analisi si articola tra antropologia e sociologia, l’analisi dell’attività pratica degli individui (Dardot e Laval sono i riferimenti), Io tento di non separare la storico (ma non trascendente!) e l’antropologico, il fondamento è il quadro socio -­‐ storico in cui tale attività si svolge. Non voglio tornare sul mito della trasformazione del capitalismo industriale in capitalismo cognitivo. Ogni forma di produzione in ogni epoca della storia umana ha sempre incluso una componente cognitiva decisiva. Non aggiungo altro in merito alle tematiche richiamate. Il lettore troverà l’analisi nel mio libro.8 Non voglio presentare in quest’articolo nessuna semplificazione pericolosa e sommaria. Impero o Imperialismo? Le tesi di Hardt e Negri si basano su due assunzioni: (1) La globalizzazione del sistema ha raggiunto uno stadio tale che qualsiasi tentativo di realizzare qualsiasi tipo di politica nazionale è destinato a fallire; di conseguenza, i concetti di nazione e interesse nazionale sono fuori moda. (2) Questa realtà riguarda tutti gli stati (nonostante la loro esistenza ancora formale, ovviamente), La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 7 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino comprese le dominanti talvolta, egemonie -­‐ poteri, dunque non c'è più l'imperialismo, ma solo un "impero", il cui centro non è da nessuna parte. I centri decisionali, economici e politici, sono dispersi in tutto il pianeta e si dispensano con le politiche statali. Queste due proposizioni sono assolutamente false e possono essere spiegate solo con una totale ignoranza della storia della globalizzazione capitalista fin dalla sua origine, cinque secoli fa, fino ad oggi. Questa storia, consistente nella costruzione di un'opposizione tra centri dominanti e periferie dominate e il conseguente assoggettamento delle modalità di accumulazione nelle periferie ai requisiti dei centri, è completamente ignorata da Hardt e Negri. L’Imperialismo non è altro che la totalità economica, politica e militare, mobilitate alla sottomissione della periferia, oggi come ieri. La sagomatura delle società del capitalismo periferico ha prodotto forme di proletarizzazione specifiche per ciascuna regione in base alle funzioni che sono stati assegnati loro, e quindi diverse dalle forme di proletarizzazione che troviamo nei centri dominanti, e tuttavia complementari ad essi. L’apparente moltitudine, la diversificazione, l’intera classe lavoratrice integrata nel sistema globale, è strutturata in modo particolare da un paese all’altro, da una fase dello sviluppo globale del capitale all’altra. Il processo di proletarizzazione (uso questo termine deliberatamente, anche se appaiono subito processi di espropriazione, esclusione e impoverimento) nelle periferie non riproduce, con ritardo, solo quello che ha formato (e continuano a formare) nelle strutture delle società dominanti. Il sottosviluppo non è un ritardo, ma il concomitante prodotto dello sviluppo. Le strutture sociali prodotte nelle periferie non sono soltanto le vestigia del passato. La presentazione di queste società distorte, dalle strutture precedenti di appartenenza, vengono sagomate in modo tale da renderle utili all'espansione imperialista del capitalismo globale (che è intrinsecamente polarizzato). I lavoratori del settore informale, per esempio, in continua crescita in numero e proporzione nelle periferie del Sud non rappresentano, non sono vestigia del passato, ma i prodotti della modernità capitalistica. Non sono completamente esclusi, ma segmenti e completamente integrati nel sistema di sfruttamento capitalistico. Qui vorrei fare un'analogia con il lavoro domestico delle donne: questo lavoro, mal retribuito, oppure informale, permette di ridurre il prezzo della forza-­‐
lavoro impiegata nei segmenti formali della produzione. Hardt e Negri ignorano l'analisi concreta di queste situazioni, che sono state oggetto di molte opere importanti. La loro visione ingenua della globalizzazione è quella di seguire il discorso dominante. Le uniche fonti di informazione e ispirazione a cui Hardt e Negri si riferiscono sono tratte dalla rivista Foreign Policy, attraverso la quale l'istituzione di Washington vende i suoi prodotti che vengono consumati avidamente. In questo senso, la trans nazionalizzazione ha già abolito la realtà di nazione e dell’ imperialismo. Washington vuole che tutti credano questo, al fine di eliminare il potere della protesta. Da parte mia, ho raggiunto la conclusione opposta: la trans nazionalizzazione non ha in alcun modo creato una borghesia mondiale, lasciando da parte la questione se quest'ultima ha, o non dispone ancora di uno Stato mondiale al suo servizio. L'espansione del sistema capitalistico/imperialista della globalizzazione contemporanea, dei monopoli generalizzati si basa, non su l'inizio del declino dello Stato, ma piuttosto sull'affermazione del suo potere. 8 Non ci sarebbe il neoliberismo globalizzato senza uno Stato attivo, sia che si tratti di assumere le funzioni del potere egemonico (gli Stati Uniti e i suoi alleati subalterni) o sotto forma di stati da comprare fissando, dal centro, le prestazioni delle società periferiche ai requisiti della dominazione imperialista. In contrappunto, nessuna società periferica può essere immaginata senza l'attuazione di progetti sovrani (attuati dagli stati nazionali) che combinano simultaneamente la costruzione di un sistema industriale moderno e integrato, la ricostruzione dell'agricoltura e del mondo rurale per raggiungere la sovranità alimentare, il consolidamento del progresso sociale, e l'apertura alla invenzione di un autentico processo di democratizzazione, progressiva e continua. Sottolineo che qualsiasi progetto per la sovranità nazionale deve includere le classi lavoratrici e non accettare la loro esclusione. L'affermazione della nazione e la costruzione di un sistema globale multipolare possibile, non sono fuori moda. Credere che sia impossibile costruire strategie efficaci passo dopo passo è esattamente ciò che vuole Washington! L'errore di Negri è ben illustrato dal suo invito a votare a favore della costituzione europea, perché quest'ultima -­‐ nel mettere in discussione la singola nazione -­‐ ostacolerebbe lo sviluppo del capitalismo neoliberale! Negri dunque, non percepisce che la costruzione europea è stata concepita proprio per consolidare, e non indebolire, questo sviluppo. La sola apparente riduzione delle funzioni dello Stato sono destinate, non al rafforzamento del potere della società civile (ad eventuale beneficio degli interventi da parte " della moltitudine"), ma, al contrario, di eliminare il suo potenziale potere di protesta. I diktat dello pseudo-­‐Stato di Bruxelles ("non statale") servono come pretesto per rafforzare la ricostruzione degli Stati nazionali, sulla base del compromesso sociale tra capitale e lavoro, ad essere servitori esclusivi del capitale. Allo stesso tempo, la costituzione europea fa del continente un potenziale alleato, subalterno, del leader del nuovo imperialismo collettivo e di conseguenza rafforza anche la capacità dello Stato americano di agire. L'istituzione di Washington capisce perfettamente quello che Hardt e Negri pensano di negare! Il controllo stretto della globalizzazione dai monopoli generalizzati delle potenze imperialiste (gli Stati Uniti ed i suoi alleati subalterni: Europa, Giappone, Canada, Australia) viene perseguita attraverso il dispiegamento permanente di una geo strategia di controllo militare del pianeta. Hardt e Negri hanno poco da dire su questo (pensano dunque di considerare il ruolo della NATO "fuori moda"?). Hardt e Negri notano: (1) che gli interventi politico-­‐militari di Washington e dei suoi alleati hanno già visibilmente fallito, e (2) che l'istituzione di Washington, dopo aver capito, è in procinto di dare segnali di forza! Il termine “fallito” deve essere esaminato seriamente. Si può credere che Washington consideri la possibilità — utilizzando la politica diplomatica e gli interventi militari di disegnare il suo dominio economico —stabilizzando il sistema con investimenti delle proprie imprese al servizio dello Stato. Questo tipo di azione è certamente fallita. Ma gli interventi militari, hanno contemporaneamente distrutto molte società (Afghanistan, Iraq, Libia) o sono in procinto di farlo con modalità differenti (Siria, Iran, Ucraina, Russia, e altri). La possibile gestione di queste società distrutte, da parte della politica reazionaria del Islam (fratelli Mussulmani e altri che dall’ovest La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 9 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino iniziano ad essere favorevoli) o con l’appoggio, la crescita e/o nascita di forze neo-­‐fasciste dell’ East Europa descritte e presentate come “nazionalismi” non ostacolano il consolidamento del dominio della triade imperialista del sistema mondiale. Il caos prodotto dalla violenza degli interventi imperialisti e gli errori delle risposte locali è, poi, un secondo obiettivo che Washington ha fatto suo. Da questo punto di vista, Washington non ha mancato (o almeno non ancora!). Inoltre, Washington non riconosce questo come un fallimento. Al contrario, la possibilità di correre a capofitto in soccorso di alcune forze che alimentano gli errori delle risposte locali è di gran moda, sostenuta, tra gli altri fattori, dalla candidatura presidenziale della guerrafondaia Hillary Clinton. L'altra arma usata dagli Stati Uniti per irrobustire il proprio dominio è l'uso ancora quasi esclusivo del suo dollaro come moneta internazionale. Recentemente abbiamo visto come questa arma è stata usata per sottomettere alleati subalterne (le banche svizzere, BNP Paribas) o chiamare all’ordine stati recalcitranti nel Sud (la minaccia di bancarotta Argentina). Non c’è moneta senza Stato. Il dollaro è la moneta degli Stati Uniti che come Stato esercita la sua piena sovranità. Il potere del dollaro, le sue politiche monetarie, sono attuate attraverso gli interventi della Federal Reserve sui mercati finanziari e al supporto del capitale monopolistico. Se necessario, lo Stato interviene al servizio degli interessi USA anche contro quelli di economie appartenenti alla propria costellazione. L’idea del liberalismo economico e della banca centrale, dotata di uno status che ne garantisce l'indipendenza dallo Stato, consentendo solo al mercato di determinare il valore del denaro, non è altro che un discorso ideologico, e viene utilizzato per farci credere che non ci sia bisogno per lo Stato di gestire l'economia. La situazione nella zona euro non è diversa, nonostante le apparenze. La Banca centrale europea – che è indipendente dai singoli stati — agisce infatti come un agente per effettuare la politica statale del paese dominante nel gruppo, la Germania. Lo abbiamo visto all'opera in funzione della situazione greca, tra gli altri. È per questo che il FMI non parla mai di Europa, ma sempre e solo della Germania. L'arma del dollaro, dello Stato americano è efficace nella misura in cui gli altri Stati accettano i rapporti giuridici asimmetrici tra stati: nessuna persona giuridica di nazionalità statunitense può essere giudicata da qualsiasi legge diversa da quella degli Stati Uniti, senza accordi di reciprocità. Si tratta di una asimmetria tipica del vecchio imperialismo e dei sistemi coloniali. Le armi e la moneta sono strumenti dello Stato e non del mercato, ancor meno della società civile! Non c’è capitalismo, senza lo Stato capitalistico. Sono questioni fondamentali, Hardt e Negri abbastanza semplicemente accettano l’ideologica fascinazione di moda che viene utilizzata per nascondere questa realtà, al fine di evidenziare che il capitale è ostacolata da interventi statali inutili e dannosi (che è falso). E' difficile vedere come la strategia militare degli Stati Uniti e il suo controllo del sistema finanziario globalizzato può essere sconfitto con le politiche statali determinanti per il sostegno, e ad essere elemento centrale di questo modello. Visualizzare queste politiche come inutili, oppure contrarie all’attuale ordine imperialista pronto alla capitolazione, è davvero poco credibile. Le concessioni, dello politiche di Stato, al capitalismo contemporaneo, proprio come nelle precedenti fasi della storia moderna, non sono politiche esclusivamente economiche destinate a servire il blocco egemonico dominato dal capitale; coinvolgono simultaneamente tutti i settori 10 della vita sociale, in particolare la gestione politica della società. Il discorso del capitalismo, ormai di moda, sostiene che la legge del mercato e la pratica del multipartitismo, rappresentato dalla democrazia elettorale, sono essenzialmente validi. Questo è un abuso assoluto della realtà che qualsiasi esame della storia reale smentisce. Lo Stato nel capitalismo realmente esistente (il "mercato" presunto) accetta, incoraggia la presunta democrazia quando fa comodo al capitale per gestire la società, mentre si ricorre ad altri mezzi, autocratici, anche fascisti, in altre circostanze. Mi riferisco a quello che ho scritto sul ritorno del fascismo alla scena in questo momento di crisi del capitalismo e dei monopoli generalizzati, in cui ho segnalato la complicità precedente tra presunti correnti liberali (destra parlamentare) e fascisti del passato.9 Hardt e Negri rifiutano questa analisi. Accettano il dogma del discorso ormai di moda sulla società civile, che rende possibile il proprio accreditamento nei confronti del potere — la resistenza e le battaglie per emergere dalla “moltitudine” — con un enorme, determinata e unilaterale contrattazione che non possiedono. Dardot e Laval, che non condividono questa ingenuità, presentano una analisi diversa (e io condivido la loro analisi) la dialettica tra le politiche statali del capitale e lo sviluppo di lotte contro, talvolta conflittuale, talvolta complementari sono parte integrante di queste politiche. Il diverso risultato di questa dialettica, dipende da specifiche circostanze. In alcune circostanze, il capitale è costretto a ritirarsi e adattarsi ai progressi imposti da tali lotte. In questi casi, le classi lavoratrici (il proletariato generalizzata) spesso accettano il compromesso raggiunto, interiorizzano le loro esigenze, e di conseguenza diventano una forza attiva nella logica del sistema. Questa forma di alienazione (adozione dei consumi) ritarda la maturazione della coscienza anti – capitalistica necessaria per andare oltre. In altre circostanze, il capitale riesce a formare il movimento e guidare il suo orientamento. Abbiamo spesso visto la “moltitudine” supportare il fascismo. Il discorso di moda, in particolare diffuso da Foreign Affairs, le cui tesi sono adottate da Hardt e Negri, vuole farci credere che l’intervento degli Stati Uniti, armi o dollari, sono favorevoli al progresso della democrazia, cosi come i loro “effetti positivi.” Bisogna essere completamente ingenui per dare fiducia ad una analisi di questo tipo. Possiamo dimenticare le continue bugie alle quali fanno ricorso continuamente i presidenti degli Stati Uniti per giustificare gli attacchi, ieri contro l'Iraq, e oggi contro la Siria e la Russia? Notes
1 Florence Gauthier, Triomphe et mort de la révolution des droits de l’homme et du citoyen (Paris: Syllepse, 2014).
2 Pierre Dardot and Christian Laval, Marx, prénom, Karl (Paris: Gallimard, 2012).
3 Ibid, 311.
4 Samir Amin, Three Essays on Marx’s Value Theory (New York: Monthly Review Press, 2013), 85–86.
5 Ibid, 68–69.
6 Samir Amin, The Implosion of Contemporary Capitalism (New York: Monthly Review Press, 2013).
7 See, for example, François Houtart, Le bien commun de l’humanité (Mons, Belgium: Couleur livres, 2013).
8 Samir Amin, The Law of Worldwide Value (New York: Monthly Review Press, 2010); Three Essays on Marx’s Value
Theory; The Implosion of Contemporary Capitalism.
9 Samir Amin, “Fascism Returns to Contemporary Capitalism. La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 11 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino The Time For Mental Ecology di Leonardo Boff On February 2, 2007, on hearing in Paris the results of the study on global warming by the Intergovernmental Panel on Climate Change, (IPCC), then President Jacques Chirac said: «As never before, we have to take the word revolution literally. Otherwise, we are endangering the future of the Earth and of Humanity.» Other voices before his, such as of Gorbachev and Claude Lévy Strauss -­‐just before he died-­‐ warned: «either we change the values of civilization, or the Earth might continue without us.» This is the point that is concealed in the world forums, especially in Copenhagen. If it were to be openly recognized, it would imply a self-­‐condemnation of the type of production and consumption that is the current worldwide culture. It is not enough for the IPCC to say that global warming, which is largely irreversible, is produced by human beings. This generalization hides the true guilty parties: the men and women who created, implanted and globalized the mode of production of material goods and the styles of consumption that imply degredation of nature, and a monumental lack of solidarity by the present generation with future ones. If we continue this type of civilization, there will be little point in wasting time and words trying to find technical and political means of diminishing the level of global warming gasses. It is as if someone said: «stop smoking, or you will die» and another voice were to say the opposite: «continue smoking because it aids the production that helps create the jobs that help guarantee the salaries that help the consumption that helps increase the GNP.» And this way, as in the times of old Noah, we go joyfully to our encounter with a pre-­‐announced flood. We are not so obtuse as to say that we do not need politics and technology. We need them very much, but it is illusory to think that they hold the solution. They must be included in another paradigm of civilization that does not reproduce the present perversities. This is why an environmental ecology, that sees the problem with the environment and the Earth, is not enough. The Earth and the environment are not the problem. We are the problem. We are the true Satan of the Earth, when we should be her guardian angel. Consequently it is important, as Chirac said, to make a revolution. But how can we make a revolution without revolutionists? Revolutionists need to be awakened. How we need a Paulo Freire ecologist now! He wisely said something that applies to us: «It is not education what will change the world. Education will change the persons who will change the world.» We need these revolutionary persons, otherwise, let's prepare ourselves for the worst, because the prevalent system is totally alienated. It has become stupid, arrogant and blind to its own defects. We find ourselves now in the darkness, and with no light at the end of the tunnel. We invoke in this context one of the four ecological tendencies (environmental, social, mental and integral): mental ecology. It works with what passes through our mind and our heart. What vision of the world do we have? What values guide our lives? Do we cultivate a spiritual dimension? How 12 should we relate with others and with nature? What do we do to conserve the vitality and integrity of our Common Home, Mother Earth? A few words are needed to show the principal design of the mental ecology, something we have already done in several works and videos. The first step is to assume the legacy of the astronauts who saw the Earth from outer space, and realized that Earth and Humanity form a unique and inseparable entity that is part of a cosmic whole. The second is to know that we are the Earth that feels, thinks and loves, because homo (Latin for hombre and mujer, man and woman) comes from humus (fertile Earth.) The third, that it is our mission among all beings to be the guardians and those responsible for the destiny -­‐ happy or tragic -­‐ of this Earth, that is our Common Home. The fourth is that along with the natural capital that guarantees our material well being, must come the spiritual capital that secures those values, without which we cannot live humanly, such as good will, cooperation, compassion, tolerance, just measure, the limits of desire, the essential caring and love. These are some of the pillars that sustain the essay of a new civilization; friend of life, of nature and of the Earth. Either we learn these things by persuasion, or we will have to learn them by suffering. This is what history shows us. Indicatori, sostenibilità, crescita: l’economia non direttamente osservabile di Alfonso Marino (Seconda Università di Napoli) Introduzione Il confronto sul Prodotto Interno Lordo (PIL) e i suoi limiti, è presentato come una discussione tecnica, statistica, valida per misurare la crescita economica. In realtà è azione politica importante per le priorità da assegnare e realizzare. Il PIL è utile, il problema è: il PIL non è sufficiente. Il confronto sul tema1 non è nuovo ma è centrale nell’ultimo decennio: cambia l’ordine economico, si modificano i rapporti tra quantità e qualità delle grandezze economiche. Le sole misure quantitative non hanno rilevato il diffuso impoverimento presente in quelle economie che sono classificate come potenze mondiali produttive. La povertà aumentava in quelle economie dell’Occidente industrializzato definite società del benessere: nella società del benessere aumentano i poveri, la povertà, una contraddizione spesso drammatica del nostro paradigma economico -­‐ produttivo. I numerosi avvisi ignorati in merito alle asimmetrie economiche e produttive del paradigma utilizzato per la crescita, avevano evidenziato sia i limiti della cultura orientata alla sola misurazione quantitativa che l’assenza di attenzione e comprensione delle contraddizioni sociali presenti nel nostro modello economico. La crescita non può essere solo accumulazione quantitativa. Accumulare oltre il limite, un limite dettato dall’aumento della 1
Per una raccolta di informazioni ed approfondimenti metodologici si veda il seguente link http://www.misuredelbenessere.it/index.php?id=38 La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 13 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino povertà e dalla redistribuzione della ricchezza nelle mani di pochi, significa generare scompensi insostenibili. Siamo oltre la svalutazione della moneta di alcuni Stati della vecchia Europa e i Paesi del Terzo Mondo presentano caratteristiche diverse dagli anni 70. Ritengo non casuale che oltre vent’anni fa, un gruppo di economisti guidati da A. Sen, iniziano una riflessione diversa in merito alla crescita economica e culturale, l’Indice di Sviluppo Umano, una riflessione dettata da un continente asiatico nel quale l’India piena di povertà culturale ed economica, preda di investimenti rapaci, verifica la crescita del PIL ma non emerge dai dati, quello che si vede: una distribuzione diseguale della ricchezza, l’assenza per uno strato elevato della popolazione dei servizi di base: la sanità, l’educazione, una forte violenza nelle relazioni sociali, l’assenza di mobilità sociale, dunque, condizioni da società povera possono esistere e durare anche in un’economia il cui PIL cresce in modo significativo nel tempo. Abbiamo bisogno di indicatori da affiancare al PIL per individuare il fenomeno della povertà materiale, immateriale, di genere -­‐ GPG [glossario] -­‐ e determinare azioni che evitano la povertà, la sua concentrazione tra le stesse fasce della popolazione. L’aumento della povertà, la sua concentrazione evidenzia: a) il divario tra il reddito più alto e quello più basso, b) fasce di popolazione bloccate, questo trend frammenta possibili opportunità diffuse, crescita materiale e culturale. Gli indici qualitativi non spiegano sempre e comunque ma, sono indispensabili per avere una lettura della crisi e delle possibili azioni di crescita economica, affiancare al PIL indicatori qualitativi è indispensabile. La revisione del PIL è indispensabile se guardo al petrolio che inonda il golfo del Messico o il terremoto di Haiti o quello dell’Emilia e dell’Abruzzo. Prevenzione come crescita, evitare i costi dell’inquinamento è crescita, la manutenzione del territorio è crescita: quest’impostazione determina una revisione culturale di notevole portata: dalla cultura delle risorse illimitate, alla cultura della sostenibilità. Economia ed ecologia insieme perché, ad esempio, quando investiamo risorse sul tema dell’invecchiamento non possiamo agire solo sul fenomeno demografico, ma nella qualità della vita che sostiene la caduta di motivazioni, quando investiamo risorse sul tema della disoccupazione femminile ad esempio non possiamo pensare solo al lavoro contrattualizzato ma all’enorme lavoro di cura che le donne lavoratrici svolgono: crescita qualitativa e non solo quantitativa, crescita culturale e non solo materiale è la sfida da sostenere e realizzare. L’utilizzo di indicatori qualitativi aiuta nella comprensione. Crescita culturale e qualitativa, sostenibile, la rilevanza è data dal danno che continua con la crescita basata sul nostro paradigma quantitativo, termoindustriale e causa efficiente, un paradigma nel quale il lavoro è reddito ma non sempre salute, l’ecosistema è infinito e dunque marginale, alla stregua di tutti gli altri prodotti si crea anche per l’ambiente l’illusione della riproducibilità tecnica, l’illusione del come e quando l’uomo e le sue tecnologie desiderano, il noi sostituito con l’io e l’entropia lo spreco necessario. Questo paradigma è una parte del nostro Novecento, è la crisi nata con l’auto nel 1973, è trascinata fino ad oggi con la svalutazione della moneta, l’assenza di politica industriale, non realizzabile con l’ipotesi eurobond [glossario] di cui si discute dal 2010, l’abbandono di investimenti in conoscenza, la spesa pubblica spesso piegata alle logiche clientelari con una assenza dello Stato, enormi quote di evasione fiscale e contributiva, fino all’enorme debito accumulato e il competere sul costo del lavoro, poi, poche ed isolate eccellenze. Nel 1943, è nata la prima globalizzazione, il primo mercato globale, quello dell’energia da combustione fossile e in particolare del petrolio. L’altro mercato globale era quello della moneta e in particolare del dollaro. Questi due vettori, confluiti negli anni 70 nei petrodollaro [glossario], uno energetico e l’altro economico, hanno retto, hanno contribuito alla creazione e 14 consolidamento della nostra idea culturale di potenza economica, di crescita materiale senza fine. Una idea di crescita, infinita, senza grossi affanni. Il paradigma è quello della società termoindustriale e causa efficiente: le risorse energetiche sono illimitate, la moneta è quella buona. Nel 1973 c’è l’avviso ignorato della prima crisi petrolifera e della riconversione economica ed energetica (motore elettrico, diverso modello di consumo) annunciata ma non attuata perché la sostituzione di idrocarburi con la sperimentazione di altre energie non è perseguita, non si determina l’effetto di sostituzione anzi si ottiene l’effetto spiazzamento e dunque l’energia prodotta con la tecnologia degli idrocarburi non viene sostituita, anzi, continua ad essere il paradigma utilizzato con le tecnologie alternative sempre all’angolo perché tra l’ altro richiedono una forte quantità e qualità di ricerca di base e applicata, continua l’energia da idrocarburi perché i costi di applicazione e utilizzo sono bassi, anche se evidenzia crepe strutturali. I derivati del petrolio hanno un’importanza strategica nell’economia del mondo, perché oltre ad essere impiegati direttamente, costituiscono la fonte primaria per la produzione di prodotti mass market. Nel paradigma termoindustriale, il motore termico, in particolare a combustione interna, costituisce nelle varie versioni il modello più usato per la trazione terrestre e la propulsione aerea e navale. La concorrenza tecnologica è data dal motore elettrico usato per la trazione sul ferro, il treno. Il motore a combustione interna con la sua versatile tecnologia si è imposto come uno dei vettori fondamentali della crescita economica. Il prodotto presenta una serie di imperfezioni, ad esempio è fonte d’inquinamento, ma l’attenzione della ricerca ha dedicato alla potenza e velocità le competenze disponibili, ancora nel 2012 le prestazioni – unita alla implicita conquista di un corpo femminile -­‐ sono il core business della presentazione pubblicitaria del prodotto auto, mentre è marginale il contributo che il prodotto medesimo evidenzia in relazione alle problematiche ambientali: l’immaginario è ancora volontà di potenza. Dal 1943 al 1973 [glossario], siamo vissuti nel trentennio glorioso della crescita simultanea sia economica che sociale, costruita con la produzione continua di consumi e redditi: si imponeva il mondo occidentale con il suo modello termoindustriale e causa efficiente. Un modello vincente che non ascoltava, non voleva ascoltare le riflessioni critiche ad esempio evidenziate nella crisi fiscale dello Stato. La leadership politica, economica e culturale di questo modello sembrava non poter finire e anche quando hanno sostituito la produzione materiale con la finanza speculativa, il capitale finanziario [glossario], la new economy e le agenzie di rating [glossario], i governi non ascoltavano le riflessioni di chi spiegava che dovevamo fermarci prima, che era indispensabile riflettere sui limiti di questo modello, limiti di prospettiva, limiti di valutazione e misurazione, limiti degli strumenti analitici disponibili. Non si sono fermati per comprendere che l’idea di crescita illimitata non è possibile perché modifica il pianeta, perché il suo ciclo di vita presenta un tempo e una qualità diversa dal prodotto. Il nostro modello termoindustriale viene esportato costruendo ad esempio un siderurgico ancora in prossimità del mare, nella Cina vicina. Siamo alla strutturale sovrapproduzione di alcuni beni materiali, come l’automobile, ovvero ancora una volta l’azione ad una necessità collettiva -­‐ la mobilità – prevede una risposta individuale: l’auto privata. Alla fine del trentennio ci sono tutte le premesse per il declino, inesauribile, fino al crollo con il governo Amato che preso atto della situazione economica, propose un decreto legge da 30 miliardi di lire, la patrimoniale, il prelievo forzoso del 6 x 1000, in relazione “ad una situazione di drammatica emergenza della finanza pubblica”, accompagnata da una finanziaria da 93 miliardi di lire e la La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 15 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino prima riforma delle pensioni, forti tagli alle spese e aumento dell’imposizione fiscale, era luglio del 1992, hanno ignorato il primo avviso del 1973 e continuato, ad ignorare. Inizia il declino delle famiglie che guidano l’industria privata, la perdita di autonomia decisionale delle Partecipazioni Statali, la mancata sostituzione nel tempo di questi blocchi produttivi con una piccola e media impresa con managerialità e capacità sistemica diffusa sull’intero territorio nazionale. La crisi del modello termoindustriale e causa efficiente E’ una crisi di modello, nell’ultimo periodo vendiamo i marchi prestigiosi alle economie dei BRIC [glossario]. E’ urgente, chiedersi quali produzioni e consumi, dunque aggregati economici [glossario] e quale ricchezza creare e come distribuirla. E’ indispensabile pensare ad una economia che si coniuga con ecologia e non solo con tecnologia. In questo percorso gli indicatori contano e il superamento del Prodotto Interno Lordo (PIL) come indicatore della produzione e del benessere economico non è ancora avvenuta. Disattesa è l’applicazione delle direttive della Commissione Europea per la misurazione delle performance economiche e del progresso sociale. La consapevolezza da parte degli studiosi che la sperimentazione è utile, si è rafforzata dal 2001, quando L’Ocse, ma anche UNDP e Banca Mondiale hanno promosso diverse iniziative nell’intento di aumentare la misurazione del progresso economico e sociale, le sue modalità di distribuzione, con indicatori differenti dal PIL. Queste istituzioni internazionali affermano che il progresso deve essere sostenibile e misurato andando oltre le misure economiche convenzionali. L’utilizzo di queste metodologie, evidenziano risultati e possibili iniziative non riscontrabili in precedenza. La UE raccomanda di cambiare il set di informazioni statistiche e metodologiche di misurazione per una differente programmazione, valutazione e controllo delle azioni della politica, ma l’attuazione da parte dei decisori è ancora lontana. L’utilizzo di questa metodologia riflette una differente impostazione culturale, di valori, di priorità: il PIL, era valido per il paradigma termoindustriale e causa efficiente2. Il nostro Paese vive una perdita costante ed intensa della propria capacità economica e culturale, come affermava il Rapporto del Club di Roma, altro avviso ignorato, inascoltato, ritenuto fastidioso. Cambiano le gerarchie economiche: la Cina può diventare uno dei leader mondiali nella produzione di tecnologie per l’energia rinnovabile mentre consuma con un trend crescente risorse raffinate dal petrolio e detiene risorse strategiche importanti, ma deve verificare l’organizzazione della sua previdenza, l’Italia non punta ad una leadership di produzione ad elevata intensità di capitale, detiene il primato dei Neet [glossario], è alla quarta riforma previdenziale e dei rapporti di lavoro [glossario] nel giro di pochi anni. In quest’ambito il confronto sul tema della cultura della sostenibilità e della crescita qualitativa è importante. La crisi ridisegna con modalità profonde la coesione sociale e il diritto di proprietà di coloro che accedono alla vita solo all’interno di un contratto di lavoro e non possiedono rendite, ovvero quasi il 70% della popolazione mondiale. L’avvenire dell’umanità sarà solida se sostenibile. L’ecologia però diventa un tema fondante, una disciplina caratterizzante per ogni ipotesi di sviluppo sociale ed economico. L’economia come disciplina si difende, ma da oltre un decennio sono numerosi gli studiosi che nelle loro analisi e ricerche ritengono fondamentale creare un legame forte tra l’economia e 2
Paradigma che aveva migliorato in modo netto il tenore di vita dei cittadini, diminuito la mortalità infantile, aperto le scuole ad una vasta platea di popolazione, estese le cure, creato il Sistema Sanitario Nazionale, ha iniziato il suo lento declino nella metà degli anni 70. 16 l’ecologia, una relazione fondamentale per evidenziare sapienze (saggezza e scienza) che possono contribuire al benessere partendo dalle modalità d’interazione fra la nostra specie e l’ambiente, modi di produzione che salvaguardano le diversità, il cambiamento. L’uscita dalla crisi con lo stesso modello con il quale siamo entrati? Il 2 luglio 2014, la Commissione dell’Unione europea approva una serie di misure per facilitare la transizione verso un’economia circolare: un modello che pone al centro la sostenibilità del sistema, la riduzione dei prodotti di scarto e il riutilizzo costante delle materie. Un sistema opposto a quello definito lineare, termoindustriale e causa efficiente, che parte dalla materia prima e/o semilavorato e arriva al rifiuto, senza porsi il problema del legame debole che c’è tra la materia utilizzata e il rifiuto che è parte del prodotto consumato. Nell’economia lineare i flussi sono solo tecnici e dipendono dalla disponibilità delle risorse date dall’input: ad esempio, tempi dei fornitori, costi di approvvigionamento e dalla catena del valore che si crea in relazione al tempo di mercato, ma nessun collegamento è richiesto tra la funzione di input e quella di output, nessuna domanda in merito alla restituzione dell’output all’ambiente e all’input aziendale se non in termini tecnici, ivi compresa la liquidità ottenuta dalle vendite in termini di ROI. In questa logica sono anche gli indicatori e le relative analisi di valutazione aziendale. Nell’economia lineare, terminato il consumo termina anche il ciclo del prodotto che diventa rifiuto, costringendo la catena economica a riprendere continuamente lo stesso schema: estrazione, produzione, consumo, smaltimento. Un cambio di paradigma economico forte: dal modello lineare basato sull’idea di risorse e crescita illimitata, il modello è del Diciannovesimo secolo, in forte crisi, al modello circolare, nel quale non è possibile produrre a prescindere dai tempi, oltre che di produzione, da quelli della disponibilità di alcuni materiali, dall’uso -­‐ riuso, dallo smaltimento. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera. L’economia circolare vuole essere un sistema in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno possono – devono diventare risorse per qualcun’altro. Un segnale forte di interesse per il tema è dato dalla Ellen MacArthur Foundation, nata proprio con questo obiettivo, alla Fondazione partecipano Cisco, Kingfisher, Philips, Coca Cola, Ikea e altre ancora. Attenzione dunque: chi ha contribuito alla costruzione del modello termoindustriale e causa efficiente, investe per modificare comportamenti, prodotti, tempi. Le multinazionali ancora una volta senza il controllo e la regolamentazione del pubblico, procedono, con nuove ipotesi di politica industriale senza la mano pubblica. Debolezza, convivenza, vera o presunta, scambiata con denari freschi delle multinazionali che possono rimpinguare le asciutte casse pubbliche, ipotesi La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 17 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino questa che in passato e di recente, anche nel settore dei Beni Culturali, ha trovato e trova conferme. L’economia circolare prevede: a) la progettazione del prodotto utilizzando fonti di energia rinnovabile (elemento centrale della sostenibilità); b) elevato passaggio di informazioni tra i diversi soggetti economici. La realizzazione dei punti a) e b) sono strategici sia per l’innovazione del processo produttivo che dei prodotti, disegnati in maniera efficiente e differente, in quest’ambito il 3D è di estremo interesse, che durino nel tempo e che nella loro interezza o nelle loro singole parti possano essere riciclabili o riutilizzabili in altre forme. Cosa cambierebbe? Tutto questo potrebbe portare con sé la fine dell’economia lineare, ma c’è bisogno di tempo e gradualità, ma da subito, l’eliminazione di uno dei meccanismi su cui si basa l’economia lineare: (l’obsolescenza programmata dei prodotti) e potrebbe introdurre anche una serie di cambiamenti a livello culturale. Quella circolare è una forma di economia più collaborativa, che mette al centro non tanto la proprietà e il prodotto in quanto tale, ma la sua funzione e il suo utilizzo. Per diventare un modello realizzabile e dominante l’economia circolare dovrebbe naturalmente garantire ai diversi soggetti economici una redditività d’ingresso: non basta che sia buona, deve diventare conveniente. Gli incentivi di un’economia circolare sui quali investire, oltre al ruolo delle Fondazioni deve esserci un forte interesse nazionale, dei Singoli Stati dell’Unione e della stessa nel suo insieme, sono essenzialmente cinque: a) un risparmio sui costi di produzione; b) l’acquisizione di un vantaggio competitivo; c) prolungare l’uso produttivo dei materiali; d) ridurre l’impatto ambientale e le emissioni di gas; e) creare posti di lavoro non tanto nella produzione quanto nella ricerca, progettazione e programmazione. Può l’Italia realizzare un percorso strategico come quello descritto? Il cambiamento culturale è fondamentale per sostenere un modello di crescita circolare, un modello ad esempio che modifica la cultura dell’economia illegale, sommersa, basata sull’evasione contributiva e fiscale, l’Economia non direttamente osservabile (Endo). Il paese, in ogni caso, si caratterizza da tempo per l’esplosione dell’evasione fiscale e contributiva. Nel 1981 il Ministero delle Finanze (Ministro Franco Reviglio) calcolava l’evasione fiscale in 28 mila miliardi di lire pari a 7-­‐8 punti di ricchezza sottratti al circuito legale e non utilizzabili per investimenti. Paolo Sylos Labini evidenziava che: ”alcune delle stime non sono e non possono essere precise, ma considerate le fonti, credo che gli 18 ordini di grandezza siano quelli che molte istituzioni internazionali e centri di ricerca forniscono. C’è abbastanza per essere angosciati….I dati sono la prova del costo che questo tipo di attività fa ricadere sulla nostra economia e sulla nostra capacità di sviluppo”. Trenta anni dopo, quel 1981, nonostante impegni solenni di tutti i governi, il Presidente dell’ISTAT Enrico Giovannini, stima l’evasione fiscale in 16 – 17 punti di ricchezza sottratti al circuito legale e alla sostenibilità della nostra economia e del nostro ambiente. L’Economia non direttamente osservabile: fenomeno strutturale italiano La quota di Economia non direttamente osservabile (Endo) nel nostro Paese presenta trend di crescita. Nel 2012 il valore prodotto dall’Endo è compreso tra un minimo di 277 miliardi e un massimo di 350 miliardi di euro, stima dell’ Istituto Nazionale di Statistica, stima in forte crescita in relazione all’anno precedente. In questa forbice si colloca il settore: tra i primi in Italia ed Europa. Il fenomeno è ancora poco indagato. La tenuta dell’Endo e la sua crescita, mentre il default è sempre presente e i prodotti derivati [glossario] inondano gli enti locali, da alcuni decenni a questa parte risiede e prospera nelle imprese e attività economiche di varia natura appartenenti al circuito dell’economia, illegale, sommersa e informale. L’Italia è area di crescita dell’Endo. Il PIL non misura questo fenomeno, sfugge alla sua capacità di osservazione. La dimensione dell’economia sommersa in Europa è stimata nel 2014 intorno al 7,5% della ricchezza prodotta dagli Stati membri (5% dei paesi scandinavi e dell’Austria, al 27% dell’Italia e della Grecia)3. La comprensione del fenomeno è indispensabile, perché è collegato ad alcuni obiettivi di politica economica locale, nazionale ed europea che vengono definiti dalle istituzioni governative, dall’accademia, dagli operatori economici, importanti. In quest’ambito è utile sottolineare come l’Endo nelle sue diverse manifestazioni di economia sommersa, illegale e informale ostacola la crescita economica, lo sviluppo di opportunità d’impresa, la diffusione della democrazia e della sostenibilità. L’economia illegale, sommersa e informale, attiene ad un metodo e tipologia di prodotti e produttori che si collocano in una dimensione culturale e sociale che di fatto ostacola la realizzazione della sostenibilità. Sulla base delle definizioni internazionali (contenute nel Sec95 e nel Handbook for Measurement of the Non-­‐observed Economy dell’Ocse) l’Endo (economia illegale, sommersa e informale) presenta robusti problemi di misurazione statistica, anche se produce e distribuisce ricchezza. Le attività illegali sono quelle proibite dalla legge (ad esempio, la produzione di droghe), o che possono essere legali considerate in sé ma non quando siano condotte da soggetti non autorizzati (ad esempio, la pratica di una professione senza autorizzazione). La produzione illegale è quindi classificata in due categorie: (1.a) produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibiti dalla legge; (1.b) attività produttive legali realizzate da persone non autorizzate. Entrambi i tipi di produzione sono inclusi all’interno della frontiera di produzione del sistema contabile, a patto di essere veri e propri processi produttivi che risultino in beni e servizi per i quali esista un’effettiva domanda sul 3
Una interessante esperienza in materia di evasione fiscale è quella condotta da alcuni anni in Brasile. In particolare con Il programma Nota Fiscal Paulista illustrato alla pagina http://www.nfp.fazenda.sp.gov.br/della Secretaria da Fazenda dello Stato di San Paolo. L’imposta è un tributo di competenza dei singoli stati della Repubblica federale del Brasile. La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 19 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino mercato. Nel raccomandare l’inclusione delle attività illegali all’interno della frontiera di produzione, esiste una distinzione chiara tra le transazioni per le quali esiste mutuo consenso tra compratore e venditore (ad esempio la vendita di droghe o di merce rubata), che sono incluse, e le altre attività dove tale accordo è (ad esempio, l’estorsione, il furto), escluso. Bisogna infatti prestare attenzione al fatto che un’attività illegale può essere o produttiva o redistributiva; soltanto la prima ha un impatto sulla stima del PIL. L’economia sommersa indica l’insieme della produzione legale di cui la mano pubblica non ha conoscenza per diverse ragioni: (2.a) evasione fiscale (delle imposte sul reddito, sul valore aggiunto o di altre tasse); (2.b) evasione di contributi sociali; (2.c) non osservanza di regole dettate dalla legge relativamente a: salario minimo, numero massimo di ore di lavoro, sicurezza sul lavoro4; (2.d) mancato rispetto di norme amministrative, come nel caso della mancata compilazione dei questionari statistici o di altri moduli amministrativi. Le attività sommerse possono far parte del sommerso economico, che comprende le attività caratterizzate dalla deliberata volontà di non rispettare le norme di legge al fine di ridurre i costi di produzione, oppure del sommerso statistico, che comprende le attività non rilevate a causa delle inefficienze del sistema statistico, nel censire le unità produttive non identificabili in specifici luoghi di lavoro ad esempio, ambulanti, liberi professionisti, consulenti. Il confine tra sommerso e produzione illegale nella realtà economica è sfumato, anche se la contabilità nazionale distingue tra i due concetti, per quanto arbitraria possa essere tale distinzione. Per definire il settore informale, bisogna fare riferimento a unità istituzionali produttive caratterizzate da: (3.a) basso livello di organizzazione; (3.b) poca o nessuna divisione tra lavoro e capitale; (3.c) relazioni di lavoro basate per lo più sull’occupazione occasionale, parentela o relazioni personali in contrapposizione ai contratti formali. In questo settore, il proprietario è totalmente responsabile per tutti gli obblighi finanziari e non finanziari contratti per l’attività produttiva in questione. Le attività informali non vengono necessariamente svolte per evadere le tasse o i contributi sociali, mentre è questo il motivo sottostante l’economia sommersa e illegale. Le differenze teoriche, utili per comprendere il fenomeno, possono essere sintetizzate nella distanza tra le regole e le risorse per la sostenibilità economica e la presenza spesso opprimente di comportamenti illegali, informali e sommersi diffusi. Il fenomeno in tutte le sue differenti manifestazioni è di fatto un profondo ostacolo alla cultura della sostenibilità: deve essere misurato e rimosso. Le fonti teoriche dell’Endo Data la particolarità dell’oggetto di misurazione, è palese la difficoltà di definire una metodologia unica per osservare il fenomeno. L’insieme delle tecniche e degli approcci utilizzati è determinato, oltre che dal sistema di informazioni statistiche disponibili, anche dalle caratteristiche con le quali il fenomeno si presenta. I diversi approcci, che hanno dato luogo a differenti stime in Italia, possono essere classificati in diverse categorie: metodi diretti basati sulla raccolta di informazioni 4
Alcuni dati fonte Inps per comprendere il fenomeno nella nostra Italia: scoperti 34mila lavoratori in nero, annullati 81.548 rapporti di lavoro ritenuti “fittizi” nel settore agricolo, 49.000 liberi professionisti, il 48,7%, che pur avendo indicato il reddito da attività professionale, non risultino aver versato la contribuzione alla Gestione separata di cui alla legge 335/95. Agricoltura e liberi professionisti, ma i dati sono robusti anche nel settore edile come in quello dei trasporti, del turismo, dello spettacolo, della moda e dei servizi tradizionali. 20 statistiche e/o amministrative presso le imprese e le famiglie, controlli fiscali e indagini speciali, sono i principali strumenti utilizzati; metodi indiretti e metodi basati su modelli econometrici. Pur non potendo esporre l’intera gamma di modelli e relativi indicatori, è utile un richiamo sintetico. In particolare: • modelli diretti, in cui si stima direttamente l’ ampiezza dell’economia sommersa (le indagini campionarie, il modello di Finstein [glossario]); • modelli qualitativi, in cui la stima dell’economia irregolare è effettuata attraverso indicatori indiretti (metodo delle differenze tra grandezze diverse ad esempio produzione e impiego del reddito, differenza tra reddito reale e reddito dichiarato, differenze tra gli occupati dal lato della domanda e dall’offerta, tasso di partecipazione delle forze lavoro; • modelli monetari, transazioni Feige [glossario], relazione tra moneta e depositi, Metodo di Tanzi [glossario], metodo degli input fisici, modello di Kaufmann e Kaliberda [glossario], metodo di Lackò [glossario]); • modelli econometrici, in cui l’ampiezza dell’economia sommersa è calcolata con l’uso di modelli che includono più parametri (modello di Frey [glossario], modello di Frey -­‐ Weck-­‐Hanmeman [glossario] -­‐ linear interdipendent structural relationship – LISREL). I modelli qualitativi, condividono pur con diverse articolazioni, di stimare l’ampiezza del fenomeno attraverso la relazione che si ipotizza esistere tra i controlli effettuati e le variazioni della velocità di circolazione della moneta. L’idea sottostante a questo approccio è che quella parte di transazioni sui beni e servizi nel sistema economico che sfugge all’osservazione e alla misurazione possa essere quantificata grazie alle informazioni derivanti dai controlli effettuati; i modelli qualitativi ritengono fondamentale l’ integrazione tra fonti, ossia sulla possibilità di misurare lo stesso aggregato economico usando fonti informative che lo osservano da differenti punti di vista, come quello della produzione e del consumo. Le eventuali discrepanze tra le diverse stime possono costituire il punto di partenza per misurare le attività sommerse, i modelli misti utilizzano combinazioni dei precedenti metodi. Approfondimento del modello qualitativo Recenti studi in materia di Endo hanno avuto una notevole risonanza a livello internazionale. In particolare, i modelli qualitativi ricordati in precedenza hanno costituito la base informativa principale per il rapporto ufficiale della Commissione europea. L’approccio usato che si colloca nel filone dell’analisi delle discrepanze (tra aree territoriali verificando dati fiscali, dell’economia sommersa, dati di offerta e domanda), cerca di quantificare quanta parte dell’ Endo sia compresa nei conti disaggregati per le differenti aree territoriali. I modelli qualitativi, utilizzando le variabili descritte nel paragrafo precedente, evidenziano che la diffusione del fenomeno per le differenti aree geografiche dell’Europa, presenta andamenti differenti dai risultati del modello diretto e La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 21 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino monetario5. La diffusione del sommerso nelle differenti aree dell’Europa6 è in forte relazione con la struttura economica e culturale di riferimento. Il lavoro della Commissione europea, si colloca pienamente nell’ambito dei metodi qualitativi ed utilizza in particolare un approccio basato sulla domanda di moneta (currency demand approach [glossario]), nell’ipotesi secondo cui le transazioni dell’ Endo avvengono per cassa, in modo da non lasciare "tracce" nel sistema bancario. Il metodo della domanda di moneta va incontro a molteplici obiezioni (del resto già indicate e discusse anche da Schneider [glossario] ma raramente richiamate), che sono: • non necessariamente tutte le transazioni vengono effettuate per cassa; soprattutto nei paesi dove sono meno efficienti e capillari i controlli di natura fiscale e contributiva, non è improbabile che i pagamenti avvengano anche ricorrendo ad altri mezzi, mentre dov’è capillare il controllo, Francia e Germania [glossario] i comportamenti sono differenti; • l’aumento della domanda di moneta può essere dovuto ad una riduzione della domanda di depositi o ad altre cause interne ai meccanismi di funzionamento del mercato monetario e creditizio; • la velocità di circolazione della moneta può essere non identica nell’economia ufficiale e nell’ Endo; Le tre criticità elencate evidenziano che la stima del prodotto non rilevato a partire dalla misurazione della domanda di denaro circolante risulterebbe non del tutto significativa per quantificare il fenomeno dell’Endo. Il currency demand approach ha il pregio di essere stato diffusamente utilizzato in letteratura, e dunque offre la possibilità di effettuare comparazioni a livello internazionale, i risultati quantitativi e qualitativi, sono consistenti e coerenti tra paesi. La tabella7 che segue, utilizzando il metodo del currency demand approch evidenzia come al 2002, gli Stati che presentavano elevata presenza di sommerso sono la Grecia, l’Italia, il Portogallo e la Spagna, ovvero quelli che vengono in seguito denominati PIGS, dall’inglese maiali e detengono alti debiti pubblici, una elevata corruzione ed evasione fiscale e contributiva. La cultura politica e sociale di questi Stati, anche in presenza di una forte caratterizzazione economica legata alle risorse naturali, al patrimonio culturale, penso in particolare alla Grecia e all’Italia, ma la Spagna e il Portogallo non sono da meno, non ha valorizzato il potenziale endogeno naturale che possedeva, costruendo invece, una spesa pubblica inefficace e spesso affaristica. Questi Stati sono anche quelli che hanno una maggiore esposizione verso le agenzie di rating [glossario] e al momento -­‐2015-­‐ i Governi nazionali ritengono di dover mettere in vendita o avere delle forti sponsorizzazioni dai privati per realizzare liquidità da utilizzare per pagare il debito. Nel 2002, il fenomeno era evidente e il controllo dei singoli Stati nazionali debole. Il fenomeno da parte dei singoli Governi, che avevano ed hanno una robusta quota di sommerso, (uso il termine italiano) è stato sottovalutato per incapacità oppure non si è 5
Non sono possibili confronti tra il metodo qualitativo e quello econometrico perché non ci sono al momento parametri utilizzati per l’Italia. 6
L’analisi completa del Tesoro è al seguente link http://www.tesoro.it/primo-­‐
piano/documenti/2012/economia_non_osservata_e_flussi_finanziari_rapporto_finale.pdf 7
La tabella 1, è al link richiamato nella bibliografia alla voce glossario. Nel file pdf in rete la tabella è alla pagina 252. 22 voluto vedere? Alla strutturale presenza di sommerso deve essere affiancata la scarsa industria di beni capitali, l’assenza di fonti energetiche tradizionali ed alternative per risparmiare i costi della bolletta energetica nazionale, i flebili investimenti nella cultura ed educazione: questa foto con diverse sfumature di grigi, appartiene per esteso all’area dell’Europa che viene individuata come quella dei PIGS, parte da lontano e non è ancora finita, attraversando molti Governi anche con impostazioni diverse. Nella tabella è utile notare, era anche negli anni ’70, che nel 1989, la quota della Grecia e dell’Italia, era il doppio della Danimarca. All’interno dello stesso Paese, in particolare Grecia ed Italia è crescente con un dato di partenza elevato. Inoltre, per l’Italia dal 1997, la quota è stabile fino al 2002, per poi crescere. Cresce il sommerso ma è pensabile tutta l’Endo, cresce il debito, cresce la povertà: un circolo vizioso tremendo, durissimo, con risvolti drammatici al momento per la Grecia, la Spagna, il Portogallo e l’Italia. Tabella 1: Misura dell’economia sommersa usando il currency method Procedendo con lo stesso metodo è utile focalizzare la nostra attenzione per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna che presentavano al 2002 la più alta percentuale di evasione, dopo c’è il Belgio con il 22%, anche perché gli altri Stati europei, della tabella 1 hanno fino al 2010 un trend decrescente, Belgio incluso. La tabella 2 sintetizza l’andamento del sommerso per i paesi dell’Unione Europea – dati disponibili non per tutti gli Stati -­‐ ed evidenzia come per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna dal 2003 al 2014 il trend sia crescente. La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 23 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino Tabella 2: Misura dell’economia sommersa usando il currency method -­‐ Europea Fonte: nostra elaborazione sui dati OCSE Il trend come si vede è crescente per i quattro Stati, i valori più alti sono dell’Italia e della Grecia, mentre il Portogallo e la Spagna si attestano subito dopo con percentuali che erano nel 2002 dell’Italia e della Grecia. Al dato quantitativo si affianca quello qualitativo: i settori. Alcuni sono di tradizione, ovvero di lungo periodo, ad esempio l’edilizia, il commercio, il turismo, i trasporti, la moda, l’agricoltura, la sanità, i media, ma ci sono anche settori nuovi riferiti alla frontiera dell’innovazione tecnologica e della sua sperimentazione. Stime specifiche sulla velocità di circolazione della moneta, andrebbero inoltre formulate per ciascuna delle regioni italiane. Le difficoltà relative alle regioni italiane possono essere corrette attraverso altri modelli, – stime dell’input8 -­‐ che copre in modo parziale il fenomeno. In particolare in Campania la stima del fenomeno è pari ad 11,1 miliardi di euro, in Lombardia è di 10,9 miliardi di euro. Campania e Lombardia, collocate al sud e al nord dell’Italia sono al primo e secondo posto della classifica riguardante il fenomeno dell’Endo. Sul piano dei risultati, ricordiamo le conclusioni unitarie dei diversi metodi presentati: il peso dell’Endo è in rapida crescita nell’ultimo ventennio. L’ampia diffusione del fenomeno evidenzia l’Italia al primo posto con diversi settori. Risulta evidente che tutto questo sforzo di controllo e misurazione è valutabile in termini di stime perché le transazioni reali sono difficile da verificare e quindi il fenomeno è la sua copertura risente di questa impostazione. L’Endo rappresenta un modalità culturale e di riferimento per molte imprese e al tempo stesso è modalità lavorativa diffusa nella nostra penisola. 8
La stima dell’input, prevede i seguenti correttivi: armonizzazione temporale e territoriale delle fonti; correzione dei principali errori nelle fonti dal lato dell’offerta di lavoro (ad esempio, riguardo alla classificazione per attività economica di coloro che si sono dichiarati occupati); armonizzazione concettuale alle definizioni proprie della contabilità nazionale, in particolare secondo il concetto di occupati interni [glossario], integrazione separata delle fonti dal lato dell’offerta e dal lato della domanda di lavoro; confronto delle fonti e quantificazione dei vari segmenti individuabili di occupazione, in termini di posizioni lavorative, trasformazione in unità di lavoro equivalenti a tempo pieno. 24 Conclusioni Siamo alla fine di un paradigma: quello termoindustriale e causa efficiente che tollera e genera inefficienze, come l’Economia non direttamente osservabile: economia illegale, sommersa e informale. La fine di questo paradigma è dato anche dalla devastazione nel tempo dell’ambiente e della sua diversità. Ambiente ed economia sommersa, illegale sintetizzano le asimmetrie culturali, sociali, economiche del nostro paradigma. E’ indispensabile ripensarlo in modo concreto e radicale. Qual è stato, quali sono stati i limiti di questo paradigma? I governi, gli imprenditori, i politici, devono interrogarsi. Senso, simbolo e significato del modello termoindustriale e causa efficiente sono da indagare nel profondo per comprendere perché sia possibile tollerare e sviluppare il fenomeno dell’economia non direttamente osservabile. Quali vantaggi e per chi? La sperimentazione di indicatori che misurano il fenomeno dell’Endo evidenziano la possibilità di stimare il fenomeno e di individuare i settori e le aree geografiche, le regioni che presentano le maggiori criticità. L’applicazione di questi modelli presenta debolezze – come descritto nei paragrafi precedenti -­‐ applicative che devono essere migliorate ma il loro utilizzo costruisce una base d’informazioni e possibili elaborazioni che supportano con forza l’eventuale volontà del decisore politico di voler contrastare il fenomeno e ricondurlo ad un livello europeo. E’ possibile un mercato, uno Stato che premia i capaci e non i rapaci? Qual è il vantaggio di tollerare istituzioni rapaci e voraci? Cambiare paradigma, cultura è la sfida che dobbiamo vincere. Certo anche il settore pubblico, lo Stato presenta ampie caratteristiche di rapacità e scarse capacità nella gestione della res pubblica, anche lo Stato deve vincere questa sfida. La scelta di un nuovo modello è fondamentale e dunque l’individuazione di donne e uomini che gestiscono il cambiamento, necessario. Costruiamo un modello con maggiore qualità sociale e sostenibilità. Costruiamo una competitività meno autoreferenziale e distruttiva dell’ambiente e della residua parte di beni comuni ancora disponibili. Costruiamo una dimensione lavorativa che non guarda solo al costo del lavoro più basso, alla flessibilità che diventa precarietà e poi smettiamola di puntare tutto sulla finanza, riflettiamo in merito al perverso utilizzo degli hedge fund [glossario], al guadagno che pensiamo sia possibile con un click. Costruiamo una comunità che coniughi economia ed ecologia dove e come possibile. Riforme strutturali e culturali per un nuovo modello politico ed economico. Glossario Agenzie di rating: Modificano la loro strategia negli anni 70, ma andiamo con ordine. Le agenzie di rating giudicano la capacità delle Istituzioni pubbliche e private di ripagare i propri debiti. Questi giudizi, utilizzando il gergo finanziario sono chiamati rating. Il rating è il giudizio sull’affidabilità di pagamento del debito di una Istituzione. Le agenzie, dal 1970, sono compagnie private distinte dagli Stati di appartenenza. Moody’s, ha 11.000 dipendenti e un fatturato di 2,03 miliardi di dollari. S&P, 10.000 dipendenti e un fatturato di 2,6 miliardi di dollari; Fitch, 2.000 dipendenti e un fatturato di 657,2 milioni di dollari. Le tre agenzie controllano il 95% del mercato del rating, siamo in pieno mercato oligopolistico. Le agenzie di rating hanno una storia, non sono nate ieri e quando nascono hanno un ruolo diverso da quello attuale. La prima agenzia nasce nel 1909 quando John Moody inizia a vendere “The Manual of Railroad Securities”, La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 25 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino strumento utile per l’analisi dei titoli di 200 ferrovie negli Stati Uniti. Fitch è fondata nel 1913, Poor’s e Standard and Co. iniziano nel 1916. Dopo 25 anni, nel 1941 Poor’s e Standard and Co. si fondono nell’attuale Standard and Poor’s. La svolta avviene negli anni 70. Prima del 1970 le agenzie si finanziavano vendendo i rapporti con le loro analisi agli abbonati, pagava chi usufruiva del servizio, dal 1970 cambia la strategia e l’obbiettivo, iniziano i forti cambiamenti dell’ordine mondiale con la prima crisi petrolifera del 1973 – 74, la crisi fiscale dello Stato, i petrodollari che non sono più l’unica moneta buona utilizzata sul mercato delle transazioni economiche e finanziarie [vedi glossario 1943 – 1973]. Le banche e le aziende private che si indebitano devono essere giudicate e devono pagare una commissione alle agenzie di rating, agenzie che emettono un giudizio sulle banche e le aziende in merito allo loro solidità e solvibilità. Paga chi viene giudicato e non chi usufruisce del servizio: questo crea un forte conflitto di interessi. Il conflitto di interessi viene sancito nel 1975 dalla SEC. La Security Exchange Commission, (come dire, l’equivalente della CONSOB), sancisce che Moody’s, S&P and Fitch sono le uniche agenzie autorizzate ad esprimere giudizi: l’oligopolio di fatto si trasforma in oligopolio legale, il potere delle agenzia diventa enorme, diventano colossi e il controllo dei tre fratelli è difficile, molto difficile. I tre fratelli rispondono ad una domanda fondamentale nel mondo che si trasforma: chi fornisce informazioni garantite in merito al titolo di credito tra compratore e venditore? Le tre agenzie in quest’ottica svolgono un ruolo fondamentale, sono i punti cardinali degli investitori perché informano le probabilità che le Istituzioni hanno di ripagare il debito contratto. E’ utile sapere che il giudizio non è obbligatorio, la legislazione vigente non lo prevede, ma di fatto la compagnia che vuole emettere un titolo, difficilmente troverebbe investitori senza l’informazione dell’agenzia: non obbligatoria ma è come se e quel come se influenza le politiche degli Stati nazionali, delle aziende, delle banche: se vi indebitate le agenzie giudicano come e quando vogliono, se collocate titoli e siete azienda privata l’agenzia viene pagata: Fiat paga S&P per essere giudicata, questo crea un evidente conflitto d’interesse, ma attenzione, per il settore pubblico l’agenzia non viene pagata ed esprime giudizi senza essere interpellata. Perché lo fanno? Per reputazione, per informare, rispondono. E’ interessante sapere che la valutazione è costruita utilizzando una serie di indicatori sintetici che misurano le condizioni macroeconomiche, la struttura economica, la struttura politica, questa valutazione attiene al settore pubblico, mentre per quello privato, l’analisi attiene ad esempio, alle capacità decisionali del management, alla struttura aziendale, al valore patrimoniale e del cash flow. I tre fratelli, come le sette sorelle sono due oligopoli che decidono quanto paghiamo la primaria fonte di energia che utilizziamo, il barile di petrolio, e se siamo affidabili come Stato nazionale. Quando la valutazione è negativa ci declassano, comunicano che non siamo affidabili ma l’antitrust americano sta cercando di garantire l’entrata di nuovi attori ridisegnando il ruolo delle agenzie. Il conflitto è politico ed economico: riferendosi al primo emendamento della costituzione americana, le agenzie di rating affermano di fare opinione e quindi sono regolate come un quotidiano d’informazione, ma nella realtà quelle informazioni muovono i mercati e dunque sono attori finanziari e come tali devono essere regolati. L’antitrust americano dichiara che “i criteri con i quali vengono attribuiti i rating sono spesso poco trasparenti e non chiaramente delineati”. Aggregati economici: le grandezze sintetiche che misurano il risultato d’insieme delle operazioni svolte da tutte le unità economiche del sistema; vi sono due tipi di aggregati: i) aggregati legati direttamente alle operazioni del sistema dei conti (ad esempio, la produzione di beni e servizi, i consumi finali, gli investimenti fissi lordi, i redditi da lavoro dipendente); ii) aggregati che rappresentano saldi contabili (ad esempio, il prodotto interno lordo, il risultato lordo di gestione, il risparmio nazionale). Gli aggregati che rappresentano saldi possono essere espressi al lordo o al netto degli ammortamenti. BRIC: Acronimo relativo a quattro paesi strategici tra quelli emergenti: Brasile, Russia, India, Cina. Strategici perché in questi quattro Paesi si concentrano gli investimenti a livello mondiale e molte delle risorse primarie utilizzate per la produzione di beni e servizi. La concentrazione è dovuta anche al basso salario dei lavoratori, al forte investimento pubblico per il sostegno delle imprese, alla scarsa tutela del diritto del 26 lavoro. L’affermarsi dei BRIC deve farci riflettere sul fatto che ormai nella globalizzazione competono più gli Stati che le imprese. Capitalismo finanziario: R. Hilferding in “Il capitalismo finanziario”, libro pubblicato nel 1910 presentò al pubblico una delle prime riflessioni sistematizzate di capitalismo finanziario, ovvero sulla mutazione, produttiva, culturale, economica, sociale, del capitalismo e del suo sistema di appartenenza e rappresentanza. Una delle considerazioni di base e di sintesi del volume è data dall’autonomia del settore finanziario da quello produttivo e dalla previsione di un potere sempre più forte ed aggressivo della finanza in relazione alla produzione, all’investimento in lavoro. Controlli Francia e Germania: Indichiamo qui di seguito alcuni aspetti della lotta all'Endo (uso il termine italiano) in Francia e Germania. Si tratta di paesi le cui economie hanno forti interazioni con l'Italia e sarebbe, pertanto, auspicabile omogeneità di impostazione e metodo. In Francia l’organizzazione della vigilanza ha al centro la DGI (direzione generale delle imposte) con 79241 dipendenti suddivisi in tre categorie: A (20691 di cui 9098 donne); B (24785 di cui 15052 donne); C (33765 di cui 25719 donne), al diminuire dell’autonomia decisionale aumentano le donne. In Francia l’amministrazione può chiedere documenti a imprese, banche, pubblica amministrazione e giudici e può ottenere gli estratti dei conti bancari riferibili al contribuente ispezionato. Inoltre ha diritto di visita e sequestro nell’abitazione privata previa autorizzazione di un magistrato. Il contenzioso tributario in Francia è meno elevato che in Italia. In Germania partecipano alla tassazione e alla riscossione tutti e tre i livelli di governo (Statale, Lander e Comuni), ma la riscossione è quasi interamente dei Lander. Come in Francia, anche in Germania, il contribuente gode di robusti diritti e può persino ricusare il pubblico ufficiale che fa una ispezione. Nel 2004 è stata approvata una legge contro l’economia sommersa che comprende anche le attività illegali e l’evasione fiscale. Le aziende di dimensioni medie e grandi (fatturato, dipendenti, localizzazione di mercato) ricevono i controlli ogni 2 anni, quelle piccole ogni 3 anni. Default: (insolvenza) un debitore si trova in una situazione di insolvenza quando alla scadenza non è in grado di pagare, parte o tutti i suoi impegni di pagamento. Derivati o prodotto derivato: da un prodotto ad esso collegato. Il prodotto collegato può avere natura finanziaria diversa, può essere una azione, una obbligazione, una valuta, un credito, una materia prima. I principali prodotti collegati possono avere caratteristiche di non immediato controllo, ad esempio i futures, contratti che impegnano gli operatori a comprare o a vendere un’attività a un prezzo prefissato a una data futura; gli swap, strumento finanziario permette di modificare attraverso la stipula di un nuovo contratto tra due o più operatori la riduzione o l’annullamento dei tassi di interesse di credito dei flussi posseduti. Questo meccanismo, in parte utilizzato dagli Enti Locali, che accendevano prestiti per far fronte alla scarsa liquidità, dovuta al taglio del Governo e alla non sempre oculata spesa locale, è stato sottovalutato dalle amministrazioni, attirati dall’idea dell’investimento vantaggioso. Differenziale salariale donna/uomo -­‐ GPG: è richiesto annualmente nell'ambito del Gruppo Labour Market Statistics dell'Eurostat per misurare il differenziale salariale orario tra uomini e donne, nell’ambito dei soli lavoratori dipendenti. Il GPG (Gender Pay Gap) è calcolato come rapporto percentuale tra la differenza della retribuzione lorda oraria degli uomini e retribuzione lorda oraria delle donne. Dal 1997, la rilevazione quadriennale Structure of Earnings Survey (Reg. 530/1999) è il benchmark dell'indicatore. La popolazione di riferimento è rappresentata dai lavoratori dipendenti in imprese/enti e istituzioni con almeno 10 dipendenti, effettivamente presenti. Per gli anni non coperti dalla rilevazione è data facoltà ai Paesi di scegliere la metodologia adeguata e l'Italia, dal 2007, per la stima delle variazioni annuali del Gender Pay La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 27 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino Gap, indicatore che fornisce informazioni non desumibili dal PIL, utilizza i dati della rilevazione EuSilc. Attualmente i dati sono diffusi secondo il settore di attività economica (NACE: Statistical Classification of Economic Activities in the European Community), il controllo economico e finanziario (pubblico/privato) dell’impresa e la classe di età dei lavoratori-­‐ lavoratrici. Eurobond: I paesi della zona euro emettono in comune, responsabilità congiunta, titoli del debito pubblico. Riflessioni diverse attengono però a) alla differente percentuale del debito dei singoli stati, b) all’ente incaricato della gestione. In questo confronto – scontro il ruolo della Banca centrale europea è fondamentale. E’ una strumento di breve periodo che può dare fiato al singolo Stato, ma non può essere sostitutivo di una politica industriale ed economica europea che al momento è assente dal confronto. Gli Eurobond nel lungo periodo – assenza di politiche industriali ed economiche europee – possono essere la ripetizione del debito dei titoli emessi dai singoli Stati dell’UE. Ipotesi diversa è l’utilizzo di Eurobond per finaziare la riconversione ecologica dell’economia Europa, ma al 2012 tutto tace in materia. Hedge fund: utilizza leve finanziarie per raccogliere un volume di capitali maggiore di quelli disponibili all’ investitore del fondo. Ad esempio in Italia i fondi pensione dei lavoratori. I risultati dei fondi in realtà sono collegati al mercato delle azioni e delle obbligazioni. Il legame tra l’investimento finanziario e i fondi pensione è vissuto in tutta la sua drammaticità ad esempio nel 2007, quando c’è stata la chiusura forzata di due hedge fund di Bear Stearns, banca di investimento. Dopo quell’episodio e il continuo degrado nel 2008 anche la supponenza dei governi nel presentare gli hedge fund è diminuita. Feige e il metodo delle transazioni monetarie: Il metodo delle transazioni sviluppato da Feige si basa sull’equazione quantitativa della moneta, MV = pT, MV = velocità della moneta e pT = prezzo della transazione, non espongo il modello matematico. Partendo da alcune ipotesi sulla velocità di circolazione della moneta e conoscendo M, è possibile trovare pT. Se il rapporto di pT sul PIL è conosciuto ed è assunto come costante nel tempo si riesce a calcolare il PIL per ogni anno di cui abbiamo trovato pT. Il reddito irregolare si trova calcolando la differenza tra questo e quello regolare. Metodo del currency demand approach: Il metodo monetario più diffusamente utilizzato è il currency demand approach, introdotto da Cagan nel 1958, successivamente perfezionato da Tanzi e più recentemente ripreso da Schneider. Tale approccio è basato sull’assunzione che le transazioni sommerse avvengano in contanti, l’unico strumento di pagamento in grado di garantire l’anonimato e di non lasciare tracce osservabili dalle autorità. Un ampliamento dell’economia sommersa dovrebbe dunque riflettersi in un incremento della domanda di circolante. Per isolare l’eccesso di contante da imputare al sommerso, si stima un’equazione di domanda di circolante, nella quale vengono inserite come variabili esplicative alcune cause della black economy e come variabili di controllo fattori quali il tasso di interesse, il reddito, la tecnologia dei pagamenti. A supporto di tale approccio, diversi autori (tra i quali Schneider) pongono l’accento sull’esistenza di una relazione stretta tra economia sommersa e uso del circolante; constatando per i paesi OCSE un incremento dell’offerta di contante in percentuale sul PIL, adduce come motivazione che una quota cospicua del circolante sia in effetti detenuta nell’ambito del sommerso. Un’ulteriore evidenza empirica proviene dalle statistiche valutarie. La quantità di circolante imputabile al sommerso si ottiene come differenza tra la domanda di contanti stimata tenendo conto del contributo di tutte le variabili esplicative e quella simulata facendo assumere alla variabile-­‐causa (senza la quale in pratica non vi sarebbe sommerso: tipicamente, l’imposizione fiscale) un valore nullo o pari al suo minimo storico nel periodo considerato. Quindi, calcolando per un anno base la velocità di circolazione (come rapporto tra il PIL nominale e il circolante legalmente utilizzato, a sua volta pari alla differenza tra il circolante totale e il circolante illegale causato dal sommerso), e formulando l’ipotesi che questa sia la stessa nell’economia 28 regolare e in quella irregolare, si ottiene la quota di economia sommersa. Non espongo il modello matematico. 1943 – 1973: Nel 1973 si verifica la prima grave crisi energetica mondiale. A tale proposito dal sito dell’Aspo è possibile, al link che segue, http://www.aspoitalia.it/intro/intro.html approfondire il tema. Nel 1974 la Piccola Biblioteca Einaudi traduce e pubblica il volume di J. O’ Connor, la crisi Fiscale dello Stato. Il 10 luglio 1976 esplode il reattore dell’ICMESA a Seveso. Questo gravissimo incidente segna in Italia il passaggio dalla fase teorica dell’ambientalismo alle prime forme di rivendicazione dell’integrità dell’ambiente allora intesa come presupposto imprescindibile della salute dei lavoratori. Fino agli anni 90 la questione ambientale resta però sostanzialmente al di fuori delle istituzioni ed assume forti connotazioni sociali e politici. Sono gli anni nei quali si sviluppano e si consolidano le associazioni ambientaliste. La prima grande associazione è Italia Nostra (1955) con le sue importanti subordinate. Il 1966 è l’anno dell’alluvione di Firenze. Nel 1972 il periodico Rinascita pubblica gli atti del convegno dell’Istituto Gramsci “Uomo, natura e società”. Nasce così il filone dell’ambientalismo come filone di ricerca e azione è anche questo approccio con il legame robusto tra i diritti al lavoro, all’ambiente ed alla salute che determina nel 1978 la nascita del Servizio Sanitario Nazionale che attribuisce alle Unità Sanitarie Locali i controlli ambientali. Le agenzie di rating iniziano ad essere presenti nel nostro Paese [agenzie di rating glossario]. Il Piano energetico del Ministro Donat-­‐Cattin del 1975 prevede la costruzione di 62 centrali nucleari entro il 1990. La prima centrale nucleare di grande potenza (Caorso) entra in esercizio commerciale alla fine del 1981. Nel gennaio 1987 la Conferenza di Venezia sulla sicurezza delle centrali approva una raccomandazione per la ripresa nucleare che non avrà seguito. Un Referendum popolare promosso dal movimento ambientalista dopo l’incidente di Chernobyl (1986) pone fine di fatto all’opzione nucleare. La via ambientalista italiana resta però particolare e contraddittoria, poco legata al dibattito ed al movimento internazionale che si sviluppa fortemente dopo Chernobyl. La prima legge organicamente ambientale in Italia è la Legge Merli, 319/76, l’anno di Seveso, sull’inquinamento delle acque che resterà sostanzialmente inattuata. Seguono le leggi sui rifiuti e sulla difesa del mare e delle coste (1982) e la legge Galasso sulla tutela del paesaggio (1985). Nel 1979 il Governo istituisce un Comitato di Ministri per l’Ambiente. Nel 1983 Bettino Craxi nomina il primo Ministro per l’ecologia, il liberale Biondi. Il Ministero verrà istituito soltanto nell’1986, affidato a Giorgio Ruffolo, e finanziato un anno dopo, ben 17 anni dopo l’istituzione negli Stati Uniti dell’Agenzia per la protezione ambientale, US EPA. Il Ministero nasce senza supporti tecnici, con limitate capacità di fondi e competenze e non avvia una politica ambientale se non emergenziale. Poi inizia Rio con una marginale presenza italiana nel 1992, ma il focus era per gli anni riferiti alla riflessione presentata nel testo. Modello di Finstein: Partendo dalla constatazione che solo una parte delle infrazioni commesse vengono scoperte, Finstein ha ideato un modello matematico basato sull’analisi delle caratteristiche del processo di indagine in grado di stimare il numero delle infrazioni reali. Tale modello è costituito da due equazioni in cui si calcola la probabilità che una infrazione commessa non venga scoperta. La prima è riferita al potenziale violatore e ne specifica la probabilità di commettere la violazione. La seconda equazione è riferita al controllore e ne specifica le possibilità di scoperta dell’infrazione condizionata all’avvenuta violazione. La stima contemporanea delle due equazioni consente di calcolare la probabilità di non scoperta di una violazione commessa e quella di errata segnalazione di infrazione. Dal numero di infrazioni scoperte si eliminano quindi quelle false e si aggiungono quelle non scoperte, giungendo ad una stima del numero delle infrazioni totali. La principale forza di tale modello è di incorporare le caratteristiche del processo di controllo all’interno dell’analisi. Le principali debolezze consistono, invece, nella difficoltà di definizione dei parametri. Non espongo il modello matematico. La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 29 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino Modello di Frey: Nel 1983 Frey propose un modello la cui principale novità è quella di considerare l’ampiezza dell’economia sommersa come funzione di alcune delle sue principali cause. I fattori che egli considera sono: il livello di tassazione; il livello di regolamentazione del lavoro; la moralità nel pagamento delle tasse; la percezione del disagio creato dalle tasse; il tasso di partecipazione ufficiale al lavoro; il tasso di disoccupazione; l’orario di lavoro ufficiale. Per ognuno dei fattori considerati Frey ha stilato una classifica di alcuni paesi. Egli ha poi calcolato una posizione media per ogni paese, ponderando ogni fattore sulla base dell’importanza che ad esso viene attribuita dalla letteratura sull’economia sommersa. E’ evidente che tale metodo è estremamente rudimentale poiché non consente di avere una stima dell’ampiezza dell’economia irregolare ma bensì soltanto una classifica e, inoltre, i valori di ponderazione sono alquanto arbitrari. L’anno successivo lo stesso Frey, insieme a Weck-­‐ Hanmeman, elaborò il modello di tipo MIMIC (Multiple Indicator, Multiple Causes), che mette in relazione le cause e gli effetti dell’economia sommersa con la sua entità. Le variabili determinanti sono: il peso della tassazione che è diviso in oggettivo e percepito: oggettivo: misurato come livello della tassazione sul PIL; percepito: misurato come tasso di crescita del livello di tassazione e il peso delle regolamentazioni; la moralità rispetto al pagamento delle tasse che viene calcolato attraverso indagini specifiche; il tasso di disoccupazione; il livello di sviluppo. Gli indicatori degli effetti dell’economia sommersa sono in relazione alla variazione del numero di lavoratori regolari. Stimati i parametri del modello attraverso il metodo della massima verosimiglianza si trova l’ampiezza dell’economia irregolare. Il principale vantaggio di tale metodo rispetto agli altri è quello di considerare più cause dalle quali scaturisce l’economia sommersa e di porre in relazione quest’ultima ai suoi effetti. Taluni problemi derivano invece dall’instabilità dei risultati rispetto a schemi alternativi dei pesi degli indici utilizzati, dei coefficienti intertemporali e internazionali e dalla difficoltà nella misurabilità di alcune variabili esplicative di alcuni indicatori. Non espongo il modello matematico. Modello di Kauffman – Kaliberda: Il modello ideato da Kaufmann e Kaliberda si basa sul consumo di elettricità come indicatore del reddito irregolare. Conoscendo il valore dell’elettricità erogata e il consumo delle attività economiche regolari è possibile stabilire il livello di attività sommersa. Questo metodo presenta tuttavia le seguenti debolezze: molte attività non richiedono elevate quantità di elettricità; spesso le attività dove maggiormente si concentrano le irregolarità sono di tipo labour intensive e quindi con basso rapporto energia/prodotto; esistono differenze nel tempo e nello spazio nell’ambito del rapporto tra elettricità consumata e reddito prodotto; non è applicabile in quei paesi (come quelli in via di sviluppo) dove l’utilizzazione della corrente elettrica è ancora poco diffusa. Non espongo il modello matematico. Metodo di Lackò: Una diversa versione del metodo degli input fisici è quella presentata da Lackò. Egli considera le attività sommerse che si svolgono all’interno di edifici ad uso residenziale, includendo quindi l’autoproduzione, il lavoro domiciliare e tutte quelle piccolissime imprese localizzate nei sottoscala e nei garage. Il modello parte dall’assunzione che: vi sia una certa relazione tra l’ampiezza dell’economia sommersa che si svolge in edifici residenziali e il complesso dell’economia irregolare, anche in questo caso attraverso il consumo elettrico delle abitazioni è possibile risalire all’attività produttiva irregolare che vi si svolge. Non espongo il modello matematico. Neet (Not in Education, Employment or Training): comprendono le persone tra i 15 e i 29 anni né occupate né iscritte ad un corso regolare di studi, le informazioni dell’Istat sono importanti per comprendere il fenomeno, si veda il link che segue. http://noi-­‐italia.istat.it/index.php?id=7&no_cache=1&user_100ind_pi1%5Bid_pagina%5D=27 Occupati interni: si intendono tutte le persone, dipendenti e indipendenti, che esercitano un’attività di produzione, come definita dal sistema dei conti, sul territorio del Paese. La definizione di occupazione interna differisce dal concetto di occupazione nazionale. Nella prima sono esclusi i residenti che lavorano 30 presso unità di produzione non residenti sul territorio nazionale e sono, invece, inclusi i non residenti che lavorano presso unità di produzione residenti. Il concetto di occupazione nazionale, al contrario, comprende tutte le persone residenti occupate in unità produttive sia residenti sia non residenti, escludendo le persone non residenti. Il concetto di occupazione insito nell’indagine sulle forze di lavoro è assai prossimo a quello di occupazione nazionale. La piena armonizzazione della definizione di occupazione della suddetta indagine a quella di contabilità nazionale comporta, adeguamenti riguardanti gli immigrati, l’area dell’Endo e del PIL ai prezzi di mercato. Petrodollaro: il termine è coniato nel 1973 in riferimento all’area OPEC, perché la bilancia commerciale era legata alla moneta americana come riserva di valuta. L’aumento del prezzo del petrolio, aumento che imponeva le targhe alterne e la fine del prodotto auto con il motore a scoppio dipendente dalla raffinazione del petrolio per avere benzina, ha determinato enormi risorse finanziarie dei paesi OPEC, i petrodollari appunto perché il greggio, su scala internazionale, veniva pagato con il dollaro statunitense. La massa di risorse solo in minima parte e stata investita nei Paesi produttori. Una quota considerevole è stata immessa nel circuito economico e finanziario mondiale, con l'acquisto di valuta e titoli esteri, con risultati destabilizzanti sull'intero sistema da quando il dollaro non è considerata unica moneta privilegiata per le transazioni. Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato: il risultato finale dell’attività di produzione delle unità produttrici residenti. Corrisponde alla produzione totale di beni e servizi dell’economia, diminuita dei consumi intermedi ed aumentata dell'Iva gravante e delle imposte indirette sulle importazioni. È altresì, pari alla somma del valore aggiunto a prezzi base delle varie branche di attività economica, aumentata delle imposte sui prodotti (compresa l’Iva e le imposte sulle importazioni) al netto dei contributi ai prodotti. Rapporto di lavoro: il rapporto di lavoro è definito come un legame contrattuale tra un datore di lavoro e un lavoratore. Un rapporto di lavoro è caratterizzato da due eventi primari, l’attivazione e la cessazione, per cui si definiscono i seguenti concetti: rapporto di lavoro attivato, ovvero l’inizio di una fattispecie contrattuale a carattere permanente o temporaneo sottoposta a obbligo di comunicazione da parte del datore di lavoro; rapporto di lavoro cessato, ovvero la conclusione di una fattispecie contrattuale, a carattere permanente o temporaneo. I rapporti di lavoro cessati posso essere di due tipi: i) cessazione a termine: conclusione di un rapporto di lavoro temporaneo alla fine prevista dal contratto, per la quale la comunicazione obbligatoria di avvenuta conclusione da parte del datore di lavoro non è dovuta; ii) altra cessazione: interruzione anticipata di un rapporto di lavoro a carattere temporaneo e conclusione di un rapporto di lavoro permanente, in tali casi è sempre necessaria una comunicazione di “cessazione” che riporti le ragioni della fine del rapporto (motivo della cessazione). All’interno di questo piano razionale, esiste una complessa classificazione dei rapporti di lavoro e delle relative comunicazioni, ad esempio i rapporti di lavoro atipici, in continua evoluzione e trasformazione – mi scuso per le affermazioni che risultano inesatte all’uscita della mia riflessione, ma la materia è in continuo mutamento -­‐ originariamente proposta dall’Istat nel 2002 (cfr. Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2001, Roma, maggio 2002, pag. 150) intrecciando tre caratteristiche dei rapporti di lavoro: durata temporale della prestazione (permanente/temporanea), orario di lavoro (pieno/ridotto), diritti previdenziali (interi, ridotti per lavoratori dipendenti, ridotti per lavoratori autonomi); in tal modo l’Istat individuava 31 tipologie di lavoro atipico (18 “strettamente atipiche” e 13 “parzialmente atipiche”). Nel 2004, l’Istat (cfr. Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2003, Roma, maggio 2004, pag. 238), nel nuovo quadro regolamentare emerso con l’approvazione della legge 30/2003, individuava nel mercato del lavoro italiano “21 differenti rapporti di lavoro, diversi dall’impiego ‘standard’ i quali, a seconda della stabilità del contratto o della durata del regime orario, possono essere applicati secondo 48 modalità diverse. Di queste 34 possono essere valutate La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 31 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino come pienamente atipiche, mentre le altre 14 possono essere considerate solo parzialmente atipiche. 28 modalità diverse sono caratterizzate dall’assicurazione al lavoratore del godimento di pieni diritti previdenziali, mentre altre 20 modalità offrono una tutela previdenziale ridotta o nulla. Bibliografia Bibliografia Prodotto Interno Lordo (focus sul tema) • Fitoussi J.P., Sen A., Stiglitz J. E., (2010) La misura sbagliata delle nostre vite, Etas • Fitoussi J.P., Sen A., Stiglitz J. E., (2008) Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress www.stiglitz-­‐sen-­‐fitoussi.fr Bibliografia Endo (alcuni studi di autori stranieri ) • Bhattacharyya D.(1999) On the economic rationale of estimating the hidden economy in Economic Journal 456 • Cagan P. 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%20Le%20funzioni%20di%20polizia%20economico-­‐finanziaria.pdf?download=1 in particolare da pagina 194 in poi, ma tutto il documento è di estremo interesse. Per le voci di economia i riferimenti attengono ad una serie di dizionari di economia Di seguito il lettore trova il CPI, il set di indicatori relativo alla percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica. http://www.transparency.it/ind_ti.asp Tutte le voci riportate nel glossario sono state elaborate, in relazione al testo dall’autore. Comunicazione al workshop “Salute mentale: esperienze di partecipazione e ruolo della ricerca” a cura dell’ ISTC del C.N.R. di Roma. Per un nuovo rapporto tra ricerca scientifica e pratica sociale. Dove va la psichiatria senza manicomio? di Riccardo Ierna
«Il lavoro di questi anni è partito da questa consapevolezza.
Non si aveva di fronte solo una fortezza da attaccare, il
manicomio, ma un’istituzione diffusa, modellata sulla sua
logica, assai più duttile della rigida struttura asilare, capace
di diffondersi, trasformarsi e riciclarsi. Si è trattato dunque di
innescare un processo tutto nuovo, in cui gli ostacoli,
affrontati giorno per giorno, non concernevano più solo le
resistenze istituzionali del “dentro”, ma, insieme a queste,
incrociate e sovrapposte, le resistenze del “fuori”, cioè
dell’organizzazione sociale generale.»
Franco Basaglia, Sono profonde le radici del ghetto
«Alla medicina è affidato il compito di risolvere, nella
razionalità scientifica, questa contraddizione del modo di
produzione capitalista, che da una parte consuma e spegne
la forza-lavoro, ma dall’altra parte ne ha bisogno per
continuare ad alimentare se stesso. Quindi deve conservarla
nella misura in cui serve consumarla.»
Gulio Alfredo Maccacaro, L’uso di classe della medicina
Il titolo di questo intervento riprende parte del titolo di un draft non pubblicato per i Quaderni di documentazione – Sub-­‐progetto Prevenzione Malattie Mentali nell’ambito del Progetto Finalizzato Medicina Preventiva che dalla metà degli anni ’70 alla fine degli anni ’80 fu commissionato dal CNR allo scopo di verificare il livello di operatività dei nuovi servizi di salute mentale sul territorio nazionale. Il progetto dei “Quaderni di documentazione” nacque dall’impegno e dalla spinta straordinaria di figure come Giulio Alfredo Maccacaro e Franco Basaglia, che nei loro rispettivi ambiti pratici, seppero dare un impulso decisivo alla pratica sociale della medicina e della 34 psichiatria, attraverso cambiamenti epocali nel modo di fare scienza in questo paese. A distanza di oltre 30 anni da quella straordinaria esperienza di ricerca, che coinvolse operatori, studenti, ricercatori, amministratori, politici e società civile, dovremmo chiederci nuovamente che ne è stato di quel modo di fare medicina, di fare psichiatria, di fare ricerca. E se oggi è possibile immaginare un nuovo rapporto tra ricerca scientifica e pratica sociale, in un’epoca dove la medicina ha ulteriormente avanzato il proprio campo d’azione, rafforzato la sua “egemonia culturale”, la sua presunta “neutralità scientifica” e la psichiatria è tornata prepotentemente ad essere strumento di gestione del disagio individuale e collettivo dalla prospettiva di una pacificazione del conflitto, di gestione dell’improduttività sociale, di controllo dell’abnorme, di normalizzazione dell’esistente. Rimanendo in campo psichiatrico, se volessimo tracciare una traiettoria che va dalla fine degli anni ’70 ad oggi, ci ritroveremmo a fare i conti con una serie di contraddizioni che sono ben lungi dall’essere state affrontate e risolte. Me ne vengono in mente alcune in ordine sparso, ma penso ve ne siano diverse disseminate nella pratica quotidiana dei servizi pubblici e privati. Cercando il più possibile di evitare facili generalizzazioni, possiamo dire che tendenzialmente a livello di pratica clinica, il lavoro di molti servizi rimane prevalentemente basato sul contenimento farmacologico e psicologico dei sintomi, con un’evidente politica di riduzione del danno e di gestione del deficit, a cui fa da sfondo un certo “ipertecnicismo prestazionale” agevolato dalla gestione protocollare, aziendalistica e burocratizzata del servizio pubblico. Una prassi che finisce inevitabilmente per creare situazioni di depoliticizzazione del ruolo professionale, sempre più orientato all’iper-­‐specializzazione delle competenze e che può sfociare in due forme apparentemente contraddittorie di interpretazione della funzione tecnica: o un “apoliticismo tecnicistico” che mi pare essere prevalente soprattutto nei giovani operatori, o una forma di politicizzazione esclusivamente corporativa, ideologica, nostalgica, ormai slegata dalla realtà sociale e che vedo maggiormente espressa da alcuni “vecchi operatori” del servizio pubblico o del privato sociale. A livello di riabilitazione, mi pare invece di poter dire che il problema del lavoro e dei livelli occupazionali costituisce oggi una questione centrale, quella che, parafrasando un bel titolo di un libro straordinario di Benedetto Saraceno, ho chiamato “l’infinito intrattenimento” degli improduttivi e che si declina lungo due grandi assi organizzativi ed istituzionali: La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 35 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino Sul piano dell’occupazione, attraverso tutto quel complesso meccanismo di sussidi, borse lavoro, stage, tirocinii protetti, voucher socio-­‐sanitari senza, spesso, alcuna contrattualità sociale e salariale e senza garanzie di stabilità e di tutela per i cosiddetti “lavoratori svantaggiati”. Con forme spesso perverse di gestione del lavoro attraverso sistemi di “premio-­‐punizione”, che finiscono per aumentare il senso di insicurezza del lavoratore per farlo ricadere, o a causa di una crisi perché non ce la fa, o semplicemente perché non gli viene rinnovato il contratto temporaneo, nel circuito psichiatrico da dove proveniva, mantenendolo in uno stato di galleggiamento istituzionale e legittimando il noto fenomeno del “revolving door”. Oppure costringendolo ad utilizzare quelle forme di sussidio di invalidità che rappresentano per lui o per lei l’unica fonte di sopravvivenza, rinforzando dunque la sua posizione di subalternità e di auto-­‐stigmatizzazione sociale. A questo proposito dovremmo chiederci quante di queste “morti bianche” sul lavoro, di “insuccessi terapeutico-­‐riabilitativi” dipendano anche dal fatto che la gestione riabilitativa del lavoro sia ancora nelle mani, in molti casi, dei dipartimenti di salute mentale, o attraverso forme di “convenzione monopolistica” con le cooperative sociali a cui si appaltano questi servizi, o attraverso l’uso di agenzie sociali e territoriali di cooptazione dell’utenza allo scopo di tenerne sotto controllo il percorso di vita e di “malattia”. Rischiando cosi di favorire più una “dipendenza istituzionale di ritorno”, che una reale emancipazione sociale ed esistenziale. Sul piano della gestione del “tempo libero” e della riappropriazione di alcune competenze elementari, invece, la contraddizione si esplicita attraverso la gestione di una serie di attività, penso soprattutto ad alcuni centri diurni, completamente a-­‐finalizzate, non pensate assieme agli utenti ma imposte a livello istituzionale da un rigido programma formalizzato. Oppure alla proposizione di un “pacchetto di attività quotidiane”, penso a molte comunità terapeutiche, finalizzato prevalentemente alla riproduzione istituzionale ed a mantenere il suo funzionamento, generando una complessiva perdita di senso nell’utenza che non comprende il perché del ripetersi di certe attività se non appunto come proprio “intrattenimento” da parte dell’istituzione. A me pare allora che vi siano alcune grandi contraddizioni rimaste aperte nella attuale composizione del lavoro nei servizi e sulle quali sarebbe opportuno tornare a riflettere: Innanzitutto la contraddizione della crisi e della sua gestione, che mi sembra oggi affrontata non molto diversamente da come si affrontava in era tardo-­‐manicomiale. Cioè attraverso una forma di contenimento spesso fisico, il più delle volte farmacologico e negli ultimi anni affiancato da quello che ho definito “un contenimento psicologico” del disagio. Quindi come esito finale di qualcosa che non è più rientrato nell’analisi critica delle determinanti sociali ed ambientali della sofferenza 36 mentale. Ma che è tornato ad essere problema separato dal corpo sociale e dai contesti in cui questo nasce e si sviluppa. Ed anche a livello della ricerca mi sembra che manchi oggi, o sia estremamente carente dal punto di vista degli studi epidemiologici, un livello di analisi che tenga conto delle prassi reali del servizio pubblico ospedaliero e territoriale, con indagini che vadano a misurare effettivamente l’uso e l’abuso della contenzione meccanica e farmacologica, gli effetti da sovradosaggio farmacologico, quelli da “istituzionalizzazione prolungata”, quelli da dipendenza istituzionale dal servizio (che fanno in modo che l’utenza rimanga sempre la stessa per anni in alcuni servizi e che non esca mai dal circuito istituzionale). Come pure sembra mancare un’analisi approfondita della composizione sociale e geografica delle fasce d’utenza che afferiscono ai servizi, la loro situazione socio-­‐economica, i livelli di reddito, le fasce d’età e la composizione di genere. Tutti dati molto preziosi che permetterebbero di allargare l’interpretazione spesso meccanica dei dati che pervengono dalla letteratura, e che spesso forniscono una visione unidimensionale di fenomeni molto complessi, appiattendo il dibattito sull’organizzazione dei servizi, sulle prese in carico, sui livelli di accessibilità dell’utenza su mere questioni di economia aziendale (contenimento dei costi, riduzione del personale, tagli ai servizi, riduzione dei posti-­‐letto). In tal senso io credo che non basti la rilevazione dei tassi di ricovero annui (tso ospedalieri), o di dimissioni precoci per determinare la qualità di un servizio, se non si va a vedere analiticamente da che cosa dipende il ricorso maggiore o minore al trattamento sanitario obbligatorio, se non si indaga sulle determinanti sociali, contestuali ed istituzionali di un ricovero breve o prolungato. Tornando alla questione del lavoro, mi chiedo se oggi costituisca realmente la base di un processo emancipativo e di risingolarizzazione della propria esperienza di vita, o se invece rappresenti la contraddizione più evidente di un sistema capitalistico di gestione dell’improduttività, che ha bisogno di un “esercito di riserva” per mantenere inalterati i suoi rapporti di produzione. In un momento nel quale il tasso di disoccupazione supera la soglia storica del ’77 (13,6% su base trimestrale nel 2014) e non c’è richiesta di forza-­‐lavoro stabile se non nelle forme flessibili e pracarizzate che conosciamo, la questione del lavoro rischia per le fasce più deboli e svantaggiate di costituire quella cartina di tornasole che smaschera i programmi governativi di distruzione del welfare state e di precarizzazione generalizzata della forza-­‐lavoro. A questo proposito mi sembra opportuno tentare di capire come impedire l’emergere di un assistenzialismo di ritorno, passivizzante e fortemente paternalistico che abbiamo ereditato dal La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 37 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino vecchio stato sociale. Un assistenzialismo caratterizzato da forme di gestione caritatevoli, deresponsabilizzanti e che finisce per ricreare quella forma di dipendenza pericolosa tra soggetto ed istituzione. Una dipendenza che di fatto rende vano ogni tentativo di progettualità realmente emancipativa, ma anzi rafforza posizioni di ricattabilità istituzionale, favorendo processi paradossali di ristigmatizzazione sociale. D’altra parte sembra altrettanto contraddittorio ed ambivalente quel processo di “inclusione sociale” che vedrebbe oggi cooptate larghe fasce d’utenza e di società civile nei dipartimenti di salute mentale come lavoratori a libro paga del servizio (si veda il noto fenomeno degli Ufe – Utenti familiari esperti), innescando fenomeni di commistione tra utenza e servizio pubblico ancora da chiarire e da problematizzare. E qui io credo entra in modo importante il discorso sulla prevenzione, come livello di analisi e di ricerca sul quale si è interrotto un filo avviato alla fine degli anni ‘70. C’è da chiedersi infatti che cosa è diventata la prevenzione nella prassi del servizio pubblico. Che significato riveste per le strategie istituzionali e per le politiche pubbliche. Che ruolo riveste nell’operatività dei servizi, che funzione assume rispetto all’intervento tecnico (clinico). E in questo senso qual è il ruolo di una medicina preventiva nel costruire salute mentale nella società contemporanea? A me sembra che oggi questa parola sia stata completamente svuotata del senso che poteva avere trent’anni fa; che si declini ormai esclusivamente come “individuazione precoce del disturbo”, come evento-­‐
sentinella di un disagio, piuttosto che come prassi in grado di pensare e costruire condizioni materiali di affrontamento dei problemi. E se ieri erano gli operatori quelli più esposti al rischio di un’azione di continua “vigilanza” dei comportamenti fuori norma degli ex-­‐degenti, oggi rischiano di esserlo gli stessi utenti o i loro familiari, in una perversa forma di “expertise” della normalizzazione che diviene un boomerang per i soggetti più deboli e svantaggiati socialmente. Sul piano della prevenzione sento parlare spesso di progetti di ricerca sugli “esordi psicotici” e non sento mai parlare di progetti di ricerca sulle condizioni ambientali e sociali dei quartieri urbani, sui processi di socializzazione o di isolamento delle aree rurali o cittadine, sull’abitare e sui livelli di accessibilità ai servizi pubblici, sulle condizioni di lavoro delle fasce giovanili, immigrate e femminili, sugli effetti di disintegrazione del tessuto sociale e familiare delle grandi metropoli, sugli effetti della precarizzazione del lavoro, dell’inquinamento ambientale e dei luoghi di lavoro, dei ritmi di produzione sulla vita di chi “esprime disagio”. Temi che sono usciti via via dal focus della ricerca scientifica per divenire “problemi politici che debbono affrontare i politici”. Cosi come continuo a sentire di progetti umanitari di sostegno psicologico, psichiatrico o medico in aree colpite da calamità naturali o devastate da eventi bellici, 38 senza che vi sia mai nella mission di queste progettualità, una reale presa di coscienza delle determinanti sociali, politiche, economiche, e ambientali di quelle tragedie. A quanto pare la medicina, la psichiatria e i saperi psicologici continuano a lavorare sugli esiti, dimenticando i processi e le cause. Costruendo man mano ideologie di ricambio sempre più raffinate e utili al mantenimento dell’ideologia dominante. In tutto questo discorso non possiamo però dimenticare una questione essenziale: la formazione degli operatori, siano essi ricercatori o tecnici dei servizi. Anche qui si tratta di una vecchia questione che a mio avviso non è stata più riproblematizzata. Cosa si insegna oggi nelle facoltà di Medicina e di Psicologia? Con quali strumenti teorici e prassici si esce dal percorso universitario e specialistico? Essi sono sufficienti a dotare il futuro tecnico di quell’equipaggiamento in grado di fargli affrontare il campo reale delle contraddizioni che il “malato” gli mostrerà nella sua sofferenza singolare? Io credo di no e sono persuaso che se non si cambierà anche attraverso una lotta politica l’assetto dell’università italiana e dell’istruzione in generale, avremo difficoltà a pensare ad un cambiamento radicale della prassi nei servizi. Cosi pure dovremmo chiederci cosa si insegna nei centri di ricerca, nei dipartimenti universitari, nelle aule bunker della ricerca scientifica, quando le politiche del governo sottraggono a queste aree strategiche i fondi necessari per portare avanti questa progettualità, precarizzando il lavoro dei ricercatori e indirizzando la ricerca su temi e problemi assai lontani dalla realtà sociale e dalle sue contraddizioni. E quindi su cosa concentrare gli sforzi della ricerca, per una pratica sociale che sappia realmente essere al servizio dell’uomo e dei suoi bisogni? Che torni ad essere pratica partecipata e agente politico di cambiamento delle condizioni di vita individuale e collettiva? Io credo cominciando ad utilizzare quello strumento di inchiesta sociale che da circa due anni abbiamo cominciato a mettere a punto, in un lavoro di mappatura di alcune esperienze di pratica virtuosa all’interno dei servizi e nel territorio, nelle realtà urbane, siano esse metropolitane o di piccoli centri e che vede lo sforzo straordinario di giovani operatori, studenti, specializzandi, di collettivi ma anche di associazioni di utenti e di familiari, o di gruppi informali di società civile che hanno cominciato a riunirsi spontaneamente e a “socializzare il proprio disagio” di tecnici, di operatori, di cittadini, di sofferenti e di esclusi, avviando iniziative di confronto pubblico con le istituzioni, gli enti locali, le agenzie del territorio e con i servizi, o costituendo dei gruppi di lavoro “territoriali” su temi e problemi comuni e articolando in alcuni casi, una serie di confronti internazionali tra la propria esperienza e quelle di oltre confine. La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 39 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino Mi piacerebbe poter immaginare che un organismo come il C.N.R., da sempre attento e sensibile alla pratica sociale in medicina e psichiatria, e lo dimostrano esperienze come quelle dei Quaderni di documentazione, possa farsi promotore di progettualità che rimettano al centro del progresso scientifico l’uomo e i suoi bisogni, attraverso un lavoro di indagine che veda il coinvolgimento sempre più ampio di micro-­‐esperienze territoriali, anche non necessariamente collegate ai servizi, ma capaci di esprimere una “visionarietà” e una pratica originale di affrontamento dei problemi che molte delle istituzioni nate dalle lotte degli anni ’70 sembrano aver smarrito. Poiché è a partire da queste piccole esperienze di lavoro sul campo reale e le sue contraddizioni, e non da istituzioni e da prassi ormai sclerotizzate e ideologizzate, che si potrà pensare ad un cambiamento concreto della medicina e della psichiatria e di tutte le scienze umane. Che si potrà pensarle ancora come strumenti di liberazione e non di oppressione. Mi auguro che questo incontro possa avviare un percorso di ricerca che non si fermi alla mera giornata seminariale, ma che diventi spunto per la costruzione di un lavoro condiviso che continui in ogni sede istituzionale, in ogni posto di lavoro, in ogni luogo sociale in cui portare avanti una lotta contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, contro la degradazione di una vita umana segnata dalle disuguaglianze sociali, dai rapporti di produzione del capitalismo avanzato e dai drammatici effetti della divisione del lavoro, dai conflitti inter-­‐etnici e dalle discriminazioni di genere, di sesso, di etnia e da quelle condizioni ambientali, relazionali e sociali che quotidianamente segnano la vita di ognuno di noi. Per una scienza che torni ad essere finalmente per l’uomo e non contro l’uomo. Una scienza non asservita al capitale e all’uso ideologico che ne vuol farne. BIBLIOGRAFIA A.A.V.V. [1984]: Dalla psichiatria alla salute mentale. 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There is no oppression. Just lean in to the corporate machine, become part of its vast personhood. You too every one of you can be a millionaire if you just try harder, gaze upward. And you can win a lottery or two, give birth to or father a perfect plastic child who will become an even richer millionaire with no teen problems [or you have failed]. You’ll be good looking till 90; anything bad can be replaced. Luck’s a ripe fruit hanging high over your head, so jump. Keep jumping. Of course you can have it all: that life snuffing pink slip, cancer from chemicals some corporation pissed into the water table, rotten mortgage to steal what little you saved before you started bagging at Wal-­‐marts, rape in the parking lot, your family splintered under the weight of failure, cheap nursing home, urine soaked bed. Lean in, lean in. Your grave is already dug. La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 43 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino Youth unemployment: It’s growth, stupid! by André Sapir
European leaders are rightly concerned about the record level of youth unemployment in the EU. According to the latest Eurostat figures, the rate of unemployment among those under the age of 25 reached over 23 per cent in the EU and over 24 per cent in the eurozone in April 2013. Four countries (Greece, Italy, Portugal and Spain) now have youth unemployment rates above 40 per cent, of which two (Greece and Spain) have rates above 50 per cent. The alarming situation has prompted European Council President Van Rompuy to place the issue at the top of the agenda at today’s EU summit. The main outcome will be implementation of a €6 billion scheme giving “young people who are not in education, employment or training back to work or into education or training within four months”. Unfortunately simply targeting measures at young people is unlikely to make much difference to the problem. This is because movements in youth unemployment rates tend to be more correlated with changes in total unemployment rates and growth than with factors specific to youth unemployment, such as training or schooling. Actually youth unemployment rates, not only in the EU but also in Japan and the United States, are typically about twice as high as total unemployment rates, a proportion that is fairly constant across economic cycles. True, within the EU, the relative incidence of youth unemployment (measured as the ratio of youth to total unemployment rates) varies a great deal between countries. For instance in April 2013, the incidence ranged between a low of 1.4 in Germany and a high of 3.4 in Italy. But what is remarkable is that the incidence of youth unemployment has remained extraordinarily stable over the economic cycle. In nearly all EU countries, it was almost the same in 2007, before the start of the crisis, as it is in 2013. What this means is that the sharp rise in youth unemployment rates since 2007 almost exactly parallels the increase in total unemployment rates, and is not caused by developments that affect specifically young people, but rather by deficient growth. Even the staggering increase in youth unemployment rates in Greece, Italy, Portugal and Spain from an average of 20 to 50 per cent between 2007 and April 2013 occurred with no change in the relative incidence of youth unemployment in these countries (it even decreased a bit in Greece). Rather it accompanied the surge in the overall unemployment rates there from an average of 8 to 21 per cent. Needless to say, had Greece, Italy, Portugal and Spain succeeded in reforming their labour market policies along the lines of Germany’s vocational system prior to the crisis (though clearly a big endeavour since the German system has roots going back to 1888), their youth unemployment rates would have increased far less than they did. Given that his country ranks first among all EU members in terms youth unemployment incidence, the new Italian Prime Minister, Enrico Letta, is right in wanting to have soon a national youth unemployment action plan and in asking that it be backed by EU resources. But for the other EU countries, especially those with youth unemployment rates above 40 per cent, and even for Italy, the priority to cut youth (and adult) unemployment should be growth. Six years into the crisis, the EU sadly still lacks a proper growth strategy. The aim of such strategy should be twofold: to close the output gap and reduce unemployment as quickly as possible and to gradually boost potential output growth. To achieve this twin goal, Europe needs a two-­‐handed approach 44 consisting of both macroeconomic and structural measures. The measures should include: the rapid implementation of the banking union and the cleaning up of bank balance sheets to solve the credit crunch in EU countries; the creation of a European investment guarantee fund (as suggested by Philippe Maystadt, European Policy Centre chairman) to help channel foreign investment to crisis countries; labour market and social policy reforms aimed at promoting greater economic flexibility and better social protection necessary to foster growth; the removal of all barriers that still fragment and prevent entry to the single market, Europe’s most powerful engine for growth; and for the aggregate eurozone, a less restrictive fiscal policy and a more expansionary monetary policy. The right sequencing should be the banking union and macroeconomic policies first, and the other measures shortly thereafter. If Europe is serious about preventing a lost decade for its citizens and a lost generation of jobless youth, it must act soon with far more potent measures than simply a youth guarantee scheme. http://www.bruegel.org/ Devastation of health care in Greece by Robert Stevens Health care provision to millions of people in Greece has been wrecked by the crippling austerity imposed since 2010. Recent studies reveal a tragedy in which the population has faced a terrible social reversal only previously known in wartime. The latest barbaric act of the government, at the behest of the European Union-­‐led “troika”, was the closure of the entire state-­‐run outpatient clinic network for one month in order to introduce the new Primary Healthcare Network (PEDY). As a result, 8,500 medical and administrative clinic staff have been suspended on reduced pay during the closure. These workers will likely be sacked, like many thousands of other state employees under the “labour mobility scheme.” Among the changes to legislation is a measure that would allow public hospitals to fire physicians who also have private practices. In protest, thousands of doctors gathered outside the Health Ministry in Athens earlier this month. Following the demonstration, the doctors marched to the Greek parliament as the bill was being debated. Doctors and other health workers occupied a number of clinics run by the main state provider, EOPYY, refusing to hand over control and equipment. Clinics in Ambelokipi and other parts of Athens and on several Aegean islands were among those occupied. A recent paper by the renowned British medical publication the Lancet noted that 2013 “was the sixth consecutive year of economic contraction” in Greece, with the “economy shrinking by 20 percent between 2008 and 2012, and anaemic or no growth projected for 2014.” La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 45 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino The report examined “the mounting evidence of a Greek public health tragedy.” It explains, “Greece has been an outlier in the scale of cutbacks to the health sector across Europe. In health, the key objective of the reforms was to reduce, rapidly and drastically, public expenditure by capping it at 6 percent of GDP. To meet this threshold, stipulated in Greece’s bailout agreement, public spending for health is now less than any of the other pre-­‐2004 European Union members.” In a country with a population of just over 11 million people, more than 800,000 have no access to unemployment benefits, which entitles them to free health care. Through a series of austerity measures, “the public hospital budget was reduced by 26 percent between 2009 and 2011.” The paper notes that the troika demanded that publicly funded pharmaceutical expenditure be slashed, with a target of reducing spending from €4.37 billion in 2010 to €2.88 billion in 2012 being met and a further target put in place to cut this to €2 billion by 2014—less than half the previous total. One result is that malaria, a disease eradicated more than 40 years ago in Greece, has returned, due to cuts in mosquito-­‐spraying programmes and a general decline in health provision. HIV incidence has risen among injecting drug users more than 10-­‐fold from 2009 to 2012. Tuberculosis incidence among injecting drug users doubled in 2013. State funding for mental health decreased by 55 percent between 2011 and 2012. Levels of major depression increased 2.5-­‐fold between 2008 and 2011. Suicides increased by 45 percent between 2007 and 2011. Infant mortality jumped by 43 percent between 2008 and 2010. The percentage of children at risk of poverty increased to 30 percent in 2011, with a growing number receiving inadequate nutrition. The “long-­‐term fall in infant mortality has reversed, rising by 43 percent between 2008 and 2010, with increases in both neonatal and post-­‐neonatal deaths,” the report states. The Lancet cited a National School of Public Health report that revealed a 21 percent rise in stillbirths between 2008 and 2011, attributable to reduced access to prenatal health services for pregnant women. The cost of health care has been deliberately shifted onto patients, “leading to reductions in health-­‐care access.” “In 2011, user fees were increased from €3 to €5 for outpatient visits (with some exemptions for vulnerable groups), and co-­‐payments for certain medicines have increased by 10 percent or more depending on the disease. New fees for prescriptions (€1 per prescription) came into effect in 2014.” In Greece, patients must pay 25 percent of the cost of the medicine needed, while the rest is paid by the health care system. But if the medicine is not on the national health care list, the patient must also pay 50 percent of the price difference. 46 This week, the Doctors of the World group presented findings that more than 2,000 Greeks a day are losing access to free or subsidised health care. The organisation’s president, Alvaro Gonzalez, said, “About 873,000 people do not have access to the national health system and about 2,300 more lose access each day.” Reports of the human toll of Greece’s health tragedy proliferate. As of February 27, the number of Greeks who have died from flu this year reached 64. Nearly 200 people have been admitted to intensive care units for flu in the last two months. The Medical Association of Athens stated that 40 percent of the high-­‐risk population have not been inoculated for seasonal flu and claimed that pharmacists had not been supplied with sufficient quantities of flu shots. Last week, the Washington Post reported that the number of those uninsured for health care has soared from fewer than 500,000 in 2008 to at least 2.3 million, or almost one in five Greeks. Among the harrowing stories it described was of a hospital that would not release a newborn baby to its uninsured mother unless a payment was made. A volunteer-­‐run free clinic, operating out of the former barracks of an abandoned US military base in south Athens, had to step in to resolve the situation. This month a delegation of eight German doctors examining the health care crisis in Greece gave their blunt verdict. They likened Greece the state of health care as “shocking” and only comparable to that of a “war zone,” stating, “If such brutal austerity measures had been implemented anywhere else, society would have collapsed.” Their assessment is apt. The troika acts like an invading army of occupation. The Lancet report notes that “former Minister of Health, Andreas Loverdos, admitted that ‘the Greek public administration…uses butcher’s knives’ [to achieve the cuts]” demanded by the troika. From day one, when the social democratic PASOK government began imposing billions in spending cuts, their devastating consequences were fully known to these hired “butchers.” On a TV show at the beginning of February, Health Minister Adonis Georgiadis, of the far-­‐right LAOS party, admitted he lied about the known impact of the austerity programme agreed on with the troika. Georgiadis said, “The first days of the memorandum, I was publicly showing much more optimism than I truly felt. For example, I was saying to the Greek people, that the memorandum is nothing that we should worry about, while we all knew that it was our doom. It was difficult to tell to the Greek citizens that ‘you are doomed’.” https://www.wsws.org/ La Sinistra Rivista – Rivista Quadrimestrale -­‐ ISSN 2282-­‐3808 -­‐ Autorizzazione n. 23/2013 -­‐ 47 N.7 Maggio 2015 -­‐ Direttore responsabile: Alfonso Marino 48 
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