Periodico bimestrale – POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n° 46 art. 1, comma 1, DCB PISA Aut. Trib. di Genova n. 75 del 22/06/1949 Vol. 99 - N. 4 Agosto 2007 Censita in Index Medicus MEDLINE Vol. 99 - N. 4 Agosto 2007 C.D.M. Fletcher, Boston M.P. Foschini, Bologna E. Fulcheri, Genova R. Genta, Ginevra Codirettore Scientifico F. Giangaspero, Roma Oscar Nappi, Napoli G. Kloppel, Kiel U. Magrini, Pavia Direttore Responsabile A. Maiorana, Modena Roberto Bandelloni, Genova V. Mambelli, Ascoli Piceno G. Massarelli, Sassari Comitato Scientifico L. Matturri, Milano A. Aguzzi, Zurigo F. Menestrina, Verona A. Andrion, Torino G. Mikuz, Insbruck M. Barbareschi, Trento G. Monga, Novara G. Barresi, Messina R. Montironi, Torrette – Ancona C.A. Beltrami, Udine M. Papotti, Torino F. Bertoni, Bologna G. Pettinato, Napoli S. Bianchi, Firenze M. Bisceglia, S. Giovanni Rotondo S. Pileri, Bologna S. Pilotti, Milano G.P. Bulfamante, Milano J. Prat, Barcellona G. Bussolati, Torino L. Resta, Bari F. Callea, Brescia G. Rindi, Parma A. Carbone, Aviano F. Roncaroli, Londra M.L. Carcangiu, Milano J. Rosai, Milano P. Ceppa, Genova R. Rosso, Pavia M. Chilosi, Verona L. Ruco, Roma G. Collina, Bologna M. Rugge, Padova M. Cornaggia, Paderno Dugnano A. Sapino, Torino P. Dalla Palma, Trento G. De Rosa, Napoli P. Scarani, Bologna M. Denk, Graz A. Scarpa, Verona R. Dina, Londra F. Sessa, Varese C. Doglioni, Belluno E. Solcia, Pavia G. Stanta, Trieste V. Eusebi, Bologna G. Faa, Cagliari G. Tallini, Bologna F. Tanda, Sassari F. Facchetti, Brescia Direttore Scientifico Roberto Fiocca, Genova G. Thiene, Padova G. Viale, Milano V. Villanacci, Brescia G. Zampi, Firenze Segreteria Redazionale P. Galloro, Napoli F. Grillo, Genova L. Mastracci, Genova Consiglio Direttivo SIAPEC-IAP Presidente: O. Nappi, Napoli Vice Presidente: E. Bucciarelli, Perugia Segretario: M. Truini, Genova Past President: V. Ninfo, Padova Consiglieri: M. Albrizio, Carbonara di Bari G. Angeli, Vercelli A. Bondi, Cesena G. Caruso, Bari C. Clemente, Milano A.P. Dei Tos, Treviso G. Massarelli, Sassari G. Taddei, Firenze S. Uccini, Roma Rappresentante Soci Aggregati: T. Zanin, Genova In copertina: Il Teatro Anatomico dell’Università degli Studi di Padova (Palazzo del Bo) Censita in Index Medicus - MEDLINE Informazioni per gli autori comprese le norme per la preparazione dei manoscritti Pathologica, rivista bimestrale, rappresenta uno strumento per la pubblicazione dei risultati di ricerche riguardanti i processi patologici in generale e la patologia umana in particolare. La rivista accetta anche contributi relativi alla morfologia sperimentale, alle ricerche ultrastrutturali, alle analisi immunocitochimiche e alla biologia molecolare, ed eventualmente materiale proveniente da altre discipline, purché fornisca un contributo alla comprensione della patologia umana. Saranno presi in considerazione anche articoli relativi all’applicazione di nuove metodologie e tecniche diagnostiche in ambito patologico. sentare lo stesso dato in più forme), dattiloscritte una per pagina e numerate progressivamente con numerazione romana. Nel testo della tabella e nella legenda utilizzare, nell’ordine di seguito riportato, i seguenti simboli: *, †, ‡, §, ¶, **, ††, ‡‡ … In una lettera di accompagnamento dell’articolo, firmata da tutti gli Autori, deve essere specificato che i contributi sono inediti, non sottoposti contemporaneamente ad altra rivista, ed il loro contenuto conforme alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca. Bibliografia: va limitata alle voci essenziali identificate nel testo con numeri arabi ed elencate al termine del manoscritto nell’ordine in cui sono state citate. Devono essere riportati i primi sei Autori, eventualmente seguiti da et al. Le riviste devono essere citate secondo le abbreviazioni riportate su Index Medicus. Esempi di corretta citazione bibliografica per: In caso di sperimentazioni su umani, gli Autori devono attestare che tali sperimentazioni sono state svolte secondo i principi riportati nella Dichiarazione di Helsinki (1983); gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni contenute nell’articolo e sono tenuti a dichiarare di aver ottenuto il consenso informato per la sperimentazione e per l’eventuale riproduzione di immagini. Per studi su cavie animali, gli Autori sono invitati a dichiarare che sono state rispettate le relative leggi nazionali e le linee guida istituzionali. La Redazione accoglie solo i testi conformi alle norme editoriali generali e specifiche per le singole rubriche. La loro accettazione è subordinata alla revisione critica di esperti, all’esecuzione di eventuali modifiche richieste ed al parere conclusivo del Direttore scientifico. Conflitto di interessi: gli Autori devono dichiarare se hanno ricevuto finanziamenti o se hanno in atto contratti o altre forme di finanziamento, personali o istituzionali, con Aziende i cui prodotti sono citati nel testo. Questa dichiarazione verrà trattata dal Direttore scientifico come una informazione riservata e non verrà inoltrata ai revisori. I lavori accettati verranno pubblicati con l’accompagnamento di una dichiarazione ad hoc, allo scopo di rendere nota la fonte e la natura del finanziamento. Norme generali per gli Autori Testo: in lingua italiana o inglese, in triplice copia (gli Autori sono comunque pregati di conservare copia del materiale inviato), dattiloscritto, con ampio margine, massimo 25 righe per pagina, con interlinea doppia, con numerazione delle pagine a partire dalla prima, e corredato di: 1) titolo del lavoro (in italiano ed inglese); 2) riassunto (in italiano ed inglese); 3) parole chiave (in italiano ed inglese); 4) titolo e didascalie delle tabelle e delle figure. Non si accettano articoli che non siano accompagnati dal relativo dischetto su cui è registrata l’ultima versione corretta del testo, corrispondente alla copia dattiloscritta. Il testo deve essere scritto con programmi Word per Dos o Macintosh: i dischetti devono riportare sull’apposita etichetta il nome del primo Autore, il titolo abbreviato dell’articolo, il tipo di sistema operativo (Dos o Macintosh), il programma di scrittura e la versione, il nome del/i file/s del/i documento/i. Agli AA. è riservata la correzione ed il rinvio (entro e non oltre 48 ore dal ricevimento) delle sole prime bozze del lavoro. Nella prima pagina devono comparire: il titolo (conciso); le parole chiave (in numero non superiore a 5); i nomi degli Autori e l’Istituto o Ente di appartenenza; la rubrica cui si intende destinare il lavoro (decisione che è comunque subordinata al giudizio del Direttore scientifico); il nome, l’indirizzo, il recapito telefonico e quello di posta elettronica dell’Autore cui sono destinate la corrispondenza e le bozze. Figure: (3 copie), vanno riprodotte in foto. I grafici ed i disegni possono essere in fotocopia, purché di buona qualità. Le figure devono essere numerate e devono riportare sul retro, su un’apposita etichetta, il nome dell’Autore, il titolo dell’articolo, il verso (alto). Articoli e riviste: Jones SJ, Boyede A. Some morphological observations on osteoclasts. Cell Tissue Res 1977;185:387-97. Libri: Taussig MJ. Processes in pathology and microbiology. Oxford: Blackwell 1984. Capitoli di libri: Vaughan MK. Pineal peptides: an overview. In Reiter RJ (ed.). The pineal gland. New York: Raven 1984:39-81. Ringraziamenti, indicazioni di grants o borse di studio, vanno citati al termine della bibliografia. Le note, contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo, a piè di pagina. Termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono conformarsi agli standards riportati in Science 1954;120:1078. I farmaci vanno indicati col nome chimico. Solo se inevitabile potranno essere citati col nome commerciale (scrivendo in maiuscolo la lettera iniziale del prodotto). Norme specifiche per le singole rubriche Editoriali: sono intesi come brevi considerazioni generali e pratiche su temi d’attualità. Vengono pubblicate in lingua italiana o inglese, su invito del Direttore Scientifico. È omesso il riassunto. Articoli di aggiornamento: sono intesi come sintesi e revisioni critiche su argomenti di particolare interesse. Sono, di regola, commissionati dal Direttore Scientifico ma possono anche essere a lui proposti da potenziali autori. Vengono pubblicate in lingua italiana o inglese. Non devono superare le 20 pagine dattiloscritte, comprese tabelle, figure e voci bibliografiche. Didascalie di tabelle e figure a parte. È omesso il riassunto. Articoli originali: comprendono lavori che offrono un contributo nuovo o frutto di una consistente esperienza, anche se non del tutto originale, in un determinato settore. Di regola, vengono pubblicati in lingua italiana, se di autori italiani, ed in inglese, se di autori esteri. Devono essere suddivisi in: Riassunto in italiano ed in inglese con parole chiave (key words) in italiano ed inglese, introduzione, materiale e metodi, risultati, discussione. Il testo non deve superare le 15 pagine dattiloscritte compresi iconografia, voci bibliografiche e riassunto (max. 300 parole). Didascalie di tabelle e figure a parte. Nella seconda pagina comparirà il riassunto e, nelle ultime, la bibliografia, le didascalie di tabelle e figure e l’eventuale menzione del Congresso al quale i dati dell’articolo siano stati comunicati (tutti o in parte). Articoli originali brevi: comprendono brevi lavori (non più di 5 pagine di testo dattiloscritto) con contenuto analogo a quello degli articoli originali e come questi suddivisi. Sono ammesse due tabelle o figure e 10 voci bibliografiche. Di regola, vengono pubblicati in lingua italiana, se di autori italiani, ed in inglese, se di autori esteri. Tabelle: (3 copie), devono essere contenute nel numero (evitando di pre- Casi Clinici: sono accettati solo lavori di interesse didattico e segnala- zioni rare. La presentazione comprende l’esposizione del caso e una discussione diagnostica differenziale. Il testo deve essere conciso e corredato, se necessario, di 2-4 figure o tabelle e di 10 riferimenti bibliografici essenziali. Di regola, vengono pubblicati in lingua italiana, se di autori italiani, ed in inglese, se di autori esteri. Il riassunto in italiano ed inglese (con le relative key words) deve essere di circa 100 parole. Redazione della Rivista: dott.ssa Eleonora Lollini Segreteria Editoriale Pathologica Pacini Editore S.p.A. - via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI) Tel. 050 3130283 - Fax 050 3130300 [email protected] Rubriche: Linee guida e check lists, Citopatologia, Biologia Molecolare, Immunoistochimica, Informatica, Organizzazione e management, Didattica e formazione continua, Recensioni di Libri, Notizie Societarie. Il testo, al massimo di 8 cartelle, dovrà essere in italiano. Per le inserzioni pubblicitarie rivolgersi a: Pathologica Pacini Editore S.p.A. - via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI) Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 [email protected] Lettere al Direttore Scientifico: possono far riferimento a problemi attuali di patologia, ad articoli già pubblicati e anche segnalare dati scientifici originali. Nel secondo caso la lettera sarà preventivamente inviata agli Autori dell’articolo e l’eventuale risposta degli stessi, pubblicata in contemporanea. La loro estensione non deve superare le due pagine dattiloscritte, precedute dal titolo, si possono prevedere una tabella o figura e 2 o 3 riferimenti bibliografici essenziali. Di regola, vengono pubblicati in lingua italiana, se di autori italiani, ed in inglese, se di autori esteri. Estratti: gli autori di ogni articolo ricevono una copia del fascicolo di pertinenza. Estratti aggiuntivi possono essere acquistati alle tariffe in vigore di Pacini Editore, purché ordinati al momento della restituzione delle bozze per la stampa finale. Abbonamenti Pathologica è una rivista bimestrale (ogni anno vengono pubblicati 6 fascicoli. I prezzi degli abbonamenti annuali per i non Soci sono i seguenti: Italia € 100; Estero € 110. Prezzo di un singolo fascicolo € 19. Le richieste di abbonamento ed ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vanno indirizzate a: Pacini Editore S.p.A. - via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI) Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 [email protected] Abbonamenti on line: www.pacinionline.it Finito di stampare presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore Settembre 2007 Gli scritti (ed il relativo dischetto) di cui si fa richiesta di pubblicazione vanno indirizzati, unitamente alla lettera di cessione del copyright, alla Norme per l’invio del materiale in formato elettronico Gli Autori sono invitati ad inviare i manoscritti su dischetto, secondo le seguenti norme: Testo - Dischetti: da 3 1/2” in formato MS-DOS, Windows o Macintosh. - Software: preferibilmente Microsoft Word versione 6.0 o successive. Non utilizzare in nessun caso programmi di impaginazione grafica quali Publisher, Aldus Pagemaker o Quark X-press. Non formattare il testo in alcun modo (evitare stili, bordi, ombreggiature …) - Nome del/i file/s: il testo e le singole tabelle devono essere salvati in files separati. - Etichette: i dischetti devono riportare sull’apposita etichetta il nome del primo Autore, il titolo abbreviato dell’articolo, il tipo di sistema operativo (Dos o Macintosh), il programma di scrittura e la versione, il nome del/i file/s del/i documento/i. - Copia cartacea: ogni file deve obbligatoriamente essere accompagnato dalla relativa copia cartacea. Illustrazioni - Dischetti: inviare le immagini in files separati dal testo e dalle tabelle. è possibile utilizzare dischetti da 3 1/2”, Iomega Zip o CD. - Software e formato: inviare immagini esclusivamente in formato TIFF o EPS, con risoluzione minima di 300 ppi e formato di 100 x 150 mm. - Nome del/i file/s: inserire un’estensione che identifichi il formato del file (esempio: .tif; .eps). - Etichette: i dischetti devono riportare sull’apposita etichetta il nome dell’Autore, il nome del/i file/s, il formato, le dimensioni e l’eventuale programma di compressione utilizzato. Informations for author including editorial standards for the preparation of manuscripts Information for authors including editorial standards for the preparation of manuscripts Pathologica is intended to provide a medium for the communication of results and ideas in the field of morphological research on human diseases in general and on human pathology in particular. The journal welcomes contributions concerned with experimental morphology, ultrastructural research, immunocytochemical analysis, and molecular biology. Reports of work in other fields relevant to the understanding of human pathology may be submitted as well all papers on the application of new methods and techniques in pathology. The official language of the journal is Italian. Articles from foreign authors will be published in English. A separate covering letter, signed by every Author, must state that the material submitted has not been previously published, and is not under consideration (in whole or in part) elsewhere, and that it is conform with the regulations currently in force regarding research ethics. If an experiment on humans is described, a statement must be included that the work was performed in accordance with the principles of the 1983 Declaration of Helsinki. The Authors are solely responsible for the statements made in their paper, and must state that they have obtained the informed consent of patients for their participation in the experiments and for the reproduction of photographs. For studies performed on laboratory animals, the authors must state that the relevant national laws or institutional guidelines have been adhered to. Only papers that have been prepared in strict conformity with the editorial norms outlined herein will be considered for publication. Their eventual acceptance is conditional upon a critical assessment by experts in the field, the implementation of any changes requested, and the final decision of the Editor-in-Chief. Conflict of Interests: in the letter accompanying the article, Authors must declare if they got funds, or other forms of personal or institutional financing – or even if they are under contract – from Companies whose products are mentioned in the article. This declaration will be treated by the Editor-in-Chief as confidential, and will not be sent to the referees. Accepted works will be published accompanied by a suitable declaration, stating the source and nature of the financing. General instructions The text must be written in either Italian or English, and furnished in three copies (anyway, Authors are invited to keep copy of every material), typewritten with ample margins, 25 lines per page. The pages should be numbered, beginning with the first page. The paper must include: (1) a title (in both Italian and English); (2) an abstract (in both Italian and English); (3) a set of key words (in both Italian and English); (4) titles and legends for all of the tables and figures. Upon request by the authors and after the final acceptation of the manuscript, the Italian translation of the title, key words and abstract can be provided by the Scientific Direction. Submissions will not be accepted unless they include a copy of the latest version of the text, corresponding exactly with the typewritten copy, on diskette prepared using a Word for DOS or Macintosh programme. Diskettes should be labelled with the last name of the first author, an abbreviated title of the manuscript, computer type, word processing programme and version, and file name(s) of the document(s). The Authors are required to correct and return (within 48 hours of their being sent) the first set of galley proofs of their paper. On the first page of the manuscript should appear: A concise title; a set of key words (no more than 5); the names of the authors and the institution or organisation to which each author is affiliated; the category under which the authors intend the work to be published (although the final decision here rests with the Editor-inChief); and the name, mailing address, and telephone and fax numbers of the author to whom correspondence and the galley proofs should be sent. The second page should contain the abstract. At the end of the text should appear the bibliography, the legends to the tables and figures, and specification (where applicable) of the congress at which all or part of the data in the paper may have already been presented. Tables (in 3 copies) must be limited in number (the same data should not be presented twice, in both the text and tables), typewritten one to a page, and numbered consecutively with Roman numbers. In the text and legend of the tables, Authors must use, in the exact order, the following symbols: *, †, ‡, ¶, **, ††, ‡‡ … Figures in the form of photographs must be provided in 3 original copies, labelled and numbered on the back, with the indication of the Author, of the title of the article and of the top of the picture. The bibliography must be limited to the most essential and relevant references, identified in the text by Arabic numbers and listed at the end of the manuscript in the order in which they are cited. The format of the references in the bibliography section should conform with the examples provided in N Engl J Med 1997;336:309-15. The first six Authors must be indicated, followed by et al. Journals should be cited according to the abbreviations reported on Index Medicus. Examples of the correct format for bibliographic citations: Journal articles Jones SJ, Boyede A. Some morphological observations on osteoclasts. Cell Tissue Res 1977;185:387-97. Books Taussig MJ. Processes in pathology and microbiology. Oxford: Blackwell 1984. Chapters from books Vaughan MK. Pineal peptides: an overview. In Reiter RJ (ed.). The pineal gland. New York: Raven 1984:39-81. Acknowledgements and the citation of any grants or other forms of financial support should be provided after the bibliography. Notes to the text, indicated by an asterisks or similar symbols, should appear at the bottom of the relevant page. Mathematical terms and formulae, abbreviations, and units of measure should conform to the standards set out in Science 1954;120:1078. Drugs should be referred to by their chemical name; the commercial name should be used only when absolutely unavoidable (capitalizing the first letter of the product name). Specific instructions for the various categories of papers Editorials: short general and/or practical papers on topical subjects invited by the Editor-in-Chief. They are published either in Italian or English. No abstract is requested. Updates: They can be invited by the Editor-in-Chief. Papers should not exceed 20 printed pages, including tables, illustrations and references. They are published either in Italian or English. No abstract is needed. Original articles: specially written-up articles which present original observations, or observations deriving from a relevant experience (though not fully original) in a specific field. They are published either in Italian or English. The text is to be composed in Abstract (in Italian and English), Key Words (in Italian and English), Introduction, Material and Methods, Results and Discussion. They should not exceed 15 printed pages including illustrations, references and abstract (max. 300 words). Case reports will be considered for publication only if they describe very rare cases or are of particular didactic interest. They are published either in Italian or English. The presentation should include a clear exposition of the case and a discussion of the differential diagnosis. The text must be concise, and furnished with no more than 2 or 4 figures or tables, and with 10 essential bibliographic references. The abstract (in Italian and English) should be approximately 100 words in length; key words in Italian and English should be inserted. Special sections: Guidelines and Check Lists, Cytopathology, Molecular Biology, Immunohistochemistry, Informatics, Organization and Management, Medical Education, Book Reviews and Society News. They are published in Italian and the text should not exceed 8 printed pages. Letters to the Editor: They should focus on particularly relevant and exciting topics in the field of pathology, already published articles or present original data. When referring to already published articles, the letter will be sent to the authors of the articles and their reply published in the same issue. They should not exceed two manuscript pages with one table or figure and 2-3 references. They are published either in Italian or English. Reprints Reprints may be ordered at cost price when page proofs are returned. Pacini Editore will supply the corresponding author with one free copy of the relevant issue. Manuscripts (together with a copy on diskette) should be forwarded to: dott.ssa Eleonora Lollini Segreteria Editoriale Pathologica Pacini Editore S.p.A. - via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI), Italy Tel. 050 3130283 - Fax 050 3130300 [email protected] Applications for advertisement space should be directed to: Pathologica Pacini Editore S.p.A. - via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI), Italy Tel. +39 050 3130237 Fax +39 050 3130300 E-mail: [email protected] Subscription information Pathologica publishes six issues per year.The annual subscription rates for non-members are as follows: Italy € 100; all other countries € 110. This issue € 21. Subscription orders and enquiries should be sent to: Pathologica Pacini Editore S.p.A. - via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI), Italy Tel. +39 050 3130237 Fax +39 050 3130300 E-mail: [email protected] On line subscriptions: www.pacinionline.it Printed by Pacini Editore - September 2007 Guidelines for electronic submission Text - Storage medium: 3 1/2” diskettes in MS-DOS, Windows or Macintosh format. - Software: Word 6.0 or following versions are preferred. Do not use desktop publishing programmes such as Aldus Pagemaker, Quark X-Press or Publisher. Refrain from complex formatting. - File names: submit the text and tables of each manuscript in a single file. - Labels: label all diskettes with the First Author’s name, a short title of the article, the word-processing programme and version used, the name of the file/s included. - Paper copy: accompany all files with a printed paper copy. Illustrations - Storage medium: Submit as separate files from text files, on separate diskettes or cartridges. 3 1/2” diskettes, Iomega Zip, and CDs can be submitted. - Software and format: submit only TIFF or EPS files, with a minimum resolution of 300 dpi and 10 x 15 cm format. - File names: illustration files should be given a 2- or 3-letter extension that identifies the file format (i.e.: .TIF, .EPS…) - Labels: label all diskettes and cartridges with the First Author’s name, a short title of the article, the formats and sizes and compression schemes (if any). CONTENTS Speaker presentations Professione rivisitata - Parte prima La parola alle industrie Gli incontri imprevisti al microscopio Slide Seminar Juniores. Le neoplasie uroteriali: approccio classificativo Slide Seminar Seniores. FNAB tiroideo: criteri citologici di malignità del carcinoma papillare Progressi in Cardiopatologia Linfomania Carcinoma della mammella Trapianti d’organo Patologia infiammatoria intestinale - Tavola rotonda: le diagnosi inutili, coliti non ibd, malattia celiaca Patologia neoplastica intestinale Patologia pancreatica Giornata siapec-iap di Citologia Diagnostica Strumenti di management per la gestione di un servizio di Anatomia Patologica Patologia iatrogena Il nodulo epatico: non così semplice page “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ 91 93 94 98 102 103 106 111 114 117 118 119 122 127 128 131 Free Papers page 133 page “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ 155 160 163 172 174 182 184 186 187 192 197 203 205 214 225 230 253 255 256 266 272 277 279 281 287 289 290 “ 293 Posters Applicazioni tecnologiche in A.P. Cardiopatologia Citopatologia Controllo di qualità A.P. Dermopatologia Diagnostica Immunoistochimica La formazione dell’anatomopatologo Miscellanee Neuropatologia Patologia dei tessuti molli Patologia dei trapianti Patologia del sistema emolinfopoietico Patologia dell’apparato digerente Patologia dell’apparato respiratorio Patologia dell’apparato uro-genitale Patologia delle sierose Patologia iatrogena Patologia mammaria Patologia molecolare Patologia orale Patologia ossea Patologia pediatrica Patologia prenatale e neonatale Problematiche correlate al management Problematiche medico-legali Target therapy Authors index SPEAKER PRESENTATIONS PATHOLOGICA 2007;99:91-92 Professione rivisitata - Parte prima Eterogeneità della refertazione tra patologi A. Russo, L. Bisanti ASL Città di Milano, Servizio di Epidemiologia La refertazione per un anatomo-patologo è l’esito di un processo strutturato in tre fasi: la manipolazione del materiale biologico, l’elaborazione delle informazioni ricavate dall’osservazione macroscopica e microscopica e l’integrazione di tutto questo con i dati clinici. La fase di manipolazione del materiale biologico – riduzione, campionamento, inclusione, taglio, colorazione – è soggetta a rigidi protocolli in assenza dei quali verrebbe meno la replicabilità dell’osservazione e l’universalità del giudizio. Le due fasi successive invece, basate su capacità cognitivo-analitiche soggettive – ritenute dal patologo, a torto o a ragione, preminenti rispetto alla replicabilità e alla universalità – sfuggono alla riconduzione a norme generando una variabilità ed una eterogeneità di linguaggi e, per conseguenza, di paradigmi diagnostici. L’esigenza di standardizzare le procedure di refertazione è però avvertita dai patologi come rimedio alla separazione, altrimenti inevitabile, dalla scienza sempre più tecnologica e globale. Questo spiega la sempre maggiore produzione di linee guida alla refertazione – specifiche per sede nel caso dei tumori – che distinguono il contenuto informativo del referto in indispensabile e facoltativo come compromesso tra artigianalità creativa e uniformità produttiva proprie del loro mestiere. Un grande sforzo è stato compiuto dalla Association of Directors of Anatomic and Surgical Pathology (ADASP) che per un cospicuo numero di sedi tumorali ha prodotto linee guida per la refertazione. Il Registro dei Tumori di Milano ha di recente prodotto le prime stime di incidenza riferite alla popolazione cittadina (circa 1.300.000 abitanti) ed ha ottenuto l’accreditamento dell’Associazione Italiana dei Registri Tumori (AIRTum) e dell’International Agency for Research on Cancer di Lione (IARC-WHO). Il registro ha prodotto l’incidenza per gli anni 1999-2002 ed entro il prossimo anno estenderà la rilevazione fino al 2006. La disponibilità di sistemi informativi sempre più completi ed efficienti ha reso possibile lo sviluppo di Registri informatizzati per il riconoscimento automatico dei casi incidenti. L’identificazione automatizzata richiede l’attivazione di complesse procedure di linkage di basi di dati amministrativi con basi di dati sanitari; tra quest’ultime sono prioritarie il Registro delle Cause di Morte (RCM), il Registro delle Schede di Dimissione Ospedaliera (RSDO) ed i Registri di attività dei Servizi di Anatomia Patologica (RSAP). Tutti i quattordici Servizi di Anatomia Patologica di Milano collaborano con il Registro dei Tumori fornendo periodicamente i dati dei loro archivi elettronici dei referti corredati dalle codifiche in SNOMED. È stato quindi possibile costituire un archivio che contiene circa 3 milioni di referti di anatomia patologica, 500.000 dei quali riferiti a tumori insorti in soggetti residenti a Milano. Unitamente alle attività di acquisizione e consolidamento degli archivi elettronici è stato avviato un panel di patologi e registratori con la finalità di concordare attività di revisione e di ricerca. Dopo aver preso atto della grande eterogeneità della refertazione dei tumori a Milano è stato deciso: 1) di verificare quantitativamente in ogni centro di anatomia patologica lo scostamento dai criteri suggeriti da ADASP per la refertazione; 2) di analizzare l’esito della prima attività per individuare i punti più critici delle difformità; 3) elaborare protocolli condivisi di refertazione. Nel corso della relazione saranno illustrati i risultati della prima fase del progetto facendo riferimento come case studies alle refertazione dei tumori della mammella, del colon e del polmone. La sicurezza in laboratorio: norme, precauzioni, prevenzione, responsabilità A. Colombi Servizio di Prevenzione e Protezione, Azienda Ospedaliera San Paolo, Milano Lo studio dei possibili effetti sulla salute conseguenti a condizioni di lavoro insalubri si è avvalso nel tempo delle informazioni fornite dall’osservazione clinica, e più recentemente dell’indagine epidemiologica, e delle evidenze della sperimentazione animale. Con il termine “Medicina Preventiva” va oggi intesa una disciplina largamente composita che fa propria la cultura ed i mezzi tecnici, oltre che della clinica, anche della tossicologia, della biochimica, della fisiologia, della psicologia e soprattutto dell’igiene del lavoro. La rilevazione nel tempo degli effetti dannosi, abbinata alla conoscenza delle caratteristiche dell’esposizione nelle sue componenti di durata ed intensità, permette di verificare la esistenza di conseguenze indesiderate, cogliere le alterazioni precoci dello stato di salute e definire condizioni di esposizione non nocive o quantomeno “socialmente accettabili”. L’insieme di queste informazioni costituisce la premessa per svolgere una reale azione preventiva e per verificare la validità delle scelte tecniche e sanitarie adottate per la tutela della salute dei lavoratori. Nelle attività di Laboratorio dei Servizi di Anatomia Patologica sono utilizzate numerose sostanze e i prodotti chimici pericolosi che possono comportare l’insorgenza di danni alla salute dei lavoratori e che comportano quindi l’adozione di Misure di sicurezza, interventi di prevenzione e protezione da mettere in atto per limitare il Rischio Chimico. Tra i tanti, il più rilevante, anche se apparentemente il più banale, è quello di disporre di opportuno elenco, suddiviso per singolo laboratorio, di tutte le sostanze in uso con le quantità dei singoli prodotti utilizzate annualmente ed il numero di confezioni giacenti in reparto in uso o in magazzino. Le sostanze devono essere catalogate secondo le indicazioni di pericolo, frasi di rischio e i consigli di prudenza, rilevate dall’etichettatura o tratte dalle schede di sicurezza fornite dal produttore. Ogni laboratorio deve essere provvisto di scaffali, armadi, mobiletti con anta, mensole dei banconi di lavoro, frigoriferi e armadi antincendio per sostanze infiammabili in cui sono tenute in deposito le sostanze chimiche utilizzate. Poiché i prodotti chimici vengono utilizzati sia in procedimenti manuali che in specifici macchinari a ciclo chiuso, potrà risultare diversa l’entità e la frequenza dell’esposizione allo stesso agente a seconda delle condizioni di uso. Ai fini preventivi risulta inoltre necessario diffondere una Informazione sui rischi (in ogni laboratorio deve essere disponibile, per la consultazione da parte degli operatori, l’elenco delle sostanze in uso e devono essere affissi i simboli e le indicazioni riporta- 92 te sull’etichetta delle sostanze e dei preparati pericolosi), disporre di Mezzi di protezione collettiva (quali cappe di aspirazione fissa), di Dispositivi di protezione individuale (guanti in latice monouso, camici in stoffa, camici in stoffa di tipo chirurgico per gli addetti al “taglio pezzi”, mascherine di tipo chirurgico e mascherine FFP2 con filtro a carbone da utilizzare quando si maneggiano solventi o sostanze irritanti quali la formaldeide, maschere con visiera per la sala autoptica, camici monouso per la sala autoptica, guanti in metallo per la sala autoptica), di Dispositivi di sicurezza particolare (docce di emergenza e lava occhi, presenti in numero di una/due nei singoli laboratori). Sostanze cancerogene: nei laboratori dei servizi di Anatomia Patologica sono in genere in uso alcune sostanze etichettate con le frasi di rischio R 45: “Può provocare il cancro” ed R 40: “Può provocare effetti irreversibili”. Tra le sostanze R 45 sono da citare: dicloroetano - acrilamide - nichel cloruro esaidrato. Sostanze R 40: tricloroetilene - cloroformio - formaldeide - acetato di piombo basico - carbonio tetracloruro - arancio di acridina - diossano. Si pone in evidenza che il tricloroetilene, il cloroformio e l’aldeide formica, benché compaiano nella classificazione CEE con la frase di rischio R 40, sono state individuate come sostanze cancerogene dalla CCTN (Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale). Inoltre l’aldeide formica è stata recentemente classificata dalla International Agency of Research on Cancer come cancerogena per l’uomo (classe 2A). Coloro che operano con queste sostanze, se ad esse esposti, andrebbero iscritti nel registro di cui all’art. 70 del D. Lgs. 626/94. Un’altra delle condizioni di rischio nelle attività dei laboratori di Anatomia Patologica è rappresentata dal Rischio biologico. L’attività svolta pur non comportando la deliberata intenzione di operare con agenti biologici, può implicare il rischio di esposizione dei lavoratori agli stessi per la pre- PROFESSIONE RIVISITATA - PARTE PRIMA senza di agenti biologici nei pezzi operatori, nelle biopsie, nei liquidi biologici provenienti dai pazienti e nelle parti anatomiche provenienti da reperti autoptici. E’ possibile quindi l’eventuale contatto con gli agenti biologici classificati nell’art. 75 del D.Lgs.. 626/94 e successive modifiche come appartenenti ai gruppi 1, 2, 3 delle classi di pericolosità. Gli studi sul rischio di natura biologica per il personale medico e paramedico impiegato nei Servizi di Anatomia Patologica al seguito di accidentale esposizione indicano che tale rischio è significativo nel caso di TBC, epatite (soprattutto B e C) e gastroenteriti. Non esistono ancora casi documentati di infezione da HIV in personale impiegato nei servizi di anatomia patologica. L’adozione di misure di confinamento della contaminazione (“misure di prevenzione universali”, uso di cappe a flusso laminare), unite ai dispositivi di protezione individuale (occhiali, maschera con visiera, guanti in latice monouso, camici in stoffa, camici in stoffa di tipo chirurgico per gli addetti al “taglio pezzi”, mascherine di tipo chirurgico) e alla formazione/informazione dei lavoratori (con adeguati metodi procedurali e di organizzazione del lavoro), rappresentano gli interventi più efficaci e praticabili per il contenimento del rischio stesso. La sorveglianza sanitaria, dopo l’eliminazione dei pericoli, il controllo e limitazione della entità della esposizione, rappresenta la terza ed ultima metodologia di intervento per la prevenzione dei danni per la salute conseguenti all’esposizione ad agenti lesivi; deve essere praticata tutte le volte che il tipo di sostanze utilizzate e la entità della esposizione possano indicare l’esistenza di un rischio “non moderato” per la salute dei lavoratori; si attua con accertamenti medici e chimico-clinici rivolti alla ricerca di segni, sintomi e alterazioni funzionali in grado di evidenziare gli effetti lesivi sull’organismo e si avvale di misure che permettono una diagnosi precoce di malattia. PATHOLOGICA 2007;99:93 La parola alle industrie Diagnosi molecolare dell’amplificazione dell’oncogene Her-2 in sezioni e array: efficienza e affidabilità dell’analisi automatizzata a confronto con la lettura manuale D. Di Martino Carl Zeiss, Milano Campioni bioptici freschi e già archiviati di tessuto normale e tumorale di cancro al seno sono stati sottoposti ad analisi automatizzata al fine di compararne le risultanze analitiche con precedenti letture effettuate da differenti operatori. Campioni prelevati dal medesimo paziente sono stati sottoposti alla valutazione della presenza sia di amplificazioni del gene Her2/neu su sezioni di 3-5 µm che del suo prodotto di espressione in array tissutali. Le sezioni istologiche sono state marcate con le sonde PathVision Vysis in grado di marcare contemporaneamente e con differenti colori il gene Her2 e il CEP17. Al fine di effettuare i conteggi dei segnali ottenuti e stabilire la possibile overespressione genica è stato utilizzato il sistema di analisi automatizzato Metafer MetaSystems GmbH. I gruppi di nuclei marcati in fluorescenza sono stati catturati con l’impiego di un microscopio Carl Zeiss e analizzati applicando degli algoritmi specificamente sviluppati per la valutazione della qualità dei segnali e del relativo rapporto Her2/CEP17 da utilizzare come indice diagnostico. Le porzioni di tessuto orga- nizzate in Tissue Micro Array sono state, invece, sottoposte a colorazioni immunoistochimiche ed analizzate in luce trasmessa per la determinazione del segnale di membrana rivelato tramite DAB. La combinazione di ottiche corrette all’infinito, percorsi ottici perfezionati, acquisizioni ad alta risoluzione e algoritmi appositamente sviluppati per la determinazione e quantizzazione delle marcature in fluorescenza e immunoistochimica hanno offerto risultati che mostrano una soddisfacente correlazione tra analisi automatizzata e manuale. Soltanto pochi casi < 3% di campioni amplificati hanno mostrato una minima differenza di 0,1-0,4 unità relative nel rapporto tra Her2 e CEP17; differenze che non hanno influenzato l’output diagnostico e che si possono paragonare alla discordanza tra le valutazioni di due diversi operatori. Il presente studio dimostra, dunque, come un’accurata indagine supportata da opportuni strumenti automatizzati quali il Metafer possa essere considerata tanto affidabile quanto uno scoring manuale, consentendo di ritenere tale strumentazione un nuovo mezzo da impiegare per dirigersi verso un’analisi più oggettiva dell’espressione di Her2. Bibliografia 1 Piper J, Loerch T, Poole I, et al. Computing the Her-2:CEP-17 ratio of tumour cells in breast cancer tissue sections by analysis of the FISH spot count of a tiles sampling. Proc Quant Mol Cytogen 2002. 2 Tuziak T, Olszewski WP, Olszewski W, Pienkowski T. Expression of HER2/neu in primary and metastatic breast cancer. Pol J Pathol 2001;52:21-6. PATHOLOGICA 2007;99:94-97 Gli incontri imprevisti al microscopio Lesioni pre-neoplastiche della tuba M.L. Carcangiu U.O. Anatomia Patologica A, Istituto Nazionale Tumori, Milano In contrasto con quanto è accaduto per altri organi dell’apparato genitale femminile gli studi concernenti la patologia della tuba sono stati in passato molto scarsi. I pochi lavori presenti in letteratura, perlopiù di tipo clinico-patologico, si sono essenzialmente concentrati sui problemi relativi agli aspetti clinici ed allo staging del carcinoma tubarico. In particolare, poiché l’incontro con un carcinoma tubarico in uno stadio iniziale rappresenta una rara eventualità nella routine diagnostica di un patologo, sono quasi completamente mancati studi concernenti i precursori ed i meccanismi patogenetici alla base dello sviluppo di questo tumore come sottolinea il fatto che la stessa definizione istologica dei precursori del carcinoma tubarico non è stata ancora messa a punto. Sebbene la ben nota sequenza displasia/carcinoma in situ/carcinoma invasivo, descritta in altri organi dell’apparato genitale femminile ed altre sedi, potrebbe in principio essere applicabile anche all’epitelio tubarico, attualmente l’unica lesione universalmente accettata come precursore del carcinoma tubarico è il carcinoma in situ caratterizzato secondo la definizione del WHO dalla “sostituzione dell’epitelio tubarico da parte di cellule epiteliali ghiandolari con nuclei pleomorfi” 1. Questo approccio apparentemente limitativo è stato adottato poiché criteri applicati ad altri organi genitali, come affollamento e stratificazione nucleare, perdita di polarità cellulare, lieve atipia nucleare e rare mitosi sono di comune riscontro nell’epitelio tubarico come fenomeno reattivo in associazione con processi patologici non-neoplastici e specialmente con alcuni tipi di salpingite. Inoltre i dati relativi alla frequenza nella popolazione generale delle lesioni proliferative dell’epitelio tubarico iperplasia epiteliale tipica, iperplasia epiteliale atipica/displasia carcinoma in situ disponibili in letteratura sono aneddotici e di difficile comparazione per via della varietà di criteri istologici e di terminologia usati nei pochi lavori dedicati all’argomento 2-4. Il problema è aggravato dal fatto che l’iperplasia atipica ed il carcinoma in situ dell’epitelio tubarico possono associarsi a processi infiammatori cronici, quali la salpingite cronica di origine tubercolare o no, ma anche all’assunzione di estrogeni o di Tamoxifene 5 6. Infine alcuni studi – seppur con risultati contraddittori tra loro – hanno sottolineato la presenza di modificazioni dell’epitelio tubarico in pazienti con tumori sierosi ovarici a basso potenziale di malignità “borderline” 7 8. Un rinnovato interesse per la patologia neoplastica tubarica ed in particolare per le lesioni pre-neoplastiche dell’epitelio tubarico è stato recentemente suscitato dal susseguirsi di pubblicazioni che hanno posto in relazione la patologia neoplastica tubarica con le mutazioni dei geni BRCA. Studi recenti hanno infatti dimostrato che donne portatrici di mutazioni BRCA hanno un aumento del rischio di sviluppare un carcinoma della tuba, rischio che appare simile se non maggiore di quello di sviluppare un carcinoma ovarico. La proporzione di carcinomi tubarici che si crede sia dovuta a mutazioni BRCA varia dal 16 al 42%. Essi sono tipicamente di tipo sieroso ed a localizzazione fimbrica. Si è anche visto che i carcinomi della tuba costituiscono un’alta percentuale, se non la maggioranza, dei carcinomi clinicamente occulti individuati in donne portatrici di mutazioni BRCA sottoposte a salpingo-ooforectomia profilattica con una frequenza che varia dal 2,3 al 38% nelle varie serie 9. Sebbene i carcinomi tubarici individuati in questo contesto siano di piccole dimensioni e spesso non invasivi o solo superficialmente invasivi, non mancano esempi di carcinomi tubarici occulti anche in situ che si sono rivelati clinicamente maligni. La frequenza dei carcinomi tubarici occulti nelle varie serie tende ad essere direttamente proporzionale alla meticolosità dell’esame istologico e soprattutto al numero di sezioni di tuba esaminate. A questo proposito sono stati messi a punto dei protocolli di studio che prevedono sezioni seriate delle tube con particolare attenzione alla regione fimbrica 10. Non sorprende che anche la identificazione di lesioni di tipo proliferativo/displastico dell’epitelio tubarico sia aumentata in pazienti portatrici di mutazione BRCA 10-12. Noi abbiamo avuto la opportunità di valutare la presenza di lesioni proliferative atipiche dell’epitelio tubarico, esaminando le tube prelevate nel corso di 26 consecutive salpingoooforectomie profilattiche in donne portatrici di mutazioni BRCA e le cui ovaie erano risultate negative per neoplasia all’esame istologico. Le tube di 49 donne sottoposte a isterectomia con salpingoooforectomia per leiomioma uterino e con una età media simile a quella delle donne incluse nello studio, sono state usate come controllo. Tutte le tube in ambedue i gruppi erano macroscopicamente normali. All’esame istologico sono stati individuati 2 carcinomi in situ e 2 iperplasie atipiche dell’epitelio tubarico nel gruppo delle pazienti portatrici di mutazioni BRCA, mentre le tube delle pazienti appartenenti al gruppo di controllo non hanno invece mostrato alcuna anormalità di questo tipo 11. Piek et al. identificarono displasia dell’epitelio tubarico in 6 di 12 donne portatrici di mutazione BRCA o con una predisposizione ereditaria al carcinoma ovarico. Nessuna alterazione patologica dell’epitelio tubarico fu invece diagnosticata nel gruppo di controllo costituito da 13 donne sottoposte a isterectomia per patologia benigna. Un accumulo di p53 fu identificato nelle lesioni con displasia severa 12. Recentemente, aree p53-positive sono state identificate in epiteli tubarici, appartenenti sia a donne BRCA-positive sia a controlli, morfologicamente privi di atipia citologica o di un aumentato indice proliferativo. Gli Autori suggeriscono che questa “p53 signature” sia l’espressione di una alterazione della funzione del p53 in grado, in determinate circostanze, di contribuire alla patogenesi del carcinoma sieroso e quindi in qualche modo rappresenti una lesione pre-neoplastica anche in assenza di alterazioni morfologiche 10. È chiaro che a questo punto appare quanto mai necessaria, sulla scorta dell’esperienza maturata dallo studio delle tube di pazienti con mutazioni BRCA sottoposte a salpingoooforectomia profilattica, una definizione precisa dei criteri morfologici e della terminologia da usare per la diagnosi delle lesioni proliferative/displastiche preinvasive dell’epitelio tubarico che permetta di differenziarle da una parte dalle comuni alterazioni reattive e iperplastiche di questo epitelio e dall’altra da lesioni dichiaratamente neoplastiche ed invasive. GLI INCONTRI IMPREVISTI AL MICROSCOPIO Bibliografia 1 Silverberg SG, Kurman RG, Nogales F, Mutter GL, Kubik-Huch RA, Tavassoli FA. Epithelial tumors and related lesions. In: Tavassoli FA, Devilee P, ed.; World Health Organizazion Classification of Tumours. Pathology and genetics of tumors of the breast and female genital organs. Lyon, France: IARC Press 2003, p. 209. 2 Stern J, Buscema J, Parmley T, Woodruff JD, Rosenshein NB. Atypical epithelial proliferations in the fallopian tube. Am J Obstet Gynecol 1981;140:309-12. 3 Moore SW, Enterline HT. Significance of proliferative epithelial lesions of the uterine tube. Obstet Gynecol 1975;45:385-90. 4 Yanai-Inbar I, Silverberg SG. Mucosal epithelial proliferation of the fallopian tube: prevalence, clinical associations, and optimal strategy for histopathologic assessment. Int J Gynecol Pathol 2000;19:139-44. 5 Cheung NY, Young RH, Scully RE. Pseudocarcinomatous hyperplasia of the fallopian tube associated with salpingitis. A report of 14 cases. Am J Surg Pathol 1994;18:1125-30. 6 Sonnendecker HE, Cooper K, Kalian KN. Primary fallopian tube adenocarcinoma in situ associated with adjuvant therapy for breast carcinoma. Gynecol Oncol 1994;52:402-7. 7 Robey SS, Silva EG. Epithelial hyperplasia of the fallopian tube. Its association with serous borderline tumors of the ovary. Int J Gynecol Pathol 1989;8:214-20. 8 Yanai-Inbar I, Siriaunkgul S, Silverberg SG. Mucosal epithelial proliferation of the fallopian tube: a particular association with ovarian serous tumor of low malignant potential? Int J Gynecol Pathol 1995;14:107-13. 9 Carcangiu ML, Peissel B, Pasini B, Spatti G, Radice P, Manoukian S. Incidental carcinomas in prophylactic specimens in BRCA1 and BRCA2 germ-line mutation carriers, with emphasis on fallopian tube lesions: report of 6 cases and review of the literature. Am J Surg Pathol 2006;30:1222-30. 10 Medeiros F, Muto MG, Lee Y, Elvin JA, Callahan MJ, Feltmate C, et al. The tubal fimbria is a preferred site for early adenocarcinoma in women with familial ovarian cancer syndrome. Am J Surg Pathol 2006;30:230-6. 11 Carcangiu ML, Radice P, Spatti G, Gobbo M, Pensotti V, Crucianelli R. Atypical epithelial proliferation in fallopian tubes in prophylactic salpingo-oophorectomy specimens from BRCA1 and BRCA2 germline mutation carriers. Int J Gynecol Pathol 2004;23:35-40. 12 Piek JM, van Diest PJ, Zweemer RP, Jansen JW, Poort-Keesom RJ, Menko FH, et al. Dysplastic changes in prophylactically removed fallopian tubes of women predisposed to developing ovarian cancer. J Pathol 2000;195:451-6. La biopsia della membrana sinoviale: valore diagnostico A. Parafioriti U.O. Anatomia Patologica, Istituto Ortopedico “Gaetano Pini”, Milano La membrana sinoviale è un tessuto connettivale specializzato che riveste il versante interno delle articolazioni diartrodiali e la superficie interna di guaine e tendini. In condizioni normali ha uno spessore variabile da 100 µm a pochi mm ed è costituita da due strati: intima sinoviale o lining e sottosinovia o regione subintimale. L’intima sinoviale normale è costituita da 1-3 strati di cellule dette sinoviociti, popolazione cellulare eterogenea per morfologia, immunofenotipo e funzioni. Il sinoviocita di tipo A, di derivazione monocita-macrofagico di origine midollare, costituisce il 30% del lining e presenta immunofenotipo caratterizzato da positività per CD68, CD14 e recettore ad alta affinità per la frazione Fc delle immunoglobuline. Il sinoviocita di tipo B è un particolare fibroblasto con positività per CD55, specializzato nella produzione di acido ialuronico. Un terzo tipo di sinoviocita di tipo C, ha caratteristiche intermedie tra i due. La sottosinovia 95 è costituita da tessuto connettivale ricco in condroitin-4 e -6solfato e contiene una evidente rete vascolare e di terminazioni nervose. La membrana sinoviale viene coinvolta in diversi quadri patologici di competenza ortopedica e reumatologica e può essere il bersaglio di malattie articolari a carattere flogistico, di patologie infettive, pseudotumorali e neoplastiche. L’esame istologico della membrana sinoviale nel processo artritico rappresenta una fondamentale procedura diagnostica poiché offre informazioni utili sugli eventi patomorfologici in divenire che caratterizzano le diverse fasi delle malattie. La diffusione ed il perfezionamento delle tecniche bioptiche con artroscopi ad ago e quindi mini-invasive hanno rappresentato una tappa significativa nello studio del complesso microambiente articolare, permettendo l’esecuzione di biopsie sinoviali anche di piccole articolazioni, in fasi precoci di malattia. Esistono casi in cui l’istologia mostra alterazioni patognomoniche: granulomi con necrosi caseosa nella TBC osteoarticolare, granulomi non necrotizzanti con inclusi citoplasmatici peculiari nella sarcoidosi, accumuli di cristalli nelle artropatie da microcristalli. La biopsia della membrana sinoviale è indispensabile per le lesioni similtumorali sinovite villonodulare pigmentata, condromatosi sinoviale, per quelle neoplastiche e per le sinovite post-traumatiche o da emartri. La sinovite reumatoide è caratterizzata da lesioni elementari che possono essere variamente presenti in relazione alla durata, al grado di attività della malattia e alla sede del prelievo. La membrana sinoviale va incontro ad una serie di modificazioni inizialmente di tipo essudativo e poi proliferativo che ne determinano la caratteristica iperplasia progressiva, papillare con aspetto vegetante ed esofitico nella cavità articolare. Le lesioni si presentano con una disposizione “a salto”: nella stessa articolazione convivono aree di membrana normale ed aree con flogosi. All’inizio prevale l’aspetto essudativo e le alterazioni precoci sono a carico dell’intima: sinoviociti iperplastici, con binucleazioni o multinucleati cellule di Collins, lining ipercellulato. La sottosinovia è sede di neoangiogenesi, edema interstiziale, infiltrato flogistico. In seguito le lesioni elementari progrediscono fino al quadro tipico con diffusa iperplasia dei villi, lining pluristratificato, polarità dei sinoviociti. La sottosinovia ha attivazione “mesenchimoide” dello stroma, neoangiogenesi con aspetti di angioite, infiltrato infiammatorio marcato perivascolare o strutturato in pseudofollicoli con centro chiaro follicoli di Allison e Ghormely. La necrosi fibrinoide è presente in quantità variabile: limitata a microfocolai nel lining oppure all’intero villo. Si arriva alle fasi di danno erosivo con distruzione della cartilagine articolare e dell’osso da parte del “panno” sinoviale ricco in osteoclasti. Determinante ruolo patogenetico è stato di recente riconosciuto ai sinoviociti fibroblasto-like, in tutti i principali aspetti dell’Artrite Reumatoide: essi producono parte dei fattori di crescita che, insieme a citochine infiammatorie della cavità articolare, portano allo squilibrio tra riassorbimento e neoapposizione ossea causando un rimodellamento osseo patologico. Infatti influenzano la modulazione dell’espressione di RANKL receptor activator of nuclear factor K ligand, fattore osteoclastogenico e del suo inibitore che è l’OPG osteoprotegerina. L’istologia sinoviale permette la valutazione immunofenotipica dell’infiltrato e degli elementi proliferanti nelle sinoviti autoimmuni sinovite reumatoide, spondiloartriti. I linfociti T costituiscono il 30-50% della componente infiammatoria nella reumatoide e il subset più rappresentato è quello CD4+ rapporto CD4/CD8 variabile tra 4:1 e 14:1. Si può infine tipiz- 96 zare la popolazione sinoviocitaria macrofagica o fibroblastica CD68, CD55 e valutare la quota proliferante con Ki67/MIB1 e l’espressione di oncogeni coinvolti nell’apoptosi. L’espressione di questi marcatori sembra correlata a maggior aggressività di malattia. In futuro l’anatomopatologo sarà sempre più coinvolto nella ricerca di parametri morfologici molecolari che permettano di riconoscere una malattia potenzialmente erosiva in pazienti che presentano una early undifferentiated arthritis, prima che siano soddisfatti i criteri per chiamarla artrite reumatoide. Le diverse pathways fisiopatologiche che determinano la degradazione della cartilagine articolare e dell’osso risultano preferenzialmente attivate nella membrana sinoviale fin dalle fasi più precoci di malattia. Ne consegue la necessità di studiare i tessuti articolari e soprattutto la membrana sinoviale, al fine di riconoscere le complesse pathways proinfiammatorie, degradative, downregulations di fattori inibitori ecc. che determinano la progressione dell’artrite e di individuare parametri che siano predittivi sia di prognosi che di risposta alle terapie. Bibliografia Koizume, Fumitomo, Matsuno, et al. Synovitis in rheumatoid arthritis: Scoring of characteristic histopathological features. Pathology Int 1999;49:298-304. Kraan MC, Haringman JI, Post WJ, et al. Immunohistological analysis of synovial tissue for differential diagnosis in early arthritis. Rheumatology 1999;38:1074-80. Gravallese E, Manning C, Tsay A, Naito A, Pan C, Amento E, et al. Synovial tissue in rheumatoid arthritis is a source of osteoclast differentiation factor. Arthritis Rheum 2000;43:250-8. Bresnihan B. Are synovial biopsies of diagnostic value? Arthritis Res Ther 2003;5:271-8. Tsubaki T, Arita N, Kawakami T, et al. Characterization of histopathology and gene-expression profiles of synovitis in early rheumatoid arthritis using targeted biopsy specimens. Arthritis Res Ther 2005;7:R825-36. Iperplasie mesoteliali P.G. Betta S.O.C. Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda Ospedaliera Nazionale, Alessandria Processi reattivi coinvolgenti le cavità sierose rivestite da mesotelio sono comuni, si osservano in una varietà di contesti clinici e riconoscono cause diverse, quali traumi fisici, procedure chirurgiche, infarto polmonare, pneumotorace, collageno-vasculopatie, infezioni, reazioni a farmaci, cirrosi, neoplasie viscerali sottosierose. Adeguate informazioni clinico-radiologiche aiutano a non valutare erroneamente un esuberante processo reattivo del mesotelio come neoplastico. Difficoltà di interpretazione di quadri microscopici di proliferazione mesoteliale occorrono a livello di campioni citologici e istologici. Due aree significative di difficoltà diagnostica sono: – la distinzione tra iperplasia mesoteliale e mesotelioma maligno MM epitelioide ben differenziato più frequente in ambito di citopatologia dei versamenti sierosi, ma presente anche a livello di campioni bioptici; – la distinzione tra pleurite fibrosa e MM desmoplastico problema diagnostico generalmente posto da campioni bioptici, soprattutto di piccole dimensioni. Nel distinguere a scopo didattico alcuni patterns di iperplasia mesoteliale reattiva, è opportuno ricordare che questa pre- GLI INCONTRI IMPREVISTI AL MICROSCOPIO senta spesso un confuso intreccio di modificazioni citoarchitetturali coinvolgente sia il mesotelio di superficie sia il connettivo stromale submesoteliale ispessito ed infiammato. Proliferazioni mesoteliali epiteliomorfe limitate alla superficie sierosa. Iperplasia mesoteliale e iperplasia mesoteliale atipica. Ogni stimolo flogistico in una cavità sierosa tende ad associarsi a modificazioni reattive delle cellule mesoteliali di superficie. Nella forma più semplice si osserva un ingrossamento delle cellule mesoteliali che assumono una forma rotondeggiante o cubica. Il pleomorfismo è più frequente nelle proliferazioni mesoteliali reattive che nel MM epitelioide ben differenziato, dove i nuclei possono avere un aspetto ingannevolmente innocuo. I nucleoli sono spesso prominenti nelle reazioni benigne e le mitosi possono essere presenti. Nelle proliferazioni più floride le cellule superficiali formano lamine epiteliali confluenti, di solito senza assi papillari, anche se occasionalmente possono osservarsi strutture simil-ghiandolari e semplici papille. È comune la presenza di vacuoli intracitoplasmatici, di solito negativi per mucine neutre dPAS, reperto questo che esclude in diagnosi differenziale la possibilità di una metastasi di adenocarcinoma. La necrosi degli aggregati superficiali di cellule mesoteliali può verificarsi nel corso di infezioni, in particolare da micobatterio, e raramente in altre condizioni benigne. La necrosi, in assenza di flogosi acuta, induce sempre il sospetto di malignità. L’invasione stromale è il criterio diagnostico più attendibile per considerare maligna una proliferazione mesoteliale. Quando una proliferazione di superficie mostra aspetti suggestivi di malignità, ma senza chiara evidenza di invasione, è opportuno utilizzare il termine di “proliferazione mesoteliale atipica”, richiedendo ulteriori biopsie nei casi clinicamente sospetti per MM. L’iperplasia mesoteliale atipica può assumere una varietà di aspetti microscopici: da una filiera di cellule singole, cubiche e occasionalmente cilindriche, sulla superficie mesoteliale a quadri complessi papillari. Proliferazioni mesoteliali epiteliomorfe in una membrana sierosa ispessita. Pseudoinvasione entrapment. Le proliferazioni mesoteliali possono estendersi dalla superficie in una membrana sierosa ispessita per flogosi e/o fibrosi, o possono essere localizzate completamente nello spessore della membrana. Distinguere una vera invasione stromale segno inequivocabile di malignità, da un intrappolamento reattivo di cellule mesoteliali può essere talvolta estremamente difficile. Cellule mesoteliali epitelioidi localizzate immediatamente sotto la superficie sierosa sono tipiche di molte reazioni benigne, in cui le cellule mesoteliali proliferanti sono rimaste intrappolate a seguito di un processo flogistico ancora attivo o pregresso. La presenza di una flogosi acuta o cronica così come di soltanto una o alcune formazioni tubulo-acinari nella membrana sierosa o di una o più file di ghiandole o di singole cellule parallele alla superficie sierosa favoriscono un processo benigno reattivo del mesotelio. Tipicamente le proliferazioni mesoteliali benigne di tipo epitelioide non si estendono all’intero spessore della membrana sierosa né tanto meno infiltrano il connettivo adiposo e i muscoli della parete toracica. Pleurite fibrosa. Si tratta di una reazione benigna in cui le cellule mesoteliali proliferanti sono in gran parte o completamente di foggia fusata. Può verificarsi anche a livello di cavità peritoneale o pericardica. Analogamente alle proliferazioni benigne epiteliomorfe, la pleurite fibrosa è caratterizzata da una chiara “zonazione”, con la cellularità più marcata immediatamente sotto la superficie ed una progressiva GLI INCONTRI IMPREVISTI AL MICROSCOPIO diminuzione con associata crescente fibrosi stromale verso la parete toracica. I MM sarcomatoso e desmoplastico, invece, non presentano di solito zonazione e sono spesso uniformemente distribuiti a tutto lo spessore della membrana sierosa ispessita, oppure hanno una cellularità più accentuata sul versante della parete toracica. Le cellule più superficiali sono citologicamente atipiche e di foggia fusata, di solito commiste a fibrina, ma non si estendono in profondità nella pleura ispessita. Allontanandosi dalla superficie appaiono lunghi capillari orientati perpendicolarmente alla stessa e questo è un aspetto tipico della pleurite fibrosa. Di solito le cellule fusate non si estendono al connettivo adiposo, anche se questa estensione, e perfino la produzione di tessuto fibroso attorno ai muscoli della parete toracica, possono osservarsi in caso di fibrotorace e di pregressi interventi chirurgici. Immunoistochimica. Attualmente non esiste alcun marcatore immunoistochimico discriminante tra mesotelio reattivo e neoplastico dotato di accuratezza diagnostica riproducibile. 97 La immunopositività per cheratine ad ampio spettro è utile per esaminare la distribuzione delle cellule mesoteliali nelle membrane sierose, in particolare per evidenziare le filiere lineari che favoriscono un processo benigno o la elusiva infiltrazione nel grasso o in altre componenti della parete toracica che suggerisce la malignità. L’uso combinato di desmina e EMA è stato proposto per valutare la natura delle proliferazioni mesoteliali, in quanto la desmina è preferenzialmente espressa dal mesotelio reattivo 85% dei casi ma solo dal 10% dei MM, mentre EMA è preferenzialmente espressa dai MM 80% e solo dal 20% di iperplasie mesoteliali. L’espressione immunoistochimica di p53 è molto controversa dallo 0 al 60% nel mesotelio reattivo e dal 25 al 97% nel mesotelio maligno così come anche quella della telomerasi. Bibliografia Kradin RL, Mark EJ. Distinguishing benign mesothelial hyperplasia from neoplasia: a practical approach. Semin Diagn Pathol 2006;23:4-14. PATHOLOGICA 2007;99:98-101 Slide Seminar Juniores. Le neoplasie uroteriali: approccio classificativo Urothelial neoplasms. Classification approach R. Montironi, R. Mazzucchelli Section of Pathological Anatomy, School of Medicine, Polytechnic University of the Marche Region, Ancona, Italy Introduction. Three diagnostic categories are identified in the urinary bladder on the basis of the pattern of growth of the urothelial tumours flat, papillary non-invasive, or invasive. The WHO 2004 classification is used 1. It is the constellation of the presence or absence of a number of histological parameters which helps to arrive at the appropriate diagnosis for a given case 2. Immunohistochemistry has limited value but can be helpful in solving a number of diagnostic problems 2. Normal urothelium, hyperplasia and other benign proliferative lesions. Normal urothelium. Urothelium, the dominant type of epithelium lining the urinary bladder, ureters, and renal pelvis, is a multilayered epithelium in which superficial cells, intermediate cells and basal cells are identified. The surface cells, known as “umbrella cells”, may have nuclear enlargement, coarsely clumped chromatin and prominent nucleoli which should not be misconstrued to be dysplastic. Intermediate cells are oriented with the long axis perpendicular to the basement membrane. Nuclei are oval and the nucleoli are minute or absent. The cytoplasm is ample and rich in glycogen that dissolves at the time of tissue processing, leaving cleared areas cytoplasmic clearing. The basal cells are small and cuboidal, the nuclei have condensed chromatin and the cytoplasm is scant. Mitoses are usually not detected 3. The thickness of the normal urothelium varies with the state of distention of the bladder 2 to 4 cell layers when dilated and 5 to 7 layers when contracted. The density and shape of urothelial nuclei varies in all cell layers according to the degree of distension 4. The urothelium of the renal pelvis, urethra and the bladder neck is usually composed of slightly larger cells, which have increased cytoplasmic eosinophilia and hence may be interpreted as dysplasia. Not uncommonly technical problems such as thick sections and vagaries of staining and fixation may cause the normal urothelium appear hyperchromatic. By immunohistochemistry normal urothelium shows reactivity for CK20 only in the superficial umbrella cell layer 5, while CD44 staining is limited to the basal cell layer 6. Nuclear staining for p53 is absent in normal urothelium 7 and Ki67 is negative or positive in < 10% of basal cells 8. All the possible variations within the normal range should be well kept in mind when approaching the diagnosis of urothelial lesions. Hyperplasia. Flat urothelial hyperplasia. Flat urothelial hyperplasia consists of a markedly thickened urothelium, greater than seven cells layers thick, without cytological atypia 9. In practice, counting the number of urothelial cell layers is not reproducible, as urothelial cells do not line up in neat rows and tangential sectioning may result in false impression of increased thickness. The observation that there is no disturbance of the layering and the nuclei are inconspicuous help to establish the diagnosis. This lesion may be seen in the mucosa adjacent to low-grade papillary urothelial lesions. When seen by itself, there are no data proving that it has premalignant potential 9. Papillary urothelial hyperplasia. It is characterized by slight “tenting”, undulating, or papillary growth lined by urothelium of varying thickness. The cytology is similar to the adjacent normal urothelium. The lesion often has one or a few small, dilated capillaries at its base. Papillary hyperplasia is distinguished from papillary urothelial neoplasia by a lack of a welldeveloped branching fibro-vascular core while the absence of prominent edema and inflammation help to distinguish it from polypoid cystitis 10. This lesion is generally found on routine follow-up cystoscopy for papillary urothelial neoplasms 1. A de novo diagnosis of papillary urothelial hyperplasia does not necessarily place the patient at risk to develop papillary tumors, but follow-up is recommended 11. In a patient with a history of a papillary urothelial tumor, this lesion may be associated with an increased risk of recurrence. Cystitis cystica and von Brunn nests. Cystitis cystica is made of cystically dilated von Brunn nests acquiring a luminal space. The lumina may contain dense eosinophilic secretion and mild nuclear atypia with occasional prominent nucleoli has been described. When the proliferation becomes florid may mimic the nested variant of urothelial carcinoma 12. Cystitis cystica is a reactive, proliferative consequence of inflammatory or other irritation. As a rule it does not have a precancerous meaning, but it should be pointed out that carcinoma in situ may occasionally occur in the nests and be not detectable in the overlying flat urothelium 13. In these cases it is usually associated with previously diagnosed carcinoma in situ or infiltrating at other sites in the bladder. Flat urothelial lesions with atypia. Reactive atypia. Consists of nuclear abnormalities occurring in acutely or chronically inflamed urothelium. The thickness of the urothelium and the polarity of the cells are maintained. Nuclei are uniformly enlarged and vesicular, with central prominent nucleoli. Mitotic figures may be frequent. In the absence of appreciable nuclear hyperchromasia, pleomorphism, and irregularity in the chromatin pattern, the lesion should not be considered neoplastic 9. The presence of acute or chronic inflammation, particularly in an intraurothelial location, warrants caution in the interpretation of dysplasia or carcinoma in situ, although it must be borne in mind that reactive atypia may coexist with dysplasia or in situ carcinoma. A history of instrumentation, stones or therapy is often present 14. In particular, therapy associated atypia could easily be mistaken for intraepithelial neoplasia. The presence of abundant cytoplasm, nuclear chromatin degeneration, multinucleation, prominent nucleoli and involvement of mainly the superficial cells are key features to associate the changes with chemotherapy or radiation. The term atypia of unknown significance is sometimes used for cases in which the severity of atypia appears out of proportion to the extent of inflammation such that dysplasia cannot be confidently excluded 1. The patients may be followed more closely and re-evaluated once the inflammation subsides. The use of the term atypia of unknown significance 15 was discouraged by Lopez Beltran et al. 9 because it does not add any value in practice. SLIDE SEMINAR JUNIORES Urothelial dysplasia. The thickness of the urothelium is usually normal four to seven layers but may be increased or decreased. There is loss of clearing of cytoplasm, nucleomegaly, irregularity of nuclear contours and altered chromatin distribution. Nucleoli are usually not conspicuous; only a minor degree of pleomorphism is allowable in dysplasia and the mitotic activity is variable though usually not in the higher layers. Loss of polarity is evidenced by crowding and nuclei with the long axis parallel to the basement membrane 16. Comparison with more normal appearing urothelium, if present, may help in assessing features like nucleomegaly, and loss of clearing and polarity. The distinction between urothelial dysplasia and carcinoma in situ is essentially one of morphologic threshold since nuclear atypia is evident but should not be severe enough to merit a diagnosis of carcinoma in situ. The lamina propria is usually unaltered but may contain increased inflammation and/or neovascularity. Immunohistochemistry shows abnormal expression of CK20, Ki-67 and p53 in the majority of the cases, together or individually, and helps to distinguish reactive atypia from dysplasia but not dysplasia from CIS 5. Increased reactivity for CD44 in all layers of the urothelium is, on the contrary, more commonly seen in reactive atypia 7. Dysplastic lesions are typically seen in bladders with urothelial neoplasia and are uncommon in patients without it 17. In patients with bladder tumors, the presence of dysplasia places them at higher risk for recurrence and progression 18. Urothelial carcinoma in situ. Carcinoma in situ CIS Highgrade Intraurothelial Neoplasia is histologically characterized by unequivocal severe cytological atypia, i.e., the type of atypia usually seen in invasive urothelial carcinoma. The urothelium may be diminished in thickness or of normal thickness, while the observation of an increased thickness is exceedingly rare. Cells have large, irregular, hyperchromatic nuclei often with one or more large nucleoli. There is alteration or complete loss of polarity and mitotic activity is frequently observed 9 2. The lamina propria is frequently hypervascular and inflamed reflecting the erythematous appearance witnessed on cystoscopy. When evaluating the degree of cytological atypia, it is always important the comparison with the cells of the surrounding normal urothelium. CIS may grow in the surrounding normal urothelium as clusters or isolated single cells pagetoid spread or undermining or overriding it 19. The term of clinging CIS is used for cases where only a few residual cancer cells remain on the surface 9. A common feature of CIS is the lack of intercellular cohesion resulting in extensive denudation. Since denudation may occur also in association with trauma due to instrumentation or therapy, deeper sections through the paraffin block may be helpful in revealing atypical cells diagnostic for CIS. In the absence of atypical cells, the finding of extensive denudation, particularly when associated with neovascularity and chronic inflammation in the lamina propria, must be included in the report and correlation with urine cytology findings may be suggested 1. Potential mimics of CIS are the truncated papillae that remain after treatment of papillary carcinoma with Mitomycin C and thiotepa, particularly when associated with denudation and inflammation 20. CIS can be mimicked 21 by infection of immunocompromised patients with the human polyoma virus resulting in large homogeneous inclusions in enlarged nuclei of urothelial cells. The differentiation of CIS from other flat urothelial lesions with atypia is based primarily on the cytologic features. Lim- 99 ited studies suggest a potential adjunctive role of immunohistochemistry 7 22-24. CIS frequently shows diffuse, strong cytoplasmic reactivity for CK20 and diffuse nuclear reactivity for p53 throughout the full thickness of the urothelium. CD44 reactivity is limited to a residual basal cell layer of normal urothelium when present, but is absent in the neoplastic cells. A panel consisting of these three antibodies is important as not all cases of CIS consistently exhibit the characteristic immunostaining. CIS with microinvasion. In bladder carcinoma in situ, a careful search should be made for the presence of invasion. Microinvasive carcinoma of the urinary bladder is defined by invasion into the lamina propria to a depth ranging 2-to-5 mm from the basement membrane 25 26. Microinvasion appears as direct extension cords tentacular, single cells, or single cells and clusters of cells. The neoplastic cells may be interspersed among and masked by chronic inflammation. In this case immunohistochemistry with antibodies against CEA or cytokeratins such as AE1-AE3 should be applied to identify the invading cells 9. Desmoplasia or retraction artifacts that may mimic vascular invasion are useful in recognizing invasion 27 28. Some patients who have had prior bladder biopsies or transurethral resections undergo a repeat resection within several months for various reasons. The detection of a few residual tumour cells in bladder specimens with prior biopsy site changes can be challenging based on histology alone. Immunohistochemistry for cytokeratins may be used as an adjunct in this situation. However, when interpreting CK stains for the detection of residual tumour cells, one should pay attention to the nature of the cells and not assume all CK positive cells are neoplastic 2. Papillary urothelial neoplasms. The papillary lesions are here described according to the WHO 2004 classification 1. We do not report here the WHO 1973 classification because it is already well known in the pathology, urology and oncology communities. There still is debate as to whether the WHO 2004 system should be the only one to be used and whether the WHO 1973 system should be abandoned. Current practice in patient’s management is still based on the old one. Urothelial papilloma. Urothelial papilloma without qualifiers refers to the exophytic variant of papilloma, defined as a discrete papillary growth with a central fibrovascular core lined by urothelium of normal thickness and cytology. This is a rare, benign condition typically occurring as a small, isolated growth, commonly but not exclusively seen in younger patients 29 30. Inverted urothelial papilloma. Although not strictly speaking a papillary lesion is classified here because it shares certain features with exophytic urothelial papilloma. The histology of inverted papillomas has been well described 31. Rarely, cases are hybrid in which significant portions of the lesion resemble exophytic urothelial papillomas and inverted urothelial papillomas. These lesions should be classified as papillomas with both exophytic and inverted features 2. When completely excised, inverted papillomas have a very low risk of recurrence. In a minority of cases, they may be associated with urothelial carcinoma occurring either concurrently or subsequently. Rarely, cases of urothelial carcinoma arising in inverted urothelial papillomas have been described 1. Papillary urothelial neoplasm of low malignant potential. A papillary urothelial lesion with an orderly arrangement of cells with minimal architectural abnormalities and minimal 100 nuclear atypia irrespective of cell thickness. The urothelium lining the papillae is similar to flat hyperplasia 15 32. The major distinction from papilloma is that in papillary urothelial neoplasm of low malignant potential the urothelium is much thicker and/or nuclei are significantly enlarged. The urothelial papilloma, in contrast, has no architectural or cytological atypia. Mitotic figures are infrequent in papillary urothelial neoplasms of low malignant potential, and usually limited to the basal layer. This lesion is not associated with invasion or metastases, except in rare cases 33. These patients are at an increased risk of developing recurrent or new papillary lesions. These new lesions occasionally are of higher grade and may progress. Papillary urothelial carcinoma, low-grade. A papillary urothelial lesion with an overall orderly appearance but with easily recognizable variation of architectural and or cytological features seen at scanning magnification 15. Variation of polarity and of nuclear size, shape, and chromatin texture are the hallmark of the lesion. Mitotic figures are infrequent and usually seen in the lower half of the urothelium. The urothelium lining the papillae is similar to flat dysplasia. Tangential sections near the base of the urothelium may be misleading since result in sheets of immature urothelium with frequent mitotic activity. A spectrum of cytological and architectural abnormalities may exist within a single lesion, stressing the importance of examining the entire lesion and noting the highest grade of abnormality 34. Papillary urothelial carcinoma, high-grade. A papillary urothelial lesion with predominantly or totally disorderly appearance at low magnification with both architectural and cytological abnormalities. The epithelium is disorganized and there is a spectrum of nuclear pleomorphism ranging from moderate to marked. The nuclear chromatin tends to be clumped and nucleoli may be prominent. Mitotic figures, including atypical forms, are frequently seen at all levels 2. The urothelium lining the papillae is similar to flat CIS. In tumors with variable histology, the tumor should be graded according to the highest grade. High-grade papillary urothelial carcinomas have a high risk of progression and of association with invasive disease at the time of diagnosis 35 36. Relation of WHO 1973 to WHO 2004. A major misconception is that there is a one to one translation between the WHO 2004 and the WHO 1973 classification systems. Only at the extremes of grades in the WHO 1973 classification does this correlation hold true 2 37-40. Lesions called papilloma in the WHO 1973 classification system would also be called papilloma in the WHO 2004 system. At the other end of the grading extreme, lesions called WHO grade 3 are by definition high-grade carcinoma in the WHO 2004 system. However, for WHO grades 1 and 2, there is no direct translation to the WHO 2004 system. Lesions classified as WHO grade 1 in the 1973 system, showing no cytological atypia, some nuclear enlargement and merely thickened urothelium, are included in the group of papillary urothelial neoplasms of low malignant potential in the WHO 2004 system while other WHO grade 1 lesions showing slight cytological atypia and mitoses, are diagnosed in the WHO 2004 system as low-grade papillary urothelial carcinomas. WHO grade 2 includes either relatively bland lesions that in the WHO 2004 system would be called low-grade papillary urothelial carcinoma or higher grade lesions, which in many institutions are called WHO grade 2-3. These lesions in the WHO 2004 classification system would be called highgrade papillary urothelial carcinoma. SLIDE SEMINAR JUNIORES References 1 Sauter G, Algaba F, Amin MB, Busch C, et al. Tumours of the urinary system. In: Epstein JI, Eble JN, Sesterhenn I, Sauter G, eds.; World Health Organization Classification of Tumours Pathology and Genetics. Tumours of the Urinary System and Male Genital Organs. Lyon: IARC Press 2004, p. 89-157. 2 Montironi R, Lopez-Beltran A. The 2004 WHO classification of bladder tumors: a summary and commentary. Int J Surg Pathol 2005;13:143-53. 3 Epstein JI, Amin MB, Reuter VE. In: Epstein JI, ed. Urinary Bladder Biopsy Interpretation. Philadelphia, PA: Lippincott Williams & Wilkins 2004. 4 Jost SP, Gosling JA, Dixon JS. 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Nel periodo 1981-2005 sono stati eseguiti 28.226 agoaspirati di lesioni nodulari tiroidee. I noduli di presentavano clinicamente palpabili, ipoecogeni all’ecografia, non funzionanti alla scintigrafia con 99mTc. L’agoaspirato è stato eseguito a mano libera con aghi spinali di 22 gauge lunghi 3 cm. I noduli non palpabili ma visibili ecograficamente sono stati agoaspirati sotto guida ecografica con sonde della frequenza da 7,5 a 10 Mhz, con guida elettronica ed accesso laterale, utilizzando aghi spinali da 22 gauge lunghi 9 cm. Per ogni nodulo sono stati eseguiti 2 agoaspirati. Il materiale ottenuto è stato strisciato su vetrino e colorato con metodiche PAP e MGG. In casi selezionati è stato eseguito citoincluso in paraffina dopo tecnica del cell-block e sono state applicate metodiche di immunoistochimica. Risultati. I dati presentati si riferiscono a 28.226 agoaspirati effettuati dal 1981 al 2005 e citologicamente sono risultati: 26.768 94,8% negativi; 122 0,4% sospetti per patologia neoplastica; 836 3,0% positivi e 500 1,8% inadeguati. L’esame istologico del pezzo operatorio di 1.702 pazienti sottoposti a tiroidectomia o emitiroidectomia, dal 1989, ha permesso di diagnosticare 478 neoplasie maligne e 1.224 lesioni benigne. In 41 pazienti 2,4% è stato diagnosticato un “carcinoma occulto” in aree diverse da quelle sottoposte ad agoaspirato, in altri 9 casi 8 carcinomi papillari ed 1 follicolare il “carcinoma occulto” è stato diagnosticato con l’agoaspirato. In totale sono stati diagnosticati istologicamente 50 “carcinomi occulti” 1 follicolare, 46 papillari, 3 midollari. Negli altri 1.652 pazienti operati sono state individuate 428 lesioni maligne: 47 carcinomi follicolari capsulati, 22 carcinomi follicolari invasivi, 304 carcinomi papillari, 17 carcinomi midollari, 17 carcinomi anaplastici, 10 linfomi maligni non Hodgkin e 11 lesioni metastatiche. Delle 428 lesioni maligne, 346 sono state diagnosticate alla citologia sensibilità 81,1%; 58 33 carcinomi follicolari capsulati, 11 carcinomi follicolari invasivi e 14 carcinomi papillari sono state diagnosticate citologicamente come neoplasie follicolari adenomi, 22 come struma 18 carcinomi papillari, 1 carcinoma follicolare capsulato, 1 carcinoma midollare, 2 carcinomi anaplastici ed 1 come tiroidite linfocitaria carcinoma follicolare capsulato. Delle 1.224 lesioni benigne 1 nodulo iperplastico, 825 strumi colloido-cistici, 380 adenomi, 17 tiroiditi, 1 emangioendotelioma, 1.211 sono state diagnosticate alla citologia specificità 98,9% e le 9 con citologia sospetta o positiva sono risultate essere 1 nodulo iperplastico e 8 adenomi 1. Conclusioni. L’agoaspirazione con ago sottile di lesioni nodulari tiroidee in questa casistica risulta avere un’accuratezza del 94,3% con un valore predittivo positivo del 97,5% ed un valore predittivo negativo del 93,7% 2. Bibliografia 1 Ravetto C, Colombo L, Dottorini ME. Cancer Cytopathol 2000;6:357-63. 2 Greenblath DY, et al. Am Surg Oncol 2006;13:859-63. PATHOLOGICA 2007;99:103-105 Progressi in Cardiopatologia Biopsia endomiocardica O. Leone Anatomia ed Istologia Patologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Orsola-Malpighi”, Bologna La biopsia endomiocardica (BEM) si è diffusa nella pratica clinica negli ultimi decenni ed ha rappresentato un innovativo strumento di indagine nella ricerca sulle malattie del muscolo cardiaco e, grazie alle tecnologie resesi disponibili nel corso degli anni, ha consentito significativi progressi nella ricerca e nella diagnostica delle malattie del miocardio. Attualmente, l'uso diagnostico della BEM nelle cardiomiopatie alla base dello scompenso cardiaco, nelle aritmie e nelle patologie neoplastiche primitive e metastastiche è divenuto routinario, anche se tale realtà non viene probabilmente percepita con chiara evidenza in ambito anatomo-patologico generale al di fuori degli Ospedali in cui sono presenti Centri di trapianto o Centri cardiologici e cardiochirurgici di riferimento. Le ragioni alla base dell'incrementato uso diagnostico della BEM sono principalmente due: - l'impiego sistematico nel monitoraggio del paziente trapiantato, nel quale la BEM rimane ancora oggi il metodo più sensibile per la diagnosi di rigetto, che ha apportato una maggiore consuetudine e sicurezza nell'espletamento dell'indagine; - la crescente attenzione e la necessità della definizione eziologica delle cardiomiopatie, alla luce delle importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche che ne derivano, per cui l'approccio diagnostico al paziente affetto da scompenso cardiaco si è andato modificando. Trattandosi però di un'indagine invasiva, le “capacità” diagnostiche della BEM vanno commisurate alla effettive possibilità di modificare significativamente la diagnosi clinica ed, eventualmente, di apportare contributi alla definizione prognostica della malattia e alle opzioni terapeutiche. Dopo gli studi storici degli anni ’70 ed ’80 della Billingham et al. 1 2, studi recenti 3 effettuati su ampie casistiche bioptiche hanno segnalato una più elevata sensibilità diagnostica della BEM rispetto alla diagnosi clinica in una percentuale significativa (31%) dei casi di cardiomiopatia inspiegata dopo valutazione clinico-strumentale, con particolare riguardo alle patologie della miocardite e dell'amiloidosi, ed un elevato grado di specificità, soprattutto in alcune cardiomiopatie specifiche. Altri studi su casistiche numericamente significative hanno, inoltre, evidenziato il ruolo che tale indagine può assumere nel fornire informazioni utili dal punto di vista prognostico e terapeutico 4 o dettagli patogenetici sulle malattie del miocardio. Gli elementi che hanno, però, contribuito in modo sostanziale ad aumentare la sensibilità e specificità diagnostica della BEM sono rappresentati da: - l'uso di criteri diagnostici istopatologici definiti ed internazionalmente condivisi; - la standardizzazione dei protocolli anatomo-patologici; - la possibilità di affiancare all'esame istologico tradizionale, le altre metodologie e tecniche di caratterizzazione tissutale (metodiche immunoistochimiche, molecolari, ultrastrutturali) 5. Al patologo si richiede spesso un intervento differenziato a seconda della situazione clinica e la capacità di interagire at- tivamente con il clinico, valutando le possibilità diagnostiche della BEM rispetto alle specifiche esigenze. Nelle situazioni in cui la valutazione clinico-strumentale standard non è riuscita a stabilire con un sufficiente grado di certezza la causa della patologia cardiaca, viene richiesto soprattutto di intervenire nella definizione eziologica della malattia, nel contesto di uno scompenso cardiaco di recente insorgenza o cronico o di una patologia aritmica di cui siano state già escluse alcune eziologie. Nei casi in cui il sospetto clinico eziologico è molto indirizzato o la causa della cardiopatia è già accertata, il cardiologo può avere la necessità di disporre, oltre che della definitiva conferma dell'interessamento miocardico, di puntualizzazioni eziologiche più specifiche o di informazioni utili dal punto di vista prognostico e terapeutico, come ad es. la gradazione della malattia e lo studio di parametri istopatologici particolari. Le possibilità diagnostiche della BEM sono quindi, oggi, molto più articolate, per cui il contributo dell'esame istologico può svolgersi a differenti livelli: - la diagnosi di certezza di una cardiomiopatia specifica, possibile in alcune patologie definite: cardiomiopatie infiammatorie, amiloidosi, emocromatosi, glicogenosi, malattia di Anderson-Fabry, desminopatie, sarcoidosi, cardiomiopatia peripartum, endomiocardiofibrosi, alcune patologie aritmiche, patologia neoplastica; - informazioni eziologiche più dettagliate nell'ambito di un gruppo di cardiomiopatie: la natura infettiva, immune o “tossica” delle miocarditi, il tipo di virus causa della malattia infiammatoria, la definizione del tipo di componente fibrillare maggiore nei depositi di amiloide, cioè del tipo di amiloide 6; - la gradazione della malattia, come nell'emocromatosi/emosiderosi, nell'amiloidosi cardiaca, nelle cardiomiopatie infiammatorie; - il grado di attività della malattia, soprattutto nelle malattie infiammatorie; - il monitoraggio della malattia dopo terapia. In alcune patologie su base genetica, come nelle distrofinopatie o nelle cardiomiopatie mitocondriali, la BEM, pur non riuscendo a fornire una diagnosi di certezza, può indirizzare significativamente la diagnosi, contribuendo al successivo programma diagnostico (espletamento ad es. di indagini genetiche). In altri casi ancora, la diagnosi istologica è aspecifica o di generica compatibilità con il pattern funzionale segnalato dal clinico: in tale eventualità, l'esclusione di alcune patologie rappresenta comunque un target importante ai fini prognostico-terapeutici. In tale contesto, è importante che il cardiologo ed il patologo si rendano capaci di una lettura integrata, anche alla luce delle nuove conoscenze sulle cardiomiopatie, che ne stanno sempre più evidenziando la complessità, la possibilità di eziopatogenesi multifattoriali miste e l'eventualità che pattern patofisiologici o quadri morfologici una volta univocamente riferiti a singole forme specifiche, possano in realtà coesistere in una stessa cardiomiopatia, ponendo talora significativi problemi di diagnostica differenziale 7. Nel corso della relazione saranno evidenziate le varie possibilità diagnostiche della BEM, attraverso l'analisi di alcuni protocolli anatomo-patologici. 104 Bibliografia 1 Billingham ME, Tazelaar HD. Cardiac biopsy. In: Parmley WW, Chatterjee K, eds. Cardiology. Vol. 1, Ch 54. Philadelfia: JB Lippincott 1987. 2 Fowles RE, Mason JE. Role of cardiac biopsy in the diagnosis and management of cardiac disease. Prog Cardiovasc Dis 1984;27:153-9. 3 Ardehali H, Qasim A, Cappola T, Howard D, Hruban R, Hare JM, et al. Endomyocardial biopsy plays a role in diagnosing patients with unexplained cardiomyopathy. Am Heart J 2004;147:759-60. 4 Felker GM, Hu W, Hare JM, Hruban RH, Baugham KL, Kasper EK. The spectrum of dilated cardiomyopathy. The Johns Hopkins experience with 1278 patients. Medicine 1999;78:270-83. 5 Severini GM, Mestroni L, Falaschi A, Camerini F, Giacca M. Nested polymerase chain reaction for high sensitivity detection of enteroviral RNA in biological samples. J Clin Microbiol 1993;31:1345-9. 6 Kebbel A, Rocken C. Immunoistochemical classification of amyloid in surgical pathology revisited. Am J Surg Pathol 2006;30:673-83. 7 Biagini E, Ragni L, Ferlito M, Pasquale F, Lofiego C, Leone O, et al. Different types of cardiomyopathy associated with isolated ventricular noncompaction. Am J Cardiol 2006;98:821-4. Morte improvvisa e autopsia molecolare C. Basso, E. Carturan, G. Thiene Sezione di Anatomia Patologica Speciale, Dipartimento di Scienze Medico-diagnostiche e Terapie Speciali, Università di Padova La Morte Improvvisa (MI) è una delle più comuni modalità di morte, le cui cause sono per lo più di origine cardiaca. Nella maggior parte dei casi vengono identificate alterazioni strutturali, ma in una percentuale variabile fino al 20% la MI in giovane età (< 40 anni) rimane inspiegata anche dopo uno studio approfondito macro e microscopico 1 2. Recentemente è stato dimostrato che le MI sine materia sono spesso dovute a mutazioni a livello di geni che codificano per i canali ionici del sodio, del potassio e del calcio (sindrome del QT lungo, del QT corto, di Brugada e della tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica). Inoltre esistono cardiopatie strutturali geneticamente determinate in cui può risultare importante lo screening di mutazione di geni noti (cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, cardiomiopatia ipertrofica, cardiomiopatia dilatativi, malattia progressiva del sistema di conduzione o di Lenegre) 3. Infine una non trascurabile percentuale di MI giovanili è dovuta ad una miocardite di eziologia virale 2. Pertanto, l’applicazione delle tecniche di biologia molecolare risulta fondamentale nello studio postmortem (autopsia molecolare) e risulta pertanto necessario mettere a punto un protocollo uniforme per lo studio molecolare postmortem della MI. Ad oggi, l’indagine genetica molecolare postmortem nella MI giovanile è stata effettuata solo in rari casi. Nel 1999 veniva riportato il primo caso di autopsia molecolare da Ackerman et al. 4 in un caso di MI di una giovane donna di 19 anni, identificando una delezione nel gene del canale del potassio (KCNQ1-LQT 1). Nel 2004, Chugh et al. 5 eseguirono uno screening postmortem per i geni della LQTS in 12 casi di MI con cuore strutturalmente sano. Lo studio fu eseguito utilizzando DNA estratto da campioni autoptici fissati ed inclusi in paraffina (FF-PET). In due casi gli autori identificarono mutazioni nel gene KCNH2–LQT2. Nello stesso anno furono pubblicati altri due studi molecolari postmortem. Di Paolo et al. 6 che indagarono 10 casi di MI giovanile per i geni LQTS utilizzando sempre materiale FF-PET, e identificarono mutazioni nel gene KCNQ1-LQT1 in due individui; e PROGRESSI IN CARDIOPATOLOGIA Tester et al. 7 che identificarono mutazioni del gene RyR2 nel 14% di MI “sine materia”. In quest’ultimo caso l’indagine molecolare è stata eseguita utilizzando DNA estratto da sangue autoptico o da miocardio congelato. Successivamente, gli stessi autori hanno analizzato la stessa casistica di MI “sine materia” per otto geni implicati nella LQTS identificando otto mutazioni missenso (5 KCNQ1-LQT1, 2 KCNH2LQT2, 1 SCN5A-LQT3) e due polimorfismi noti (KCNH2LQT2, SCN5A-LQT3) dei quali è stata dimostrata la potenziale suscettibilità aritmica 8. Complessivamente lo studio molecolare condotto nella serie di 49 MI “sine materia” evidenziava nel 35% dei casi una mutazione putativa dei canali ionici. Più recentemente, Creighton et al. 9 hanno riportato tre nuove mutazioni nel gene RyR2 ed una mutazione nota nel gene KCNH-LQT1 nello studio genetico eseguito in 14 MI con cuore strutturalmente sano, utilizzando DNA estratto da tessuto congelato. Negativa è stata l’indagine condotta da Doolan et al. 10 per i geni KCNQ1 e SCN5A, effettuata in 59 casi MI utilizzando DNA estratto da FF-PET. Gli attuali protocolli autoptici nella MI non prevedono il prelievo di campioni dedicati all’indagine molecolare postmortem. Purtroppo la maggior parte dei campioni disponibili sono FF-PET, essendo questa la miglior tecnica di conservazione tissutale per lo studio istologico ed immunistochimico, ma la processazione del campione durante la fissazione e l’inclusione può portare ad una degradazione degli acidi nucleici che, se non ne precludono, ne limitano l’utilizzo. Infatti, se la media della lunghezza dei frammenti amplificati di DNA nella biopsia endomiocardica è di 300-400 basi, nel tessuto miocardico postmortem è molto più corta, inferiore a 250bp. Va precisato inoltre che, mentre nell’analisi virale la grandezza degli amplificati può essere modificata disegnando coppie di primer specifiche per FF-PET e ricorrendo anche alla nested-PCR, l’analisi di mutazione risulta essere meno modulabile e più esigente. Nel caso in cui non fosse possibile congelare o non fosse disponibile l’RNAlater, la fissazione del tessuto rimane l’unica possibilità. In questa circostanza le raccomandazioni per rendere possibile una successiva estrazione degli acidi nucleici sono: 1) minimo tempo di prefissazione; 2) uso di formalina tamponata al 10%; 3) bassa concentrazione di sali; 4) fissazione a freddo 4°; 5) durata di fissazione entro le 3-6 ore; 6) utilizzare EDTA 20-50 mmol/L come additivo; 7) evitare un basso pH. Per facilitare un’uniforme penetrazione del fissativo è importante che il campione sia di piccole dimensioni (0,5-1 gr) e il volume della soluzione sia circa 20 volte quello del tessuto. Il prolungato tempo di fissazione e le condizioni di conservazione del tessuto incluso in paraffina (umidità e temperatura) non hanno effetti nello studio istologico, ma incidono negativamente nella qualità del DNA 11. Per quanto riguarda studi prospettici, idealmente si dovrebbero sempre prelevare 5ml di sangue in EDTA e 5g di miocardio, milza e/o linfonodi, congelarli e conservarli a -80° o in RNAlater a 4°. Entrambi i metodi di conservazione permettono un’ottimale preservazione del tessuto consentendo l’indagine molecolare postmortem. L’RNAlater è una soluzione acquosa, non tossica, che rapidamente penetra nel tessuto stabilizzando e proteggendo gli acidi nucleici. In tal modo si ovvia alla necessità di processare o congelare immediatamente il campione. Il tessuto di grandezza inferiore a 0.5 cm per lato, viene immerso in un volume di RNAlater pari a 5-10 volte le sue dimensioni e poi conservato a 4° e analizzato in un secondo momento. L’indagine molecolare postmortem può aiutare a ridurre ulteriormente il numero di MI che rimangono inspiegate, nelle PROGRESSI IN CARDIOPATOLOGIA quali la diagnosi finale può essere ottenuta solo attraverso uno screening genetico che, quando positivo, può essere la base di partenza per uno screening clinico-genetico dei familiari, ai fini di una diagnosi precoce nei soggetti asintomatici e della prevenzione della MI. Bibliografia 1 Thiene G, Basso C, Corrado D. Cardiovascular causes of sudden death. In: Silver MD, Gotlieb AI, Schoen FJ (eds.) Cardiovascular pathology. 3rd Edition. Philadelphia: Churchill Livingstone 2001, p. 326-374. 2 Thiene G, Corrado D, Basso C. Cardiomyopathies: is it time for a molecular classification? Eur Heart J 2004;25:1772-5. 3 Basso C, Calabrese F, Corrado D, Thiene G. Postmortem diagnosis in sudden cardiac death victims: macroscopic, microscopic and molecular findings. Cardiovasc Res 2001;50:290-300. 4 Ackerman MJ, Tester DJ, Co-burn JP, Edwards WD. Molecular diagnosis of the inherited long-QT syndrome in a woman who died after near-drowning. N Engl J Med 1999;341:1121-5. 5 Chugh SS, Senashova O, Watts A, Tran PT, Zhou Z, Gong Q, et al. Postmortem molecular screening in unexplained sudden death. J Am 105 6 7 8 9 10 11 Coll Cardiol 2004;43:1625-1629. Di Paolo M, Luchini D, Bloise R, Priori SG. Postmortem molecular analysis in victims of sudden unexplained death. Am J Forensic Med Pathol 2004;25:182-4. Tester DJ, Spoon DB, Valdivia HH, Makielski JC, Ackerman MJ. Targeted mutational analysis of the RyR2-encoded cardiac ryanodine receptor in sudden unexplained death: a molecular autopsy of 49 medical examiner/coroner’s cases. Mayo Clin Proc 2004;79:1380-4. Tester D, Ackerman MJ. Postmortem long QT syndrome genetic testing for sudden unexplained death in the young. J Am Coll Cardiol 2007;49:240-6. Creighton W, Virmani R, Kutys R, Burke A. Identification of novel missense mutations of cardiac ryanodine receptor gene in exercise-induced sudden death at autopsy. J Mol Diagn 2006;8:62-7. Doolan A, Langlois N, Chiu C, Ingles J, Lind JM, Semsarian C. Postmortem molecular analysis of KCNQ1 and SCN5A genes in sudden unexplained death in young Australians. Int J Cardiol. 2007, Epub ahead of print. Carturan E, Tester DJ, Thiene G, Ackerman MJ. Evaluation of different DNA extraction methods in archival heart tissue for postmortem mutational analysis. Lab Invest 2006;86(Suppl):325. PATHOLOGICA 2007;99:106-110 Linfomania I linfomi B a cellule della zona marginale M. Paulli Dipartimento di Patologia Umana, Università di Pavia Nel 1958, Lennert fu il primo a descrivere la cosiddetta “istiocitosi immatura dei seni “, che si rivelò poi essere una proliferazione linfoide reattiva di un peculiare “subset” di cellule B definite come “monocitoidi”. Lennert aveva osservato questa reazione sia in casi di sialoadenite linfoepiteliale sia in alcuni immunocitomi sempre insorti a livello delle ghiandole salivari. Successivamente, vari Autori segnalarono linfomi con caratteristiche citomorfologiche riconducibili alle cellule B monocitoidi, ma solo nel 1992 si iniziò ad ipotizzare l’esistenza di una stretta correlazione tra il linfoma a cellule della zona marginale nodale da un lato e, rispettivamente, i linfomi MALT-correlati ed il linfoma primitivo splenico della zona marginale dall’altro. Seguono alcune brevi note dedicate in parte alla descrizione dei principali aspetti morfofunzionali della zona marginale “normale”, in parte al linfoma marginale a primitività nodale, forma quest’ultima di relativamente rara osservazione. In margine, alcune considerazioni sui dati emergenti che sembrano dimostrare la rilevanza eziopatogenetica dell’infezione da virus HCV nell’eziopatogenesi di alcuni “subsets” di linfomi della zona marginale. La zona marginale: definizione, distribuzione anatomica e morfologia. La zona marginale ZM è un ben distinto compartimento B-cellulare, più evidente in quegli organi linfoidi ad es. polpa bianca della milza, placche del Peyer nel piccolo intestino, tonsille dove il contatto con l’antigene è più frequente e quantitativamente più rilevante. Per questa ragione nei linfonodi, in condizioni di normale stimolo antigenico, la ZM è di solito poco riconoscibile, con la sola eccezione dei linfonodi mesenterici. La ZM circonda la corona mantellare ed è costituita da elementi, prevalentemente di medie dimensioni, con citoplasma spesso chiaro e nuclei, da tondeggianti ad ovoidali, con uno o due nucleoli. All’esame ultrastrutturale le cellule della ZM contengono numerosi piccoli mitocondri, scarse cisterne di reticolo endoplasmatico rugoso ed un ben sviluppato apparato del Golgi. Le cellule della ZM sono frammiste ad una quota variabile di elementi di aspetto blastico, piccoli linfociti, macrofagi, plasmacellule e talora granulociti. Mentre la ZM è poco sviluppata nei linfonodi normali, essa è invece ben evidente in varie linfoadenopatie reattive, la gran parte dei quali ad eziologia infettiva ad es. toxoplasmosi, infezione da HIV, ecc., in forma di una proliferazione B di aspetto monocitoide, con caratteristica distribuzione sinusale sottocapsulare cosiddetta “istiocitosi immatura dei seni”. Proliferazione/iperplasia delle cellule B-monocitoidi è spesso osservabile anche in linfonodi che drenano da aree sede di neoplasia ad es. carcinoma della mammella e carcinoma gastrico. Il profilo immunofenotipico delle cellule della ZM prevede l’espressione degli antigeni CD20 e CD79a con negatività per CD5, CD10, CD23 e CD43. Si osserva inoltre reattività per le sIgM con debole/assente espressione di IgD; frequenti le positività per CD21/CD35 CR1/2 e C3 e per la fosfatasi alcalina. Allo stato dell’arte, non sono disponibili marcatori immunoistochimici assolutamente specifici per le cellule della ZM; alcune speranze in tal senso vengono dai risultati dei tests condotti con l’anticorpo anti-IRTA-1 “immune receptor translocation associated-1 protein, sviluppato presso il laboratorio del prof. Falini. Nonostante il termine ZM identifichi una micro-area anatomica in sede splenica, vari studi hanno sottolineato le analogie morfofunzionali tra le componenti cellulari della ZM rispettivamente splenica e nodali. Esistono però, tra questi distretti, minori differenze in termini di profilo antigenico responsabili, almeno in parte, delle loro differenti caratteristiche funzionali. Queste differenze immunofenotipiche riguardano l’espressione di IgM e bcl-2 rispettivamente variabile ed assente negli elementi monocitoidi nodali, del Ki-B3, epitopo del CD45RA presente sugli elementi monocitoidi nodali, negativo nella ZM splenica e dell’antigene DBA44 negativo sulla ZM splenica, positivo nel 20% circa degli elementi monocitoidi nodali. Su queste basi rimane aperto il dibattito sull’esatta o meno corrispondenza funzionale tra le cellule della ZM splenica e gli elementi B monocitodi nodali. Secondo alcuni Autori, questi ultimi rappresenterebbero una sottopopolazione B funzionalmente differente rispetto alle cellule della ZM splenica: studi sullo stato mutazionale dei geni delle regioni variabili delle immunoglobuline IgvH condotti su cellule della ZM splenica ed a livello delle placche del Payer hanno dimostrato trattarsi prevalentemente di “memory-cells”, con una componente minoritaria di elementi “naive”. Al contrario, gli elementi monocitoidi nodali, ad esempio quelli presenti in corso di linfoadenite toxoplasmosica, sono risultati prevalentemente di tipo “naive” con una quota 25% circa di cellule post-centro germinativo “nonantigen-selected”. L’esatta origine degli elementi della ZM e la loro funzione non sono quindi completamente chiarite: evidenze sperimentali indicherebbero le cellule della ZM quali precursori delle plasmacellule tipo Marschalko; questa modulazione funzionale si realizzerebbe entro 24 ore circa dal contatto con l’antigene, attraverso il passaggio immunoblasto, plasmoblasto sino a plasmacellula, indipendentemente dai meccanismo di regolazione T-mediati. A livello della polpa bianca splenica, le cellule della ZM rappresenterebbero poi sia dei siti di legame che dei vettori di trasporto di antigeni e di complessi immuni, che verrebbero così più facilmente messi a contatto con i prolungamenti degli elementi dendritico-reticolo-follicolari. Linfomi a derivazione dalla zona marginale. Nonostante siano caratterizzati da analogie sia morfologiche che immunomolecolari, i linfomi della ZM mostrano tuttavia alcune peculiarità in termini di presentazione clinica e di “outcome”, tali da giustificarne una distinzione in forme primitive nodali e forme primitive extranodali. La “WHO Lymphoma Classification” ha quindi suddiviso i linfomi B della zona marginale rispettivamente in: a. linfoma B della zona marginale a primitività nodale; b. linfoma B della zona marginale a primitività extranodale del tessuto linfoide mucosa associato MALT*; c. linfoma B della zona marginale a primitività splenica. * a queste principali categorie deve essere aggiunto il linfoma B della zona marginale a primitività cutanea, inserito come LINFOMANIA entità distinta nella “WHO/EORTC Cutaneous Lymphoma Consensus Classification”, 2005. Linfoma B della zona marginale nodale. Definizione: linfoma relativamente raro 1,8% di tutti i LNH, con decorso clinico relativamente indolente, a derivazione dagli elementi B-marginali/sinusoidali; “conditio sine qua non” per una diagnosi di linfoma marginale primitivo nodale, è l’assenza, clinicamente dimostrata, di concomitanti o precedenti localizzazioni extranodali, particolarmente MALT-correlate. Morfologia: il “pattern” di crescita è più spesso sinusale, con tendenza alla confluenza od invece perifollicolare marginale, a circoscrivere residue strutture B-follicolari; esistono anche “patterns” intermedi o di tipo diffuso; residue strutture B-follicolari sono dimostrabili in più dell’80% dei casi, anche se spesso associate ad aspetti di “colonizzazione”. Gli elementi linfomatosi sono di solito facilmente identificabili grazie al loro citoplasma, relativamente ampio e chiaro, che determina una tipica spaziatura tra le cellule neoplastiche. La citologia della popolazione linfomatosa è variabile; l’aspetto più frequente è quello delle cellule monocitoidi: medie dimensioni, citoplasma relativamente ampio e chiaro, blu/grigiastro al Giemsa, nuclei da rotondi ad ovalari, monocito-simili, anche se in questo caso la cromatina è più scura, addensata; i nucleoli sono poco evidenti. Può essere presente una componente di grandi cellule, usualmente < al 10%; ove la quota blastica risultasse superiore deve essere considerata una “variante ricca in grandi cellule”, indicativa di una fase di trasformazione in alto grado. Tipici gli aspetti differenziativi in senso plasmacellulare che talora divengono la nota preminente dell’infiltrato. In alcuni casi la cellularità neoplastica è invece costituita da piccolemedie cellule, con nuclei spesso irregolari, centrocito-simili, ridotto citoplasma ed assenza di differenziazione secernete. Il “background” reattivo può comprendere, oltre a piccoli linfociti, una discreta quota di elementi epitelioidei; frequente l’incremento delle venule epitelioidee. Basandosi sul “pattern” predominante di crescita e su alcune caratteristiche immunofenotipiche, è stata proposta una suddivisione dei linfomi B marginali nodali in due gruppi, rispettivamente “tipo-MALT” e “tipo-splenico”. Il “tipo-MALT” è caratterizzato da un “pattern” prevalentemente sinusale e perivascolare e dall’assenza una concomitante componente extranodale. Il “tipo-splenico” si caratterizza invece per una crescita più spesso perifollicolare e per una costante espressione di IgD. È doveroso ricordare che questa distinzione non riveste un valore assoluto, in quanto non da tutti condivisa. Immunofenotipo. Generalmente gli elementi neoplastici risultano: CD19+; CD20+; CD22+; CD79a+; Ki-B3+, LN1/CDW75+/-reattività debole. In circa l’80% dei casi si osserva una debole positività per bcl-2, negativo invece sugli elementi B monocitoidi reattivi. Negative le immunoreazioni per CD5, CD10, CD23, CD25, CD43 e ciclina D1/bcl1. CIg sono dimostrabili in circa il 50% dei casi, mentre una percentuale variabile tra il 20 ed il 60% degli elementi linfomatosi presenta sIg monoclonali, soprattutto IgM; più spesso negative le sIgD, a differenza di quanto si osserva nelle forme primitive spleniche usualmente positive. Citogenetica ed istogenesi. Gli attuali dati citogenetici non sono conclusivi anche per la rarità delle forme primitive nodali; non appaiono comunque frequenti né la t11;18 q21,q21 né la trisomia 3, usualmente associate ai linfomi marginali extranodali. Sul versante istogenetico, si vanno affermando evidenze a supporto della derivazione relativamente eterogenea del lin- 107 foma marginale nodale, in precedenza considerato ad origine da cellule “B-memory”. Studi sul “pattern” mutazionale della regione variabile delle catene pesanti delle immunoglobuline hanno infatti suggerito la possibile derivazione di questi linfomi da almeno tre distinti “subsets” cellulari in particolare: a da elementi “B-naive” con geni Vh non mutati; b da elementi “B-memory” con mutazioni somatiche in assenza di variazioni intraclonali; c da elementi tipo “germinal-center” identificati per la loro capacità di andare incontro a processi di ipermutazione somatica. Studi di CGH “comparative genomic hybridization” hanno consentito di rilevare alterazioni cromosomiche soprattutto a carico dei cromosomi 3, 18, X ed 1. Diagnostica differenziale. In diagnostica differenziale devono essere considerate rispettivamente: un’iperplasia B-follicolare con associata reazione iperplastica monocitoide; un linfoma B follicolare con aspetti di differenziazione in senso marginale; un linfoma mantellare; una localizzazione secondaria di linfoma MALT extranodale; un linfoma a piccoli linfociti con aspetti differenziativi in senso secernente, in particolare l’immunocitoma. Nel caso delle forme reattive ad es. linfoadenite toxoplasmosica, ecc., è essenziale un attento esame del “pattern” architetturale accompagnato da una valutazione quantitativa della proliferazione monocitoide; una certa cautela è d’obbligo in quanto non esistono criteri assoluti in grado di discriminare con certezza tra una iperplasia B monocitoide marcata ed una fase iniziale di linfoma nodale marginale con crescita sinusale. L’immunoistochimica può rivelarsi di una qualche utilità in quanto le cellule monocitoidi reattive sono usualmente bcl-2 negative mentre gli elementi neoplastici sono positivi sia pur con intensità di grado variabile. Una distinzione morfologica tra un linfoma marginale ed un linfoma follicolare con differenziazione marginale è spesso impossibile, soprattutto nei linfomi marginali con spiccata colonizzazione dei centri. Essenziale il ricorso all’immunoistochimica e soprattutto alle indagini FISH per la ricerca della t14;18. Anche nel caso del linfoma mantellare, la diagnostica differenziale morfologica può risultare difficile; essenziale anche in questo caso il ricorso all’immunoistochimica, con la ricerca della positività per ciclinaD-1/bcl-1, pur ricordando che una quota minoritaria di linfomi mantellari possono risultare CD5 negativi; dirimente, nei casi dubbi, il ricorso alla FISH per la t11;14. È di estrema importanza, ai fini soprattutto prognostico-terapeutici differenziare tra un linfoma marginale nodale primitivo ed una localizzazione secondaria in corso di MALToma extranodale. La sola morfologia non consente questa distinzione ed anche le indicazioni immunofenotipiche si rimanda al paragrafo di cui sopra non sono spesso dirimenti. È essenziale che il patologo non formuli questa diagnosi in mancanza di precisi dati clinici di stadiazione. Alcuni linfomi indolenti a piccole cellule, quali il linfoma linfocitico/LLC e l’immunocitoma possono presentare analogie citomorfologiche con il linfoma della ZM, e soprattutto quei casi con prominenti aspetti differenziativi in senso secernente. Utile in questi casi un’attenta ricerca di eventuali inequivocabili “clusters” di elementi B-monocitoidi; indispensabile l’immunoistochimica con l’impiego di almeno il CD5 e del CD23. Ricordiamo che in alcuni casi una distinzione netta tra un linfoma della ZM con preminenti aspetti differenziativi in senso secernente ed un vero e proprio immunocitoma può risultare impossibile; questo rafforza la pos- 108 sibilità dell’esistenza una sorta di “continuum” tra queste entità. Clinica. Il linfoma marginale a primitività nodale è considerato a decorso clinico indolente. Colpisce più frequentemente soggetti di età media tra i 50 ed i 55 anni a seconda delle casistiche, con una certa preponderanza per il sesso maschile. Nella gran parte dei casi 80% circa sono interessati i linfonodi latero-cervicali. Solo il 15% circa dei pazienti ha sintomi B; rare le leucemizzazioni. Nel 30% dei casi è presente interessamento midollare. Si è già sottolineato della necessità che la diagnosi anatomo-patologica debba essere sempre di probabilità fintanto che un’accurata stadiazione ed un ragionevole follow-up abbiano consentito di escludere precedenti o concomitanti localizzazioni extranodali di malattia. Detto questo rimangono da definire le esatte relazioni biologico-funzionali ed istogenetiche tra i linfomi marginali nodali e le forme primitive extranodali. Un interessante studio comparativo di Nathwani ha dimostrato significative differenze tra le forme primitive nodali ed i MALTomi con localizzazioni nodali secondarie. Le forme primitive nodali si caratterizzano, all’esordio, per uno stadio di malattia spesso avanzato con interessamento di stazioni nodali, sia superficiali che profonde, analogamente a quanto si osserva in altri istotipi di linfomi B indolenti. Non sembrano invece emergere significativi distinguo rispetto ad altri parametri clinico-biologici quali l’età, il sesso, la presenza di sintomi B, i valori di LDH, il “performance status”, lo “score IPI” o l’incidenza di “shift” istologico. In termini di sopravvivenza a 5 aa, i dati relativi alle forme nodali indicano un “trend” meno favorevole 56% a fronte dell’81% per le classiche forme MALT; analoghe le indicazioni sul “failure-free survival” sempre a 5 aa 28% vs. 65% dei MALTomi. Questi dati, con differenze che permangono significative anche dopo stratificazione secondo lo “score IPI”, confermano trattarsi di entità effettivamente distinte. Linfoma della zona marginale ed infezione da virus HCV. La trasformazione neoplastica diretta ad opera di agenti patogeni, è un evidente esempio di linfomagenesi diretta. Paradigmatici in tal senso l’azione svolta dal virus di Epstein-Barr EBV, dall’Herpes Virus Umano 8 HHV8, e dal virus HTLV-1, tutti in grado di infettare “subsets” linfoidi all’interno dei quali si realizza l’espressione di oncogeni virali. Uno scenario alternativo alla onco-trasformazione diretta degli è stato però dimostrato per alcune specie microbiche, la cui azione linfomagenetica segue invece un’azione di tipo indiretto. In questo modello, gli agenti patogeni agiscono quali stimolatori antigenici cronici in grado di facilitare l’insorgenza del vero e proprio processo di trasformazione neoplastico/linfomatoso attraverso un processo di selezione di cloni linfoidi antigeni dipendenti. Paradigmatico di questo modello, il linfoma gastrico MALTcorrelato, dove l’agente patogeno è costituito dall’Helicobacter Pylori HP. Una precisa definizione dei complessi meccanismi della linfomagenesi indiretta e l’identificazione dei diversi possibili patogeni coinvolti può fornire importanti indicazioni, soprattutto sul versante prognostico-terapeutico. È noto che i soggetti affetti da HCV possono presentare un’ampia gamma di manifestazioni extraepatiche dell’infezione, ivi comprese crioglobulinemie e disordini linfoproliferativi B cellulari. In particolare, un recente studio di metanalisi ha confermato, nei pazienti con linfoma non Hodgkin B LNH B, una signi- LINFOMANIA ficativa prevalenza di infezione da HCV: 15% rispetto all’1,5% della popolazione generale. Sulla base di questi dati, sono stati condotti vari studi, soprattutto in vitro, allo scopo di definire i possibili meccanismi linfomagenetici HCV-correlati: sembra accertato che la glicoproteina E2 del virus HCV, in grado di interagire con il CD81, presente sulla superficie dei linfociti B, rappresenti il target della risposta umorale contro il virus. Il CD81 è una tetraspanina ampiamente distribuita sulla superficie di vari tipi cellulari ove partecipa alla costituzione di diversi complessi molecolari. Sugli elementi B, il CD81 forma complessi ad azione costimolante rispettivamente con il CD19 ed il CD21; il successivo legame di questi complessi con il BCR “B-cell receptor antigen” sembra determinare un abbassamento della soglia richiesta per il “trigger” dei meccanisni proliferativi B-cellulari via BCR. Si determinerebbero quindi una serie di alterazioni funzionali in grado di condurre al linfoma, come confermato da studi in vitro sia su linee B infettate da HCV sia su elementi mononucleati del periferico di pazienti HCV+; in questi studi sono state documentate mutazioni dei geni di p53, bcl6 e β-catenina; modificazioni biochimiche a livello del core virale proteico c e della proteina 3 non strutturale NS3 sarebbero coinvolte in questi processi mutazionali. Nonostante il meccanismo linfomagenetico indiretto sembri prevalere nel caso dell’HCV, è stato tuttavia segnalato un caso di linfomagenesi B diretta, in una linea linfoide, ottenuta da un paziente HCV positivo con linfoma mantellare, risultata in grado di produrre virus in vitro. Nonostante questa segnalazione sporadica, il più frequente meccanismo genetico HCV-correlato rimane comunque quello di tipo indiretto come ci si deve attendere nel caso di una proliferazione linfoide antigene-stimolata. Questa indicazione trova ulteriore conferma dalla capacità di HCV-E2 ricombinante di determinare ipermutazioni nei geni delle immunoglobuline, a seguito di un legame esterno con il CD81, quindi con un meccanismo mutageno indipendente da un’azione diretta dell’HCV sulle cellule B. Nonostante le evidenze sia sperimentali che biologiche di una stretta correlazione tra infezione da HCV e linfomi, i dati sull’incidenza dei diversi istotipi di linfomi in pazienti HCV+, sono tuttora relativamente limitati e non univoci. Alcuni studi indicano nei linfomi B diffusi a grandi cellule e nei linfomi B della zona marginale gli istotipi più frequentemente HCV-correlati; altri Autori si limitano invece a sottolineare, nei soggetti HCV+, un semplice aumento del rischio di sviluppare linfomi per la gran parte di natura B ma talora anche di derivazione T ed hodgkiniana. Dibattuta è anche la ipotizzata peculiare associazione tra HCV e sede primitiva del linfoma. I dati della nostra esperienza casistica su questo tema sono stati recentemente arricchiti dalle informazioni relative ad uno studio multicentrico regionale Lombardo incentrato su HCV e linfomi Policlinico “San Matteo”, Università di Pavia, Ospedale “Niguarda”, Ospedale “San Paolo”, Università di Milano, Istituto Tumori Milano. I nostri risultati preliminari confermano la peculiare associazione tra infezione da HCV e gli istotipi diffuso a grandi cellule e marginale; quest’ultimo in particolare mostra un’incidenza molto superiore rispetto alla popolazione generale 28%, nei nostri dati vs. 8%. Sul versante clinico, si conferma poi la predilezione dei linfomi HCV correlati per le sedi extranodali 51%, soprattutto la milza. LINFOMANIA Di particolare interesse l’identificazione di un “subset” di linfomi MALT-correlati extranodali definiti “lipoma-like”, che si caratterizzano per la sede lesionale primitivamente ed esclusivamente sottocutanea, per il decorso clinico, prolungato ed indolente, nonché per la costante HCV positività dei pazienti, spesso in assenza di concomitanti alterazioni della funzionalità epatica. Conclusioni. Nonostante la recente “WHO lymphoma classification” abbia contribuito ad una più efficace definizione delle diverse entità clinicopatologiche comprese nello spettro dei linfomi della zona marginale, molti aspetti devono ancora essere puntualizzati, soprattutto sul versante biologicofunzionale. Di particolare interesse è la tematica, appena anticipata, relativa ai possibili meccanismi linfomagenetici che, nel linfoma della zona marginale, sono almeno in parte mediati da patogeni ad ampia diffusione. Evidenti le ricadute cliniche con l’apertura di nuove frontiere terapeutiche fondate sul possibile impiego, anche in prima linea, di specifiche terapie anti-virali od anti-batteriche. Bibliografia Schmid U, Helbron D, Lennert K. Develoment of malignant lymphoma in myoepithelial sialoadenitis Sjogren’s syndrome. Virchows Arch 1982;395:11-43. Nizze H, Cogliatti SB, Von Schilling C, Feller AC, Lennert K. Monocytoid B-cell lymphoma: morphological variants and relationship to low-grade B-cell lymphoma of the mucosa-associated lymphoid tissue. Histopathology 1991;18:403-14. Arcaini L, Paulli M, Boveri E, Magrini U, Lazzarino M. Marginal zonerelated neoplasms of splenic and nodal origin. Haematologica 2003;88:80-93. Rosa D, Saletti G, De Gregorio E, Zorat F, Comar C, D’Oro U, et al. Activation of naive B lymphocytes via CD81, a pathogenetic mechanism for hepatitis C virus-associated B lymphocyte disorders. Proc Nat Acad Sci Usa 2005;102:18544-9. Suarez F, Lortholary O, Hermine O, Lecuit M. 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The population of cells within the tumor also includes a variable number of mononuclear elements – Hodgkin’s H cells – showing similar cytological features to RS cells and neoplastic cell variants, each in relation to a specific subtype of Hodgkin’s disease. Molecular studies have recently shown that in most, if not all cases, RSC, HC and cell variants actually belong to the same clonal population, which is derived from peripheral B- and T-lymphocytes in about 98% and 2% of cases respectively 1-10. Accordingly, Hodgkin’s disease has 109 been included among malignant lymphomas and the term Hodgkin lymphoma HL has come into use 6 11 12. Although regarded as diagnostic, H&RS cells are not exclusive of HL, since similar elements may be observed in reactive lesions such as infectious mononucleosis, B- and T-cell lymphomas, carcinomas, melanomas or sarcomas 13. Thus, the presence of an appropriate cellular background – along with the results of immunophenotyping – is basic for the diagnosis. The reactive milieu – which can even represent 99% of the whole examined population – consists of small lymphocytes, histiocytes, epithelioid histiocytes, neutrophils, eosinophils, plasma cells, fibroblasts, and vessels in different proportions depending on the histological subtype of HL. It is sustained by autocrine and/or paracrine production of cytokines including IL-1, -2, -5, -6, -7, -8, -9, -10, 13, TNF-__ GM-CSF, M-CSF, TGF-___ bFGF_ VEGF, MCP-1, MIP-1_, MIP-1_, IP10, MIG, TARC, CD70, CD80, and CD86_ 14-23 In addition, various numbers of HRSC may express cytokine receptors such as CD30, CD40, IL-2R CD25/CD122, IL-3R CD123, IL-6R CD126, IL-7R CD127, IL-13R CD213, TNF-R CD120, TGF-_R CD105/endoglin, M-CSF-R CD115, SCF-R CD117/c-kit receptor, and FasL CD178 14 15 19 20 24-26, chemokine receptors and their ligands e.g. CXCR6, CCR10, CXCL 16, and CCL28 27, and receptor tyrosine kineses see PDGFR_, DDR2, EPHB1, RON, TRKA, and TRKB 28. The release of these molecules is also responsible for the characteristics of the non neoplastic component 29 30 and most of the symptoms recorded in HL patients, as well as for the growth and immunosurveillance escape of neoplastic cells. It has also been proposed that hepatocyte growth factor HGF and its receptor c-MET might constitute an additional signalling pathway between RSC and the reactive cellular background, affecting adhesion, proliferation and survival of H&RS cells 31. Histopathological classification. In 1832, Sir Thomas Hodgkin provided the first description of the process in a paper entitled “On some morbid appearances of the absorbent glands and spleen” 32. In 1898 and 1902, Carl Sternberg and Dorothy Reed independently described the typical “diagnostic” cells 33 34. In 1944, Jackson and Parker proposed the first comprehensive classification of the tumour 35. This classification, however, was subsequently found to be clinically irrelevant, since most patients belonged to the granulomatous subtype and the response to therapy greatly differed from case to case. In 1956, Smetana and Cohen identified a histopathologic variant of granulomatous Hodgkin’s disease, provided with a better prognosis and characterised by sclerotic changes 36: this variant was termed “nodular slerosis Hodgkin’s disease” in the classification proposed by Lukes, Butler and Hicks in 1964 37. The latter classification, simplified at the Rye Conference in 1965, was routinely used for some decades, because of the high inter- and intra-personal reproducibility and satisfying clinico-pathologic correlations 38. In 1994, in the light of morphologic, phenotypic, genotypic and clinical findings, HL was listed in the Revised EuropeanAmerican Lymphoma REAL Classification 39 and subdivided into two main types: lymphocyte-predominant LP-HL and classical HL. The latter further included the following subtypes: a nodular sclerosis classical HL, b mixed cellularity classical HL, c lymphocyte depletion classical HL, and d lymphocyte-rich classical HL. In 2001, this approach was adopted by the World Health Organization WHO, which promoted lymphocyte-rich classical HL from provisional entity to accepted entity 40. On this occasion, the concept of lym- LINFOMANIA 110 phocyte-rich classical HL has been expanded by including a nodular form of the process, as proposed by the European Lymphoma Task Force 41. It is worthy of note that HL subtyping should be performed only in lymph node biopsies at the onset of the of disease: in fact, chemo- and/or radio-therapy actually modify the histopathologal picture by inducing a lymphocyte depleted pattern. 19 20 21 22 References 1 Hummel M, Marafioti T, Stein H. Immunoglobulin V genes in ReedSternberg cells. New Engl J Med 1999;334:405-6. 2 Marafioti T, Hummel M, Anagnostopoulos I, et al. Origin of nodular LP-Hodgkin’s disease from a clonal expansion of highly mutated germinal center B cells. New Engl J Med 1997;337:453-8. 3 Izban KF, Nawrocki JF, Alkan S, et al. 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Infatti, è una terapia per un rischio e non per una malattia conclamata: non esiste quindi la possibilità di controllarne l’efficacia sull’individuo a cui è stato prescritto. Il trattamento precauzionale va confezionato basandosi interamente sui risultati derivanti da studi clinici del passato; 2. nel processo decisionale del trattamento precauzionale i seguenti cinque aspetti giocano un ruolo fondamentale: a. valutazione del grado di endocrino-responsività della neoplasia, b. valutazione del rischio di recidiva, c. estrapolazione da studi clinici condotti nel passato in pazienti con una simile presentazione della malattia, d. l’interpretazione sulla rilevanza dei vari trattamenti nel caso specifico di ogni singolo paziente da parte dell’oncologo curante, e. la preferenza della paziente e la sua opinione rispetto alla ragionevolezza delle varie terapie in termini di costo-beneficio. Nell’ultima conferenza di San Gallo nel marzo 2007 si è discusso molto per dare ai medici professionisti implicati nella medicina del cancro un’interpretazione da parte di opinion leaders su come affrontare il processo della scelta del trattamento. Tale interpretazione è controversa. La sovrastima di dati randomizzanti può indurre a false conclusioni sul beneficio rispetto a certi gruppi di pazienti. L’errore al contrario può invece determinare una mancata individuazione di differenze biologicamente tangibili con implicazioni e ricadute terapeutiche. Sono stati effettuati dei cambiamenti fondamentali nella selezione del trattamento sistemico precauzionale, attribuendo primaria importanza all’endocrino-responsività. Si distinguono, infatti, tre categorie: 1. la malattia endocrino-responsiva, il cui trattamento primario è l’endocrinoterapia; 2. la malattia non endocrino-responsiva, per la quale viene esclusa l’endocrinoterapia dal trattamento; 3. gruppo di malattia con caratteristiche intermedie, per il cui trattamento la sola endocrinoterapia non viene giudicata sufficiente. La scelta del trattamento precauzionale, inoltre, dipende anche dallo stato menopausale. Si definiscono tre gruppi a rischio: basso, intermedio ed alto, variando leggermente la precedente classificazione. Si raccomanda la terapia endocrina come pilastro portante e componente principale del trattamento precauzionale nelle pazienti con malattia endocrino-responsiva. L’aggiunta della chemioterapia viene invece valutata per le pazienti con carcinoma mammario endocrinoresponsivo appartenenti al gruppo ad alto rischio o a rischio intermedio di recidiva; l’impiego della sola chemioterapia è riservata per le pazienti con malattia non endocrino-responsiva, mentre l’associazione chemioterapia ed endocrinoterapia viene utilizzata per pazienti con malattia con endocrino-responsività dubbia ed incerta, eccezion fatta per coloro che appartengono al gruppo a basso rischio di recidiva. Da poco tempo si dispone di nuovi dati importanti derivanti da 5 studi clinici, che indicano che l’impiego dell’anticorpo monoclonale trastuzumab, è vantaggioso nel trattamento precauzionale delle donne affette da carcinoma mammario con sovraespressione o amplificazione del c-erbB2. L’aggiunta di trastuzumab ai trattamenti precauzionali attualmente a disposizione è ancora una controversia medica e soprattutto di salute pubblica. Si presume che nel prossimo futuro ci saranno altre nuove risorse terapeutiche che saranno confezionate sul singolo individuo e non solo sul gruppo di rischio. Questo obiettivo rappresenta comunque un compito particolarmente difficile, proprio perché non si ha uno strumento ed un modo concreto per dimostrare l’efficacia del trattamento precauzionale nelle singole pazienti che sono donne sane. Carcinomi della mammella: nuovi istotipi V. Eusebi, F. Flamminio Sezione di Istocitopatologia e Citogenetica “Marcello Malpighi”, Università di Bologna presso Ospedale “Bellaria”, Bologna Dopo più di 200 anni di morfologia diagnostica parlare di “nuovi” istotipi sembra arrogante. In realtà la maggior parte delle malattie non sono “nuove” perché sono sempre esistite e il fatto che non siano state riconosciute è dovuto a molti fattori, non ultimo la rarità di un singolo tumore che lo ha tenuto celato negli anni. In campo mammario, a conoscenza dello scrivente, i c.d. nuovi istotipi non sono altro che localizzazioni mammarie di neoplasie comunemente insorte in altre sedi che occasionalmente si osservano in ambito mammario. Per questo viene detto che la patologia mammaria è il campo più trasversale della “Surgical Pathology”. Se non si conosce questa, la patologia mammaria resterà uno sterile esercizio collegato ai marcatori predittivi e/o prognostici o ancor peggio si può trascorrere la vita nello stabilire se carcinomi in situ minimi, prognosticamente irrilevanti, debbano essere denominati iperplasia duttale atipica, DIN o carcinoma duttale in situ ben differenziato. Pertanto qui ci si limiterà a descrivere le nuove localizzazioni di lesioni comunemente osservate in altre sedi e non descritte fino all’ultimo decennio nella mammella. Verranno descritti gli adenoibernomi 1 2 e i pecomi mammari 2. Verranno indicati un gruppo di lesioni stromali benigne a cellule fusate 3 4. Neoplasie simili a quelle delle ghiandole salivari quali il carcinoma acinico 5, gli oncocitomi 6 e il carcinoma pleomorfo di “basso grado” 7 verranno descritti. I carcinomi a cellule pigmentate, melanina producenti verranno discussi. Infine lesioni identiche a quelle che si osservano nella tiroide 8 dimostreranno le relazioni esistenti fra questi due organi. Bibliografia 1 Damiani S, Panarelli M. Mammary adenohibernoma. Histopathology 1996;28:554-5. 112 2 3 4 5 6 7 8 Damiani S, Chiodera P, Guaragni M, et al. Mammary angiomyolipoma. Virchows Arch 2002;440:551-2. Magro G, Bisceglia M, Michal M, et al. Spindle cell lipoma-like tumor, solitary fibrous tumor and myofibroblastoma of the breast: a clinico-pathological analysis of 13 cases in favor of a unifyng histogenetic concept. Virchows Arch 2002;440:249-60. Damiani S, Miettinen M, Peterse JL, et al. Solitary fibrous tumormyofibroblastoma of the breast. Virchows Arch 1994;425:89-92. Damiani S, Pasquinelli G, Lamovec J, et al. 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Qui sono riassunti solo alcuni di quelli più importanti che, per originalità e tipo di disegno sperimentale, rappresentano una novità assoluta nel trattamento adiuvante del carcinoma mammario. Inoltre, cosa più importante, per la prima volta in questi studi è richiesta una stretta collaborazione multidisciplinare fra diversi specialisti: chirurghi, oncologi, anatomo-patologi, senza la quale non è assolutamente possibile condurre questi studi. Il MINDACT Microarray In Node-negative Disease may Avoid Chemotherapy è uno studio prospettico randomizzato che propone il confronto tra il profilo di espressione dei 70 geni di Amsterdam microarray ed i comuni criteri clinico-patologici per meglio selezionare le pazienti affette da tumore della mammella linfonodi-negativo destinate alla chemioterapia adiuvante (Fig. 1). L’obiettivo primario è quello di dimostrare la superiorità di questo approccio, che studia il profilo molecolare della malattia, sul classico metodo clinico, nell’assegnare adeguate Fig. 1. MINDACT Trial (vedi il testo per la descrizione). CARCINOMA DELLA MAMMELLA categorie di rischio e la conseguente necessità di ricevere o no un trattamento chemioterapico adiuvante per le pazienti con carcinoma mammario linfonodi ascellari negativo. Lo studio inoltre mirerà a confrontare un regime chemioterapico a base di docetaxel e capecitabina possibilmente associato ad una maggiore efficacia ed a ridotte tossicità a lungo termine, con gli schemi comunemente usati a base di antracicline. L’ultimo obiettivo primario sarà quello di determinare la migliore strategia di trattamento ormonale, confrontando la monoterapia up-front con un inibitore dell’aromatasi letrozolo per sette anni con la strategia sequenziale fatta da 2 anni di tamoxifen seguiti da 5 anni di letrozolo. Il TAILORx A Clinical Trial Assigning IndividuaLized Options for Treatment Rx è uno studio disegnato per includere un nuovo test, denominato Oncotype DX, nel processo decisionale riguardante le pazienti con tumore della mammella in stadio iniziale (Fig. 2). Questo trial includerà donne con tumori che esprimono i recettori ormonali ER and/or PGR positive, Her2 negative e linfonodi ascellari negativi. L’Oncotype DX è il primo test in grado di fornire una valutazione individuale, quantitativa della probabilità di recidiva di malattia. Per mezzo dell’analisi di 21 geni associati al carcinoma mammario, i ricercatori dell’NSABP sono stati capaci di predire la probabilità di recidiva a dieci anni dalla diagnosi iniziale, in modo più accurato rispetto ai metodi attualmente in uso. L’Oncotype DX utilizza le ultimissime tecnologie per analizzare l’espressione o l’attività di questi 21 geni. I risultati dell’analisi genica vengono quindi, mediante un’equazione matematica, convertiti in un punteggio denominato Recurrence Score. Questo punteggio è un numero compreso tra 0 e 100 che correla con una specifica probabilità di ripresa di malattia entro dieci anni dalla diagnosi iniziale. Per mezzo dei risultati di questo test, le pazienti verranno separate in tre categorie: – Primary Study Group Recurrence Score 11-25; – Secondary Study Group 1 Recurrence Score 10 or lower; – Secondary Study Group 2 Recurrence Score 26 or higher (Fig. 2). Circa il 40% delle pazienti affette da carcinoma mammario rientra nel Primary Study Group. I ricercatori dubitano che le pazienti di questo gruppo possano avere benefici con la chemioterapia adiuvante. Lo scopo dello studio è appunto quello di stabilire se la chemioterapia ha dei benefici in queste pazienti ed in caso di risposta positiva, quali pazienti possano trarne maggiore giovamento. L’ALTTO Adjuvant Lapatinib and/or Trastuzumab Treatment Optimisation è uno studio aperto di fase III, multicentrico, randomizzato che confronta l’attività della monoterapia con lapatinib verso trastuzumab da solo verso trastuzumab seguito da lapatinib verso la combinazione di lapatinib con Fig. 2. TAILORx Trial (vedi il testo per la descrizione). CARCINOMA DELLA MAMMELLA trastuzumab nel trattamento adiuvante delle pazienti con carcinoma mammario avente HER2 iperespresso e/o amplificato. I regimi chemioterapici a base di trastuzumab hanno migliorato sia il controllo sistemico della malattia che la sopravvivenza globale delle pazienti con tumore della mammella HER2 positivo. Nonostante ciò, alcune pazienti continuano a sviluppare progressione di malattia come risultato di una resistenza al farmaco che può essere de novo oppure acquisita. Nel complesso, il rapporto rischio-beneficio è decisamente a favore del trastuzumab, anche se ulteriori progressi potranno essere fatti con l’uso di terapie anti-HER2 che mantengono l’efficacia del trastuzumab, ma meno cardiotossiche. Il lapatinib è una piccola molecola attivo per via orale, inibitore reversibile delle tirosin-chinasi, che blocca in modo potente l’attività tirosin-chinasica associata sia ad ErbB1 che ad ErbB2. 113 Dati preliminari suggeriscono che questa doppia inibizione recettoriale è associata ad un maggiore beneficio terapeutico rispetto agli inibitori che agiscono su uno solo dei recettori. L’obiettivo primario di questo studio è confrontare, in termini di disease-free survival DFS, le pazienti randomizzate ad un anno di trastuzumab verso lapatinib per un anno verso trastuzumab per 12 settimane seguito da lapatinib per un totale di 52 settimane un anno di trattamento da iniziare dopo un periodo di sei settimane di wash-out, verso la combinazione di trastuzumab e lapatinib per un anno. Obiettivi secondari sono rappresentati dal confronto tra i vari gruppi riguardo a: sopravvivenza globale, tempo alla recidiva, tempo alla recidiva a distanza, sicurezza e tollerabilità, incidenza di metastasi cerebrali ed analisi condotte separatamente per coorti di pazienti identificate in base alla presenza o assenza dell’amplificazione dell’oncogene cMyc, al livello di espressione di PTEN ed alla presenza o assenza del recettore p95HER2 forma troncata. PATHOLOGICA 2007;99:114-116 Trapianti d’organo Diagnostica del donatore W.F. Grigioni, N. Zucchini, M. Fiorentino, A. Bagni, B. Corti, B. Fabbrizio, M.G. Pirini, A. Altimari, E. Gruppioni, E. Gabusi, E. Capizzi, A. D’Errico Grigioni U.O. di Anatomia e Istologia Patologica, Istituto Oncologico “F. Addarii”, Policlinico “S. Orsola-Malpighi”, Università di Bologna La continua richiesta di organi e l’allungamento delle liste di attesa ha fatto sì che il pool dei donatori si stia espandendo non solo rispetto al dato anagrafico ma anche alla pregressa storia clinica con l’incremento del rischio di trasmissione di malattia donatore/ricevente. Il rischio di trasmissione neoplastica, inizialmente trascurato nell’era pionieristica del trapianto di organi solidi, fu posto come problema solo negli anni ’60 quando iniziarono a comparire in letteratura le prime segnalazioni di trasmissione neoplastica donatore/ricevente 1 2. Nel 1968 il dr. Israel Penn istituì il Denver Tumor Registry in seguito Cincinnati Transplant Tumor Registry – CTTR nel quale raccolse, fino all’agosto del 1997, dati inerenti 270 pazienti riceventi organi da donatori affetti da neoplasia. La natura “aneddotica” dei casi raccolti, risultato di segnalazioni spontanee da diversi centri di trapianto, ha reso questo registro fondamentale ma nello stesso tempo limitato, sia per la mancanza di un confronto con la popolazione totale dei donatori, sia per l’assenza in molti casi di parametri quali istotipo tumorale, grado e stadio delle neoplasie dei donatori, fondamentali per la comprensione del decorso e della loro aggressività biologica 3-6. Solo in tempi recenti il rischio di trasmissione neoplastica donatorericevente è stato affrontato in maniera più sistematica dalla United Network for Organ Sharing UNOS ed in particolare il dr. Kauffman: in uno studio pubblicato nel 2002 su 34.933 donatori e 108.062 riceventi, distinguendo le neoplasie del ricevente in trasmesse di fatto presenti al momento della donazione e come derivate comparse de novo nel ricevente, ma in elementi cellulari del donatore, il rischio di trasmissione neoplastica per donatore è pari a 0,025% 1 ogni 3.881 donatori, mentre per organo trapiantato è pari a 0,017% 1 ogni 6.003 organi trapiantati, con una mortalità del 38% 7. Dalla revisione della letteratura, inclusa quella di origine europea 8-15, emerge che, analizzando casistiche il più possibile controllate nei diversi Registri, il rischio di trasmissione neoplastica è piuttosto basso nel complesso, eccettuati alcuni istotipi particolarmente aggressivi indipendentemente dallo stato di competenza del sistema immunitario del paziente: il melanoma, il corioncarcinoma, i tumori a piccole cellule di tutte le sedi, il carcinoma mammario, i carcinomi anaplastici e alcuni istotipi di linfomi non-Hodgkin, tutti correlati con una alta incidenza di trasmissione di malattia nel ricevente. La maggior parte degli Autori che si è occupata di queste problematiche ciò nonostante ritiene irrinunciabile un protocollo di screening dei donatori il più accurato possibile: una anamnesi accurata, un inquadramento sierologico e di diagnostica per immagine oltre che una attenta analisi di torace ed addome da parte del chirurgo prelevatore con esame estemporaneo nei casi dubbi, rappresentano fasi fondamentali in ogni procedimento di espianto, al fine di permettere una adeguata sicurezza nella procedura trapiantologica e nel futuro del ricevente. Le raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 1997 sul tema della donazione di organi e tessuti promuovevano infatti l’obiettivo di ridurre al minimo il rischio di trasmissione di malattie da donatore a ricevente concetto di rischio zero 16. In Italia, la Regione Emilia-Romagna si è adeguata con un protocollo estremamente stringente: il donatore non doveva essere portatore di nessuna neoplasia maligna potenzialmente metastatica: non doveva essere portatore di alcun tumore o, al massimo, poteva essere accettabile un tumore maligno in uno stadio “in situ” o incapace di dare metastasi a distanza es. carcinoma basocellulare 17. Il Centro Nazionale Trapianti CNT ha fatto proprio questo principio dal 2001 elaborando le prime Linee Guida nazionali per la valutazione di idoneità del donatore, tuttavia la carenza di organi e il progressivo aumento del numero dei pazienti in attesa di trapianto, ha reso cogente il problema della morte in lista di attesa per cui le Linee Guida nazionali sono state rivisitate nel 2005 con lo scopo di definire livelli di rischio accettabili/non accettabili per l’utilizzo degli organi 18. Ogni potenziale donatore deve pertanto poter essere inserito in una delle tre categorie di rischio delle Linee Guida del CNT rischio standard, rischio aumentato ma accettabile con consenso informato, rischio inaccettabile durante il processo di valutazione di idoneità alla donazione. Nella valutazione dei donatori a rischio di trasmissione neoplastica ruolo fondamentale hanno l’istotipo, il grado di differenziazione e lo stadio delle neoplasie riscontrate durante il protocollo di screening. Come evidenziato dai dati del Registro Nazionale dei Donatori a Rischio di Trasmissione Neoplastica istituito nel 2002 19, dal 2002 al 2005 in 351 donatori potenziali con rischio di trasmissione neoplastica il ruolo del patologo è stato fondamentale nel 81% 285 dei casi. La diagnosi istologica infatti è stata fondamentale nel determinare la categoria di rischio di donazione prima, durante e dopo la fase di espianto/trapianto (Tab. I): la diagnostica istopatologica, nel fornire i dati di istotipo, grading e stadiazione delle neoplasie, consente di giungere alla definizione della categoria di rischio in buona parte dei casi durante la fase di rac- Tab. I. Coinvolgimento del patologo in 351 donatori a rischio di trasmissione neoplastica dal Registro Nazionale dei Donatori a rischio di trasmissione neoplastica istituito 2002-2005. Momento della diagnosi Diagnosi clinica Diagnosi istopatologica Prima Durante Dopo Donatori potenziali 61 92% 115 40% 2 4% 145 51% 2 4% 26 9% 66 285 TRAPIANTI D’ORGANO colta dei dati anamnestici. Altrettanto importante è l’esame estemporaneo che contribuisce alla risoluzione del dubbio diagnostico in corso di screening nel 40% dei casi ma che, per la tempistica degli espianti d’organo, viene richiesto soprattutto di notte con buona pace dei patologi coinvolti in questa attività 20. Persiste il problema della diagnosi di neoplasia a trapianto avvenuto 7% con tutte le implicazioni cliniche e medico-legali che ne derivano. La pratica sistematica del riscontro diagnostico sul cadavere del donatore 57% dei casi diagnosticati in post-trapianto viene suggerita dalla letteratura 6 15, ma allo stesso tempo presenta i limiti intrinseci della discrepanza tra diagnosi macroscopica e microscopica, dei tempi di risposta e non influisce sulla riduzione del rischio di trasmissione neoplastica donatore/ricevente. Il ruolo del patologo tuttavia non si esaurisce solamente al momento della donazione d’organo, ma diventa nuovamente di fondamentale importanza in corso di follow-up in quei riceventi, fortunatamente pochi, con rischio di trasmissione neoplastica: la diagnosi precoce di neoplasia trasmessa, la diagnosi differenziale con neoplasie de novo derivate e non, sono infatti il cardine del follow-up di questi pazienti ove la diagnosi istologica può divenire d’ausilio alle metodiche cliniche. In questo contesto le indagini di biologia molecolare possono offrire un valido supporto diagnostico con il follow-up molecolare con la ricerca di cellule tumorali circolanti nel sangue del ricevente 21 e la comparazione genomica donatore/ricevente 22. Bibliografia 1 Wilson RE, Hager EB, Hampers CL, Corson JM, Merrill JP, Murray JE. Immunologic rejection of human cancer transplanted with a renal allograft. New Engl J Med 1968;278:479-83. 2 Muizniks HW, Berg JW, Lawrence W Jr, Randall HT. Suitability of donor kidney from patient with cancer. Surgery 1968;64:871-7. 3 Penn I. Donor transmitted disease: cancer. Transpl Proc 1991;23:2629-31. 4 Penn I. The effect of immunosoppression on pre-existing cancers. Transplantation 1993;55:742-7. 5 Penn I. The problem of cancer in organ transplant recipients: an overview. Transplant Sci 1994;4:23-32. 6 Penn I. Transmission of cancer from organ donors. Ann Transplant 1997;2:7-12. 7 Kauffman HM, McBride MA, Cherikh WS, Spain PC, Marks WH, Roza AM. Transplant tumor registry: donor related malignancies. Transplantation 2002;74:358. 8 Kauffman HM, McBride MA, Delmonico FL. First report of the united network for organ sharing transplant tumor registry: donors with a history of cancer. Transplantation 2000;70:1747. 9 Buell JF, et al. Transmission of donor cancer into cardiothoracic transplant recipients. Surgery 2001;130:660-8. 10 Feng S, Buell JF, Cherick WS, Deng MC, et al. Organ donors with positive viral serology or malignancy: risk of disease transmission by transplantation. Transplantation 2002;74:1657-63. 11 Kauffman HM, Cherikh WS, McBride MA, Cheng YA, Delmonico FL, Hanto DW. Transplant recipients with a history of a malignancy: risk of recurrent and de novo cancer. Transplan Rev 2005;19:55-64. 12 Burtin P, Boman F, Pinelli MF, Mattei MF, et al. Cancers following thoracic organ transplantation: a single center study. Transpl Proc 1995;27:1765-16. 13 Jacobs U, Paar D, Buszello H, KlehrH-U. Tumor after transplantation: are there associated factors? Transpl Proc 1996:28:32-48. 14 Matesanz R. The Council of Europe and organ transplantation. Transpl Proc 1997;29:3205-7. 15 Birkeland SA, Storm HH. Risk of tumor and other disease transmission by transplantation: a population-based study of unrecognized malignancies and other diseases in organ donors. Transplantation 2002;74:1409-13. 16 International consensus document standardization of organ donor screening to prevent transmission of neoplastic diseases. Select Com- 115 17 18 19 20 21 22 mittee of experts in the organisational aspects of cooperation in organ transplantation, Council of Europe. Transplant Newsletter 1997, p. 2. Fiorentino M, D’Errico A, Corti B, Casanova S, et al. A multiorgan donor cancer screening protocol: the Italian Emilia-Romagna region experience. Transplantation 2003;76:1695-9. Centro Nazionale Trapianti. Criteri generali per la valutazione di idoneità del donatore www.airt.it/pdf/LineeMar05.pdf. Taioli E, Mattucci DM, Calmieri S, Rizzato L, Caprio M, Nanni Costa A. A population-based study of cancer incidence in solid organ transplants from donors at various risk of neoplasia. Transplantation 2007;83:13-6. Valente M, Calabrese F, Angelini A, Castiglione AG, et al. Role of the pathologist in organ transplantation: the north italy transplant program experience. Transplant Proc 2006;38:983-5. Gabusi E, Corti B, D’Errico A, Ridolfi L, Ercolani G, et al. Molecular monitoring of organ recipients from cancer-affected donors by detection of cirtulating tumor cells. Transplant Proc 2004;36:1344-7. Altimari A, Gruppioni E, Fiorentino M, Petraroli R, Pinna AD, et al. Genomic allelotyping for distinction of recurrent and de novo hepatocellular carcinoma after orthotopic liver transplantation. Diagn Mol Pathol 2005;14:34-8. Patologia molecolare delle neoplasie posttrapianto G. Gaidano, D. Capello, S. Franceschetti, D. Rossi Divisione di Ematologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, Novara L’aumento di incidenza di tumori nelle persone trattate con farmaci immunosoppressivi anti-rigetto è noto sin dalla fine degli anni ’60. Linfomi e sarcoma di Kaposi (KS) sono i principali tipi di neoplasie post-trapianto di cui sia stata caratterizzata la patologia molecolare. In base alla classificazione WHO, i disordini linfoproliferativi post-trapianto (PTLD) monoclonali sono distinti in PTLD polimorfico, e PTLD monomorfici, tra cui linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) e linfoma di Burkitt/Burkitt-like (BL/BLL). Le informazioni riguardanti l’istogenesi dei PTLD derivano dall’applicazione di un modello in grado di distinguere i linfociti B maturi in: i) cellule B vergini; ii) cellule B del centro germinativo (CG); e iii) cellule B post-CG. Le mutazioni dei geni IgV si accumulano fisiologicamente durante il transito dei linfociti B attraverso il CG (mutazioni ongoing), per quindi rimanere stabili nelle fasi post-CG. Le mutazioni di IgV rappresentano il più affidabile marcatore genotipico di istogenesi: la positività per mutazioni ongoing identifica l’origine del clone neoplastico da linfociti B del CG, mentre la positività per mutazioni “stabili” identifica l’origine da linfociti B post-CG. L’espressione dei marcatori BCL-6, MUM1 e CD138 permette una ulteriore stratificazione istogenetica. Infatti, BCL-6 è espresso dai linfociti B del CG, MUM1 dai centrociti tardivi e dalle cellule B post-CG, e CD138 dai linfociti B post-CG indirizzati verso la differenziazione plasmacellulare. A differenza di quanto avviene nei linfomi B dell’ospite immunocompetente e nei linfomi HIVcorrelati, la maggior parte dei PTLD originano da centrociti tardivi, in quanto mostrano mutazioni stabili dei geni IgV ed esprimono il fenotipo BCL-6-/MUM1+/CD138-. I fattori molecolari coinvolti nella patogenesi dei PTLD sono molteplici e comprendono: i) stimolazione antigentica; ii) infezione da virus oncogeni; e iii) lesioni a carico di protooncogeni e geni oncosoppressori. Nei PTLD, diversamente da quanto avviene nei linfomi HIV-correlati, il ruolo della stimolazione antigenica è minore. Infatti, ~50% dei PTLD orig- 116 ina da linfociti B che hanno perso la capacità di esprimere una Ig funzionante. Tale fenomeno è giustificato in parte dalla presenza di mutazioni di IgV crippling, che introducono un codone di stop che blocca la sintesi della proteina. Poiché l’espressione di una Ig funzionante è necessaria per la sopravvivenza dei linfociti B, le cellule di PTLD sono salvate dalla apoptosi da meccanismi alternativi, tra cui la infezione da EBV. Inoltre, solo una frazione dei PTLD che esprimono una Ig funzionale porta i segni molecolari della stimolazione antigenica e, a differenza di quanto avviene nel linfomi HIV-correlati, i PTLD non mostrano il fenomeno dell’utilizzo preferenziale di specifici geni per la regione variabile delle Ig. EBV infetta ~60-80% dei PTLD. L’infezione è frequentemente monoclonale e, quindi, verosimilmente presente fin dalle prime fasi della espansione clonale. Nei soggetti trapiantati, linfociti B infettati da EBV sono presenti in numero aumentato nel sangue e nei tessuti dei pazienti che successivamente svilupperanno un linfoma. Inoltre, una compromissione della immunità cellulo-mediata specifica contro EBV costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di linfoma. HHV8 è selettivamente associato alla patogenesi del PEL nel contesto post-trapianto. Benché inizialmente alcuni autori abbiano descritto una elevata prevalenza di SV40 nei linfomi dell’ospite immunodeficiente, successivamente tale associazione è stata ampiamente smentita da studi epidemiologici, sierologici, istologici e molecolari. La progressione a linfoma richiede l’accumulo di lesioni genetiche o epigenetiche a carico di proto-oncogeni e geni oncosoppressori. A differenza dei linfomi della popolazione generale il cui DNA è generalmente stabile, una frazione di PTLD, per un difetto dei meccanismi di riparazione del DNA, acquisisce un fenotipo mutatore e accumula mutazioni a carico di numerosi geni, fra cui i geni pro-apoptotici BAX e CASPASE5 e il gene di riparazione del DNA RAD50. Accanto alla instabilità dei microsatelliti, le alterazioni molecolari dei PTLD includono lesioni a carico dei proto-oncogeni c-MYC e BCL-6 e del gene oncosoppressore p53, la ipermetilazione del DNA e il fenomeno della mutazione aberrante di proto-oncogeni. cMYC è riarrangiato nel 100% di BL/BLL e mutazioni di BCL-6 ricorrono nel 50% dei PTLD. Il gene MGMT codifica per un enzima di riparazione del DNA che protegge le cel- TRAPIANTI D’ORGANO lule dal danno mutageno delle sostanze alchilanti. La inattivazione di MGMT causa tumori tramite l’accumulo di mutazioni di RAS e p53, e induce lo sviluppo di linfomi nei topi knockout. MGMT è metilato nel 60% dei PTLD. DAP-kinasi è una serina-treonina kinasi coinvolta nella trasduzione del segnale apoptotico innescato dai death receptors. La inattivazione di DAP-kinasi ha pertanto un effetto anti-apoptotico. DAP-kinasi è inattivato tramite metilazione nell’80% dei PTLD. Il meccanismo di ipermutazione somatica può colpire in maniera aberrante e tumore-specifica i proto-oncogeni PIM-1, c-MYC, PAX-5 e RhoH/TTF ed è presente nel 30% dei PTLD. Poiché le mutazioni colpiscono la regione regolatoria di PIM-1, c-MYC, PAX-5 e RhoH/TTF, tali mutazioni possono influire sulla trascrizione del gene. Inoltre, le mutazioni possono agire tramite l’introduzione di variazioni nella sequenza genica codificante del proto-oncogene. Recenti studi con tecniche di wide genome analysis, quali Microarray-Comparative Genomic Hybridization (MA-CGH), hanno rivelato nuove lesioni molecolari preferenzialmente associate ai PTLD nell’ambito dei linfomi B. Osservazioni sperimentali e cliniche indicano che il KS origini come un processo iperplastico caratterizzato da intensa infiltrazione infiammatoria e da angiogenesi che si sviluppa nell’ambito di deregolazione della risposta immunitaria dominato da attivazione di linfociti T CD8+ e da aumentata espressione di citochine infiammatorie di tipo Th1, tra cui γIFN, TNFα e IL1β. Queste citochine attivano gli endoteli, inducono fattori angiogenici e chemotattici, e inducono le cellule endoteliali ad acquisire il fenotipo KS. Le stesse citochine, inoltre, riattivano HHV-8, determinando la trasmissione del virus alle cellule endoteliali e di KS. Negli stadi avanzati, il KS può evolvere in un vero sarcoma e divenire monoclonale. Questo processo è associato alla deregolazione di oncogeni e geni oncosoppressori ed alla continua espressione dei geni di latenza di HHV8 nelle cellule di KS. Esempi di proteine virali di HHV8 coinvolte nella trasformazione includono: i) LANA, in grado di inibire la via di p53 e interferire con la via di Rb, favorendo la progressione del ciclo cellulare; ii) ciclina virale, in grado di mimare l’azione della ciclina D2 umana e tuttavia insensibile ai meccanismi regolatori della ciclina D2 umana; PATHOLOGICA 2007;99:117 Patologia infiammatoria intestinale Tavola rotonda: le diagnosi inutili, coliti non IBD, malattia celiaca What is Colitis? Infections and IBD K. Geboes Department of Pathology, KU Leuven, Belgium The prevalence of diarrhea number of individuals with a specific condition at a given time is approximately 5%, making it a major cause of disability. Patients with chronic diarrhea, with or without the passage of blood, are likely to be fully investigated, inclusive one or other form of endoscopy with biopsy. A study evaluating more than 800 patients with chronic diarrhea found that 122 15% of them had abnormal histopathology. Histological diagnoses include a variety of conditions such as spirochetosis, pseudomelanosis coli and microscopic colitis. Various forms of colitis can thus be present in the absence of radiological and endoscopic lesions or features of colitis. In the absence of clinical information, a mere increase in predominantly chronic inflammatory cells beyond what would be expected physiologically in the absence of architectural abnormalities with or without reactive changes in the surface epithelium reduced height of cells and in the crypts increase in mitoses and slight irregularity in shape can only be diagnosed as “non-specific colitis”. This pattern can be seen in resolving infections, diverticular disease, drug-induced colitis and even Crohn’s disease. However, lack of sufficient clinical data and distinctive histopathological features precludes further classification into specific types of colitis. Various entities can mimic chronic inflammatory bowel disease. A diagnosis is optimally reached when the histological findings can be combined with clinical information although there are many conditions where histology on its own may be sufficient. Microscopic examination of biopsies is important for the diagnosis of inflammation. A proper diagnosis requires multiple biopsies. The first question to be answered by the pathologist analysing biopsy specimens is whether there are signs of inflammation. Genuine inflammation has to be distinguished from artefacts and implies the presence of alterations of epithelial cells and lamina propria cellularity. Infectious type colitis, also called Acute self-limited colitis ASLC, is a transient, presumably infectious disorder presenting with the sudden onset of bloody diarrhea, which may mimic IBD. A precise diagnosis is especially needed in the case of a severe first attack for which steroid treatment or surgery is contemplated. Stool cultures take 48-72 h and grow pathogens in only 40-60%. Rectal biopsies are the major tool for the differential diagnosis between ASLC and Crohn’s disease and/or ulcerative colitis. In terms of pathology acute inflammation is usually signaled by the exudation into the tissue of neutrophils and chronic inflammation is characterized by increased lymphocytes, plasma cells and macrophages in the affected tissue. B lymphocytes are transformed into mature plasma cells becoming visible in abundance after 7 to 10 days following the initial inflammatory response. Major discriminating parameters for IBD are architectural abnormalities such as a pseudovillous or villiform mucosal surface, a disturbed crypt architecture, mucosal atrophy, basal plasmacytosis, and epithelioid granulomas. The distribution of the inflammatory infiltrate can also orient towards a diagnosis of infectious type colitis. In this type of colitis the inflammatory reaction is mainly situated in the upper third of the lamina propria. The presence of crypt abscesses is not a reliable feature for the distinction between IBD and infectious type colitis. PATHOLOGICA 2007;99:118 Patologia neoplastica intestinale La displasia serrata della mucosa colica M. Risio Servizio di Anatomia ed Istologia Patologica, Istituto per la Ricerca e Cura del Cancro, Candiolo, Torino La maggior parte degli adenocarcinomi del grosso intestino è preceduta da una fase preinvasiva di Neoplasia Intraepiteliale di varia durata. Dal punto di vista morfologico il termine displasia viene convenzionalmente applicato all’insieme di alterazioni cito-cariologiche ed architetturali che definiscono la neoplasia intraepiteliale: seppure i due tipi di alterazione dipendano da diverse alterazioni genomiche 1, non è proponibile la ponderazione diagnostica differenziata dei parametri architetturali e di quelli cito-cariologici, essendo le due tipologie simultaneamente presenti e commiste nei polipi adenomatosi colorettali 2. La neoplasia serrata è stata recentemente postulata come precancerosi intestinale disgiunta dalla displasia o in cui la displasia non è univocamente rappresentata 3. In effetti, è noto da tempo che i polipi iperplastici, espressione paradigmatica della alterazione serrata, seghettata o dentellata dell’epitelio colico, e la mucosa circostante condividono alcune caratteristiche differenziative e proliferative con i polipi adenomatosi, così da giustificarne l’inquadramento nell’ambito delle lesioni intestinali paraneoplastiche 4. Il rallentamento del flusso di scorrimento dell’epitelio dalla base della cripta iperplastica alla superficie mucosa determina accumulo cellulare che si organizza in forma di salienze endoluminali discrete costituite da cellule ipermature, prive di alterazioni displastiche. La configurazione serrata in assenza di displasia è tipica dei piccoli polipi iperplastici dimensione media < 0,5 cm, confinati con assoluta prevalenza al sigma-retto: esistono evidenze per un percorso morfogenetico peculiare che conduce dalla configurazione serrata alla neoplasia intraepiteliale di alto grado attraverso fasi intermedie, distinte, di sequenziale estrinsecazione architetturale e cito-cariologica della displasia. Gli adenomi serrati sessili Adenoma Serrato Tipo Superficiale, Adenoma Serrato Tipo 2; Polipo Serrato con Anomalie Proliferative 5-7, prevalenti in sede prossimale al sigma-retto, per lo più di dimensioni maggiori di 1 cm, sono caratterizzati da cripte che, focalmente o in distretti più o meno estesi del polipo, mostrano minime distorsioni dell’organizzazione perdita del parallelismo o franche alterazioni displastiche architetturali microgemmazioni, ramificazioni, dismetrie del diametro, arborizzazione e coalescenza delle salienze epiteliali endoluminali, crescita orizzontale, estensione del profilo serrato alla base della cripta. Le modificazioni nucleari, in questi polipi, sono limitate a brevi tratti dell’epitelio serrato e consistono nella diafanizzazione vescicolosa della cromatina, ispessimento della membrana nucleare, micronucleoli. Per contro, negli adenomi serrati tradizionali 5 8 Adenoma Serrato Tipo Polipoide, Adenoma Serrato Tipo 1 5-7 un riconoscibile profilo serrato persiste in cripte che, diffusamente, oltre alla displasia architetturale mostrano alterazioni nucleari e citologiche riconducibili alla displasia ipercromasia e stratificazione nucleare, anisocitosi, deplezione endocrina. Allo stato attuale delle conoscenze, i tempi ed i potenziali di progressione delle lesioni displastiche serrate paiono grossolanamente sovrapponibili a quelli degli analoghi polipi adenomatosi 9 : di qui l’indicazione ad esplicitare nel referto diagnostico, oltre alla classificazione istopatologica del polipo serrato in esame, anche il grado, la tipologia e l’estensione della displasia 2. Sembrerebbe intuitiva la progressione dalla displasia serrata architetturale, spesso minima e focale, a quella diffusa e complessa, architetturale e cariologica e, parallelamente, l’evoluzione dalla crescita sessile a quella polipoide degli adenomi serrati: pur tuttavia risulta molto più frequente, nell’ambito di singoli polipi, la coesistenza di displasia serrata architetturale con aree di displasia adenomatosa tubulare e tubulo-villosa c.d. “Polipi adenomatosi misti, serrati e tubulari” 10 che non con la displasia serrata cariologica. Ancora, la propensione alla riconversione degli adenomi serrati in displasia adenomatosa “tradizionale” è supportata dalla frequente osservazione di tessuto tipicamente tubulare interposto tra aree serrate e carcinoma negli adenomi serrati cancerizzati 5. È pertanto ipotizzabile un modello unificante di carcinogenesi intestinale, che presuppone la fusione delle due principali vie morfogenetiche adenomi tubulari vs. adenomi serrati e molecolari CIN vs. MIN della carcinogenesi intestinale, anche se gli eventi genetici di collegamento non sono ancora definiti 11. La neoplasia serrata conduce al cancro secondo percorsi multipli, complessi, variamente correlati ed intersecatisi. La plasticità dei percorsi è governata da fattori epigenetici, polimorfismi intragenici germinali ed interazioni ambientali 12: la corretta identificazione della displasia serrata nella mucosa colica è indispensabile per la gestione dei programmi di screening, dei gruppi a rischio, di nuove e solo parzialmente conosciute sindromi neoplastiche intestinali ereditarie. Bibliografia 1 Risio M, Malacarne D, Giaretti W. KRAS transitions and villous growth in colorectal adenomas. Cell Oncol 2005;27:363-6. 2 Risio M, Baccarini P, Cassoni P, Clemente C, Ederle A, Fiocca R, et al. Diagnosi anatomo-patologica negli screening del carcinoma colorettale: indicazioni. Pathologica 2006;98:171-4. 3 Higuchi T, Sugihara K, Jass JR. Demographic and pathological characteristics of serrated polyps of colorectum. Histopathology 2005;47:32-40. 4 Risio M, Arrigoni A, Pennazio M, Agostinucci A, Spandre M, Rossini FP. Mucosal cell proliferation in patients with hyperplastic colorectal polyps. Scand J Gastroenterol 1995;30:344-8. 5 Snover DC, Jass JR, Fenoglio-Preiser C, Batts KP. Serrated polyps of the large intestine. A morphological and molecular review of an evolving concept. Am J Clin Pathol 2005;124:380-91. 6 Torlakovic E, Skovlund E, Snover DC, Torlakovic G, Nesland JM. Morphological reappraisal of serrated colorectal polyps. Am J Surg Pathol 2003;27:65-81. 7 Oka S, Tanaka S, Hiyama T, Ito M, Kitaday Y, Yoshiara M, et al. Clinicopathologic and endoscopic features of colorectal serrated adenoma: differences between polypoid and superficial types. Gastrointest Endosc 2004;59:213-9. 8 Longacre TA, Fenoglio-Preiser CM. Mixed hyperplastic adenomatous polyps/serrated adenomas. A distinct form of colorectal neoplasia. Am J Surg Pathol 1990;14:524-9. 9 Goldstein NS, Bhanot P, Odish E, Hunter S. Hyperplastic-like colon polyps that preceded microsatellite-unstable adenocarcinomas. Am J Clin Pathol 2003;119:778-96. 10 Oh K, Redston M, Odze RD. Support for hMLH1 and MGMT silencing as a mechanism of tumorigenesis in the hyperplastic-adenomacarcinoma serrated carcinogenic pathway in the colon. Hum Pathol 2005;36:101-11. 11 Jass JR, Baker K, Zlobec I, Higuchi T, Barker M, Buchman D, et al. Advanced colorectal polyps with the molecular and morphological features of serrated polyps and adenomas: concept of a “fusion” pathway to colorectal cancer. Histopathology 2006;49:121-31. 12 Young J, Jass JR. The case for a genetic predisposition to serrated neoplasia in the colorectum: hypothesis and review of the literature. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2006;15:1778-84. PATHOLOGICA 2007;99:119-121 Patologia pancreatica Adenocarcinoma pancreatico G. Zamboni Dipartimento di Patologia, Università di Verona, Ospedale “Sacro Cuore-Don Calabria-Negrar” L’adenocarcinoma duttale rappresenta l’80-90% delle neoplasie pancreatiche e di queste solo il 15-20% è suscettibile di resezione chirurgica con intento radicale. Sebbene in un discreto numero di casi la diagnosi pre-operatoria possa essere formulata con l’esame citologico ecoguidato FNAC o più raramente tramite prelievo bioptico ecoguidato FNAB, la diagnosi di certezza si ottiene in alcuni casi solo dall’esame patologico del pezzo operatorio. Gli adenocarcinomi duttali devono essere distinti dalle altre neoplasie pancreatiche come i tumori cistici, i tumori endocrini, i carcinomi a cellule acinose e da lesioni pseudotumorali come la pancreatine autoimmune. I pezzi operatori resecati per adenocarcinoma pancreatico non sono reperti frequenti nella maggior parte dei dipartimenti di patologia; una accurata valutazione patologica si ottiene se vi è un stretta collaborazione fra chirurgo, patologo e radiologo. Molti sono i parametri morfologici che il patologo può ricercare, tuttavia egli deve concentrarsi soprattutto su quelli con significato prognostico utile ad identificare i pazienti che potrebbero beneficiare di una terapia adiuvante. Margini di resezione duodeno-cefalopancreasectomia. I margini di resezione chirurgici comprendenti il dotto epatico comune e la trancia di sezione pancreatica, possono essere esaminati intra-operatoriamente con esame al congelatore. Grande attenzione deve essere posta nella valutazione del margine di resezione retroperitoneale, definito come il tessuto adiposo posto dietro la testa del pancreas, dorsalmente e lateralmente all’arteria mesenterica superiore. Tale margine, riconoscibile sia perché cruentato chirurgicamente che per la presenza di fili chirurgici, deve essere colorato con inchiostro di china, sezionato perpendicolarmente ed incluso in toto per l’esame istologico definitivo l’esame estemporaneo non è indicato. Stazioni linfonodali. I linfonodi possono essere inviati separatamente dal chirurgo oppure essere isolati dal patologo dal tessuto adiposo peripancreatico. Tipizzazione istologica. La tipizzazione istologica del tumore sia basa sulla classificazione WHO e AFIP. La maggior parte dei carcinomi è di tipo duttale ed è molto simile alle normali strutture del pancreas e dei dotti biliari. La componente ghiandolare neoplastica, come i duttuli intralobulari normali, presenta immunoreattività per il MUC1; mentre il MUC2 è presente esclusivamente nella variante “colloide”. Le mucine MUC5-6, marcatori di tipo gastrico-foveolare, negative nel carcinoma infiltrante, sono frequentemente espresse nelle lesioni PanIN. Altri markers sono le citocheratine 7,8,18,19 occasionalmente la citocheratina 20, il CA19,9, il DUPAN-2 ed il CEA. Varianti dell’adenocarcinoma duttale. Il carcinoma mucinoso non cistico colloide è composto da ghiandole ben differenziate immerse in abbondante > 50% mucina extracellulare. La maggior parte dei carcinomi insorge da pre-esistenti neoplasie intraduttali papillari mucinose IPMN. È caratterizzato da prognosi relativamente favorevole. Il carcinoma adeno-squamoso è composto da componenti neoplastiche ghiandolare prevalente e squamosa > 30%. La prognosi è peggiore di quella dell’adenocarcinoma classico. Il carcinoma anaplastico è composto da cellule pleomorfe, cellule giganti e/o cellule fusate. La diagnosi differenziale va posta con i sarcomi ed i carcinomi metastatici indifferenziati. È più aggressivo rispetto all’adenocarcinoma classico. Il carcinoma a cellule giganti di tipo osteoclastico è composto da cellule epiteliali maligne indifferenziate, rotonde o fusate, associate a cellule giganti di tipo osteoclastico non neoplastiche. Il carcinoma midollare, è caratterizzato da cellule polimorfe, crescita sinciziale, elevato indice mitotico e ricco infiltrato infiammatorio intra- e peri-tumorale di tipo linfocitario. La caratterizzazione molecolare evidenzia un’alta frequenza di instabilità dei microsatelliti DNA replication error + e assenza di mutazioni del gene K-ras. La prognosi non si discosta da quella del carcinoma classico. Altri carcinomi rari sono il carcinoma a cellule chiare, l’adenocarcinoma duttale a cellule schiumos ed il carcinoma misto esocrino ed endocrino. Precursori del carcinoma pancreatico invasivo. I precursori del carcinoma infiltrante comprendono una lesione microscopica, costituita da neoplasie pancreatiche intraepiteliali PanIN e due lesioni microscopicamente evidenti: neoplasie mucinose papillari intraduttali IPMN e neoplasie cistiche mucinose MCN. Le PanIN, che di solito coinvolgono i dotti di diametro < 5 mm, sono caratterizzate da cellule colonnari e cuboidi ed in base alle atipie citologiche ed architetturali sono classificate come: a. PanIn-1A-B atipia citologica ed architetturale minima; b. PanIn-2 atipia citologica ed architetturale moderata con frequente formazione di papille; c. PanIN-3 atipia citologica ed architetturale severa. Il profilo genetico mostra sia l’attivazione di oncogeni che l’inattivazione di geni soppressori tumorali, in particolare l’attivazione dell’oncogene K-ras e l’inattivazione dei geni soppressori CDKN2A/p16, TP53/p53 e SMAD4/DPC4. Le informazioni sulla progressione dei differenti tipi di PaIN sono ancora limitate. PanIN-1 e PanIN-2 non hanno un potenziale maligno dimostrato per cui sembrerebbe non necessario segnalarle nella diagnosi. Le modificazioni tipo PanIN-3 dovrebbero invece essere identificate e segnalate nella diagnosi patologica importanti anche nella valutazione della trancia di resezione pancreatica. Bibliografia 1 Compton C, Henson D. Protocol for the examination of specimens removed from patients with carcinoma of the exocrine pancreas. Arch Pathol Lab Med 1997;121:1129-36. 2 Hruban RH, Pitman MB, Klimstra DS. Tumors of the Pancreas in Atlas of Tumor pathology. Series IV, 2007. 3 Hruban RH, Takaori K, Klimstra DS, et al. An illustrated consensus on the classification of pancreatic intraepithelial neoplasia and intraductal papillary mucinous neoplasms. Am J Surg Pathol 2004;28:977-87. 4 Klöppel G, Hruban R, Longnecker D, Adler G, Kern S, Partanen T. Ductal adenocarcinoma of the pancreas. In: Hamilton SR, Aaltonen LA, eds. Pathology and Genetics of Tumours of the Digestive System. Lyon: WHO Classification of Tumours 2000. 5 Luttges J, Zamboni G, Kloppel G. Recommendation for the examination of pancreaticoduodenectomy specimens removed from patients with carcinoma of the exocrine pancreas. A proposal for a standardized pathological staging of pancreaticoduodenectomy specimens including a checklist. Dig Surg 1999;16:291-6. 120 Tumori cistici e non duttali del pancreas F. Sessa, S. La Rosa, C. Capella Dipartimento di Morfologia Umana e Dipartimento di Patologia, Università dell’Insubria e Azienda Ospedaliera-Universitaria, Ospedale di Circolo di Varese I tumori cistici e non duttali del pancreas sono un gruppo eterogeneo di neoplasie, in genere benigne o a basso grado di malignità, che comprende tumori di diversa istogenesi, età di insorgenza, incidenza tra maschi e femmine e prognosi. Il miglioramento delle tecniche di diagnosi per immagine ha fatto si che queste neoplasie vengano documentate con una frequenza maggiore, da cui un loro incremento relativo. I tumori cistici includono due grandi categorie: i tumori sierosi adenoma sieroso microcistico, cistoadenocarcinoma sieroso e i tumori mucinosi. Questi ultimi a loro volta comprendono due diverse entità: i tumori papillari mucinosi intraduttali e i tumori mucinosi cistici. I tumori non duttali comprendono: i tumori endocrini, il tumore solido pseudopapillare, il carcinoma acinare e il pancreatoblastoma. Rappresentano circa il 10% di tutte le neoplasie pancreatiche. Cistoadenoma sieroso microcistico. È prevalente nelle donne 7:1 in età post-menopausale, interessa con uguale frequenza sia la regione della testa che del corpo-coda del pancreas, è generalmente unico ma può essere multifocale nella malattia di von Hippel Lindau VHL. È formato da una miriade di piccole cisti a contenuto limpido sieroso che gli conferiscono un aspetto spugnoso. Le cisti sono rivestite da un epitelio cubico, positivo al PAS e alle CK 7, 8, 18 e 19. Sono descritte varianti macrocistiche cistoadenoma sieroso oligocistico, solide o combinate con neoplasie endocrine in pazienti con sindrome di VHL. Il 50-70% di questi tumori presenta inattivazione di VHL mentre K-Ras, p53 e SMAD4 non sono alterati. Le cisti pancreatiche nella malattia di VHL sono rivestite da un analogo epitelio e sono distribuite lungo tutto il pancreas. Cistoadenocarcinoma sieroso. È estremamente raro, citologicamente indistinguibile dalla forma benigna, per cui la diagnosi va posta solo in presenza di franche metastasi epatiche e dopo aver escluso la possibilità di metastasi di carcinomi a cellule chiare o più raramente ancora a lesioni cistiche dovute a neoplasie endocrine o a carcinomi acinari cistoadenocarcinoma acinare. Neoplasie cistiche mucinose NCM. Insorgono quasi esclusivamente nelle donne di età compresa tra i 40 e i 50 anni, sono generalmente di notevoli dimensioni 7-10 cm, sono unio pluriloculate, localizzate nel corpo-coda del pancreas, non comunicanti con i dotti pancreatici, rivestite da epitelio che produce mucine, delimitato da uno stroma di tipo ovarico, presente sia nei setti che nella capsula del tumore. Questo stroma si osserva anche nelle NCM del fegato e del retroperitoneo e normalmente esprime i recettori per il progesterone. Si ipotizza una origine di questi tumori da residui ovarici o dallo stroma mesenchimale periduttale. L’epitelio presenta gradi crescenti di atipia: lieve, moderata, severa e i tumori variano da adenoma, a NCM con carcinoma in situ, a cistoadenocarcinoma mucinoso quando è presente una componente infiltrativa. Circa un terzo inoltre si associa ad un carcinoma infiltrante di tipo duttale-tubulare o più raramente al carcinoma indifferenziato con cellule giganti di tipo osteoclastico. K-Ras, p53 e SMAD4 sono le mutazioni più frequenti, condivise con il carcinoma duttale. In ogni modo la prognosi a 5 anni di queste due neoplasie è nettamente diversa con una sopravvivenza del 50-60% nelle NCM e del 5% PATOLOGIA PANCREATICA nei carcinomi duttali. A fronte di medesime alterazioni molecolari la diversità di aspetto macroscopico, microscopico e prognostico sembra dovuta ad un diverso timing nella sequenza mutazionale che si osserva nel carcinoma duttale: K-Ras, p53/p16, SMAD4 rispetto alla sequenza K-Ras, SMAD4, p53/p16 presente nelle NCM. Tumori papillari mucinosi intraduttali TPMI. Sono caratterizzati da una dilatazione cistica dei dotti pancreatici dovuta alla eccessiva secrezione intraluminale di mucine da parte dell’epitelio che costituisce questo tumore. Sono localizzati alla testa del pancreas. Si osservano generalmente in maschi nella 7°-8° decade di vita, con storia di dolori addominali o di pancreatiti ricorrenti. Possono insorgere nel dotto principale o nei dotti collaterali. Microscopicamente l’epitelio delle papille può essere classificato come: a intestinale, b pancreatobiliare, c gastrico o “null”. I TPMI intestinali sono generalmente MUC2 e CDX2 positivi. I TPMI pancreatobiliari sono MUC2 e CDX2 negativi ma MUC1 positivi. Le atipie citologiche lievi, moderate e severe consentono di classificare questi tumori come: adenomi, tumori borderline e carcinomi intraduttali. Una componente invasiva si osserva in circa un terzo dei casi, di tipo mucinoso o colloide frequentemente associata alle forme di TPMI intestinali e di tipo duttale-tubulare associata alle forme di TPMI pancreatobiliari. La sopravvivenza media a 5 anni è superiore al 75%. In generali i tumori che insorgono dai dotti periferici, di tipo gastrico e di piccole dimensioni sono adenomi o tumori borderline. I tumori che insorgono nel dotto principale, di tipo intestinale e di maggiori dimensioni sono carcinomi intraduttali e più frequentemente associati ad un carcinoma infiltrante. Mutazioni di K-Ras, p53/p16, SMAD4 sono eventi piuttosto rari nei TPMI. SMAD4 è generalmente espresso in tutti i TPMI. Questi tumori vanno differenziati dalle PanIN, sia di basso che alto grado, dove si osserva una diversa espressione di MUC2 e MUC1 ed inoltre si osserva una perdita di SMAD4 nelle PanIN 3. La variante oncocitica di questi tumori è rara e presenta caratteristiche peculiari che la differenziano dagli altri TPMI. Il tumore solido pseudopapillare. Si osserva quasi esclusivamente in giovani donne età media 25 anni, rapporto M/F 1:20, le sue cellule esprimono il recettore del progesterone e il recettore beta degli estrogeni. Ha un basso potenziale di malignità e presenta aspetto cistico in particolare nei casi di maggiori dimensioni 9-10 cm dovuto al processo necrotico/degenerativo della componente tumorale e non ad una vera cisti rivestita da epitelio. Infatti la cisti contiene materiale necrotico, macrofagi, sangue e pseudopapille rivestite da elementi che assomigliano a cellule endocrine. K-Ras, p53/p16 e SMAD4 non sono alterati mentre nel 90% dei casi si osserva un accumulo nucleare di β catenina dovuto ad una mutazione puntiforme dell’esone 3 e positività a CD10 e CD117. L’istogenesi di questo tumore non è ancora collegata ad alcuna delle cellule normalmente presenti nel pancreas. Le cellule neoplastiche esprimono vimentina, NSE, alfa 1 antitripsina, CD56, sinaptofisina, ma sono cromogranina negative. L’80% dei casi è benigno, per il restante 20% sono casi maligni, ma non ci sono chiari criteri istologici per documentare il potenziale di malignità. Neoplasie endocrine. Rappresentano circa l’1-2% dei tumori del pancreas. Generalmente sporadici possono insorgere in sindromi ereditarie come MEN1 e VHL. L’aspetto microscopico è variabile da trabecolare a psudoacinare a cordonale o a solido, è generalmente presente in diversa misura nel medesimo tumore. Lo stroma tra le cellule è estremamente PATOLOGIA PANCREATICA variabile fino ad essere fibrotico o ialinizzato. In alcuni casi insulinomi è presente deposito di amiloide. Le cellule sono poligonali, a citoplasma eosinofilo, generalmente abbondante, con nucleo periferico aspetto plasmocitoide. Sono stati descritti aspetti particolari come l’oncocitico 7% dei casi, a cellule chiare in corso di malattia di VHL, pleomorfo o rabdoide. La prognosi è correlata alle dimensioni del tumore, indice mitotico, necrosi, invasione della capsula, invasione vascolare, invasione del tessuto pancreatico peritumorale, metastasi epatiche. Mutazioni di K-Ras, p53/p16, SMAD4 sono eccezionali nei tumori endocrini, ma inattivazione di p16 da ipermetilazione del promotore è presente nel 40% dei casi. Il carcinoma endocrino scarsamente differenziato rappresenta il 3% dei tumori endocrini del pancreas, ha un indice mitotico superiore a 10 per 10 hpf. Può avere un aspetto simile al carcinoma a piccole cellule del polmone; ha una prognosi estremamente sfavorevole. Carcinoma acinare. Rappresenta il 2% delle neoplasie pancreatiche dell’adulto ed il 15% di quelle del bambino. È un tumore le cui cellule contengono granuli di zimogeno PAS positivi, produce tripsinogeno e lipasi che vengono utilizzati per differenziarlo immunoistochimicamente dai tumori endocrini. Una componente endocrina minoritaria è presente nel 50% dei casi, quando supera il 25% delle cellule parliamo di carcinoma misto acinare/endocrino, ma sono riportati anche carcinomi misti acinari/duttali e acinari/duttali/endocrini. Il carcinoma acinare ha una prognosi simile al carcinoma duttale ma non presenta le stesse alterazioni molecolari mutazioni di K-Ras, p53, p16, SMAD4. Nel 50% dei casi si osserva LOH di 11p e nel 25% dei casi mutazioni di APC/β catenina. Pancreatoblastoma. È la più frequente neoplasia maligna del pancreas in età pediatrica. Presenta più linee differenziative documentate dalla immunoreattività per i markers acinari tripsina, chimotripsina, lipasi endocrini cromogranina, sinaptofisina duttali CEA, DUPAN 2. Si caratterizza inoltre per la presenza di nidi di cellule squamose. Le alterazioni molecolari sono simili a quelle del carcinoma acinare LOH di 11p e mutazioni di APC/β catenina mentre sono assenti quelle del carcinoma duttale K-Ras, p53, p16, SMAD4. Nei tumori solidi-pseudopapillari del pancreas la mutazione di β catenina è presente in circa il: a. 20% dei casi; b. 50% dei casi; c. 90% dei casi. Nei cistoadenomi sierosi microcistici sporadici del pancreas è più frequente: a. la mutazione di Kras; b. la mutazione di p53; c. l’inattivazione di VHL. Il fattore prognostico più importante per i tumori mucinoso cistici del pancreas è determinato da: a. dimensioni della neoplasia; b. tipo di intervento chirurgico; c. grado di atipia citologica. Il carcinoma colloide o gelatinoso è associato più frequentemente a: a. IPMN di tipo intestinale; b. IPMN di tipo pancreatobiliare; c. IPMN di tipo oncocitico. 121 Diagnostica Speciale. Centro Integrato di Diagnostica Cito-Radiologica nella Patologia Pancreatica. Esperienza del Policlinico di Verona E. Manfrin, F. Bonetti Istituto di Anatomia Patologica, Università di Verona La citologia per agoaspirazione è spesso utilizzata come procedura elettiva per una diagnostica pre-operatoria delle patologie pancreatiche formanti massa. La disponibilità di metodiche di prelievo con guida eco-radiologica ed eco-endoscopica hanno reso il prelievo citologico agoaspirativo a rischio “controllato” e con accresciuta accuratezza. L’accuratezza diagnostica della citologia è molto “operatore dipendente”. La formazione del patologo in ambito citologico non implica solo una specifica formazione diagnostico-morfologica, ma necessita di una più ampia competenza che comprenda, più in generale, la gestione del “caso-paziente”. Il ruolo attuale del citopatologo è infatti quello di valutare la procedura diagnostica migliore da adottare per risolvere il quesito posto dal clinico e di essere egli stesso l’esecutore o compresente all’espletamento del prelievo. In questa visione moderna della diagnostica citologica è fondamentale il ruolo dell’équipe formata da anatomopatologo e radiologo. Presso il Policlinico di Verona è operativa un’attività diagnostica integrata citologico-radiologica con l’individuazione di équipe mediche composte da citopatologi, radiologi ecografisti e radiologi dedicati alla diagnostica per immagini Tac, che cooperano direttamente alla scelta delle procedure diagnostiche ottimali e all’espletamento dei prelievi. L’attività diagnostica integrata, sviluppatasi progressivamente negli ultimi dieci anni, dal 2004 usufruisce di un proprio Centro di Diagnostica Integrata Cito-Radiologica con un laboratorio dedicato di citologia, sala lettura citologica e segreteria diagnostica con refertazione immediata, posto in diretta comunicazione con le sale ecografiche. L’attività svolta presso il centro di diagnostica integrata citopatologica del Policlinico “G.B. Rossi” dell’Università di Verona, ha risposto pienamente alle aspettative proprie di una diagnostica moderna: – abbattimento dei tempi d’attesa per la diagnosi patologica. Le risposte diagnostiche sono immediate e consegnate direttamente al paziente o depositate nella cartella clinica che lo accompagna; tutto ciò si riflette in una gestione rapida e dinamica del paziente ospedalizzato; – accuratezza diagnostica. La verifica in tempo reale del materiale citologico limita il numero di casi con citologia non diagnostica per la possibilità di ripetere più volte le agoaspirazioni fini al raggiungimento dell’adeguatezza. La disponibilità delle cartelle cliniche ed il rapporto diretto con il paziente ed i medici clinici all’atto dell’esecuzione dell’esame citologico favorisce la correlazione anatomo-clinica ed una migliore accuratezza diagnostica; – scelta in tempo reale delle procedure diagnostiche da espletare. La verifica in tempo reale del materiale citologico permette di ripetere più volte la manovra agoaspirativa alla ricerca dell’adeguatezza del materiale; se questo non risulta possibile, si può procedere all’espletamento di altre metodiche diagnostiche, ad esempio microbiopsia oppure contrasti ecografici per la migliore visualizzazione di lesioni non “centrate” dal primo prelievo; – integrazione e crescita formativa dell’équipe degli operatori. La cooperazione diretta di più specialisti favorisce la gestione multidisciplinare di ogni caso garantendo così l’alta qualità della prestazione offerta e la condivisione delle competenze specialistiche a tutta l’équipe con una conseguente crescita culturale del personale coinvolto. PATHOLOGICA 2007;99:122-126 Giornata SIAPEC-IAP di Citologia Diagnostica Il Sistema classificativo Bethesda 2001 TBS non è idoneo alle esigenze di uno screening organizzato di popolazione A. Bellomi, L. Regattieri U.O. Struttura Complessa di Diagnostica Istocitologica, Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Ospedali “Carlo Poma” Mantova Lo screening cervicale della Provincia di Mantova, operante con chiamata dal 1986, non utilizza pienamente il TBS perché lo ritengo inidoneo alle esigenze di un test di primo livello. Indubbiamente la mia scelta è stata influenzata dalla scuola dell’Istituto Tumori di Milano ai tempi del prof. Rilke, che aveva adottato la classificazione di Papanicolaou inserendo il CIN in tre gradi tra la classe seconda e la classe quarta ed abolendo la classe terza. Lo scopo di un test di primo livello in uno screening di popolazione è quello di discriminare una piccola percentuale meritevole di ulteriori accertamenti; l’esito dovrebbe essere: – negativo; – da controllare colposcopicamente; – inadeguato. I risultati di uno screening di popolazione organizzato da un sistema sanitario statale, sono monitorati continuamente e consentono interventi correttivi e miglioramenti. Lo scenario in cui è stato ideato il TBS è completamente diverso: uno screening dipendente dalle grandi compagnie assicuratrici e dalle grandi aziende sanitarie, vale a dire regolato dalle logiche di mercato. Lo scopo “dichiarato” della nuova classificazione di Bethesda è di favorire il dialogo tra citologi e ginecologi e questo è stato raggiunto: dopo l’introduzione del TBS vi è stato un aumento di spesa per colposcopie pari ad un bilione di dollari all’anno negli USA. La classe negativa per malignità ha una durata di un solo anno, mentre è triennale in Italia. Il citologo italiano che applica il TBS, con la diagnosi di Negativo condiziona il controllo citologico successivo a tre anni, mentre chi ha formulato questa classificazione lo prevede ad un anno di distanza. Nell’ultima versione del TBS, nella classe “Negativo per malignità” sono comprese anche casi con alterazioni cellulari di un certo rilievo, proprio perché il periodo di responsabilità diagnostica e legale nei confronti della donna è limitata ad un anno e quindi demanda al Pap test successivo il giudizio sull’eventuale progressione delle alterazioni presenti. Il motivo è semplice negli USA tanti Pap significano tanti guadagni, in Italia tanti Pap significano tante spese tasse. Il nuovo Bethesda ha anche escluso la possibilità di alcune diagnosi microbiologiche, ad esempio quella di infezione da Clamidia la più frequente nella pratica clinica ginecologica solo per lucrare maggiori guadagni con indagini di PCR: perché fare questa diagnosi per dieci dollari quando se ne possono chiedere molti di più per un’indagine microbiologica sofisticata. La classe diagnostica ASC nelle varie proposizioni, non consente la discriminazione che il Pap test come primo livello di uno screening di popolazione deve effettuare, perché prevede una categorizzazione delle incertezze 1, dei dubbi del citologo scrupoloso e lascia ampia scappatoia alla incapacità o alla superficialità del citologo frettoloso sottopagato a cottimo 2. Questa categoria non discrimina, ma induce ben più lauti profitti perché condiziona indagini ulteriori di alto costo colposcopia, test per l’HPV e soprattutto preserva dai costi legali per errori diagnostici essendo molto elastica nelle sue correlazioni istologiche. Tutti gli studi di concordanza citologica per la categoria ASC su set di vetrini hanno mostrato che non esistono criteri riproducibili e che questa categoria è spesso la misura dell’incapacità diagnostica o di prelievi subottimali. L’accorpamento nella categoria LSIL di alterazioni virali ed alterazioni da CIN1, mentre semplifica il lavoro del citologo, mortifica gli sforzi di chi cerca di differenziare le alterazioni transitorie della infezione da HPV da quelle potenzialmente più aggressive della CIN anche di basso grado 3. Infine, dopo aver per anni ignorato il problema dell’Adenocarcinoma cervicale così come aveva fatto Papanicolaou ora si propongono tre categorie diagnostiche per le cellule cilindriche AGC, AIS, CTM continuando a fare confusione tra patologia cervicale ed endometriale situazione tipica del Pap test al di fuori degli screening e pretendendo di fare citologicamente la diagnosi differenziale tra forma in situ e forma microinvasiva, che spesso non è possibile nemmeno con una istologia accurata. Ritengo che non solo questa classificazione non sia idonea per uno screening di popolazione come organizzati in Italia ed in Europa, ma che non andrebbe utilizzata dagli anatomopatologi che refertano esami citologici. In tal modo si capirebbe che un Pap test classificato con il sistema Bethesda è al di fuori della responsabilità medica essendo stato letto ma non interpretato da un non medico. Questa ultima considerazione è certamente una utopia, visto lo scarso interesse della maggior parte dei patologi per il Pap test, in considerazione dell’enorme sproporzione tra richiesta e numero dei patologi e non ultimo per la bassa remunerazione tariffaria di questo esame. Bibliografia 1 Titus K. Abnormal Pap smears. ASCUS Still Ob/Gyn Puzzle. JAMA 1996;276:1014-5. 2 Gill GW. Pap smears risk mangement by process control. Cancer Cytopathol 1997;81:198-211. 3 Di Bonito L. SIL: Soluzione o problema? Il Friuli Medico Alpe Adria. J Med 1994;49:521-3. HPV NO: elogio dell’incertezza “Difficile non è sapere, ma saper far uso di ciò che si sa” A.M. Buccoliero, F. Castiglione, F. Garbini, C.F. Gheri, D. Moncini, E. Zappulla, G.L. Taddei Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università di Firenze L’infezione da Human Papilloma Virus (HPV) umano è una delle più frequenti malattie a trasmissione sessuale nel mondo. Nel tratto genitale femminile l’infezione da HPV può determinare quadri patologici diversi per gravità e presentazione clinica. Numerosi dati epidemiologici, clinici e bio- GIORNATA SIAPEC-IAP DI CITOLOGIA DIAGNOSTICA molecolari hanno in particolare dimostrato il rapporto causale tra infezione da HPV ed insorgenza del carcinoma della cervice uterina. La diffusione della citologia cervico-vaginale quale strumento di screening ha notevolmente modificato la storia naturale del carcinoma cervicale determinando una drammatica riduzione delle forme infiltranti. In letteratura a tale proposito viene riportato un crollo dell’incidenza del carcinoma invasivo da circa 15/105 negli anni ’60 a meno di 3/105 negli anni ’90 1 2. Più recentemente ha tuttavia preso corpo il sospetto della possibile fallibilità del Pap test. Tra le varie criticità sollevate ci sono la non sufficiente sensibilità e specificità 3 di questo esame. Numerose metodiche diagnostiche sono state proposte quale possibile integrazione o alternativa al Pap test tradizionale. Tra queste la citologia in fase liquida, la lettura automatizzata dei preparati, il test per la determinazione del genoma virale o ancora indagini immunocitochimiche o biomolecolari volte a valutare la persistenza dell’infezione da HPV e/o l’integrazione virale. Attualmente i test molecolari per la determinazione della presenza del genoma virale nel prelievo citologico cervico-vaginale Polymerase Chain Reaction – PCR; Hybrid Capture Assay sono oggetto di grande attenzione sia tra la classe medica che tra le donne come documentato dalla mole di pubblicazioni in merito sia nelle riviste scientifiche che nella stampa divulgativa ordinaria e dalla nascita di movimenti di donne a favore della loro diffusione di massa 4. Il razionale per l’introduzione e diffusione dell’HPV test si fonda soprattutto sul suo elevato valore predittivo negativo a fronte delle presunte lacune diagnostiche del Pap test tradizionale. In realtà se è vero che circa 230.000 donne muoiono ancora oggi ogni anno nel mondo per carcinoma della cervice uterina 5 c’è da chiedersi quante di queste morti siano davvero imputabili ai limiti del Pap test e quante invece alla mancanza di efficaci programmi di screening. Una riflessione meritano inoltre i costi morali e materiali legati all’aumento di esami di secondo livello quali la colposcopia provocato dall’indubbia maggiore sensibilità dell’HPV test per un’infezione che nella gran parte dei casi sarà destinata a risolversi spontaneamente. È noto infatti che il vero fattore di rischio non è tanto l’infezione da HPV, sia pure ad alto rischio o da tipi virali multipli, quanto la sua persistenza. Si calcola infatti che il 93% delle donne risultate infette da un determinato HPV risulti poi negativa per quello stesso tipo virale ad un successivo controllo. Attraverso la Polymerase Chain Reaction PCR si è potuto dimostrare che l’infezione da HPV mediamente permane per circa 5-6 mesi per poi scomparire spontaneamente 6. Il carcinoma cervicale è infatti considerato una complicanza estremamente rara di una infezione estremamente frequente. Da qui l’importanza di scandagliare tra la popolazione femminile non tanto l’infezione in quanto tale quanto piuttosto la sua persistenza o l’avvenuta integrazione virale. A questo ultimo proposito va ricordata la determinazione immunoistochimica della proteina con azione oncosoppressiva p16INK4a la cui espressione risulta alterata in caso di infezione virale persistente con espressione delle oncoproteine virali E6 ed E7 o le metodiche molecolari volte a documentare direttamente l’mRNA per E6 ed E7. Riteniamo di scarso beneficio per la donna e per la collettività il test per l’HPV in particolare quando generalizzato e primario. Risulta infatti difficile immaginare una maggiore adesione delle alle campagne di screening o un allargamento delle aree geografiche in cui le campagne di screening stesse sono attive semplicemente sostituendo la citologia cervico- 123 vaginale con un altro test peraltro più costoso. Potrebbe eventualmente risultare più utile valutare attraverso ampi studi l’opportunità di un suo possibile impiego nei casi citologicamente dubbi o ancora quale indagine preliminare alla vaccinazione. Bibliografia 1 Anttila A, Pukkala E, Söderman B, et al. Effect of organised screening on cervical cancer incidence and mortalityin Finland, 1963-1995: recent increase in cervical cancer incidence. Int J Cancer 1999;83:5965. 2 Ponten J, Adami HO, Bergström R, et al. Strategies for global control of cervical cancer. Int J Cancer 1995;60:1-26. 3 Chamberlain J. Reasons that some screening programmes fail to control cervical cancer. IARC Sci Publ 1986:161-8. 4 http://www.womenforHPVtesting.org 5 Ferlay J, Bray F, Pisani P, Parkin DM. GLOBOCAN 2002: cancer incidence, mortality and prevalence worldwide. http://wwwdep.iarc.fr/globocan/database.htm 6 Lee SH, Vigliotti VS, Vigliotti JS, Pappu S. Routine human papilloma virus genotyping by DNA sequencing in community hospital laboratories. Infect Agents Cancer 2007;52:11. Citologia S. Fiaccavento Istituto Clinico Città di Brescia, Servizio Anatomia Patologica, Sezione di Citopatologia Diagnostica, Brescia Introduzione. Non è la priva volta che citologia agoaspirativa FNA e mammotome sono messi a confronto come oggetto di controversia diagnostica sia in precedenti incontri che in recenti pubblicazioni 1 2. Si ha comunque l’impressione che la difesa di singole posizioni sia legata più a metodologie che uno sa usare da tempo e dalla difficoltà di accettare cambiamenti che potrebbero metterlo in difficoltà piuttosto che da una corretta analisi dei pro e contro di un approccio metodologico. Comunque la valutazione critica che si legge nei confronti della citologia si basa spesso su una insufficiente esperienza di molti patologi nell’allestimento dei vetri e/o dal fatto che non siano direttamente coinvolti nelle fasi che precedono l’interpretazione dei preparati. Partendo dal presupposto che le due metodiche possano e debbano essere complementari e non alternative, lo scopo del mio intervento è solo quello di elencare i diversi punti critici da sottoporre alla attenzione dei partecipanti: 1. necessità di corretta modalità di allestimento prelievo, striscio, colorazioni sono fondamentali per l’adeguatezza dei vetri; 2. sensibilità e specificità per maligno e benigno sono paragonabili alla CB anche per quanto si riferisce alle microcalcificazioni; 3. possibilità della FNA di definire istotipo e grading; 4. impossibilità della FNA di distinguere tra carcinoma in situ vs. invasivi; un falso problema? 5. possibilità di utilizzo della immunocitochimica nei preparati citologici. Conclusioni. Pur rispettando la comprensibile affezione che ciascuno di noi ha per le metodiche che usa più frequentemente e con le quali è pertanto più abile, riteniamo che la FNA debba conservare il suo ruolo come primo suggerimento diagnostico. La sua presenza nelle Linee Guida non esclude che si possano mettere in atto da subito prelievi con ago più grosso ma evita che la metodica citologica venga ingiustamente colpevolizzata quando utilizzata da équipes esperte. 124 Bibliografia 1 Shousha S. Issue in Interpretation of breast Core Biopsie. Intern J Surg Pathol 2003;11:167-76. 2 Masood S. Core Needle Biopsy vs. Fine-Needle Aspiration Biopsy: Are There Similar Sampling and Diagnostic Issue? Breast J 2003;9:145-6. Vacuum-assisted needle core biopsy VANCB S. Bianchi, V. Vezzosi, D. Ambrogetti*, J. Nori**, B. Brancato*** Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze; * U.O. Prevenzione secondaria screening, CSPO Firenze; ** S.O.D. Diagnostica Senologica, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze; *** U.O. Senologia, CSPO Firenze La vacuum-assisted needle core biopsy VANCB sta assumendo un ruolo cruciale nell’inquadramento della patologia mammaria e sta in parte sostituendo la FNAC come prima modalità di diagnosi pre-operatoria nelle lesioni precliniche, in modo particolare nei casi di pattern mammografico costituito dalla presenza di sole microcalcificazioni. L’utilizzo della VANCB in sostituzione della FNAC nelle microcalcificazioni appare giustificata in considerazione di vari fattori: più elevati livelli di sensibilità e specificità; minori prelievi inadeguati, minori lesioni dubbie e sospette, quest’ultimo dato ha portato ad una riduzione di interventi chirurgici per patologia benigna. Inoltre, il vantaggio della core biopsy CB in generale, sia di tipo convenzionale che “vacuum-assisted”, rispetto alla FNAC, è che consente di diagnosticare un carcinoma in situ o invasivo con l’opportunità di pianificare il trattamento terapeutico in fase pre-operatoria. I limiti della VANCB, legati essenzialmente al fatto che si tratta di un campionamento parziale, emergono soprattutto nei casi in cui venga diagnosticata una proliferazione epiteliale atipica di tipo duttale o un carcinoma duttale in situ DCIS. In riferimento alla proliferazione epiteliale atipica di tipo duttale, numerosi studi hanno dimostrato un certo grado di discordanza fra la diagnosi su VANCB e la diagnosi definitiva su biopsia chirurgica; così come la diagnosi di DCIS su VANCB non può escludere la presenza di carcinoma invasivo sulla biopsia chirurgica per la limitatezza del campionamento della lesione. I dati di sottostima, riportati in letteratura, variano dall’11% al 35% per la proliferazione epiteliale atipica di tipo duttale e dal 5% al 19% per il DCIS. L’esperienza del gruppo fiorentino che lavora in ambito senologico ci ha consentito di mettere a confronto la metodica della CB convenzionale con la VANCB su due diverse casistiche in totale circa 2000 casi di microcalcificazioni al fine di valutarne la performance in termini di sottostima con riferimento in particolare alla proliferazione epiteliale atipica di tipo duttale ed al DCIS. I 49 casi di proliferazione atipica di tipo duttale diagnosticati su CB con ago da 14 G hanno evidenziato una sottostima complessiva DCIS + carcinoma invasivo nel 59,3% dei casi. Gli 84 casi di proliferazione atipica di tipo duttale diagnosticati mediante VANCB hanno evidenziato una sottostima complessiva DCIS + carcinoma invasivo nel 34,5% dei casi. I 43 casi di DCIS diagnosticati su CB con ago 14G sono risultati carcinomi invasi su biopsia chirurgica nel 30,2% dei casi, mentre i 446 casi di DCIS su VANCB sono risultati carcinomi invasivi nel 18,2% dei casi. GIORNATA SIAPEC-IAP DI CITOLOGIA DIAGNOSTICA In conclusione la VANCB evidenzia una minore sottostima di DCIS e/o carcinoma invasivo nei casi diagnosticati come proliferazione epiteliale atipica di tipo duttale e di carcinoma invasivo nei casi diagnosticati come DCIS. Bibliografia European Working Group on Breast Screening Pathology. Quality assurance guidelines for pathology. In: Perry N, Broeders M, de Wolf C, et al., eds. European guidelines for quality assurance in breast cancer screening and diagnosis. Fourth Ed. Belgium: European Communities 2006, p. 221-311. Ciatto S, Houssami N, Ambrogetti D, Bianchi S, Bonardi R, Brancato B, et al. Accuracy and underestimation of malignancy of breast core needle biopsy: the Florence experience of over 4000 consecutive biopsies. Breast Cancer Res Treat 2007;101:291-7. Citologia agoaspirativa in LBC favorevole S. Rossi, G. Braghiroli*, S. Immovilli*, A. Carantoni*, C. Cavicchi*, A.L. Delazer*, M.D. Beccati* Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Medicina di Laboratorio, Anatomia Istologia e Citologia Patologica; 1 Diagnostica Citopatologica, Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara Tra le tecniche disponibili per l’allestimento del materiale ottenuto mediante agoaspirato, lo striscio su vetrino è sicuramente quella tradizionalmente più usata, efficace ed economica. I vetrini possono essere fissati all’aria o in alcol 95° e colorati rispettivamente con MGG o Papanicolau. È però una metodica operatore-dipendente, in ciascuna delle diverse fasi, dal trasferimento del materiale sul vetrino alla fissazione. La fissazione in fase liquida e successivo allestimento in strato sottile, con metodica Thin Prep Cytyc o Sure Path TriPath, BD, offre alcuni vantaggi rispetto allo striscio convenzionale: – tutto il materiale presente nell’ago viene trasferito nel liquido fissativo; – il materiale è immediatamente fissato con conseguente conservazione ottimale delle cellule; – riduzione di muco, emazie e flogosi sul fondo ed oscuranti gli elementi diagnostici tramite sostanze mucolitiche ed emolitiche nel fissativo e per filtrazione; – rappresentazione di tutte le componenti cellulari, disperse e con minima sovrapposizione; – minore e ben circoscritta superficie diametro massimo dell’area cm 2 e minor numero di vetrini da esaminare 1 o 2; – disponibilità di materiale di riserva, rappresentativo del campione. Le caratteristiche segnalate contribuiscono alla riduzione dei preparati inadeguati, ad una lettura più agevole e meno dispersiva anche a piccolo ingrandimento e danno la possibilità di migliorare la diagnosi tramite l’utilizzo di tests ancillari quali l’immunocitochimica, ad esempio per supportare diagnosi sospette, confermare la primitività o secondarietà di una neoplasia o la sede del prelievo. Accuratezza diagnostica. In citologia agoaspirativa della tiroide, l’applicazione della fissazione in fase liquida e dell’allestimento in strato sottile sembra dare promettenti risultati in termini di sensibilità, specificità e valore predittivo. Abbiamo confrontato, in una casistica di 555 agoaspirati di tiroide, sotto guida ecografica, consecutivi, l’accuratezza diagnostica su striscio convenzionale SC, fissato all’aria e colorato con MGG, con quella su preparati in strato sottile Thin Prep TP ottenuti dal materiale residuo nell’ago dopo l’esecuzione degli strisci split-sample. Ove possibile, è stato ese- GIORNATA SIAPEC-IAP DI CITOLOGIA DIAGNOSTICA guito il controllo cito-istologico. Risultati. Diagnosi descrittive benigne sono state espresse in percentuale minore in SC rispetto a TP. La tiroidite di Hashimoto è stata diagnosticata 2 volte più frequentemente in SC che in TP, in cui la diagnosi è stata di tiroidite cronica per mancata evidenza di oncociti. La diagnosi di carcinoma papillare non è stata possibile in TP in 3 casi su 65, in 5 casi è stata espressa una diagnosi di “neoplasia” indeterminata e in ulteriori 3 casi di “atipia” per la mancanza di alcuni criteri diagnostici specifici. L’accuratezza diagnostica è strettamente dipendente dal riconoscimento delle caratteristiche morfologiche ed architetturali modificate: è necessario tradurre-trasporre artefatti già noti in quelli indotti dalle diverse sollecitudini meccaniche e dalla diversa fissazione in un liquido a base di metanolo Cytolyt. Sono infatti mantenuti i criteri diagnostici, ma è diverso l’aspetto dei singoli parametri con cui occorre acquisire confidenza: la contrazione di volume dei nuclei e la disgregazione dei citoplasmi dei tireociti; la colloide con aspetto a “carta velina” o in gocce; gli oncociti con citoplasma ampio e pallido talora simile ai macrofagi: il minore risalto degli pseudo-inclusi nucleari, la frammentazione degli aggregati papillari e la presenza di cellule isolate nel carcinoma papillare; la dispersione dei linfociti sul fondo nelle tiroiditi; il diverso aspetto degli aggregati microfollicolari nelle neoplasie follicolari. Controversie metodologiche. Citologia agoaspirativa in fase liquida L. Di Bonito U.C.O. di Citodiagnostica e Istopatologia, Università di Trieste La citologia agoaspirativa non è una citologia di screening, bensì diagnostica, e la presenza del patologo al prelievo è un momento fondamentale. È il patologo, con un atto semplice e rapido, a trasferire il materiale cellulare dall’interno dell’ago al vetrino, materiale che, correttamente strisciato, verrà istantaneamente fissato. Egli inoltre può verificare, con una colorazione rapida, se il materiale prelevato è idoneo qualitativamente e quantitativamente per la successiva valutazione al microscopio ed integrare gli elementi clinici con gli aspetti morfologici del preparato. Se partiamo da questi presupposti, indispensabili ad una citologia di qualità che sappia dare una risposta ai dubbi diagnostici, ci rendiamo conto che non è necessario adoperare la fase liquida per allestire un preparato di citologia agoaspirativa, nonostante che, negli ultimi tempi, tale metodica venga proposta anche in questo ambito. Le valutazioni emerse da studi comparativi tra allestimento in fase liquida del materiale citologico agoaspirato e strisci convenzionali non sono univoche. Diversi Autori sottolineano, per lo strato sottile, alcune problematiche di tipo tecnico-procedurale che possono dar luogo a modificazioni morfologiche ed architetturali, anche importanti, soprattutto in alcuni organi e per alcune lesioni 1-6. In generale sono state sovente osservate una diminuita cellularità, con conseguente aumento dei preparati inadeguati o inconclusivi 1 2 4 ed un’eccessiva frammentazione dei lembi e degli aggregati cellulari 1 3. Ma difficoltà diagnostiche sono state evidenziate anche per la perdita di gran parte degli elementi che caratterizzano il fondo dei preparati muco, colloide, elementi infiammatori, emazie e che spesso sono parametri aggiuntivi che contribuiscono alla diagnostica 2 3 6. 125 La rottura dei citoplasmi con aumento di nuclei nudi e talvolta una maggiore presenza di nucleoli prominenti sono state segnalate come fonti di errori diagnostici 2 6. Un’erronea attribuzione di caratteristiche di atipia a cellule perfettamente normali può essere imputabile anche all’azione del metanolo contenuto nei fissativi che determina la coartazione del citoplasma e del nucleo 4. Secondo alcuni Autori tali modificazioni dei quadri morfologici determinano talora l’impossibilità di porre una precisa definizione diagnostica, che si concretizza con valori di sensibilità e di specificità più bassi di quelli delle preparazioni convenzionali 2-4 6. È da tenere in considerazione, inoltre, un elemento assolutamente non trascurabile, costituito dal fatto che la maggior parte dei patologi ha sicuramente più familiarità con i criteri diagnostici acquisiti in anni di attività che, se applicati ad un preparato in fase liquida, non sarebbero del tutto trasferibili, anzi talvolta potrebbero essere addirittura fuorvianti. Nel nostro laboratorio abbiamo voluto testare la validità della metodica in fase liquida per la citologia agoaspirativa, ma non abbiamo evidenziato particolari vantaggi rispetto alle tradizionali tecniche di allestimento eseguite in parallelo, anzi abbiamo riscontrato un aumento del numero di inadeguati e di casi dubbi soprattutto nelle lesioni solide, derivante spesso dalla scarsa presenza di elementi diagnostici. Abbiamo anche osservato alcuni falsi negativi in lesioni con componente cistica associata, per la presenza nel preparato dei soli elementi provenienti dalla cisti. I risultati ottenuti sono stati quindi decisamente inferiori a quanto siamo riusciti a realizzare in tanti anni di esperienza in citologia agoaspirativa convenzionale. Ad esempio, se consideriamo la citologia mammaria, la più presente nella nostra casistica, il tasso di inadeguati è attualmente inferiore al 7%, con una sensibilità e specificità rispettivamente del 98,3 e del 98,6%. Questi risultati sono stati raggiunti grazie ad una stretta collaborazione tra radiologi e patologi nell’esecuzione di prelievi citologici sotto guida strumentale, con allestimento di strisci convenzionali, nonostante che il materiale provenga da lesioni sempre più piccole, anche di diametro inferiore ai 5 mm. Questa metodologia di lavoro ci porta inoltre alla possibilità di apprezzare sempre, già al momento dello striscio, le caratteristiche del materiale prelevato e di far giungere al nostro laboratorio vetrini già pronti per la colorazione, evitando i maggiori carichi di lavoro e di spesa necessari all’allestimento di preparati in monostrato. In conclusione, riteniamo che i patologi debbano tendere all’esecuzione diretta dei prelievi con ago sottile, partecipando così a tutti i momenti dell’iter diagnostico. Ciò permetterà di realizzare un’ottima diagnostica, riducendo al minimo gli inadeguati e le occasioni di errore. La citologia in fase liquida, a nostro avviso, potrà trovare una sua applicazione solo in quelle realtà in cui non è possibile realizzare tutto ciò. Qualunque metodologia, infatti, che migliori la qualità dei preparati è accettabile, poiché un cattivo prelievo penalizza pesantemente la diagnostica. Bibliografia 1 Florentine BD, Wu NC, Waliany S, et al. Fine needle aspiration FNA biopsy of palpable breast masses. Comparison of conventional smears with the Cyto-Tek MonoPrep System. Cancer 1999;87:278-85. 2 Afify AM, Liu J, Al-Khafaji BM. Cytologic artifacts and pitfalls of thyroid fine-needle aspiration using ThinPrep. A comparative retrospective review. Cancer 2001;93:179-86. 3 Al-Khafaji BM, Afify AM. Salivary gland fine needle aspiration 126 4 5 6 using the ThinPrep technique: diagnostic accuracy, cytologic artifacts and pitfalls. Acta Cytol 2001;45:567-74. Cochand-Priollet B, Prat JJ, Polivka M, et al. Thyroid fine needle aspiration: the morphological features on ThinPrep slide preparations. Eighty cases with histological control. Cytopathology 2003;14:343-9. Das K, Haamed M, Heller D, et al. Liquid-based vs. conventional smears in fine needle aspiration of bone and soft tissue tumors. Acta Cytol 2003;47:197-201. de Luna R, Eloubeidi MA, Sheffield MV, et al. Comparison of ThinPrep and conventional preparations in pancreatic fine needle aspiration biopsy. Diagn Cytopathol 2004;30:71-6. Didattica e master M.R. Giovagnoli, E. Giarnieri II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza” La necessità di personale che svolga attività di lettura citologica è stata più volte affermata a livello di Linee Guida nazionali, pubblicate anche sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, ed è ribadita, dalle società scientifiche che si occupano di tale settore, oltre ad essere sentita soprattutto a livello di servizio sanitario. Quella del Citoscreener, del Citologo e del Citopatologo è una “attività professionale” che non può prescindere da specifiche conoscenze teoriche e da precise competenze/abilità pratiche le quali, in quanto tali, devono essere oggetto di un’accurata attività formativa. La consapevolezza della necessità di tale formazione si è tradotta, in molti paesi europei, in un percorso universalmente riconosciuto ed ormai formalizzato da vari decenni. In Italia, dove tale “attività professionale” non ha avuto un riconoscimento a livello normativo, il discorso formativo ha avuto connotazioni più variegate e mutevoli nel corso degli anni. Si può ragionevolmente suddividere la formazione in: formazione di base; approfondimento/specializzazione ed aggiornamento. Quest’ultimo, di fatto, coincide con l’“educazione continua”. Per quanto riguarda la formazione di base di tipo “formale” essa ha avuto diverse connotazioni a partire dagli anni 70 Corsi semestrali, biennali, indirizzi specifici all’interno di diplomi di laurea ecc., che hanno portato alla creazione di intere “generazioni” di citoscreener con un background culturale relativamente omogeneo. Tuttavia, va riconosciuto che, accanto a questi diversi percorsi, si è svolta un’attività più “informale” tesa a colmare la carenza di personale, laddove non esistevano soggetti specificamente addestrati, con il risultato di una maggiore variabilità professionale. Con l’accordo della Sorbona nel 1999 e la riforma universitaria, la formazione ha assunto in Europa dei tratti maggiormente omogenei, soprattutto per quanto riguarda i diversi livelli formativi: laurea triennale, laurea specialistica o magis- GIORNATA SIAPEC-IAP DI CITOLOGIA DIAGNOSTICA trale e Master di I e II livello oltre alle specializzazioni, particolarmente importanti nel settore sanitario. Inoltre da tale data l’attività formativa è suddivisa in unità dette “crediti formativi” universalmente riconosciute. Questa unitarietà ha permesso la libera circolazione degli studenti tra le diverse Università Europee. In Italia, dopo un gap formativo di alcuni anni, legato a questa riforma che ha portato alla cessazione dei corsi preesistenti senza ne che fossero istituiti dei nuovi, si è visto il sorgere di alcuni Master di I livello, aperti cioè anche a tecnici con laurea triennale, dedicati alla formazione di citoscreener e basati su di un tipo di didattica fortemente interattiva, impostata secondo le Linee Guida europee. Contemporaneamente la formazione più approfondita, dedicata non solo alla citologia esfoliativa ma anche a quella agoaspirativa, aveva la sua naturale sede presso le scuole di specializzazione in Anatomia Patologica e talora in Patologia Clinica, aperte a laureati in medicina. Anche questa formazione è risultata però disomogenea, perché non in tutte le sedi esisteva od esiste una tradizione in campo citopatologico, con il risultato che, accanto a punte di eccellenza, intere generazioni di neo-patologi risultavano privi di un adeguata formazione. È entrata da poco in vigore una nuova normativa, che prevede un tronco unico per gruppi di specialità, ma rimane da vedere se tale riforma possa, almeno in parte, sopperire a vecchie carenze. Pertanto molte problematiche rimangono tuttora aperte sia sui contenuti quali sono i “requisiti minimi” di una formazione di base? E di un corso più avanzato? sia sui soggetti ai quali tale formazione debba essere indirizzata a seconda dei diversi livelli laureati tecnici, biologi, medici? ed infine su chi debba costruire tale offerta formativa e secondo quali modalità Master di I o II livello?, periodi di formazione specifici all’interno di corsi di specializzazione? corsi riconosciuti extrauniversitari? Formazione sul campo? Risulta, però, chiaro che l’attuale confusione di ruoli e competenze non può che essere nociva ad una “disciplina” che proprio in quanto poco quantizzabile ed oggettivizzabile risulta gravata da una certa soggettività di giudizio e pertanto richiede un’impostazione ancor più rigorosa ed un’esperienza notevolmente approfondita. Un altro importante tema, connesso al quello della formazione è il tema della “valutazione del citologo”. Anche in questo caso possiamo considerare un test di base relativo alla valutazione delle competenze indispensabili per accedere all’attività di citoscreener, un secondo, teso alla valutazione del mantenimento di tali competenze nel tempo, e infine una prova che riconosca abilità e competenze maggiori. A differenza che all’estero, in questo campo in Italia, non esistono modelli specifici ed universalmente accettati, ma si è finora fatto riferimento a test messi a punto a livello Europeo Test di competenza o Aptitude test. PATHOLOGICA 2007;99:127 Strumenti di management per la gestione di un servizio di Anatomia Patologica Strumenti di management per la gestione di un Servizio di Anatomia Patologica. Il progetto S.I.A.P.E.C. G. Angeli S.C. Anatomia Patologica, Ospedale “S. Andrea”, Vercelli In considerazione dell’evoluzione istituzionale ed organizzativa delle Aziende Sanitarie, sempre più orientate ad operare in condizioni di equilibrio economico, appare evidente come gli strumenti di gestione manageriale entrino a far parte a tutti gli effetti del bagaglio culturale dell’Anatomia Patologica, sia per quanto concerne la Dirigenza Medico-Biologica che il Coordinamento Tecnico ed Amministrativo. Nell’ambito di tali strumenti un ruolo rilevante spetta alle metodiche quantitative di misurazione, intese non come procedure di controllo burocratico dell’attività, ma come utili attrezzi atti ad orientare le decisioni di chi è, in tutti i profili professionali, chiamato a dirigere e coordinare un’Unità Operativa di Anatomia Patologica. In tale ottica la S.I.A.P.E.C. ha ritenuto di attivare un progetto di valutazione su base nazionale degli standard di attività e carichi di lavoro in Anatomia Patologica, cui è sembrato necessario collegare strettamente una metodologia per quanto possibile standardizzata per la determinazione dei costi delle Unità Operative di Anatomia Patologica. La richiesta di attivazione del progetto finalizzato a standard di attività e costing è venuta in primo luogo dalla Consulta Nazionale di Firenze del 2005, ed è stata accolta dal Consiglio Nazionale, che ne ha dato mandato alla Commissione per le problematiche organizzative e gestionali, emanazione della Consulta stessa. Considerato che in letteratura internazionale vi sono relativamente pochi lavori su standard di attività e costi in Anatomia Patologica, e che nella letteratura specialistica italiana il lavoro più ampio sull’argomento è quello di Andrion et al. “Audit of histopathological activities in the laboratories of 7 general hospitals. Types of resources and quantitative aspects of the workload” – Pathologica 1996;88:18-24, è sembrato opportuno procedure ad un aggiornamento dello studio, alla luce delle evoluzioni istituzionali e dei moderni sviluppi delle metodiche manageriali, rendendolo contestualmente non più autoreferenziante. A tal fine si è deciso di procedere alla richiesta di una consulenza professionale manageriale, identificandola nelle persone del prof. Andrea Francesconi e della dr. Elisabetta Trinchero della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università “Bocconi” di Milano. I consulenti sono stati affiancati da un gruppo di lavoro S.I.A.P.E.C. di 16 componenti, coordinato dal dr. Giovanni Angeli. I componenti del gruppo sono stati scelti dal Consiglio Nazionale tra colleghi noti per essersi già in passato occupati di tematiche gestionali in Anatomia Patologica. Il gruppo di lavoro ha deciso di utilizzare per le rilevazioni dei dati di attività e di costi, allo scopo di elaborare un modello di riferimento, un campione di 8 ospedali, scelti per le caratteristiche istituzionali realtà grandi e medio-piccole, sede di Policlinico Universitario, dimensione ospedaliera o di Istituto di Ricerca, e per la sede geografica, privilegiando una distribuzione per quanto possibile omogenea sul territorio nazionale. I consulenti ed il gruppo di lavoro hanno proceduto alla rilevazione dei dati ed all’elaborazione di un modello di riferimento, seguendo le due linee degli standard di attività/carichi di lavoro e della rilevazione dei costi/determinazione delle tariffe, prendendo come primo riferimento il nomenclatore S.I.A.P.E.C 2002 delle prestazioni pesate e dei raggruppamenti omogenei. La metodologia utilizzata, che permette di ricavare uno standard di riferimento per l’attività ed i costi, da cui desumere tra l’altro un organico teorico per le diverse figure professionali, viene descritta in termini analitici nei manuali operativi specifici, che sono stati approvati, come il modello nel suo insieme, dal Consiglio Nazionale di Milano dell’89/06/07, per essere successivamente presentati alla Consulta Nazionale di Roma del 30/6/07. È evidente che il modello, essendo stato costruito su un numero limitato, per quanto significativo, di ospedali campione, va considerato come di riferimento, anche ai fini di benchmarking. È intenzione del Consiglio Nazionale validare il modello dopo una seconda fase allargata di sperimentazione, da effettuarsi su un campione di ospedali più ampio, tale da rendere il modello stesso definitamente significativo. A tal fine verrà chiesta la collaborazione dei segretari regionali, perché fungano da facilitatori nel reclutamento di un ampio e territorialmente distribuito campione per la seconda fase della sperimentazione, indicativamente prevista tra l’autunno 2007 ed il 2008. È essenziale che alla seconda fase partecipino unità operative con le più varie caratteristiche dimensionali, organizzative e di distribuzione geografica. Si ritiene che in questo modo sarà possibile ottenere un modello che possa rappresentare un attendibile strumento gestionale in Anatomia Patologica, dal punto di vista organizzativo, delle logiche di budget e di un sistema decisionale improntato su criteri di misurazione oggettiva delle prestazioni e dei costi. In una parola, che permetta di operare al miglior livello qualitativo rispettando l’equilibrio economico. PATHOLOGICA 2007;99:128-130 Patologia iatrogena Modificazioni iatrogene dopo interventi diagnostici e terapeutici P. Viacava Divisione di Anatomia Patologica e di Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana Gli interventi diagnostici e terapeutici hanno portato importanti benefici nella pratica medica, ma, si sono resi responsabili della possibile comparsa di lesioni negli organi e tessuti. Il patologo, nella sua attività, incontra frequentemente queste lesioni iatrogene che possono rappresentare una sorgente di errori diagnostici se non riconosciute e inserite in un adeguato percorso anatomo-clinico. Le lesioni iatrogene possono insorgere in seguito a procedure diagnostiche, interventi chirurgici e azioni di agenti chimici quali farmaci chemioterapici o fisici tipo radiazioni. Tutti gli organi o tessuti possono essere interessati dalle lesioni iatrogene, ma alcuni, quali la mammella, l’apparato genitale femminile e gli organi addominali ne sono particolarmente colpiti. Lesioni da procedure diagnostiche. I prelievi bioptici determinano un trauma fisico nei tessuti con conseguente alterazione del pattern architetturale e del dettaglio citologico. Il tessuto rimosso chirurgicamente dopo biopsia può presentare una morfologia alterata con aree necrotiche ed emorragiche; in particolare vi può essere una intensa reazione fibroblastica ed endoteliale con singole cellule caratterizzate da nuclei grandi, vescicolosi, nucleoli prominenti e mitosi numerose. Queste cellule sono simili alle cellule epiteliali neoplastiche e, talora, solo con indagini immunoistochimiche è possibile effettuare una diagnosi differenziale. Nelle aree di tessuto alterato da trauma bioptico, anche le atipie delle cellule epiteliali devono essere valutate con cautela per la presenza di marcati fenomeni degenerativi e rigenerativi che interessano gli epiteli normali. Questo fenomeno è ben evidente nell’endometrio e nella endocervice, dove, in seguito a procedure chirurgiche, è possibile osservare una riepitelizzazione caratterizzata da cellule con nuclei ipercromici e perdita di polarità. La diagnosi differenziale con un adenocarcinoma risulta particolarmente difficile quando le alterazioni riguardano, oltre all’epitelio di superficie, anche le ghiandole normali. La mucosa della cavità orale, dopo biopsia, può presentare modificazioni delle ghiandole salivari minori con comparsa di una marcata metaplasia squamosa degli acini che pone il problema di una diagnosi differenziale con il carcinoma squamoso o mucoepidermoide. La presenza di lievi atipie citologiche e di acini residui, in parte degenerati, depone per un quadro reattivo piuttosto che neoplastico. Nel parenchima mammario, in seguito a “core biopsy”, può verificarsi una dislocazione di cellule epiteliali benigne in genere provenienti da papillomi e/o maligne da carcinomi duttali in situ, nel tessuto di granulazione e/o all’interno di vasi linfatici. Questo determina notevoli difficoltà interpretative e, talora, può essere praticamente impossibile differenziare le cellule dislocate meccanicamente da una vera invasione neoplastica stromale e/o emolinfatica. In alcuni casi le cellule epiteliali dislocate nei vasi linfatici vengono trasportate dal drenaggio linfatico nei linfonodi dove possono essere interpretate come micrometastasi. Le cellule epiteliali provenienti da lesioni benigne, quali papillomi adiacenti ad un carcinoma duttale in situ di alto grado, presentano generalmente caratteristiche citomorfologiche ed immunoistochimiche pattern recettoriale differenti dal tumore primitivo. Nel caso di cellule epiteliali maligne può risultare impossibile distinguere le cellule dislocate e trasportate meccanicamente con la linfa da quelle realmente metastatiche provenienti da un focolaio di microinvasione. Lesioni da interventi chirurgici. Nelle sedi di anastomosi ureterosigmoidostomie, gastroenterostomie sono frequentemente osservate alterazioni di tipo rigenerativo-iperplastico degli epiteli, formazione di polipi adenomatosi e comparsa di carcinomi indifferenziati o con aspetti mucinosi. In seguito a procedure chirurgiche, nella vagina, nell’uretra prostatica e nella vescica possono comparire noduli formati da cellule fusate con mitosi numerose definiti “post-operative spindle cell nodules” PSCN. Queste noduli devono essere differenziati, anche mediante indagini immunoistochimiche, dai carcinomi a cellule fusate, sarcomi o pseudotumori infiammatori. Il trauma chirurgico può favorire la formazione di aggregati di cellule istiocitarie con citoplasma eosinofilo-granulare che ricordano il tumore a cellule granulari o lesioni cistiche uni o multiloculari con intrappolate cellule mesoteliali atipiche che simulano un adenocarcinoma. Lesioni da agenti chimici e fisici. Le sostanze chimiche possono determinare lesioni di vario tipo negli organi e tessuti. Le protesi mammarie di silicone inducono la formazione di una capsula fibrosa rivestita da una membrana di cellule simil-sinoviali. In alcuni casi la capsula si presenta ispessita e associata a intensa reazione fibroistiocitica con cellule giganti plurinucleate, un quadro che può essere confuso clinicamente con una neoplasia maligna. A livello istologico gli istiociti presentano aspetto irregolare e una vacuolizzazione citoplasmatica provocata dal silicone che ricorda citologicamente quella dei lipoblasti maligni. Cellule con questi aspetti possono essere osservate anche nei linfonodi ascellari dove determinano la comparsa di una linfoadenopatia sospetta per localizzazione neoplastica. I farmaci chemioterapici determinano alterazioni a livello degli epiteli normali e neoplastici. Gli epiteli normali possono presentare marcate atipie cito-nucleari che determinano difficoltà diagnostiche in caso di biopsia o esame citologico. Nei tumori maligni possono comparire fenomeni degenerativi di vario grado o, come avviene nei neuroblastomi, aspetti di maturazione istologica. Gli effetti degli ormoni sui tessuti sono molteplici. L’esposizione in utero di dietilbestrolo determina la comparsa di adenosi vaginale e più raramente di adenocarcinomi a cellule chiare. A livello prostatico la terapia endocrina pre-operatoria per adenocarcinoma determina la comparsa di alterazioni citonucleari che possono creare difficoltà nella gradazione tumorale post-operatoria. Il tamoxifen, a livello uterino, può favorire l’insorgenza di polipi, iperplasie e carcinomi endometriali. Le modificazioni indotte dalle radiazioni sui tessuti normali riguardano gli epiteli e gli stromi. A livello epiteliale si osservano rigonfiamenti citonucleari, vacuolizzazioni intracitoplasmatiche, nucleoli prominenti e nuclei talora ipercromici. Il rapporto nucleo-citoplasma rimane invariato o lievemente aumentato. I danni stromali si verificano soprattutto a carico degli endoteli e dei fibroblasti che si presentano rigonfi e talora con aspetto bizzarro. Le cellule tumorali dopo terapia radiante possono apparire immodificate o presentare aspetti degenerativi talora marcati e un quadro di pleomorfismo che può superare quello del tumore primitivo. PATOLOGIA IATROGENA Effetti delle terapie ormonali sugli organi bersaglio G.F. Zannoni, V.G. Vellone Anatomia Patologica, Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica, Roma Si definiscono organi bersaglio le strutture anatomiche che dotate di specifici recettori, subiscono particolari modificazioni in seguito all’azione degli ormoni. Gli effetti delle terapie ormonali su tali organi sono tuttavia differenti a seconda della durata dell’esposizione, della dose e del tipo di ormone. Lo studio dei cambiamenti morfologici indotti dall’uso clinico della terapia ormonale è stato accuratamente descritto nell’endometrio in quanto l’accessibilità di tale organo alle biopsie ha reso agevole l’interpretazione dei suoi cambiamenti nelle varie fasi del ciclo 1. Le terapie ormonali vengono somministrate per varie ragioni: controllo delle nascite, trattamento delle perdite ematiche atipiche, dell’endometriosi, dell’iperplasia endometriale, di selezionati casi di carcinoma e per alleviare i sintomi peri- e post-menopausali. Gli estrogeni inducono la proliferazione dell’endometrio e il loro prolungato uso può determinare l’instaurarsi di un quadro di disordine proliferativo, che a sua volta può evolvere in iperplasia con aspetti di differenziazione squamosa e metaplasia a cellule ciliate fino alla trasformazione in un adenocarcinoma ben differenziato. I progestinici vengono generalmente impiegati nella cura empirica delle perdite ematiche atipiche che si ritengono causate da problemi funzionali. L’azione del progestinico conduce alla soppressione della ovulazione e all’arresto della crescita dell’endometrio. Gli effetti del progesterone sull’endometrio possono essere riassunti in tre quadri principali che possono coesistere, o presentarsi come evoluzione progressiva: alterazioni deciduali simil gravidiche, alterazioni secretive, alterazioni atrofiche 2. Le alterazioni deciduali tendono a manifestarsi negli endometri che sono stati sottoposti ad alte dosi di estrogeno oppure in seguito a terapia per cicli anovulatori o per iperplasia. Il quadro istologico è caratterizzato da cellule stromali allungate, con abbondante citoplasma, prominenti contorni cellulari e occasionali mitosi. Le ghiandole evidenziano un pattern di tipo secretorio con cellule epiteliali con citoplasma vacuolizzato e abbondante secrezione luminale. Talora alcune ghiandole possono apparire dilatate e raramente si osservano immagini riferibili a fenomeno di Arias-Stella. Le arterie spirali sono marcatamente ispessite per effetto dell’iperplasia endoteliale e muscolare liscia. Le venule, infine, appaiono dilatate. Le alterazioni secretive sono caratterizzate da una accentuazione degli aspetti ghiandolari e stromali che sono propri della fase luteinica. Le ghiandole appaiono tortuose; le cellule epiteliali, di forma lievemente colonnare, hanno nuclei basali ben orientati. Il bordo apicale appare liscio e ben definito e il lume ghiandolare può essere occupato da secrezioni eosinofile. Le cellule stromali sono lievemente ingrandite e mostrano aspetto predeciduale, hanno forma ovoide con raro citoplasma. Le alterazioni atrofiche rappresentano l’esito del prolungato uso di progestinici e contraccettivi. Le ghiandole perdono la loro tipica tortuosità, diminuiscono di dimensioni, assumono morfologia tubulare e non evidenziano secrezioni luminali. L’epitelio appare lievemente colonnare con citoplasma ridot- 129 to e pallido. Rispetto all’atrofia fisiologica, l’atrofia provocata dall’uso di progestinici è caratterizzata dall’abbondanza di stroma in cui si osservano ghiandole sottili e quasi indistinte dallo stroma attorno. Inoltre lo stroma può apparire iperplastico e pseudosarcomatoso aumento della cellularità, ipercromasia nucleare, nucleoli allargati, variazioni di dimensioni cellulari e variazioni di forma. Le cellule stromali possono apparire epitelioidi e in alcuni rari casi il nucleo può farsi eccentrico simulando così una cellula ad anello con castone 3. Infine si possono osservare infiltrati linfocitari e granulocitari. Nella terapia sostitutiva in menopausa estrogeni e progestinici possono essere somministrati in combinazione. Le modalità di somministrazione si possono ricondurre a due metodiche: sequenziale uso quotidiano di estrogeni per i primi 20-25 giorni e aggiunta di progestinici negli ultimi 10-15 giorni e combinato uso contemporaneo quotidiano di estrogeni e progestinici. A questi due diversi modi di somministrazione si associano due diversi quadri istologici 1 4. Nella somministrazione sequenziale l’endometrio appare debolmente proliferativo, caratterizzato da piccole ghiandole tubulari in scarso stroma. Nella somministrazione combinata, invece, il quadro più frequente è quello di tipo atrofico. Le più diffuse complicanze dell’uso di questa terapia sono i polipi, l’iperplasia e il carcinoma 5. Il tamoxifen è un antiestrogeno non steroideo che ha un’azione di modulatore selettivo del recettore per estrogeno e può agire sia come antagonista sia come agonista. Le pazienti comunemente si dividono in sintomatiche e asintomatiche; in quest’ultima categoria l’endometrio appare atrofico. Nelle donne sintomatiche invece si possono riscontrare frequentemente polipi endometriali che possono essere di grandi dimensioni e multipli e tendono a recidivare, mentre lo stroma può essere edematoso mixoide o più tipicamente fibroso. Spesso questi polipi possono avere aspetti di tipo iperplastico, e mostrare focolai di metaplasia mucinosa o a cellule chiare. I polipi, infine, possono contenere aree di iperplasia con atipie e focolai di adenocarcinoma ben differenziato 6. Il Raloxifene, che è un modulatore selettivo del recettore per estrogeno e può essere impiegato nel trattamento del carcinoma mammario o per la prevenzione dell’osteoporosi, provoca atrofia endometriale 7. Il Clomifene acetato è un antiestrogeno usato per indurre ovulazione nel trattamento delle donne che hanno cicli anovulatori. Provoca un effetto luteinico con diminuzione della tortuosità delle ghiandole con debole secrezione 8. Il Danazol, che viene impiegato nel trattamento dell’endometriosi, è correlato al testosterone ed è un debole androgeno. Il suo principale metabolita è l’etisterone, un debole progestinico, che provoca lesioni simil progestiniche. La terapia prolungata porta ad atrofia. Si possono osservare venule ectasiche. Il Leuprolide acetato può dare effetti sia sull’endometrio atrofia sia sul leiomioma bizzarrie cellulari, necrosi fibrinoide e obliterazione dei vasi per deposizione di fibrina 9. Parallelamente alle terapie convenzionali si assiste ad un progressivo utilizzo di integratori della dieta a base di fitoestrogeni, i cui effetti sugli organi bersaglio non sono stati del tutto chiariti, sebbene sperimentazioni sui ratti hanno dimostrato sull’endometrio un effetto proliferativo inferiore rispetto a quello riscontrato nelle terapie a base di estrogeno 10. Il patologo deve avere ben presenti i diversi quadri ora descritti perché può essere può essere consultato dal clinico in quattro importanti situazioni: nei controlli durante la terapia PATOLOGIA IATROGENA 130 sostitutiva, nella valutazione di perdite ematiche atipiche durante la terapia ormonale, nella programmazione del trattamento dell’iperplasia, nella valutazione dello stato dell’endometrio in seguito a terapie di induzione ormonale per ovulazione o per crescita endometriale. Bibliografia 1 Deligdisch L. Hormonal pathology of the endometrium. Mod Pathol 2000;13:285-94. 2 Moyer DL, Felix JC. The effects of progesterone and progestins on endometrial proliferation. Contraception 1998;57:399-403. 3 Clement PB, Scully RE. Idiopathic postmenopausal decidual reaction of the endometrium. A clinicopathologic analysis of four cases. Int J Gynecol Pathol 1988;7:152-61. 4 Feeley KM, Wells M. Hormone replacement therapy and the endometrium. J Clin Pathol 2001;54:435-40. 5 Heikkinen J, Vaheri R, Kainulainen P, Timonen U. Long-term continuous combined hormone replacement therapy in the prevention of 6 7 8 9 10 postmenopausal bone loss: a comparison of high- and low-dose estrogen-progestin regimens. Osteoporos Int 2000;11:929-37. Deligdisch L, Kalir T, Cohen CJ, de Latour M, Le Bouedec G, Penault-Llorca F. Endometrial histopathology in 700 patients treated with tamoxifen for breast cancer. Gynecol Oncol 2000;78:181-6. Davies GC, Huster WJ, Shen W, Mitlak B, Plouffe L Jr, Shah A, et al. Endometrial response to raloxifene compared with placebo, cyclical hormone replacement therapy, and unopposed estrogen in postmenopausal women. Menopause 1999;6:188-95. Benda JA. Clomiphenés effect on endometrium in infertility. Int J Gynecol Pathol 1992;11:273-82. Ito F, Kawamura N, Ichimura T, Tsujimura A, Ishiko O, Ogita S. Ultrastructural comparison of uterine leiomyoma cells from the same myoma nodule before and after gonadotropin-releasing hormone agonist treatment. Fertil Steril 2001;75:125-30. Gallo D, Zannoni GF, Apollonio P, Martinelli E, Ferlini C, Passetti G, et al. Characterization of the pharmacologic profile of a standardized soy extract in the ovariectomized rat model of menopause: effects on bone, uterus, and lipid profile. Menopause 2005;12:589-600. PATHOLOGICA 2007;99:131 Il nodulo epatico: non così semplice Il nodulo epatocellulare: diagnosi differenziale in fegato cirrotico M. Roncalli Università di Milano, U.O. Anatomia Patologica, IRCCS Istituto Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano L’utilizzo della tecnica ecografica nel follow-up di pazienti cirrotici frequentemente rivela la presenza di uno o più noduli di dimensione dimensioni variabili da 1 a 2 cm e pattern all’imaging ecografia con o senza contrasto, TAC, RMN non conclusivo di malignità 1. In considerazione della elevata incidenza del carcinoma epatocellulare in corso di cirrosi epatica 3-4%, è irrinunciabile la caratterizzazione istologica delle singole lesioni che viene condotta mediante biopsia e prelievo di un frustolo intra- ed extra-lesionale. Le entità che sottendono il nodulo epatocellulare in cirrosi sono fondamentalmente 5 e segnatamente i larghi noduli di rigenerazione, i noduli displastici a basso ed alto grado, il cosiddetto epatocarcinoma tipo early nelle sue due varianti “vaguely nodular type” e “nodular” nonché il classico epatocarcinoma. La ricerca di alcune figure istologiche crescita clonale, affollamento cellulare, perfierizzazione sinusoidale dei nuclei, ecc., del pattern di vascolarizzazione e la documentazione dello stato della trama reticolare sono di fondamentale ausilio per un inquadramento diagnostico preliminare di queste lesioni 2. L’interpretazione istologica non è tuttavia sempre uni- voca soprattutto nella distinzione tra noduli diaplastici ad alto grado e carcinoma epatico tipo early. Nel corso della presentazione sarà discussa la opportunità di utilizzare un pannello di marcatori di malignità attualmente disponibili 3-5 nonché le modalità morfofenotipiche più idonee per accertare la cosiddetta microinvasione stromale, propria delle lesioni epatocellulari maligne 6. Bibliografia 1 Bolondi L, Gaiani S, Celli N, Golfieri R, Grigioni WF, Leoni S, et al. Characterization of small nodules in cirrhosis by assessment of vascularity: the problem of hypovascular hepatocellular carcinoma. Hepatology 2005;42:27-34. 2 Roncalli M. Hepatocellular nodules in cirrhosis: focus on diagnostic criteria on liver biopsy. A Western experience. Liver Transpl 2004;10:S9-15. 3 Llovet JM, Chen Y, Wurmbach E, Roayaie S, Fiel MI, Schwartz M, et al. A molecular signature to discriminate dysplastic nodules from early hepatocellular carcinoma in HCV cirrhosis. Gastroenterology 2006;131:1758-67. 4 Wurmbach E, Chen YB, Khitrov G, Zhang W, Roayaie S, Schwartz M, et al. Genome-wide molecular profiles of HCV-induced dysplasia and hepatocellular carcinoma. Hepatology 2007;45:938-47. 5 Di Tommaso L, Franchi G, Park YN, Fiamengo B, Destro A, Morenghi E, et al. Diagnostic value of HSP70, glypican 3, and glutamine synthetase in hepatocellular nodules in cirrhosis. Hepatology 2007;45:725-34. 6 Park YN, Kojiro M, Di Tommaso L, Dhillon AP, Kondo F, Nakano M, et al. Ductular reaction is helpful in defining early stromal invasion, small hepatocellular carcinomas, and dysplastic nodules. Cancer 2007;109:915-23. B FREE PAPERS PATHOLOGICA 2007;99:135-151 Valutazione HTA per l’introduzione di nuova tecnologia in Anatomia Patologica P. Dalla Palma, K. Chistè*, G.M. Guarrera** Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale “S. Chiara”; * Servizio Controllo di Gestione; ** Servizio Garanzia di Qualità, A.P.S.S., Trento Introduzione. L’introduzione di nuova tecnologia nella routine di un Servizio diagnostico richiede una valutazione secondo le regole dell’Health Technology Assessment specialmente quando va a sostituire o integrare tecnologia già presente e ritenuta fino a quel momento la più efficiente. Questo è possibile attraverso una stretta collaborazione con il Controllo di Gestione e col continuo monitoraggio delle prestazioni. Materiali e metodi. Dal 2000 l’Anatomia Patologica viene monitorata sia dal punto di vista dei costi che delle prestazioni con un centro di costo principale suddiviso in sottocentri (Autopsie, Istologia, Citologia, Screening cervicovaginale, Immunoistochimica, Biologia molecolare, Patologia quantitativa e citofluorimetrica). È quindi possibile valutare l’impatto dell’introduzione e della successiva gestione di nuova tecnologia attraverso l’analisi dei dati, ovviamente ancora prima di decidere per l’acquisizione o meno della stessa in conto capitale o in service. Risultati. Il numero delle prestazioni effettuate negli anni non ha subito sostanziali scostamenti mentre ne è variata la complessità e la completezza. L’aumento costante di spesa per i presidi sanitari e per i reagenti di laboratorio (da circa 200.000 dell’anno 2000 a quasi 360.000 nel 2006) trova giustificazione, oltre che nell’inflazione, nelle innovazioni tecnologiche legate all’estensione della citologia in strato sottile (consumo costante della cervico-vaginale ma aumento della extravaginale), all’applicazione dell’HCII nel triage dell’ASC, all’aumento delle reazioni immunoistochimiche con l’introduzione di pannelli prognostici sempre più ampi (in particolare per il carcinoma della mammella non ultimo con le FISH), all’ampliamento del pannello degli anticorpi per la tipizzazione linfocitaria citofluorimetrica. Abbastanza stabile è stata la spesa per la biologia molecolare nonostante la rivoluzione avvenuta in tale settore con l’introduzione di test sempre più sofisticati (sequenziamento e pcr quantitativa solo per fare degli esempi): vi è stata una contemporanea dismissione di tecniche ritenute superate proprio nell’ottica dell’HTA. Conclusioni. L’attività di Anatomia Patologica sta vivendo in questi anni un’importante rivoluzione. Sempre maggiori sono le richieste da parte dei clinici (specie gli oncologi) di nuovi marcatori che possano avere un riflesso non solo in una più precisa definizione diagnostica del processo morboso ma anche nella valutazione del singolo paziente per una personalizzazione della prognosi e della farmacoresponsività. Tutto ciò comporta un aumento della spesa che deve essere monitorata e i cambiamenti vanno attuati dopo valutazione HTA. La conoscenza di tali dati e la stretta collaborazione con il Controllo di gestione ci ha ad esempio permesso di pianificare il budget annuale e di predisporre interventi importanti come l’acquisizione dell’analizzatore automatico dei Pap test dimostrandone sia efficacia clinica che la valenza economica (nel caso specifico con riduzione/non sostituzione del personale citotecnico). Organizzazione dei controlli di qualità dei fattori prognostico/predittivi del carcinoma della mammella. Progetto SIAPEC regione Piemonte. Rete oncologica regione Piemonte I. Castellano, C. Pecchioni, G. Ghisolfi, M. Cerrato, S. Vigna, A. Sapino Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana Introduzione. La definizione dei fattori prognostici e predittivi nel carcinoma mammario (ER, PR, Ki67, HER2) riveste un ruolo fondamentale nella scelta della terapia oncologica. Questo ruolo comporta conoscenza, competenza e consapevolezza delle responsabilità diagnostiche del personale medico e tecnico di Anatomia Patologica. Una partecipazione diretta ed attiva di entrambe le figure professionali porterebbe ad una migliore presa di visione dei problemi e alla risoluzione degli stessi. Metodi. 1) Identificazione di figure partecipanti (Centro di coordinamento e Centri di Anatomia Patologica regionale con Diagnostica di carcinoma mammario) e del patologo e del tecnico di riferimento; 2) definizione delle procedure di allestimento delle reazioni (tempi di fissazione, procedure di immunocitochimica, anticorpi utilizzati); 3) criteri di lettura delle reazioni immunocitochimiche; 4) standardizzazione a livello regionale del referto diagnostico. Tempi di esecuzione: 1° round. Definizione su casi controllo delle procedure tecniche e di diagnosi delle singole unità partecipanti. Il centro di coordinamento ha provveduto a fornire sezioni su Tissue Array (TA) dei casi controllo. Le sezioni sono state inviate a tutti i servizi di Anatomia Patologica della Regione. Per ogni anticorpo sono state compilate e inviate al centro coordinatore le schede di procedure immunocitochimiche e le schede di valutazione dei risultati. Successivamente vi è stato un incontro con discussione dei risultati al microscopio multiplo e delle difficoltà tecniche. Nella stessa sede il personale tecnico ha rivisto i protocolli di procedura apportando le modifiche necessarie al fine di ottimizzare i risultati. È stato definito un gruppo di lavoro per la redazione di una scheda diagnostica standardizzata comune. Round successivi incontri bimensili. Il centro di coordinamento ha provveduto alla preparazione di TA di studio con casi inviati dalle singole unità partecipanti per valutare l’influenza delle procedure di trattamento dei tessuti sui risultati immunocitochimica. Come per il primo round i risultati sono stati discussi in sessione congiunta tecnici-patologi, con revisione al microscopio multiplo. Risultati e conclusione. La partecipazione delle Anatomie patologiche regionali è stata piena. I risultati sono stati inseriti su data base per l’elaborazione statistica e lo studio della concordanza diagnostica ha dimostrato un miglioramento nelle varie fasi. FREE PAPERS 136 Esiste ancora un ruolo della microscopia elettronica nella diagnostica delle malattie da accumulo? V. Papa, P. Preda, L. Tarantino, L. Badiali De Giorgi, G.N. Martinelli, G. Cenacchi Banca tessuti congelati: come ottenere tessuto fresco di carcinoma nella prostatectomia radicale. Proposta di una procedura sperimentata all’INT di Milano A. Pellegrinelli, M. Colecchia, N. Zaffaroni, A. Carbone Dipartimento Clinico di Scienze Radiologiche e Istocitopatologiche, Università di Bologna Dipartimento di Patologia e Struttura Complessa di Ricerca Traslazionale, IRCCS INT, Milano Introduzione. Le malattie da accumulo sono numerose e complesse e i meccanismi eziopatogenetici non sono ancora completamente chiariti 1. In numerose di esse sono stati definiti i difetti genetici e la terapia può avvalersi, in alcuni casi, di molecole sostitutive. La diagnosi precoce risulta, pertanto, di fondamentale importanza. Scopo del nostro studio è stato, quindi, quello di rivalutare il ruolo della Microscopia Elettronica quale strumento di indagine fondamentale nella diagnosi di tali malattie. Materiali e metodi. Sono stati studiati mediante microscopia elettronica a trasmissione 42 casi di malattie da accumulo (2001-2007) di cui: 18 malattie da accumulo intracitoplasmatico lisosomiale (Fabry, 5, mucopolisaccaridosi, 1, Niemann-Pick, 2, gangliosidosi, 1, glicogenosi tipo II, 4, Danon, 1, ceroidolipofuscinosi, 4); 4 casi di malattia da accumulo intracitoplasmatico non lisosomiale (IBM, 1, malattia da deficit di L-CAT, 1, Lafora, 2) e 20 casi di malattia da accumulo extracitoplasmatico (CADASIL, 20). Risultati. I quadri submicroscopici relativi delle singole patologie mostravano alterazioni degenerative aspecifiche e/o inclusioni lisosomiali o citoplasmatiche specifiche definite dai differenti pattern riorganizzativi delle strutture molecolari accumulate: accumulo di particelle di glicogeno (glicogenosi), finger prints o GRODs (ceroidolipofuscinosi), figure mieliniche (malattia di Fabry), strutture filamentosofibrillari (IBM), GOMs (CADASIL). Conclusioni. I nostri dati evidenziano come la diagnostica ultrastrutturale possa essere considerata una metodica di screening diagnostico altamente sensibile, efficiente, costoeffettiva e rapida che non può prescindere, tuttavia, dall’esperienza del patologo nella lettura dei preparati. È assolutamente necessario, infatti, essere in grado di differenziare alterazioni aspecifiche/artefattuali da strutture patognomoniche e, nell’ambito di queste, tra patologie con strutture morfologiche simili. Nonostante tale metodica sia sicuramente più costosa rispetto ad analisi di tipo biochimico, in alcune forme di “malattie da accumulo” quali CADASIL o alcune varianti di ceroidolipofuscinosi con anomala localizzazione tissutale 2, sembra rappresentare la metodica diagnostica più efficace e sicura. Introduzione. Le caratteristiche macroscopiche del carcinoma prostatico nei campioni di prostatectomia radicale rendono difficile individuare e prelevare una parte di tumore per la banca dei tessuti congelati senza compromettere il successivo esame istologico routinario. I risultati ottenuti mediante una procedura sperimentale vengono qui confrontati con quelli ottenuti con altre procedure di prelievo 1. Metodi. La procedura prevede i seguenti passaggi: 1. chinare la superficie esterna della prostatectomia, immergerla per qualche secondo in liquido di Bouin ed asciugare con garza; 2. eseguire macrosezioni seriate di circa 0,5 cm di spessore, parallele alla base prostatica ed esaminarle cercando di individuare le aree sospette (aree di consistenza aumentata rispetto al parenchima circostante, aree di colore giallastro, aree che deformano il profilo periferico della capsula prostatica o il parenchima circostante ecc.). In questo passaggio può essere di aiuto conoscere il risultato del mapping bioptico eventualmente eseguito pre-operatoriamente in riferimento alla sede ed alla quantità di carcinoma; 3. asportare con bisturi una parte dell’area sospetta (con tecnica tipo shave per le lesioni cutanee), ottenendo un frammento tessutale di circa 1 cm x 1 cm x 0,2 cm, senza intaccare la superficie esterna in china; 4. congelare i frammenti asportati, eseguire una Ematossilina-Eosina (E.E.) (eventualmente da archiviare con le altre E.E, del caso) e conservare il tessuto congelato a -80 gradi. 5. stendere su supporti di sughero (numerati e con indicazioni dx e sx) le macrosezioni mediante il posizionamento di spilli nella zona periferica, tendendole e sollevandole dal piano del sughero e lasciare a fissare in formalina per almeno 12 ore. Procedere quindi con il campionamento indicando sui blocchetti il lato (dx o sx) e la sede del prelievo (anteriore, posteriore, base, ecc.). Risultati. La procedura è stata eseguita su una serie di 38 prostatectomie consecutive, prelevando un totale di 54 frammenti da aree ritenute sospette. Dopo l’esame della EE ottenuta, il 90% conteneva carcinoma. Conclusioni. La sensibilità (90%) di questa procedura è sovrapponibile a quella ottenuta mediante biopsie multiple esterne (83,3%) 1 e l’esame istologico routinario non è stato compromesso in nessuno delle 38 prostatectomie. I vantaggi sono la possibilità di ottenere quantità superiori di carcinoma rispetto alla procedura bioptica e la possibilità di esaminare con più accuratezza l’architettura della neoplasia disponendo di sezioni più ampie e rappresentative (circa cm 1 x 1) rispetto a quelle bioptiche. Bibliografia 1 Johannessen JV. Electron Microscopy. Hum Med 1978;2:159-210. 2 Boldrini, et al. Ultrastruct Pat 2001;25:51-8. Bibliografia 1 Walton TJ, et al. The Prostate 2005;64:382-6. FREE PAPERS Interobserver reproducibility in the diagnosis of digitized core breast lesion biopsies using quicktime virtual reality technology F.A. Zito1, P. Verderio2, V. Ventrella3, A.F. Conde4, O. Hameed5, J. Ibarra6, A. Leong7, V. Angione8, P. Apicella9, S. Bianchi10, N. Pennelli11, E. Pezzica12, V. Vezzosi10, A. Labriola1, S. Pizzamiglio3, R. Daprile1, S. Rossi13, I. Ellis14 1 Anatomia Patologica IRCCS, Istituto Tumori “Giovanni Paolo II”, Bari, Italy; 2 Radiologia Senologica IRCCS, Istituto Tumori “Giovanni Paolo II”, Bari, Italy; 3 U.O Statistica Medica e Biometria, IRCCS Fondazione Istituto Nazionale Tumori, Milano, Italy; 4 Department of Pathology, University Hospital Perpetuo Socorso, Badajoz, Spain; 5 Department of Pathology, University of Alabama at Birmingham, Alabama; 6 Memorial Care Breast Center, Department of Pathology, Long Beach, California; 7 Department of Pathology University of Newcastle, Australia; 8 Anatomia Patologica, Ospedale, Udine, Italy; 9 Anatomia Patologica, Ospedale, Pistoia, Italy; 10 Anatomia Patologica, Ospedale Careggi, Firenze, Italy; 11 Anatomia Patologica, Università di Padova, Italy; 12 Anatomia Patologica, Ospedale Treviglio, Italy; 13 Consorzio di Bioingegneria e Informatica Medica (CBIM), Pavia, Italy; 14 Department of Histopathology, University of Nottingham, UK Introduction. Virtual Reality (VR) is a digital technology that is playing an impotant role in medical training. The VR technologies applied to the cyto-histopatology are able to be stored and shared on-line virtual slides (VS). However, there have been very few Quality Control studies in which have verified the diagnostic reproducibility of VS. The purpose of this study is to assess whether pathologists are able to make an accurate and reproducible diagnosis on-line using virtual slides of core breast biopsy lesions. Methods. Virtual slides, based on Quicktime Virtual Reality (QTVR) technology 1, were generated from 20 cases of core breast biopsy complex lesions. A web-page was created to allow access to the server containing the virtual slides. The participants were recruited via e-mail using the ITAPAT mailing list or by personal invite via e-mail. The expert referee pathologist of the study, was prof. Ian Ellis. The pathologists had to classify the virtual slides according to the five categories of the “European Commission Working Group on Breast Screening Pathology” and they also had to make a descriptive diagnosis. The interobserver reproducibility and the reproducibility between each pathologist and the reference values were assessed adopting an approach based on the weighed kappa statistic (Kw) 2. Results. Among the 36 contacted pathologists, a total of 10 provided diagnosis for all the 20 considered cases. The lesions were classified by the referee as: 3 cases B1/B2; 8 cases B3; 2 cases B4; 7 cases B5. Comparisons with reference values showed an unsatisfactory level of reproducibility with a median Kw value of 0.52 (range, 0.13-0.69). As regards the interobserver reproducibility results showed that in general the level of agreement was not satisfactory, with a median Kw value of 0.30 (range, 0.16-0.42). The study was concluded after a period of 6 months. Conclusion. Demonstrating the possibility of carrying out a Quality Control studies using digital technology in a relatively short time was the major contribution of this study. The results acquired are encouraging, considerating both the dif- 137 ficultyes of the cases chosen for the study and the new technology used to make diagnoses. References 1 Zito FA, Marzullo, D’Errico D, Salvatore C, Digirolamo R, Labriola A, et al. Quicktime virtual reality technology in light microscopy to support medical education in pathology. Mod Pathol 2004;17:728-31. 2 Italian Network for Quality Assurance of Tumor Biomarkers (INQAT) Group. Interobserver reproducibility of immunohistochemical HER-2/neu assessment in human breast cancer: An update from INQAT round III. Int J Biol Markers 2005;20:189-94. Il 373E1: marker specifico per il carcinoma papillare della tiroide G. Magro, S. Lanzafame, L. Puzzo, R. Caltabiano, P. Amico Dipartimento “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Policlinico “G. Rodolico”, Catania Introduzione. Talora, la distinzione tra un carcinoma papillare (PTC) e lesioni benigne della tiroide (iperplasia papillare, proliferazioni follicolari con pseudo-clearing nucleare) può risultare difficile all’esame morfologico; alcune varianti rare del PTC, quali quella solida, possono presentare problemi di diagnosi differenziale con altre neoplasie tiroidee più aggressive (carcinoma midollare; carcinoma scarsamente differenziato). Studi da noi effettuati 1 hanno dimostrato aberrazioni post-trascrizionali del profilo glicosilativo a carico di alcune glicoproteine, mucina 1, tireoglobulina e transferrina, prodotte dalle cellule del PTC vs. i tessuti tiroidei benigni di controllo1. In questi anni abbiamo prodotto un anticorpo monoclonale, il 373E1, diretto contro il cheratansolfato (KS) che ha dimostrato elevata sensibilità e specificità per i PTC 2. Metodi. Abbiamo studiato l’espressione del 373E1 nelle varianti più rare del PTC (solida, a cellule di Hurthle, sclerosante, a cellule alte, a cellule colonnari, Warthin-like) per stabilire la sua affidabilità ed applicabilità nella diagnostica tiroidea routinaria. Come controllo sono state incluse lesioni benigne tipo gozzo nodulare, malattia di Basedow, tiroidite di Hashimoto e adenoma follicolare. Risultati. Tutti i casi di PTC testati sono risultati positivi (> 50% delle cellule neoplastiche) per il 373E1 (7 casi di v. solida; 14 casi di v. a cellule di Hurthle; 5 casi di v. sclerosante; 1 caso di v. a cellule colonnari; 1 caso di v. a cellule alte; 3 casi di v. Warthin-like). La distribuzione cellulare era simile a quella osservata nelle v. più comuni di PTC (classica; v. follicolare): positività intracitoplasmatica, di membrana ed endoluminale 2. Conclusioni. Il 373E1 rappresenta un anticorpo sensibile e specifico per il PTC, comprese le sue varianti più rare. Utile risulta il suo impiego nella variante solida che nella diagnostica routinaria pone maggiori difficoltà interpretative. Suggeriamo di inserire il 373E1 nella lista degli anticorpi specifici per il PTC già disponibili, quali CK19 e HBME1. Bibliografia 1 Magro G, et al. Differential expression of mucins 1-6 in papillary thyroid carcinoma: evidence for transformation-dependent post-translational modifications of MUC1 in situ. J Pathol 2003;200:357-69. 2 Magro G, et al. Proteomic and postproteomic characterization of keratan sulfate-glycanated isoforms of thyroglobulin and transferrin uniquely elaborated by papillary thyroid carcinomas. Am J Pathol 2003;163:183-96. 138 Linfomi ed infezione da HCV: analisi istologica di una casistica retrospettiva multicentrica M. Lucioni1, L. Bandiera1, L. Arcaini2, R. Riboni1, E. Boveri1, U. Gianelli3, A. Cabras4, L. Baldini5, L. Uziel6, A.M. Gianni7, L. Devizzi7, E. Morra8, M. Lazzarino2, U. Magrini1, A. Carbone4, S. Bosari3, M. Gambacorta9, M. Paulli1 1 Anatomia Patologica, Fondazione IRCCS “San Matteo”, Università di Pavia; 2 Clinica Ematologia, Fondazione IRCCS “San Matteo”, Università di Pavia; 3 Anatomia Patologica, Ospedale “San Paolo”, Università di Milano; 4 Anatomia Patologica, Istituto Tumori, Milano; 5 Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Milano; 6 Divisione di Oncologia, Ospedale “S. Paolo”, Milano; 7 Ematologia, Istituto Tumori, Milano; 8 Ematologia, Ospedale “Niguarda”, Milano; 9 Anatomia Patologica, Ospedale “Niguarda”, Milano Introduzione. È noto che i soggetti affetti da disordini linfoproliferativi B cellulari presentano una prevalenza di infezione da HCV significativamente più elevata rispetto alla popolazione generale. Un recente studio di metanalisi ha dimostrato nei linfomi non Hodgkin B (LNH B) una prevalenza di infezione da HCV del 15% rispetto all’1,5% della popolazione generale. Nonostante queste evidenze, i dati sull’incidenza dei diversi istotipi di LNH B in pazienti HCV+ sono ancora relativamente limitati e non univoci. Metodi. Nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2006, presso 4 centri lombardi (Policlinico “San Matteo”, Ospedale “Niguarda”, Ospedale San Paolo, Istituto Tumori Milano), sono stati osservati 144 casi di linfomi HCV+. Tutti i casi sono stati sottoposti a revisione istopatologica collegiale, seguendo i criteri della classificazione WHO. 25 casi sono stati eliminati per l’esiguità del materiale; i rimanenti 119 sono stati estesamente caratterizzati dal punto di vista immunofenotipico. Risultati. In 43/119 (36%) casi la malattia risultava primitivamente nodale, mentre in 61/119 (51%) casi vi era coinvolgimento di almeno una sede extranodale. In 45/119 (38%) il linfoma risultava confinato a sedi extranodali; in 16/119 (13%) erano coinvolti anche linfonodi loco-regionali. Le sedi extranodali più spesso interessate comprendevano: milza (20), cute e sottocute (11), cavo orale/Waldeyer (8), annessi oculari (5), ghiandole salivari (4), tratto gastroenterico (4), fegato (3). Interessamento midollare era presente in 48/119 (40%) casi. Sulla base della revisione istologica, i casi selezionati sono stati così classificati: linfoma B diffuso a grandi cellule (LBDGC) 40/119 (34%); linfoma B della zona marginale (LZM) 33/119 (28%); linfoma follicolare 9/119 (8%); linfoma di Hodgkin 7/119 (6%), linfoma linfocitico/LLC 4/119, linfoma mantellare 4/119, linfoma linfoplasmacitico 3/119. In 3/119 casi è stata posta diagnosi di linfoma T, in 1 caso di plasmocitoma ed in 15/119 casi (13%) di linfoma B a basso grado NAS. Conclusioni. Nella nostra casistica di pazienti HCV+, si documenta una netta prevalenza di 2 istotipi, rispettivamente il LBDGC ed il LZM. Quest’ultimo in particolare mostra un’incidenza molto superiore rispetto alla popolazione generale (28% vs. 8%). Sul versante clinico si evince inoltre una peculiare predilezione dei linfomi HCV correlati ad interessare le sedi extranodali (51%), soprattutto la milza ed alcuni siti tipo MALT (cute/sottocute ed annessi oculari). FREE PAPERS Analisi dell’espressione dei geni dell’apoptosi in pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (CLL) mediante low density array V. Vaira, E. Fasoli, U. Gianelli, C. Pasquini*, C. Vener*, A. Cortelezzi*, G. Lambertenghi Deliliers*, S. Bosari, G. Coggi II Cattedra di Anatomia Patologica, DMCO, Università di Milano e IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”; * Ematologia I, Centro Trapianti di Midollo, Università di Milano, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano Introduzione. La CLL è una neoplasia a cellule B mature a decorso e prognosi variabili, con una sopravvivenza media di 4-6 anni. Nel nostro studio abbiamo analizzato mediante tecnologia Microfluidic Card il profilo di espressione dei geni coinvolti nel processo apoptotico in una casistica di CLL, allo scopo di identificare eventuali alterazioni molecolari e di individuare correlazioni tra profili di espressione genica e parametri clinici. Metodi. Abbiamo analizzato in duplicato 92 geni coinvolti nel processo apoptotico e 4 geni di riferimento in 35 pazienti affetti da CLL ed in 3 pool di controllo comprendenti 30 donatori. La popolazione di linfociti B neoplastici è stata selezionata mediante cromatografia, con una purezza superiore al 90%. L’RNA di ogni paziente è stato retrotrascritto e analizzato su Microfluidic Card. I valori di espressione relativi ai 92 geni sono stati normalizzati prima sulla media geometrica dei 4 geni di riferimento, poi sulla propria mediana e trasformati in valori logaritmici (log2). L’espressione della proteina chinasi ZAP70 è stata valutata mediante RealTime PCR ed in 32 casi anche mediante immunoistochimica. Risultati. 15 geni sono risultati differenzialmente espressi in quanto soddisfacevano entrambe queste condizioni: a) il rapporto tra la media di espressione del gene nei tumori rispetto ai controlli era superiore a 2 o inferiore a 0,5; b) il T test di Welch forniva un p value ≤ 0,01. In particolare 7 geni sono risultati iper-espressi nelle CLL (CASP8AP2, TNFSF14, TNFRSF4, BCL2, CD40LG, CDKN2A e ZAP70) ed 8 ipoespressi (CASP10, BIRC5, LTB, BCL2A1, TNFSF10, TNFRSF8, BID and CASP2). La correlazione tra l’espressione di ZAP70 valutata con le due tecnologie è risultata significativa (p = 0,001) e conseguentemente i pazienti sono stati suddivisi in ZAP+ (n = 19) ed in ZAP- (n = 19) in base al valore di espressione genica di ZAP70. Conclusioni. La valutazione dei geni differenzialmente espressi nelle CLL rispetto ai normali ci ha permesso di identificare numerose deregolazioni del processo apoptotico nelle leucemia linfatiche croniche. La metodica descritta sarà successivamente utilizzata per caratterizzare molecolarmente i pazienti responsivi o non responsivi alle terapie impiegate. FREE PAPERS Unmutated kit expression in neuroendocrine thymic carcinoma: an immunohistochemical and molecular study on five cases D. Remotti, P. Graziano, MC. Macciomei, L. Manente, E. Silvestri, J. Nunnari, A. Leone, R. Gasbarra, A. Cavazzana*, E. Bonoldi**, R. Pisa U.O.C. di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “San Camillo-Forlanini”, Roma; * Istituto di Anatomia Patologica, Ospedale “Santa Chiara”, Pisa; ** U.O.C. Anatomia Patologica, Ospedale “San Bortolo”, Vicenza Background. Primary thymic neuroendocrine carcinomas (NEC) are rare, representing 2-5% of thymic epithelial tumors. They have to be distinguished from thymic carcinoma with foci of neuroendocrine differentiation and from mediastinal paragangliomas. Furthermore, it is sometimes very difficult both clinically and pathologically to distinguish thymic NEC from lung NEC with massive mediastinal involvement. The expression of KIT (CD117) in thymic NEC was investigated in order to evaluate the usefulness of this marker for differential diagnosis and therapeutic purposes. Material and methods. The records of 5 cases diagnosed between 2000 and 2007 of thymic NEC were studied. Four cases were retrieved from the files of “Forlanini” Hospital in Rome where, during the same period, 82 thymic epithelial tumors were resected. An additional case was retrieved from the files of “San Bortolo” Hospital in Vicenza. We examined the immunohistochemical expression of CD117, CD5, CD56, Chromogranin A, Synaptophysin and NSE in all cases. PCR amplification and direct sequencing of the c-kit exons 9,11,13 and 17 were performed on two cases. Results. According to WHO classification, three cases were diagnosed as “well-differentiated NEC” and two as “poorly differentiated NEC”. All cases showed positive immunoreactivity for at least two neuroendocrine markers. CD5 and CD117 expression was found in all cases whereas c-kit mutations were not found. Conclusions. CD117 expression is a constant finding in thymic NEC and, as well as in thymic carcinoma, KIT is probably involved in the pathogenesis of this rare neoplasms. CD117 expression in thymic NEC has potential diagnostic utility in differentiating these tumors from NEC arising from other sites. In thymic epithelial tumors, strong KIT expression seems to be associated with malignancy, but its molecular mechanism is still to be clarified in an effort to make an effective therapy available. CD162 (PSGL-1) come possibile bersaglio di immunoterapia nel mieloma multiplo V. Campisi, C. Tripodo, A. Di Bernardo, A.M. Florena, V. Franco Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo Introduzione. Il mieloma multiplo (MM) è una proliferazione clonale di cellule B a differenziazione terminale che interessa primariamente il midollo osseo. L’acquisizione di un fenotipo plasmocitoide nei linfociti B è associata, oltre alla capacità secretoria di immunoglobuline, all’espressione di molecole di adesione quali CD38, CD56, CD138, implicate nell’interazione tra cellule mielomatose e 139 stroma midollare. In uno studio sulle dinamiche di adesione di cellule linfomatose abbiamo identificato una costante espressione del CD162 (PSGL-1), ligando della P-selectina, sulla superficie di linfociti plasmocitoidi e plasmacellule. Questo dato, unitamente al ruolo del PSGL-1 nella trasduzione del segnale, rende ipotizzabile l’impiego del CD162 quale target di immunoterapia con anticorpi monoclonali (MoAb) nel MM. In questo studio abbiamo valutato gli effetti in vitro di un MoAb anti-CD162 (KPL-1) su cellule di mieloma umano indagando i principali meccanismi effettori della citotossicità anticorpo-mediata. Materiale e metodi. L’espressione di CD162 è stata valutata mediante: immunoistochimica su sezioni di biopsie osteomidollari di pazienti con MM, immunocitochimica su linee cellulari umane di MM (RPMI-8226 e U266) e citofluorimetria su sangue midollare di pazienti con MM, utilizzando MoAb KPL-1. Gli esperimenti di citotossicità in vitro sono stati condotti su linee cellulari RPMI8226 e U266 utilizzando: KPL-1+ policlonale goat anti-mouse IgG per saggiare l’induzione diretta di apoptosi; KPL-1+ siero umano e di ratto per valutare la citotossicità complemento-mediata (CDC) e KPL-1+ splenociti attivati di ratto per valutare la citotossicità cellulo-mediata anticorpodipendente (ADCC). Risultati. Lo studio ha evidenziato che KPL-1: induce apoptosi in linee di mieloma secondo un modello dose-tempo dipendente: ~40% di cellule in apoptosi a 24 h con 4 µg/ml di KPL-1; determina CDC rispettivamente dello 0% (siero umano) e del 16% (siero di ratto) delle cellule mielomatose. Tali percentuali salgono al 35% ed al 50% in seguito al blocco di proteine regolatrici del complemento (CD46, CD55 e CD59) espresse sulle cellule bersaglio; produce ADCC del 25% delle cellule di mieloma ad un rapporto effettore/target di 50/1. Conclusioni. I nostri risultati suggeriscono un possibile ruolo del PSGL-1 come bersaglio di immunoterapia nel MM. Studi in vivo dovranno indagarne gli effetti sulle interazioni tra cellule mielomatose e stroma midollare, sull’adesione e sul reclutamento leucocitario. Surgical pathology of spinal lesions: our 13year experience F. Sanguedolce*, P. D’Urso**, P. Ciappetta**, R. Ricco, A. Cimmino Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Bari, Italy; 1 Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Foggia, Italy; 2 Dipartimento di Scienze Neurologiche, Cattedra di Neurochirurgia, Università di Bari, Italy Introduction. Spinal lesions are a heterogenous group comprising tumoral and non-tumoral entities as well, both accompanied by similar symptoms, such as myelopathy, radiculopathy, neck or back pain. Though less common than cerebral lesions (estimated overall ratio 1:4), they account for significant morbidity related to the site and type of lesion; thus, current diagnostic assessment includes magnetic resonance imaging (MRI) and histopathology. We aim to evaluate the diagnostic accuracy of preoperative MRI for spinal lesions, with a special emphasis on neoplasms, using histology as the gold standard. FREE PAPERS 140 Methods. We retrieved 259 consecutive cases (from February 1994 to March 2007) of spinal lesions from the files of the Department of Pathology at the University of Bari. There were 143 men (mean age 55.6) and 126 women (mean age 54.2). All patients underwent MRI of the spine and subsequent biopsy of the lesion; tissue samples were formalinfixed and routinely processed in order to obtain hematoxylineosin slides, which were observed at light microscopy by a dedicated pathologist. In 23 cases a frozen section examination was performed; in 167 cases further immunohistochemical investigations were performed. Results. All cases in which a diagnosis was made by the pathologist were subsequently reviewed and divided into 3 groups: 1. no MRI diagnosis was obtained (27 cases, 10.4%), most of them (22,2%) being either a non-Hodgkin lymphoma or a metastasis; 2. MRI and histological diagnosis did not match (47 cases, 18.1%), most of them (17%) being a mieloma; 3. MRI diagnosis (in many cases strongly supported by a proper anamnesis) was confirmed by histopathology (158 cases, 61%), most of them (25.9%) being metastases. Conclusions. We present a large series of 259 spinal lesions and compare preoperative MRI with surgical pathology results; since signs and symptoms are not specific to a single neoplastic or non-neoplastic entity, diagnostic assessment is largely based upon imaging and pathology. Our results show that MRI displays great diagnostic accuracy for metastatic lesions and neurinomas, while other neoplastic lesions such as non-Hodgkin lymphomas are less likely to be preoperatively identified by such technique. We believe that the pathologist should be aware of this, especially when evaluating such lesions on frozen sections. tate di routine con colorazioni istologiche ed istochimiche quali E-Eo, tricromica di Gomori, PAS, fosfatasi acida, fosfatasi alcalina e istoenzimatiche per l’evidenziazione dell’attività di NADH, Cox/SDH, ATPasi (4,35; 10,4). È stata infine effettuata valutazione morfometrica per definire coefficiente di variabilità diametrica e indici di atrofia e ipertrofia. Risultati. Delle 152 biopsie studiate, 9 (circa il 5,9%) presentavano alterazioni soprattutto a livello mitocondriale. Erano spesso presenti oltre a fibre tipo ragged red, anche fibre Cox-negative e alterazioni ultrastrutturali, quali iperplasia, degenerazione, polimorfismo e rari megamitocondri. In un caso la genetica molecolare ha evidenziato delezioni multiple a carico del DNA mitocondriale. Conclusioni. Dai risultati emerge che i parametri clinico-laboratoristici rivelano un quadro miopatico aspecifico, quindi la biopsia muscolare risulta fondamentale per la diagnosi. I nostri dati mostrano alterazioni preferenzialmente a carico dei mitocondri che escludendo una possibile causa di primitività mitocondriale, identificano questi organuli quali target principale coinvolto nel meccanismo etiopatogenetico della miopatia da farmaci. In un caso l’azione del farmaco si è sovrapposta ad una preesistente mutazione del DNA mitocondriale (miopatia da propofol), slatentizzando il quadro clinico. Ruolo della biopsia muscolare nella diagnostica delle miopatie da farmaci: correlazioni clinico-patologiche Department of Medical and Morphological Sciences, Dept. Surgery and Transplation, Department of Biomedical Sciences and Technologies, Azienda Ospedaliero-Universitaria Udine L. Maiarù, V. Tarantino, L. Badiali De Giorgi, M. Zavatta*, R. D’Alessandro**, R. Rinaldi***, V. Carelli**, G.N. Martinelli, G. Cenacchi Introduction. Oxidative stress is a major pathogenetic event occurring in several liver disorders and is a major cause of liver damage due to ischaemia/reperfusion (I/R) during liver transplantation. In order to identify early protein targets of oxidative injury, we used a multiple approach, by morphological, immunohistochemical and proteomic methods. Methods. HepG2 human liver cells were treated for 10 minutes with 500 mM H2O2 and studied by differential proteomic analysis (two-dimensional gel electrophoresis and MALDI TOF mass spectrometry). The same methods have been applied on liver needle biopsy before vascular ligation (T0), after cold (T1) and after warm (T2) ischaemia: these specimen underwent to histological analysis (Suzuki score) and immunohistochemical evaluation of APE1/Ref1 expression, also on frozen sections. Results. Post-translational changes of native polypeptides are associated with H2O2 treatment sensitivity of 3 members of Peroxiredoxin family of hydroperoxide scavengers (Prx I, II, VI), that showed changes in their pI as result of overoxidation, by modification of active site thiol into sulphinic and/or sulphonic acid. The oxidation kinetic of all peroxiredoxin was extremely rapid and sensitive, occurring at H2O2 doses unable to affect the common markers of cellular oxidative stress. Similar results have been obtained on liver biopsy specimen: significant higher value of Suzuki score Dipartimento Clinico Scienze Radiologiche e Istocitopatologiche, e ** Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di Bologna; * U.O. Ortopedia e *** U.O. Neurologia, Azienda Ospedaliera-Universitaria Policlinico “S. Orsola-Malpighi” Introduzione. Numerosi farmaci, tra cui statine, acido valproico, propofol, zidovudina, clorochina e steroidi possono provocare miopatia sia direttamente che con meccanismi patogenetici indiretti. Scopo del nostro studio è stato quello di verificare la possibilità di definire un quadro clinico-patologico patognomonico delle miopatie iatrogene da farmaci, ad oggi non riportato in letteratura. Materiali e metodi. Abbiamo valutato casi di miopatia giunti alla nostra osservazione nel periodo 01-05/04-07 (152 casi). I parametri clinico-laboratoristici considerati sono stati: sintomatologia, esame obiettivo, terapia farmacologica (correlazione temporale tra somministrazione dei farmaci e insorgenza dei sintomi), CPKemia, EMG; sono stati quindi valutati la biopsia muscolare e l’analisi molecolare del DNA mitocondriale (1 caso) mediante long-PCR e sequenziamento genico. La biopsia muscolare è stata studiata dopo congelamento in N2 liquido. Le sezioni criostatate sono state trat- Bibliografia 1 Guis S. Best Pract Res Clin Rheumatol 2003;17:877-908. 2 Sieb JP. Muscle Nerve 2002;27:142-56. Oxidative stress in livertransplantation: the pathologist’s search for predictive tools C. Avellini, G. Trevisan, G. Tell, U. Baccarani, C. Vascotto, G.L. Adani, L. Cesaratto, C.A. Beltrami FREE PAPERS and higher levels of APE1/Ref1 expression parallel peroxiredoxin changes. Significant changes in Suzuki score by histology and immunohistochemistry have been observed also in liver biopsies after ischaemic preconditioning (T0 basal, T0* after 10’ of ischaemia, T1 after cold and T2 warm ischaemia) with increased APE1/Ref1 reactivity in T0* and T2 specimen. Conclusion. The in vivo relevance of our study is demonstrated by the finding that overoxidation of PrxI occurs during I/R upon liver transplantation and is dependent on the time of warm ischaemia. These data are in keeping with higher histological damage extent and APE1/Ref1 expression in the same specimen and lower histological damage with higher APE1/Ref1 expression in T0* and T2 cases after ischaemic preconditioning. Furthermore, frozen section immunohistochemistry for APE1/Ref1 may play a role as a marker of I/R damage in the graft. Our present data could be of relevance in setting up more standardized procedures to preserve and evaluate organs for transplantation. Carcinoma papillare della tiroide: la bassa espressione di NCAM (CD56) è associata alla down-regolazione della produzione di VEGFD da parte delle cellule tumorali F. Melotti, S. Scarpino, A. Di Napoli, C. Talerico, L. Ruco Ospedale “Sant’Andrea”, Università di Roma “La Sapienza” Introduzione. È stato descritto che l’espressione di NCAM da parte delle cellule tumorali può interferire nel processo di metastatizzazione stimolando la linfangiogenesi peri-tumorale tramite la produzione di VEGF-C e VEGF-D 1. Abbiamo studiato l’esistenza di una possibile correlazione tra il livello di espressione di NCAM ed il processo di linfoangiogenesi nel carcinoma papillare della tiroide. Metodi. Sono state effettuate colorazioni immunoistochimiche per NCAM e podoplanina (marcatore dell’endotelio linfatico) in 61 carcinomi papillari della tiroide. RNA ottenuti da tessuto congelato sano e tumorale, mediante la metodica della microdissezione-laser, e da linee di carcinoma papillare della tiroide PTC-1 silenziate per NCAM, sono stati misurati per NCAM, VEGF-C e VEGF-D utilizzando la real-time PCR. Cellule TPC-1 silenziate sono state valutate per la loro capacità migratoria utilizzando la camera di invasione Boyden Chamber. Risultati. Cellule tumorali di 18 casi sono risultate negative alla colorazione immunoistochimica per NCAM, i restanti 43 casi hanno dimostrato positività in una percentuale di cellule neoplastiche inferiore al 5%. La colorazione per podoplanina ha evidenziato che la presenza di vasi linfatici è estremamente rara all’interno del tumore. I livelli dei trascritti di mRNA per VEGF-D e NCAM nel tessuto tumorale sono risultati molto bassi. Il silenziamento di NCAM in cellule PTC-1 causa una significativa (p < 0,05) riduzione nell’espressione dell’mRNA di VEGF-C e VEGF-D. Le cellule PTC-1 silenziate hanno dimostrato una maggiore capacità adesiva a diverse componenti della matrice extracellulare, una minore efficienza nella migrazione cellulare (riduzione del 59%; p < 0,05) e nella invasività (riduzione del 68%). Conclusioni. Questi risultati suggeriscono che la modificazione dell’espressione di NCAM nelle cellule tumorali causa profonde alterazioni della capacità migratoria e della produzione di fattori pro-linfoangiogenetici. 141 Bibliografia 1 Crnic I, et al. Cancer Res 2004;64:8630-8. Ruolo della biopsia endomiocardica nella diagnosi del rigetto cronico A. Marzullo, G. Serio, D. Piscitelli, D.M. Tateo, G. Caruso Dipartimento di Anatomia Patologica (DAP), Università di Bari Introduzione. Sebbene le caratteristiche morfologiche della vasculopatia del graft siano state estesamente studiate, lo stesso non si può dire per le modificazioni indotte sui miocardiociti e in modo particolare per le alterazioni del microcircolo coronarico. Gli aspetti di proliferazione miofibroblastica a carico della parete vasale e la vacuolizzazione dei miociti subendocardici sono stati proposti come marcatori del rigetto vascolare cronico. Metodi. Questo studio si propone di analizzare le caratteristiche del miocardio in 9 pazienti sottoposti a trapianto cardiaco seguiti per un periodo compreso tra i 3 e i 5 anni, e verificare la presenza di alterazioni vascolari al fine di consentire una diagnosi più tempestiva della vasculopatia da trapianto. In ciascun caso sono stati esaminati i seguenti parametri: numero di arteriole totali ed eventuale presenza di lesioni vascolari (in particolare di aspetti proliferativi miofibroblastici intimo-mediali), grado di fibrosi e infiltrazione adiposa (valutati come percentuale della superficie totale del campione), numero ed entità degli episodi di rigetto acuto, individuazione di lesioni ischemiche subletali (vacuolizzazione dei miocardiociti) e microinfarti. Risultati. In totale sono stati riesaminati 141 frustoli di endomiocardio ventricolare e 79 arteriole. Nel 12% dei vasi erano presenti lesioni, prevalentemente costituite da un ispessimento della tonaca media. La fibrosi interstiziale variava dal 16,7 al 39,1%. Il tessuto adiposo risultava scarsamente rappresentato. Il grado di infiltrazione flogistica risultava per lo più scarso, generalmente compreso tra 0 e IB della Working Formulation e solo in un caso erano segnalati due episodi di rigetto moderato. Dal confronto dei parametri esaminati emergeva un certo grado di associazione tra la presenza di modificazioni vascolari, la fibrosi e il reperto di lesioni suggestive di ischemia miocardica e microinfarti. Conclusioni. Tali risultati, ancora preliminari, suggeriscono la possibilità di individuare attraverso le biopsie endomiocardiche l’insorgenza delle lesioni della vasculopatia da trapianto in uno stadio relativamente precoce, considerato che le metodiche routinarie (angiografia) permettono lo studio solo dei vasi epicardici e dei primi tratti intramiocardici. Ciò consentirebbe al clinico di mettere in atto tempestivamente interventi terapeutici, compresa la possibilità di valutare la opportunità di un nuovo trapianto. FREE PAPERS 142 Distribuzione del Sonic Hedgehogg nella mucosa corpo-fundica normale e nei polipi ghiandolari fundici: uno studio immunoistochimico P. Declich, E. Tavani, G.R. van den Brink*, B. Omazzi**, S. Bellone, S.A. Pel-Bleuming* Servizio di Anatomia Patologica e ** Divisione di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Ospedale di Rho, Italia; * Academic Medical Center Amsterdam, Center for Experimental and Molecular Medicine, The Netherlands Introduzione. I Polipi ghiandolari fundici (PGF) sono polipi sessili, spesso multipli, di piccole dimensioni, della mucosa gastrica acido-secernente. Sono stati descritti sia come forma sporadica, associati alla poliposi familiare del colon, ed alla Sindrome di Zollinger-Ellison. Dato il loro aspetto istologico, caratterizzato dalla presenza di dilatazioni cistiche sia superficiali che profonde, i PGF sono stati da alcuni Autori considerati come polipi amartomatosi. Fig. 1. 5 Mucosa normale: Recentemente, è stata studiata una proteina con funzione morfogenetica, il Sonic Hedghogg, che nel tratto gastrointestinale sia fetale che nell’adulto ha una azione morfogenetica e nel mantenimento della differenziazione, con una espressione pressoché esclusiva da parte delle cellule parietali. Abbiamo allora studiato l’espressione del SHH in un gruppo di PGF sporadici, da alcuni interpretati come di tipo iperplastico, da altri come risultato di una alterata organizzazione (amartomi). Come controllo abbiamo usato 5 campioni di mucosa corpofundica normale. Metodi. 5 casi di mucosa corpo-fundica di controllo, 20 FGPs di 15 pazienti sono stati colorati con tecnica immunoistochimica ABC, usando un anticorpo anti-SHH (sviluppato da van Der Brink), diluito 1:50. Risultati. I cinque campioni di mucosa corpo-fundica di controllo hanno mostrato una intensa positività per il SHH nelle cellule parietali, con la massima concentrazione nel terzo superiore della mucosa, e una riduzione nella porzione profonda. Tutti i venti PGF hanno mostrato una intensa positività al SHH, sia nelle cisti, sia nella mucosa ghiandolare circostante. 13 polipi hanno mostrato una distribuzione della reattività per l’SHH analoga alla mucosa normale di controllo, mentre 7 hanno mostrato una intensa positività diffusa, sia nella porzione superficiale del polipi, sia in quella profonda. Discussione. Nel presente lavoro abbiamo confermato la positività nelle cellule parietali della mucosa umana corpofundica dell’adulto del SHH, molecola cruciale sia nella differenziazione embrionale della mucosa corpo-fundica, sia nel suo mantenimento nell’adulto. Abbiamo anche descritto il mantenimento di tale differenziazione nei PGF. Essi quindi non solo non presentano una riduzione di tale molecola morfogenetica, ma in un terzo dei casi mostrano addirittura una iperespressione dell’SHH. Incidence of post-transplant lymphoproliferative disorders (PTLD): study of 828 adult patients after liver transplantation in a single institution 13 D. Petrella, P. Oreste, E. Minola, M. Gambacorta PGF con distribuzione normale 7 PGF con distribuzione aumentata Department of Histopathology, Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda “Cà Granda”, Milano, Italy Background. Post-transplant lymphoproliferative disorders (PTLD) encompass a variety of polyclonal lymphoid hyperplasias and lymphomas that occur in 2-3,8% of solid organ transplanted patients. PTLD have been defined as “opportunistic neoplasms” since they arise partly as a consequence of the immunosuppressive regimen administrated to prevent graft rejection. Intensive immunosuppression in fact allows to loss of T-cytotoxic cell activity with a decrease in immunosurveillance. Increased patients susceptibility to lifethreatening infections permits the Epstein-Barr virus (EBV) infected cells to persist, leading in a minority of cases to an uncontrollated B-cell proliferation with overt clinical PTLD. The role of EBV in etiopathogenesis of PTLD is the pathway clearly defined at this time. Clinical features. PTLD can occur early in the first year after transplantation (“early onset PTLD”) or later (“late onset PTLD”. Clinical presentation is heterogeneous and non spe- FREE PAPERS cific. Non-EBV PTLD are rare and generally characterised with late onset, inciting factors not completely known and poor outcome. Patients and methods. 828 adult patients underwent liver transplantation at Niguarda Hospital, Milan, between June 1992 and May 2007. Patients have been followed until death or until the end of the study (May, 2007). Pathological reports, autoptic findings (when available), surgical specimens and medical records have been retrieved and reviewed for all PTLD patients. Results. 26/828 patients (3,14%) developed monoclonal high grade non-Hodgkin lymphomas (25 LNH-B and 1 LNH-T, all EBV-related). 25 were males and 1 female (mean age 46 years, range 33-64). 15 of them were submitted to transplant because of viral-related cirrhosis (the majority HCV-type) and the remnant 9 patients because of alcoholic or biliary cirrhosis. Among these cases, during sampling primitive neoplastic lesions (hepatocellular carcinoma, cholangiocarcinoma) were found in 6 specimens. The mean follow-up was 41,5 months (range 2-164) until PTLD discovery. During post-transplantation course, 14 patients developed early onset PTLD (mean follow-up 6 months, range 2-10) and 6 of them died; the other 12 patients developed late onset PTLD (mean follow-up 83 months, range 13-164) and 1 of them died. The main site of PTLD was the liver (15 cases) followed by lymph nodes and peritoneum, and there is a strong relationship between site and latency of the disease (12/15 of hepatic PTLD are “early” and 9/11 of extrahepatic PTLD are “late”). Conclusion. In our experience the frequency of PTLD related to liver transplant recipients is comparable to data present in literature. Most of cases were hepatic early onset PTLD, characterised by a worse outcome in comparison to late onset PTLD. No patients showed central nervous system or bone marrow involvement. Tumori epatici in età pediatrica ad interesse trapiantologico: esperienza del Centro trapianto di fegato di Torino A. Barreca, M. Muscio*, L. Garofalo*, E. Basso**, L. Delsedime, G. Paraluppi***, R. Romagnoli***, M. Forni*, M. Salizzoni***, A. Pucci*, E. David Anatomia Patologica I, ASO “S. Giovanni Battista, Molinette”, Torino; * Anatomia Patologica OIRM-ASO OIRM, “S. Anna”, Torino; ** Dipartimento Oncoematologia Pediatrica, Università di Torino; *** Centro Trapianto di Fegato, ASO “S. Giovanni Battista, Molinette”, Torino Introduzione. L’istotipo dei tumori epatici pediatrici influenza le strategie terapeutiche che comprendono la chemioterapia, la radioterapia, la resezione epatica e da alcuni anni il trapianto epatico (OLT). L’obiettivo dello studio è stata la valutazione retrospettiva del quadro istologico delle neoplasie maligne infantili della nostra casistica; per i casi di epatoblastoma è stata applicata la recente proposta di classificazione morfologica di Zimmermann 1, che aggiunge all’istotipo un’indicazione prognostica, suddividendo i tumori in base ad uno score di malignità. Metodi. Sono stati rivisti i casi con diagnosi di tumore epatico in età infantile, giunti negli ultimi dieci anni alla nostra attenzione. Si tratta di 24 pazienti (13 F e 11 M), di età compresa tra 2 mesi e 15 anni, con diagnosi clinica di massa epatica, sottoposti all’esordio a biopsia epatica (n = 13) oppure ad 143 epatectomia parziale/OLT (n = 11), con follow-up medio di 43 mesi (range 1 mese-9 anni). Dei 24 casi, 7 (5 epatoblastomi, 1 epatocarcinoma ed 1 emangioendotelioma), sono stati sottoposti (dopo chemioterapia ± epatectomia parziale) a OLT. Risultati. In 10/24 casi (età media 20,5 mesi) è stata posta diagnosi di epatoblastoma, di tipo prevalentemente epiteliale in 5 (50%), tipo misto in 3 (30%) e NAS (esiti sclerotici) in 2 (20%). I restanti 14/24 casi comprendevano 4 epatocarcinomi (età media 13,5 anni), 2 tumori epatici a cellule transizionali (“Transitional Liver Cell Tumor” TLCT) in pazienti di 10 e 12 anni, 4 emangioendoteliomi (età media 12,7 mesi) e 4 sarcomi indifferenziati (Embrionali) con età media di 6,4 anni. Sei/sette pazienti trapiantati sono vivi (follow-up medio di 64 mesi), un solo caso/7 trapiantati è deceduto dopo 17 mesi per recidiva neoplastica; si trattava di un paziente con epatoblastoma di tipo prevalentemente epiteliale con focali campi anaplastici e microinvasione tumorale, inquadrabile nella categoria ad alto rischio. Nei 17 pazienti non sottoposti ad OLT la mortalità è stata di 3 casi (un epatocarcinoma fibrolamellare, un TLCT ed un sarcoma indifferenziato). Data l’esiguità numerica del campione analizzato non sono state realizzate analisi statistiche. Conclusioni. Si sottolinea il ruolo di una adeguata caratterizzazione istopatologica per l’identificazione di differenti categorie di rischio nelle neoplasie epatiche infantili, anche ai fini di una corretta indicazione all’opzione trapiantologica. Bibliografia 1 Zimmermann A. Eur J Cancer 2005;41:1503-14. Carcinomi mammari “triple-negative”: studio dei fattori prognostici e predittivi F. Cartaginese, A. Cavaliere, M.G. Mameli, G. Bellezza, R. Del Sordo, R. Colella, M. Colozza*, S. Gori*, L. Crino*, A. Sidoni Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Università di Perugia e * S.C. di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Perugia Introduzione. I carcinomi mammari “triple-negative” (TN) (negatività per recettori estrogenici, progestinici e per HER2) costituiscono una categoria ad istogenesi incerta e alta aggressività, per i quali non esistono attualmente specifici trattamenti 1. Recentemente è stata segnalata una possibile efficacia dei derivati del platino, anche se l’elevata instabilità genetica di queste neoplasie non consente di prevederne il tasso di risposta. La proteina ERCC1 (excision repair crosscomplementation group 1) è coinvolta nella riparazione del DNA e, nel caso dei carcinomi del polmone non a piccole cellule, si è rivelata un fattore predittivo di resistenza al cisplatino 2. Nel presente lavoro abbiamo rivalutato le principali caratteristiche clinico-patologiche di un gruppo di carcinomi mammari TN, determinando la loro espressione immunoistochimica di ERCC1 allo scopo di analizzarne il ruolo prognostico ed il possibile significato predittivo. Materiali e metodi. Sono stati ricercati tutti i casi di carcinoma mammario diagnosticati nel periodo 2000-2004 e caratterizzati dalla negatività per i recettori estrogenici, progestinici e per HER-2. Di ciascun caso sono stati riesaminate le principali caratteristiche clinico-patologiche determinando immunoistochimicamente l’espressione di ERCC1 (clone 8F1, Neomarkers). 144 Risultati. Nel periodo in esame sono stati diagnosticati 1068 carcinomi invasivi della mammella di cui 99 TN (9,2%). Le principali caratteristiche bio-patologiche osservate sono in linea con quanto riportato in letteratura. In particolare vi è una prevalenza di forme G3 (60,2%) con un’elevata cinetica cellulare e una relativa maggiore frequenza di istotipi speciali. Tuttavia in contrasto con alcuni studi non abbiamo documentato la prevalenza in età giovanile, l’elevato interessamento linfonodale e l’alta espressione di p53. I dati preliminari dimostrano che la proteina ERCC1 è espressa in circa il 57% dei casi. Conclusioni. I risultati ottenuti forniscono un’ulteriore conferma della notevole eterogeneità della famiglia dei carcinomi mammari TN per i quali si rendono necessari ulteriori criteri di stratificazione prognostica e predittiva. La determinazione della proteina ERCC1, condotta su casistiche più ampie, potrebbe rappresentare un utile contributo a tale scopo. Bibliografia 1 Rakha EA, et al. Cancer 2007;109:25-32. 2 Olaussen KA, et al. N Engl J Med 2006;355:983-91. Screening patologico per la identificazione dei tumori colo-rettali con deficit del DNA mismatch repair R. Gafà, I. Maestri, M. Matteuzzi, A. Gaban, L. Cavazzini, G. Lanza Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di Anatomia Istologia e Citologia Patologica, Università di Ferrara Introduzione. La identificazione dei carcinomi colorettali con deficit del DNA mismatch repair (MMR) è di notevole rilevanza clinica. Questi tumori presentano infatti una prognosi più favorevole ed una differente risposta alla chemioterapia e sono inoltre in una parte dei casi ereditari (sindrome di Lynch). Il presente studio è stato condotto al fine di definire le modalità più appropriate per la effettuazione di uno screening patologico dei tumori con deficit del MMR sporadici ed ereditari. Metodi. Una serie consecutiva di 323 carcinomi colorettali operati nella provincia di Ferrara nell’anno 2004 sono stati sottoposti ad analisi immunoistochimica della espressione delle proteine MLH1, MSH2, MSH6 e PMS2 e ad analisi della instabilità dei microsatelliti (MSI) con metodica di PCR fluorescente. Risultati. Deficit del MMR è stato evidenziato in 49 carcinomi (MMR-D, 15,2% dei casi), mentre 274 tumori hanno presentato normale funzione del MMR, cioè regolare espressione di tutte le proteine ed assenza di MSI di grado elevato (MMR-P, 84,8%). Tutte le neoplasie MMR-D sono risultate MSI-H alla analisi genetica e 48/49 hanno evidenziato perdita di espressione di almeno una delle proteine del MMR. In particolare, 38 carcinomi hanno presentato perdita di espressione di MLH1 (sempre associata a perdita di espressione di PMS2), 3 perdita di espressione di MSH2 e di MSH6, mentre 6 tumori hanno evidenziato perdita selettiva della espressione di MSH6 ed uno di PMS2. Come atteso, i tumori MMR-D sono risultati più spesso localizzati nel colon prossimale (85,7% dei casi, p < 0,001). Tuttavia, mentre i carcinomi MLH1-negativi hanno evidenziato quasi costantemente una localizzazione prossimale (94,7%), i carcinomi MMR-D FREE PAPERS esprimenti altri pattern immunofenotipici sono risultati quasi egualmente distribuiti nel colon prossimale e distale. In base all’età del paziente ed al pattern immunoistochimico, è possibile ipotizzare che il 70% (n = 34) dei tumori MMR-D individuati siano sporadici ed il 30% (n = 15) ereditari. Conclusioni. I risultati ottenuti confermano che l’analisi immunoistochimica è una metodica altamente specifica e sensibile per la identificazione dei tumori colorettali con deficit del MMR ed indicano che lo screening patologico deve comprendere la valutazione della espressione di MSH6 oltre a quella delle proteine MLH1 ed MSH2. Linfonodi e noduli tumorali pericolorettali: considerazioni critiche sull’utilizzo del TNM5 e TNM6 P. Greco, A. Gurrera, F. Brancato, P. Amico, G. Magro Dipartimento “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Policlinico “G Rodolico”, Catania Introduzione. Recentemente Quirke e Morris 1 hanno pubblicato delle Linee Guida per la refertazione del carcinoma colorettale. Gli Autori ritengono che 15-18 linfonodi siano un numero adeguato per una corretta stadiazione e raccomandano di utilizzare il TNM5 piuttosto che il TNM6 nella classificazione dei depositi tumorali pericolorettali (DTP) privi di tessuto linfonodale residuo. Discussione. In uno studio recente abbiamo dimostrato che 15-18 linfonodi sono insufficienti per una accurata stadiazione nei pazienti pT3 con carcinoma del retto 2; infatti, aumentando la media dei linfonodi da 17,8 a 26,8 dopo ricampionamento abbiamo trovato metastasi nel 18,7% dei pazienti che inizialmente erano stati sottostadiati. Va sottolineato che questi pazienti avevano un singolo linfonodo metastatico < 5 mm. Pertanto, riteniamo, anche in accordo con lo studio di Goldstein, che almeno 20 linfonodi siano necessari per una adeguata stadiazione dei pazienti pT3. Per quanto riguarda i DTP, a nostro avviso, né il TNM5 né il TNM6 sono adeguati per la classificazione di queste lesioni. Infatti, il TNM6 li considera come metastasi linfonodali se a contorni regolari, come invasione venosa se a contorni irregolari; questo criterio risulta spesso arbitrario e non riproducibile 2. D’altra parte va criticato l’utilizzo del TNM5 che considera i DTP > 3 mm come metastasi linfonodali nonostante uno studio di Goldstein abbia dimostrato con sezioni seriate che queste lesioni sono costituite prevalentemente da invasione tumorale perineurale, perivascolare o intravascolare. Conclusioni. Suggeriamo di distinguere e riportare separatamente nella diagnosi le vere metastasi linfonodali (residuo linfonodale riconoscibile), i DTP (specificando il numero, le dimensioni e il tipo di crescita perineurale, perivascolare o intravascolare, quando possibile) e la vera invasione venosa (chiara invasione tumorale della parete o emboli neoplastici intraluminali). Si ottiene in tal modo una classificazione semplice e riproducibile che, con alcune limitazioni, ha il vantaggio di raggruppare i pazienti nei trials clinici in modo più omogeneo. Bibliografia Quirke P, et al. Reporting colorectal cancer. Histopathology 2007;50:103-22. Greco P, et al. Staging in colorectal cancer: problems for pathologists. Histopatology 2007(in press). FREE PAPERS Espressione immunoistochimica di MGMT nei carcinomi colorettali con assenza di elevata instabilità dei microsatelliti (MSI) V. Bertolini, A.M. Chiaravalli, D. Furlan, C. Placidi, B. Martinelli*, G. Carcano**, C. Capella Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria ed Ospedale di Circolo, Varese, Italia; * Sezione di Oncologia, Ospedale di Circolo, Varese, Italia; ** Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università dell’Insubria, Varese Introduzione. La ridotta espressione dell’enzima O6-metilguanina-DNA-metiltrasferasi (MGMT), dovuta a metilazione del promotore del gene, è un fenomeno osservato in molti tipi di neoplasia. Nel carcinoma colorettale (CCR) tale evento si verifica frequentemente ed è stato descritto in associazione al fenotipo metilatore delle isole CpG (CIMP). I CCR CIMP sporadici possono essere associati a presenza di MSI o ad assenza (MSS). Nel presente studio è stato valutato il fenotipo di 100 CCR MSS consecutivi (2000-2002) in relazione all’espressione immunoistochimica di MGMT. Metodi. Per ogni caso di carcinoma sono stati valutati parametri clinici (sesso, età del paziente, stato in vita), anatomo-patologici (sede e diametro del tumore, aspetto macroscopico, istotipo e grado tumorale, presenza di muco, tipo di crescita, presenza di infiltrato linfoide e di fibrosi, presenza di angio-, linfo-, neuroinvasione, pT, pN) ed espressione di p53. Per MGMT è stato calcolato un indice: percentuale di cellule tumorali positive x intensità della reazione (1-3 rispetto al controllo interno). Risultati. Ridotta espressione di MGMT (MGMTr: indice ≤ 25) è stata osservata in 23 casi (23%), 9 dei quali erano completamente negativi. MGMTr correlava significativamente con la metilazione del promotore (p < 0,001). Rispetto ai CCR con indice > 25, quelli con MGMTr erano tutti adenocarcinomi (74% ordinari, 13% mucinosi, 13% papillari/cribriformi) discretamente differenziati (100% vs. 77%; p < 0,05), con frequente aspetto macroscopico rilevato (polipoide o vegetante; p < 0,05). La frequenza maggiore di CCR MGMTr è stata osservata nel colon ceco/ascendente (9 casi, 39%) e nel retto (7 casi, 30%), rispetto al sigma (6 casi, 26%) e alla flessura splenica (1 caso, 4%). I CCR MGMTr mostravano una scarsa tendenza alla angio-linfoinvasione (p = 0,01) ed una correlazione significativa con la presenza di muco > 10% (p < 0,05). Elevato accumulo di p53 (superiore al 50% delle cellule tumorali) è stato osservato solo nel 39% dei casi con MGMTr rispetto al 61% dei casi senza MGMTr. I pazienti con CCR MGMTr erano più frequentemente femmine (M/F: 0,76 vs. 1,26). Non sono state osservate altre correlazioni tra MGMTr e tutti gli altri parametri indagati. Conclusioni. I CCR MSS con MGMTr hanno caratteristiche anatomo-cliniche e istologiche diverse da quelle dei CCR MGMT immunoreattivi. Vi è una significativa correlazione tra MGMT e metilazione. MGMT può essere un utile indicatore per la chemioterapia. 145 Valutazione dell’espressione di GATA3 con tecnica del tissue microarray (TMA) e significato prognostico nel carcinoma mammario infiltrante C. Frasson, P. Querzoli, M. Pedriali, R. Rinaldi, E. Magri, M. Lunardi, G. Querzoli, I. Nenci Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica, Università di Ferrara Introduzione. GATA3 è una glicoproteina identificata per la prima volte nelle cellule del sistema immunitario, coinvolta nella differenziazione dell’epitelio duttale luminale, intimamente correlata con il recettore per gli estrogeni e probabilmente implicata nella modulazione della terapia con Tamoxifene 1. Metodi. Abbiamo confrontato l’espressione nucleare di GATA3 con metodica immunoistochimica (anticorpo monoclonale HG3-31) con le caratteristiche clinico-patologiche (istotipo, pT, G, pN secondo TNM2002) e biologiche (ERα, ERβ, PR, Mib1, HER-2, p53, E-Caderina) di 727 carcinomi mammari infiltranti consecutivi, diagnosticati negli anni 1989-93 presso la nostra Sezione di Anatomia Patologica, allestiti su 33 TMAs. Abbiamo, inoltre, valutato il significato prognostico (intervallo libero da malattia, RFI, e sopravvivenza globale, OS) di GATA3. Risultati. GATA3 era iperespresso (cut-off > 10%) nel 37,9% dei casi ed è risultato inversamente correlato con il Gfin (p < 0,001), pT (p < 0,001) ed HER2 (p = 0,011), direttamente correlato (p < 0,001), invece, con ERα, ERβ e PR. In relazione ai possibili fenotipi recettoriali, le neoplasie scarsamente differenziate sono solitamente associate ad un fenotipo ERα-/GATA3- (40,8% Gfin3/ERα-/GATA3vs. 14,8% Gfin3/ERα+/GATA3+, p < 0,001); correlazioni significative sono emerse anche considerando il grado tubulare (p < 0,001), il grado nucleare (p < 0,001) ed il grado mitotico (p = 0,047). Alla fine del periodo di osservazione (follow-up mediano: 101 mesi), il 9,2% delle pazienti presentavano malattia metastatica in atto ed il 17,8% era deceduta per cancro. Per quanto riguarda l’impatto prognostico, l’iperespressione di GATA3 è in grado di identificare una coorte di pazienti con una prognosi in termini di OS significativamente più favorevole sia all’interno della casistica generale (p = 0,0187) sia del sottogruppo delle pazienti pN0(i-) (p = 0,024). Inoltre, è emersa una peggiore OS (p = 0,03) ed un significativo più breve RFI (p = 0,02) per il fenotipo ER-/GATA3-. Conclusioni. I risultati del nostro studio potrebbero offrire lo spunto per ulteriori approfondimenti volti a validare l’ipotesi che l’espressione di GATA3 possa essere implicata nella risposta delle pazienti all’ormono-terapia, oggi non ancora perfettamente prevedibile sulla base della sola determinazione dell’assetto recettoriale ERα/PR. Bibliografia 1 Mehra R, et al. Identification of GATA3 as a breast cancer prognostic marker by global gene expression meta-analysis. Cancer Res 2005;65:11259-64. FREE PAPERS 146 Toker cells of the breast. Morphological and immunohistochemical findings in 40 cases L. Di Tommaso, G. Franchi, A. Destro, F. Broglia, D. Rahal, M. Roncalli Department of Pathology, School of Medicine, University of Milan, Humanitas Clinical Institute, Rozzano, Milan, Italy Toker cells (TC) are epithelial cells with clear cytoplasm usually free of cytologic atypia localised within the nipple epidermis. Rarely they can be numerous and atypical requiring a careful distinction from malignant cells of Paget’s disease (PD). Purpose of this paper is to better define the incidence of these atypical TC and to investigate phenotypic markers helpful in the differential diagnosis with PD. Forty cases of TC were retrospectively identified within the nipples of 390 patients (10.2%) who underwent complete breast mastectomy. Most TC [24 cases (60%)] were cytologically benign, disappearing after a few consecutive sections (“normal TC”). In 11 cases (27.5%) TC were more numerous and persistent on serial sections, still retaining bland cytological features (“hyperplastic TC”). In 5 cases (12.5%) hyperplastic TC also resulted cytologically atypical (“hyperplastic, atypical TC”). TC were ER+ (25/25); PgR+ (19/22); HER2/NEU+ (5/20, mostly detectable in hyperplastic, atypical cells); CD138- (18/19); CK7/EMA+ (14/14); p63(14/14); p53- (14/14). By contrast, cells of PD, studied for comparison, were ER-(6/10); PgR- (7/10); HER2/NEU+ (9/10); CD138+ (7/10); EMA/CK7+ (10/10); p63- (10/10); p53+ (6/10). TC are abortive mammary cells, able to proliferate and, in 10% of the cases, atypical. The combined use of CD138/p53 is the most useful tool in the differential diagnosis of atypical clear cells of the nipple, being negative in TC and positive in PD. all’utilizzazione, 27 campioni erano riferibili a pazienti al I stadio (IA n = 16; IB n = 11) con follow-up disponibile; il materiale congelato è stato sezionato e colorato con E&E per valutare la qualità del tessuto, l’estensione della presenza della neoplasia, la presenza di necrosi, l’entità della reazione desmoplastica e dell’infiltrato infiammatorio. L’RNA totale è stato isolato utilizzando il kit di estrazione Trizol reagent (Invitrogen). I livelli di espressione dei geni STAT1, ERBB3, LCK, MMD e DUSP6 sono stati valutati mediante una analisi Real Time Pcr con specifici TAQMAN probes e primers. L’espressione dei singoli geni è stata quantificata in relazione all’espressione del gene di controllo TBP (TATA-box-binding protein). I livelli di espressione dei cinque geni analizzati sono stati utilizzati per costruire un albero decisionale a tre rami (decision tree model). Il software Avadis (Strand Genomic) è stato utilizzato per classificare i pazienti in due gruppi, a basso (L) ed alto rischio (H) di progressione di malattia sulla base dell’albero decisionale. Risultati. L’analisi dei livelli di espressione dei 5 geni studiati ci ha permesso di classificare 16 dei 27 pazienti come a basso rischio, e 11 pazienti come ad alto rischio. L’analisi del follow-up ha dimostrato che nel periodo di osservazione si sono verificati 4 decessi nel gruppo ad alto rischio e nessuno nel gruppo a basso rischio (p = 0,005). L’analisi comparativa di alcuni parametri, quali età, sesso, tipo istologico del tumore, ed intensità di infiltrato infiammatorio e reazione stromale non ha dimostrato differenze significative tra i due gruppi. Attualmente stiamo estendendo lo studio a 50 campioni di NSCLC stadio II. Conclusioni. I nostri risultati indicano che la “five-gene signature” proposta dal gruppo di Chen può costituire uno strumento efficace per identificare un gruppo di pazienti con NSCLC ad elevato rischio di progressione di malattia. Bibliografia 1 Chen et al. NEJM 007;356:11-20. Una firma a 5 geni identifica i casi di carcinoma polmonare non-microcitoma ad elevato rischio di progressione Espressione delle chinasi fosfo-Aurora A e Aurora B nei tumori uroteliali della vescica A. Pasanen, S. Scarpino, E. Duranti, C. Pompili, R. Erino, G. Natoli, P. Marchetti, L. Ruco F. Sanguedolce, G. Pannone, S. Tortorella, M.C. Pedicillo, P. Bufo U.O.C. di Anatomia Patologica, di Chirurgia Toracica e di Oncologia Medica, Ospedale “Sant’Andrea”, Università di Roma “La Sapienza” Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Foggia, Italia Introduzione. Il 70% circa dei carcinomi polmonari non a piccole cellule (NSCLC) diagnosticati al primo stadio guariscono completamente dopo l’intervento chirurgico di lobectomia; il 30% dei casi va incontro a progressione di malattia causando la morte del paziente. Attualmente non disponiamo di marcatori prognostici predittivi che consentano di distinguere i due gruppi. In un recente studio effettuato da Chen et al. 1 sono stati individuati 5 geni (“five-gene signature”) espressi nell’ambito del tessuto tumorale che sono strettamente correlati con la sopravvivenza dei pazienti e con il rischio di recidiva di malattia. Nel presente lavoro abbiamo utilizzato l’analisi della “five-gene signature” proposta da Chen per valutare la sua efficacia come fattore prognostico predittivo in un gruppo di 27 casi di NSCLC stadio I con followup medio di 33 mesi. Metodi. Nell’ambito di una collezione di 160 frammenti di NSCLC, congelati in azoto liquido e conservati a -80 °C fino Introduzione. Aurora A e B sono enzimi serina/treonina chinasici della famiglia Aurora; entrambi svolgono ruoli essenziali nella evoluzione dell’evento mitotico, attraverso la formazione del fuso, la segregazione dei cromosomi (Aurora A), la separazione dei centrosomi e la citochinesi (Aurora B). La loro iperespressione ha come effetto l’instabilità cromosomica, ed è stata messa in relazione con l’insorgenza e la progressione neoplastica. Metodi. Sono stati esaminati 60 casi di tumori uroteliali papillari e non papillari della vescica, diagnosticati in base alla classificazione ISUP/WHO 1998. La nostra casistica includeva lesioni di grado variabile da G0 (papilloma) a G3 (carcinoma ad alto grado di malignità), e con livello di infiltrazione da pTa (non infiltrante) a pT2 (infiltrante la tonaca muscolare). Sono state condotte indagini immunoistochimiche utilizzando gli anticorpi anti-fosfo Aurora A (T288, rabbit polyclonal, Bethyl Labs.) e anti Aurora B (NB100-294, rabbit polyclonal, Novus Biologicals) con FREE PAPERS metodica LSAB-HRP (linked streptavidin-biotin horseradish peroxidase). Risultati. In tutti i casi di carcinoma (G2 e G3) è stato osservato un incremento statisticamente significativo di positività solo citoplasmatica (fosfo Aurora A) e sia citoplasmatica che nucleare (Aurora B) (p < 0,05) nei confronti dell’urotelio normale degli stessi campioni utilizzato come controllo interno. Inoltre, nei casi G0 e G1 (papillomi e neoplasie) non è stato osservato incremento di espressione proteica di Aurora B. Conclusione. I nostri dati sui tumori uroteliali vescicali sono in accordo con gli studi più recenti su neoplasie in altra sede (tiroide, testicolo, prostata) circa la relazione tra iperespressione delle chinasi Aurora A e B e progressione tumorale. Ulteriori studi su ampie casistiche sono auspicabili ai fini dello sviluppo di farmaci inibitori chinasici che abbiano come bersaglio Aurora A e B, da utilizzare come nuova frontiera nella terapia antineoplastica. Caratterizzazione citogenetica su sezioni istologiche di linfomi diffusi a grandi cellule B: studio multicentrico V. Martin1 2, B. Del Curto3, L. Pecciarini4, S. Uccella1, G. Pruneri3, M. Ponzoni4, L. Mazzucchelli2, G. Martinelli3, G. Pinotti1, A.J.M. Ferreri4, E. Zucca5, C. Doglioni4, F. Cavalli5, C. Capella1, F. Bertoni5, M.G. Tibiletti1 1 Ospedale di Circolo, Varese; 2 Istituto Cantonale di Patologia, Locarno, Svizzera; 3 Istituto Europeo di Oncologia, Milano; 4 Istituto Scientifico, Ospedale “San Raffaele”, Milano; 5 Istituto Oncologico della Svizzera Italiana, Bellinzona, Svizzera Introduzione. I linfomi diffusi a grandi cellule B (DLBCL) sono neoplasie caratterizzate da elevata eterogeneità clinica, biologica e morfologica. Le anomalie cromosomiche più frequentemente riscontrate sono traslocazioni a carico dei geni BCL2 e BCL6. La caratterizzazione citogenetica dei DLBCL potrebbe essere d’ausilio per una più accurata classificazione e per l’identificazione di sottogruppi con prognosi diversa. Scopo di questo studio multicentrico è di identificare nei DLBCL la presenza di traslocazioni dei geni BCL2, BCL6, MYC, MALT1 e BCL10 utilizzando un nuovo set di sonde per FISH e di valutare il significato prognostico delle anomalie riscontrate. Metodi. Abbiamo analizzato con metodo FISH campioni di 74 pazienti affetti da DLBCL nodali, identificati dal 1998 al 2000, con dati clinici e di follow-up completi. La FISH è stata eseguita su sezioni istologiche con sonde DAKO (Denmark) a strategia split-signal specifiche per i geni BCL2, BCL6, MYC, MALT1 e BCL10. I campioni sono stati analizzati anche con tecniche di immunoistochimica secondo i criteri di Hans et al. (Blood, 2004), per definire il fenotipo attivato o dei centri germinativi. Risultati. Dei 74 casi studiati, 48 presentavano almeno una traslocazione; in particolare, BCL2 era traslocato in 16 casi (22%), BCL6 in 34 casi (46%), MYC in 12 casi (16%), BCL10 in 14 casi (19%). Nessun caso aveva traslocazione di MALT1. In 21 DLBCL sono state identificate traslocazioni multiple (le più frequenti: BCL6 più BCL10 in 5 casi, BCL6 più BCL2 in 4 casi). Indipendentemente dal gene coinvolto, la metà dei casi traslocati presentava un riarrangiamento classico (1 allele normale e 2 derivativi), mentre l’altra metà 147 mostrava un riarrangiamento complesso con perdita e/o polisomia dei derivativi. La valutazione dell’assetto genico ha evidenziato polisomie a carico di tutti i loci indagati in 59 casi. Dal punto di vista immunoistochimico, 34 casi presentavano fenotipo tipo centro germinativo e 39 tipo attivato (1 caso non era valutabile). La correlazione tra i risultati FISH e le caratteristiche clinico-patologiche dei pazienti sono in corso. Conclusioni. I dati presentati indicano che la FISH su sezioni istologiche è un efficace strumento per identificare specifiche traslocazioni nei DLBCL. L’analisi FISH ha evidenziato classi genetiche differenti per tipo di traslocazione e questa classificazione potrebbe essere il presupposto per l’identificazione di sottogruppi diversi per prognosi e risposta alle terapie. CXCR4 nel carcinoma renale: oggi un nuovo fattore prognostico, domani un nuovo bersaglio per la terapia? A. La Mura, A.M. Grimaldi*, P. Fedelini**, G. Capasso, D. Masala**, S. Scala***, G. Carten*, O. Nappi Division of Pathology, 2 Division of Oncology, 3 Division of Urology, AORN “A. Cardarelli”, Naples, Italy; 4 INT “Fondazione Pascale” Clinical Immunology, Naples, Italy Introduzione. Il carcinoma a cellule renali (RCC) rappresenta circa il 3% di tutte le neoplasie maligne ed almeno 1/3 dei casi si presentano già metastatici alla prima osservazione. Recenti studi suggeriscono che le chemochine ed i loro recettori giocano un ruolo nei processi di metastatizzazione; anche nel RCC è stata descritta l’espressione di recettori per le chemochine, quale CXCR4 1. Caratteristica molecolare del RCC è la mutazione con perdita della funzione del gene oncosoppressore VHL a cui segue, tramite l’accumulo di HIF1_, l’iperproduzione di molecole associate alla crescita e sopravvivenza cellulare ed all’angiogenesi, fra cui CXCR4. Metodi. Abbiamo valutato l’espressione immunoistochimica di CXCR4, classificandola in 4 gradi, in 253 carcinomi renali operati presso l’A.O.R.N. “A. Cardarelli” tra il 1999 ed il 2006: 205 carcinomi a cellule chiare, 23 carcinomi papillari, 10 carcinomi cromofobi, 3 carcinomi sarcomatoidi e 12 carcinomi renali con aspetti istologici misti. Risultati. In un primo campione di circa la metà della popolazione totale la correlazione dell’espressione di CXCR4 con i fattori prognostici istopatologici ha mostrato un’espressione alta (> 50%) e intermedia (10-50%) nel 90% dei pazienti con grado nucleare 4, mentre il 60% dei pazienti con grado nucleare 1 ha una bassa espressione (< 10%); il 75% circa dei pazienti con stadio T1 mostra bassa o assente espressione e l’80% dei pazienti metastatici al momento della prima diagnosi ha un’alta espressione. Conclusioni. Riteniamo che l’espressione di CXCR4 correli con i fattori prognostici istopatologici e che possa essere considerato come un fattore prognostico molecolare, come un ulteriore utile marker per identificare i pazienti ad alto rischio. Inoltre, considerando che, sia nella malattia metastatica che in quella localmente avanzata, le terapie convenzionali sono inefficaci e che circa il 30% dei pazienti con malattia localizzata e localmente avanzata svilupperanno metastasi con una percentuale di sopravvivenza a 5 anni rispettivamente di 65-80% e 40-60% fino a 0-20% in presenza di metastasi, è auspicabile lo sviluppo di nuove terapie e CXCR4 potrebbe 148 FREE PAPERS rappresentare un nuovo target per una terapia molecolare “mirata”. Alterazioni dell’espressione di geni del ciclo cellulare nel mesotelioma maligno pleurico Bibliografia 1 Zagzag D, et al. Cancer Res 2005;65:6178-88. S. Romagnoli, V. Vaira, M. Falleni, E. Fasoli, C. Pellegrini, L. Santambrogio*, S. Bosari, G. Coggi Mutational analysis of the PIK3CA gene in breast carcinomas: different prognostic role of mutations in the helical and kinase domains F. Buttitta, L. Felicioni, S. Cotrupi*, M. Del Granmastro, F. Barassi, A. Ferro**, P. Dalla Palma*, E. Galligioni**, A. Marchetti, M. Barbareschi* Clinical Research Center, Center of Excellence on Aging, University-Foundation, Chieti, Italy; * Unit of Surgical Pathology, Laboratory of Molecular Pathology, “S. Chiara” Hospital, Trento, Italy; ** Unit of Medical Oncology, “S. Chiara” Hospital, Trento, Italy Introduction. Mutations in the PIK3CA gene, coding for the PI3K catalytic subunit, are among the most frequent mutational events in breast cancer. The PI3K-AKT pathway plays a fundamental role in signal transduction following tyrosine kinase growth factor receptor (TKGFR) activation. We and others have previously reported that the PIK3CA gene is frequently mutated at “hot spots” in exons 9 and 20, corresponding to the helical and kinase domain respectively. In this study, we decided to investigate the association of PIK3CA mutations with pathological and biological features and clinical outcome in a large series of consecutive primary infiltrating breast carcinomas. Methods. Frozen samples of primary infiltrating breast carcinomas from 163 consecutive patients with complete pathological and clinical data were analyzed for mutations in exon 9 and 20 of the PIK3CA gene using SSCP and direct sequence of PCR products. Results. We identified 45 missense mutations, 24 (53%) in exon 9 and 21 (47%) in exon 20. Twelve (50%) of the 24 mutations in exon 9 were of the E542K type and 11 (46%) were of the E545K type. Twenty (95%) of the 21 mutations in exon 20 were H1047R substitutions. Mutations in exon 9 were more frequent in lobular carcinomas (42% of cases) than in ductal carcinoma (11% of cases) (p = 0.002). At univariate survival analysis PIK3CA exon 20 mutations were associated with prolonged overall (OS) and disease free survival (DFS) while mutations in exon 9 were associated with significantly worse prognosis. At multivariate analysis exon 9 PIK3CA mutations were the strongest independent factor to predict poor prognosis for DFS (P = 0.0003) and OS (P = 0.001). Conclusions. Exon 9 PIK3CA mutations are typical of infiltrating lobular carcinomas. PIK3CA mutations in different exons are of different prognostic value: exon 9 mutations are independently associated with early recurrence and death, while exon 20 PIK3CA mutations are associated with optimal prognosis. Università di Milano, Dipartimento di Medicina, Chirurgia, Odontoiatria, e A.O. “San Paolo”, Fondazione IRCCS, Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; * Università di Milano e Dipartimento di Chirurgia Toracica, Fondazione IRCCS, Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano Introduzione. Il mesotelioma è una neoplasia a pessima prognosi e con crescente incidenza nel mondo. Alterazioni dei geni coinvolti nel controllo del ciclo cellulare sono stati evidenziati in precedenti studi: perdita di espressione di p14INK4a, alterata espressione di p27 e p21, delezioni di p16, iperespressione di Aurora kinasi A e B. Il presente studio ha l’obiettivo di analizzare l’espressione di 60 geni coinvolti nel controllo del ciclo cellulare in 45 pazienti con mesotelioma, mediante tecnica “Microfluidic card”. Materiali e metodi. Sono stati raccolti e appropriatamente congelati campioni di 45 pazienti portatori rispettivamente di 30 mesoteliomi epitelioidi, 5 mesoteliomi sarcomatoidi e 10 mesoteliomi bifasici. Sono state inoltre analizzate due linee cellulari di mesotelioma, MSTO-211H e NCI-H2452, una linea cellulare di mesotelio immortalizzato (Met5a) e come controparte non neoplastica cinque pleure normali. L’RNA estratto dai campioni è stato retrotrascritto e caricato su Microfluidic card contenente primers e sonde per 60 geni del ciclo cellulare opportunamente selezionati (“assay-on-demand”), 4 geni housekeeping. Le card sono state analizzate mediante ABI Prism 7900HT Sequence Detection System. I geni sono stati considerati differenzialmente espressi se presentavano entrambe le seguenti condizioni: a) un rapporto di espressione in tessuti tumorali e normali > 2 (Fold change-FC > 2) o minore di 0,5 (FC 0,5); b) un p value al T test < 0,01. Risultati. Quarantacinque geni mostrano una maggiore espressione nei tumori rispetto alle pleure normali, mentre quattordici geni risultano ipo-espressi nel tumore rispetto al normale. Diciannove geni hanno evidenziato un FC K/N > 2 o < 0,5 ma solo nove geni mostrano un T test < 0,01: Check1, CCNH, Ciclina B1, P18 (CDKN2), ciclina D2, Ube1L, CDC2, FOXM1, CDC6. Inoltre, l’espressione di Ube1l ha evidenziato una correlazione con l’istotipo, denotando una upregolazione nei mesoteliomi epitelioidi. Conclusioni. Alcuni geni per lo più concentrati nella progressione tra la fase S e la fase M del ciclo cellulare risultano differenzialmente espressi nel mesotelioma. Tali geni potrebbero avere un ruolo nella progressione e prognosi della neoplasia. Inoltre ulteriori studi dovranno accertare il significato biologico del loro silenziamento come possibile atto terapeutico. FREE PAPERS Citologia in strato sottile su agoaspirati ecoendoscopici di lesioni pancreatico-biliari G. Fadda, E.D. Rossi, A. Larghi*, P.G. Lecca*, R. Ricci, F.M. Vecchio Istituto di Anatomia e Istologia Patologica; 1 Divisione di Endoscopia Chirurgica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione. L’introduzione, nell’ultimo decennio, della citologia agoaspirativa (FNAB) in corso di eco-endoscopia (EUS) ha migliorato la diagnostica delle lesioni solide pancreatico-biliari. Tuttavia la citologia delle lesioni pancreatiche presenta alcune difficoltà interpretative. La citologia su strato sottile (TLC), diventata ormai di largo utilizzo nella diagnostica agoaspirativa di numerosi organi, è stata solo di recente applicata anche alla EUS. Obiettivo del presente studio è la valutazione dell’efficacia della TLC in corso di EUS in lesioni solide pancreatiche. Metodi. 71 pazienti con lesioni solide del pancreas, della via biliare o dell’ilo epatico hanno eseguito una FNAB in corso di EUS, eseguito con aghi da 22-25G nel biennio 2006-2007. Il materiale aspirato è stato esclusivamente processato secondo la metodica Thin Prep 2000 (Cytyc Corp, Marlborough, USA). Per una diagnosi definitiva, i casi citologici risultati positivi alla citologia sono stati considerati conclusivi, per i casi dubbi o negativi per neoplasia, sono stati utilizzati, ove possibile, l’istologia o il follow-up clinico. Risultati. Sono stati ottenuti 55 casi (77,5%)di neoplasie maligne, 1 caso (1,4%) cito-istologico negativo e 15 inadeguati (21%). In 9 casi (12,6%) la diagnosi di malignità è stata supportata anche dall’immunocitochimica (ICC) eseguita sul materiale conservato dopo la TLC e di questi 4 erano tumori neuroendocrini e 2 linfomi non-Hodgkin. Solo 4 pazienti (5,6%) sono risultati falsi negativi con un’accuratezza diagnostica complessiva del 94,4%. Conclusioni. La citologia in strato sottile rappresenta una valida ed innovative metodica perfettamente applicabile alla EUS per la diagnostica delle lesioni pancreatico-biliari. Ulteriori studi di confronto con la citologia tradizionale sono tuttavia opportuni per stabilire definitivamente l’efficacia di questa metodica. Bibliografia De Luna R, et al. Diagn Cytopathol 2004;30:71-6. Bardales RH, et al. Diagn Cytopathol 2006;34:140-75. Malignant solitary fibrous tumor: a great pretender. Report of 7 cases of dedifferentiated malignant solitary fibrous tumour with a deceptive morphology P. Collini, M. Barisella, S. Stacchiotti*, M. Fiore**, A. Gronchi**, P. Casali*, S. Pilotti Anatomic Pathology C Unit, * Medical Oncology Unit, ** Musculo-skeletal Surgery Unit, IRCCS Fondazione Istituto Nazionale Tumori, Milan, Italy Introduction. The diagnosis of solitary fibrous tumor (SFT) is relatively easy if there is the typical morphologic pattern, such as bland cells with a variably represented collagenous stroma in a hemangiopericytomatous pattern. Though, this 149 tumor can show histologic heterogeneity, ranging from nearly totally collagenized tumors to neoplasms composed of high-grade sarcoma. In particular, a high-grade component lacking any characteristic reminding a SFT can be present (so-called “dedifferentiated malignant SFT”). We report here 7 such cases. Material and methods. From 2002 up to 2007 7 cases of dedifferentiated malignant SFT diagnosed and treated at our institution were retrieved. All these cases were reviewed applying updated criteria. Results. There were 5 males and 3 females. Age at diagnosis ranged from 44 to 73 years (median 55). Four primary tumors were in the retroperitoneum, 2 at pleuro-pulmonary site, and 1 in the inguinal canal. In 5 cases a dedifferentiated component was diagnosed at the primary site and in 2 cases in the liver metastases occurred 14 and 1 year from the presentation, respectively. The dedifferentiated component featured in one case a true embryonal rhabdomyosarcoma, in 3 cases a small round cell tumour-like component [Ewing sarcomalike (1 case) and poorly differentiated synovial sarcoma-like (2 cases)], and in 3 cases a high-grade pleomorphic and/or spindle cell sarcoma. The dedifferentiated components retained the immunophenotype typical of SFT, i.e., bcl2, CD34 and CD99 reactivity, but in the case featuring an embryonal rhabdomyosarcoma. In this case, the rhabdomyosarcomatous component expressed desmin and myogenin in absence of bcl2 and CD34 reactivity. A diagnosis of dedifferentiated malignant SFT was possible in the presence of residual more typical areas and on the knowledge of the existence of a previous SFT. Conclusions. Among malignant SFTs, a group of dedifferentiated tumors exist, in which the typical morphologic features of SFT are lacking. In our cases, the differentiated areas featured high-grade pleomorphic and/or spindle cell sarcomas, small round cell-like sarcomas, or embryonal rhabdomyosarcoma. The dedifferentiated component was variably present at onset, in relapses and/or in metastases. A right diagnosis is possible if there are residual areas of typical SFT or there is knowledge of a previous SFT. Metodiche molecolari applicate a campioni citologici d’archivio: perché possono fallire? M. Barberis, M. D’Amico, M. Cannone Dipartimento di Anatomia Patologica e Medicina di Laboratorio, Gruppo Multimedica/IRCCS, Milano Introduzione. Da preparati citologici fissati e colorati è possibile estrarre DNA, più raramente RNA, e ricercare con tecnica PCR targets molecolari specifici. Il risultato atteso, positivo o negativo, è valutato attraverso il rispetto di protocolli consolidati e l’introduzione di controlli positivi e negativi per ciascun target. Tuttavia in citologia sono poco noti gli effetti dei comuni reagenti d’uso sulla successiva applicazione di tecniche molecolari. Metodi. Abbiamo valutato 50 campioni citologici d’archivio colorati con Papanicolaou (reagenti prodotti dalla nota ditta A) con altri 50 preparati analoghi da archivio (reagenti prodotti dalla nota ditta B). Rimossi i coprioggetto, la cellularità è stata recuperata con bisturi sterile e sospesa in alcool assoluto. Il DNA è stato estratto con QiaAmp DNA Mini kit (Qiagen, Hilden, D) secondo le istruzioni del produttore. Per entrambe le serie il risultato dell’estrazione è stato valutato 150 allo spettrofotometro ottenendo i valori di ratio e resa (µg/ml). Quindi si è eseguita amplificazione per due housekeeping gene: Bcl-6 (100 paia di basi) e HLA-DQ_ (242 paia di basi). Risultati. Nella seria A la ratio variava da 1,27 a 1,82 (media 1,53), mentre nella serie B la ratio era compresa tra 1,80 a 2,00 (media 1,89). Per la serie A la resa variava da 58 a 343 µg/ml e da 12 a 30 µg/ml per la serie B. Tuttavia mentre l’amplificazione per Bcl-6 e HLA-DQ_ era positiva in 46 dei 50 casi della serie B (92%), essa era costantemente negativa per la serie A (0%). La valutazione comparativa delle schede tecniche dei coloranti per Papanicolaou delle ditte A e B ha rilevato che nei coloranti della ditta A (Ematossilina e EA50) era presente acido acetico in percentuale inferiore al 5%, mentre negli stessi coloranti della ditta B l’acido acetico non era presente. Conclusioni. La drammatica differenza osservata nei risultati della PCR è verosimilmente dovuta al noto effetto di degradazione che l’ambiente acido esercita sul DNA 1. Questa osservazione rende auspicabile l’attento studio delle schede tecniche di prodotto e l’adozione di metodiche molecolari di controllo sui reagenti in uso. Se entrambi i prodotti valutati sono perfettamente idonei alla pura morfologia, nel prodotto A esistono componenti capaci di degradare il DNA a frammenti inferiori a 100 bp e di non renderlo più idoneo ai fini diagnostici. Bibliografia 1 Bonis S, et al. J Clin Pathol 2005;58:313-6. Utilizzo di metodica immunoistochimica e metodica FISH per la valutazione di EGFR nei carcinomi colorettali A. Bernardi, E. Berno**, A. Crova*, G. Canavese, P. Lovadina, E. Margaria, N. Martinetti, E. Berardengo S.C. Anatomia Patologica, ASO “San Giovanni Battista” di Torino, Presidio Ospedaliero “San Giovanni” Antica Sede (TO); * S.C. Oncologia Medica 2, ASO “San Giovanni Battista” di Torino, Presidio Ospedaliero “San Giovanni” Antica Sede (TO); ** Oncologia Medica, Ospedale “Gradenigo”, Torino Introduzione. Il recettore del fattore di crescita epidermale (EGFR), codificato dal gene omonimo sul cromosoma 7p12, appartiene alla famiglia dei recettori tirosinachinasici. La deregolazione del suo sistema di segnale determina: crescita cellulare incontrollata, diminuzione dell’apoptosi, stimolo dell’angiogenesi e proliferazione cellulare. EGFR è over espresso in vari tumori solidi tra cui quelli colorettali e rappresenta un target di terapia mirata. Secondo dati di letteratura la probabilità di efficacia del trattamento non è prevista applicando un singolo metodo di dosaggio di EGFR, ma dalla combinazione di più metodi. In un lavoro preliminare si eseguiva la reazione di Ibridazione in Situ in Fluorescenza (FISH) su 30 prelievi istologici di pazienti già chemiotrattati, da una casistica comprendente 114 tumori primitivi del grosso intestino e 30 metastasi epatiche da carcinomi (ca) colorettali, in totale 144 casi, precedentemente studiati con metodica immunoistochimica (IHC). Metodi. Su sezioni di 4 µm di 144 prelievi istologici fissati in formalina ed inclusi in paraffina si eseguiva IHC con il kit K1492 (Dako) FDA approvato per la visualizzazione della FREE PAPERS proteina EGFR e trattamento con terapia mirata Erbitux. Si consideravano IHC positivi i campioni con positività di membrana completa e/o incompleta in un numero di cellule > 0% (aggiornamento FDA 09/06). Su 30 dei prelievi istologici IHC positivi si eseguiva FISH con EGFR-CEN7 Fish kit (Dako). Si consideravano FISH positivi i campioni con Ratio ≥ 2, o con polisomia > 4 copie di gene in ≥ 40% nuclei analizzati. Quattro pazienti dei trenta erano trattati secondo il protocollo Erbitux. Risultati. Si trovava il 64% di positività IHC e il 36% di positività FISH senza alcuna correlazione significativa di p ≤ 0,01 tra le due metodiche. Dei pazienti trattati con Erbitux: due IHC positivi/FISH negativi non rispondevano alla terapia con progressione della malattia e decesso, due, IHC/FISH positivi (uno con amplificazione del gene EGFR, l’altro con netta polisomia) rispondevano bene al trattamento. Conclusioni. In un lavoro preliminare su campioni da ca colorettale non risulta correlazione tra espressione proteica e stato del gene EGFR. Il numero di copie del gene potrebbe interferire con la risposta all’Erbitux. Come da letteratura si conferma che il dosaggio di EGFR è da affidare ad una combinazione di più metodi d’indagine per l’eterogeneità di stato ed espressione del gene nelle cellule tumorali. Espressione di PTEN e risposta a cetuximab in pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico M. Frattini, V. Martin, E. Romagnani*, M. Ghisletta, A. Camponovo, L. Lunghi-Etienne, P. Saletti*, L. Mazzucchelli Istituto Cantonale di Patologia, Locarno, Svizzera; * Istituto Oncologico della Svizzera Italiana, Bellinzona, Svizzera Introduzione. Cetuximab, che ha come bersaglio molecolare EGFR, è un farmaco assai promettente per il trattamento di pazienti con carcinoma colorettale metastatico (mCRC). Attualmente è oggetto di intenso dibattito se alterazioni genetiche degli effettori innescati da EGFR, come K-Ras, possano influenzare la risposta a tale farmaco. Il ruolo di PTEN, la cui assenza di espressione predice resistenza a trastuzumab in pazienti con carcinoma mammario, non è ancora stato investigato. Scopo del presente lavoro è quello di analizzare lo stato genico di EGFR, di K-Ras e l’espressione proteica di PTEN in pazienti con mCRC e correlare i dati molecolari con il dato clinico di risposta cetuximab. Metodi. Abbiamo analizzato 27 pazienti consecutivi con mCRC. L’espressione di EGFR è stata indagata con il kit PharmDx (Dako), lo stato genico di EGFR con FISH utilizzando le sonde LSI EGFR/CEP7 (Vysis). Le mutazioni di KRas sono state analizzate con sequenziamento diretto e l’espressione di PTEN con l’anticorpo primario della ditta Neomarkers. Un campione è stato definito come amplificato per EGFR quando l’amplificazione genica è stata osservata in almeno il 10% delle cellule. La marcata polisomia è stata definita quando almeno 3 copie del cromosoma 7 sono state osservate in più del 50% delle cellule. Per ogni campione sono state valutate almeno 100 cellule. Risultati. Undici pazienti hanno mostrato risposta parziale (PR) al cetuximab, 3 hanno mostrato stabilità della malattia (SD) e 13 progressione (PD). SD e PD sono stati considerati come non rispondenti (NR). In tutti i pazienti è stata osservata espressione di EGFR a livello immunoistochimico. Otto FREE PAPERS pazienti hanno mostrato amplificazione genica di EGFR (6 PR e 2 NR), 16 marcata polisomia del cromosoma 7 (5 PR e 11 NR) e 3 disomia (3 NR). Il gene K-Ras è stato trovato mutato in 10 casi (1 PR e 9 NR) e wild-type in 17 (9 PR e 8 NR). Una normale espressione di PTEN è stata riscontrata in 16 casi (10 PR e 6 NR) e assente in 11 (tutti NR). L’associazione tra mutazioni di K-Ras e l’espressione di PTEN con la risposta a cetuximab è statisticamente significativa (p < 0,05). Conclusioni. Si confermano i dati della letteratura che indicano assenza di risposta a cetuximab nei pazienti con disomia del cromosoma 7 e nei pazienti con mutazioni di K-Ras, indipendentemente dallo stato genico di EGFR. L’assenza dell’espressione di PTEN rappresenta un nuovo marcatore indipendente di resistenza al trattamento con cetuximab. Esame istopatologico in alternativa allo striscio citologico per l’esame del brushing delle vie biliari S. Asioli, G. Accinelli, E. Armando, D. Pacchioni, P. Cassoni, G. Bussolati Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Università di Torino Introduzione. La citologia su striscio delle vie biliari extraepatiche effettuata con spazzolino (brushing endoscopico) è il metodo più utilizzato per la valutazione delle lesioni delle vie biliari extraepatiche, ma presenta scarsa sensibilità. Per migliorarne la potenzialità diagnostica, presentiamo una nuo- 151 va ed originale metodica che permette di effettuare un esame citologico ottimale del materiale ago-aspirato. Metodi. Lo spazzolino viene immediatamente immerso in metanolo e inserito nelle biocassette per l’inclusione in paraffina. Vengono tagliate delle sezioni parallele e consecutive lungo l’asse maggiore, fino al core metallico; successivamente il blocco di paraffina viene ruotato di 180° e nuove sezioni vengono effettuate sul lato opposto. Le sezioni, colorate in Ematossilina e Eosina e con Alcian Blue Mucine, hanno mostrato piccoli frammenti di mucosa, di cellule infiammatorie aggregate o di carcinoma, con un’ottima fissazione, permettendo una diagnosi definitiva accurata in quasi la totalità dei casi esaminati. Infatti 112 campioni citologici di brushing endoscopici delle vie biliari extraepatiche (67 M; 45 F), raccolti all’Ospedale “Molinette”, Università di Torino, tra Gennaio 2002 e Agosto 2006, sono stati inclusi nel nostro studio. Tutti i pazienti avevano una diagnosi definitiva istologica e un follow-up clinico medio di 21 mesi. Risultati. Confrontando questa originale metodica su 112 casi consecutivi di brushing endoscopico con la diagnosi istologica su pezzo operatorio, abbiamo osservato: 87% di sensibilità, 100% di specificità, 100% di valore predittivo positivo (VPP) e 91% di valore predittivo negative (NPV). La metodica inoltre, confrontata con la diagnosi clinica dopo almeno 6 mesi di follow-up, ha mostrato: 88% sensibilità, 100% specificità, 100% VPP e 96% VPN. Conclusioni. In conclusione questa nuova metodica è altamente sensibile e specifica, limitando all’1% le diagnosi non idonee, con una concordanza con la diagnosi istologica pari all’88% (K-value). B POSTERS PATHOLOGICA 2007;99:155-159 Applicazioni tecnologiche in A.P. Match project: improvement of therapy selection by matching molecular data from colon cancer patients L. Memeo*, S. Forte**, K. Matysiak***, M. Duplaga****, S. Scarpulla**, M. Gulisano** * Department of Experimental Oncology, Mediterannean Institute of Pathology, Viagrande (CT), Italy; ** Fondazione IOM, Viagrande (CT), Italy; *** Department of Surgery, Poznan University School of Medicine, Poznan, Poland; **** Department of Medicine, Jagiellonian University, Krakow, Poland The main focus of MATCH project is the development of an automatic computer-based system supporting decision process in patients with colorectal cancer. The strategic foundation of the MATCH project addresses the challenge of the integration of clinical practice and molecular approach establishing a framework to enable an efficient handling of diversified data sources. The framework is expected to improve adequacy of treatment options offered to patients. Since the response to therapy is affected by genetic variability, one can assume that genetic fingerprinting could be a relevant way to assess the sensitivity of a patient with specific molecular profile to a particular therapeutic mode. Since Single Nucleotide Polymorphisms (SNPs) represent the molecular substrate of this variability, SNPs fingerprinting provide molecular snapshot of a patient profile with information highly relevant for anticipating the susceptibility to therapeutic agents or modes. The process of MATCH system functionality development was planned to take place in three stages. In the first one, the system will be filled with quantitative and qualitative clinical and genetic (mainly SNPs information for tumour suppressor genes) data. Next, computational process will be carried out and finally, the results that concern more effectively colon cancer treatment will be obtained. The first stage crucial for the initiation of the process is provision of clinical and genetic data from medical facilities. Genetic data are represented mainly by SNPs information of TSGs from: patient normal tissues, patient primary tumour, lymph nodes and distant metastasis (when available). Additional genetic and molecular data may be also used. Clinical and genetic data of all patients are used to generate homogeneous clusters of patients with the longest subset of features (both clinical and genetic). It is expected that all members of a cluster will respond to specific therapeutic modes in similar way since their molecular profiles reveals high level of concordance. The automated decision support system is then used to match the clinical and genetic profile of a new patient with the clusters representing homogeneous groups of patients in MATCH data set. The new profile is assigned to the cluster showing the smallest distance in its centroid profile. Statistical analysis of cluster population provides information on the best available therapy for the new patient based on the outcomes of all cluster members. Parametri morfologici nella diagnosi delle lesioni anali HPV correlate: valutazione di tre differenti metodiche citologiche su campioni provenienti da soggetti omosessuali maschi HIV positivi F. Pagano, E. Omodeo Zorini, A. Ferri, C.M. Antonacci, R. Beretta*, L. Vago, M. Nebuloni U.O. Anatomia Patologica Dipartimento Scienze Cliniche Ospedale “L. Sacco”, Milano; * Seconda Divisione Malattie Infettive Ospedale “L. Sacco”, Milano Introduzione. Il ruolo degli HPV nella displasia e nel carcinoma della cervice è ormai assodato. Dati recenti documentano l’implicazione di HPV anche nell’eziologia delle lesioni displastiche e del carcinoma anale, la cui incidenza è in aumento negli ultimi anni tra soggetti omosessuali maschi, soprattutto HIV positivi. La citologia anale potrebbe dunque rappresentare un valido strumento di screening nella diagnostica delle lesioni HPV correlate. Come per le lesioni cervicali, la diagnosi delle lesioni anali da HPV si basa sulla valutazione di parametri morfologici ben definiti. Lo scopo di questo studio è il confronto di tali caratteri morfologici in preparati citologici anali ottenuti mediante l’applicazione di tre differenti metodiche di processazione dei campioni: striscio convenzionale, citospin e citologia su strato sottile (thin prep). Metodi. Sono stati raccolti mediante “brushing” 62 campioni anali provenienti da omosessuali maschi HIV positivi con infezione da HPV dimostrata mediante biologia molecolare. Da ogni campione sono stati allestiti: striscio, cytospin e thin prep, tutti colorati con metodo di Papanicolaou. Nella valutazione morfologica sono stati considerati 5 parametri: coilociti, cellule coilocitosimili, discheratociti atipici, lesioni ASCUS e lesioni squamose intraepiteliali. Infine, indagini di immunoistochimica con anticorpi anti-HPV sono state effettuate su ogni vetrino. I reperti morfologici ed immunoistochimici sono stati sottoposti ad una stima semiquantitativa ed è stato realizzato un confronto dei risultati nelle tre metodiche. Risultati. Non sono state rilevate differenze dei parametri morfologici nei preparati citologici ottenuti mediante le tre differenti metodiche. La presenza di cellule coilocitosimili e di discheratociti atipici rappresenta un reperto costante in questi preparati, anche in assenza di coilociti classici. L’immunoistochimica è risultata positiva nell’85% dei casi. In alcuni casi una negatività immunoistochimica è stata ottenuta anche in presenza di coilociti. Conclusioni. Questo studio dimostra che le tre metodiche sono sovrapponibili per quanto riguarda la valutazione dei parametri morfologici utili nella diagnosi delle lesioni anali HPV correlate. Si rileva inoltre che l’immunoistochimica sottostima la presenza di HPV nei prelievi e che, in assenza di coilociti, è necessaria la valutazione di discheratociti atipici e cellule coilocitosimili per la diagnosi. POSTERS 156 Use of telepathology for frozen section diagnosis: a support and a teaching tool for young pathologists S. Alexiadis, C. Arizzi, L. Cattaneo, S. Ferrarese, S. Manara, M. Barberis Department of Pathology, Multimedica Group/IRCCS, Milano Background. Young pathologists perform frozen sections (FS) on inpatients and they are backed up by staff. For fellows of a Pathology operating far from central labs, to be alone could be very difficult. Our Department serves two hospitals respectively 21 and 50 kilometers far. Then, FS diagnoses are performed, mainly for breast surgery. We evaluated the performaces of two young isolated pathologists assisted by a static telepathology system (TP) (Nikon Corporation, Tokyo, Japan), via an Intranet network. Materials and methods. We retrospectively analyzed 120 cases of breast specimens diagnosed by FS from January 2006 to April 2007. 76 and 44 cases respectively were evaluated by two junior pathologists and re-evaluated on line by senior pathologists at the same time. FS diagnoses were registred and discussed by phone before the communication to the surgeons. The time of discussion was also registered. The final diagnoses obtained from formalin fixed and paraffin embedded (FFPE) specimens were compared to FS before and after TP. Diagnostic errors were classified as interpretation errors (discrepancies betweeen FS, TP and final slides); sampling errors (discrepancies between TP assisted FS and final slides). Diagnostic errors were further classified as either clinical significant or insignificant. Results. The FS diagnoses were infiltrating carcinoma 95; intra ductal carcinoma 4; benign neoplasms 11; nonneoplastic disease 8; atypical proliferative lesion to be defined on final slides 2. Diagnostic agreement between FS and TPS was obtained in 118/120 cases (98.3%). Discordant cases were an intraductal carcinoma considered infiltrating on FS and a benign proliferative lesion on FS that was considered incertain for malignancy by TP. This lesion corresponded to a phyllodes tumor of uncertain potential of malignancy; the other case was confirmed as intraductal carcinoma. In one case a sampling error was showed by the histological sections from FFPE samples: a focus (5 mm in diameter) of infiltrating duct carcinoma was missed in FS and TP. The time of discussion ranged from 3 to 10 minutes (mean: 6 minutes). Conclusion. Diagnostic agreement in our study is comparable to the rates (92-100%) in previous studies. The most significant error was an inappropriate tissue sampling. In our experience TP for FS diagnosis is a significant support and teaching tool for young pathologists. Alla ricerca del fissativo ideale M. Forni, Pandiscia, F. Pulerà Sevizio di Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale Infantile “Regina Margherita”, Torino Introduzione. La formalina rappresenta ancora oggi il fissativo maggiormente utilizzato nella routine di laboratorio, e nonostante da circa venti anni si sia a conoscenza dei potenziali effetti cancerogeni da esposizione professionale alla formaldeide, solo recentemente la I.A.R.C. l’ha dichiarata cancerogeno umano. Lo scopo del nostro lavoro è valutare se l’utilizzo di fissativi costituiti da sali a base di zinco (ZBF), possano costituire una valida alternativa alla formalina, e siano equivalenti o più idonei rispetto ai fissativi disponibili in commercio e non rappresentino un rischio per la salute del personale. Metodi. Il nostro studio prevede una fissazione di tipo chimico mediante utilizzo di ZBF, ma anche una fissazione di tipo fisico, mediante utilizzo del forno a microonde. Sono state preparate diverse miscele fissative a base di sali di zinco, alle quali sono stati aggiunti tensioattivi e sistemi tampone. I campioni istologici erano rappresentati da tessuto fresco aventi tutti lo stesso spessore di circa 0,5 cm. Le sezioni venivano poi fissate in due differenti modi: in un primo, le sezioni venivano fissate in ZBF un’ora a temperatura ambiente a cui seguiva un ulteriore fissazione al microonde con le sezioni immerse in alcool 70% per meno di un ora (30 minuti a 400 W e 20 a 180 W). Nel secondo metodo, le sezioni venivano immerse in ZBF a temperatura ambiente e lasciate a fissare fino al giorno seguente. Una volta terminata la procedura di fissazione, i campioni venivano processati ed inclusi in paraffina. Per ogni campione istologico fissato ed incluso, è stata eseguita una ematossilina-eosina con sezioni aventi lo spessore di 3-4 micron e sezioni adiacenti per immunoisochimica. Risultati. Al microscopio ottico, i preparati colorati, presentano tutti una buona morfologia strutturale, con una discreta conservazione del dettaglio istologico del tessuto analizzato. Le cellule risultano ben distinguibili l’una dalle altre, e non presentano il fenomeno della coartazione, visibile invece nei preparati fissati su base alcolica. Anche l’immunoistochimica è risultata soddisfacente con lo ZBF. Conclusioni. Dalla nostra esperienza, è dimostrato che lo ZBF può rappresentare una valida alternativa, in quanto non dimostra inconvenienti nella pratica routinaria di laboratorio e permette di ottenere dei preparati istologici di qualità paragonabile, se non migliore, rispetto a quelli ottenuti con la formalina. Realizzazione e gestione di un archivio elettronico di una banca dei tessuti E. Bonanno, S. Cappelli, R. Bernabei, A. Costantini, W. Von Lorch, F. Raparelli, L.G. Spagnoli Università “Tor Vergata,”Roma Introduzione. Le banche dei tessuti inclusi in paraffina costituiscono un prezioso patrimonio per la ricerca traslazionale. Per la gestione di una banca di tessuti è fondamentale la messa a punto di un sistema informatico gestionale, al fine di garantire una accurata registrazione di dati inerenti al paziente, alle qualità intrinseche e a quelle estrinseche del tessuto in esame. Metodi. La banca delle neoplasie è costituita da 1830 neoplasie selezionate tra quelle pervenute al servizio di Anatomia ed Istologia Patologica di “Tor Vergata” nel quinquennio 2001-2006. Nel data base sono stati inseriti dati anagrafici (età, sesso del paziente), dati anamnestici, dati riguardanti il tipo di fissativo (formalina, formalina tamponata, altro), la durata della fissazione (12-24 ore, 24-48 ore, > 48 ore). Le neoplasie sono state classificate da due patologi in cieco specificando l’istotipo, il grading istologico, il pTNM, il codice SNOMED, la valutazione dei marcatori molecolari eseguiti. Il database è stato progettato con il programma “Microsoft POSTERS 157 Organo M Pancreas Mammella 9 6 Fegato Colon Tiroide F Età Casi totali Tumori benigni 5 1398 65,3 44,8 14 1404 6 672 30 20 66,7 50 3 111 60 109 82 58,9 35,4 220 142 95 16 Access” ed è stato strutturato con maschere suddivise per argomento ad accesso regolato da password. Ad ogni neoplasia è stata associata una immagine rappresentativa della diagnosi. Sono state inoltre previste delle “query” standard per le associazioni di più comune utilizzo. Inoltre è stato predisposto un menu di aiuto per la formulazione di “query” personalizzate. Risultati. La distribuzione delle neoplasie dall’esame generale del data base è riportata in tabella.. Conclusioni. In una prima fase di utilizzazione il data base ha consentito di individuare 50 neoplasie benigne e maligne della mammella idonee per la costruzione di un “tissue microarray” per il controllo di qualità per le reazioni di immunoistochimica dei marcatori molecolari indispensabili per la terapia adiuvante e neoadiuvante del carcinoma della mammella. Il “database” si è rivelato uno strumento utile per la consultazione di un archivio di patologie meno frequenti quali quelle del pancreas e del fegato sia a scopo didattico (immagini di aspetti significativi per la diagnosi) che di ricerca. Museo virtuale di anatomia patologica: applicazioni alla patologia del sistema nervoso centrale E. Bonanno, A. Colantoni, A. Costantini, C. Fortunato, P. Gallo*, L.G. Spagnoli Università “Tor Vergata”, Roma; * Università di Roma “La Sapienza” Introduzione. La diagnostica anatomo-patologica, ed in particolare l’esame autoptico, hanno un ruolo determinante per la comprensione del quadro clinico con il danno d’organo momento fondamentale per determinare il susseguirsi degli eventi morbosi. La raccolta di reperti anatomici di rilievo clinico ha dato luogo alla istituzione di musei di anatomia patologica prevalentemente per scopi didattici. Attualmente la gestione di queste strutture è molto complessa e poco flessibile se comparata ai moderni mezzi della didattica interattiva. Obiettivo del presente studio è stato quello di organizzare un museo virtuale di reperti anatomici del sistema nervoso centrale a fini didattici per gli studenti in medicina e per i medici in formazione. Materiali e metodi. Sono stati selezionati e fotografati 243 reperti anatomici del sistema nervoso centrale, conservati nel Tumori maligni 8 Adenocarcinoma 241 DCIS 14 LCIS 454 DCI 23 LCI 4 Epatocarcinoma 34 Adenocarcinoma 1 Colangiocarcinoma 8 Sede di metastasi 125 Adenocarcinoma 119 Carcinoma papillifero 3 Carcinoma midollare 4 Tumore a cellule di Hurthle Museo di Anatomia Patologica dell’Università di Roma “La Sapienza”. I reperti sono stati classificati per patologia e per ogni capitolo sono state redatte delle tavole sinottiche di anatomia patologica comprendenti i fondamenti per la diagnosi compresi i criteri per la diagnosi differenziale. È stato quindi allestito un database utilizzando un “foglio excel” che consentisse rapidi collegamenti ipertestuali tra le tavole sinottiche e le foto dei reperti macroscopici. Risultati. Nel nostro museo virtuale sono state inserite immagini relative a 243 casi suddivisi in 15 malformazioni, 35 patologie infettive/infiammatorie, 5 patologie degenerative, 73 patologie vascolari, 115 patologie neoplastiche (5 adenomi ipofisari, 88 neoplasie primitive cerebrali, 15 neoplasie primitive delle meningi, 7 neoplasie secondarie). Da ogni immagine è stato predisposto un collegamento con le tavole sinottiche di pertinenza consentendo così una immediata associazione tra l’eziologia, i criteri diagnostici ed il danno d’organo. Conclusioni. Il foglio elettronico da noi realizzato, grazie ai collegamenti ipertestuali, consente una rapida consultazione del materiale sia dalle singole immagini che per gruppo di patologia. I risultati ottenuti costituiscono una buona premessa per ampliare la casistica contenuta nel museo virtuale estendendo la casistica ad altri sistemi ed apparati. Tale espansione dovrebbe essere finalizzata soprattutto ad inserire reperti di patologie rare nella nostra popolazione che si osservano sempre più frequentemente sia per la maggiore facilità degli spostamenti che per le frequenti e numerose migrazioni. Mutazione K601E del gene BRAF in un carcinoma papillare a cellule chiare: descrizione di un caso con diagnosi citologica su strato sottile E.D. Rossi, E. Simonetti**, M. Raffaelli*, F. Morassi, D. Bianchi**, C. Trozzi**, G. Fadda Istituto di Anatomia e Istologia Patologica; * Divisione di Chirurgia Endocrina, Università Cattolica Sacro Cuore, Roma e ** Bioaesis S.r.l., Jesi (AN) Introduzione. La mutazione V600E del gene BRAF è descritta nella variante classica del carcinoma papillare della ti- 158 roide, mentre la mutazione K601E del BRAF è molto meno frequente e più caratteristica della variante follicolare 1. Viene descritto il primo caso di mutazione K601E del BRAF in un carcinoma papillare a cellule chiare. La stessa mutazione si osserva anche nel materiale agoaspirativo allestito in strato sottile. Metodi. Una paziente di sesso femminile di 37 anni esegue un agoaspirato di un nodulo tiroideo sin di cm 2,1 che viene allestito in strato sottile con la metodica Thin Prep 2000 TM (Cytyc Italia, Roma). In base alla diagnosi di sospetto per carcinoma papillare si esegue una tiroidectomia totale che documenta due focolai contigui di carcinoma papillare varietà follicolare con aspetti a cellule chiare. L’estrazione del DNA viene eseguita sia sul materiale conservato in fase liquida, e non utilizzato per l’allestimento del preparato citologico, sia su quello incluso in paraffina. L’analisi molecolare utilizzata rileva mutazioni sia del codone 600 del gene BRAF sia di quelli ad esso adiacenti e include due fasi: 1) una PCR-RFLP arricchita, che consente di amplificare una porzione del gene BRAF e di arricchire il campione in alleli mutati tramite digestione selettiva degli alleli non mutati e 2) una Real-Time PCR che identifica la mutazione. Risultati. Sono state studiate le mutazioni V600E, K601E e VK600-IE del gene BRAF. Nel caso in questione, sia sul materiale citologico sia sull’inclusione per l’istologia risulta modificata la K601E con sostituzione di una lisina con un acido glutammico nel codone 600 che determina l’attivazione del BRAF. Conclusioni. La mutazione K601E di BRAF non è mai stata descritta in un caso di carcinoma papillare varietà follicolare a cellule chiare sebbene la mutazione V600E di BRAF venga riportata come altamente presente e selettiva nel carcinoma papillare tiroideo. Nel caso in esame la mutazione K601E si associa ad una rara varietà di carcinoma papillare e pertanto questa analisi potrebbe essere utilizzata per una diagnosi citologica pre-operatoria. Bibliografia 1 Trovisco V, et al. Virchow Arch 2005;446:589-95. 2 Salvatore G, et al. J Clin Endocrinol Metab 2004;89:5175-80. POSTERS through the sending of microscopic images by Internet. Aim of this study is to evaluate the effectiveness of this project in terms of diagnostic accuracy analyzing the interobserver reproducibility using appropriate statistics. Methods. 542 consecutive pap smear performed during the whole year 2006 were evaluated: all smears were initially diagnosed by two local technicians, trained on the spot through theoretical lessons and practice activity by some members of the project. After the training period, the two technicians became able to recognise the main cytological alteration, to select and photograph some microscopic fields of every suspect case (≥ ASC) and to send it to a special website where a forum of volunteers cytologists assessed a definitive diagnosis and sent it back to Chirundu. Negative and unsatisfactory cases were directly reported by the technicians. Finally, all the 542 slides were then sent to Italy and revised by an expert. Results. On 542 cases, 404 (74.5%) were directly reported by the Zambian technician (354 negative and 50 unsatisfactory); selected images of the remaining 138 cases (25.5%) were evaluated through the website. To check the diagnostic accuracy of the two technicians we compared their 542 diagnosis with the diagnosis of the expert using two statistics that estimates the difference between how much agreement between two observers is actually present and the agreement that would be expected by chance alone, the Cohen’s κ and Gwet’s AC1 statistic, obtaining a value of 0.72 and 0.81 respectively (the perfect agreement being 1). The same statistics were also applied to a comparison between the 138 diagnosis made by the Internet forum and the diagnosis of the expert obtaining a value of 0.56 and 0.62 respectively. A weighted Cohen’s κ was also applicable in this case, giving values 0.63 and 0.70 with linear and quadratic weighting, respectively. Comment. There are encouraging evidences about the opportunity to manage a cytological routine by means of Internet; moreover, a well organized training program plays a key role to improve the already interesting results of this particular type of telepathology. Invasione capsulare nei tumori della tiroide: evidenze 3D di un duplice meccanismo Checking diagnosis by telepatology: a statistical analysis of one year of esperience in remote second opinion on Pap smears permormed in a surgical pathology department in Zambia S. Guzzetti, F. Pennecchi*, B. Zingaro**, A. Faravelli***, L. Viberti, A.M. Ferrari**** S.C. di Anatomia Patologica, Ospedale Evangelico Valdese, ASL1, Torino, Italy; * Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM), Torino, Italy; ** S.C. di Anatomia Patologica, Ospedale di Savigliano, Italy; *** S.C. di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera di Vimercate, Ospedale di Desio, Desio, Italy; **** Servizio di Anatomia Patologica e Citopatologia, Casa di Cura S. Pio X, Milano Introduction. The association “Patologi Oltre Frontiera” NGO undertook in 2005 a project with the Mtendere Mission Hospital in Chirundu, Zambia to built and organise there a surgical pathology Department and to train the local staff in Pap smear examination with a remote check of their activity C. Paulon, G. Rizzo*, R. Fiorillo**, D. Tresoldi*, A. Destro**, P. Comi***, M. Roncalli, L. Di Tommaso Dipartimento di Patologia, Università di Milano ed Istituto Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano; * Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare (IBFM), CNR, L.I.T.A. Segrate, Milano; ** Laboratorio di Genetica Molecolare, Istituto Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano; *** Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche, L.I.T.A. Segrate, Milano Introduzione. La diagnosi di carcinoma follicolare della tiroide poggia su criteri di esclusione (assenza di aspetti citologici caratteristici del carcinoma papillare) unitamente alla individuazione di aspetti di invasione 1) vascolare e 2) della capsula perilesionale. Definire con certezza questi parametri può essere difficile, se non impossibile. I principali strumenti attualmente a disposizione del patologo sono rappresentati dall’impiego di marcatori vascolari e di sezioni su più livelli. Tuttavia, nei casi ove non si raggiunga una diagnosi, è stato proposto di utilizzare la dizione di Tumore follicolare ad incerto potenziale di malignità (Williams ED. Int J Surg Pathol 2000). POSTERS Obiettivo. Ricostruire gli aspetti tridimensionali 3D di casi di invasione capsulare “sicura” (ICS) e “dubbia” (ICD). Materiali e metodi. Sei casi di tumore follicolare (TF) della tiroide selezionati per la presenza di aspetti di ICS (n° = 3) o ICD (n° = 3) costituiscono l’oggetto di questo studio. Per ciascun caso è stato individuato un blocchetto significativo e, individuata l’area di interesse, la stessa è stata evidenziata utilizzando la procedura per l’allestimento di un array tissutale (AT) (Bussolati GJ. Cell Mol Med 2005). Successivamente sono state tagliate un numero medio di 70 sezioni seriate (range 50-100) di 2-3 µm. Le immagini di queste sezioni sono quindi state allineate mediante i punti ottenuti con la metodica per AT ed acquisite utilizzando il pacchetto software di visualizzazione tridimensionale Amira (versione 4.1, Mercury Computer System SA). La ricostruzione 3D delle aree in esame e dei rispettivi costituenti (capsula perilesionale, gettone neoplastico, vasi) è stata poi ottenuta connettendo tali aree mediante triangolazione. Risultati. L’analisi delle sezioni seriate ha evidenziato che i casi di ICD sono sempre associati alla presenza di strutture vascolari che penetrano nel tumore attraverso la capsula, determinando una soluzione di continuo nella stessa; tali vasi sono risultati assenti in 2/3 casi di ICS. In un caso di ICS, al contrario, si è evidenziato un vaso posto in stretta relazione 159 al gettone neoplastico. L’analisi 3D ha confermato che nei casi di ICS il gettone neoplastico ha un aspetto a “fungo” evidenziando inoltre che la capsula perilesionale appare sfrangiata nel punto di infiltrazione. Nei casi di ICD il gettone pseudoinfiltrante cresce nello spazio compreso fra il vaso e la capsula. Infine, nel caso di ICS associato alla presenza di un vaso l’indagine 3D ha dimostrato che il gettone neoplastico, dopo essersi insinuato nello spazio tra vaso e capsula, ha compresso il vaso e, seguendone il tragitto a ritroso, ha superato la capsula perilesionale (vedi http://www.ibfm.cnr.it/istituto/news.php). Discussione. I nostri dati suggeriscono che l’infiltrazione della capsula nei TF della tiroide possa avvenire con due modalità. Il gettone neoplastico può interrompere, distruggendola, la capsula perilesionale (infiltrazione vera). In alternativa il gettone neoplastico può crescere attorno ad un vaso che dall’esterno entra dentro al TF (pseudoinfiltrazione) sino al punto di comprimerlo e, seguendone il percorso a ritroso, erniare all’esterno (erniazione). È verosimile che, dal punto di vista biologico, l’infiltrazione vera rifletta capacità molecolari specifiche mentre l’erniazione rappresenti un mero evento meccanico. Tale ipotesi suggerisce anche di rivalutare in maniera ponderata il significato clinico della invasione capsulare nella diagnosi di carcinoma follicolare. POSTERS PATHOLOGICA 2007;99:160-162 Cardiopatologia PTHRP e PTHR1 e adattamento miocardico all’insulto ischemico Morte inattesa da grave cardiopatia polifattoriale in bambino “FIVET” di 12 mesi V. Arena*, G. Monego**, E. Arena*, E. Stigliano*, S. Pasquini*, F.O. Ranelletti***, A.Capelli* E. Barresi, R. Bussani, F. Silvestri Istituto di Anatomia Patologica; ** Istituto di Anatomia Umana; *** Istituto di Istologia ed Embriologia UCO Anatomia Patologica, Ospedale di Cattinara, Trieste * Introduzione. Lo Human Parathyroid Hormone Related Protein (hPTHrP) ed il Parathyroid Hormone Receptor 1 (PTHR1), formano un sistema ligando/recettore che influisce sulla fisiopatologia cardiovascolare. Nei miocardiociti umani, il PTHR1 è diffusamente espresso, mentre il PTHrP è prevalentemente espresso a livello atriale, con espressione sfumata/assente nei miocardiociti ventricolari. Nei modelli sperimentali, il PTHrP esogeno ha effetto inotropo, cronotropo e lusitropo positivi, nonché di vasodilatazione coronarica, agendo sul PTHR1. Il nostro studio, condotto su casistica autoptica, valuta l’espressione del PTHrP e del PTHR1 nei miocardiociti ventricolari umani, nonché eventuali variazioni in relazione all’ischemia. Obiettivi. Sulla base di osservazioni effettuate su una casistica ridotta, abbiamo deciso di ampliare lo studio dell’espressione di hPTHrP e PTHR1 nei miocardiociti ventricolari, raddoppiando il campione iniziale, valutando quindi eventuali correlazioni con l’ischemia, il tipo di morte, la coronarosclerosi, l’ipertrofia, il disarray. Metodi. L’espressione di hPTHrP e PTHR1 è stata studiata con metodica immunoistochimica su campioni di miocardio ventricolare sinistro prelevati da 101 riscontri diagnostici effettuati presso il Policlinico Universitario “A. Gemelli”. Su base clinico-morfologica abbiamo diviso la casistica in decessi per causa ischemica e non ischemica. Risultati e conclusioni. I miocardiociti ventricolari umani esprimono sia PTHrP, sia PTHR1. L’iperespressione del PTHrP risulta correlata in modo significativo con i segni di ischemia (Fisher 0,0196), con il disarray (Fisher = 0,0114), con l’ipertrofia (Fisher = 0,0456). L’iperespressione del PTHR1 risulta correlata con l’ischemia (Fisher = 0,0022), con la morte ischemica (Fisher = 0,0394), con la coronarosclerosi (Fisher = 0.0015), con l’ipertrofia miocardiocitaria (Fisher = 0,0080). L’iperespressione del peptide è correlata con quella del recettore, (Fisher = 0,0004), senza elementi a favore dell’ipotesi di down-regolazione recettoriale. Sulla base delle nostre osservazioni, il sistema hPTHrP/PTHR1 parrebbe agire come un modulatore della funzione ventricolare secondo circuiti paracrini ed autocrini, basandosi sul rilascio di peptide da parte dei miocardiociti ventricolari ancora vitali (e dall’endotelio). L’iperespressione di hPTHrP/PTHR1 entrerebbe pertanto a far parte dei numerosi meccanismi di adattamento miocardico all’ischemia ed al deficit funzionale. Un bambino di 15 mesi, nato, assieme ad un gemello, con metodica di procreazione assistita FIVET, venne portato all’osservazione dei sanitari del Pronto Soccorso Pediatrico per una tosse persistente stizzosa insorta qualche ora dopo un episodio di inalazione accidentale di materiale alimentare. Anamnesticamente il bambino risultava congenitamente ipotiroideo e circa due settimane prima aveva avuto una “flu-like syndrome”. La radiografia del torace evidenziava un’iperdiafania del polmone destro con sbandieramento mediastinico a sinistra. Il giorno seguente il polmone sinistro risultava già atelettasico. Venne eseguita in emergenza una broncoscopia con estrazione di alcuni frustoli di materiale alimentare dall’albero endobronchiale e ventilazione assistita cui fece velocemente seguito un quadro di pneumotorace sinistro con realizzazione di enfisema sottocutaneo toracico ed arresto cardiaco resistente a qualsiasi manovra rianimatoria. L’esame autoptico non evidenziò perforazioni parietali dell’asse tracheo-bronchiale post-broncoscopia, ma un cuore del peso di 40 g con vistosa ectasia del distretto atrio-ventricolare destro e cospicua transilluminabilità del cosiddetto “triangolo della displasia”, anche con “bulging” dell’efflusso dell’arteria polmonare. L’istologia cardiaca dimostrò fenomeni di ipertrofia, attenuazione ed atrofia miocellulare, grave ispessimento fibroso endocardico con presenza di cellule muscolari lisce nel suo contesto, nonché, a carico della parete anteriore mediobasale, un piccolo “myocardial bridge” che comprimeva, e parzialmente disassiava l’arteria coronaria discendente anteriore ed il primo diagonale. La zona del triangolo della displasia appariva strutturalmente “displastica” anche se non sostituita da tessuto adiposo, fatto invece evidente a livello dell’apice ventricolare destro. A livello della parete posteriore ventricolare sinistra si evidenziava, inoltre, un ampio focolaio di miocardite linfoistiocitaria interstiziale in fase attiva. I dati morfologici cardiaci farebbero pensare ad una cardiomiopatia destra in fase iniziale o comunque ad una cardiomiopatia dilatativa polifattoriale, forse almeno in parte sostenuta dalla situazione di ipotiroidismo congenito. La miocardite attiva è stata un’ulteriore aggravante per un cuore già pesantemente compromesso, anche per le possibili problematiche aritmiche correlate. In questo contesto l’evento “ab ingestis” è stato probabilmente un destabilizzatore di una situazione di estrema fragilità cardiaca. POSTERS Mixomi atriali: caratteristiche delle interazioni cellula-matrice G. Donato, F. Conforti, L. Maltese, I. Tomasello, N. Mazzeo, F. Onorati*, A. Amorosi, A. Renzulli* Cattedra di Anatomia Patologica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Magna Graecia”, Catanzaro; * Cattedra di Cardiochirurgia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Magna Graecia”, Catanzaro Introduzione. I mixomi atriali sono le più frequenti neoplasie cardiache primitive. La tipologia della neoplasia è quella di tumore con caratteristiche mesenchimali dotato di una matrice mixoide ricca in glicosaminoglicani di vario tipo (Negishi, 2003). Le cellule della neoplasia, di probabile origine endocardica, tendono caratteristicamente a dare origine a formazioni a morfologia vascolare. La neoplasia nonostante le sue tipiche strutture è complessivamente poco cellulata. Molte cose sono ancora da chiarire sullo sviluppo di questa lesione per lungo tempo considerata come una semplice struttura trombotica. Metodi. Scopo del nostro lavoro è stato quello di approfondire immunoistochimicamente in 7 casi di mixoma dell’atrio sinistro resecati chirurgicamente, alcune caratteristiche della matrice e delle cellule facenti parte di questa neoplasia allo scopo di aggiungere nuovi dati alla conoscenza del suo meccanismo di sviluppo. Le neoplasie esaminate non facevano parte di quadri sindromici come il complesso di Carney e appartenevano a pazienti di sesso maschile in 5 casi e di sesso femminile nei restanti 2, con una età media di 61,3 anni. A livello di molecole della matrice extracellulare abbiamo studiato l’espressione della tenascina-C che come è stato precedentemente rilevato (Ballard, 2006) gioca un importante ruolo nella angiogenesi cardiaca post-natale, oltre che nello sviluppo delle neoplasie (Orend, 2006). Risultati. Nei mixomi cardiaci da noi studiati la tenascinaC è espressa soprattutto a livello delle strutture di aspetto vascolare suggerendo che questa molecola giochi un ruolo nella genesi di tale tipo di organizzazione e nella proliferazione cellulare. I mixomi analizzati sono neoplasie che hanno un basso indice proliferativo (indice MIB1 < 1%) e con un consistente numero di cellule, circa 60% soprattutto nelle zone interne della neoplasia, che esprimono la caspasi 3 attivata. Studi, per altro su pochi casi, hanno segnalato un ruolo importante dell’apoptosi nelle cellule di queste neoplasie (Chu, 2004) che noi possiamo confermare sulla nostra casistica. Conclusioni. Anomale interazioni cellula-matrice possono essere alla base degli eventi che portano alla regolazione della crescita di queste neoplasie. Ciò è confermato dal fatto che il CD44s, molecola recettrice per lo ialuronato è espressa in una bassa percentuale delle cellule neoplastiche (da 0 a 3%). 161 Alterazioni dei vasi intramurali nella cardiomiopatia ipertrofica: studio morfologico ed istomorfometrico su campioni di miotomia-miectomia F. Garbini, A.M. Buccoliero, F. Castiglione, F. Cecchi*, G. D’Amati**, C.F. Gheri, M. Jacoub***, M. Mancini**, V. Maio, I. Olivotto*, P. Stefano***, G.L. Taddei Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia Università di Firenze; * Centro di Riferimento per le Cardiomiopatie Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi Firenze; ** Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sapienza, Università di Roma; *** Cardiochirurgia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze Introduzione. Le alterazioni del microcircolo coronarico (MC) sono state chiamate in causa come fattori contribuenti di alcune manifestazioni (aritmie, morte improvvisa, rimodellamento e disfunzione del ventricolo sinistro) della cardiomiopatia ipertrofica (HCM). Tuttavia in letteratura esistono pochi studi sistematici sulla morfologia del MC nell’HCM, condotti prevalentemente su cuori autoptici o su biopsie endomiocardiche. Abbiamo valutato le alterazioni del MC su campioni di miocardio da miotomie-miectomie per correlarle con le altre alterazioni istologiche e con i dati clinici. Metodi. Sono stati esaminati 10 campioni consecutivi, (5 M, 5 F, età media 45 aa, range 18-70) e 5 controlli (4 M, 1 F età media 28, range 16-40). Sulle sezioni (colorate con EE, tricromica di Masson e picrosirius red) è stata effettuata un’analisi morfologica ed istomorfometrica, quest’ultima valutando i seguenti parametri: area totale di ogni campione (AC), area della fibrosi sostitutiva (AF), numero di vasi (nV), area dei vasi (AV) area della parete (AP), area del lume (AL) fibrosi perivascolare (FP). Sono stati quindi derivati i seguenti parametri: area percentuale del lume vasale (AL/AV), densità dei vasi (nV/AC), frazione di fibrosi sostitutiva (AF/AC). Risultati. Esame istologico: Alterazioni dei vasi intramurali (ispessimento parietale, fibrosi perivascolare) erano evidenti in tutti i campioni; 6/10 casi mostravano fibrosi sostitutiva, 10/10 fibrosi interstiziale ed 8/10 disarray miocellulare. I controlli non mostravano disarray, né fibrosi sostitutiva. Istomorfometria: L’area percentuale del lume vasale e la densità dei vasi sono risultati significativamente ridotti nell’HCM rispetto ai controlli (p < 0,01). La fibrosi perivascolare era aumentata nell’HCM, ma non in modo significativo. In maniera analoga si comportava la fibrosi sostitutiva. Conclusioni. I nostri risultati preliminari confermano la presenza di alterazioni del MC nella HCM. L’associazione della stenosi del lume con la rarefazione dei vasi (secondaria all’ipertrofia) può essere alla base di una ischemia miocardica focale. La fibrosi perivascolare potrebbe giocare un ruolo in questo fenomeno. POSTERS 162 Metaplasia ossea con midollo emopoietico in valvola aortica stenotica: riferimento di un caso L. Marasà, F. Rappa, M.P. Ternullo U.O.C. di Anatomia Patologica, A.R.N.A.S. “Civico, G. Di Cristina, M. Ascoli”, Palermo Introduzione e descrizione del caso. La stenosi della valvola aortica si associa solo raramente a metaplasia ossea con tessuto midollare in ematopoiesi completa. Si segnala il caso di una donna di 60 anni con lembi valvolari sede di sclerosi, calcificazioni distrofiche, aree mixoidi e metaplasia condroide ed ossea. Nel contesto di quest’ultima si evidenziavano rilevante neoangiogenesi, cellule infiammatorie, ma soprattutto, la formazione di trabecole ossee e midollo emopoietico in cui erano rappresentate le linee eritroide, mieloide e megacariocitaria, sia come precursori che come elementi maturi. La cellularità midollare era del 70% con un rapporto mielo-eritroide pari a 3:1. I megacariociti mostravano tendenza ad aggregarsi in cluster. Presenti anche linfociti T (5%) e B (30%), plasmacellule e mastociti Risultati e conclusioni. Una metaplasia con formazione di midollo osseo nella valvola aortica è stata descritta da Arumugam e Fernandez Gonzalez rispettivamente in una donna di 43 anni ed in un uomo di 69 anni. La metaplasia ossea si riscontra nelle fasi avanzate della stenosi della valvola aortica ed è un processo attivo in cui si è ipotizzato che cellule infiammatorie quali linfociti, monociti e mastcellule infiltrino l’endotelio e rilascino citochine che agirebbero su cellule simil-miofibroblastiche presenti nelle valvole cardiache 1. Miofibroblasti in coltura, infatti, si differenziano in cellule similosteoblastiche con conseguente deposizione di osso. Il rimodellamento della matrice ossea sarebbe favorito dalla presenza di proteine extracellulari di matrice (ECM) quali l’osteopontina o la metalloproteinasi-2 (MMP-2) che si riscontrano normalmente nell’osso, ma non nel tessuto valvolare normale 2. Il caso riferito offre l’occasione per discutere il ruolo svolto dai fattori di crescita ematopoietici nello stimolare la produzione di cellule ematiche nel midollo osseo. Bibliografia 1 Mohler ER III, et al. Circulation 2001;103:1522-8. 2 Kaden JJ, et al. Expression and activity of matrix metalloproteinase2 in calcific aortic stenosis. Z Kardiol 2004;93:124-30. Quilty effect has the features of lymphoid neogenesis and shares CXCL13-CXCR5 pathway with recurrent acute cardiac rejections C. Sorrentino* **, T. D’Antuono* **, E. Di Carlo* ** * Department of Oncology and Neurosciences, Anatomic Pathology Section, “G. d’Annunzio” University, Chieti, Italy; ** Ce.S.I. Aging Research Center, “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti, Italy Introduction. The Quilty effect (QE) is a nodular infiltrate that may be confined to the endocardium or extend into the underlying myocardium of the transplanted human heart. This mononuclear infiltrate is a frequent, yet enigmatic feature of cardiac allograft, since it is apparently devoid of clinical significance, though its association with acute (A) rejection (R) is strongly suspected. Methods. In this study, we examined endomyocardial biopsies, obtained from transplanted patients, by means of immunohistological and confocal analyses. QE was observed in 126/379 biopsies from 22 patients during the first post-transplant year. Most grade (G)2R biopsies displayed a concomitant QE. Results. The following features typical of QE were identified: a) focal angiogenesis and lymphangiogenesis associated with bFGF, VEGF-C and VEGF-A expression; b) marked infiltrate of CD4+ T and CD20+ B followed by CD8+ T lymphocytes arranged around PNAd+ HEV-like vessels. Most QE appear as distinct B-T cell-specific areas with lymphoid follicles sometimes endowed with germinal centrelike structures containing VCAM-1+ CD21+ follicular dendritic cells and CD68+ macrophages, which frequently expressed BLC/CXCL13. These cells were also found in the mantle-like zones, where small lymphocytes expressed the BLC receptor, CXCR5, otherwise in the whole area of not clustered lymphoid aggregates. CXCL13 was also expressed, in association with CD20+ B lymphocyte recruitment, in G2R biopsies obtained from patients with recurrent AR. Conclusions. QE has the features of a tertiary lymphoid tissue suggesting an attempt, by the heart allograft, to mount a local response to a persistent alloantigen stimulation resulting in aberrant CXCL13 production, as also occurs in recurrent AR. CXCL13-CXCR5 emerge as a common molecular pathway for QE and recurrent episodes of AR. PATHOLOGICA 2007;99:163-171 Citopatologia Prevalenza dell’infezione da HPV in un gruppo selezionato di pazienti confrontato con un gruppo di controllo V. Nirchio, S. Fusilli**, R. Lipsi*, Di Taranto*, R. Antonetti* Servizio di Citopatologia, * Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda Universitaria-Ospedaliera, OO.RR. Foggia; ** Direzione Sanitaria-Statistica Epidemiologia IRCCS “Casa Sollievo Sofferenza”, S. Giovanni Rotondo Introduzione. L’Infezione da papilloma virus umano è una malattia sessualmente trasmessa e prevalente nelle giovani donne. I fattori di rischio per l’infezione, la sua incidenza e durata non sono ben note. Abbiamo voluto apportare il nostro contributo con una iniziale casistica, afferente da diversi Centri di Prelievo, le cui pazienti ci assicurano una continuità nel follow-up. Metodo. Nel periodo intercorso tra agosto 2005 e maggio 2007, da una casistica di circa 4395 pap test eseguiti con lo strato sottile, abbiamo selezionato 90 pazienti, di varie fasce di età, su circa 350 pazienti a cui è stata attribuita una delle seguenti categorie del sistema Bethesda (ASCUS, AGC, ASC-H, LSIL, HSIL, Ca in situ). Le pazienti arruolate sono state sottoposte oltre che all’esame citologico cervico-vaginale su strato sottile, anche a ricerca di HPV-DNA PCR test, sul residuo materiale del Thin prep. In questo ristretto gruppo abbiamo calcolato la prevalenza dell’infezione da HPV, la frequenza dei vari ceppi, la coespressione di più ceppi virali, raffrontando i dati con una popolazione di controllo di circa 1.000 donne. Risultati. Nella popolazione studiata 86/90 dei casi selezionati (pari al 95,6%), l’HPV test è risultato negativo nel 20,9% dei casi, mentre la positività totale è stata del 79,1%. La distribuzione dei ceppi di HPV, nelle pazienti positive, è risultata nel 26,5% legata ad un ceppo di basso rischio. Le donne positive ad un ceppo di HPV ad alto rischio rappresentano, invece, il 73,5% del campione. La frequenza dei vari ceppi virali e la loro distribuzione per fasce di età, sono sovrapponibili a quelle riscontrate nel gruppo campione. La coespressione di più ceppi virali è più frequente nella fascia di età tra i 25-35 anni, ed è dovuta alla co-presenza dei ceppi HPV6-HPV16. In 4 pazienti si è verificata l’associazione con l’infezione da HIV. Conclusioni. Sono esaminate le cause della divergenza tra gli aspetti colposcopici-clinici e quelli di biologia molecolare nel gruppo di donne, pari al 20,9% del campione, risultate negative al Test HPV-DNA. Viene tracciata, seppure limitatamente, il decorso clinico dell’infezione, nella popolazione che ha aderito allo studio, e ne vengono sottolineate le correlazioni con altre note infezioni sessualmente trasmesse. In particolare vengono riesaminate le casistiche presenti in letteratura inerenti la protezione esercitata sull’HPV da altre infezioni sessualmente trasmesse, l’influenza dello stato ormonale, del fumo, dell’alcolismo e lo stato di progressione dell’infezione in casistiche selezionate. Bibliografia 1 Si-Mohamed A, et al. J Med Virol 2005;77:430-8. 2 Weiderpass E, et al. Cancer Epidemiol Biomarkers Perv 2001;10:899901. Thyroid nodule volume reduction predictability after percutaneous ethanol injection V. Nirchio, F. Nirchio*, M. Zingrillo**, P. Tizzani*** U.O. Citodiagnostica Az. Ospedaliera-Univ. OO.RR. Foggia; * Agenzia Spaziale Italiana, Centro di Geodesia Spaziale, Matera; ** Endocrinologo libero professionista, Foggia; *** Department of Pathology (P.T.), Scientific Institute, Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, S. Giovanni Rotondo Objective. To determine the effect of percutaneous ethanol injection (PEI), suppressive therapy of cold benign thyroid nodules (CBNs), on the cytology and its predictability in classifying lesions with fine needle aspiration (FNA) results. Study design. The study group consisted of 31 cold benign thyroid nodules, treated with PEI for 1 year aspirated before and while the patients were on suppressive therapy. The control group consisted of 22 patients with nodule characteristic, PEI-treatment and follow-up similar to those of the first series was used to validate the results obtained. Fig. 1. Prevalenza dei ceppi di HPV ad alto rischio nella popolazione studiata. 164 POSTERS In analogy with a similar study, we have considered: the initial volume of the CBNs > 25 ml, abundant colloid, poor cell hyperplasia and presence of degenerative changes. To test these hypotheses we have verified the differences using t-test for initial volume and the Mann-Whitney U test for the remaining features. Results. The study has proved the unpredictability of the volume reduction in a single nodule on the basis of the cytological evaluation. Conclusion. The lack of the cytological features considered statistically predictive of large nodule reduction due to PEI treatment, confirm, however, the FNA may help to establish the correct diagnosis. nostic concordance in 47.4%, whereas a discordance in 52.6% between conventional cytology and TP. Statistically it was observed an increase of whole precancerous lesions, i.e. a significative increase of LSIL in TP slides vs. Pap smears and decrease of inflammatory findings in TP vs. conventional cytology. Conclusions. TP appear to be more accurate in improve technical quality and working results. It was more sensitive and specific than conventional cytology in detecting cervical precancerous lesions. TP sensitivity results in an increase of cytologic diagnosis of cervical atypia, i.e. LSIL, and a decrease of false negative results. References 1 La Rosa GL, Ippolito AM, Lupo L, et al. Cold thyroid nodule reduction with L-thyroxine can be predicted by initial nodule volume and cytological characteristics. J Clin Endocrinol Metabolism 1996;81:4385-7. 2 Zingrillo M, Collura D, Ghiggi MR, Nirchio V, Trischitta V. Treatment of large cold benign thyroid nodules not eligibile for surgery with percutaneous ethanol injection. J Clin Endocrinol Metabolism 1988;83:3905-7. Riorganizzazione citologia cervico-vaginale in area vasta Thin prep cervical cytology in a split-sample preliminary study S. Senatore, M.D. Scordari, P. Rizzo*, E. Molina**, A. D’Amuri Morbid Anatomy “S. Cuore di Gesù Hospital” ASL/LE, Gallipoli, Italy; * School of Biology University of Camerino, Italy; ** Department of Human Anatomy, Pharmacology and Medical Forensic Sciences, School of Medicine, University of Parma, Parma, Italy Introduction. The performance of Thin Prep (TP), a liquidbased cytology preparation technique, was evaluated in comparison with conventional Pap smears using a Split-Sample approach in detecting cervical pathology. Methods. Cervical cytological samples obtained from 173 women, aged from 25 to 70 years, which presented at previous conventional Pap smears, technical, interpretative or diagnostic problems were considered. A Split-sample protocol was used to obtain both conventional Pap smears and then the Thin Prep pap test (TPPT) substrate. Pap test (PT) and TPPT vial samples, were stained with conventional Papanicolaou staining. Both PT and TPPT slides were subdivided and randomly evaluated in a blinded fashion by two observer separately to compare both diagnostic specimen adequacy (S.A.) and diagnostic accuracy (D.A.) in detecting cancer precursors obtained with different cytological diagnostic procedures were assessed. S.A. evaluations was grouped in three categories: satisfactory, suboptimal and unsatisfactory. As so as cytological diagnosis (C.D.) was classified into three groups: negative/flogistic; positive from ASCUS to LSIL and positive for HSIL. Specimen adequacy and cervical lesions detection rates were classified using the Bethesda 2001 nomenclature system for cervicovaginal cytology. Both chi-square and Fisher-Yates chisquare tests were applied to a 2 X 2 contingency table to evaluate the detection rates of different C.D. and S.A. in both TPPT and PT evaluated findings. Results. Statistical investigations demonstrated significative increase of satisfactory as so as decrease of not diagnostic TP slides vs. Pap smears and a reduction of suboptimal samples by using TP procedure. Furthermore, it was observed a diag- E. Zini, G.L. Taddei, P. Cariaggi, A. Giannini, P. Apicella, M. Biancalani, F. Zolfanelli U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “Santa Maria Annunziata”, ASL 10 Firenze L’Istituto Toscano Tumori della Regione Toscana, nel 2006 ha attivato un gruppo di lavoro costituito dai direttori delle anatomie patologiche ospedaliere dell’area vasta centro, dall’Anatomia patologica della Università di Firenze e dal C.S.P.O., con l’obiettivo di formulare una ipotesi di riorganizzazione in area vasta della citologia di screening cervicovaginale. L’analisi è stata condotta tenendo conto da una parte della attività in essere nei vari centri, rapportandola al grado di raggiungimento degli obiettivi di P.S.R. I pap test prodotti sono stati suddivisi in coerenti con le indicazioni di screening ed extra screening etichettando questi ultimi come diagnostici. Dal punto di vista delle risorse umane sono state suddivise per profilo professionale precisandone le attività svolte e l’apporto in termini di ore/settimana lavorativa. I dati di attività così ottenuti sono stati confrontati con gli obiettivi di P.S.R. evidenziandone gli scostamenti che sono risultati negativi per tutti i centri e per il sistema area vasta nel suo complesso, anche a fronte di carenza di risorse umane. È stato quindi quantificato il fabbisogno, in termini di risorse umane, coerente con gli standard deliberati dal consiglio regionale, per poter perseguire gli obiettivi regionali. L’indagine si è quindi concentrata sul possibile impatto delle nuove tecnologie nel migliorare l’efficienza di tale attività in relazione ai relativi costi: si è considerato lo strato sottile, gli apparecchi automatici di lettura ed infine l’associazione strato sottile apparecchio automatico di lettura. Questa ultima ipotesi consente di conseguire i risultati più significativi con un abbattimento complessivo dei tempi di lettura di oltre il 40% rispetto alle tecniche tradizionali. Partendo da questo dato è stata quindi formulata una ipotesi teorica applicata all’intera area vasta che tenesse conto dei nuovi costi, dei costi cessanti e dei risparmi ipotizzati, modulata anche sulle esperienze e sulle aspirazioni dei vari centri di area vasta. È emersa una valutazione di fattibilità in termini di rapporti costo/beneficio oltreché un possibile miglioramento qualitativo, conseguito attraverso l’omogeneizzazione delle procedure. POSTERS Studio preliminare di prevalenza e di distribuzione per classi età delle infezioni da HPV nella popolazione femminile della provincia di Foggia S. Fusilli, R. Lipsi*, V. Nirchio**, Di Taranto*, R. Antonetti* Direzione Sanitaria IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”; * II Laboratorio di Analisi e ** Servizio di Citopatologia Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda UniversitariaOspedaliera OO.RR. Foggia Nel periodo tra settembre 2005 e marzo 2007 sono state studiate, presso il II Laboratorio di Analisi dell’Azienda Universitaria-Ospedaliera degli Ospedali Riuniti di Foggia, circa 700 pazienti, per la determinazione dell’HPV test, sia ad alto che basso rischio, con metodica PCR. Metodi. La maggior parte del campione, giunto da pazienti sottoposte a controlli ginecologici di routine ambulatoriali (87,80%), è stato ottenuto da prelievo di tampone cervicale (93,77%), una piccola percentuale del campione è stato ottenuto dal residuo materiale Thin Prep (3,81%), il rimanente 2,42% da altre sedi. Nel maggior parte dei casi la selezione è stata effettuata dal ginecologo sulla base della clinica e/o degli aspetti colposcopici, in percentuale minore l’indicazione ad eseguire il test è sulla base di una citologia anomala. Il dato del risultato è riportato per il 97,33% (689/705). Risultati. La popolazione è stata suddivisa in 6 classi di età (≤ 25; > 25 ≤ 35; > 35 ≤ 45; > 45 ≤ 55; > 55 ≤ 65; > 65). La distribuzione di frequenza ottenuta mostra che le classi di età maggiormente rappresentate sono quelle 25-35 e 35-45 con presenza percentuale del 39,4% e 32,8% rispettivamente, rappresentando il 72,2% della popolazione sottoposta al test. Nella popolazione studiata la prevalenza totale di infezione da HPV è stata del 29,32%, di questa il 27,81% quella di basso rischio, mentre il 72,19% quella di alto rischio. I ceppi isolati sono il 6 e 11 tra quelli a basso rischio, mentre tra gli alto rischio sono: 16, 18, 31, 33, 39, 45, 52, 56, 58 ed il 59. Tra i pazienti positivi al test, i ceppi in assoluto più frequenti sono, tra quelli a basso rischio il 6, 22,3%, tra quelli ad alto rischio il 16, 31,7%. La classe di età che in assoluto presenta il maggior numero di infezioni sia da ceppi a basso rischio che da quelli ad alto rischio è quella 25-35, anche se questa non è la classe maggiormente rappresentativa in termini percentuali. La coespressione di più ceppi virali è stata documentata nel 20,79% (42/202) dei casi positivi, l’associazione più frequente tra le infezioni multiple è rappresentata dall’associazione 6-16 nel 6,44% dei positivi e nel 30,95% tra le infezioni multiple. La fascia di età più colpita, da infezioni multiple è rappresentata da quella 25-35. Conclusioni. Questo studio, nonostante i limiti, della esiguità del campione che risulta non essere rappresentativo della popolazione utente, rappresenta la prima indagine epidemiologica circa la prevalenza e la distribuzione dell’HPV nella provincia di Foggia. I dati mostrano la prevalenza delle infezioni da HPV sono in linea con quelli nazionali, sia per quel che riguarda la prevalenza dell’infezione sia per la presenza del ceppo 16 come quello maggiormente espresso sia in singola espressione che in associazione ad altro ceppo virale. Questo studio si ripropone di essere il punto di partenza di uno analisi di prevalenza e di distribuzione per fasce di età delle infezioni virali da HPV nella popolazione femminile della provincia di Foggia. 165 Frequenza Valid 1 2 3 4 5 6 Total Missing System Total Percent Percent Percent Valid Cumulative 86 237 197 61 17 3 601 111 712 12,1 33,3 27,7 8,6 2,4 ,4 84,4 15,6 100,0 14,3 39,4 32,8 10,1 2,8 ,5 100,0 14,3 53,7 86,5 96,7 99,5 100,0 HPV test: esperienza di un anno dell’UO di Anatomia Patologica dell’Ospedale “S. Paolo” di Savona D. De Leonardis, W. De Pirro, S. Pontoni, S. Ardoino, O. Ballario, A. Lugani, S. Poggi, E. Venturino Ospedale “S. Paolo”, ASL2 Savona Introduzione. Il ruolo etiologico dello HPV nella genesi del cervico-carcinoma e suoi precursori è certo. Il riscontro della persistenza di HPV per i sottotipi ad intermedio/alto rischio oncogeno permette di indirizzare ad un follow-up mirato. Nella nostra U.O. nel 2006 è stata avviata, pertanto l’indagine per la determinazione di HPV ad intermedio/alto rischio, mediante tecnica Hybrid Capture 2, con l’obiettivo di selezionare i soggetti con pap test dubbio o di basso grado da inviare al secondo livello e di integrare la diagnostica cervicovaginale con una metodica sempre più richiamata nelle linee guida nazionali e internazionali emesse dalle Società Scientifiche di Colposcopia. Non manca inoltre una crescente richiesta da parte dell’utenza, influenzata dall’impatto mediatico per l’ormai prossima introduzione della vaccinazione contro i tipi di HPV 6, 11, 16 e 18. Metodi. Viene utilizzato il test Hybrid Capture 2 per i tipi di HPV ad intermedio/alto rischio (16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68). I campioni provenienti principalmente dai centri di colposcopia del territorio, dell’Ospedale e da privati pervengono alla nostra U.O. corredati da modulo di richiesta da noi appositamente predisposto, stoccati a 20 °C e processati entro 25 giorni. Per la raccolta dei campioni viene utilizzato il Digene cervical Sampler. Il test viene utilizzato come esame di secondo livello (triage) in caso di precedente riscontro di anomalie cellulari nel pap test tipo ASCUS, ASC-H e LSIL. Risultati. L’incidenza di HPV a rischio intermedio/alto nelle donne con pap test dubbio è del 20,9%, nelle donne con LSIL Diagnosi citologica ASC-US, ASC-H LSIL Totale HPV-test Negativo Positivo Totale 91 70 161 24 44 68 115 114 229 POSTERS 166 è del 38,6%, in tabella sono riportati i valori per le categorie prese in esame. Conclusioni. Il test è stato mirato alle lesioni bordeline (ASCUS e ASC-H) e LSIL. Il triade con HPV-test ha consentito di aumentare la predittività di queste categorie diagnostiche. L’introduzione di questa indagine di biologia molecolare è stata anche l’occasione per riaffermare la collaborazione con i ginecologi dell’ospedale e del territorio attraverso la redazione di un protocollo condiviso che standardizza il percorso diagnostico/terapeutico. profondi, mentre tra quelli superficiali, mammella e tiroide sono “appetiti” da altre figure professionali. La qualità dei prelievi aumenta notevolmente sia nei patologi che nei “non patologi”, anche a causa di training a cui si sono sottoposti i colleghi degli ospedali periferici in cui non può essere presente il patologo. Bibliografia Cox JT, et al. Am J Obstet Gynecol 1995;172:1150-7. F. Zanconati, A. Romano, N. Sabato, D. Bonifacio, S. Dudine, M. Di Napoli, E. Isidoro, I. Rosano, G. Slatich, L. Ulcigrai, F. Martellani, L. Di Bonito Agoaspirati a Mantova: cosa cambia in 10 anni A. Bellomi, L. Gaetti, S. Negri, R. Fante, A. Cassisa, F. Colpani, G. Calabrese, G. Granchelli Centro di Diagnostica Istocitopatologica, Servizio di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera, Ospedale “Carlo Poma”, Mantova Introduzione. La citologia aspirativa riveste dal 1984 un ruolo fondamentale nell’attività diagnostica dell’Anatomia Patologica dell’Ospedale “Carlo Poma” di Mantova. Il lavoro presenta il confronto quali/quantitativo tra i dati relativi ai prelievi eseguiti dai patologi ed alle diagnosi citologiche a distanza di 10 anni (1996-2006). Metodi. Dall’archivio computerizzato dell’Anatomia Patologica di Mantova (Armonia della ditta Metafora di Milano) sono stati estratti sia per il 1996 che per il 2006: Numero prelievi eseguiti dai patologi su lesioni palpabili a mano libera, N. prelievi eseguiti dai patologi sotto guida strumentale in collaborazione con altri colleghi (Radiologi, ecografisti, endocrinologi, ecc.), N. prelievi eseguiti da altri colleghi e di tutti questi esami la sede del prelievo e l’adeguatezza del materiale. Risultati. Vedi tabella. Patologi Altri Totale 1996 totali 1996 inadeguati 2006 totali 2006 inadeguati 1302 433 1735 222 102 324 1169 1468 2637 63 126 189 Le sedi di prelievo più frequenti sono la mammella: 641 nel 1996 pari al 36,9% del totale, 1.121 nel 2006 (42,5%) e la tiroide: 367 (21,1%) nel 1996 e 851 nel 2006. Gli organi profondi (fegato, pancreas, polmone, rene ecc.) si mantiene costante: 114 nel 1996 e 117 nel 2006. Conclusioni. La diagnostica citologica per agoaspirazione a Mantova è notevolmente aumentata, ma i prelievi eseguiti dal Patologo rimangono costanti, anzi in lieve diminuzione in numeri assoluti e in percentuale nettamente inferiore passando dal 75% dei prelievi del 1996 al 44% del 2006. Aumentano in percentuale i prelievi sotto guida strumentale e tra questi il patologo è chiamato ad eseguire più spesso quelli Classificazione NMH in citologia tiroidea: contributo ad una migliore definizione delle lesioni dubbie U.C.O. Citodiagnostica e Istopatologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Università di Trieste Introduzione. La FNA è l’esame più accurato nella valutazione dei noduli tiroidei ed il test pre-operatorio più sensibile e specifico per la definizione delle lesioni maligne. L’esistenza di un’ampia area grigia, costituita dalle lesioni indeterminate/sospette, crea difficoltà nella selezione dei casi da inviare alla chirurgia. Abbiamo valutato l’efficacia della proposta classificativa per le FNA tiroidee della Northwestern University di Chicago 1 2, applicandola retrospettivamente alla nostra casistica a cui era stata già attribuita originariamente una suddivisione in categorie in analogia alla diagnostica senologica. Le lesioni vengono classificate in 6 categorie principali: 1) inadeguato; 2) negativo (iperplasia, tiroidite, nodulo colloideo, cisti benigna); 3) indeterminato per neoplasia (neoplasia/iperplasia follicolare o lesione ossifila); 4) neoplasia (neoplasia follicolare od ossifila); 5) sospetto di malignità; 6) positivo per malignità (carcinoma, linfoma, metastasi). Classificazione originaria (gr. A) N. FNA Follow-up Benigno Maligno clinico all’istologia all’istologia C3 C4 C5 118 26 6 70 0 0 34 7 0 14 (*) 19 6 4 54 12 0 0 3 24 11 3 0 0 2* 13 21 3 Classificazione NMH (gr. B) C2 C3 C4 C5 C6 7 80 36 24 3 * = carcinoma occulto Metodi. Lo studio comprende un campione di pazienti con noduli tiroidei sottoposti a FNA con diagnosi citologica non negativa (C3-5) e con un follow-up minimo di 17 mesi (150 noduli totali enucleati da un pool di quasi 1500 FNA consecutive). La revisione dei preparati citologici è stata eseguita PATHOLOGICA 2006;98:363-366 su base esclusivamente morfologica, senza l’ausilio di dati clinico-strumentali. Risultati. La tabella riporta la distribuzione delle diagnosi originarie e di quelle attribuite con i nuovi criteri classificativi assieme alle rispettive correlazioni clinico-istologiche. Nel gruppo A il VPN dei C3 era dell’88,9%, mentre nel gruppo B è risultato del 98,8%; il VPP dei sospetti per malignità (C4 del gruppo A e C5 del gruppo B) è risultato rispettivamente del 73% e dell’87%; il VPP delle lesioni indeterminate per malignità (C4 del gruppo B) è risultato invece del 36%. Conclusioni. I dati ottenuti dimostrano una miglior efficacia nella gestione clinica dei noduli C3, i quali non necessitano del ricorso alla chirurgia, obbligatoria invece per i casi C5. Una gestione differenziata è indispensabile per la categoria C4, per la quale invece è necessario integrare il dato morfologico con i parametri clinici, radiologici ed immunofenotipici. Bibliografia 1 Nayar R, et al. Mod Pathol 2001;14:63A. 2 Ivanovic M, et al. Pathologica 2006;98:333-4. Agoaspirati tiroidei a Mantova: 20 anni di esperienza A. Bellomi, L. Gaetti, S. Negri, F. Colpani, A. Cassisa, R. Fante, G. Calabrese, G. Granchelli Centro di Diagnostica Istocitologica, Servizio di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Ospedale “Carlo Poma”, Mantova Il presente lavoro analizza 20 anni di agoaspirati della tiroide in rapporto alle modalità di prelievo. Metodi. Dall’archivio computerizzato dell’Anatomia Patologica sono stati estratti i pazienti sottoposti ad agoaspirazione della tiroide, suddivisi per anno dal 1987 al 2006, per numero di noduli e per metodologia di prelievo (con o senza eco). Risultati. Vedi tabella. Aumentano gradualmente i casi con prelievo ecoguidato a partire dal 1990 da zero all’81% e parimenti il numero di prelievi per singolo paziente. Nel 2006 il 23% dei pazienti ha avuto prelievi multipli (2-4); se il prelevatore è il patologo la percentuale scende al 20%, se è il clinico sale al 25%. Conclusioni. Nel corso di questi 20 anni il numero degli agoaspirati tiroidei è aumentato notevolmente a causa dell’uso dell’ecografo, si aspirano più noduli per paziente, il patologo è spesso escluso dal prelievo. Gli inadeguati sono numerosi in rapporto al prelievo del clinico, circa il triplo del patologo, anche se è evidente un miglioramento negli ultimi anni. Il numero di carcinomi è in aumento in assoluto, abbastanza stabile in percentuale e non in rapporto al numero delle sedi di prelievo. L’utilizzo dell’ecografo nella diagnostica tiroidea ha indotto un incremento delle richieste di agoaspirazione con scarsa o nulla evidenza di benefici clinici per i pazienti. La competenza del patologo sul prelievo, laddove è possibile, garantisce un minor numero di inadeguati ed una migliore diagnostica integrata, cioè migliore qualità a minor prezzo. Introduzione. La citologia agoaspirativa riveste un ruolo notevole nell’ambito della diagnostica del Servizio di Anatomia Patologica di Mantova. Agoaspirati eseguiti dal clinico inadeguati totale anno 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2204 2005 2006 Totale 19 30 63 93 106 87 126 122 123 86 81 202 267 278 227 416 554 563 413 568 4424 10 3 22 26 21 14 28 31 40 22 9 39 58 83 45 33 54 59 45 44 686 Agoaspirati eseguiti dal patologo inadeguati totale % 52,6 10,0 34,9 28,0 19,8 16,1 22,2 25,4 32,5 25,6 11,1 19,3 21,7 29,9 19,8 7,9 9,7 10,5 10,9 7,7 15,5 184 260 258 327 316 312 316 304 273 280 285 290 337 387 411 452 387 326 278 283 6266 31 35 16 35 48 27 30 22 22 29 15 14 28 12 10 9 13 9 10 11 426 % 16,8 13,5 6,2 10,7 15,2 8,7 9,5 7,2 8,1 10,4 5,3 4,8 8,3 3,1 2,4 2,0 3,4 2,8 3,6 3,9 6,8 Totale positivi n. 3 4 4 8 4 14 9 16 7 15 13 15 19 17 37 51 37 33 46 38 % 1,5 1,4 1,2 1,9 0,9 3,5 2,0 3,8 1,8 4,1 3,6 3,0 3,1 2,6 5,8 5,9 3,9 3,7 6,7 4,5 POSTERS 168 Tiroidite sclerosante multifocale G. Napoli, M. Casiello, R. Scamarcio, G. Renzulli, R. Ricco Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari Introduzione. Rara tiroidite interstiziale con focolai multipli di sclerosi ad eziologia e patogenesi sconosciute. Metodi. Donna di 42 anni portatrice, da circa un anno, di gozzo plurinodulare. L’ecografia evidenzia nodulo ipoecogeno a margini sfumati del terzo superiore lobo destro, diametro 10 mm. L’esame citologico su FNAB non è risultato conclusivo in quanto si rilevavano tireociti di piccola taglia, conglutinati e in regressione, con nuclei provvisti di piccolo nucleolo e lievemente dismetrici, in aggregati solidi e microfollicolari. Al controllo ecografico eseguito dopo un anno si apprezzano altri due noduli ipoecogeni nello stesso lobo, e si esegue FNAB sui tre noduli con esito non diagnostico il primo e negativi gli altri due. Si procede a tiroidectomia totale. L’esame macroscopico evidenzia la presenza, nel lobo destro, di tre neoformazioni biancastre, a contorni stellati, diametro 10 mm, 8 mm e 6 mm. Aspetto compatto del restante ambito. Dai campioni inclusi in paraffina sono stati allestiti vetrini per la colorazione ematossilina-eosina. Risultati. L’esame istologico evidenzia una tiroide a struttura nodulare, con multipli focolai di fibrosclerosi inglobanti follicoli tiroidei distorti, rivestiti da cellule con nucleo ingrandito, talora ipocromico, con cromatina granulare e minuto nucleolo, ma privo di pseudoinclusi. Presenza di cospicuo infiltrato flogistico linfoplasmacellulare alla periferia delle lesioni, in sede interstiziale e intrafollicolare. La diagnosi differenziale va posta tra carcinoma papillifero, variante follicolare, multifocale e con sclerosi dello stroma (più frequente) e tiroidite sclerosante multifocale (molto rara). A favore della seconda diagnosi l’assenza delle caratteristiche citologiche tipiche del carcinoma papillifero (pseudoinclusioni nucleari, grooves, affollamento cellulare). Conclusioni. La tiroidite sclerosante multifocale potrebbe rientrare nel gruppo delle tiroiditi linfocitiche focali, che sono rare tiroiditi probabilmente su base patogenetica autoimmune, caratterizzate da multifocalità delle lesioni follicolari di tipo infiammatorio in evoluzione sclerosante. Sebbene la stessa multifocalità del processo e l’aspetto istologico possano apparire simili alle caratteristiche del microcarcinoma papillare, la componente epiteliale della tiroidite sclerosante, rappresentata da follicoli distorti e intrappolati nelle aree di fibrosi, perde le caratteristiche citologiche delle neoplasie papillari. On-site evaluation and triage for endoscopic ultrasond-guided fine needle aspiration cytology. The Turin experience P. Campisi, D. Pacchioni, G. Bussolati Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia, Università di Torino, Italia Introduction. On-site evaluation of ecoendoscopic ultrasound-guided fine needle aspiration (EUS-FNA) specimens can be beneficial at determining samples’ adequacy. It also involves triage of specimens for ancillary studies and prelim- inary diagnosis, which can be helpful for a rapid clinical decision-making. Of great importance is the on-site presence of a skilled cytopathologist, whose ability enhances the quality of direct smears by performing staining technique and taking personal care of the aspirated material. Additional phases are necessary if the initial specimen is hypocellular or if the diagnosis is not evident yet or still if there is a need for additional material for the cell block preparation. On the basis of the cytopathologists’ impression of the slides, they can triage the specimen through an immunocytochemical evaluation or through a microbiologic workup or even through biochemical analysis. An additional step is taken if there is a suspicion of lymphoproliferative disorder in order to performance flow cytometry. Methods. Here is presented a retrospective analysis of our institutés experience with EUS-FNA sampling and cytopathological diagnosis. From January 2001 to May 2007 404 patients underwent the EUS-FNA evaluation. From 2003 a knowledgeable cytopathologist was present during the procedure and started making an extemporary evaluation of the samples’ adequacy. Results. Before 2003, a final cytological diagnosis was available in only 70% of the cases (without an on-site cytopathologist). After 2003, in 90% of the cases (with an on-site cytopathologist). Immunocytochemistry on cell block material was planned and performed in order to: clarify the diagnosis when the morphology alone was not sufficient; demonstrate neuroendocrine differentiation; evaluate the proliferation index; study immunophenotype in cases of lymphomas; address proper investigations related to therapeutic strategies. Suspected lymphoproliferative lesions were analyzed by flow cytometry and/or molecular biology methods in order to detect clonality. Conclusions. The quality of the specimens and the proper handling of the aspirated sample from the endoscope to the microscope are crucial to the ultimate success of the cytological diagnosis in EUS-FNA. On-site evaluation and triage of the material is a critical point at improving the accuracy of the diagnosis. Tumore stromale gastrointestinale (GIST): raro caso di diagnosi citologica su versamento R. Zappacosta, S. Rosini, B. Caporale*, M. Ottaviantonio*, M. De Laurentis*, S. Stura*, B. Zappacosta, D. Caraceni* Sezione Citodiagnostica, Dipartimento Oncologia e Neuroscienze Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara; * Unità di Citopatologia, Ospedale “Renzetti”, Lanciano Introduzione. I tumori maligni gastrointestinali (GIST) rappresentano le neoplasie mesenchimali maligne più frequenti in sede gastroenterica. Tuttavia, in letteratura sono pochi i dati pubblicati relativamente agli aspetti citologici che tali neoplasie assumono nei versamenti. Riportiamo di seguito il terzo caso di diagnosi citologica di GIST su liquido ascitico. Metodi. Un uomo di 53 anni gravato da epigastralgie persistenti, melena ed improvviso versamento intra-addominale veniva sottoposto a paracentesi evacuativa ed a biopsia gastrica in sede corpo-fundico-antrale, ove si repertava tessuto di granulazione infiammatorio frammisto a tessuto connetti- POSTERS vale esuberante. Parallelamente all’approntamento del preparato istologico venivano allestiti i vetrini da citocentrifugato di liquido peritoneale che venivano citochimicamente colorati con: Papanicolaou, May-Grünwald-Giemsa, PAS ed immunocitochimicamente con anticorpi monoclonali anti-CKAE1, anti-CKAE3, anti-Vimentina, anti-Cromogranina ed antiCD117. Risultati. L’esame citomorfologico repertava, su un background privo di fondo, elementi di piccole e medie dimensioni, spesso organizzati in cluster tridimensionali e caratterizzati da un elevato rapporto nucleo/citoplasma. I nuclei, spesso centrali ma talora anche eccentrici, moderatamente polimorfi, con cromatina irregolarmente distribuita e macronucleoli eosinofili prominenti, presentavano ispessimento della membrana nucleare talora caratterizzata da indentature ed invaginazioni. Il citoplasma mostrava numerose microvacuolizzazioni, PAS-negative, talvolta più grandi e tali da conferire alla cellula l’aspetto ad “anello con castone”. Lo studio immunocitochimico dimostrava una forte e diffusa immunoreattività per Vimentina e CD117 (c-kit); negativo appariva il profilo immunofenotipico relativamente a CKAE1, CKAE3 e Cromogranina. La diagnosi citologica di GIST veniva confermata dalla definizione istologica di “GIST epitelioide di alto grado”. Conclusioni. Dalla precedente descrizione morfologica si evince come le cellule del GIST epitelioide, su liquido ascitico, ricordino caratteristicamente le cellule dell’adenocarcinoma. Appare subito chiaro quindi, soprattutto per le importanti ripercussioni clinico-terapeutiche che ciò comporta, il ruolo delle tecniche ancillari per dirimere il dubbio diagnostico tra GIST e neoplasia maligna di origine ghiandolare, già posto in funzione della negatività istochimica al PAS; importante, inoltre, la distinzione tra GIST ed altri sarcomi gastroenterici (anch’essi Vimentina+) sulla base dell’utilizzo dell’anticorpo c-kit che rivela una forte positività citoplasmatica nel primo, a fronte della nulla o lieve immunoreattività dei secondi. Bibliografia Newton ACS, et al. Acta Cytol 2002;46:723-7. 169 che citologicamente non mostrava il tipico aspetto del TFM e che veniva asportato per le sue dimensioni (6 cm): l’esame istologico evidenzia un TFM ad alto grado con stroma a componente sarcomatosa, a differenziazione leiomiosarcomatosa e con aree osteocondrosarcomatose, con elevato indice mitotico ed estesa necrosi. A distanza di 6 mesi dall’intervento compaiono formazioni polmonari multiple bilaterali. L’esame citologico effettuato sotto guida Tac, mediante dispositivo monouso Histo-TACsa, pone la compatibilità di metastasi polmonare di TFM. La paziente, che presenta anche una recidiva sottocutanea alla mammella sinistra, decede dopo 40 giorni. Risultati e conclusioni. L’aspetto citologico del citoaspirato mammario non era tipico per TFM e solo le dimensioni indirizzarono il chirurgo verso l’exeresi. Lo striscio citologico del nodulo polmonare era caratterizzato da aggregati di cellule epiteliali di piccola-media taglia frammiste a numerose cellule voluminose con citoplasma microvacuolizzato, talora allungato e nucleo eccentrico, atipico. Erano inoltre presenti rari capillari. Entrambe le diagnosi citologiche sono state avvalorate sia dall’esame istologico effettuato sulla mammella sia dal microistologico ottenuto contestualmente al prelievo citologico polmonare. Le diagnosi citologiche di tumore filloide maligno della mammella sono rare e ancor più inusuali sono i secondarismi diagnosticati citologicamente. A tutt’oggi la letteratura riporta solo un limitato numero di pubblicazioni di metastasi polmonari di TFM della mammella e rarissimi i casi diagnosticati citologicamente mediante FNA. Bibliografia 1 McKenzie CA, Philips J. Malignant phyllodes tumor metastatic to the lung with osteogenic differentiation diagnosed on fine needle aspiration biopsy. A case report. Acta Cytol 2002;46:718-22. Il pap test nelle donne straniere: risultati degli ultimi due anni nell’Ospedale “S. Paolo” di Savona D. De Leonardis, W. De Pirro, M.C. Cirucca, S. Pontoni, S. Ardoino, E. Venturino Anatomia Patologica, Ospedale “S. Paolo”, Savona Diagnosi mediante aspirazione con ago sottile di metastasi polmonare di tumore filloide maligno della mammella F. Di Nuovo, P. Uboldi, R. Claren, C. Delpiano, M. Spinelli Dipartimento di Patologia A.O. “G. Salvini”, Servizio di Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale “S. Corona”, Garbagnate Milanese, Milano Introduzione. I tumori filloidi della mammella sono neoplasie rare, bifasiche, fibroepiteliali, con una incidenza pari all’1% di tutte le neoplasie mammarie. Sulla base del loro aspetto istologico sono classificati, in accordo con la WHO, come benigni, borderline e maligni, che hanno prognosi sfavorevole poiché possono frequentemente metastatizzare a distanza a polmoni ed ossa. Riportiamo un caso di tumore filloide maligno (TFM) diagnosticato mediante FNA-Tac guidata in paziente a cui 6 mesi prima era stato asportato un TFM, preceduto da FNA ecoguidata. Materiali. Donna di 39 anni giunge in ambulatorio di agoaspirazione per la presenza di nodulo della mammella sinistra; Introduzione. Nonostante l’introduzione negli ultimi anni di nuove tecniche per lo screening del cervico-carcinoma (HPV test, lettura computer assistita), resta indiscutibile il valore del PAP-TEST. L’esecuzione di questo semplice ed efficace esame è sempre indispensabile per l’individuazione del tumore della cervice uterina e dei suoi precursori. Scopo del nostro lavoro è rilevare l’incidenza delle donne straniere che eseguono il pap test nella nostra provincia e confrontare la frequenza delle diverse classi diagnostiche con quella delle donne italiane. È noto che la Liguria è la regione a maggior indice di invecchiamento; questo determina il richiamo di donne straniere (circa il 53% della popolazione straniera), generalmente in età fertile, che si occupano in maniera preferenziale di assistenza agli anziani. Si tratta evidentemente di categorie più a rischio anche per il fatto che difficilmente hanno eseguito pap test preventivi nel loro paese di origine. Metodi. La regione Liguria non ha attuato sino ad ora programmi di screening di massa. La nostra UO raccoglie principalmente esami spontanei eseguiti nei consultori della provincia e dagli ambulatori ASL. POSTERS 170 Anno 2005 2006 Pap test eseguiti italiane straniere 8378 10,3% 8243 10,1% 920 15,3% 915 15% % LSIL+ borderline italiane straniere 274 3,2% 220 2,7% Sono stati presi in considerazione gli esami effettuati negli ultimi due anni (2005-2006) nella popolazione italiana e straniera e sono state messe a confronto le % di: pap test eseguiti, lesioni di basso grado, lesioni di alto grado. I dati sulla popolazione straniera ci sono stati forniti dalla Caritas Diocesana di Savona Noli. Risultati. Vedi tabella. Conclusioni. La frequenza di donne straniere che eseguono il pap test risulta maggiore rispetto alle italiane. Sovrapponibili sono le frequenze delle lesioni di basso grado mentre si osserva un significativo aumento delle lesioni di alto grado nelle donne straniere. È doveroso quindi rivolgere l’attenzione a tale categoria con una efficace politica di prevenzione da estendere comunque a tutte le donne che non hanno mai effettuato un pap test e presentano pertanto rischio più elevato. Bibliografia Badino M, et al. Caritas diocesana Savona e Noli 2006. Cytologic detection of oestrus ovis larvae in conjunctival scraping: a case report F. Rivasi, F. Campi*, G.M. Cavallini*, S. Pampiglione** Departments of 1° Pathological Anatomy and * Ophthalmology University of Modena and Reggio Emilia, Modena, Italy; ** Department of Veterinary Public Health, University of Bologna, Ozzano Emilia, Bologna, Italy Introduction. Human ophthalmomyiasis is the infection of the eye associated with larvae of some flies of the order Diptera (Insecta). Oestrus ovis is a parasite specific of sheep that only accidentally is affecting man. Adult Oestrus ovis female is normally projecting their larvae in the muzzle of the sheep, during flying, sometimes in the human face where particularly the eyes are struck. Man is a blind alley for the parasite, which is dying after few days or weeks. While the infection is uncommon and sporadically reported in Northern Italy, it is relatively frequent in Central and Southern Italy and more common in Sicily and Sardinia 1 . Particularly affected are shepherds, farmers and people living in rural areas where sheep are bred. The larva, irritates the conjunctival layer provoking acute foreign body feeling, photophobia, blepharospasm and a watery to mucopurulent discharge, sometimes a painful chemosis and oedema of the eyelids. Prognosis is normally benign 2 . Clinical misdiagnosis is common event in the regions where the infection is not usually seen. We report a human case of this infection occurred in Northern Italy and diagnosed by cytologic examination. Case report. A 54-year-old man was presented to the Department of Ophthalmology with irritation, lacrimation and photophobia of the left eye. His ophthalmic history revealed that a few hours before the symptoms appeared, while the patient 36 3,9% 25 2,7% % HSIL+ positivi italiane straniere 44 0,5% 41 0,4% 9 1% 12 1,3% took a walk in a residential zone next to Ravennàs Lido Adriano, he had the sensation of a foreign body in the left eye. On ophthalmic examination, the conjunctiva presented markedly hyperemic, oedematous, with abounding watery exudate. Loads of transparent small formations were observed adhering to the conjunctival mucosa. The patient introduced reddening of the nasal and pharyngeal mucosae and submandibular lymph node hyperplasia. An acute catarrhal conjunctivitis likely of parasitological cause was suspected; conjunctival scraping was therefore obtained and submitted for cytological examination. The cytologic examination was positive for larvae of Oestrus ovis. Therapy was subsequently instituted with norfloxacina drops. Seven days later ophthalmic examination showed no larvae and diseappeance of the symptomatology. Cytologic Findings. Conjunctival scrapings, smeared on glass slides, were immediately fixed by cytofix. The cytologic smears Papanicolaou stained contained load ovoid and flattened elements, 1 mm long x 0,3 mm wide and equipped with twelve segments, two small hooks and numerous rows of tiny thorns. These elements were referable of Oestrus ovis larvae. In addition, the smears contained sheets of reactive epithelium, with nuclear enlargement and prominent nucleoli. Moderately chronic inflammation and cellular necrosis were also noted. Conclusion. The cytologic examination played a significant role in establishing the definitive diagnosis of opthalmomyiasis and determining early administration of treatment. References 1 Pampiglione S, et al. Parassitologia 1997;39:415-8. 2 Kean BH, et al. Color Atlas/Text of Ophthalmic Parasitology. IgakuShoin, NY 1991. Scialoadenite cronica sclerosante (tumore di Kuttner): reperti di citologia aspirativa in cinque casi S. Rossi, L. Moneghini, G. Bulfamante Università di Milano, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, e A.O. “San Paolo”, Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano Introduzione. La scialoadenite cronica sclerosante, o “tumore” di Kuttner (TK), è un processo flogistico tipico della ghiandola sottomandibolare di riscontro molto raro, responsabile della formazione di una massa generalmente monolaterale che simula clinicamente una neoplasia maligna. Vengono descritti i reperti citologici da biopsia aspirativa con ago sottile relativi a cinque casi di TK accertati istologicamente. Materiale e metodi. Tre pazienti erano di sesso maschile e due di sesso femminile. All’esame clinico tutti presentavano una tumefazione sottomandibolare monolaterale, esordita da non più di 2-3 mesi, localizzata a destra in 3 casi e a sinistra POSTERS in 2. Il prelievo è stato eseguito dal Patologo utilizzando aghi di 23G o 25G; gli strisci sono stati fissati in etanolo e colorati con metodica di Papanicolaou. Risultati. Tutti i campioni erano caratterizzati da: fondo ematico con presenza variabile di detriti cellulari; popolazione di linfociti in vari stadi di modulazione; istiociti con citoplasma schiumoso; tralci stromali di collagene denso; aggregati di cellule epiteliali duttali prive di alterazioni nucleari di rilievo; scarsità di strutture acinari contrassegnate da cellule epiteliali tendenzialmente atrofiche e prive di atipie. In tre casi prevaleva la popolazione linfoide e negli altri due il prelievo risultava ipocellulato, con rari linfociti e occasionali strutture duttali e acinari. L’esame istologico della biopsia escissionale ha evidenziato in tutti i casi un quadro caratteristico di TK, rappresentato da ispessimento fibroelastotico dei 171 setti interlobulari, denso infiltrato infiammatorio e attivazione linfoide, con deplezione e atrofia delle strutture acinari. Discussione. In tutti i casi descritti l’osservazione citologica escludeva l’ipotesi di neoplasia maligna e suggeriva la diagnosi di TK. Il polimorfismo della popolazione linfoide e la caratteristica commistione con cellule duttali escludevano l’ipotesi di un linfoma follicolare o di un maltoma. L’assenza di atipie delle cellule epiteliali duttali, nonché l’assenza di elementi squamocellulari e oncocitici consentiva di escludere, rispettivamente, la metastasi di un adenocarcinoma, di carcinoma squamocellulare, o un tumore di Warthin. In conclusione, le presenti osservazioni confermano la validità della citologia aspirativa nell’identificazione pre-operatoria del TK e sottolineano il ruolo di tale procedura diagnostica nel determinare il più corretto approccio terapeutico della lesione. PATHOLOGICA 2007;99:172-173 Controllo di qualità A.P. Non conformità delle richieste di esami citoistologici: progetto obiettivo in un sistema qualità certificato Vision 2000 logo, rivalutandone il ruolo nel processo diagnostico e terapeutico del paziente. F. Di Nuovo, P. Uboldi, T. Donnola, M. Piovesan, C. Scotti Il Controllo di Qualità dell’attività di prevenzione del cervico-carcinoma nell’Azienda Ospedaliera Treviglio-Caravaggio Dipartimento di Patologia, Azienda Ospedaliera “G. Salvini”, Servizio di Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale “S. Corona”, Garbagnate Milanese, Milano Introduzione. Il Servizio di Anatomia Patologica dell’A.O. “G. Salvini” di Garbagnate Milanese si è certificato in conformità con la norma UNI EN ISO 9001:2000 nel marzo del 2002. In accordo e nel rispetto di tale norma, il personale tecnico della nostra unità operativa ha identificato nel 2005, un progetto obiettivo la cui implementazione è servita non solo per migliorare la compilazione delle richieste di esami citoistologici, da parte dei medici richiedenti le prestazioni, ma anche per aumentare la compliance tra il personale operante all’interno del servizio di anatomia patologica e gli altri operatori sanitari esterni. Metodi. Nell’ambito del monitoraggio e misurazione del processo in essere, abbiamo formalizzato un documento, modello check-list, denominato “segnalazione di non conformità” comprendente una serie di item tra cui: 1) scorretta e/o incompleta identificazione del paziente; 2) scorretta e/o incompleta identificazione del campione biologico, sia esso contenitore o vetrino; 3) mancata identificazione della sede del prelievo; 4) mancata indicazione della procedura di prelievo (biopsia incisionale, escissionale, vabra, tur, laparoscopia, ecc.); 5) mancata indicazione dei dati clinico-anamnestici rilevanti: dati di laboratorio e/o strumentali; 6) mancata indicazione del quesito diagnostico; 7) mancata indicazione del medico richiedente l’esame; 8) mancata indicazione della tipologia della prestazione sanitaria (ricovero, D.H., prestazione ambulatoriale). Mediante segnalazione alla direzione sanitaria si è provveduto a diffonderne il contenuto a tutti i responsabili delle unità sanitarie esterne, richiedendo la massima adesione al fine di assicurare uno standard comportamentale. Ogniqualvolta perviene al nostro servizio una richiesta di esame cito-istologico, questa viene valutata sulla base delle specifiche contenute nella scheda check-list e in presenza di non conformità, il personale tecnico in accordo con il patologo e il biologo, rinvia al direttore della divisione di provenienza, sia il materiale biologico che la scheda indicante le non conformità. La richiesta di prestazione viene accettata solo in assenza di non conformità. Conclusioni. La valutazione semestrale delle non conformità, per tipologia d’errore di compilazione, è stata calcolata sia sugli esami istologici che citologici cervico-vaginali ed extravaginali. I risultati ottenuti sono stati segnalati nel riesame della direzione e divulgati ai diretti interessati durante le verifiche ispettive di sorveglianza. Questo progetto, pur richiedendo un impegno attento e preciso, nonché costoso in termini di tempo del personale tecnico, ha permesso sia di migliorare la qualità del nostro iter diagnostico che di monitorare le prestazioni sanitarie con positive ricadute sul budget. Ha inoltre prodotto un significativo aumento del flusso di informazioni tra il patologo e tutti gli altri operatori, favorendo un clima di fattiva collaborazione interdisciplinare. Infine, ha contribuito a far meglio conoscere la figura del pato- D. Corti, P. Mercurio, M.G. Mazzolari, D. Simoncelli, M. Penatti, E. Pezzica Struttura Complessa di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica, Azienda Ospedaliera Treviglio Caravaggio, Treviglio (BG) Introduzione. Il pap test è disponibile pressoché ovunque e molti sono i programmi di screening organizzati rivolti ad una popolazione identificata ed invitata attivamente. Nell’ambito di un programma di screening organizzato Il Controllo di Qualità (CQ) di tutto il processo è attivato dagli organizzatori dello screening. Nella provincia di Bergamo, l’accordo tra la ASL e L’Az. Osp. Treviglio-Caravaggio per l’esecuzione dello screening del cervico-carcinoma prevede l’accesso diretto senza chiamata delle donne presso i consultori pubblici accreditati. A carico dell’Az. Osp. la responsabilità dell’attivazione del CQ. Metodi. Il sistema di valutazione della Q dell’attività di prevenzione del cervico-carcinoma nel territorio dell’Az. Osp. Treviglio-Caravaggio è affidato alla STR di Anatomia Patologica aziendale ed è basato sul CQ delle seguenti fasi: 1. test di screening (pap test); 2. approfondimento diagnostico dei casi positivi (Colposcopia); 3. trattamento delle lesioni. Il sistema si basa su una stretta collaborazione tra la STR di Anatomia Patologica aziendale, 4 Ambulatori di Colposcopia decentrati e la STR di Ginecologia Aziendale. Il CQ del pap test è previsto in tutte le sue fasi ed è favorito da unico sistema di refertazione informatizzato. Il CQ dell’attività di Colposcopia comporta l’adozione di unica scheda colposcopica e di indicatori comuni di processo e esito. Il CQ del trattamento si basa sull’adozione di preciso protocollo terapeutico e di follow-up per la valutazione delle complicanze. Risultati. Sono monitorati 8 indicatori di Q per verificare il test di screening, ogni indicatore è monitorato costantemente e vengono riportati report semestrali: 1. verifica T.A.T.; 2. valutazione adeguatezza prelievo; 3. verifica adeguatezza diagnostica mediante revisione random di almeno il 10% degli esami negativi; 4. correlazione cito-istologica; 5. monitoraggio della percentuale di invio alla Colposcopia; 6. monitoraggio delle categorie diagnostiche; 7. valutazione di evento sentinella (diagnosi di K. invasivo della cervice uterina); 8. confronto fra la diagnosi citologica e istologica e la determinazione di HPV DNA con metodica Digene HPV DNA Test HC2. POSTERS Il programma di CQ della Colposcopia e del trattamento prevede il monitoraggio di 9 indicatori. A carico della Struttura di Anatomia Patologica è la determinazione della proporzione delle biopsie adeguate per esame istologico. Conclusioni. Gli indicatori di Q utilizzati permettono di verificare semestralmente il sistema e motivano il personale addetto allo screening. 173 Il controllo delle categorie diagnostiche permette di mantenere nei limiti accettabili le diagnosi di ACG (0,72%) e ASC (1,18%). La proporzione di biopsie adeguate per diagnosi istologica è del 95,48%. In 1448 casi la diagnosi cito-istologica è confrontata con i risultati del Test HPV DNA. PATHOLOGICA 2007;99:174-181 Dermopatologia DMPM had never been reported before. The genetic locus for acne inversa has recently been identified within the 1p21.11q25.3 chromosomal region. Interestingly, frequent losses in chromosomal region 1p.21-22 have been found in mesothelioma as well. It is thus tempting to speculate that genetic mutations involving chromosome 1p.21-22 may account for the development of both diseases. Acne inversa associated with diffuse malignant peritoneal mesothelioma arisen in the absence of predisposing factors: report of a case V. Barresi, E. Vitarelli, G. Barresi Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina Introduction. Diffuse malignant peritoneal mesothelioma (DMPM) is a relatively rare neoplasm. Risk factors associated with its development include asbestos exposure, chronic irritation or inflammation of the peritoneum, abdominal radiotherapy, familial Mediterranean fever, and simian virus 40. A familial segregation of this neoplasia has been reported in small villages of the Cappadocian region of Turkey, and it has been postulated that hereditary factors may predispose to mesothelioma, even with exposure to small amounts of asbestos. We report a case of DMPM which apparently occurred in the absence of predisposing factors. Methods. A 47 year-old physician was admitted to our hospital with ascites and abdominal pain. Neither exposure to asbestos nor chronic irritation or irradiation of the peritoneum was reported. The past clinical history was significant for 25-years-duration acne inversa complicated by a squamous cell carcinoma. Considering the family history, none of his family members had been exposed to asbestos, but the 20year old son of the patient’s sister was also affected by acne inversa. Cytologic examination of the ascitic fluid and histological evaluation of a peritoneal biopsy were performed. Peritoneal fragments obtained at biopsy were formalin-fixed and paraffin-embedded and sections were stained with H&E for histologic diagnosis. An ascitic fluid cytologic smear was stained with Papanicolau stain, and the sediment was stained with H&E. Immunohistochemistry against calretinin, CEA, EMA and CK 5/6 was carried out on the cytologic sediment as well as on the peritoneal biopsy fragments. Results. Cytology of the ascitic fluid and microscopic evaluation of the peritoneal biopsy samples revealed the presence of a neoplastic process. Considering the immunohistochemical findings (calretinin+, EMA+, cytokeratins 5/6+, CEA) the neoplasm was classified as a tubulo-papillary DMPM. Conclusions. The association of acne inversa with non-melanoma skin cancer and tumours other than those involving skin has been highlighted. Nevertheless the association with Sesso Età F F M M F F F F M F 44 76 68 43 67 90 77 80 84 87 Sede Gluteo Gamba Fronte Dito mano Coscia Naso Fronte Avambraccio Volto Palpebra Dim. cm 4 x 2,8 3,5 0,8 1,2 1 x 0,7 0,4 1,1 1,5 x 2 1,6 x 1 1,3 Carcinoma a cellule di Merkel: profilo immunoistochimico, su 10 casi, dei recettori 2 e 5 della somatostatina E. Venturino, C. Ciocca, S. Ardoino, L. Caliendo, A. Dellachà, C. Marino, A. Pastorino Ospedale “S. Paolo”, ASL 2 Savonese Introduzione. Il carcinoma di Merkel (CM) è un tumore neuroendocrino cutaneo di rara incidenza, caratterizzato da alta aggressività, descritto per la prima volta nel 1972 da Toker. Istogeneticamente è considerato derivare dalla cellula di Merkel che risiede fisiologicamente alla base dell’epidermide. Gli Autori si propongono di studiare l’espressione immunoistochimica dei Recettori della Somatostatina 2 (SSTR2) e 5 (SSTR-5) su 10 casi di carcinoma di Merkel d’archivio. Metodi. I 10 casi istologici estratti dai nostri archivi con diagnosi di CM sono stati rivalutati da un unico patologo per dati clinici, aspetti istopatologici e immunoistochimici (CK20, CD117, CD99, Cromogranina A (CR-A), SStr-2, SSTR-5 e Ki67). Risultati. Il 70% della casistica presa in esame interessava individui di sesso femminile; il 50% aveva come sede la cute del volto. La CK20 era reattiva nel 90% dei casi;In nessun caso (0%) abbiamo dimostrato positività per CD99; il CD117 era positivo nel 70% dei casi con una caratteristica espressione granulare citoplasmatica spesso con rinforzo di membrana. Un solo tumore (10%) è risultato reattivo per SSTR-5 con caratteristica positività dot-like paranucleare; Significativa la reattività a SSTR-2 nel 40% dei tumori. In tabella sono riassunti i risultati complessivi. Ck20 CD99 CR-A SSTR2 SSTR5 CD117 Ki67 + + + + + + + + + - + + + + + + + + + + + + + + - + - + + + + + + + 90% 60% 70% 75% 80% 60% 90% 90% 80% 90% POSTERS Conclusioni. Nella nostra casistica vi è una prevalenza per il sesso femminile con predilezione per il volto. Lo studio immunoistochimico non ha dimostrato reattività per CD99 a differenza di altre studi riportati in letteratura; la positività per CD117 ha evidenziato una caratteristica espressione granulare citoplasmatica spesso con rinforzo di membrana Sull’espressione per SSTR-2 e SSTR-5 non abbiamo termini di confronto in quanto da ricerca PubMed (www.pubmed.gov) non siamo stati in grado di trovare uno studio analogo. Riteniamo che sia utile studiare lo stato recettoriale nel CM. La conoscenza dell’espressione di SSTR potrebbe aver ricadute nell’ambito dell’applicabilità delle nuove terapie recettore–associate con modalità di trattamento meno tossico, ma più mirato. Bibliografia Llombart B, et al. Histopathology 2005;46:622-34. Caratterizzazione immunoistochimica dell’infiltrato linfocitario e valutazione quantitativa delle cellule T regolatrici CD4+/CD25+ FOXP3+ in lesioni melanocitarie cutanee umane benigne, displastiche e maligne V. Mourmouras, M. Fimiani*, P. Rubegni*, M.C. Epistolato, V. Malagnino, C. Cardone, E. Cosci, M.C. De Nisi , C. Miracco Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Siena; * Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Dermatologia, Università di Siena Introduzione e scopi. Recentemente è stata dimostrata l’esistenza di cellule, definite “regolatrici”, capaci di indurre immunotolleranza in vari tipi di patologia umana. In pazienti con melanoma cutaneo è stato dimostrato un incremento in circolo ed intralesionale delle cellule T regolatrici CD4+ CD25+ FOXP3+ (Tregs). Gli studi effettuati sul tessuto sono, finora, esigui e le Tregs non sono state ancora analizzate nell’intero spettro delle lesioni melanocitarie cutanee. Nel nostro lavoro abbiamo caratterizzato immunoistochimicamente l’infiltrato linfocitario e quantificato le Tregs CD4+/CD25+ FOXP3+ in una serie di lesioni melanocitarie benigne, displastiche e maligne. Metodi. Abbiamo analizzato 128 lesioni (10 nevi comuni giunzionali benigni; 10 nevi comuni composti benigni; 10 nevi composti di Spitz; 10 nevi giunzionali displastici; 20 nevi composti displastici; 20 melanomi in fase di crescita radiale; 30 melanomi in fase di crescita verticale; 18 metastasi di melanomi). Le Tregs sono state identificate con l’immunoistochimica mediante doppia marcatura CD4/CD25/FOXP3. Risultati. Le Tregs CD4+/CD25+ FOXP3+ erano presenti in tutti i gruppi di lesioni analizzate. I nevi giunzionali displastici, i nevi composti displastici ed i melanomi in fase di crescita radiale avevano le più alte percentuali di Tregs (nevi giunzionali displastici vs. nevi giunzionali comuni, nevi composti comuni, nevi composti di Spitz e metastasi di melanoma: p < 0,0001; nevi giunzionali displastici vs. melanomi in fase di crescita verticale: p = 0,001; nevi composti displastici vs. nevi giunzionali/composti comuni: p < 0,0001; nevi composti displastici vs. nevi giunzionali comuni e nevi composti comuni: p = 0,0001; nevi composti displastici vs. nevi composti di Spitz e metastasi di melanoma: p = 0,002; 175 nevi composti displastici vs. melanomi in fase di crescita verticale: p = 0,02; melanomi in fase di crescita radiale vs. nevi giunzionali comuni, nevi composti comuni, nevi composti di Spitz e metastasi di melanoma: p < 0,0001; melanomi in fase di crescita radiale vs. melanomi in fase di crescita verticale: p = 0,008). Conclusioni. La forte prevalenza delle Tregs CD25+ FOXP3+ sia nei nevi displastici giunzionali/composti che nei melanomi in fase di crescita radiale, suggerisce che esse possano indurre immunotolleranza in uno stadio precoce, durante lo sviluppo del melanoma, favorendone, così, la crescita. La loro valutazione nel sito tumorale potrebbe essere utile sia dal punto di vista prognostico che terapeutico. Nevi cutanei melanocitari del dorso: problemi nella diagnosi istologica differenziale R. Zamparese, G. Pannone, P. Bufo, J. Wechsler* Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Foggia; * Dipartimento di Fitopatologia, Università Parigi XII “Val de Marme”, Ospedale “Henri-Mondor”, Parigi Introduzione. I primi studi condotti sul nevo displastico risalgono al 1978. Di recente sono stati condotti studi che dimostrano che alcune caratteristiche istopatologiche proprie del nevo displastico possono essere talora presenti nei nevi melanocitari di particolari regioni corporee, le cosiddette “regioni speciali”, come le chiama Le Boit 1. I nevi genitali, acrali, mammari, auricolari e periauricolari, delle pliche cutanee e quelli congiuntivali sono considerati nevi delle “regioni speciali”. Nella regione del dorso la diagnosi differenziale tra nevi comuni e displastici è spesso problematica. Si ritenuto, pertanto, interessante studiare le loro caratteristiche istopatologiche al fine di individuare se essi costituiscono un insieme omogeneo tanto da far considerare anche il dorso una “regione speciale”. Materiali e metodi. Sono stati selezionati 1.115 nevi melanocitari benigni, pervenuti alla Sezione di Anatomia Patologica Universitaria nel periodo 2002-2004. I nevi melanocitari sono stati suddivisi in gruppi in base alla regione corporea da cui sono stati asportati chirurgicamente (Tab. I). Sono stati esclusi dallo studio i nevi melanocitari delle regioni cosiddette “speciali”. Le lesioni neviche studiate sono state, quindi, 527. Per ogni lesione sono state analizzate le caratteristiche istologiche, elencate nella Tabella II, e alle quali è stato attribuito uno Score variabile da 0 a +3. Per ogni lesione, in seguito, è stato calcolato uno Score totale. Risultati. Nella Tabella I sono riportati i risultati dell’esame morfologico dei nevi analizzati. Discussione. I nevi del dorso si presentano spesso di forma piana, asimmetrici, con un diametro massimo a 6 mm e margini laterali mal definiti. Istologicamente sono caratterizzati da un pattern di proliferazione melanocitaria lentigginoso, con presenza, talora, di melanociti atipici e di melanocitosi soprabasale. Altra caratteristica molto frequente è la presenza della fibroplasia lamellare. Lo studio delle peculiari caratteristiche cliniche ed istopatologiche dei nevi del dorso, in gran parte sovrapponibili a quelle proprie del nevo displastico, fornisce elementi a soste- POSTERS 176 Tab. I. Caratteristiche istopatologiche e cliniche dei nevi. Forma N. Dimensioni nevo Piana Tuberosa Polipoide < 5 mm score 0 Dorso Spalla Lombosacrale Torace Addome-Fianco Collo Arto inferiore Arto superiore Cuoio capelluto Fronte Guancia Labbro Mento-Mandibola Naso PalpebraSopracciglio 91 19 27 21 52 47 15 12 25 23 49 32 41 40 33 19 4 6 0 4 1 8 1 2 1 2 1 0 2 1 30 3 5 3 12 0 3 6 7 2 10 7 13 14 3 42 12 16 18 36 46 4 5 16 20 37 24 28 24 29 6-10 mm score 1 46 11 21 13 31 33 9 6 8 12 33 24 28 31 26 Simmetria Demarcazione bordi > 10 presente assente mm score 2 score 1 score 0 35 8 5 7 20 12 4 2 10 10 16 8 12 8 7 10 0 1 1 1 2 2 4 7 1 0 0 1 1 0 80 17 24 17 52 46 10 12 23 22 49 24 28 39 33 11 2 3 4 0 1 2 0 2 1 0 0 0 1 0 presente assente score 1 score 0 74 16 23 20 52 47 10 12 25 23 49 24 28 40 33 17 1 4 1 0 0 2 0 0 0 0 0 0 0 0 Tab. II. Caratteristiche architetturali della componente melanocitaria nell’epidermide. N. Proliferazione lentiginosa Formazione teche 0% < 30% 30-50% > 50% 0% Score 0 Score 1 Score 2 Score 3 Score 0 Dorso Spalla Lombosacrale Torace Addome-Fianco Collo Arto inferiore Arto superiore Cuoio capelluto Fronte Guancia Labbro Mento-Mandibola Naso PalpebraSopracciglio 91 19 27 21 52 47 15 12 25 23 49 32 41 40 33 37 14 21 18 41 40 12 9 23 22 47 23 41 34 29 27 0 3 1 7 4 3 3 1 1 0 4 0 5 3 13 1 3 2 2 2 0 0 1 0 1 5 0 1 1 14 4 0 0 2 1 0 0 0 0 1 0 0 0 0 gno della tesi che tali nevi costituiscano un gruppo omogeneo che si dovrebbe far rientrare in quello delle regioni speciali. Tale dato fornisce un notevole ausilio nella diagnostica istologica routinaria, al fine di evitare diagnosi errate di nevo displastico o di melanoma maligno. Bibliografia 1 Le Boit PE. Am J Dermatopathol 2000;22:556-5. 57 14 14 15 33 38 10 10 24 20 49 31 41 37 31 Melanociti soprabasali < 30% 30-50% > 50% Presenti Assenti Score 1 Score 2 Score 3 Score 1 Score 0 24 3 9 4 11 6 4 0 1 3 0 3 0 3 1 6 1 2 1 3 3 1 1 0 0 0 0 0 0 0 4 1 2 1 5 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 7 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 84 19 27 21 52 47 15 12 5 23 49 32 41 37 33 POSTERS Mycobacterial spindle cell pseudotumor of skin in a HIV+ patient. Morphological evidence of an impaired host immune system-pathogen relationship A. Cassisa, F. Colpani, L. Gaetti, R. Fante, A. Zanca*, P. Danese*, L. Palvarini**, A. Bellomi Servizio di Anatomia Patologica Azienda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova; * Unità Operativa di Dermatologia Aziendda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova; ** Divisione Malattie Infettive Azienda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova We report a case of a 37-year-old woman affected by AIDS, resistent to highly active antiretroviral therapy (HAART), with severe and ingravescent low CD4 count. She presented a rigth leg persistent, ulcerated nodule, refractory to local therapy. Incisional biopsy showed a mixed dermal infiltrate including several aphazardly arranged histiocytes without definite granuloma formation. Ziehl-Neelsen stain revealed many acid-fast bacilli in the histiocytes. Several other papules and nodules developed successively. A second biopsy was performed five months later on a nodule over the buttock which disclosed a dermal nodule composed of proliferative spindle cells tightly arranged in a plexiform pattern. A few perivascular lymphocytes were focally observed. The spindle cells were strongly reactive to CD68, and CD31 suggesting macrophage differentiation. They were also weakly reactive to S-100. CD34, actin, HHV8 were not expressed. Ziehl-Neelsen stain revealed many acid-fast bacilli packing the cytoplasm of the spindle cells. A diagnosis of mycobacterial spindle cell pseudotumor of skin was rendered. Spindle cell mycobacterial pseudotumors are being described in the lymph nodes of immunocompromised host but rarely in the skin. It is important for pathologists differentiated this lesion to avoid mistaking from a mesenchymal neoplasm. The different histology of subsequent biopsies may represent a dinamic instability of immune response to mycobacterial infection in an immune compromised host. The pseutotumoral histiocyte proliferation may depend by suppression of apoptosis in infected cells. Actually experimental and in vivo studies have demonstrated Toll- like receptor signaling dependent suppression of apoptosis in infected cells. Our patient very low CD4 count was not most likely sufficcient to overrun this aberrant mechanism. Melanoma nevoide acrale I. Pennacchia, P. Parente, F. Castri, F. Federico, G. Bigotti, G. Massi Istituto di Anatomia Patologica Università Cattolica del Sacro Cuore Roma Introduzione. Il melanoma nevoide è una neoplasia melanocitaria maligna che presenta una notevole somiglianza con il nevo composito comune. Le cellule sono tondeggianti e di piccola taglia, linfocito-simili; l’architettura ricorda quella di un banale nevo composito. Tra i melanomi nevoidi quello a sede acrale presenta maggiori problemi di diagnosi differenziale con una lesione melanocitaria benigna e rappresenta un’autentica trappola diagnostica sia per la sua morfologia nevoide sia per la sottostima delle alterazioni citocariologiche, generalmente tollerate nelle lesioni melanocitarie osservate in questa sede. 177 Materiali e metodi. descriviamo quattro casi di melanoma nevoide acrale inviati in consultazione presso il nostro centro. I preparati sono stati colorati con ematossilina ed eosina e testati con HMB4. Risultati. Istologicamente le lesioni presentavano numerose caratteristiche in comune con il nevo composito: la forma e le dimensioni delle teche, la loro regolare distribuzione nel derma, la bassa attività mitotica e l’assenza o la limitatezza di spreading pagetoide. Le atipie cariologiche sono presenti, ma molto blande. La componente collagena era rispettata dalla crescita neoplastica. L’immunoistochimica mostrava tuttavia una irregolare distribuzione delle cellule positive, con positività anche nella quota melanocitaria intradermica. Dallo studio di questi casi è possibile trarre le seguenti considerazioni: 1. la morfologia in ematossilina ed eosina è notevolmente simile a quella dei nevi comuni e l’errore diagnostico può essere quasi inevitabile in osservazioni di routine; 2. elementi obiettivi che possono indurre il sospetto sulla natura delle lesioni sono: – l’età dei pazienti (superiore ai 50 anni), – la dimensione delle lesioni (diametro verticale o orizzontale superiore a 0,6-0,8 mm), – il coinvolgimento eccrino con singoli elementi melanocitari disposti intorno ai dotti escretori, – la presenza di una proliferazione lentigginosa a livello giunzionale; 3. la presenza di cellule HMB45 positive nella profondità della proliferazione neoplastica. L’atipia e il pleomorfismo nucleare con presenza di elementi ipercromici con cromatina in zolle grossolane sono elementi ulteriori, ma possono sfuggire all’osservazione routinaria. Il neurotropismo è pure stato riscontrato, ma solo in un caso (e può essere presente anche in lesioni benigne). I dati clinici sembrano più importanti di quelli istologici per indirizzare la diagnosi, specie se combinati col risultato dell’indagine immunoistochimica. Discussione. La diagnosi differenziale di questa particolare forma di melanoma si pone con il nevo congenito che è caratterizzato dalla disposizione dei melanociti intorno ai vasi e agli annessi con presenza di una “grenz-zone” di fibre collagene; con il nevo di Spitz nel quale le cellule sono grandi ed epitelioidi e non piccole e nevoidi come nel melanoma nevoide; con il nevo lentigginoso acrale in cui le cellule non presentano ipercromasie e dendriti prominenti e nel quale è meno saliente lo spreading pagetoide. La diagnosi definitiva di melanoma nevoide si pone utilizzando i dati clinici (lesioni voluminose, di natura acquisita, in adulti), immunoistochimici (positività profonda per HMB45) e citologici (modesta atipia citocariologica e pleomorfismo). Senza l’uso integrato di questi criteri il melanoma nevoide acrale è frequentemente misdiagnosticato come nevo composito. POSTERS 178 Solitary cellular neurofibroma with nuclear atypia: a case report with immunohistochemical findings and differential diagnosis D. Lepanto, G. Perrone, A. Bianchi, C. Rabitti Anatomia Patologica, Policlinico Universitario Campus BioMedico di Roma, Italia Introduction. Peripheral nerve tumors is a group of neoplasm that includes benign tumours (such as schwannomas, neurofibromas and perineuromas) and malignant tumors, collectively designated as malignant peripheral nerve sheath tumors (MPNST). Here we present a rare case of solitary cellular neurofibroma with nuclear atypia. Case report. A 59 year old male patient was visited in the Plastic Surgery Division of our hospital for a skin nodular formation on the right side of the neck. Physical examination revealed a hard nodule that measured 1.3 cm in size. A local excision was performed. Grossly, the specimen measured 3 x 1.3 x 1 cm and a solid white 1.3 cm nodule was present in the derma. Histologically, the lesion was composed of a dual population of schwann-like cells and fibroblasts. Furthermore, focal atypia and high cellularity were present. Mitotic activity was absent. Immunohistochemical study showed expression of S-100 protein and CD34 positivity. Ki-67 was positive in < 1% of neoplastic cells. Conclusion. Based on morphological features, the differential diagnosis included cellular neurofibroma, dermatofibrosarcoma, cellular schwannoma and MPNST. The immunohistochemical markers (S-100+, CD34+) made us to exclude the diagnosis of cellular schwannoma (CD34-, S100+) and dermatofibrosarcoma (CD34+, S-100-). p53 gene mutation and protein expression have been suggested as findings for distinguishing benign from malignant nerve sheath tumors. Kindblom et al. 1 using immunohistochemical methods reported p53 overexpression in MPNSTs and suggested that this method may detect malignancy before the presence of obvious histologic evidence 1. The present lesion had rare p53 positive cells (< 1%). Proliferation rate also has been suggested as a method for distinguishing benign tumors from MPNSTs. Cell proliferation rate can be determined by Ki-67 immunostaining. In benign neurofibromas, Scheithauer et al., detected a Ki-67 labeling index of 1-13% (mean 4.7%), as compared with 5-38% (mean 18.5%) in MPNSTs 2. In the present lesion, Ki-67 staining results positive in < 1% of neoplastic cell. The low proliferative rate (MIB-1 < 1%) and low p53 expression made us establish a diagnosis of rare case of solitary cellular neurofibroma with atypia. In tumors with borderline histologic features the results of ancillary studies may be useful in distinguishing benign from malignant lesions. References 1 Kindblom LG. Virchows Arch 1995;427:19-26. 2 Scheithauer BW. Pathol Res Pract 1995;19:771. Langerhans cell histiocytosis limited to the skin in a elderly man A. Cassisa, F. Colpani, S. Negri, R. Fante, A. Zanca*, A. Bellomi Servizio di Anatomia Patologica Ospedale “C. Poma”, Mantova; * Unità Operativa di Dermatologia Ospedale “C. Poma”, Mantova Langerhans cell histiocytosis (LCH) is a pleomorphic disease/entity of variable biological behaviour and clinical presentation. It is characterized by proliferation of S-100 protein and CD1a positive subset of histiocytic cells. Proliferative Langerhans cells are commonly found in bone, lungs, mucocutaneous structures, and endocrine organs. We describe a 78-year-old male presented with a nodular persistent lesion on the scalp 1 cm wide. Hematoxylin and eosin stain showed a nodular, expansive dermal monomorphic, mononuclear cell infiltrate composed of large cells with folded nuclei. Small necrotic foci were focally present. Interstitial extravasated red blood cells suggested, in the first instance, a vascular lesion. Mitoses were easily found. Sparse perivascular lymphocytes were present, eosinophils were not detected. A narrow grenz zone was observed between dermal infiltrate and epidermis. Immunoperoxidase stain for S-100 protein and CD1a confirmed a Langerhans cell differentiation. Lysozyme, CD-68 and E-chaderin were also expressed. An imaging workup ruled out systemic involvement; hematological parameters were in the normal range. The lesion recurred one year later and was surgical excised. No specific treatment was performed. No significative event has been recorded to date, after 3 years of follow-up. Skin confined Langerhans cell histiocytosis is uncommon among reported cases of adult LCH. A significantly higher expression of histiocytic markers in the adult restricted cases compared to the extensive form of the disease has been reported. E-cadherin expression has been reported to be more expressed in localised disease than in extensive disease. It is possible that histiocytes with Langerhans cell phenotype may proliferate locally as result from extrinsic unknown signals but association with hematological disordes or widespread disease supervening even many years after the first diagnosis cannot be ruled out, so a carefull follow-up of the patient is mandatory. CD30-positive pilotropic T cell lymphoma without mucinosis A. Cassisa, F. Colpani, A. Perasole*, M.R. Biasin*, A. Zanca** U.O. di Anatomia Patologica Azienda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova; * U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale di Castelfranco Veneto e Montebelluna; ** U.O. Dermatologia Azienda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova Pilotropic cutaneous T-cell lymphomas without mucinosis are rare and may be an expression of mycosis fungoides. Progression of mycosis fungoides is characterized by tumoral skin infiltration and large cell transformation sometimes with CD30 antigen expression. Combination of pilotropism, large cell transformation and CD30 positivity in a mycosis fungoides clinical setting seems to be an exceptional event. We describe a 78-year-old man with a 10-year history of large POSTERS plaque parapsoriasis that was brought to our attention by a persistent erythematous, nodular, ulcerated lesion of the face refractory to local therapy with antibiotics. A punch biopsy showed a heavy lymphocytic dermal infiltration composed mainly of large atypical cells that infiltrated perifollicularly and penetrated the pilar apparatus forming intraepithelial nests. There was no evidence of follicular mucinosis. The epidermis was ulcerated without epidermotropism. The neoplastic lymphocytes expressed T-cell markers such as CD4, CD3, CD5. Al least 75% of large cells expressed also CD30 antigen. Monoclonal T cell population was detected by polymerase chain reaction from formalin-fixed,paraffin-embedded tissue sample. A diagnosis of pilotropic CD30-positive lymphoma was rendered. The lesion improved after PUVA therapy and and intralesional steroids but did not disappeared completely. The patient is well 8 months later with persistence of disease. Discussion. Clinical history suggests a transformation of mycosis fungoides into a CD30-positive large cell lymphoma. Over-expression of intercellular adhesion molecule type 1 (ICAM-1) by adnexal keratinocytes has been reported to play a significant pathogenetic role in pilotropism. CD30 and its ligand are also implicated in adhesion properties of neoplastic lymphocytes. The absence of epithelial mucin production may be expression of a different epitheliotropic migration mechanism from follicular mucinosis a histological variant of mycosis fungoides. We belive that this case despite its distinctive features may be included in the pleomorphic spectrum of mycosis fungoides and its transformation-related lymphoproliferative lesions. Leiomioma cutaneo atipico: analogie con il leiomioma simplastico dell’utero F. Di Nuovo, V. Lo Re, M. Spinelli Dipartimento di Patologia Azienda Ospedaliera “G. Salvini”, di Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale “S. Corona”, Garbagnate Milanese, Ospedale “Caduti Bollatesi”, Bollate, Milano Introduzione. Il leiomioma cutaneo atipico è una distinta variante istologica del leiomioma pilare. È di raro riscontro, infatti esigui sono i casi attualmente segnalati in letteratura. È ritenuto da alcuni autori, la controparte uterina del leiomioma simplastico. In considerazione dell’aspetto macroscopico ed istologico è spesso misdiagnosticato come istiocitoma fibroso benigno. Materiali. Paziente di sesso maschile di 46 anni di età, riferisce di aver notato da tempo imprecisato, una neoformazione cutanea alla gamba. Il dermatologo, dopo escissione, la invia per l’esame istologico con il sospetto clinico di istiocitoma fibroso. All’esame macroscopico la losanga cutanea era centrata da neoformazione misurante 1,2 cm di asse maggiore, rilevata, grigiastra, con alone periferico brunastro. Al taglio si osservava ispessimento dermico biancastro. Istologicamente la lesione appariva ben circoscritta, in sede dermica, e costituita da elementi cellulari fusati, in arrangiamento fascicolato, di taglia medio-grande, con nuclei evidenti, fusati e sigariformi, talora macronucleolati. Erano presenti anche alcune cellule multinucleate con nuclei polilobati, vescicolosi. La neoformazione appariva, in periferia, in continuità con i fasci muscolari erettori degli annessi pilari. Rarissime le mitosi e l’indice di proliferazione valutato mediante Mib1 era 179 inferiore all’1%. La popolazione neoplastica è risultata intensamente positiva per Actina alfa comune, per SMA, per Desmina e, localmente, per Vimentina; mentre era negativa per CD34 e per CD68 (KP1). Conclusioni. Il leiomioma pilare atipico è una variante infrequente di leiomioma cutaneo. L’osservazione di un caso ci ha indotto a rivalutare la letteratura e a segnalarlo soprattutto in considerazione della atipicità della lesione. Ricordiamo infine, che rappresenta la controparte uterina del leiomioma simplastico sia per aspetto istologico analogo e verosimilmente per comportamento biologico. Bibliografia 1 Matthews JH, et al. Dermatol Surg 2004;30:1249-51. 2 Mahalingam M, et al. Am J Dermatopathology 2001;238:299-303. Casistica dermatopatologica: quando la Clinica chiarisce l’Istologia A. Amantea, P. Donati, L.G. Spagnoli* Laboratorio di Dermatopatologia, Istituto Dermatologico “San Gallicano”, IRCSS, Roma; * Cattedra di Anatomia Patologica, Università “Tor Vergata”, Roma Introduzione. La dermatopatologia necessita spesso, più che ogni altro settore dell’Anatomia patologica, una correlazione con l’aspetto clinico delle lesioni, specialmente per quel che riguarda le patologie infiammatorie della cute. L’assenza di una tale correlazione clinico-patologica può indurre infatti a diagnosi non corrette. Metodi. Gli Autori presentano alcuni casi esemplificativi selezionati dalla casistica del Laboratorio di Dermatopatologia dell’Istituto “San Gallicano” di Roma, il cui corretto inquadramento diagnostico è stato possibile solo da un’accurata visita dermatopatologica. Risultati. Esistono numerosi pattern istomorfologici comuni a differenti dermatosi quali la discheratosi acantolitica, l’eliminazione trans-epidermica, le reazioni lichenoidi, i granulomi palizzatici, ecc. Conclusioni. La dermatopatologia deve necessariamente attingere alle fonti di due discipline quanto mai complesse quali l’Anatomia patologica e la Dermatologia. Atypical vascular lesions of the breast skin following radiotherapy R. Santi, D. Massi, A. Franchi, A. Palomba, V. Maio, J. Panelos, C. Delfino*, N. Pimpinelli*, M. Santucci Department of Human Pathology and Oncology, University of Florence, Italy; * Department of Dermatological Sciences, University of Florence, Italy Introduction. While pathologists have known about postmastectomy angiosarcomas from the origin of the radical mastectomy, a new group of unusual atypical vascular lesions (AVL) of the mammary skin are now being increasingly recognized. AVL arise in the setting of breast-conserving surgical treatment with adjuvant radiation therapy. These are subtle vascular proliferations, both clinically and histologically, which show significant clinical and histopathologic overlap with well-differentiated angiosarcoma and thus often represent a diagnostic challenge. The morphological spectrum 180 ranges from lymphangiectasia-like vascular proliferations resembling lymphangioma circumscriptum or progressive lymphangioma to hemangiomas of different types showing some atypical features. Methods. Three patients with AVL at the site of radiotherapy for breast carcinoma are described. Results. They were female patients, their age ranging from 47 to 68 years. All patients had a history of infiltrating breast carcinoma, and were treated by excision with postoperative radiation therapy. All lesions were located in mammary skin within the prior radiation field. The clinical presentation included multiple skin-coloured papules and vesicles in one case, single erythematous plaque in other 2 cases. Histopathologically, in 2 cases we observed relatively well-circumscribed complex, anastomosing vascular proliferations confined to the superficial and mid dermis, with no extension in the subcutaneous tissue. Dilated empty vascular spaces particularly in the superficial portion of the lesions were detected. The third case met most, but not all, the morphological criteria for AVL, with endothelial cells decorating the vascular channels showing signs of cytological atypia, although not featuring clear-cut findings for low-grade angiosarcomas. Conclusions. Post-radiation AVL of the breast skin show a wide morphological spectrum. Due to possible overlap with low-grade angiosarcomas, complete excision and long follow-up is recommended. Co-localizzazione di carcinomi cutanei e leucemia linfatica cronica: un case report T. Brambilla, P. Possanzini, L. Moneghini, U. Gianelli, G. Coggi II Cattedra di Anatomia Patologica, DMCO, Università di Milano, A.O. “San Paolo” e Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano, Italia La leucemia linfatica cronica (LLC), nel mondo occidentale, rappresenta la più comune forma di leucemia negli individui al di sopra dei 50 anni. I pazienti affetti da questa patologia hanno un aumentato rischio di sviluppare una seconda neoplasia maligna, soprattutto un carcinoma squamocellulare cutaneo. In letteratura, è descritto un coinvolgimento cutaneo diffuso (leucemia cutanea in corso di LLC) con un’incidenza del 420% sul totale dei casi di LLC, mentre la co-localizzazione cutanea di LLC in corso di neoplasie epiteliali (carcinoma squamocellulare, carcinoma basocellulare e melanoma) è solo occasionale. Qui riportiamo il caso di un uomo di 85 anni, già affetto da alcuni anni da LLC, giunto alla nostra osservazione per la prima volta nel 2005 per l’asportazione di una neoformazione sulla punta del naso e che, successivamente, è stato sottoposto ad asportazione di altre neoformazioni cutanee del capo. Tali neoformazioni, diagnosticate come cheratosi attiniche e carcinomi squamocellulari, erano tutte circondate da localizzazione sottocutanea di un denso infiltrato linfocitario, situato esclusivamente nelle regioni immediatamente circostanti la neoplasia, immunofenotipicamente compatibile con LLC, tipizzato grazie alla positività per le colorazioni immunoistochimiche CD20, CD23 e CD5. Questo rappresenta, quindi, uno dei rari casi in cui è possibile osservare la coesistenza di carcinoma cutaneo e localizzazione cutanea di LLC. POSTERS La presenza di linfociti sembra essere dovuta ad un’alterata risposta immunitaria dell’ospite alla neoplasia e non peggiorativa della prognosi del paziente, a differenza di quanto osservato per la leucemia cutanea; infatti, dopo un follow-up di 2 anni e mezzo, il paziente descritto non presenta una evoluzione della LLC. Bibliografia 1 Smoller BR, Warnke RA. Cutaneous infiltrate of chronic lymphocytic leukemia and relationship to primary cutaneous epithelial neoplasms. J Cutan Pathol 1998;25:160-4. 2 Dargent JL, Kornreich A, et al. Cutaneous infiltrate of chronic lymphocytic leukaemia surrounding a primary squamous cell carcinoma of the skin. Report of an additional case and reflection on its pathogenesis. J Cutan Pathol 1998;25:479-80. Chemerin-mediated recruitment of interferon producing cells/plasmacytoid dendritic cells in target sites of cutaneous lupus erythematous A. Santoro, M. Morassi, W. Vermi, F. Gentili, M. Ravanini, P.G. Calzavara-Pinton*, S. Sozzani**, F. Facchetti 1° Servizio Anatomia Patologica e * Clinica Dermatologica, Spedali Civili di Brescia; ** Dipartimento di Patologia Generale, Università di Brescia, Italia Introduction. Recent studies have suggested that interferon (IFN) producing cells/plasmacytoid dendritic cells (IPC/PDC) are involved in the pathogenesis of lupus erythematosus (LE), an autoimmune disease of unknown etiology. IPC/PDC have been demonstrated in skin lesions from LE, along with IFN-α mRNA. Our hypothesis was that IPC/PDC play multiple roles in the pathogenesis of LE via IFN-α and granzyme-B (GR-B), a serine protease inducing cell death. Methods. Skin biopsies from 37 patients with cutaneous LE (CLE, n = 29) or systemic LE (SLE, n = 8) were analysed by immunohistochemistry for the expression of CD3, CD20, CD68, CD123, CD208, perforin, GR-B, activated caspase-3, MxA (a protein specifically induced by IFN-α), chemerin and its receptor ChemR23 which are responsible for IPC/PDC recruitment. Additionally, IPC/PDC density, phenotype and cellinteractions were investigated by double immunofluorescence. Results. IPC/PDC were observed in 91,9% of LE skin biopsies, but only CLE was characterized by a high density of IPC/PDC (medium value/HPF ± ESM, CLE 8,32 ± 1,8 vs. SLE 1,0 ± 0,35; p = 0,018). Accordingly, chemerin was abundantly produced in CLE, suggesting that IPC/PDC are recruited via chemerin-ChemR23 mechanism. IPC/PDC were found in dermis and along interfacies, arranged as perivascular and iuxta-epithelial aggregates and in the epidermis as single cells. IPC/PDC were also associated to local production of IFN-α, as demonstrated by strong expression of MxA in the epidermis. Even if IPC/PDC have never shown maturation on the basis of CD208 expression, IFN-producing IPC/PDC may represent the active form of these cells and play an immunomodulatory role, stimulating myeloid DC maturation via IFN-α. Infact, cell-to-cell contact between CD123+ IPC/PDC and CD208+ DC was observed and a significant correlation between the numbers of these two populations was found. Moreover, a direct role of IPC/PDC in skin lesions of LE was suggested by their localization along damaged epithelial structures and GR-B expression. We have found a co-localization of GR-B+ IPC/PDC and perforin+ POSTERS and GR-B+ T lymphocytes in the cutaneous lesions of LE, associated to the detection of activated caspase-3 in the epithelium, a marker of apoptosis commitment. Conclusions. These results suggest a pivotal role for IFN producing IPC/PDC in the pathogenesis of CLE, by promoting DC maturation and GR-B mediated-epithelial damage. Nevo blu con satellitosi M. De Vito, L. Ventura*, M.L. Brancone, T. Ventura Istituto Veneri, Laboratorio di Analisi Citoistopatologiche, Tortoreto (TE); * U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila Introduzione. Il nevo blu è una lesione melanocitaria benigna, che si manifesta sottoforma di una papula di colore blu o nero, ben circoscritta e solitamente asintomatica. I nevi blu possono mostrare un ampio spettro di cellularità ed atipia che va dal piccolo nevo blu comune fino al raro nevo blu maligno. Metodi. Giungeva alla nostra osservazione un paziente di sesso maschile, di 66 anni, con una lesione, situata sul capo, di colorito blu-nerastro, lievemente rilevata, a margini sfumati, asimmetrica, che mostrava formazioni nodulari satelliti, dalle stesse caratteristiche morfologiche. La neoformazione non era dolente. La superficie occupata era di cm 1,6 x 1,2. Il nodulo principale era presente da circa 7 anni mentre i noduli satelliti erano comparsi da circa un anno e mezzo. Il materiale chirurgico veniva processato e tagliato in sezioni di 4 µm di spessore, colorate in ematossilina-eosina. 181 Risultati. L’esame istologico evidenziava una proliferazione di melanociti allungati, “dendritici”, pigmentati, localizzati nel derma reticolare, senza atipie cito-architetturali ed attività mitotica. Veniva posta diagnosi di nevo blu con satellitosi. Conclusioni. I nevi blu sono lesioni solitarie, di forma rotonda od ovale e delle dimensioni comprese fra 0,5 ed 1,5 cm. Rari sono i casi di nevi blu multipli od “a placca”. Ancora meno frequenti sono i casi di “nevo blu con satellitosi e di “nevo blu maligno”. Quest’ultimo solitamente si localizza sul capo e colpisce il sesso maschile. Si tratta di una lesione dal comportamento aggressivo con tendenza a recidive locali ed a metastasi a distanza 1. Il caso in esame si presentava sottoforma di un nodulo centrale a contorni mal definiti con noduli satelliti perilesionali. Le caratteristiche cliniche della lesione rendevano necessaria la diagnosi differenziale con il melanoma. L’esame istologico, che ha evidenziato l’assenza di atipie cellulari e di attività mitotica, ha permesso di escludere la diagnosi di melanoma 2. Lo scopo di questo report è quello di segnalare che lesioni morfologicamente compatibili con un nevo blu, che aumentano di dimensioni e presentano lesioni satelliti, non implicano necessariamente la natura maligna della lesione stessa. Si tratta comunque di casi inusuali che, soprattutto se localizzati sul capo, necessitano di un’ampia escissione chirurgica e di una stretta sorveglianza clinico-dermatologica del paziente. Bibliografia 1 Del Rio E, et al. Cutis 2000;65:301-2. 2 Sahin MT, et al. J Eur Acad Dermatol Venereol 2001;15:570-3. PATHOLOGICA 2007;99:182-183 Diagnostica Giant cell carcinoma of the thyroid: a case report with emphasis on ultrastructural evidence of mitotic catastrophe R.A. Caruso, V. Zuccalà, G. Costa, E. Gagliardi, V. Cavallari Dipartimento di Patologia Umana, Policlinico Universitario, Messina We report a case of a 70-year-old woman with an anaplastic carcinoma of the thyroid gland, along with immunohistochemical and electron microscopic findings. Histologically, the tumour is characterized by mononucleated and multinucleated giant cells, lack of architectural cohesion, atypical mitoses, and extensive areas of coagulative necrosis. Tumour cells are positive for AE1/AE3, show nuclear overexpression of p53 and ki-67, and are negative for caspase-3. Ultrastructural examination shows multiple nuclei with heterogeneous size ranging from micronuclei to large-size (giant) nuclei. Nuclear projections and pockets as well as nucleoplasmic bridges are present. There are also early signs of cell death including cytoplasmic vacuolization and heterochromatin disappearance. Taken together, these findings indicate high proliferative activity, suppression of apoptosis, chromosomal instability, formation and disintegration of (multinuclear) giant cells (which is also termed mitotic death or catastrophe). To the best of authors’ knowledge, this appears to be the first report describing ultrastructural features of mitotic catastrophe in a human tumour. Immunolocalizzazione del fattore di crescita ALR su muscolo normale e patologico R. Rossi, L. Polimeno*, D. Piscitelli, M. Mastrodonato**, C. Gemma, M. Palumbo, M.G. Fiore, L. Resta Dipartimento di Anatomia Patologica, Servizio di Patologia Ultrastrutturale, Università di Bari; * Dipartimento di Gastroenterologia, Università di Bari; ** Dipartimento di Zoologia, Università di Bari Introduzione. L’Augmenter of Liver Regeneration (ALR) è un fattore di crescita epatocellulare importante nell’indurre la progressione del ciclo cellulare. Il gene per l’ALR è localizzato sul cromosoma 16 nell’uomo e codifica per tre diverse isoforme (15, 21 e 23 kDa). La proteina ALR è stata rilevata in molti organi, in particolare nel testicolo, muscolo, cervello e fegato. Nella biogenesi mitocondriale tale proteina svolge un ruolo fondamentale fornendo al processo rigenerativo epatico l’energia supplementare necessaria, inducendo l’espressione del DNA mitocondriale stimolando la produzione di ATP. Studi precedenti hanno evidenziato una differente espressione dell’mRNA nelle fibre muscolari umane a seconda del sesso e dell’età. Inoltre è stata evidenziata una stretta correlazione tra l’espressione di questa proteina e la positività degli enzimi mitocondriali. Scopo della ricerca è localizzare la proteina ALR nel muscolo normale e patologico con indagine immunomicroscopia elettronica. Metodi. Abbiamo processato 6 campioni di muscolo normale e 6 di muscolo patologico provenienti da pazienti con di- verse miopatie degenerative. Oltre all’osservazione ultrastrutturale con TEM abbiamo applicato una tecnica di immunogold con anticorpi policlonali e monoclonali anti-ALR (MultiBind, Biotec GmbH). Risultati. L’indagine di immunomicroscopia elettronica ha evidenziato una localizzazione della proteina ALR in tutti i campioni, sia a livello citoplasmatico che mitocondriale. L’espressione è risultata quantitativamente maggiore nei muscoli patologici. Nei mitocondri la positività riguardava sia lo spazio intermembrana che le creste. Conclusioni. La presenza della proteina ALR nel tessuto muscolare umano può essere correlata con alcune patologie neuromuscolari, varie miopatie, neuropatie, e sindromi complesse. Infatti tali patologie possono essere considerate primariamente come malattie mitocondriali, con conseguente alterazione del meccanismo di fosforilazione ossidativa, cui sarebbe correlata la funzione di ALR. Osservazioni ultrastrutturali di un carcinoma gastrico misto con componente acinare pancreatica ed endocrina G. Finzi, C. Placidi*, S. Marchet, D. Micello*, C. Capella* Anatomia Patologica Ospedale di Circolo Varese; * Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria, Varese Viene presentato un caso di carcinoma gastrico misto con una componente acinare pancreatica ed endocrina. Solo pochi casi sono stati descritti finora, e nessuno è mai stato osservato al microscopio elettronico. Il paziente è un uomo di 66 anni, sottoposto a gastrectomia per una neoplasia identificata all’endoscopia. All’osservazione macroscopica, il tumore appare come una neoplasia ulcerata con bordi indistinti (tipo III sec. Borrmann) interessante l’antro gastrico, del diametro di 8 x 6 cm. Istologicamente, il tumore appare esteso fino alla sottosierosa, e mostra una componente di tipo diffuso frammista ad una componente acinare, che rappresenta circa il 50% della neoplasia. Nella componente diffusa si distinguono cellule ad anello con castone, mentre quella acinare è costituita da cellule cuboidali, con abbondante citoplasma eosinofilo granulare e nucleo disposto alla base della cellula, disposte a delimitare piccoli lumi. Le indagini immunoistochimiche mostrano nelle cellule neoplastiche una positività per la tripsina, prevalentemente concentrata nelle regioni a componente acinare, e alla cromogranina, in cellule endocrine sparse in tutta la neoplasia. Le indagini ultrastrutturali evidenziano nella componente acinare la presenza di cellule esocrine con granuli secretori dall’aspetto eterogeneo, in parte immunoreattivi per la tripsina, che suggeriscono una differenziazione ibrida gastrico-pancreatica, e di cellule endocrine cromogranina-positive che mostrano i granuli tipici delle cellule enterocromaffini. La coesistenza nella stessa neoplasia di cellule esocrine, parzialmente differenziate in senso pancreatico, ed endocrine, permette di ipotizzare che la neoplasia sia originata da una cellula staminale pluripotente, provvista di capacità di differenziare in diverse direzioni. In conclusione abbiamo identificato un raro tipo di carcinoma gastrico dalle caratteristiche istopatologiche peculiari: il car- POSTERS cinoma gastrico misto con componente acinare pancreatica ed endocrina. Il comportamento di queste neoplasie non è ancora noto, ma la presenza, nel nostro caso, di metastasi linfonodali diffuse, suggerisce che il tumore sia altamente aggressivo. Indagine ultrastrutturale della microangiopatia nel diabete di tipo 1 dopo trapianto di rene-pancreas, rene-isole, o rene L. Usellini, G. Finzi, C. Placidi*, S. La Rosa, F. Folli**, P. Fiorina***, C. Capella* Anatomia Patologica Ospedale di Circolo, Varese; * Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria, Varese; ** Department of Medicine, University of Texas Health Science Center, San Antonio, Texas, USA; *** Dipartimento di Medicina, Istituto Scientifico “San Raffaele”, Milano Come è noto, nel diabete i danni al sistema cardiocircolatorio sono così importanti che costituiscono la principale causa di morte per questa malattia. Alcuni studi hanno dimostrato che il trapianto di pancreas può rallentare la progressione dell’aterosclerosi e migliorare le funzioni degli endoteli nel diabete di tipo 1. In un precedente studio è stato dimostrato che il trapianto di isole pancreatiche porta ad un miglioramento delle condizioni degli endoteli, del profilo aterotrombotico e della sopravvivenza dei pazienti 1. Nel presente studio abbiamo confrontato gli effetti di diversi tipi di trattamento del diabete di tipo 1 sulla microangiopatia. Lo studio è stato condotto su una serie di biopsie cutanee di 183 pazienti affetti da diabete di tipo 1, di cui 42 sottoposti a trapianto di rene (TrR), 162 a trapianto di rene e pancreas (TrRP), 37 a trapianto di rene e isole (TrI), di cui 24 con successo (TrIs) e altre 13 con successiva perdita della funzionalità insulare (TrIi) e, per confronto, di 196 pazienti diabetici uremici non trapiantati (PUNTr) e di 10 pazienti trapiantati di rene non diabetici (TrND). Le biopsie sono state studiate, oltre che con ematossilina-eosina e con la colorazione AB-PAS, con la microscopia elettronica e con indagini immunoistochimiche per la localizzazione in microscopia ottica ed elettronica del fattore di von Willebrand. Al microscopio ottico, tutte le biopsie dei pazienti diabetici, trapiantati e non, mostravano un evidente un ispessimento della membrana basale dei capillari ematici, bene evidenziato con la colorazione AB-PAS. Al microscopio elettronico, in tutti i gruppi di diabetici osservati era presente un ispessimento della membrana basale, e una riduzione del lume vascolare, che in alcuni casi arrivava ad essere completamente collassato; sulle cellule endoteliali si osservava una ramificazione dei microvilli, una dilatazione delle cisterne di reticolo endoplasmatico, un aumento di filamenti intermedi, e degli aspetti di apoptosi dei nuclei. Queste lesioni erano modeste nei gruppi TrIs, TrRP e TrR, e più marcate nei gruppi PUNTr e TRIi. L’espressione di vWF nelle cellule endoteliali era diminuita nei pazienti TrI e TrR, e, sebbene in minore misura, nei pazienti TrRP, rispetto ai pazienti TRND. In conclusione, i nostri dati dimostrano che il trapianto di rene e pancreas e quello di rene e isole pancreatiche migliorano la microangiopatia diabetica. Bibliografia 1 Fiorina P, et al. Transplantation 2003;75:1296-301. PATHOLOGICA 2007;99:184-185 Immunoistochimica Carcinoma papillare della tiroide: espressione immunoistochimica di EG-VEGF R. Zamparese, G. Pannone, P. Bufo Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Foggia Introduzione. La neoangiogenesi ha un ruolo fondamentale nel processo di crescita, invasione e metastatizzazione di gran parte delle neoplasie umane. Recenti studi hanno messo in evidenza che gli organi steroidogenici risentono dell’influenza di una famiglia di fattori angiogenetici, detti EGVEGF (Endocrine Gland-derived Vascular Endothelial Growth Factors). I fattori angiogenetici EG-VEGF espletano la loro azione in modo selettivo sull’endotelio delle ghiandole endocrine, in particolare nelle cellule del surrene, dell’ovaio, del testicolo e della placenta 1. Ancora molto poco è noto sull’espressione di EG-VEGF nelle neoplasie maligne. Scopo del presente lavoro è indagare l’espressione immunoistochimica di EG-VEGF nei tumori della tiroide. Materiali e metodi. La nostra ricerca è stata condotta su un campione costituito da 42 carcinomi papillari e 4 carcinomi anaplastici della tiroide. Trattasi di 32 donne e 14 uomini, con un’età media di 49 anni (range: 31-76 anni). Ogni caso è stato stadiato applicando il sistema TNM. Due sezioni istologiche di ogni campione, comprendente neoplasia e parenchima non neoplastico, sono state saggiate con un anticorpo monoclonale per EG-VEGF (RD-System) mediante metodica standard LSAB-HRP. Risultati. L’espressione di EG-VEGF è presente in tutti i casi di carcinoma papillare, mentre è assente nel tessuto tiroideo non neoplastico adiacente alla neoplasia e nei 4 casi di carcinoma anaplastico. Conclusioni. I nostri risultati suggeriscono una associazione tra l’espressione di EG-VEGF e l’incremento della neoangiogenesi nel carcinoma papillare della tiroide. L’espressione di EG-VEGF, elevata nelle cellule neoplastiche ed assente nelle cellule non neoplastiche, suggerisce che l’azione di EGVEGF è cancro-specifica. Inoltre, l’assenza di espressione di EG-VEGF in tutti i casi di carcinoma anaplastico della tiroide potrebbe suggerire, in primo luogo, che durante la progressione neoplastica si ha un decremento dell’espressione genica fino alla perdita completa della proteina, in secondo luogo, potrebbe indicare che tali casi di carcinoma anaplastico non sono istogeneticamente correlati con il carcinoma papillare. Tali dati, in particolar modo l’espressione cancro-specifica di EG-VEGF, sono molto importanti perché potrebbero costituire il punto di partenza per una nuova prospettiva terapeutica del carcinoma papillare della tiroide. Bibliografia 1 LeCouter J, et al. Nature 2001;412:877-84. Utilità dell’immunoistochimica nel differenziare un carcinoma papillare della tiroide insorto su tessuto ectopico da una metastasi laterocervicale D. Cabibi, M. Cacciatore, C. Guarnotta, V. Rodolico, F. Aragona Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo Introduzione. In assenza di tumore primitivo nella tiroide, la distinzione tra “carcinoma insorto su tessuto tiroideo ectopico” e “metastasi laterocervicale da carcinoma papillare occulto” può essere difficile. Anche il tessuto follicolare apparentemente normale in sede laterocervicale viene spesso considerato, secondo la letteratura corrente, “metastasi da carcinoma tiroideo ben differenziato”. Recentemente è stata riportata l’utilità dell’immunoistochimica con Galectina-3, Citocheratina 1 e HBME-1 nella diagnosi del carcinoma papillare della tiroide. Lo studio si propone di verificare se i suddetti anticorpi possono essere utili per chiarire la vera natura del tessuto follicolare in sede laterocervicale. Metodi. Sono stati selezionati sei casi (gruppo A) costituiti da masse laterocervicali sede di carcinoma papillare tiroideo con aree follicolari apparentemente normali adiacenti. L’esame della tiroide non aveva evidenziato la presenza di carcinoma nella ghiandola. Come controllo (gruppo B) sono stati selezionati 8 casi con masse laterocervicali sede di carcinoma papillare con aree adiacenti di tessuto follicolare apparentemente normale, nei quali l’esame della tiroide aveva evidenziato la presenza di carcinoma papillare. Entrambi i gruppi sono stati studiati con Galectina-3, Citocheratina 1 e HBME-1. Risultati. Nel gruppo B le aree neoplastiche tiroidee, delle masse laterocervicali, e le aree follicolari apparentemente normali adiacenti erano positive per tutti e tre gli anticorpi. Nel gruppo A erano positive solo le aree neoplastiche laterocervicali, mentre le adiacenti aree follicolari apparentemente normali e il parenchima tiroideo erano negativi. Conclusioni. La positività per tutti e tre gli anticorpi nelle aree follicolari apparentemente normali del gruppo B suggerisce che queste possano essere di natura neoplastica, nonostante appaiano così ben differenziate da apparire normali, Nel gruppo A, dove il tumore primitivo della tiroide era assente, il tessuto follicolare laterocervicale apparentemente normale, negativo per tutti e tre gli anticorpi, potrebbe invece costituire il parenchima ectopico che ha dato origine al carcinoma papillare primitivo. L’immunoistochimica può quindi aiutare a riconoscere la vera natura del parenchima follicolare ectopico, evitando in alcuni casi una diagnosi di “metastasi da carcinoma primitivo occulto” che porterebbe ad una over-stadiazione della malattia e alla infruttuosa ricerca del primitivo all’interno della ghiandola tiroide. POSTERS Miofibroblastoma epitelioide polipoide del cavo orale: un mimo di rabdomiosarcoma embrionale, varietà botrioide G. Magro, P. Greco, A. Gurrera, M. Curduman, E. Giurato, E. Vasquez Dipartimento “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Policlinico “G. Rodolico”, Catania Introduzione. I tumori fibro-miofibroblastici primitivi della cavità orale sono rari. I più frequenti sono la miofibromatosi, il sarcoma miofibroblastico ed il tumore miofibroblastico infiammatorio. Metodi. Riportiamo un caso unico di neoplasia miofibroblastica, insorta come lesione polipoide del pilastro tonsillare posteriore, in una bambina di 11 anni. Risultati. L’esame istologico rivelava una neoplasia polipoide, rivestita da epitelio squamoso, costituita da una predominante proliferazione di cellule rotonde/epitelioidi, di piccolemedie dimensioni con scarso citoplasma eosinofilo, immerse in abbondante stroma mixo-edematoso, riccamente vascolarizzato. In sede sub-epiteliale, le cellule si compattavano tra loro ed erano separate dall’epitelio sovrastante da una sottile banda di collagene denso. Il numero di mitosi variava da 3 x 10 HPF, nella zona centrale della lesione, fino ad un massimo di 8 x 10 HPF al di sotto dell’epitelio di rivestimento. Caratteristica era la presenza di numerose fibre collagene eosino- 185 file di forma variabile, da rotonda a stellata, interposte tra le cellule, che ricordavano le cosiddette “fibre simil-amiantoidi”, descritte nel miofibroblastoma intranodale 1 e della mammella 2. Le indagini immunoistochimiche evidenziavano positività diffusa per vimentina, desmina e focalmente per αactina muscolare liscia (SMA). Negative le colorazioni con citocheratine, miogenina, MyoD1, HMB45, CD34, h-caldesmon ed i recettori per gli estrogeni e progesterone. Morfologicamente, la neoplasia ricordava un rabdomiosarcoma embrionale, varietà botrioide. Tuttavia non si osservavano segni morfologici di differenziazione rabdomioblastica, né un vero “cambium layer”. Le indagini ultrastrutturali confermarono la natura fibro-miofibroblastica della neoplasia. Conclusioni. L’aspetto morfologico, soprattutto la presenza di fibre collagene simil-amiantoidi ed il profilo immunoistochimico della neoplasia erano coerenti con la diagnosi di “miofibroblastoma epitelioide, mitoticamente attivo del cavo orale”. L’interesse di questo caso risiede nel fatto che tale neoplasia, mai riportata nel cavo orale, rappresenta un mimo del rabdomiosarcoma embrionale, varietà botrioide. Bibliografia 1 Lee JY, et al. Solitary spindle cell tumor with myoid differentiation of the lymph node. Arch Pathol Lab Med 1989;113:547-50. 2 Magro G, et al. Spindle cell lipoma-like tumor, solitary fibrous tumor and myofibroblastoma of the breast: a clinico-pathological analysis of 13 cases in favor of a unifying histogenetic concept. Virchows Arch 2002;440:249-60. PATHOLOGICA 2007;99:186 La formazione dell’anatomopatologo La formazione a distanza in Citologia: Eurocytology Website Project A. Bondi Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore, Azienda USL Bologna Il Eurocytology è un progetto messo a punto da un gruppo di Citologi di diversi Paesi per promuovere la formazione a distanza citologia clinica e di screening. Rappresenta la continuazione del progetto Leonardo da Vinci e rappresenterà anche uno strumento multilingue per rendere più uniforme la realtà della citologia europea per quanto concerne l’iter formativo, la nomenclatura, i criteri diagnostici ed anche la normativa di settore, che in Europa è particolarmente disomogenea. Il nucleo centrale del gruppo di progetto è costituito da tre Istituzioni Scientifiche (The Imperial College – Hammersmith Hospital, Londra, Inghilterra – Karolinska Institute, Stoccolma Svezia, Pomerial Medical University, Stettino, Polonia), supportato da quattro Società Scientifiche (le Società di Citologia ungherese, polacca, svedese e SIAPECIAP per l’Italia) e col contributo del Coordinamento Europeo dei Citotecnici. L’iniziativa è in parte sponsorizzata dalla Comunità Europea. Lo strumento da usare sarà essenzialmente un sito Internet che conterrà dei corsi strutturati con lezioni, esercitazioni te- st ed esami sui vari argomenti e con progressivi livelli di avanzamento. Si realizzeranno lezioni sui diversi settori organici della citologia: il primo corso, già in fase di realizzazione, sarà quello sulla citologia cervico-vaginale di screening e clinica e coprirà i temi della nomenclatura nei diversi Paesi con i criteri diagnostici e la possibilità di “tradurre” la diagnosi da un sistema ad un altro. Seguiranno altre sezioni: citologia dei versamenti, urinaria, agoaspirativa di tiroide e mammella, ecc. I destinatari dell’iniziativa sono i Citologi Europei, ed in particolare i Citotecnici che, con un accesso individuale e controllato potranno usufruire delle lezioni con presentazioni, registrazioni (podcasting), atlanti di immagini, “vetrini digitali” e test progressivi di apprendimento. I vari gruppi nazionali, compreso quello Italiano da costituire nell’ambito del Comitato di Citologia di SIAPEC-IAP, avranno il compito di contestualizzare l’iniziativa: tradurre gran parte del materiale in lingua locale, validare il sistema ed accreditarlo, secondo le regolamentazioni nazionali, come strumento di educazione continua. I citologi Italiani che sono interessati a partecipare attivamente al progetto devono contattare i coordinatori del Comitato di Citologia SIAPEC-IAP: A. Bondi – [email protected] G.L. Taddei – [email protected] PATHOLOGICA 2007;99:187-191 Miscellanee Dirofilariasi umana repens a sede insolita: descrizione di un nuovo caso in Puglia A. D’Amuri* **, T.G. Carlà* * Ospedale “Sacro Cuore di Gesù”, U.O. Anatomia Patologica ASL/LE Area Sud Maglie; ** Scuola di Dottorato in Biotecnologie Mediche, Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università di Siena Introduzione. La Dirofilaria repens è un nematode parassita presente in animali domestici quali il cane e il gatto ed anche selvatici, antropozoonosi con localizzazione preferenziale a livello sottocutaneo delle parti anatomiche esposte (testa, collo, tronco e arti superiori) mentre più rare sono le localizzazioni in sede anatomica profonda (polmone, omento, mesentere e organi sessuali). Metodi. Uomo di anni 45, durante un intervento chirurgico di ernioplastica inguinale sinistra, gli fu riscontrata occasionalmente una neoformazione solida, lardacea e dolente a livello del funicolo del testicolo sinistro. Praticata l’escissione chirurgica del didimo, epididimo e funicolo sinistro, il tutto fu inviato presso la nostra Unità Operativa di Anatomia Patologica ponendo come quesito diagnostico differenziale tra lesione infiammatoria o neoplastica. Macroscopicamente il pezzo operatorio comprendeva didimo del diametro massimo di 5 cm epididimo e funicolo della lunghezza complessiva di 9 cm; a circa 2 cm dal margine di resezione del funicolo si rinveniva un’area di consistenza aumentata nodulariforme del diametro massimo di cm 2,5. Risultati. Istologicamente al livello del parenchima didimario ed epididimario non si riscontravano alterazioni patologiche. A livello del cellulare fibro-adipo-vascolare del funicolo era presente una intensa reazione flogistica di tipo cronica e granulomatosa ad impronta linfo-istiocitaria con presenza di numerosi eosinofili incentrata attorno a sezioni trasversali di nematode identificato del tipo Dirofilaria repens. Fu, quindi formulata una diagnosi di dirofilariasi repens in sede annessiale testicolare. Conclusioni. La Dirofilariasi dal punto di vista diagnostico istopatologico è sempre una evenienza non frequente, dopo i 9 casi già descritti in passato nella regione Puglia 1. Resta in ogni caso da rilevare la localizzazione rara (2 casi segnalati in passato in Italia, ed 1 in Ungheria) 2 a livello degli annessi testicolari in sede funicolare, ed il fatto che si è trattato di un reperto occasionale durante un intervento chirurgico di ernioplastica inguinale. Bibliografia 1 Pampiglione S, et al. Pathologica 1994;86:528-32. 2 Elek G, et al. Pathol Oncol Res 2000;6:141-5. Ricognizione sul cadavere dello storico Pietro Martini, “pietrificato” nel 1866 dal medico cagliaritano Efisio Marini A. Maccioni, C. Varsi, C. Zedda* U.O di Anatomia Patologica, P.O. “SS. Trinità”, ASL 8 Cagliari; * Storico La necessità della ricognizione sul cadavere dello storico sardo Pietro Martini a 140 anni dalla morte, nasce dalla peculiarità del trattamento conservativo di “pietrificazione” cui è stato sottoposto dal Medico cagliaritano Efisio Marini, secondo una metodica di cui non sono mai stati rivelati i particolari. All’interno del loculo sono stati reperiti vari oggetti (vetri, borchie, bicchieri, bottiglie in vetro), la cui presenza è stata giustificata sulla base dei dati reperibili negli archivi storici. Il microambiente non idoneo in cui il cadavere è stato conservato, ha favorito i processi di scheletrizzazione e la persistenza di pochi esiti del trattamento “pietrificante”. I dati anatomici osservati non consentono di avanzare ipotesi sulla causa della morte, che appare comunque insorta in tempi brevi in un uomo che nel complesso aveva goduto di buona salute fino a poco tempo prima del decesso. Significativo appare il reperto microscopico di ectasia della componente alveolare polmonare associata a depositi interstiziali di pigmento antracotico; tali dati sono stati ottenuti dopo reidratazione tessutale secondo tecniche impiegate su mummie egizie. La buona conservazione delle strutture oculari (protette da lenti corneali), la persistenza del disegno digitale e delle unghie delle mani, indicano la tempestività con cui il cadavere è stato trattato dopo la morte. Si segnala la presenza di un artigianale “parrucchino” ottimamente conservato. Non sono state repertate vie anatomiche di accesso dei reagenti alle cavità corporee, come in genere avveniva nei trattamenti conservativi di altri “pietrificatori”. La consistenza lapidea del materiale repertato all’interno della scatola cranica e la presenza di stratificazioni grigio-biancastre in corrispondenza del peritoneo parietale, consentono di avanzare l’ipotesi che i composti conservativi del Marini (verosimilmente a base di silicati), sono simili a quelli impiegati dal lodigiano Gorini, benché utilizzati con esclusive tecniche di permeazione, agoinfusione endovasale e l’impiego delle cavità naturali. Il trattamento di “pietrificazione” non è risultato in grado di impedire del tutto i processi di scheletrizzazione, ma da questo giudizio impietoso deve essere risparmiato il medico Efisio Marini, autore di altre “pietrificazioni” ottimamente conservate, che si batté strenuamente per impedire la traslazione del cadavere in ambienti inidonei per la duratura efficacia del suo trattamento. POSTERS 188 Alterazioni istopatologiche e ultrastrutturali nel connettivo subsinoviale nella sindrome del tunnel carpale idiopatica Paleoistologia dei resti mummificati del Tadrart Acacus, Libia sud-occidentale (IV millennio a.C.) G. Donato, F. Conforti, I. Perrotta*, L. Maltese, C. Laratta, S. Tripepi*, P. Valentino**, O. Galasso***, A. Amorosi L. Ventura, C. Mercurio, F. Ciocca, M. Sarra, S. Di Lernia*, G. Manzi**, G. Fornaciari*** Cattedra di Anatomia Patologica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Magna Graecia”, Catanzaro; * Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria, Rende; ** Cattedra di Ortopedia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Magna Graecia”, Catanzaro; *** Cattedra di Neurologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Magna Graecia”, Catanzaro U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila; * Dipartimento di Scienze Storiche Archeologiche e Antropologiche dell’Antichità, Università “La Sapienza”, Roma; ** Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università “La Sapienza”, Roma; *** Divisione di Paleopatologia, Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina, Università di Pisa Introduzione. La sindrome del tunnel carpale è una patologia con una incidenza in crescita, stimata tra circa 100 e 200 casi per 100.000 persone per anno (Ashworth, 2007). Nella maggior parte dei casi la patologia è idiopatica, mentre più raramente si riconoscono cause come malattie metaboliche, lesioni occupanti spazio, infezioni ecc. Le alterazioni istopatologiche nella sindrome del tunnel carpale sono poco conosciute. Tradizionalmente il dato saliente è considerato una fibrosi sinoviale non infiammatoria a livello dei tendini dei muscoli flessori accompagnata a livello ultrastrutturale da alterazioni delle fibrille collagene del connettivo subsinoviale (Ettema, 2004; Oh, 2006). Metodi. Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare dal punto di vista istopatologico, immunoistochimico e ultrastrutturale le alterazioni presenti nella membrana sinoviale dei tendini flessori in 16 soggetti (11 donne e 5 uomini) sottoposti a intervento chirurgico per sindrome del tunnel carpale. La nostra valutazione ha avuto anche lo scopo di formulare nuove ipotesi sulla genesi di questa entità patologicoclinica. Dal punto di vista istopatologico i nostri dati confermano quelli recenti della letteratura: Presenza di fibrosi e proliferazione vascolare con iperplasia e ipertrofia intimale. Risultati. Dal punto di vista immunoistochimico è stato possibile rilevare che nei soggetti studiati la valutazione dell’attività proliferativa cellulare, effettuata mediante studio dell’antigene Ki-67 (anticorpo MIB-1), ha evidenziato come una percentuale variabile dal 2 al 5% di cellule dell’endotelio vasale e dello stroma fosse in fase mitotica. Un altro dato interessante dal punto di vista immunoistochimico è il rilievo della positività delle cellule stromali per gli antigeni CD34 e CD31. Tale rilievo suggerisce che tali elementi hanno caratteristiche di progenitori endoteliali simili a quelle capaci di formare una rete di strutture capillary-like in coltura (Alessandri, 2001). Dal punto di vista ultrastrutturale in microscopia elettronica a scansione e a trasmissione si rileva come il processo di iperplasia e ipertrofia endoteliale porti spesso a occlusione delle strutture vascolari neoformate con conseguente ischemia del tessuto. Conclusioni. In conclusione dal punto di vista patogenetico è possibile che si instauri una sorta di circolo vizioso a partire dai primi episodi ischemici microtraumatici che portano a una risposta angiogenetica anomala all’ipossia. Introduzione. La Missione Archeologica Italo-Libica nell’Acacus e Messak, finalizzata allo studio della straordinaria arte rupestre ed alla ricostruzione delle vicende umane della regione, comprende concessioni di scavo di enorme prestigio per l’archeoantropologia italiana. Presentiamo i risultati dello studio di 2 individui parzialmente mummificati (TK-H1 e TK-H9), rinvenuti nel massiccio del Tadrart Acacus e vissuti nel IV millennio a.C. (datazione al radiocarbonio: 6090 ± 60 e 5600 ± 70 anni fa). Metodi. I resti sono stati sottoposti ad analisi radiologica, esame esterno e campionamento. Prelievi di ossa, tendini, dischi intervertebrali, muscoli scheletrici, vasi, cute e visceri sono stati reidratati in soluzione di Sandison per 24-72 ore, includendo preliminarmente in agar i campioni più delicati e decalcificando in acido forte per 1 ora l’osso reidratato. I tessuti sono stati processati ed inclusi in paraffina per ottenere sezioni di 4 µm, colorate con ematossilina-eosina, Masson, Perls e van Gieson fibre elastiche. Risultati. Entrambi gli individui risultavano di sesso femminile, con età apparente di 30-35 anni per il soggetto H1 e non definibile per H9 a causa della limitatezza dei segmenti corporei. L’esame radiologico di H1 evidenziava iperostosi cranica, frattura ulnare sinistra in consolidamento, lesione sclerotica del collo femorale destro, strie di Harris dell’epifisi tibiale prossimale sinistra. Il soggetto H9 non presentava alterazioni significative. L’analisi istologica dei campioni mostrava tessuto fibroso con lacune riferibili ad alterazioni tafonomiche, muscolo scheletrico con buona evidenza di striature, osso spugnoso e compatto, pareti viscerali e materiale fecale contenente ectoparassiti. Numerosi campioni presentavano contaminazione da materiale terroso e diffusa colonizzazione da spore fungine. Conclusioni. Gli individui femminili neolitici, sebbene incompleti, presentavano segni di patologia traumatica (esiti di fratture) e carenziale (strie di Harris, iperostosi cranica). L’evidenza di strutture riferibili a tessuti molli e scheletrici pur prive di patologie ha consentito di studiare le caratteristiche di organi che possono essere considerati tra i più antichi sottoposti ad esame istologico. La presenza di spore fungine, da non interpretare come emazie, è costante in paleoistologia e non assume significato patologico. Esami immunoistochimici, ultrastrutturali, parassitologici e molecolari consentiranno di ampliare le informazioni sui tessuti e le condizioni di salute degli individui in esame. POSTERS Unusual thymic carcinoma with hepatic metastases? Report of one case M. Marino, L. Lauriola* Department of Pathology, “Regina Elena” Cancer Institute, Rome, Italy; * Department of Pathology, Catholic University of Rome, Italy Introduction. Spread of Thymic Epithelial Tumours (TET) outside the thoracic cavity is unusual, and usually associated to Thymic carcinoma. The morphological features and immunohistochemical markers of thymic origin actually available, however, are scant, as well as it is difficult to establish a clear cut thymic origin of a metastatic nodules outside the mediastinum, particularly when the “cortical” lymphocytic component usually associated to the rare metastatic thymomas is absent. We report here a case of a thymic carcinoma with synchronous hepatic metastases. Methods. A female patient, aged 39 years, was found to have a mass in the anterior mediastinum synchronous with liver nodules. An hepatic biopsy showed an epithelial tumor positive to CK7 and Cam5.2 and negative to CK20, Chromogranin, TTF1 and Ca125. No further markers were applied to the small tissue fragment. A TC-guided FNAC of the mediastinal mass also showed epithelial cells CK19+, EMA+ and TTF1-. The patient underwent thymectomy after neoadjuvant therapy, and in addition she underwent partial hepatectomy The thymic tumor and the hepatic nodules showed the same morphological and immunohistochemical features: the tumor and the metastatic nodules were formed by large cells with huge vescicular or with multiple nuclei and large nucleoli. Tumor cells were CD5+, CK19+ and CD117+, and negative for neuroendocrine markers and for HepPar1. Conclusions. The anterior mediastinal mass showed features of an unusual epithelial tumor with huge cells of “cortical” thymic type, positive to CK19, as usually thymoma epithelial cells (EC) do. In addition, the EC showed the CD5 positivity reported for thymic carcinoma of squamous type, and a CD117 positivity (cytoplasmic and membrane staining) also reported for thymic carcinomas. The case is particular in that the mediastinal tumor and the hepatic metastases showed features of both thymoma and thymic carcinoma, thus establishing a correlation between the differently located neoplasias. CXCR4/CXCL12 axis and VEGF are critical for Uveal melanoma progression R. Franco, S. Scala*, S. Staibano**, M. Mascolo**, G. Ilardi**, A. La Mura***, G. Loquercio, E. Fontanella, G. Botti, G. de Rosa** S.C. Anatomia Patologica, Istituto dei Tumori “Fondazione G. Pascale”, Napoli; * S.C. Immunologia, Istituto dei Tumori “Fondazione G. Pascale”, Napoli; ** Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università “Federico II”, Napoli; *** S.C. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “A. Cardarelli”, Napoli Uveal melanoma is the most common ocular tumor of adults. Almost 50% of uveal melanoma patients die of metastatic disease. The peculiar metastatisation in uveal melanoma through emathogen dissemination highlight the role of neoangiogenesis and migration, in which CXCR4/CXCL12 axis and VEGF play an important function. 189 CXCR4-CXCL12-VEGF were detected by immunohistochemistry in 53 samples of uveal melanoma. Correlations with main clinic-pathological features were evaluate, as well as their potential impact on overall survival and disease-free survival. Moreover immunohistochemical and mRNA expression were evaluated in liver metastasis of two patients in our series. CXCR4 staining was present in 22 cases (41.4%) and significantly correlates with neoplastic progression and VEGF expression, while CXCL12 expression was positive in 23 cases (43.4%) and significatively correlated to tumor diameter and to the epithelioid-mixed cytotype. VEGF expression was positive in 21 (39.6%). Neither single protein expression neither their combined expression did not affect DFS and OAS. Moreover liver metastasis showed increased CXCR4 expression. Although CXCR4-CXCL12-VEGF expression in uveal melanoma failed to identify high risk patients, cross-interaction of CXCR4-CXCL12 axis and VEGF seem to have a role in uveal melanoma progression, adding prognostic information on this group of patients. Pseudoparasites in histological specimens F. Rivasi, S. Pampiglione* Department of Pathologic Anatomy and Forensic Medicine, Section of Pathological Anatomy, University of Modena and Reggio Emilia, Modena, Italy; * Department of Veterinary Public Health and Animal Pathology, University of Bologna, Italy Introduction. Various materials including unfamiliar cell fragments, abnormal conglomerates, mineral concretions, Curschmann spirals, extraordinary elements, artefacts and foreign material of vegetable origin, will be encountered by pathologist during tissues examination 1. Unfortunately, because of the wide range of possibilities, it is not always easy to identify these structures that sometimes show one vague or even strong resemblance to parasitic organisms or their eggs 2. Differential diagnosis from this material with parasites should be therefore considered. The aim of this paper is to focus on this diagnostic problem by illustrating histological findings with the presence of these structures. Materials and methods. The investigation was carried out between January 2000 and June 2007. 100 formalin-fixed, paraffin embedded histological tissue specimens (60 appendicectomy, 12 intestinal wall surgical specimens, 18 colectomy, and omentectomy, peritoneal biopsies, pleuropulmonary biopsies, conjunctival biopsies and 2 prostatectomy cases, respectively), exhibiting sometimes acute and/or chronic granulomatous inflammation with evidence of elements mimicking parasites, were retrieved from the archives of the Anatomic Pathology of Modena. 58 patients were females while 42 were males, ages raging from 24 and 78 years (mean 65 years). The histological specimens were routinely processed and stained. Each specimen was also assessed for the type and number of inflammatory cells in order to evaluate the degree of the pathological changes correlated to the presence of the pseudo-parasitic elements and to the clinical data. The histopathological slides were reviewed by the authors, one being a histopathologist (FR), the other (SP) a parasitologist, who paid particular attention to the histological and possible parasitological aspects. POSTERS 190 Results. The pseudoparasites found in the lumen of the appendix, in the serosa or submucosa of intestinal tract, in the peritoneum, omentum, pleura and lung were of vegetal origin. These elements were referable to plant structures, plant debris, starch grains, plant spiral fibres, trachaee, small seeds or pollen grains, They were often isolated, sometimes grouped in nests or in columns. The vegetal cells show thin walls and a thin layer of clear transparent cytoplasm around a large central nucleus. The nuclei were sometimes oblong, moderately hyperchromatic and homogeneously coloured. The plant debris, stark grains, or pollen grains are thought to be some kind of parasite egg. The plant structures were mistaken with sections of helminthes or with fragments of arthropod. These elements in histological sections were often observed inside a granuloma with the presence of giant multinucleated foreign body type cells. The elements observed in glandular lumen of the prostate, in the conjunctiva, in the endometrium were referred to stratified concretions of mucoid material, partially calcified. They were often mistaken for eggs of various helminth worms. Unfortunately it is not always possible to identify all the nonparasites elements, because of the numerous range of possibility and of the inadeguate palinological and botanical knowledgés. Conclusions. This study can be useful to pathologists because, by giving findings of non-parasite objects, it can help to correctly interpret the presence of foreign material in histological specimens in order to avoid diagnostic errors. References 1 Ash LR, Orihel TG. Atlas of human parasitology. Am Soc Clin Pathol Press Singapore 2007. 2 Orihel TG, Ash LR. Parasites in human tissues. Am Soc Clin Pathol Chigago-Hong Kong 1995. Medullary thyroid microcarcinoma. A case report N. Scibetta, L. Marasà ARNAS Civico “Di Cristina, Ascoli”, Palermo; Servizio di Anatomia Patologica, Italy Introduction. Medullary thyroid microcarcinoma is a thyroid tumor measuring 1 cm or less. Papillary microcarcinoma is the most common subtype, often identified incidentally in a thyroid removed for multinodular goiter or diffuse processes (eg, thyroiditis), whereas medullary thyroid microcarcinomas (microMTC), are very rare. A number of microMTC are discovered in patients members of familial-MTC or MEN-II kindred. The discovery of a microMTC as sporadic tumor is even rarer. Very little information is available about occult microMTC pathological features and outcome. Methods. A 26 years-old woman with a unique subcentimetric palpable thyroid nodule has been subjected to fine needle aspiration biopsy (FNAB). The presence of cellularity higher than that found in the usual hyperplastic nodule and of highly hyperchromatic nuclei with oncocytic cytoplasm suggested the presence of oncocytic neoplasm. A total thyroidectomy was made. The specimens, constituited by thyroid and by 4 pericapsular lymph nodes, were fixed in 10% buffered formalin, and paraffin embedded. Sections were stained with H&E, Congo red stain and argyrophilic stains. Immunohystochemical staining for low-molecular-weight keratin, CEA, NSE, chromogranin A, synapthphysin, thyroglobulin, calcitonin, TTF, BCL2, MIB 1 (KI 67), S100 was performed. Results. Grossly the tumor was solid, firm, and non encapsulated but relatively well-circumscribed, located in the right upper half of the gland, with maximum diameter of 0.8 cm. Microscopically showed a prominent central sclerosing area with calcifications, and a lobular proliferation of polygonal and splindle shaped cells, separated by varyng amounts of fibrovascular stroma. Tumor cells contain round to oval regular nuclei, and mitotic figures are scant. The cytoplasm is granular, amphophilic. Several benign thyroid follicles are entrapped in the tumor. The congo-red stain no showed amyloidosis, and the cells were only weakly positive for calcitonin, diffusely positive for keratin, CEA, and pan-endocrine markers such as NSE, chromogranin A, synapthophysin, TTF and argyrophilic stains, negative for thyroglobulin. A lymph node showed a metastasis. This tumor that was devoid of amyloid, weakly positive for calcitonin and negative for thyroglobulin and positive for NSE and chromogranin was viewed as poorly differentiated (“calcitonin free”) variant of medullary carcinoma. The patient showed a normal postoperative basal calcitonin, and family screening showed no sign of MEN II or abnormal CT level. Two years after the surgery she did not show any local recurrence or metastasis. Conclusions. Although specific survival rate and percentage of biological cure in micro-MTC are significantly better than for larger tumors, the frequency of lymph-node involvement, however, justifies an aggressive surgical approach, and a long-term follow-up that strongly relies on regular CT measurement. Sistemi informativi a supporto della gestione della strumentazione A. Comi Servizio di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “San Paolo”, Milano, Polo Universitario, Università di Milano I servizi di Ingegneria Clinica garantiscono, all’interno delle strutture sanitarie e ospedaliere l’utilizzo sicuro, appropriato ed economico delle apparecchiature biomediche. Un efficace servizio di Ingegneria Clinica è in grado di: effettuare i collaudi di accettazione, realizzare l’inventario tecnico ed economico, effettuare gli interventi di manutenzione preventiva e correttiva, svolgere periodicamente le verifiche di sicurezza ed i controlli di qualità, ottimizzare il risk management, fornire consulenza sugli acquisti e contribuire a definire i piani di rinnovo della strumentazione. Il sempre maggior livello di complessità e numerosità assunto dal parco tecnologico all’interno delle strutture sanitarie comporta la necessità di sistemi informativi che supportino non solo la gestione inventariale ma costituiscano anche uno strumento per il mantenimento della sicurezza e dell’efficienza delle tecnologie. Numerosi sistemi informativi si sono evoluti negli ultimi anni, attraverso la gestione di un numero sempre più ampio di informazioni. Molte Aziende Ospedaliere possiedono oggi sistemi più o meno sofisticati per l’acquisizione, il controllo e l’analisi dei dati di funzio- POSTERS namento della strumentazione. Sistemi di questo tipo consentono di analizzare la manutenzione sotto tutti i punti di vista: migliorare la manutenzione ordinaria, ridurre quella correttiva, fornire un supporto ideale per la stesura di consuntivi e relazioni richieste dagli organi ispettivi, sia al fine della sicurezza che della qualità. Non in tutte le realtà però vi è la possibilità di rendere disponibili queste informazioni anche a professionalità diverse dai principali utilizzatori aziendali (servizi di ingegneria clinica, fornitori di service di manutenzione), quali gli operatori sanitari (medici, biologi e tecnici). In questo lavoro vengono presentate le modalità di impiego del sistema Geos Web introdotto nell’Azienda Ospedaliera “San Paolo” da circa 3 anni ed utilizzato con ottimi risultati dal personale del Servizio di Anatomia Patologica. Poter effettuare un regolare controllo della manutenzione della apparecchiature biomediche significa per l’operatore assicurarsi che la strumentazione sia sempre in perfette condizioni di lavoro e ridurre i possibili rischi di fermo macchina. Nel contesto dell’attività di laboratorio spesso non vi è spazio per inattesi fermo macchina. Quando questo accade, perdite di tempo e denaro si sommano, compromettendo la produttività. Il controllo diretto sul piano di manutenzione da parte degli operatori sanitari è quindi la migliore garanzia di performance della strumentazione. Due casi di sedi inusuali di meningiomi extracranici P. Possanzini, T. Brambilla, P. Braidotti, S. Paradisi*, L. Moneghini Università di Milano, Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, e Azienda Ospedaliera “San Paolo”; * Chirurgia Maxillo-Facciale-Chirurgia Cervico-Maxillo-Facciale, I Istituto Ortopedico “Galeazzi”, Milano Il meningioma è una neoplasia tipica del sistema nervoso centrale che può manifestarsi in sede extracranica a seguito di una diffusione per contiguità o continuità. Raramente il distretto testa/collo è la sede primitiva d’insorgenza della neoplasia. All’inizio del 2006, durante l’esame intraoperatorio di due interventi di chirurgia maxillo-facciale, è stato possibile osservare due neoplasie istologicamente simili che, all’esame definitivo, sono state diagnosticate come meningiomi extracranici primitivi. Il primo caso riguardava una paziente di 39 anni con una tumefazione della regione temporale destra; il secondo caso una donna di 69 anni con una neoformazione in sede parotidea sinistra. L’esame estemporaneo intraoperatorio mostrava, in entrambi i casi, una neoformazione a crescita infiltrativa formata da linee epiteliomorfe, aggregate in spirali e lobuli, separate da fasci di cellule fusate; le cellule neoplastiche presentavano scarso polimorfismo e diffuse inclusioni nucleari. L’esame definitivo ha confermato l’origine meningea di entrambe le neoplasie; tuttavia, data l’eccezionalità del caso, abbiamo eseguito le colorazioni immunocitochimiche per l’Antigene Epiteliale di Membrana, la Vimentina, e la proteina S-100. L’esame ultrastrutturale ha inoltre evidenziato la presenza di processi citoplasmatici con complesse interdigitazioni uniti da piccoli desmosomi. 191 La sede nel muscolo temporale di un meningioma primitivo è stata segnalata in letteratura in vari case report 1; al contrario, quella parotidea 2 deve considerarsi assolutamente eccezionale in quanto, a nostra conoscenza, questo è solo il secondo caso descritto fino ad ora. Bibliografia 1 Thompson L, et al. Mod Pathol 2003;16:236-45. 2 Wolff M, Rankow RM. Hum Pathol 1971;2:453-9. Valutazione spertimentale in vivo di nanoparticelle lipidiche solide (NLS) come carrier di farmaci intraoculari P. Braidotti*, F. Viola**, D. Galimberti**, O. Pala*, P. Possanzini*, L. Moneghini* * ** Università degli Studi di Milano, Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Milano * Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, e A.O. San Paolo, ** Dipartimento di Scienze Otorinolaringologiche e Oftalmologiche . La somministrazione di farmaci che devono raggiungere la retina avviene, di norma, per via sistemica; sono necessari quindi alti dosaggi che possono essere mal tollerati provocando effetti collaterali indesiderati. Con questo esperimento preliminare si vuole valutare l’uso alternativo di NLS come carrier di farmaci intraoculari. A tale scopo sono stati instillati nel sacco congiuntivale di 24 conigli pigmentati, 50 microlitri (una goccia di 25 microlitri x 2 a 60 secondi di intervallo) di NSL bianche e fluorescenti (Fluo SLN) caricate con 6-cumarina senza principi attivi, in formulazione adatta alla somministrazione topica, secondo la procedura brevettata e già descritta da Nanovector s.r.l. Gli animali sono stati sottoposti in vivo ad esame biomicroscopico con lampada a fessura alla valutazione della superficie oculare e all’esame del fundus dopo 1 e 15 minuti e 1, 6 e 24 ore dalla somministrazione topica. Gli animali sono stati sacrificati (ai tempi 15 minuti e 1, 6 e 24 ore) ed enucleati e i relativi tessuti oculari sottoposti ad esame istologico, ultrastrutturale e microscopico a fluorescenza. Si è successivamente proceduto a creare NLS inglobanti un farmaco cortisonico. Una sospensione di 50 microlitri (una goccia di 25 microlitri x 2 a 60 secondi di intervallo) è stata somministrata per via topica in 4 conigli pigmentati. A 2 ore dalla somministrazione gli animali sono stati sacrificati ed enucleati e i relativi tessuti oculari in studio sottoposti a dosaggio del farmaco nei tessuti in studio con HPLC. Non sono state rilevate alterazioni né istologiche né ultrastrutturali a carico dei tessuti oculari esaminati (congiuntiva, cornea, retina) dopo somministrazione per via topica di NSL senza principi attivi in formulazione adatta alla somministrazione topica. Si è inoltre accertato che le Fluo SLN sono presenti sulla cornea allo stato particellare mentre, sulla retina, danno una positività di fluorescenza con pattern diffuso. Questi studi preliminari dimostrano che le NLS possano essere utilizzate come carrier di farmaci intraoculari. Sono in corso ulteriori studi sulla biodisponibilità del farmaco nei diversi tessuti oculari. PATHOLOGICA 2007;99:192-196 Neuropatologia Adult-onset chordoid meningioma. Report of 3 additional cases M. Bisceglia, M. Castelvetere, M. Bianco*, V.A. D’Angelo* * Department of Pathology and Neurosurgery, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo, Italy Introduction. Chordoid meningioma (CM) is a rare subtype of meningioma (< 0.5% of all meningiomas). It was first described in 1988 in young 1. Clinically this “young-onset” subtype was accompanied by systemic manifestations of the Castleman’s disease (CD). Histologically – in addition to the chordoid morphology – a peritumoral, conspicuous, polyclonal lymphoplasmacellular infiltration (l.p.i.) with lymph follicles and germinal centers was initially described. In 2000 the “adult-onset” variant (AV) of CM was reported 2. At histology this AV, also known as myxoid or mucinous meningioma, is mostly unaccompanied by conspicuous l.p.i. and clinically free of any systemic manifestations. The relationship between the two variants is unclear. Sofar 77 total cases have been described of both variants, 14 in the I-II decades and 63 in adulthood (59 in the IV-VIII decades, 4 in the III). Manifestations of CD were seen in 8 pediatric cases and in 1 adult. Absence of CD was recorded in 64 cases, and in the remaining 4 this datum was not given. Conspicuous l.p.i. has been described in 8 pediatric and 1 adult cases associated with signs of CD; mild to moderate l.p.i. was recorded in 2530 cases, and severe l.p.i. in few; absence of l.p.i. was recorded in the rest 40. Sofar only 3 large series have been published with 7, 42, and 12 cases reported, respectively, all the rest of publications being represented by single case reports, except 2. Design. We present herein 3 new cases in support of this AV of CM, 2 males and 1 female (age: 53, 67, and 71 yrs, respectively). The location of tumor in 2 was in the supratentorial (prechiasmal, left parietal) and in 1 in the infratentorial (right cerebellar) compartments. All cases presented with site-based neurological signs. All patients were surgically operated and tumors totally removed (size: 2.5, 4, and 7 cm each). Results. All tumors were histologically examined. Chordoidmyxoid pattern constituted > 60% of the entire tumor in 1 case and was pure in 2. No l.p.i. was seen. All cases were immunohistochemically studied (+ve for vimentina, EMA, S100-pr, and -ve for CK w.s., and GFAP; MIB-1 was 2-4%) and diagnosed as CM. In the 2 pure cases chordoma and metastatic mucinous carcinoma had to be excluded. No case had signs of CD. No case recurred. Conclusions. AV of CM is more frequent than the young-onset variant; both absence of histological l.p.i. and clinical signs of CD are usual. The d.d. includes chordoma and mucinous carcinoma. References 1 Kepes JJ, et al. Cancer 1988;62:391-406. 2 Couce ME, et al. Am J Surg Pathol 2000;24:899-905. Distribuzione dell’mRNA del gene SEZ6 nella corteccia fetale e nel cervello adulto postmortem E. Reisoli, M. Ori, F. Becherini*, V. Nardini*, M. Castagna*, I. Nardi, M. Pasqualetti Unità di Biologia Cellulare e dello Sviluppo, Dipartimento di Biologia, Università di Pisa; * Anatomia Patologica III, Dipartimento di Chirurgia, Università di Pisa Introduzione. Numerosi fattori genetici sono coinvolti nel controllo dei meccanismi che regolano lo sviluppo ed il funzionamento della corteccia cerebrale. È noto che mutazioni a carico di alcuni di questi geni, provocano malformazioni corticali che sono alla base di gravi patologie quali l’epilessia. Nel corso di uno screening differenziale volto ad identificare geni correlati a stato epilettico è stato isolato il gene SEZ6 di topo 1. Pur non essendo noto il ruolo funzionale di SEZ6, la presenza della sua espressione nel sistema nervoso centrale durante l’embriogenesi del topo, suggerisce un suo potenziale coinvolgimento nei meccanismi che regolano lo sviluppo del cervello. Nel presente lavoro abbiamo studiato l’espressione genica di SEZ6 in tessuti cerebrali umani fetali e adulti. Metodi. Un frammento di cDNA del gene SEZ6 umano è stato ottenuto mediante RT-PCR ed utilizzato per la preparazione di sonde antisenso in esperimenti di ibridazione in situ su sezioni ottenute da campioni autoptici di encefalo sia fetale (28 e 39 settimane di gestazione) che adulto. Le sonde ad RNA sono state marcate sia con 35S che con digossigenina (Dig). Risultati. I risultati hanno mostrato che l’mRNA di SEZ6 è presente con un profilo di espressione dinamico durante lo sviluppo dell’encefalo e specifico per le diverse aree analizzate. A 28 settimane di gestazione, nella corteccia in via di sviluppo, SEZ6 mostra un’espressione diffusa in tutta la piastra corticale ed in una sottopopolazione di cellule nella zona intermedia. A 39 settimane di gestazione, il livello di espressione di SEZ6 diminuisce in maniera significativa restringendosi agli strati corticali più profondi. Nell’adulto, SEZ6 si esprime nelle regioni corticali analizzate con un profilo analogo a quello riscontrato a 39 settimane. Nell’encefalo adulto l’analisi è stata estesa alla regione dell’ippocampo ed ha mostrato la presenza di SEZ6 nel giro dentato, nel campo CA1 e CA3 del corno di Ammone e nel subiculum. Conclusioni. I dati ottenuti costituiscono il primo studio di espressione genica del gene SEZ6 nell’uomo, sia durante lo sviluppo fetale che nell’adulto. Questi dati, rappresentano una base di partenza importante per studi futuri volti a chiarire sia il suo ruolo funzionale durante lo sviluppo del cervello, sia il potenziale coinvolgimento in stati patologici come l’epilessia. Bibliografia 1 Shimizu-Nishikawa K, et al. Brain Res Mol Brain Res 1995;28:20110. POSTERS 193 “Lymphoplasmacyte-rich” meningioma. Descrizione di un caso e revisione della letteratura Microglia impairment in the central nervous system of DAP12 knock-out mice reflects a role for DAP12 in microglia survival L. Riccioni, R. Donati*, M. Sintini**, S. Cerasoli P.L. Poliani, I.R. Turnbull*, W. Vermi, M. Colonna*, F. Facchetti U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena; * U.O. Neurochirurgia, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena; ** Dipartimento di Radiologia Medica Diagnostica ed Interventistica, Presidio Ospedaliero “Rimini Santarcangelo” Introduzione. Il meningioma ricco in linfociti e plasmacellule (c.d. “lymphoplasmacyte-rich”) (LPRM) è una variante istologica di meningioma, di grado I secondo la classificazione dell’O.M.S., in cui la componente cellulare meningoteliale neoplastica è mascherata da un infiltrato infiammatorio massivo costituito da plasmacellule, follicoli linfoidi e sparsi istiociti. Descriviamo un caso di LPRM, con revisione della letteratura pertinente. Caso clinico. Donna di 46 anni, alla quale una risonanza magnetica cervicale, eseguita in seguito al perdurare di brachialgia destra, aveva riscontrato una lesione localizzata all’altezza dei metameri vertebrali C5 e C6 che apparentemente interessava lo spazio epidurale, con parziale estensione nel canale neurale omolaterale. L’intervento neurochirurgico con laminectomia C4 parziale, C5 e C6, evidenziava uno spazio peridurale integro ed asportava in modo apparentemente radicale una lesione ad origine durale “en plaque” di cm 1,5 di asse maggiore. La paziente dopo 6 mesi dall’intervento appare libera da malattia. Risultati. All’esame istologico la neoplasia risulta costituita da una proliferazione di cellule meningoteliali, positive all’indagine immunoistochimica per antigene epiteliale di membrana (EMA) e vimentina, disposte in nidi vorticoidi e dispersi in un contesto infiammatorio costituito in prevalenza da plasmacellule mature policlonali e piccoli linfociti con immunofenotipo B e T. I reperti morfologici ed immunoistochimici hanno suggerito la diagnosi di LPRM. Conclusioni. Il LPRM è una rara variante di meningioma, del quale a tutt’oggi sono stati descritti 20 casi in letteratura, con insorgenza preferenziale tra la II e la IV decade, talora in associazione ad ipergammaglobulinemia ed anemia 1. Tra i casi descritti, uno insorto in età pediatrica, mostrava caratteristiche di invasività locale ed atipia. Il LPRM deve essere distinto da processi linfoproliferativi con ricca componente plasmacellulare e da lesioni infiammatorie non neoplastiche, quali il granuloma plasmacellulare e la pachimeningite idiopatica infiammatoria 2, che si possono accompagnare ad iperplasia meningoteliale reattiva e che richiedono un differente approccio terapeutico. La valutazione della clonalità dell’infiltrato linfo-plasmacellulare e l’entità e la morfologia della componente meningoteliale, suggeriscono il corretto inquadramento diagnostico della lesione. Bibliografia 1 Bruno MC, Ginguene C, Santangelo M, Panagiotopoulos K, Piscopo GA, Tortora F, et al. Lymphoplasmacyte rich meningioma. A case report and review of the literature. J Neurosurg Sci 2004;48:117-24. 2 Hirunwiwatkul P, Trobe JD, Blaivas M. Lymphoplasmacyte-rich meningioma mimicking idiopathic hypertrophic pachymeningitis. J Neurol-Ophtalmol 2007;27:91-4. Department of Pathology, University of Brescia, Italy; * Department of Pathology and Immunology, Washington University School of Medicine, St. Louis, MO, USA Introduction. DAP12 is a signaling adaptor protein that associates with a family of receptors expressed on the surface of leukocytes including the TREM family of receptors expressed on granulocytes and macrophages. Genetic mutations of human DAP12 gene result in a rare syndrome with no obvious immune defects but characterized by bone cysts and presenile dementia, the polycystic lipomembranous osteodysplasia with sclerosing leukoencephalopathy (PLOSL), so called Nasu-Hakola disease. Since DAP12 is expressed in cells of myeloid origin, it is suggested that DAP12 may regulate the function of osteoclasts and microglial cells, which share a myeloid origin and are critical for bone re-modelling and brain function, respectively. Similarly to PLOSL patients, DAP12 defient mice have defects in both central nervous system (CNS) and bone, two tissues invested with resident cells of the mononuclear phagocyte lineage: osteoclasts and microglia. We have previously shown that macrophages from DAP12-/- mice undergo rapid apoptosis and in bonemarrow chimera experiments DAP12-/- cells less efficiently repopulated both bone-marrow and peripheral tissues. To better investigate this issue we studied the microglia morphology and distribution in the CNS of DAP12-/-, Trem2-/-, DAP10,12-/- and DAP10,12,FcER-/- mice. Methods. Brains and spinal cords from both knock-out and wild type mice at different age (newborns, 10-12 and 21 months old) have been collected and processed for paraffin embedding. Serial sections from all the CNS of the animals have been submitted to neuropathological examination and immunostained for different microglal markers (F4/80, Iba1, BS-I isolectin B4). Results. Neuropathological analysis of the knock out mice didn’t show major alterations with the exclusion of focal areas of hypomyelination, mild gliosis and calcifications in the oldest mice. Microglia have been found to be widespread expressed throughout all the CNS of the control mice with a prevalence in some regions (basal ganglia, cerebellum, hippocampus, fimbria-fornix). In contrast, an age dependent microglia impairment have been revealed in all the DAP12, the double DAP10/12 and the triple DAP10/12/FcER knock out mice with a dramatic loss in the older mice. Noteworthy, the Trem2 knock out mice didn’t show any microglial alterations. Interestingly the residual microglial cells showed a dystrophic morphology with loss of bundles and degenerating appearance (beading, fragmentation, nuclear condensation). Conclusions. These data suggest a new role for the DAP12 protein in the survival of microglial cells. This is particularly relevant in the CNS, where replenishment of microglia is limited by capacity of bone-marrow derived monocytes to cross the blood brain barrier and defective microglial cell function might be contribute to the etiopathognesis of PLOS. POSTERS 194 Immunophenotipical characterization of targeted dendritic cell vacciantion to glioblastoma derived cancer stem cell * Cav-1 expression is correlated with microvessel density in human meningiomas V. Barresi, S. Cerasoli*, G. Barresi, G. Tuccari * P.L. Poliani, S. Pellegatta , M. Ravanini, G. Finocchiaro , F. Facchetti Department of Pathology, University of Brescia, Italy; * Department of Experimental Neuro-Oncology, National Neurological Istitute “C. Besta”, Milan, Italy Introduction. A novel intriguing scenario in tumor biology implies that only a subgroup of cells is endowed with properties that are necessary to perpetuate tumor growth. These cells would recapitulate the role of progenitor stem cells during development and the neoplastic phenotype would then be the result of aberrant organogenesis. The presence of cancer stem-like cells (CSC) has been proposed in leukemias, breast cancer, brain tumors and, more recently, in other neoplasms. Only CSC were able to grow indefinitely in vivo and invariably reproduce the human parental tumor when injected in immunodeficient mice. An important consequence of the CSC model for tumor growth would be that only the targeting of the highly malignant CSC tumor subsets would be able to eradicate the tumor. Methods. To tests this hypothesis we first developed a brain tumor model based on CSC paradigm. We isolated under specific culture conditions CSC from murine GL261 glioblastoma (GBM) cell line, expressing high levels of stem cell markers, growing as neurospheres, and we stereotactically inoculated these cells into the brain of syngenic mice. This animal model have been then used to establish a novel immunotherapeutic protocol using dendritic cells (DC) loaded with GBM neurospheres containing CSC (DC-NS) or total murine glioblastoma (GBM) lysates (DC-GBM). Statistical studies on survival and histopathological and immunophenotipical evaluation have been performed. Results. Glioblastoma derived neurospheres with CSC features showed robust tumor formation in vivo and a more aggressive infiltrating behaviour, with lower survival compared to controls, injected with the parental GL261 glioblastoma (GBM) cell line. MRI and histology confirmed the data. Strikingly, dendritic cells pulsed to neurospheres (DC-NS) protected mice against tumors from both the highly aggressive GBM derived from CSC and the classical model. Dendritic cells pulsed to the total lysate (DC-GBM), on the contrary, only afforded a partial protection. Histopathological analysis showed that DC-NS vaccination was associated with robust tumor infiltration by CD8+ and CD4+ T lymphocytes and signs of tumor rejection. Conclusions. These findings suggest that DC targeting of CSC provides a higher level of protection against GBM, even in the presence of an highly aggressive model, a finding with potential implications for the design of future clinical trials based on DC vaccination. Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina, Italy; * U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena, Italy Introduction. Caveolin-1 (Cav-1) is a 22 KDa protein, mainly expressed in the endothelium, smooth muscle cells, in adipocytes and in fibroblasts. It exerts an essential but dual role in the regulation of cell proliferation and functions as either a pro-tumorigenic or a tumour suppressor factor in human malignancies. Recently, Cav-1 immuno-expression in neoplastic cells has been significantly correlated with tumour microvessels density (MVD) in renal cell carcinoma and in mucoepidermoid carcinoma of the salivary glands. Since we previously demonstrated Cav-1 potential pro-tumorigenic and negative prognostic role in human meningiomas, the aim of the present study was to analyze Cav-1 expression in a series of meningiomas and to correlate it with MVD measured by the specific marker for neo-angiogenesis CD105. Methods. 62 cases of meningiomas, classified according to WHO 2000, were submitted to the immunohistochemical analysis for CD105 and for Cav-1. CD105 stained vessels were counted (400X) in the three most vascularized areas and the mean value of three counts was recorded as the MVD of the section. For each case, a Cav-1 ID score was also generated by multiplying the value of the area of staining positivity (ASP: 0 = < 10%, 1 = 11-25%, 2 = 26-50%, 3 = 51-75%, 4 = > 75%) and that of staining intensity (SI: weak = 1, moderate = 2 and strong = 3). Chi-squared and Mann-Whitney tests were used to assess correlations between clinico-pathological parameters and Cav-1 ID scores or MVD counts. The correlation between MVD and Cav-1 ID scores was tested by using Mann-Whitney and Spermann correlation tests. Kaplan Meier method was applied to evaluate the prognostic significance of Cav-1 expression, MVD and other clinico-pathological parameters on overall and recurrence-free survival. Results. A significantly higher MVD was encountered in cases displaying a higher Cav-1 ID score (p = 0.0001). Furthermore, a significant positive correlation emerged between Cav-1 ID scores and MVD counts (r = 0.390; p = 0.0023). Higher MVD counts and higher Cav-1 ID scores were significantly associated with a higher histological grade and Ki67 LI and with a shorter overall and recurrence-free survival to meningiomas. Conclusions. The correlation between a higher Cav-1 expression in the neoplastic cells and tumour MVD may indicate the role of the former as a regulator of neo-angiogenesis in meningiomas. This might be the mechanism underlying Cav-1 behaviour as a negative prognostic factor in meningiomas. POSTERS Adenomi ipofisari recidivi valore prognostico del Mib-1 e della p53 C.F. Gheri, A.M. Buccoliero, F. Garbini, E. Zappulla, F. Castiglione, D. Moncini, F. Ammannati*, P. Mennonna*, G.L. Taddei Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università di Firenze; * Unità Operativa di Neurochirurgia, AOU Careggi, Firenze I tumori primitivi dell’ipofisi rappresentano il 6-10% di tutti i tumori intracranici sintomatici. Nella pressoché totalità dei casi si tratta di adenomi. I carcinomi sono infatti un’entità estremamente rara. Gli adenomi ipofisari vengono distinti in tipici ed atipici in relazione al tipo di crescita espansiva o invasiva, all’indice di proliferazione cellulare (MIB-1) inferiore o superiore al 3% ed alla assenza o presenza della sovraespressione immunoistochimica della proteina p53. La combinazione di questi caratteri è stata infatti associata con una tendenza significativamente maggiore all’invasività ed alle recidive. Scopo della nostra ricerca è stato valutare il valore predittivo del Mib-1 e della p53 negli adenomi ipofisari in relazione alle recidive. Di 5.080 casi neurochirurgici oncologici giunti alla nostra osservazione nel periodo gennaio 1995-giugno 2006, 371 (7%) erano adenomi ipofisari, 13 (3%) dei quali recidivi. L’indice di proliferazione Ki-67 e l’espressione della p53 valutati nella lesione primitiva dei 13 casi recidivati sono stati confrontati con un campione di 100 adenomi ipofisari consecutivi non recidivati. Da questo confronto emerge una differenza statisticamente significativa sia nell’espressione di p53 che dell’indice di proliferazione cellulare degli adenomi recidivati rispetto ai controlli. In base alla nostra esperienza p53 e Mib-1 si candidano pertanto quali possibili fattori prognostici predittivi di un più alto rischio di recidiva negli adenomi ipofisari. Multidrug resistance P-glycoprotein expression in human fetal brain S. Fattori, F. Becherini, V. Nardini*, M. Cianfriglia**, M. Castagna Pathological Anatomy III, Department of Surgery, University of Pisa, Italy; * Pathological Anatomy III, A.O.U.P., Pisa; Italy ** Department of Drug Research and Evaluation, Istituto Superiore di Sanità, Rome, Italy Introduction. Multidrug resistance 1 gene (MDR1), encoding for P-glycoprotein (P-gp) is a transmembrane ATP dependent protein associated with multidrug resistance in cancer cells and it is also phisiologically expressed in several organs, such as adrenal, intestine, respiratory epithelium, placenta and brain. The finding of Pgp expression in a variety of normal tissues with diverse physiological functions suggests that the role of Pgp may not be limited to excretion of xenobiotics. Hence Pgp may play an important role as a protective tissue-blood barrier in several organs and conditions including the brain cells of the fetus. Methods. In this study we investigated P-gp expression in human brain tissues at different developmental stages of fetal life (between the 13 and 39 weeks of gestation), by im- 195 munohistochemical technique. In particular we used a purified form of the monoclonal antibody MM4.17, that has been shown to react with unique specificity and affinity with the external domain of MDR1-P-gp. Results. Immunodetection of P-gp was observed not only in endothelial cells of brain capillary, but also in brain cells. The more interesting results were found into the meningeal, choroid plexus and in the neuronal cells of ponto-mesencephalic nuclei. Conclusions. These findings confirm that MDR1-P-gp may play an important role in the endothelial cells of the brain pumping out xenobiotics from endothelial cells into the lumen of capillaries for the protection of the brain parenchyma and protecting fetal brain against toxic agents or maternal metabolic products during the intrauterine development. Furthermore P-gp could have an hypothetical role in important physiologic process taking place in early developmental stages of fetus life. Finally, understanding the presence of this protein and the mechanisms of it’s functions both in the placenta and in the brain fetal cells could be essential for optimization of pharmacotherapy during pregnancy. Epilepsy surgery: unusual association of meningioangiomatosis with DNET F. Becherini, A. Iannelli*, C. Marini**, T.S. Jacques***, B. Harding***, M. Castagna*** Department of Surgery, Anatomical Pathology Unit III, University of Pisa, Italy; * Neuroscience Department, Neurosurgery Unit, University of Pisa, Italy; ** Child Neurology Unit, Pediatric Hospital “A. Meyer” University of Florence, Italy; *** Department of Histopathology, Great Ormond Street Hospital NHS Trust, London UK Meningioangiomatosis (MA) is a rare lesion involving the cortex and the overlying leptomeninges, resulting from a proliferation of superficial cortical vessels and perivascular spindle cells. While most case are sporadic, the association of MA with neurofibromatosis type 2 (NF2) is well recognised. Cases usually present with seizures or headaches. MA has been observed in association with focal brain lesions such as meningiomas, schwannomas, low-grade gliomas and vascular malformations. We describe a mixed lesion comprising of MA and a Dysembryoplastic Neuroepithelial Tumour (DNET). A 4 year-old male with no family history of NF2 presented with a single, secondarily generalized, complex partial seizure. EEG recordings showed an excess of slow and sharply contoured activity in the left centro-parieto-occipital region and bursts of sub-clinical intermittent rhythmic activity lasting about 20 seconds. An MRI of the brain showed two distinct lesions in the mesial-temporal and temporo-opercolum-subinsularis regions, characterized by an increased Apparent Diffusion Coefficient (ADC), hyperintensity in long-TR images and hypointensity in T1-weigheted images. The remaining part of the lesion involving the cortex looked slightly hyperintense and coexisted with a pseudopachygyric aspect with loss of interdigitations between white matter and the overlying circumvolutions. The child underwent to temporal lobectomy, with sparing of the hippocampus. The resection consisted of firm temporal lobe with discoloured cortex and gelatinous, greyish sub-cortical areas. Microscopy revealed two distinct pathological findings. Cor- POSTERS 196 tical architecture was disarranged due to proliferation of thinwalled blood vessels, surrounded by cuffs of spindle cells, sometimes organized in areas with a rhythmic palisading pattern. These features were typical of MA of “predominantly cellular type”. The second pathology consisted of nodules of small, round “oligodendrocyte-like” cells set against a loose myxoid stroma which showed areas of pseudocyst formation. Scattered residual neurones were found, but the “specific glio-neuronal element” was not seen. Morphological and immunophenotypical features were suggestive of a DNET. To our knowledge this association has never been described and represents an interesting combination of two different diseases with uncertain histogenesis. L’espressione di caveolina-1 correla con grado e sopravvivenza di ependimomi spinali e intracranici: presupposti per la definizione di un nuovo fattore prognostico in NeuroOncologia R. Senetta, L. Chiusa, R. Lupo, C. Miracco*, E. Armando, G. Bussolati, P. Cassoni Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Università di Torino; * Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Siena Introduzione. Gli ependimomi rappresentano un sottogruppo di neoplasie gliali costituenti circa il 3-5% di tutte le neoplasie intracraniche. Sebbene numerosi studi abbiano tentato di identificare con criteri clinici, istologici, immunoistochimici e molecolari dei parametri con valore prognostico, i risultati ad oggi presenti in letteratura sono discordanti. La caveolina-1 (cav-1) è stata recentemente descritta quale marker associato a tumori gliali (di origine astrocitaria) a maggiore aggressività biologica 1 in accordo con la recente evidenza che uno shift mesenchimale delle cellule gliali possa caratterizzare un fenotipo più maligno 2. Scopo di questo lavoro è valutare l’espressione di cav-1 in una casistica di tumori di origine ependimale e correlarla con sopravvivenza e altri markers immunofenotipici. Metodi. Ventinove casi di ependimoma intracranici e spinali, operati tra il dicembre 2001 e il dicembre 2006, sono stati studiati per valutare l’espressione di cav-1 e di correlarla con parametri istologici (grado sec. WHO, ed. 2003), immunofenotipici (Ki67, p53 ed EGFR) e clinici (OS e DFS). Risultati. Tra i 29 ependimomi studiati, 7 erano di grado I, 13 di grado II e 9 di grado III. La percentuale di espressione di cav-1 nelle cellule tumorali correlava significativamente con il grado (I vs. II: p = 0,007; I vs. III: p = 0,0001; II vs. III: p = 0,0001), a differenza di Ki67 [I vs. III (p = 0,002) altri n.s.] e di EGFR [II vs. III (p = 0,0002) e I vs. III (p = 0,001) I vs. II: n.s.]. L’espressione di p53 non ha presentato una correlazione con il grado tumorale. L’analisi univariata ha evidenziato una associazione significativa del grado tumorale e dell’espressione di p53, Ki67, EGFR e cav-1 (p = 0,0008) con l’OS: tuttavia, in analisi multivariata, la percentuale di espressione di cav-1 > 40% è risultata essere la sola variabile indipendente correlata con l’OS (p = 0,0001). Conclusioni. La cav-1 è il marcatore immunoistochimico che meglio correla con il grado tumorale degli ependimomi ed il solo marker che in analisi multivariata presenti una significativa associazione indipendente con la sopravvivenza del paziente. Nell’insieme, questi risultati offrono le premesse per un utilizzo di cav-1 come fattore prognostico nella diagnostica dei tumori di origine ependimale. Bibliografia 1 Cassoni P, et al. Am J Surg Pathol 2007;31:760-9. 2 Phillips HS, et al. Cancer Cell 2006;9:157-73. PATHOLOGICA 2007;99:197-202 Patologia dei tessuti molli Neurofibroma lipomatoso: descrizione di un raro caso M.P. Cocca, C. Martella, R. Ricco, A. Cimmino Dipartimento di Anatomia Patologica, Azienda Policlinico, Università di Bari Introduzione. Il neurofibroma cutaneo presenta alcune varianti che riflettono la sua modalità di crescita. Di recente, nell’ambito delle forme localizzate cutanee, è stata descritta una nuova entità definita come Neurofibroma Lipomatoso (NL). Il primo caso di NL è stato documentato da Shimoyama e dai suoi collaboratori nel Marzo 2002, seguito da Val-Bernal qualche mese più tardi. Pochi casi, circa una decina, sono stati riportati in letteratura. Presentiamo il caso di una giovane donna di 20 anni con un sospetto clinico di morbo di Recklinghausen, diffuse macchie di color caffelatte sul corpo e portatrice di neoformazione lipomatosa della guancia destra. Metodi. Il materiale bioptico, che consisteva in numerosi frammenti irregolari giallastri, è stato fissato in formalina tamponata al 10%, processato come di routine e incluso in paraffina. Le sezioni ottenute sono state colorate con Ematossilina/Eosina. ed utilizzate per le indagini di immunoistochimica (IIC). Parte del materiale incluso in paraffina è stato poi avviato alle indagini di Microscopia Elettronica. Risultati. L’esame istologico ha rivelato una proliferazione neoplastica costituita prevalentemente da elementi fusati nelle aree neurofibromatose, intimamente frammisti a cellule adipose mature regolarmente disperse, presenti nell’intero campione. Le indagini IIC sono risultate positive per l’S-100, anche nella componente adiposa ed il CD34 nella componente vascolare; focale positività anche per i Neurofilamenti. Negativa, invece è risultata la ricerca dell’EMA. Conclusioni. Localizzato più frequentemente nel distretto testa-collo, il NL è una neoplasia di recente individuazione, an- cora poco descritta, la cui esistenza deve essere però presa in considerazione quando il neurofibroma si presenti in sede sottocutanea. La peculiarità di questa neoplasia è data dal fatto che le cellule adipose intimamente frammiste ai fasci di cellule fusate, più tipicamente neurofibromatose, sono parte integrante del tumore, non già tessuto adiposo infiltrato dallo stesso. Questa neoplasia entra in diagnosi differenziale con l’amartoma cutaneo neurolipomatoso, il lipoma e le sue varianti, il meningioma cutaneo, il nevo neurale in sostituzione adiposa. L’ipotesi istogenetica più accreditata per questo tumore è da riferire ad un processo di metaplasia o di differenziazione adiposa aberrante a partenza da cellule multipotenti migrate dalla cresta neurale. Bibliografia 1 Shimoyama T, et al. Solitary neurofibroma of the oral mucosa: a previously undescribed variant of neurofibroma. J Oral Sci 2002;44:5963. 2 Val-Bernal JF, et al. Cutaneous lipomatous neurofibroma. Am J Dermatopathol 2002;24:246-50. Istiocitoma fibroso angiomatoide: descrizione di un caso ed inquadramento nosografico A. Martorana, G. Pompei, G. Spano, D. Cabibi Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo, Palermo Introduzione. L’Istiocitoma fibroso Angiomatoide (AFH) è un raro tumore dei tessuti molli che si osserva soprattutto nei bambini e nei giovani adulti. Enzinger fu il primo a descrivere questa entità come una variante del fibroistiocitoma “maligno” ma, in considerazione delle caratteristiche cliniche, della prognosi e della sua espressione immunofenotipica, oggi si considera l’AFH come istotipo tumorale a sé stan- Tab. I. Anticorpi utilizzati e principali applicazioni. Anticorpo Casa produttrice Smascheramento Incubazione Applicazioni CD31 Novocastra 30 min. t.a. Cellule endoteliali normali CD34 Novocastra tampone citrato a pH 6 per 30 minuti tris-EDTA 0,1M per 30 min. a pH9 30 min. t.a. CD68 Novocastra 30 min. t.a. Cellule endoteliali normali e neoplastiche; cellule staminali dendritiche della cute Macrofagi e piastrine attivate KI67 Dako 30 minuti t.a. Indicatore della proliferazione cellulare S100 Novocastra 30 min. t.a. Vimentina Dako 30 min. t.a. Melanociti, cellule mioepiteliali, gliali e di Schwann Cellule di natura mesenchimal Desmina Dako 30 min. t.a. Cellule muscolari liscie e striate tampone citrato a pH 6 per 30 minuti tris-EDTA 0,1M per 30 min. a pH9 tris-EDTA 0,1M per 30 min. a pH9 tris-EDTA 0,1M per 30 min. a pH9e tris-EDTA 0,1M per 30 min. a pH9 198 te e con grado di malignità intermedio 1. Numerosi autori hanno concentrato la loro attenzione sulla possibile istogenesi di tale neoplasia, ma ad oggi l’argomento è ancora dibattuto. Il nostro caso si pone a sostegno dell’ipotesi istogenetica formulata da Silverman sulla possibile natura istiocitaria della neoplasia, basata sulla positività della lesione al CD34 inteso come marcatore di primitive cellule dendritiche simil-fibroblastiche, che persistono nel mesenchima adulto 2. Un uomo di 30 anni presentava sul braccio destro una neoformazione nodulare asintomatica, mobile sui piani sottostanti, centralmente rilevata e di colorito bianco madreperlaceo, con una pigmentazione periferica disomogenea. Macroscopicamente descritta come ben delimitata e multilobata, ha rivelato, in sezione, spazi cistici di aspetto irregolare e contenenti sangue. Istologicamente la lesione era costituita da una popolazione monomorfa di cellule istiocito-simili alcune delle quali con lievi atipie e con basso indice mitotico e da fenditure emorragiche bordate da cellule tumorali appiattite. In periferia era riconoscibile un infiltrato linfocitario ed una sottile pseudocapsula. L’integrazione delle caratteristiche macroscopiche ed istologiche, ha orientato la diagnosi verso la variante angiomatoide dell’istiocitoma fibroso (AFH). Metodi. Abbiamo testato diversi marcatori immunoistochimici: CD34, CD31, CD68, S100, Ki67, vimentina e desmina (Tab. I). Risultati. È stata osservata una zonale positività per il CD34 e per il CD68 ed una focale positività per il Ki67 e per l’S100. Il CD31 e la desmina erano negativi, mentre la vimentina diffusamente positiva. Conclusioni. Il nostro studio conferma l’ipotesi istogenetica formulata da Silverman, mostrando una zonale positività per il CD34 oltre alla spiccata positività per il CD68 e per la vimentina, come contributo all’inquadramento nosografico della neoplasia. Bibliografia 1 Enzinger FM. Cancer 1979;44:2147-57. 2 Silverman JS, et al. Pathol Res Pract 1997;193:51-8. Perineurioma extraneurale sincrono renale ed extrarenale: neoplasia infrequente e peculiare F. Di Nuovo, M.L. Fibbi*, M. Tura**, P. Uboldi, M. Spinelli POSTERS rioma sincrono, bicentrico localizzato alla pelvi renale e alla capsula di Gerota, occorso in un uomo di 43 anni che, a seguito di dolori addominali esegue un’ecografia che evidenzia la presenza di due masse solide coinvolgenti il polo superiore e l’ilo del rene di destra; viene pertanto sottoposto a nefrectomia radicale. Risultati. Macroscopicamente il rene, del peso di g 497, evidenziava una massa tondeggiante a margini indefiniti, di consistenza fibro-elastica, di cm 9,5 di diametro massimo, comprimente i calici. Al taglio si osservava colorito biancastro con frammiste aree giallastre di aspetto mixoidi, aspetto fascicolato e consistenza molle elastica. Al polo superiore, nella capsula adiposa, si osservava un’ulteriore neoformazione, priva di rapporti di continuità con la precedente, ben circoscritta, parzialmente mixoide, di colorito bianco-giallastro e di cm 8,5 di asse maggiore. Microscopicamente il quadro morfologico, delle due neoformazioni, era sovrapponibile ed appariva costituito prevalentemente da stroma lasso in cui erano inglobate cellule fusate, sottili, monomorfe, variamente intrecciate ed organizzate tra loro, con nucleo rotondo talora ovalariforme, privo di atipie. Tali elementi cellulari sono risultati immunoreattivi per EMA, CD34, Vimentina e SMA, mentre erano negativi per pS100, Desmina, GFAP e NFP. Si è inoltre osservata immunoreattività per Mib1 nel 15% circa della popolazione cellulare. Sulla base degli aspetti morfologici e del profilo immunofenotipico è stata posta diagnosi di perineurioma extraneurale benigno, bicentrico. Conclusioni. L’osservazione di questo caso offre lo spunto per sottolineare che la diagnosi differenziale delle neoplasie mesenchimali a cellule fusate, deve prendere in considerazione un pannello di indagini immunoistochimiche che include anche l’antigene epiteliale di membrana, in quanto la sua positività avvalora la diagnosi di perineurioma consentendo al tempo stesso il corretto riconoscimento ed inquadramento diagnostico di queste insolite neoplasie, spesso misdiagnosticate. Bibliografia 1 Kahn DG, Dukett T, Bhuta M. Perineurioma of the kidney: report of a case with histologic, immunohistochemical and ultrastructural studies. Arch Pathol Lab Med 1993;117:654-7. 2 Hornic JL, Fletcher CD. Soft tissue perineurioma: clinicopathologic analysis of 81 cases including those with atypical features. Am J Surg Pathol 2005;29:845-58. Dipartimento di Patologia A.O. “G. Salvini”; Servizio di Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale “S. Corona”, Garbagnate Milanese, Milano; Servizio di Anatomia Patologica, * Divisione di Urologia; ** IRCS, Policlinico di Monza Malignità clinica e fattori prognostici dei tumori stromali del tratto gastroenterico Introduzione. Il Perineurioma è una neoplasia benigna delle guaine dei nervi periferici, rara, descritta per la prima volta nel 1978 da Lazarus e Trombetta. In accordo con la sede di insorgenza se ne riconoscono due principali tipi, intraneurale ed extraneurale. Colpisce principalmente gli adulti sebbene sia stato osservato anche nell’età infantile. Sedi preferenziali di insorgenza sono i tessuti molli superficiali degli arti superiori ed inferiori, del collo e del tronco, mentre il retroperitoneo e il rene sono raramente interessati. La caratteristica peculiare che contraddistingue e differenzia le cellule perineuriali dalle cellule di Schwann è l’immunofenotipo: infatti esse perdono l’immunoreattività per pS100, mentre mostrano immunoreattività per EMA. Riportiamo un caso di perineu- Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria ed Ospedale di Circolo, Varese; * Servizio di Biometria ed Epidemiologia clinica, Direzione scientifica, Fondazione IRCCS, Policlinico “San Matteo”, Pavia; ** Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università dell’Insubria, Varese V. Bertolini, A.M. Chiaravalli, C. Klersy*, C. Placidi, S. Marchet, L. Boni**, C. Capella Introduzione. I Tumori Stromali Gastrointestinali (GIST) sono neoplasie dell’apparato digerente c-Kit-positive. Nel 2002 Fletcher et al. hanno proposto una classificazione basata sul diametro tumorale e sull’indice mitotico (MI) che permette di suddividere le neoplasie in categorie di rischio di malignità. Scopo del presente studio è stato: 1) valutare l’in- POSTERS 199 Fattore HR Classe di rischio elevato X1 13,01 Sede omentale/colorettale X2 5,13 Necrosi X3 2,36 Ki67 > 2,70 X4 1,99 Età X5 0,96 PI = 2,6 · X1 + 1,6 · X2 + 0,7 · X3 + 0,9 · X4-0,04 · X5; Model p < 0,001 cidenza di malignità clinica in una casistica non selezionata di tumori; 2) valutare il valore prognostico della classificazione proposta e di una serie di altri parametri. Metodi. Da 169 tumori mesenchimali diagnosticati presso il Servizio di Anatomia Patologica dell’Ospedale di Circolo di Varese dal 1973 al 2004 sono stati selezionati su base morfologica e immunoistochimica 118 GIST. La significatività statistica dei potenziali fattori prognostici indagati (sesso, età del paziente, sede, diametro, MI, aspetto citologico, atipie nucleari, necrosi, infiltrato linfocitario, infiltrazione della mucosa adiacente, immunoreattività per CD34, actina, desmina, proteina S100, Ki67 e p53) è stata valutata con il logrank test o con il modello di Cox. La probabilità cumulativa di evoluzione maligna è stata calcolata con il metodo di Kaplan Meier. Risultati. Dei 114 pazienti con follow-up 15 (13%) sono morti per progressione di malattia, mentre 63 (55%) pazienti sono ancora vivi. Diciotto casi (16%) con comportamento clinico maligno (recidive: 8 casi, metastasi a distanza: 11) appartenevano alle categorie a rischio elevato (15 casi) ed intermedio (3 casi). L’incidenza di malignità era più elevata nei GIST omentali/mesenterici (4/7 casi) e colorettali (4/7 casi) rispetto a quelli delle altre sedi (stomaco: 5/67, piccolo intestino: 4/37). I casi maligni presentavano: elevati diametro (mediana: 7,5 cm), MI (13/50 HPF) e Ki67 (11,8%); necrosi estesa e marcate atipie nucleari. Analisi multivariata della sopravvivenza libera da malattia considerando le sole variabili significative all’analisi univariata. Conclusioni. Un indice predittivo di prognosi (PI) che tenga conto della categoria di rischio, della sede tumorale, dell’età del paziente, della presenza di necrosi e del valore di Ki67 permette di identificare meglio i pazienti che necessitano di un monitoraggio più frequente. Solitary fibrous tumor: a high-grade, small cell sarcoma mimic in fine needle cell block material P. Collini, M. Barisella, S. Stacchiotti*, A. Gronchi**, P.G. Casali*, S. Pilotti Anatomic Pathology C Unit; * Sarcoma Unit, Cancer Medicine Department; ** Musculo-Skeletal Surgery Unit, IRCCS Fondazione Istituto Nazionale Tumori, Milano, Italy Introduction. Solitary fibrous tumor (SFT) is an uncommon tumor. Morphologically, the diagnosis is easy for typical, lowgrade SFT, but well-established criteria of malignancy are still lacking. Extrapleural site of origin, hypercellularity, at least focally moderate to marked cytologic atypia, mitotic index above 4/10HPF, tumor necrosis, and/or infiltrative margins are re- 95% CI p value 2,68-63,21 1,68-15,69 0,79-6,99 0,51-7,69 0,92-0,99 0,001 0,004 0,122 0,320 0,028 ported to be associated with a higher risk of relapse and a malignant behaviour. Abrupt transition from benign to high-grade morphology is reported to occur in rare cases, and related to “dedifferentiation” (WHO, 2002). We report on two cases of SFT progressing to a metastatic high-grade sarcoma. Case reports. Patient 1: A 45 years old woman was diagnosed a peritoneal SFT. She underwent surgery plus adjuvant chemotherapy. Fifteen years after, bone, peritoneal and (cytologically proven) liver metastases occurred. She received 8 cycles of chemotherapy and responded. Patient 2: A 64 years old man was diagnosed a peritoneal SFT. He was treated with preoperative chemio-radiotherapy. He had a local response to radiotherapy. Though he developed liver metastases confirmed by fine needle aspiration cytology (FNAC). In both cases, the primary tumor featured a typical benign/low-grade SFT, with bland spindle and epithelioid cells, irrelevant mitotic index and absence of necrosis. In one case the cellularity was very scarce, with a marked deposition of collagenized stroma. Both cases showed a strong expression of vimentin, CD34, bcl2 protein, and CD99. The morphology of liver metastases was suggestive of a small round cell sarcoma, resembling a pPNET in one case and a poorly differentiated synovial sarcoma in the other. In both cases, the immunophenotype was superimposable to that of the primitive tumor, and a diagnosis of metastatic, high-grade SFT was made. Conclusions. In two patients with SFT, at the time of relapse the typical benign/low-grade aspect seen on the primary specimen converted into a high-grade morphology resembling a small round cell tumor (though maintaining the original immunophenotypical profile). This confirms that SFT can metastasize in the lack of early pathologic criteria of malignancy. These neoplasms seem to have the capability to dedifferentiate over time, even to the extent of giving rise to a high-grade, small round cell sarcoma. The anamnestic information about the previous SFT was of paramount value for a right diagnosis. Prognostic value of FNCLCC grading, mitotic index, necrosis, and type in synovial sarcoma of soft tissue: study on 86 cases treated at a single institution M. Barisella, P. Collini, A. Pellegrinelli, C. Mussi**, M. Fiore**, P. Dileo*, S. Stacchiotti*, A. Gronchi**, P. Casali*, S. Pilotti Anatomic Pathology C Unit; * Medical Oncology Unit; ** Muscolo-Skeletal Surgery Unit, IRCCS Fondazione Istituto Nazionale Tumori, Milano, Italy Introduction. Synovial sarcoma (SS) is a malignant mesenchymal tumor accounting for roughly 15% of soft tissue POSTERS 200 sarcomas. SSs are considered as high-grade sarcomas. The prognosis is reported to be dependent on grading (G). Also SS-type [monophasic (M), biphasic (B), and poorly differentiated (PD)] is reported to have a prognostic significance, and the PD type would confer a ominous outcome. Our aim was to test the prognostic value of FNCLCC grading and type in a series of 86 SSs treated at Istituto Nazionale dei Tumori (INT, Milan). Methods. Clincal records and histologic features of 86 adult patients with localized SS, who underwent surgery at INT over 25 years were retrospectively reviewed. Patients pre-operatively treated with CT/RT were excluded. Two separate Cox models were fitted to study the prognostic effect of FNCLCC grading vs. the combination of type, necrosis and mitotic index on event-free (EFS) or cause-specific survival (CSS). Model discriminating ability was quantified by Harrell c statistic. Results. The median follow-up was 85 months. 46 (53%) tumors were G2 and 40 (47%) were G3 FNCLCC. There were 42 (49%) M, 32 (37%) B, and 12 (14%) PD. Mitotic index was 0-9/10 HPF in 29 (34%) cases, 10-19/10 HPF in 32 (37%) cases, and ≥ 20/10 HPF in 25 (29%) cases. Necrosis was absent in 52 (60%) cases. PD were more frequently G3 (92% vs. 34% B, 43% M), and showed more frequently mitotic index of ≥ 20 mitoses/10 HPF (75% vs. 21% B, M) while absence of necrosis was found in 33% vs. 59% in B and 69% in M. Lung metastases were more frequently found in PD (75% vs. 38% in B, 48% in M). Global EFS and CSS were respectively 39% (confidence interval: 2950%) and 63% (51-73%) at 5 years. At multivariate analysis, G3 vs. G2 showed a HR of 3.38 for EFS and of 5.18 for CSS (p < 0.001). Higher mitotic index (p = 0.012 and 0.016), and presence of necrosis (p = 0.007 and 0.010) resulted as well significant for both EFS and CSS. SS type showed no significant HR for either EFS or CSS. FNCLCC grade was found to be of prognostic value for both EFS and CSS (c = 0.71 and 0.75, respectively), as well as the combination of type, mitotic index and necrosis (c = 0.70 and 0.73, respectively). Conclusion. Our study confirms the prognostic value of FNCLCC grading system in SS. PD are found to have more frequently high mitotic index and necrosis, with also higher incidence of distant metastases, but at multivariate analysis CSS is not significantly more ominous in this SS type. Emangioendotelioma maligno epitelioide della tiroide. Presentazione di un caso C. Martella, G. Renzulli, M.P. Cocca, R. Ricco Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari, Introduzione. L’emangioendotelioma maligno o angiosarcoma della tiroide è una neoplasia primitiva con differenziazione endoteliale. Costituisce il 2-4% dei tumori maligni della tiroide. Più frequente ma non esclusivo delle zone montane, si manifesta prevalentemente in pazienti di sesso femminile, età media 70 anni, con sintomatologia dolorosa del collo e tumefazione a rapida crescita. La prognosi è inferiore a sei mesi, indipendentemente dal trattamento. Presentiamo il caso di una donna di 64 anni, affetta da gozzo nodulare plongeant da 3 anni. Per un rapido accrescimento della ghiandola e per difficoltà respiratorie la paziente viene sottoposta ad ecografia tiroide che rileva nodulo del lobo si- nistro, diametro cm 7, parzialmente colliquato. L’esame citologico su FNAB risulta inadeguato per la presenza di abbondante materiale necrotico emorragico inglobante rarissime cellule in regressione. La paziente viene sottoposta a tiroidectomia totale dopo 3 mesi. Metodi. L’esame macroscopico della tiroide evidenzia nodulo del lobo sinistro, diametro cm 9, in parte solido di colorito grigiastro, in parte necrotico-emorragico. Il materiale è stato fissato in formalina tamponata 10%, incluso in paraffina e le sezioni ottenute colorate con Ematossilina-Eosina. Sono state effettuate indagini immunoistochimiche. Risultati. L’esame istologico ha evidenziato una neoplasia maligna scarsamente differenziata con estesa necrosi ed emorragia, fibrosi ed infiltrato flogistico intra- e peri-tumorale. La neoplasia risulta costituita da cellule voluminose, poligonali (epitelioidi), talora fusate, con nucleo pleomorfo, vescicoloso, nucleolato e ampio citoplasma eosinofilo. Numerose figure mitotiche, permeazione endovasale e perineurale, infiltrazione e superamento della capsula tiroidea. Il pattern di crescita è prevalentemente solido, focalmente si apprezzano spazi vascolari anastomizzati, delimitati da cellule neoplastiche. Tenuto conto dell’esordio clinico, dell’aspetto macroscopico e dei caratteri istologici la diagnosi differenziale comprende: il carcinoma anaplastico hemangiopericytic-like, l’emangioendotelioma maligno epitelioide, il carcinoma midollare variante oncocitica, il leiomiosarcoma, il linfoma non Hodgkin a grandi cellule B e, tra le neoplasie secondarie, soprattutto il melanoma. Immunofenotipo degli elementi neoplastici: CD 31 (+++), CD 34 (+), CK AE-1/AE-3 (+). Conclusioni. Emangioendotelioma maligno epitelioide della tiroide. L’exitus è avvenuto 5 mesi dopo l’intervento. Cisti del tail-gut M. Palumbo, A. Colagrande, C. Traversi, A. Cimmino, R. Ricco Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari, Introduzione. L’amartoma retrorettale cistico (RCH), o cisti del tail-gut, è una rara lesione congenita che insorge più tipicamente tra il retto e il sacro ed origina da residui della porzione caudale dell’intestino che si obliterano precocemente nello sviluppo embrionale. La lesione è più frequente in donne adulte, ma può insorgere anche in bambini e neonati e, meno spesso, nell’uomo. È caratterizzata dalla presenza di cisti con differenti tipi di epitelio talora a secrezione mucinosa. Noi descriviamo un caso di amartoma cistico rettale insorto in un soggetto adulto di sesso maschile. Metodi. Paziente maschio di 62 anni presenta a 10 cm dal margine anale formazione solida ovoidale a margini regolari e policiclici che all’immagine TAC si presenta davanti al sacro e si sviluppa nella pelvi dietro il sigma. All’atto chirurgico si rileva fuoriuscita di materiale liquido denso, lattescente. Alla nostra osservazione perviene un frammento di parete cistica laminare fibro-adiposa, diametri cm 5,5 x 3,5, pluriconcamerata, che microscopicamente risulta rivestita da epitelio colonnare pseudostratificato ciliato, con interposte rare goblet-cells. Risultati. La diagnosi di cisti del tail-gut non presenta particolari difficoltà. Sono presenti cisti rivestite da epitelio cuboidale o colonnare. In alcuni casi è stato evidenziato epite- POSTERS lio ciliato, squamoso o transizionale. Il lume contiene variabile quantità di muco. Nella parete cistica non si rileva tonaca muscolare né rivestimento peritoneale. Nelle donne rappresenta un riscontro occasionale in corso di visite ginecologiche, mentre nei soggetti di sesso maschile spesso coesistono fistole perianali o ascessi perianali. La sede presacrale impone alcune considerazioni di diagnosi differenziale con il teratoma cistico maturo, la cisti dermoide, le cisti delle ghiandole dell’area perianale e quelle enterogene, il meningocele sacrale anteriore, le cisti pilonidali, la fistola ano-rettale e gli ascessi rettali ricorrenti. Queste sono considerate cisti acquisite da inclusione in quanto si apprezzano in pazienti con ricorrenti infiammazioni o traumi anali. Conclusioni. In letteratura sono stati descritti pochi casi di amartoma cistico insorti prevalentemente in soggetti giovani di sesso femminile. La segnalazione di un caso insorto in un soggetto adulto di sesso maschile rappresenta un evento eccezionale. Sarcoma sinoviale bifasico: descrizione di un caso in età pediatrica M.P. Cocca, R. Rossi, C. Martella, L. Resat, R. Ricco, A. Cimmino Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari Introduzione. Circa l’8% dei tumori maligni che insorgono in età pediatrica sono sarcomi dei tessuti molli. Il sarcoma sinoviale (SS), più frequente nei pazienti giovani-adulti, ne costituisce l’8-10%. La maggior parte dei casi di SS insorge in prossimità delle grandi articolazioni degli arti, soprattutto inferiori, e solo il 9% interessa il distretto testa-collo. Il primo caso di SS originatosi in tale distretto fu descritto da Jernstrom nel 1954. Da allora circa 100 casi sono stati riportati in letteratura. Presentiamo il caso di una bambina di 8 anni con una neoformazione del collo friabile, necrotica, giallastra, estesa al pavimento orale e allo spazio parafaringeo sinistro. Metodi. Dal materiale bioptico fissato in formalina tamponata 10%, processato e incluso in paraffina sono state allestite sezioni colorate come di routine ed utilizzate anche per le indagini di immunoistochimica (IIC). Parte del materiale incluso è stato avviato alle indagini di microscopia elettronica (ME) e a quelle di RT-PCR per la ricerca della tipica traslocazione t(X;18) e del relativo prodotto di trascrizione. Risultati. L’esame istologico ha rivelato una proliferazione neoplastica a pattern bifasico costituita da una commistione di cellule epiteliomorfe e fusate. Le indagini IIC sono risultate positive per le CK e l’EMA nella componente epiteliale e, in entrambe le componenti, per Vimentina, bcl-2 e CD99. Le indagini citogenetiche, condotte presso altra sede, hanno dimostrato presenza del trascritto SYT-SSX1 originato dalla traslocazione t(X;18). La ME ha evidenziato la natura bifasica della lesione, caratterizzata da una diversa elettrondensità del citoplasma. La presenza di apparati giunzionali ed espansioni citoplasmatiche a microvilli, nonché l’interposizione di mastociti delineano le caratteristiche ultrastrutturali di questa neoplasia. Conclusioni. Il SS è una neoplasia poco frequente nei pazienti pediatrici, rara nel distretto testa-collo, ma che va considerata in caso di neoplasia dei tessuti molli. La MO ci orienta nella diagnosi, anche se per questa neoplasia non esistono quadri patognomonici. L’apporto delle indagini di IIC e di ME è importante ma non dirimente. 201 Il SS è l’unico tumore dei tessuti molli per cui in un’alta percentuale dei casi (> 90%) è possibile riscontrare un’aberrazione cromosomica caratteristica. L’indagine citogenetica tesa alla ricerca di tale alterazione, rappresenta una metodica ad elevata sensibilità e specificità nella diagnosi di tale neoplasia. Modificazioni mixoidi ed aree di dedifferenziazione nei liposarcomi ben differenziati A. Ambrosini-Spaltro, G. Tallini Dipartimento di Scienze Oncologiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Bologna, Ospedale “Bellaria”, Bologna Introduzione. Il liposarcoma ben differenziato e la forma più comune dei liposarcomi e può comprendere focali modificazioni mixoidi ed aree di dedifferenziazione. Scopo del presente studio è valutare la distribuzione di tali aspetti morfologici e le loro reciproche relazioni. Metodi. Dall’archivio del dipartimento di Anatomia Patologica dell’Ospedale Bellaria di Bologna sono stati raccolti 56 liposarcomi ben differenziati e dedifferenziati. Tutti i casi sono stati rivisti con valutazione quantitativa mediante percentuale dei seguenti parametri: matrice mixoide, rete capillare a pareti sottili (tipica del liposarcoma mixoide), rete capillare a pareti spesse (tipica del mixofibrosarcoma mixoide). Inoltre sono stati studiati la presenza e la distribuzione delle aree non lipogeniche con valutazione quantitativa mediante percentuale: aree di sclerosi, di dedifferenziazione a basso grado e di dedifferenziazione ad alto grado. Correlazioni fra i vari gruppi sono state analizzate mediante il coefficiente di Spearman (r). Risultati. I tumori analizzati erano composti da: 44 liposarcomi ben differenziati (40 lipoma-like, 4 sclerosanti), 5 liposarcomi con dedifferenziazione a basso grado, 1 liposarcoma con dedifferenziazione ad alto grado, 3 liposarcomi con dedifferenziazione a basso e ad alto grado, 3 liposarcomi misti. Le recidive sono state riscontrate in 4 casi. La matrice mixoide è stata osservata in 12 casi, in 8 dei quali associata alla rete capillare con pareti sottili caratteristica del liposarcoma mixoide. Aree non lipogeniche erano presenti in 31 casi con la seguente distribuzione: aree sclerosanti in 29 casi, aree di dedifferenziazione a basso grado 11 casi, aree di dedifferenziazione ad alto grado in 6 casi. Nei casi con aree dedifferenziate la quantità di matrice mixoide è correlata sia con l’estensione della dedifferenziazione a basso grado (r = 0,733, p < 0,01) che con quella della dedifferenziazione ad alto grado (r = 0,702, p < 0,01). Conclusioni. I liposarcomi ben differenziati mostrano un ampio spettro di modificazioni morfologiche, con modificazioni mixoidi ed aree di dedifferenziazione. Le modificazioni mixoidi associate alla presenza di una rete capillare a pareti sottili possono configurare aree morfologicamente indistinguibili dal liposarcoma mixoide. La quantità delle modificazioni mixoidi è statisticamente correlata alla entità delle aree di dedifferenziazione sia a basso che ad alto grado. POSTERS 202 Superficial adult fibrosarcoma arising in dermatofibrosarcoma protuberans. Report of a case S. Squillaci, A. De Zio*, M. Moroni**, R. Marchione, C. Spairani, F. Tallarigo***, H. Hashimoto**** Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale di Vallecamonica, Esine, Italia; * Servizio di Dermatologia, ASL Vallecamonica-Sebino; ** Servizio di Anatomia Patologica, AUSL 5 “Spezzino”, La Spezia; *** Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “S. Giovanni di Dio”, Crotone; **** Department of Pathology and Oncology, University of Occupational and Environmental Health, Kitakyushu, Japan Introduction. Fibrosarcoma is defined as a malignant soft tissue tumour composed of spindled, collagen-producing cells exhibiting varying degrees of fibroblastic differentiation. Fibrosarcomas are divided by patient age into adult and congenital/infantile types. The former group accounts for 1 to 3% of adult sarcomas and predominantly arises within intra or inter-muscular fibrous tissues; rare examples are superficial and originate from the dermis or subcutis. Clinical history. A 49-year-old man presented with a painless mass on the subcutis of back that had been present for more than 10 years. Its recent rapid enlargement was noted. Physical examination revealed a solitary, firm, nodular mass. The lesion was shelled out and on pathological examination a positive margin was observed. A further excision with clear margins was performed and the patient showed no evidence of recurrence 12 months post-operatively. Results. Macroscopically, the tumour appeared oval, welllimited, firm, homogeneous grey-whitish, with maximum diameter of 3 cm. Microscopic examination revealed a highly cellular neoplastic process with a storiform and focally herringbone pattern. The tumour was composed of uniform, spindle-shaped cells with moderately atypical, elongated nuclei, ill-defined cytoplasm and frequent mitoses (> 10 per ten high power fields, x400). Such elements were strongly positive for vimentin and CD34, someone had a myofibroblastic immunophenotype, showed by positivity for αSMA. The neoplastic cells were negative for CK, EMA, S-100 and desmin. The SYTSSX translocation was absent. RT-PCR and sequence analyses of tumour showed COL1A1-PDGFB fusion transcripts. Exon 2 of platelet-derived growth factor-β gene (PDGFB) was fused to exon 32 of the collagen type 1A1 gene (COL1A1). Dermatofibrosarcoma protuberans (DFSP) was histologically demonstrated in re-excision near the scar of previous surgery. Conclusion. Superficial adult fibrosarcoma is a malignant fibroblastic neoplasm, with clinico-pathological distinctive features. The differential diagnosis includes other spindlecell sarcomas, such as monophasic synovial sarcoma and malignant peripheral nerve sheath tumour as well as sarcomatoid carcinoma. The chimeric gene, COL1A1-PDGFB, has been proposed to play an important role in the histogenesis of DFSP and continues to act as a growth factor during progression of DFSP to fibrosarcoma. It could become helpful in refining our ability to diagnose these lesions 1. References 1 Sheng W-Q, et al. J Pathol 2001;194:88-94. PATHOLOGICA 2007;99:203-204 Patologia dei trapianti Tissue engineering: autologous full-thickness skin substitute for healing chronic wounds A. Bellomi, G. Calabrese, A. Cassisa, F. Colpani, R. Fante, L. Gaetti, G. Granchelli, S. Negri Anatomia Patologica, Ospedale “C. Poma”, Mantova, Italy Introduction. Chronic wounds, inclouding venous and arteriosclerotic leg ulcers, diabetic foot ulcers, decubitus and trauma induced wounds, represent a major problem in our society. These wounds occur with high incidence and exist for prolonged periods of time and therefore have a great socioeconomic impact. The problem increases as the average age of the population increases and therefore new therapies in wound healing are continously being sought. The aim of this study is to develop an autologous, full-thickness skin substitute and to evaluate its efficiency and applicability in closing long-standing ulcers that have proven nonresponsive to the currently available wound-healing therapies (topical therapy, antibiotic treatment, surgical debridment, external compression). Method. We included 20 patients with long-standing ulcers of which 13 venous and arteriosclerotic (65%), 3 diabetic (15%), 3 trauma-induced and 1 burn wounds (5%). Age of patients varies from 57 to 91 (average 75). The lesions were present since at least two years. A single punch biopsy (diameter 0.6 cm) or a surgical biopsy (1.5 x 1 cm) obtained from the patient’s upper leg were required. After 3-4 weeks we obtaneid three autologous products on collagen support: fibroblasts, fibroblasts and keratinocytes and keratinocytes. Sheets of keratinocytes present basal melanocytes; between keratinocytes and fibroblasts we observe basement membrane. Depending on ulcers depth and dimensions our patients underwent multiple applications (at least two). All procedures were performed with the Ethics Committee approval and patient consent. Results. The success rate in culturing biopsies was 100%. The skin substitute visibly resembled an autograft. Ten of the 13 (77%) chronic venous ulcers (size 6-300 cmq) healed between 8 and 48 weeks. One of the 3 (33%) diabetic ulcers (size 3-28 cmq) healed within 12 weeks. Three (100%) trauma induced ulcers (size 4-6 cmq) healed between 6 and 12 weeks. One (100%) burn ulcer (size 12 cmq) healed within 4 weeks. Skin substitutes were very well tollerated and pain relief was immediate after application. Conclusion. The application of this noval skin sobstitute provides a promising new therapy for healing chronic wounds resistant to conventional therapies. It is also necessary to point out the importance of suitable cyto-histological and immunohistochemical studies for evaluating the correct cell morphology and phenotype. References Negri S, et al. Tissue engineering: chondrocyte culture on type1 collagen support. Cytohistological and immunohistochemical study. J Tissue Eng Regen Med 2007;1:158-9. IL-6 dependent clusterin – Ku-Bax interactions: apoptosis inhibition and tumor progression. new in situ and serological marker S. Pucci, P. Mazzarelli, F. Sesti, E. Bonanno, L.G. Spagnoli Department of Biopathology, University “Tor Vergata”, Rome, Italy Introduzione. Several experimental data have shown a strong correlation between the presence of the different isoforms of clusterin and tumoral progression. The disappearance of the proapoptotic form and the overexpression of the cytoplasmic isoform marks the transition from normal cell to neoplastic phenotype. Pro-inflammatory cytokines such as TGFβ and IL-6 influence the transcription of this protein. TGFβ influences directly clusterin promoter inducing the activation of the transcription factor AP1. The action of the IL6 on the clusterin gene transcript has not been clarified at molecular level yet. Several experimental evidences underline an increased production of IL-6 and TGFβ in tumor progression. It has been observed that the levels of circulating IL-6 increases in relationship to tumoral mass. Methods and results. We have focused our attention on defined pathways that underlie the promotion, initiation and progression of colon cancer. In particular we examined the relationship among IL6, clusterin isoforms expression pattern shift, Ku and Bax interactions in human colon tumorigenesis. Besides the acquisition of aggressiveness in colon carcinoma we observed that the overexpression of the secreted form (sCLU) and disappearance of the pro apoptotic clusterin isoform, strongly correlates to the inhibition of apoptosis and the loss of DNA repair activity of the complex Ku70/80. Moreover we observed an increase in the level of this protein in the serum and in stools of colon cancer patients as compared to the control suggesting a strong realease of sclusterin in the cripta lumen. Preliminary results obtained by ELISA confirmed that patients affected by colon cancer have a strong increase of clusterin in blood and in stools and this level correlated with the IL-6 level suggesting a possible twin set of new non invasive diagnostic markers. Conclusions. Hence, in colon cancer biopsies we found the loss of Ku80 and Ku70 protein translocated from the nucleus to the cytoplasm where it sterically inhibits cell death induction. In fact Ku70 is found deeply bound to the over-expressed Bax inhibiting the apoptosis. Moreover cytoplasmic These interactions in colon tumorigenesis are partially driven by IL-6 that influence the Clu-Ku-Bax interaction. These data may provide valuable information on cancer progression and apoptosis induction in colon carcinoma and could suggest new strategies in the development of therapeutics that control apoptosis-related diseases. 204 Microangiopatia trombotica intestinale da ciclosporina a in un paziente epatotrapiantato: il primo caso riportato F. Sanguedolce*, M.G. Fiore, R. Rossi, A. Marzullo, D. Piscitelli Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Bari; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Foggia Introduzione. La ciclosporina A (CSA) è un agente immunosoppressore comunemente utilizzato nel post-trapianto d’organo, principalmente allo scopo di prevenire reazioni di rigetto. Il trattamento con ciclosporina è spesso limitato da gravi effetti collaterali (nefrotossicità, ipertensione severa), legati ad un meccanismo di danno vascolare che morfologicamente si manifesta come microangiopatia trombotica (thrombotic microangiopathy, TMA). Metodi. Un paziente di 58 anni è stato sottoposto a trapianto di fegato per cirrosi epatica HBV e alcool-correlata, ed in seguito trattato con CSA. Tredici mesi dopo il trapianto, il paziente ha iniziato a lamentare episodi di coliche addominali incoercibili, e due mesi dopo è stato sottoposto ad un intervento di resezione ileale per sub-occlusione intestinale. Risultati. L’esame istologico ha evidenziato una vasculopatia trombotica necrotizzante caratterizzata da diffuse alterazioni strutturali a carico delle arteriole sottomucose della parete ileale (ispessimento miointimale, fibrosi, iperplasia miofibroblastica con necrosi focale della media, flogosi prevalentemente granulocitaria e trombi fibrinosi). Le indagini ultrastrutturali hanno rivelato la presenza, nel citoplasma delle cellule endoteliali, di mitocondri giganti notevolmente dismorfici, con matrice densa, cristae ridotte e atipiche ed inclusioni osmiofile. L’analisi immunoistochimica con anticorpo policlonale anti-VEGF ha evidenziato una diffusa iperespressione citoplasmatica endoteliale. Conclusioni. Presentiamo qui un caso di lesione vascolare subacuta del tenue intestino con i caratteri della TMA in soggetto epatotrapiantato trattato con CSA. Le caratteristiche morfologiche ed ultrastrutturali ed i dati clinico-anamnestici del paziente depongono per un’etiopatogenesi iatrogena della patologia, legata al trattamento immunosoppressivo. L’iperespressione di VEGF è stata recentemente associata a precoce insorgenza di fibrosi interstiziale e ridotta sopravvivenza nei soggetti nefrotrapiantati. POSTERS La microangiopatia da CSA a sede intestinale non è stata mai riportata in letteratura, pertanto l’insorgenza di una enteropatia da danno vascolare trombotico necrotizzante deve essere considerato un possibile, se pur raro, grave effetto collaterale da trattamento immunosoppressivo. Inoltre, questo caso rappresenta un esempio della necessità di correlare costantemente i dati morfologici con quelli clinico-anamnestici e, quando possibile, integrarli con le preziose informazioni morfopatogenetiche fornite dalla microscopia elettronica. Incidenza della patologia tumorale nei donatori multiorgano con anamnesi negativa per neoplasia. L’esperienza fiorentina E. Zappulla, A.M. Buccoliero, F. Garbini, F. Castiglione, C.F. Gheri, D. Moncini, V. Vezzosi, M.R. Raspollini, A. Palomba, G.L. Taddei Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università di Firenze Il trapianto di organi rappresenta l’unica possibile terapia risolutiva in numerose condizioni patologiche. Esso non è tuttavia scevro da rischi sia chirurgici che non chirurgici. Gli organi trapiantati possono infatti rappresentare un vettore di diverse patologie, tra cui quella tumorale. Con lo scopo di valutare la frequenza della patologia neoplastica nei donatori multiorgano con anamnesi negativa per cancro è stata riesaminata l’intera casistica istopatologica della Sezione di Istopatologia dei Trapianti del Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia di Firenze. Sono emerse 3 diverse situazioni in cui il patologo formulava la diagnosi istologica di neoplasia: donatore con sospetto neoplastico alle indagini clinico-strumentali; donatore con lesione sospetta rilevata dal chirurgo espiantatore; tumori misconosciuti diagnosticati unicamente attraverso l’esame istopatologico dell’intero organo non trapiantato perché giudicato funzionalmente non idoneo. La valutazione dell’idoneità alla donazione è un processo complesso e multidisciplinare in cui il patologo gioca un ruolo importante in particolare per quel che riguarda il rischio oncologico prima, durante e dopo il trapianto. PATHOLOGICA 2007;99:205-213 Patologia del sistema emolinfopoietico Nodal inflammatory pseudotumour caused by luetic infection P. Incardona, F. Facchetti*, M. Ponzoni**, P. Chiodera*** 2° Servizio Anatomia Patologica, Sp. Civili, Brescia, Italy; * 1° Servizio Anatomia Patologica, Spedali Civili, Brescia, ** Italy; Unità di Anatomia Patologica, Istituto Scientifico “S. Raffaele”, Milano, Italy; *** Servizio di Anatomia Patologica, Casa di Cura “S. Anna”, Brescia, Italy Introduction. Inflammatory pseudotumour of lymph nodes (IPT-LN) represents an unusual cause of lymphadenitis. The aetiology of IPT-LN is unknown; it has been postulated that it represents an hyperimmune reaction to different agents. Since IPT-like changes in extranodal sites can be associated with Treponema pallidum (TP) infection, we evaluated the occurrence of TP in a series of 17 nodal and extranodal IPT. Methods. We retrieved 8 cases of IPT-LN and 9 cases of extranodal IPT (4 spleen, one each for lung, orbit, gut, skin and liver); all cases have been analyzed for the presence of TP using the Warthin-Starry (WS) silver method and an indirect immunohistochemical (ihc) techniques, applying a monoclonal antibody recognizing TP (Biocare Medical, Concord, CA, USA), upon oven heat antigen retrieval in EDTA buffer (pH 9.0). Results. Nodal IPT revealed the classical features consisting of capsular thickening and inflammation (6/8 cases), proliferation of spindle and endothelial cells, admixed with numerous plasma cells and variable amounts of neutrophils and macrophages. Vascular changes of small venules or large muscular veins were recognized in 5/8 cases. The IPT areas dissecting the nodal parenchyma were confluent and diffuse in 2 cases, focal and sometimes (3 cases) limited to small intranodal nodules in the remaining cases. Unaffected parenchyma showed lymphoid hyperplasia in 7/8 cases, that was extremely marked in 5. Microgranulomas were identified in two cases. The WS and ihc stains revealed numerous spirillar bacteria in 4/8 cases of IPT-LN but in none of IPTextranodal. Interestingly, the single distinctive morphological change constantly associated with TP+ cases was represented by an extremely pronounced follicular hyperplasia (FH). TP were identified in the inflamed capsule, within the IPT areas with a predilection for endothelial cells, and in areas of monocytoid B cell hyperplasia. However, no single TP was found within the germinal centers. TP were more easily detected on immunostained compared to silver stained sections, allowing the identification of even single bacteria. Conclusions. This study shows that a significant number of cases of nodal IPT are caused by TP infection. A spirochetal aetiology should be suspected in all IPT-LN associated with pronounced FH, independently from the extent of nodal involvement by IPT. Since immunohistochemistry has several advantages compared to WS stain, it should be adopted as the primary stain for TP detection. Cord blood cell-transplanted mice as a model for Epstein-Barr virus infection of the human immune system. A morphological, immunophenotypical and molecular study M. Cocco, C. Bellan, R. Tussiwand*, E. Traggiai*, S. Lazzi, S. Mannucci, L. Bronz**, N. Palummo, P. Tosi, A. Lanzavecchia*, M.G. Manz*, L. Leoncini Department of Human Pathology and Oncology, Division of Pathological Anatomy, University of Siena, Italy; * Institute for Research in Biomedicine, Bellinzona, Switzerland; ** Ospedale “San Giovanni”, Bellinzona, Switzerland Introduction. Epstein-Barr virus (EBV) infects naïve B cells, driving them to differentiate into resting memory B cells via the germinal center reaction 1. This has been inferred from parallels with the biology of normal B cells and never been proved experimentally. Recently a human adaptive immune system in cord blood cell-transplanted mice has been demonstrated. We here used this model to better define the strategy of EBV infection of lymphoid B cells in vivo. Materials and methods. Reconstitution of a functional immune system in Rag2-/-γc-/- mice has been previously described 2. Bone marrow, spleen, thymus and lymph nodes were collected from seven EBV infected mice one month after EBV infection for immunohistochemical and in situ hybridization analysis on consecutive paraffin-embedded tissue sections. Molecular analysis of VH gene rearrangement has been performed on single cells obtained by Laser Capture Microdissection. A semi-nested PCR amplification of VH genes was performed by means of the following primers: 5’TGG RTC CGM CAG SCY YCN GG-3’ for FRIIA, 5’-TGA GGA GAC GGT GAC C-3’ for LJH and 5’-GTG ACC AGG GTN CCT TGG CCC CAG-3’ for VLJH. PCR products were subsequently sequenced for comparison with germ line sequences from the ImMunoGeneTics information system® (http://imgt.cines.fr) database. Results. Among the seven cases analyzed, three were characterized by follicular hyperplasia with a few germinal center while the others showed a nodular and diffuse lymphoid proliferation of lymphoid cells with areas of necrosis and no evidence of germinal centers in the lymphnodes as well as in the white pulp of the spleen. These findings were consistent with immunohistochemistry and in situ hybridization analyses, demonstrating different expressions of latent genes in EBV-infected B-cells besides varied distributions of CD4 + and CD8+ T cells in the two groups. Intraclonal diversity was detected in cases characterized by nodular and diffuse proliferation, among B cells carrying somatically mutated VH genes, suggesting an ongoing hypermutation process without evidence of germinal center reaction. Conclusion. The here presented data gives evidence of different strategies of EBV infection in B cells in vivo, probably corresponding to different conditions of EBV infections in humans. References 1 Thorley-Lawson DA, et al. N Engl J Med 2004;350:1328-37. 2 Traggiai E, et al. Science 2004;304:104-7. 206 POSTERS Linfomi cutanei primitivi del gruppo cooperatore marchigiano dal 1990 al 2006: studio clinico-patologico e analisi della sopravvivenza di 259 casi T-cell large granular lymphocyte leukemia: clinico-pathological analysis of 5 cases G. Goteri, S. Rupoli*, D. Stramazzotti, A. Tassetti*, S. Pulini*, A. Stronati*, S. Mulattieri, P. Picardi*, A. Cellini **, S. Serresi***, M.G. Tucci***, P. Leoni*, G. Fabris Anatomia Patologica ed * Ematologia, A.S.O. Maggiore della Carità ed Università “A. Avogadro” del Piemonte orientale, Novara, ** Fondazione IRCCS, Policlinico “S. Matteo”, Pavia, Italia Anatomia Patologica, * Clinica Ematologica, ** Clinica Dermatologica, Ospedali Riuniti di Ancona, Università Politecnica delle Marche, Ancona; *** U.O. Dermatologica INRCA/IRCSS, Ancona Introduzione. La class. WHO/EORTC del 2005 1 per i linfomi cutanei primitivi (LCP) ha ridefinito i criteri diagnostici per ciascuna entità, riportando i dati di frequenza e sopravvivenza relativa dei Registri Olandese ed Austriaco. Lo scopo del nostro studio è stato confrontare la casistica di LCP raccolta dal 1990 al 2006 dal Gruppo Cooperatore Marchigiano presso la Clinica Ematologica dell’Università Politecnica delle Marche, con i dati della class. WHO/EORTC. Metodi. 259 pazienti sono stati trattati e seguiti dal 1990 al 2006 dal nostro gruppo. I dati clinici all’esordio e nel followup sono stati raccolti in un data-base. I preparati istopatologici sono stati rivalutati secondo i criteri della class. WHO/EORTC presso l’Anatomia Patologica della stessa Università. Le curve di sopravvivenza globale (OS) e libera da evento maggiore/minore (MEFS/mEFS) sono state calcolate con il metodo di Kaplan-Meyer. Risultati. La casistica comprendeva 170 M e 89 F (età mediana, 62 anni) e relativamente alla diagnosi, 191 Micosi Fungoidi (MF); 10 S. di Sézary (SS); 7 Papulosi Linfomatoidi (LyP); 8 l. cutanei T non-MF/non-CD30+ (CTCL rari: 5 l. T periferici, 1 l. γ/δ, 1 neoplasia ematodermica CD4+/CD56+, 1 l. linfoblastico T); 25 l. B centro-follicolari; 14 l. B marginali; 3 l. B a grandi cellule della gamba; 1 l. linfoblastico B. La risposta globale alla terapia è stata del 100% nelle LyP, 93% nei l. B (88% RC), 92% nelle MF (81% RC), 50% nei l. T rari (38% RC) e nelle SS (20% RC). Un evento minore si è verificato nel 30% delle MF, nel 16% dei l. B e nel 14% delle LyP, con una mEFS di 71 mesi. Un evento maggiore si è verificato nel 75% dei l. T rari (MEFS mediana, 6 mesi), nel 30% delle SS, nel 14% dei l. B e nel 7% delle MF (MEFS mediana, 18 mesi nei pazienti con noduli/tumori di MF). All’ultimo follow-up 35 pazienti (13%) sono morti per malattia (OS mediana globale, 156 mesi; 10 mesi nei l. T rari, 135 nella SS, 115 nei l. B). I pazienti con LyP e MF hanno avuto una migliore OS (rispettivamente, 100% e 83% erano vivi a 140 mesi). Conclusioni. Il nostro studio conferma la validità clinica della class. WHO/EORTC che individua gruppi di pazienti con differente comportamento clinico. La nostra frequenza di sottotipi di LCP è apparsa diversa da quella dei Registri Olandese e Austriaco per uno scarso numero di l. anaplastici e l. B, verosimilmente per le modalità di selezione della casistica avvenuta in ambito ematologico. Bibliografia 1 Willemze R, et al. Blood 2005;105:3768-85. A. Ramponi, E. Boveri**, S. Franceschetti*, G. Valente, G. Gaidano* Introduction. T cell large granular lymphocyte leukemia (TLGL) is a rare disease, with indolent clinical course, may be associated with autoimmune conditions (rheumatoid arthritis), hematological disorders (myelodisplastic syndromes, aplastic anemia) or neoplasias (hairy cell leukemia, myeloma). Diagnosis can be made on marrow aspirate and peripheral blood by cytological, immunophenotypical and molecular findings (assessment of T cell receptor/TCR rearrangement). However, symptoms and signs can overlap with other low grade lymphomas; for this reason bone marrow biopsy (BMB) may be performed. Purpose of the study: to describe the clinico-pathologic findings in 5 cases of T-cell LGL. Patients and methods. 5 patients (M: F = 2:3; mean age: 66 years, range 51-82) presented cytopenia (particularly, neutropenia), lymphocytosis (5/5) and hepatosplenomegaly (1/5); in all cases, the clinical picture had been relatively unchanged for more than 1 year before BMB (range 1-5 years); one patient showed thymic hyperplasia without myasthenia. Paraffin embedded BMBs were used for morphological and immunophenotypical studies; flow cytometry and molecular assessment of the TCR rearrangement were performed on peripheral and/or marrow blood. Results. In all cases, there were an interstitial/sinusal lymphoid population(about 20%) of medium-sized cells, with clear cytoplasm. By immunostains, cells had a T (CD2+, CD3+, CD5+, CD7+, CD20-) activated cytotoxic phenotype (CD8+, CD4-, CD57+, CD56-, TIA1+/-, granzyme B+/-, perforin+/-); they were TCR alpha-beta+, gamma-delta- by flow cytometry and carried a monoclonal TCR rearrangement by molecular analysis. All the case showed reduced leuco-erythroblastic ratio; in one case, mild diffuse fibrosis (1+). Conclusion. T-cell LGL is a rare diagnosis in pathologist’s practice; its distinction from other lymphoproliferative diseases both of B (hairy cell leukemia, splenic marginal zone lymphoma) and T cell origin (hepatosplenic T cell lymphoma) is of significant importance, as these other entities carry a worse prognosis and require specific and/or more aggressive therapy. In our cases, the final diagnosis could be reached only by combining different techniques, thus underlining the need of a multidisciplinary approach. Linfoma plasmoblastico cutaneo associato a terapia immunosoppressiva post-trapianto M. Contini, P. Cossu Rocca, F. Pili, A. Mura, A. Manca, L. Bosincu, G. Massarelli Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Università di Sassari Introduzione. Il linfoma plasmoblastico (PBL) è una rara variante di linfoma diffuso a grandi cellule così denominata per la morfologia blastoide e per l’immunofenotipo plasma- POSTERS cellulare. Tale entità viene classificata dalla WHO nell’ambito dei disordini linfoproliferativi associati a immunodeficienza, ma limitatamente alle forme insorte nel cavo orale di pazienti HIV. Recentemente, tuttavia, sono state descritte alcune forme di PBL insorte in sede extra-orale e/o in pazienti HIV-negativi. Il PBL si associa, nella maggioranza dei casi, ad infezione da EBV e/o HHV8 e presenta un decorso clinico aggressivo, con rapido interessamento nodale ed extranodale e ridotta sopravvivenza. Riportiamo un caso di linfoma plasmoblastico cutaneo primitivo, recidivante ed autolimitantesi, correlato ad uno stato di depressione immune iatrogena. Metodi. Un uomo di 69 anni, in terapia immunosoppressiva per trapianto cardiaco, manifesta la comparsa nella gamba sinistra di lesioni cutanee nodulari, multiple e recidivanti, in gran parte regredite spontaneamente. Viene escissa una prima lesione e, dopo qualche mese, altri due distinti noduli di nuova comparsa. Risultati. I campioni cutanei mostrano lesioni nodulari solide, biancastre, rispettivamente di 10, 6 e 4 mm. Nei tre casi si evidenzia una proliferazione dermica circoscritta di elementi atipici a citoplasma basofilo, nucleo eccentrico ed evidente nucleolo centrale eosinofilo. Frequenti mitosi atipiche e corpi apoptotici. L’immunoistochimica mostra positività per IgG, catene leggere lambda, CD31 e focale per EMA; negatività per IgM, IgA, catene leggere kappa, CD45, markers B e T, CD138, e HHV8. L’ibridazione in situ per EBV-encoded RNA (EBER) mostra positività in più del 90% delle cellule neoplastiche. Discussione. Presentiamo un caso di PBL cutaneo correlato ad immunodepressione iatrogena, non inquadrabile nella attuale classificazione WHO che limita il PBL alla sede d’insorgenza orale ed all’associazione con HIV. La positività per EBER può essere d’ausilio nella diagnostica differenziale del PBL extra-orale rispetto ad altre forme di neoplasie plasmacellulari a morfologia plasmoblastica. Il decorso clinico favorevole del nostro paziente e la regressione spontanea delle lesioni, indurrebbe a considerare il PBL primitivo cutaneo come una neoplasia “opportunistica” la cui storia naturale appare legata all’assetto immune del paziente. Il riconoscimento di questa entità può ampliare lo spettro dei disordini linfoproliferativi post-trapianto. MALT linfoma della tiroide. Presentazione di un caso R. Scamarcio, M. Casiello, G. Napoli, G. Renzulli, R. Ricco Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari Introduzione. Il linfoma primitivo della tiroide è una neoplasia rara con l’immunofenotipo delle cellule linfoidi B. Il sottotipo più comune (70% dei linfomi tiroidei) è il linfoma non Hodgkin diffuso a grandi cellule B (DLBCL) che rappresenta il 5% di tutti i tumori maligni della tiroide e il 3-7% di tutti i linfomi extranodali. Ha decorso clinico aggressivo. Sottotipo meno comune (6-27% dei linfomi tiroidei) è il linfoma non Hodgkin mucosa associato (MALT) con decorso clinico indolente. Si presentano più comunemente nelle donne con tiroidite di Hashimoto. Il linfoma primitivo della tiroide non necessita di terapia chirurgica. 207 Materiali. Paziente di 70 anni affetta da gozzo multinodulare tossico in trattamento con Tiamazolo da 7 anni. Per l’insorgenza di difficoltà nella deglutizione e respiratoria si sottopone ad intervento chirurgico. Tiroide di 250 g, asimmetrica, aspetto multinodulare. Al taglio aspetto variegato per l’alternarsi di aree rossastre e aree colloido-cistiche. Risultati. Tiroide a struttura nodulare macrofollicolare e colloido-cistica con massivo infiltrato flogistico linfoplasmacellulare aggregato in centri germinativi, diffusa atrofia parenchimale e fibrosi. Nel lobo sinistro ampia area di infiltrazione diffusa di elementi linfoidi di piccole dimensioni, con lesioni linfoepiteliali. Le indagini immunoistochimiche rivelano l’immunofenotipo B (positivi CD79a e Bcl2) con restrizione per le catene leggere delle immunoglobuline (positivi CD138 e catene K). Diagnosi. Linfoma non Hodgkin diffuso a cellule B tipo MALT in tiroidite di Hashimoto. Conclusioni. Il linfoma primitivo della tiroide insorge su tiroidite autoimmune e necessita di 20-30 anni per svilupparsi dopo l’inizio di una tiroidite linfocitica cronica. Un rapido ingrandimento della ghiandola associato a dispnea, difficoltà nel deglutire e disfonia è la caratteristica presentazione di un linfoma alla tiroide. Clinicamente sovrapponibile al carcinoma anaplastico. La diagnosi citologica di linfoma non Hodgkin a grandi cellule B può essere sospettata in presenza di grandi cellule a morfologia linfoide, mancanza di coesione cellulare e presenza di lesioni linfoepiteliali. Di contro la diagnosi citologica di linfoma MALT è difficile a causa della costante presenza della tiroidite di Hashimoto. Le caratteristiche distintive possono essere l’abbondanza di cellule linfoidi e l’alta proporzione di cellule intermedie tipo centrocita nel MALT linfoma quando paragonato alla tiroidite di Hashimoto. Sarcoma a cellule di Langerhans della parotide: descrizione di un caso con studio immunoistochimico ed ultrastrutturale J. Nunnari, P. Graziano, L. Manente, E. Silvestri, MC. Macciomei, D. Danieli*, R. Pisa, D. Remotti U.O.C. di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “San Camillo-Forlanini”, Roma; * U.O.C. di Anatomia Patologica, ASL 6, Vicenza Introduzione. Le proliferazioni a cellule di Langerhans costituiscono uno spettro di malattie che comprende lesioni reattive, neoplasie benigne localizzate e neoplasie sistemiche, in passato definite come Istiocitosi o granulomatosi. I sarcomi a cellule di Langerhans (LCS) sono estremamente rari; casi di LCS sono stati riportati in letteratura in diversi organi (linfonodi, fegato, cute, milza, polmone e osso), mentre non è mai stata descritta una localizzazione parotidea di LCS. Descrizione del caso. Uomo di 44 anni, asintomatico, con rapida insorgenza di una tumefazione della parotide destra, non dolente, interpretata come neoplasia primitiva ed asportata chirurgicamente. Macroscopicamente la neoformazione, del diametro massimo di 4,5 cm, mostrava margini maldefiniti, estendendosi ai tessuti molli periparotidei. Istologicamente la ghiandola ed i tessuti molli erano massivamente infiltrati da una proliferazione ipercellulare, monomorfa, con ampie aree di necrosi, composta da cellule grandi, con profonde incisure della membrana nucleare, nuclei a cromatina dispersa con POSTERS 208 Cytogenetic MALT1 rearrangement negative Primary site of involvement Stomach Histological Diagnosis 1 EMZL Clinical data/ Follow-up Hp+/Alive with disease/9 months fu 1 FL 1 DLBL in EMZL 1 DLBL MALT1 rearrangement positive Stomach 1 EMZL 1 EMZL Trisomy 18 positive Stomach 1 EMZL 1 EMZL T(14;18) (IgH;bcl2) positive t(11;14)(CCND1;IgH) positive Duodenum FL grade 3b Small intestine + lymphadenopathy Rectal 1 MCL 1 MCL Gastric Tonsillar 1 MCL 1 MCL piccoli nucleoli basofili periferici, citoplasma chiaro a limiti indistinti. L’indice mitotico era elevato (30-40 mitosi/10 HPF). Focalmente erano presenti numerosi granulociti eosinofili. Le cellule neoplastiche hanno mostrato intensa positività per CD1a, S100 e Vimentina e negatività per CD68R, TCL1, MPx, CD45, CD34, CD21, markers di linea B e T e citocheratine. L’indice di proliferazione (% di cellule neoplastiche Ki67+) è risultato del 50-60% circa. Gli studi ultrastrutturali hanno dimostrato la presenza intracitoplasmatica dei granuli di Birbeck. La stadiazione completa è risultata negativa ed il paziente è stato sottoposto alla sola radioterapia locale; a quattro mesi dalla fine della terapia è in remissione completa. Conclusioni. Il caso da noi presentato è, a nostra conoscenza, il primo caso descritto di LCS a localizzazione parotidea; il suo comportamento clinico è significativamente migliore rispetto ai rari casi di LCS riportati in letteratura, i quali mostrano un andamento clinico decisamente più aggressivo, con localizzazioni multiple e bassa sopravvivenza. Hp-/surgical treatment /Alive in CR/38 months fu Alive in CR/surgical treatment/ / 28 months fu Hp+/Alive with disease/6 months fu Hp+/Stage IV at diagnosis/Alive in CR/56 months fu Hp+/Diffuse lesion /Surgical treatment/ Lost to fu Hp+/Alive with disease/4 months fu Hp+/Alive with disease/4 months fu Primary localization/ Alive/3 months fu Alive/gastric relapse, now in CR/33 months fu Stage IV at diagnosis/ Leukemic/Death after 6 months Lost to fu Death of infectious complications after 4 years The CXCL13 chemokine (BCA-1) is retained by follicular dendritic cell sarcoma neoplastic cells and attracts intratumoral CXCR5expressing lymphocytes W. Vermi, M. Ponzoni, M.G. Uguccioni**, D. Bosisio***, C. Doglioni*, F. Facchetti Anatomia Patologica, Spedali Civili di Brescia; * Anatomia Patologica, Istituto “San Raffaele”; ** Istituto per la Ricerca in Biomedicina, Bellinzona; *** Dipartimento di Patologia Generale, Università di Brescia Introduction. CXCL13 is a chemokine produced in the germinal centre of B-follicles, crucial in the lymphoid organ development. CXCL13 operates attracting B- and T-lymphocytes that express CXCR5. Follicular dendritic cells (FDC) have been historically retained the main cellular source of CXCL13. Recently, genome wide approaches have suggested follicular CD4 T helper-cells (THF) as additional CXCL13producers. Of note, the putative neoplastic counterpart of THF (i.e. CD4+ tumor T-cells in Angioimmunoblastic T-cell Lymphoma) retain the capability of producing CXCL13. Data on the expression of CXCL13 by FDC sarcoma (FDCsar) cells are not available. Since FDCsar contains a dense lymphocytic infiltrate in the form of “sprinkling” or with the extreme “inflammatory pseudotumor-like” features, we te- POSTERS sted the hypothesis whether FDC tumor cells sustain this recruitment via CXCL13. Methods. Nine case of FDCsar (5 nodal and 4 extranodal) and a cohort of epithelial and stromal neoplasms potentially mimicking FDCsar (63 cases) were selected from two independent institutions. Formalin-fixed, paraffin-embedded tissue sections were tested for the expression of CXCL13 (clone 79018, R&D) and CXCR5 (clone 51505, R&D) by immunohistochemistry. mRNA expression of CXCL13 and CXCR5 was quantitated by qRT-PCR and localized by in situ hybridization techniques. Results. On histology, FDCsar tumor cells showed a classical spindle or epithelioid shape and formed fascicles exhibiting storiform and whorl pattern. A confirmatory phenotype was obtained using a panel of widely recognized FDC markers (CD21, CD23, CD35, CAN.42, EGF-R, Clusterin, Podoplanin); in two cases electron microscopy demonstrated desmosomes. Intratumoral lymphocytes were commonly found and represented by variable mixture of CD20+ B-cell and CD3+ Tlymphocytes. The FDCsar neoplastic cells consistently and strongly expressed the CXCL13 at protein and mRNA level. In the large majority of FDCsar mimickers, no reactivity for CXCL13 was observed. Abundant expression of CXCR5 was observed in the peritumoral and intratumoral lymphoid populations. Conclusions. CXCL13 can be considered an additional tool in the diagnosis of FDCsar with high level of sensitivity and specificity. FDC sarcoma cells retain, as their normal counterpart, the expression of CXCL13 mRNA and protein. This molecule is likely to be functional in these tumors, as indicated by the recruitment of intratumoral lymphocytes expressing CXCR5. Linfoma T/NK: due localizzazioni extranodali L. Roncoroni, P.R. Billo, B. Di Marco, D. Novero*, A. Assi U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Civile, Legnano (MI); * U.O.A.D.U. Anatomia Patologica 2, Azienda Ospedaliera “S. Giovanni Battista”, Torino Introduzione. Il linfoma T/NK extranodale “nasal type” è una malattia rara nei paesi occidentali. Presso il nostro ospedale si sono presentate all’osservazione clinica, in tempi diversi, due pazienti con localizzazioni extranodali di tale malattia. Paziente di sesso femminile di 46 anni (A), da alcuni mesi in cura per rinite allergica, che presentava alla rinoscopia neoformazione occupante le cavità nasali. Paziente di sesso femminile di 29 anni (B), da alcuni mesi insorgenza di nodulo cutaneo braccio destro curato con terapia antibiotica e steroidea, si presenta in pronto soccorso per otalgia, fotofobia, vertigini e nausea. Durante il ricovero comparsa di noduli multipli agli arti inferiori e superiori e paralisi del VII nervo cranico destro. Metodi. Pervengono alla nostra osservazione: frammenti multipli della neoformazione nasale della paziente A e losanga di cute e sottocute della paziente B. I campioni istologici pervengono immersi in formalina in appositi contenitori, vengono descritti, sezionati e processati secondo le metodiche routinarie, e successivamente allestiti i preparati istologici. Valutate le sezioni in ematossilina-eosina si richiedono le reazioni immunoistochimiche necessarie per la tipizzazione delle lesioni: CD3, CD20, CD4, CD8, CD56, MIB-1, CD5, 209 TA1, TdT. In altri centri è stata eseguita la ricerca di EpsteinBarr virus mediante metodica molecolare. Risultati. I preparati istologici della paziente A hanno mostrato un infiltrato linfoide costituito prevalentemente da linfociti T di medie dimensioni ed ampio citoplasma, infiltranti le pareti vascolari causandone la necrosi. Tale popolazione neoplastica risultava immunoreattiva al CD3, CD4, CD56; EBV non valutabile. I preparati istologici della paziente B presentavano un infiltrato linfoide T più marcato in sede dermica profonda e sottocutanea costituito da cellule monomorfe di medie dimensioni, immunoreattive al CD3, TIA1; EBV positivo. Discussione. Il riscontro nell’arco di alcuni mesi di due localizzazioni extranodali della stessa rara patologia linfoproliferativa ci ha motivato a rivedere la letteratura e l’incidenza di questo linfoma nella popolazione. Bibliografia Willemze R, et al. Blood 2005;105:3768-85. Pagano L, et al. Ann Oncol 2006;17:794-800. Pathology & Genetics Tumours of Haematopoietic and Lymphoid Tissues (WHO, 2001). Linfoma non Hodgkin primitivo dell’ovaio: riscontro occasionale F. Di Nuovo, P. Uboldi, M. Spinelli Dipartimento di Patologia A.O. “G. Salvini”, Servizio di Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale “S. Corona”, Garbagnate Milanese, Milano Introduzione. I linfomi non Hodgkin primitivi dell’ovaio sono estremamente rari, mentre la localizzazione ovarica, frequentemente bilaterale, in corso di linfoma sistemico è più frequente e rappresenta l’evento tardivo di una malattia linfonodale disseminata. Riportiamo un caso la cui diagnosi, del tutto incidentale, è stata effettuata a seguito di isteroannessiectomia totale, bilaterale. Materiali. Donna di 57 anni, con familiarità materna per linfoma, viene sottoposta ad intervento chirurgico per asportazione di leiomiomi multipli del corpo uterino. L’esame macroscopico del campione operatorio evidenziava in corrispondenza dell’ovaio destro una formazione ovalare grigiastra, a margini netti, di 1,2 cm di diametro massimo. Indenne appariva l’ovaio di sinistra. Risultati. Microscopicamente la neoformazione ovarica era costituita da una proliferazione di cellule per lo più disposte in filiere, variamente orientate, di dimensioni medio-grandi, con citoplasma discretamente rappresentato, basofilo al Giemsa. I nuclei erano ipercromici con cromatina azzollata, nucleoli evidenti, occasionalmente multipli e addossati alla membrana nucleare. Si osservavano, inoltre, focolai di necrosi, indice mitotico pari a 4 mitosi per 2 mm, e indice di proliferazione (Mib1) elevato. La neoformazione appariva priva di capsula, ma ben circoscritta e delimitata dal parenchima circostante, tuttavia, a forte ingrandimento, alcuni elementi cellulari sfioccavano delicatamente nel restante parenchima ovarico. La popolazione cellulare testata immunoistochimicamente era positiva per LCA e CD20, mentre non ha mostrato immunoreattività per i seguenti marcatori linfoidi: CD3, CD5, CD10, CD23, CD34, Bcl2, MPO, MT1. Negativi sono risultati tutti i marcatori immunoistochimici epiteliali e germinali. Sulla base dei dati clinico-strumentali, morfologici ed immunoistochimici è stata formulata diagnosi, secondo POSTERS 210 WHO 2000, di linfoma non Hodgkin a grandi cellule, a fenotipo B, a primitività ovarica. La paziente è stata stadiata e non mostrava evidenza di linfoma in altre sedi. A tutt’oggi a distanza di 4 anni e 6 mesi la paziente è libera da malattia ed è in buono stato di salute. Conclusioni. L’osservazione di questo caso ci ha consentito di rivalutare i dati della recente letteratura. Il linfoma primitivo dell’ovaio è una malattia rara, la cui evenienza è stata anche messa in discussione da alcuni autori. L’istotipo a grandi cellule B è quello che più frequentemente ricorre nella scarna letteratura pubblicata. Applicando i criteri stringenti di Fox e Langley la nostra diagnosi è stata avvalorata da una serie di dati tra cui: malattia clinicamente confinata nell’ovaio senza alcuna altra dimostrazione strumentale di ulteriori lesioni concomitanti, sangue periferico e midollo osseo indenni, assenza di ulteriori localizzazioni almeno numerosi mesi dopo la scoperta della lesione ovarica. Sebbene infrequente, il linfoma deve essere preso in considerazione nella diagnosi differenziale delle neoplasie ovariche anche in considerazione della buona prognosi. Bibliografia 1 Ambulkar I, Nair R. Primary ovarian lymphoma: report of cases and review of literature. Leuk Lymphoma 2003;44:825-7. An integrated morphophenotypical and cytogenetic diagnostic approach to gastrointestinal and oropharyngeal lymphomas M. Marino, G. Chichierchia, D. Assisi*, M. Diodoro, S. Sentinelli, M.L. Dessanti**, R. Lapenta*, P. Canalini, A. Papadantonakis, R. Martucci, R. Perrone-Donnorso, F. Pisani** Department of Pathology; * Gastrointestinal Endoscopy Unit, ** Hematology, “Regina Elena” Cancer Institute, Rome, Italy Introduction. Small B cell gastrointestinal and oropharyngeal lymphomas constitute a diagnostic tool. Methods. We apply an integrated morphophenotypical and cytogenetic approach in diagnostic practice, with an extended antibody panel including the anti-Cyclin D1 mc antibody from rabbit (clone SP4) as well as the marker of proliferative activity MIB1. In addition lymphomas are routinely investigated by FISH analysis for MALT1 rearrangement [LSI MALT1 (18q21) Break Apart Rearrangement Probe] and/or for t(11;14) (CCND1; IgH) as a screening approach for recurrent chromosomal translocations, or to exclude the possibility of a mantle cell lymphoma localization. Lymphoma cases are staged by endoscopic ultrasonography. Treatment in initial stages is based on Helicobacter Pylori eradication therapy. Results. The Table reports our preliminary data concerning 13 cases examined among our series of gastrointestinal and oropharyngeal lymphomas. Conclusions. From our data it appears that an integrated immunohistochemical and cytogenetic characterization of GI and oropharingeal lymphomas is needed in order to exclude a MCL. 2/4 MCL showed a gastric localization in the course of disease. Lymphomatous polyposis (LP) was not the typical presentation of MCL in our series. The natural history of distinct cytogenetic subgroups in our series of gastric B cell lymphomas is actually under investigation, as some cases have short follow-up. A DLBL evolution was seen in the MALT1 rearrangement negative group. Linfoma splenico a “cellule della zona marginale”: studio dell’espressione di TCL1 e t-bet M.G. Zorzi, M. Lestani, F. Menestrina*, S. Pedron*, P. Piccoli*, L. Montagna*, M. Chilosi* U.O.C. di Anatomia Patologica, ULSS5 “Ovest-Vicentino”; * Dipartimento di Patologia, Università di Verona Introduzione. La diagnosi istologica del linfoma splenico “a cellule della zona marginale” (SMZL) presenta alcune criticità che la rendono poco riproducibile: la diagnosi viene frequentemente formulata su biopsia ossea, con infiltrati neoplastici minimi e non sempre viene eseguita la splenectomia; mancano marcatori citogenetici specifici; il quadro morfologico ed il profilo immunofenotipico si sovrappongono a quelli di altri linfomi B CD5-negativi. Metodi. Abbiamo studiato l’espressione di TCL1 e t-bet in 40 casi di SMZL, diagnosticati su pezzo operatorio (milza: 21/40) o su biopsia osteo-midollare (19/40), applicando i criteri clinici, morfologici ed immunofenotipici descritti nella classificazione WHO. Le biopsie osteo-midollari sono state decalcificate in soluzione tamponata acida EDTA per 3 ore ed incluse in paraffina. Le sezioni deparaffinizzate sono state sottoposte ad “antigen retrieval” ad alte temperature in “buffer” citrato (pH 8; 30 min). La reazione positiva per TCL1 (clone 27D6/20, diluizione 1:500; MBL, Naka-ku Nagoya, Japan) e t-bet (clone 4B10, diluizione 1:200; Santa Cruz Biotechnology, CA, USA) è stata rivelata con metodo polimerico a due “step” (Super sensitive IHC detection system, Biogenex, San Ramon, CA, USA), utilizzando un coloratore automatico (GenoMx i6000, Biogenex). Risultati. TCL1 è risultato negativo in tutti i casi di SMZL. T-bet è risultato positivo (positività nucleare) in 17/40 casi (42%), con espressione variabile per intensità, in relazione al tipo di preparato studiato e alle caratteristiche dell’infiltrato neoplastico (interstiziale, nodulare, diffuso). T-bet ha rivelato una buona sensibilità nell’identificare le cellule neoplastiche in parte dei casi di localizzazione osteo-midollare di tipo “intrasinusoidale”, anche di minima entità. Più della metà dei casi sono risultati T-bet negativi. Conclusioni. I linfociti della “zona marginale” esprimono un fenotipo specifico, caratterizzato dall’espressione di marcatori B-associati, dalla negatività per TCL1 e dall’espressione variabile di T-bet. Questo fenotipo è conservato dal clone neoplastico e può essere utilizzato per diagnosticare il linfoma anche in presenza di un infiltrato osteo-midollare minimo. Bibliografia Narducci MG, et al. Cancer Res 2000;60:2095-3100. Dorfman DM, et al. Am J Clin Pathol 2004;122:292-7. POSTERS 211 TCL1 and CD11c expression in hairy-cell leukemia and their diagnostic role on bone marrow biopsies in the differential diagnosis with splenic marginal zone lymphoma L’espressione immunoistochimica di VEGF correla con la densità microvascolare (DMV) nelle malattie mieloproliferative croniche Phnegative (Ph-MPC) M. Lestani, M.G. Zorzi, F. Menestrina*, L. Montagna*, S. Pedron*, P. Piccoli*, M. Chilosi* E. De Camilli, U. Gianelli, C. Vener*, P.R. Rafaniello, F. Savi, L. Boiocchi, R. Calori*, A. Iurlo, F. Radaelli*, G. Lambertenghi Deliliers*, S. Bosari, G. Coggi Service of Pathology, ULSS 5 “Ovest-Vicentino”; ment of Pathology, University of Verona, Italy * Depart- Background. According to WHO classification, hairy cell leukaemias (HCL) always express CD22, CD103 and CD11c; it is also typically positive for CD25, TRAP, DBA.44 and FMC7. On fixed tissues, however, no routinely available single-marker is specific for HCL, since CD11c, CD22 and even TRAP and DBA. 44 can be present in other malignancies, such as splenic marginal zone lymphoma (SMZL), that may morphologically and clinically mimic HCL. Annexin A1 (ANXA1) immunocytochemical detection has demonstrated to be highly sensitive and specific for HCL cells on peripheral blood and on formalin fixed tissues, but its expression in myeloid cells can create difficulty in staining interpretation 1. TCL1 (T-cell leukemia 1 gene) is an oncogene involved in chromosome rearrangements in mature T-cell leukemia. In B-cell lymphomas, evaluated by immunohistochemistry, TCL1 expression has been documentated in B-cell neoplasms of pre-GC and GC origin, but not in marginal zone lymphoma and myeloma, and its reactivity pattern in HCL is currently not described 2. We investigated TCL1 and CD11c immunoreactivity in 10 cases of HCL (formalin-fixed paraffin-embedded bone marrow biopsies), comparing the results of TCL1 immunostaining in 10 cases of SMZL, in order to evaluate its possible role in the differential diagnosis of the two entities. Methods. Immunohistochemistry was performed using high temperature antigen retrieval in citrate buffer (pH 8) for 30 min on deparaffinized sections. Monoclonal antibodies recognising TCL1 (clone 27D6/20, dilution 1:500; MBL, Naka-ku Nagoya, Japan) and to CD11c (clone 5D11, dilution 1:50; Novocastra Laboratories, Newcastle, United Kingdom) were used with a polymeric labelling two-step method (Super sensitivet IHC detection system, Biogenex, San Ramon, CA, USA) in an automated staining system (GenoMx i6000, Biogenex). Results. All investigated HCL cases were CD11c and TCL1 positive (10/10). Hairy cells showed a moderate, focally intense membrane staining for CD11c. 9 cases showed moderate or intense nuclear/cytoplasmic staining for TCL1; in 1 TCL1 was detected (weak staining) only on a variable fraction of neoplastic cells. No SMZL stained with TCL1 (0/10). Conclusion. Both TCL1 and CD11c show a high sensitivity for HCL cells on formalin-fixed paraffin-embedded bone marrow biopsies. TCL1 negativity in SMZL may be useful in the differential diagnosis. References 1 Falini B, et al. Lancet 2004;363:1869-70. 2 Narducci MG, et al. Cancer Res 2000;60:2095-3100. II Cattedra di Anatomia Patologica, DMCO, Università di Milano, A.O. “San Paolo” e Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; * Ematologia I e II, Università di Milano, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano Introduzione. I meccanismi biologici che regolano l’angiogenesi non sono stati analizzati in maniera approfondita nelle Ph-MPC. La quasi totalità degli studi ha messo in evidenza un incremento della DMV nelle Ph-MPC ed in particolare nella mielofibrosi idiopatica cronica (CIMF). In queste malattie non è chiaro il ruolo del VEGF, principale fattore proangiogenetico e i dati in letteratura sono discordanti. Questo studio ha lo scopo di valutare la densità microvascolare (DMV) e l’espressione immunoistochimica di VEGF nelle biopsie osteomidollari (BOM) di pazienti affetti da Ph-MPC. Metodi. La popolazione esaminata comprende 98 pazienti (60 M e 38 F; M/F = 1,6/1; età media: 61 aa., range: 18-85 aa.) di cui 29 con Trombocitemia Essenziale (TE), 30 con Policitemia Vera (20 in fase policitemica e 10 in fase mielofibrotica) e 39 con CIMF (11 CIMF-0, 11 CIMF-1, 7 CIMF-2, 10 CIMF-3). I casi controllo (CC) sono rappresentati da 20 BOM di stadiazione, prive di alterazioni istologiche. La DMV è stata valutata mediante anticorpo anti-CD34, utilizzando due differenti metodiche: il metodo “hot-spots” e il metodo “semi-quantitativo”. L’espressione immunoistochimica di VEGF è stata valutata come VEGF index, definito come la cellularità midollare moltiplicata per la frazione di cellule VEGF-positive, ed espresso come numero compreso tra 0 ed 1 (VEGF(i) = % della cellularità midollare x % cellule VEGF positive/104). Risultati. La valutazione della DMV-HS ha rivelato differenze statisticamente significative fra i gruppi CC (7,5 ± 3,6), TE (10,1 ± 4,5), PV (20,7 ± 10,2) e CIMF (25,6 ± 6,3) (p < 0,0001), risultando superiore nei pazienti con PV e CIMF, rispetto ai CC e TE (p < 0,05). I risultati ottenuti con la metodica semi-quantitativa sono sovrapponibili (p < 0,001). Il VEGF (i) ha mostrato livelli di espressione differenti fra i gruppi CC (0,08 ± 0,009), TE (0,12 ± 0,05), PV (0,28 ± 0,20) e CIMF (0,29 ± 0,15) (p < 0,001), con valori più elevati nei pazienti con CIMF e PV rispetto ai CC e TE (p < 0,05). Una correlazione diretta tra DMV e VEGF(i) è stata identificata nelle Ph-MPC (r: 0,67; p value < 0,001) e singolarmente nella PV (r: 0,79; p value < 0,001) e nella CIMF (r: 0,40; p value = 0,013). Conclusioni. Nelle Ph-MPC l’incremento della DMV, inteso come indicatore dell’angiogenesi, correla direttamente con i livelli di VEGF. 212 Fase pre-policitemica “early” della policitemia vera (E-PV) con trombocitosi e diagnosi differenziale con la trombocitemia essenziale A. Moro, U. Gianelli, A. Iurlo*, C Vener*, E. Fermo*, L. Boiocchi, P. Bianchi*, F. Radaelli*, G. Lambertenghi Deliliers*, A. Zanella*, S. Bosari, G. Coggi II Cattedra di Anatomia Patologica, DMCO, Università di Milano, A.O. “San Paolo” e Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano, Italia; * Divisione di Ematologia I e II, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano Introduzione. Nella Policitemia Vera (PV) sono note due fasi clinico-patologiche chiaramente distinte: la fase policitemia e la mielofibrosi post-policitemica. In passato sono stati descritti casi di Trombocitemia essenziale (TE) associati ad eritrocitosi e casi di PV che esordivano con una elevata piastrinosi, tale da mimare clinicamente una TE. Recentemente è stato ipotizzato che la PV possa essere preceduta da un fase precoce di malattia (e-PV), in cui l’incremento della massa eritrocitaria sia inferiore ai valori richiesti per la diagnosi di PV secondo il PVSG o la classificazione WHO. Materiali e metodi. In questo studio abbiamo esaminato le caratteristiche cliniche, morfologiche e molecolari di 17 pazienti con e-PV e li abbiamo comparati a quelle di due gruppi di controllo, 19 casi di PV e da 13 casi di TE, allo scopo di identificare i principali criteri diagnostico-differenziali. Risultati. I pazienti con e-PV hanno mostrato valori di Hb (15,5 g/dl), Hct (45,9%) e LAP (114 IU/L) significativamente superiori ai pazienti con ET (Hb: 13,8 g/dl; Hct 41%; 77 IU/L) ed inferiori ai pazienti con PV (Hb: 16,9 g/dl; Hct: 51,8%; 156 IU/L) (LSD Bonferroni p < 0,05). Splenomegalia (p = 0,004) ed epatomegalia (p = 0,03) sono risultate più frequenti nella e-PV e nella PV in confronto alla TE. Morfologicamente, nel confronto quantitativo con la TE, la e-PV ha mostrato un significativo incremento della cellularità midollare (p < 0,001), dovuto ad incremento dell’eritropoiesi (p < 0,001), delle forme eritroidi immature (p < 0,001), della granulopoiesi (p = 0,004) e delle forme mieloidi immature (p = 0,001). Inoltre, nella e-PV i megacariociti sono caratterizzati da un maggiore polimorfismo (p < 0,001), con difetti di maturazione (p < 0,001), e incremento delle forme a nucleo iperlobato (p = 0,02), vescicoloso (p < 0,001) e “nudo” (p = 0,01). Al contrario, non abbiamo riscontrato differenze significative confrontando e-PV e PV. Mutazioni di JAK2V617F erano presenti nel 100% (17/17) casi di e-PV, nel 95% (18/19) delle PV nel 54% (7/13) delle TE e (p = 0,0007). Conclusioni. I risultati confermano l’esistenza della e-PV come entità clinico-patologica distinta, con caratteristiche cliniche, morfologiche e molecolari più “vicine” alla PV che alla TE. Sulla base di questi dati è possibile ipotizzare un algoritmo diagnostico per la diagnosi differenziale tra queste entità. POSTERS Surface antigen mosaic of dendritic lymphoplasmacytoid lymphoma: a key for interpreting the heterogeneous tissue localization of neoplastic cells R. Franco, A. De Renzo**, A. De Chiara, G. Ferrara*, G. Liguori, L. Del Vecchio***, G. Corazzelli****, G. Pettinato****, G. Botti S.C. Anatomia Patologica, Istituto dei Tumori “Fondazione G. Pascale”, Napoli; * S.C. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “Rummo” di Benevento; ** U.O. Ematologia, Università “Federico II”, Napoli; *** Servizio di Citofluorimetria, CEINGE, Napoli; **** Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università “Federico II”, Napoli; ***** S.C. Ematologia, Istituto dei Tumori “Fondazione G. Pascale”, Napoli, Italy During the last years an unusual form of leukemia/lymphoma whose cells expressed HLA-DR, CD4, CD56 and CD123 (IL3R) was described. Surface antigen mosaic and functional properties of these cells were similar to a fraction of normal dendritic cells, the DC2 or lymphoplasmacytoid subset. This type of neoplasia perfectly overlapped to CD4+ CD56+ lymphoma previously named in WHO classification as “blastic NK” lymphoma. The clinical behavior of this disease generally implies skin involvement with a rapidly aggressive outcome and possible picture of acute leukemia. Immunophenotypic information is incomplete and no study deals with the correlation between surface antigen expression and clinical behavior. One of the points debated is if this disease has to be considered a bone marrow disorder with subsequent peripheral tissue involvement or a peripheral tissue disease with possible leukemic evolution. Rare cases with exclusive bone marrow involvement seem to sustain the first hypothesis, while cases with dendritic lymphoplasmacytoid neoplasia (DLPN), initial skin involvement and expression of cutaneous lymphocyte-associated antigen (CLA) lead to consider this disease a primarily cutis-restricted neoplasia. Chemokines and their own receptors are widely demonstrated to be effective co-regulator of metastasis development in solid tumors. Among these, CXCR4 (CD184) and its ligand CXCL12/SDF1 seem to drive metastasis in many cases. CD26/DPPIV seems to counterbalance CD184 due to its enzymatic activity on CXCL12, hampering the binding between the two structures. In this study we characterized 10 cases of DLPN by using an extended panel of MoAbs, flow cytometry and immunohistochemistry. Six cases were studied by flow cytometry and 5 by immunohistochemistry. The aims were: (i) to define the exact immunophenotype of this rare neoplasia; (ii) to assess the real incidence of these cases; (iii) to attempt a sub-classification of these cases on the basis of antigen expression. The panel utilized for flow cytometry characterization was the following: CD2, CD3, CD4, CD5, CD7, CD8, CD10, CD11a, CD11b. CD11c, CD13, CD14, CD15, CD16, CD19, CD20, CD22, CD23, CD24, CD25, CD26, CD29, CD33, CD34, CD36, CD37, CD38, CD40, CD41a, CD42b, CD43, CD44, CD45, CD56, CD57, CD58, CD61, CD69, CD71, CD80, CD86, CD103, CD184. Flow cytometry characterization performed on bone marrow aspirates in 5 cases with heavy bone marrow involvement consistently evidenced the following immunophenotype: HLA-DR+, CD4+, CD56+, CD36+, CD103+. CD2, TdT and CD33 were expressed by 2 patients while CD7 was displayed by POSTERS one single case. One case with massive involvement of bone marrow and no cutaneous infiltration clearly showed CD26. All cases were initially referred to our institution as acute myeloblastic leukemia (AML). The exact incidence of these cases as compared to all cases of AML studied was 5/2,185 cases. Immunohistochemistry was performed on cutaneous biopsies in 5 patients. In all patients expression of CD4, CD56, CD123, TCL1 was observed. Variable expression of CD68 and CD43 was also detected. In one case more than 50% of cells expressed TdT. CXCR4 (CD184) was observed in all 213 cases, while convincing expression of CD26 was never detected. One cutaneous fragment was studied by flow cytometry also, confirming the CXCR4+ CD26- pattern. In conclusion immunophenotypic features of this rare disease seem to be consistent as regards HLA-DR, CD4, CD56, CD36 and CD103. The expression of CXCR4 and CD26 appear to be associated with tissue distribution of the disease, with CXCR4+ CD26- pattern corresponding to cases characterized by initial cutaneous involvement and metastatic potential, CD26 expression being restricted to bone marrow disease unable to infiltrate peripheral tissues. PATHOLOGICA 2007;99:214-224 Patologia dell’apparato digerente Telangiectatic focal nodular hyperplasia (FNH) of the liver currently classified as hepatocellular adenoma (HCA) variant with ductular differentiation? A problem area and report of a paradigmatic case M. Bisceglia, A. Gatta*, A. Tomezzoli**, M. Donataccio*** Departments of Pathology and * Pediatrics, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo; Departments of ** Pathology and *** Surgery, Ospedale Civile Maggiore di Verona, Italy Introduction. FNH and HCA are benign liver tumors. In 1999 two categories of FNH were defined: the classical type (~ 80%), with or without gross central scar, histologically showing architectural nodular distortion, malformed arterial vessels, and bile ductular reaction, and the non-classical type, lacking nodular architecture or malformed vessels, but always presenting bile ductules, the hallmark of the lesion 1. FNH was further subdivided into the telangiectatic FNH (TFNH) (~ 15%), the mixed hyperplastic and adenomatous FNH (1-2%), and the FNH with cytologic atypia (2-3%). In 2004 molecular studies displayed that TFNH is closer to HCA than to FNH and the term of telangiectatic HCA (HCATFNHtype) was suggested 2. This latter datum was soon corroborated by others 3 4, and TFNH is now included in the monoclonal spectrum of HCA as a separate entity (HCA variant), due to the peculiar morphology and the absence of known gene mutation. This year 2007 new diagnostic criteria came out in regard to HCA, and 4 variants have been delineated in addition to the classical. Variant-3 (with or without inflammatory infiltrates) is TFNH (“progressive FNH”), and may contain ck7+ bile ductules (adenoma with duct differentiation). The other variants of HCA have incorporated the rest of non-classical FNH, and FNH is now represented by the classical or solid form only. Still, the diagnosis (dx) of TFNH remains problematic and overlaps FNH. Case report. Young Italian girl had a twisted pedunculated liver mass, which was surgically resected in emergency in 1999 at the age of 17. No “pill”, no Fanconi anemia, no glycogen storage disease, no familial adenomatous polyposis, no diabetes mellitus was recorded. At histology, based on the presence of a seeming central scar, dystrophic vessels, and patchy ductular proliferation, the lesion was diagnosed as FNH. Peliotic, hemorrhagic and acute necrotic changes were ascribed to the torsion. At surgery another 3 cm liver mass located on the dome was noted but left alone till the end of 2006, by which time had grown to 7 cm. While planning the second surgical intervention, many slides of the 1st lesion were sent in consultation to 7 specialized liver centers, and diverse dx came out, ranging from FNH to HCA-TFNH type to classical HCA (w.d. HCC also considered; concern expressed for the 2nd). The 2nd tumor was resected: no central scar was seen, the lesion was ill-delimited with some zonation of clear ballooned hepatocytes with steatosis arranged around thin-walled venules, alternated with smaller eosinophilic cells disposed along arterial branches; bile ducts and ductules were noted; multiple minute hyperplastic nodular foci of clear/steatotic hepatocytes were also seen in the adjacent host liver. Slides were sent to 5 of the previous cen- ters: the dx received from 3 were classic HCA, HCA with ck7+ biliary ductules, and adenomatous hyperplasia (exclusive of HCA due to the presence of ductules), repsectively; no answer from 2. With the previous history available, 2 of those who answered also suggested the dx of adenomatosis. Finally, on request 2 more pathologists reviewed the entire case and the dx were adenomatosis with different types of HCA (TFNH type and stetatotic-type), and multiple HCA with duct differentiation (progressive FNH type), respectively. Of interest one of these interpreted the “central scar” of the first tumor 5 as the result of socalled congestive hepatopathy. Results. Malignancy was excluded based on morphology (absence of atypia, intact reticulin framework, and regular disposition of 1-2 thick-layered trabeculae) and immunostainings (Glypican3 was negative, CD34 showed minimal sinusoidal staining, MIB1 labeled very occasional nuclei). Conclusions. Given the absence of any significant clinical context, the final diagnosis was spontaneous multiple adenomas (adenomatosis). The clinical management is difficult but requires regular follow-up: removal of larger tumors at risk of bleeding is recommended. References 1 Nguyen BN, et al. Am J Sur Pathol 1999;23:1441-54. 2 Paradis V, et al. Gastroenterology 2004;126:1323-9. 3 Bioulac-Sage P, et al. Gastroenterology 2005;128:1211-8. 4 Zucman-Rossi J, et al. Hepatology 2006;43:515-24. 5 Bioulac-Sage, et al. J Hepatol 2007;46:521-7. Fatal venous systemic air embolism following endoscopic retrograde cholangiopacreatography (ERCP). A case report M. Bisceglia, A. Simeone*, R. Forlano**, A. Andriulli**, A. Pilotto*** Departments of Pathology, * Radiology, ** Gastroenterology and Gastrointestinal Endoscopy, and *** Geriatrics, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo, Italy Introduction. Air embolism (AE) is a rare complication of gastrointestinal (GI) endoscopy, resulting from penetration of gas into the portal veins. Risk factors associated with air embolism in this setting include situations where the mucosa is damaged or where high pressures are generated in the GI tract. Thus this complication can be seen in the context of various pathologies, including acute mesenteric ischemia, chronic inflammatory GI diseases, GI infections, acute gastric dilatation, caustic ingestion, superior mesenteric artery syndrome with duodenal dilatation, ileus, blunt abdominal trauma, duodeno-caval fistulas, and invasive diagnostic procedures, such as double-contrast barium enema, endoscopic sphincterotomy (ES), and ERCP. The likely mechanism by which ES and ERCP cause AE is intramural dissection of insufflated air into the portal venous system via venous duodenal radicles which are inadvertently injured or transected. AE is an ominous sign and may be fatal (mortality rate of 75%), but may also be reversible or cured by surgery depending on POSTERS the underlying causes. The first case of fatal AE due to ES was described in 1988 1, and the first fatal case of systemic AE due to ERCP was reported in 1997 2. So far less than 10 cases of AE after ERCP have been reported. An additional case is described herein. Case report. We report on an unfortunate 78-year-old male who developed systemic venous AE during ERCP. This patient, who many years previously had undergone both gastroduodenal resection for duodenal ulcer and cholecystectomy for gallstones, was admitted for recurrent ascending cholangitis secondary to stones. While undergoing ES and two ERCP procedures for the removal of bile duct stones, he was also diagnosed with CLL. After 3 months, he underwent a 3 rd operative ERCP for recurrent stones, during which he suffered a cardiopulmonary arrest. CT scan demonstrated abundant air in the pulmonary artery, right heart and tributary veins of both superior and inferior vena cava. Cerebral venous AE was also found. Autopsy was performed. Results. Pulmonary artery and right heart AE were confirmed. The liver was taken out en-bloc and investigated with both anterograde portography and retrograde suprahepatic venography via 3 suprahepatic veins. Bench radiographs revealed reflux of the contrast medium into the biliary tree, providing evidence for the presence of small veno-biliary fistulas at both the portal and systemic radicle level. On sectioning the liver surface was punctuated by many parenchymal micro-abscesses containing impacted biliary sand and minute stones, which were histologically confirmed. Conclusions. The air was thought to have entered the portal venous system via intrahepatic radicles of both the suprahepatic and portal veins, which might have undergone perforation on the background of chronic ischemic damage secondary to prolonged impaction and infection of the involved ducts. Air insufflation during cholangioscopy created the gradient pressure that resulted in portal gas and AE. References 1 Simmons TC. Am J Gastroenterol 1988;83:326-8. 2 Kennedy C, et al. Gastrointest Endoscop 1997;45:187-8. HER2/neu overexpression is potentially involved in midgut carcinoids development C. Azzoni, L. Bottarelli, N. Campanini, C. Lagrasta, E. Tamburini, S. Pizzi, T. D’Adda, G. Rindi, C. Bordi Department of Pathology and Laboratory Medicine, Section of Pathological Anatomy, Parma University, Italy Introduction. HER-2/neu oncogene overexpression and/or gene amplification has been documented in several human malignancies, frequently correlates with increased tumor aggressiveness, and can be used as a basis of treatment with trastuzumab. Among neuroendocrine neoplasms of the gastrointestinal tract, the carcinoids of midgut show peculiar features of malignancy with frequent liver metastases at the time of diagnosis. Despite recent advances in the diagnosis, localization, and treatment of these tumors, no etiologic factors have been proven to be associated with them, little is known about the molecular determinants of their growth, and no useful prognostic factors have been identified by molecular studies. Methods. We investigated HER-2/neu abnormalities in 24 primary midgut ileal carcinoids including 7 metastatic tissues and in 38 endocrine carcinomas from other regions of the 215 gastroenteropancreatic (GEP) tract using immunohistochemistry and fluorescent in situ hybridization (FISH). Results. In primary ileal carcinoids the percentage of immunoreactive tumor cells was 100% in 20 cases (84%), ranging from 70 to 80% in the remaining 4 cases (16%). According the breast scoring system based on the patterns of membranous staining 5 cases (21%) showed score 3+; 16 cases (67%) score 2+ and 3 cases (13%) score 1+. In two cases increased values were observed in metastasic as compared to primary tissues with regard to the percentage of immunoreactive cells and the breast scoring. FISH analysis has revealed chromosomal polysomy in 7 cases of midgut carcinoid (35%) all showing immunohistochemic al score 3+. No gene amplification was found in all immunoreactive tumors. The majority of 38 endocrine tumors from other GEP regions were consistently unreactive for HER-2/neu, with the exception of 6 (16%) cases showing a weak immunoreactivity and with a high significant statistical difference (p < 0.000000) as compared with midgut carcinoids. Conclusions. These results show that HER-2/neu overexpression may be involved) in the carcinogenetic process of malignant ileal carcinoids. Further study are needed to evaluate if patients exhibiting HER-2/neu overexpression might constitute potential candidates for adjuvant therapy based on the use of humanized monoclonal antibodies. Cisti linfoepiteliale del pancreas con differenziazione sebacea M. Casiello, G. Napoli, R. Scamarcio, G. Renzulli, R. Ricco Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari Introduzione. Le cisti linfoepiteliali rappresentano una rara variante delle cisti pancreatiche, morfologicamente simili alle cisti derivanti dai residui della tasca branchiale. Metodi. Uomo di 64 anni con ittero ostruttivo e pregressa pancreatite acuta. Sottoposto ad indagini strumentali (TC ed ecografia) si apprezza, in corrispondenza del corpo-coda del pancreas, processo espansivo a densità fluida, diametri 6 x 5 cm. Eseguito esame citologico su agoaspirato con esito non diagnostico per la presenza esclusivamente di materiale necrotico. Al tavolo operatorio la neoformazione pancreatica risultò una formazione cistica a contenuto poltaceo. Effettuato esame intraoperatorio di un frammento della parete della cisti la diagnosi risultò negativa (frammento fibroconnettivale parzialmente rivestito da elementi cellulari coartati. Assenza di cellule maligne). Il paziente fu sottoposto ad intervento di pancreasectomia parziale (corpo-coda) e splenectomia. Risultati. L’esame macroscopico evidenziò formazione cistica multiloculata del pancreas, diametro 4 cm, contenenti materiale poltaceo. All’esame microscopico le cisti apparivano rivestite da epitelio pavimentoso composto cheratinizzante, con focale differenziazione sebacea, e con stroma linfoide spesso aggregato in centri germinativi. Conclusioni. Le cisti linfoepiteliali pancreatiche probabilmente si sviluppano a partire da dotti pancreatici protrudenti in linfonodi o da milza accessoria intrapancreatica. In tal caso si potrebbero correlare anatomicamente e patogeneticamente alle cisti linfoepiteliali derivate da residui della tasca branchiale della testa, del collo e del mediastino. POSTERS 216 Descrizione di un caso di carcinosi meningea isolata in un paziente affetto da adenocarcinoma pancreatico V. Arena, G. Monego*, E. Arena, E. Stigliano, F. De Giorgio**, P. Bertoglio, A. Capelli Istituto di Anatomia Patologica; * Istituto di Anatomia Umana; ** Istituto di Medicina Legale Introduzione. La carcinomatosi meningea ad origine da neoplasie del tratto gastroenterico è clinicamente infrequente e stando ad in letteratura esistono solo due casi di carcinomatosi meningea secondaria ad adenocarcinoma pancreatico (1979 e 2001) 1 2. In entrambi, però non si trovano mai descritti i caratteri istopatologici della neoplasia né vi è cenno alla morfologia degli elementi osservati a livello meningeo. Metodi. Descriviamo di seguito un caso di carcinomatosi meningea da adenocarcinoma del pancreas in un paziente di 59 anni che giungeva all’osservazione clinica per una recente storia di perdita di peso e senso di stanchezza, associato ad iniziali parestesie agli arti. Durante il ricovero il paziente vedeva un rapido peggioramento delle condizioni cliniche con un aggravamento dello status neurologico fino al coma. Un esame del liquor mostrava la presenza di elementi ad anello con castone, ma la negatività della TAC total body non ha consentito di poter fornire una diagnosi di primitività in vita. Il paziente decedeva dopo un mese di ricovero in rianimazione per una sovrapposta infezione polmonare da Candida e veniva richiesto un riscontro diagnostico. L’esame macroscopico non fu dirimente, si apprezzò soltanto un pancreas di consistenza diffusamente aumentata, con un aspetto compatto a livello della testa, ma non vi era comunque l’evidenza franca di una lesione ben definibile in tale sede. Vennero pertanto effettuati multipli prelievi randomizzati. Istologicamente il quadro è apparso quello di un adenocarcinoma ben differenziato, con pattern di crescita tubulo-acinare con immagini di franca invasione perineurale. Focalmente si potevano osservare isolate mitosi atipiche. L’esame dell’encefalo ha poi confermato la carcinosi fenotipicamente compatibile con l’origine pancreatica (Muc1, CK 19, CEA). Risultati e conclusioni. Il caso da noi presentato rappresenta il terzo in letteratura di carcinosi meningea isolata da carcinoma del pancreas ed il primo con la definizione dell’istotipo. Seppure tali casi rappresentino episodi isolati e decisamente molto rari, riteniamo che la loro segnalazione abbia un ruolo importante per la loro esatta caratterizzazione nosologica. Bibliografia 1. Fisher MA, et al. South Med J 1979;72:930-2. 2. Ferreira Filho AF, et al. Amm Oncol 2001;12:1757-9. Metaplasia ossea in adenocarcinoma del colon destro. Case report M. Bonucci, E.D. Rossi, E. Restini*, B. Santoro*, M. Buonvino* Servizio Anatomia Patologica, Casa di Cura “San Feliciano”, Roma; * Dipartimento Chirurgia Generale, Mininvasiva e Robotica, Città di Bari Hospital Introduzione. L’ossificazione eterotopica nel tratto gastrointestinale è un evento raro. Nella maggior parte dei casi la me- taplasia ossea è associata a neoplasia ed il retto che è il più comune sito di ossificazione. Metodi. Viene riportato il caso di una donna di 76 anni con neoformazione del colon destro conglobante le anse ileali. Risultati. L’esame istologico metteva in evidenza un adenocarcinoma mucinoso scarsamente differenziato con presenza di spicole ossee ben differenziate indovate nell’abbondante muco. Era presente diffusa infiltrazione neoplastica nel tessuto adiposo pericolico con interessamento ab estrinseco della parete ileale fino alla mucosa, con metastatizzazione linfonodale. Conclusioni. L’ossificazione eterotopica nell’adenocarcinoma del tratto gastrointestinale è rara. La localizzazione nel colon destro è la meno frequente. La presentazione clinica è simile alle neoplasie senza metaplasia ossea. La conoscenza di questo evento è importante per non diagnosticare un carcinosarcoma. L’esatto meccanismo patogenetico della ossificazione non è ben conosciuto. Lo stravaso di mucina potrebbe avere un ruolo di stimolo metaplastico sui fibroblasti. La prognosi di questi pazienti è peggiore: ampia diffusione alla scoperta e frequente metastatizzazione. Nel nostro caso la paziente oltre ad avere metastasi linfonodali presentava una diffusione massiva nel peritoneo. I tumori cistici sierosi del pancreas: un approccio multidisciplinare A.L. Tosi, L. Maccio, S. Lega, E. Montinari, G.N. Martinelli UU.OO. Anatomia Patologica, Ospedale “Sant’Orsola”, Bologna Introduzione. I tumori cistici sierosi del pancreas sono prevalentemente neoplasie benigne e rari sono i casi con potenziale maligno. Sono frequenti soprattutto in donne di età compresa tra i 62-65 anni, hanno una presentazione per lo più asintomatica e se ne differenziano tre varianti: microcistico (70%), oligocistico (25%) e solido (5%). Scopo del nostro lavoro è sottolineare come un approccio multidisciplinare permetta di discriminare tra le neoplasie che necessitano di un approccio chirurgico, e quelle invece da monitorare clinicamente. Metodi. Sono stati esaminati retrospettivamente i caratteri anatomo-clinici e di diagnostica per immagini di 26 pazienti con tumore cistico sieroso pancreatico, dal gennaio 1990 al dicembre 2006 assunti presso la nostra UU.OO. ed in particolare: 1) clinica: asintomaticità vs. sintomaticità (alterazione della silhouette addominale, dolore addominale cronico, dispepsia); 2) esami radiologici (US e TC) che valutano la localizzazione, le dimensioni della lesione, il numero delle cisti (> 6 nel microcistico), il loro diametro (< 20 mm nel microcistico, > 20 mm nell’oligocistico), la presenza di setti e calcificazioni centrali; 3) valutazione patologica: macroscopica e microscopica, che individua la presenza di cellule cuboidali, ricche di glicogeno intracitoplasmatico, con nuclei piccoli e rotondi, abbondante cromatina ipercromica e setti di tessuto connettivo acellulato. È stato infine valutato l’andamento clinico fra i casi operati vs. i casi non operati. Risultati. In funzione della sede i tumori si trovavano, nel 54% a livello corpo-coda, nel 46% a livello della testa; il diametro massimo era di 5,6 mm. Il 77% dei pazienti è stato sottoposto a chirurgia ed in questo gruppo il diametro medio della lesione era di 6,7 mm. Durante il follow-up non si è POSTERS avuta evoluzione maligna o un significativo aumento delle dimensioni delle lesioni né sui casi trattati chirurgicamente, né sui casi non trattati chirurgicamente, ma monitorati con US e TC. Conclusioni. La nostra esperienza multidisciplinare dei tumori cistici sierosi del pancreas, mettendo in correlazione i dati clinici, radiologici, anatomo-patologici, il follow-up e associandoli ad una ridotta capacità di crescita volumetrica e una quasi assente potenzialità maligna, suggerisce che, nei casi di pazienti asintomatici, con distintivi caratteri di diagnosi per immagini e che non presentino alterazioni della funzione pancreatica, risulti avere successo l’approccio di sorveglianza clinico/radiologica. Caratterizzazione dei recettori per la somatostatina (SSTR2A) nei tumori neuroendocrini dell’apparato digerente S. Lega, E. Montinari, A.L. Tosi, L. Maccio, G.N. Martinelli UU.OO. Anatomia Patologica, Ospedale “Sant’Orsola”, Bologna Introduzione. I tumori neuroendocrini gastro-entero-pancreatici (TNE-GEP) sono neoplasie sporadiche ed eterogenee che originano dalle cellule del sistema neuroendocrino. La somatostatina ed i suoi recettori (SSTR) rappresentano un importante “pathway” molecolare in quanto altamente espressi nelle cellule neuroendocrine e anche nella maggior parte dei TNE-GEP, in particolare gli SSTR2A sono maggiormente rappresentati 1. Scopo del nostro studio è valutare e comparare l’espressione IIC di SSTR-2A in una serie di TNE-GEP al fine di caratterizzarne: la distribuzione in funzione della sede, l’espressione correlandola con il dato anatomoclinico funzionale ed immunofenotipico al fine di poter trasferire i risultati nella pratica clinica come markers di terapia target. Metodi. A tale scopo 50 casi non selezionati di TNE-GEP osservati, presso l’UO Anatomia Patologica nel periodo 20022006, sono stati esaminati; di tutti si è valutata l’espressione IIC sia citoplasmatica che di membrana dei recettori SSTR2A mediante l’utilizzo di un anticorpo policlonale da coniglio anti-SSTR2A diluito 1:12.000 (Biotrend GmbH, Im Technologiezentrum Koln, Germania). Risultati. La maggior parte dei TNE da noi esaminati (47 casi su 50 casi) ha mostrato una positività di membrana con score variabile (1+ vs. 3+), mentre una minoranza (20 casi su 50 casi) una positività citoplasmatica con score variabile (1+ vs. +/-). Conclusioni. In conclusione, il nostro studio conferma la fattibilità di una valutazione IIC dei SSTR2A nei TNE-GEP in materiale d’archivio come valida alternativa di facile esecuzione rispetto a tecniche più complesse. Una reattività di membrana e/o citoplasmatica è indicativa di tumori positivi anche se lo score di espressione per la selezione di un paziente eleggibile per una terapia target deve essere meglio stabilita su più ampie casistiche. L’implementazione routinaria della caratterizzazione IIC di SSTR2A necessita tuttavia di più accurati metodi di standardizzazione. Bibliografia 1 Reubi JC. Peptide Receptors as Molecular Targets for Cancer Diagnosis and Therapy. Endocrine Rev 2003;24:389-427. 217 Occlusione intestinale da endometriosi del sigma con coinvolgimento linfonodale, in età avanzata L. Ventura, M. De Vito U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila Introduzione. L’endometriosi colpisce principalmente donne in età fertile, localizzandosi usualmente agli organi pelvici. Il coinvolgimento di organi extrapelvici è meno frequente, mentre l’estensione della malattia ai linfonodi regionali risulta estremamente rara 1 2. Presentiamo un caso di endometriosi del sigma con coinvolgimento linfonodale, in una paziente anziana affetta da occlusione intestinale. Metodi. Una donna di 74 anni giungeva presso il nostro presidio ospedaliero presentando un quadro di addome acuto da occlusione intestinale. Veniva quindi sottoposta in urgenza ad intervento chirurgico di resezione del sigma. Il campione operatorio era fissato in formalina, campionato e processato per ottenere colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche. Risultati. L’esame macroscopico mostrava una stenosi viscerale della lunghezza di 2,5 cm con presenza di formazioni microcistiche nello spessore della parete e dilatazione del tratto viscerale a monte. A livello istologico era possibile osservare ghiandole endometriali atrofiche con scarso stroma estese dalla sottomucosa alla sottosierosa, con ipertrofia della muscolare propria. Focolai endometriosici erano presenti nella corticale sottocapsulare in uno degli undici linfonodi periviscerali esaminati. Conclusioni. Tra le diverse sedi addominali il rettosigma costituisce la localizzazione più frequente dell’endometriosi 1. In letteratura, la presenza di coinvolgimento linfonodale è stata descritta in 4 casi di endometriosi del retto-sigma 1 2, ipotizzando un meccanismo di trasporto del tessuto endometriale attraverso i vasi linfatici 1. L’endometriosi del grosso intestino deve essere distinta dall’adenocarcinoma, specialmente in caso di lesioni polipoidi ed estese ai linfonodi. Nel caso in esame, i criteri istoarchitetturali, l’assenza di attività proliferativa e le alterazioni atrofiche osservate nei focolai endometriosici hanno consentito di escludere la malignità anche in presenza di estensione linfonodale. L’ipertrofia della muscolare propria e la distribuzione circonferenziale dei focolai endometriosici possono aver causato lo sviluppo del quadro ostruttivo. Bibliografia 1 Insabato L, et al. Path Res Pract 1996;192:957-61. 2 Lorente Poyatos R, et al. Gastroenterol Hepatol 2003;26:23-5. Valutazione dell’espressione del fattore di trascrizione SOX9 nei carcinomi gastrici E. Pilozzi, L. Santoro, E. Duranti, M.C. Giustiniani, A. Stoppacciaro, L. Ruco Istopatologia, Ospedale “Sant’Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza” Introduzione. SOX9 è un fattore di trascrizione che fa parte di una famiglia genica (SRY-like HMG box genes) che com- POSTERS 218 prende circa 20 geni con un ruolo chiave in processi di sviluppo e differenziazione embrionale. Recentemente è stata riportata l’espressione di SOX9 nelle cellule epiteliali intestinali delle cripte che rappresentano il compartimento staminale e proliferativo. È stato dimostrato che l’espressione di SOX9 in queste cellule è dipendente dal pathway Wnt-βcatenina-TCF4. È stato inoltre dimostrato che in linee cellulari di carcinoma del colon l’iper-espressione di SOX9 reprime l’espressione di CDX2. Il carcinoma gastrico nella maggior parte dei casi si sviluppa nel contesto di una gastrite cronica atrofica con metaplasia intestinale. Lo scopo del nostro lavoro era quello di valutare l’espressione di SOX9 nella metaplasia intestinale gastrica e nei carcinomi gastrici ed il rapporto con l’attivazione del pathway Wnt-β-catenina-TCF4. Metodi. Abbiamo valutato tramite immunoistochimica l’espressione di SOX9, β-catenina e CDX2 in 21 casi di carcinomi gastrici (21 M, 10F; 39-86 anni) di cui 15 di tipo intestinale e 6 di tipo diffuso sec. Lauren. Risultati. SOX9 era espresso nelle ghiandole intestinali metaplastiche con la stessa distribuzione delle ghiandole intestinali normali. In 12/21 carcinomi gastrici abbiamo osservato una positività nucleare di SOX9 > 60% delle cellule neoplastiche ed indipendentemente dall’istotipo. Nella maggior parte dei casi la positività di SOX9 era confinata alla periferia dei nidi neoplastici e agli emboli. CDX2 era espresso in circa il 70% dei carcinomi gastrici in una percentuale variabile di cellule. In 5/21 casi abbiamo osservato una dissociazione tra l’espressione di CDX2 e quella di SOX9 nelle diverse aree della neoplasia. L’espressione nucleare di β-catenina era presente in 7/21 (30%) casi. Non abbiamo osservato una relazione tra l’espressione di SOX9 e quella di β-catenina nucleare. Conclusioni. Il nostro è il primo lavoro che dimostra che il fattore di trascrizione SOX9 è espresso nelle ghiandole intestinali metaplastiche dello stomaco e nei carcinomi gastrici. Contrariamente a quanto osservato nel carcinoma del colon, i nostri dati mostrano che nel carcinoma gastrico non c’è una diretta correlazione tra l’espressione nucleare di β-catenina e quella di SOX9, suggerendo un diverso meccanismo di controllo dell’espressione di questo gene. Un caso di melanoma maligno a sede anale A. Labate, M. Mamo, D. Cuppari, M. Sterrantino, P. Napoli S.C. Anatomia Patologica, Azienda Ospedale “Piemonte”, Messina Introduzione. Il melanoma anale è una neoplasia rara, costituendo lo 0,4-0,8% di tutte le lesioni maligne; l’1-3% di tutti i tumori in sede ano-rettale e lo 0,5-1% di tutti i melanomi. La massima incidenza si rileva tra la VI e VII decade di vita e colpisce entrambi i sessi con uguale frequenza presentando una maggiore incidenza nella razza bianca. Case report. Riportiamo un caso di melanoma anale in un soggetto di sesso maschile di 69 anni sottoposto a colonscopia per frequenti rettorragie e per l’evidenza all’esame ispettivo di una tumefazione mal delimitabile a circa 3 cm dalla rima anale. L’esame endoscopico ha messo in evidenza una lesione esofitica, apparentemente infiltrante di colorito bruno, microulcerata, che è stata bioptizzata. I frammenti della lesione pervengono alla nostra attenzione per la valutazione istologica e immunoistochimica. Ci sono successivamente pervenuti linfonodi inguinali e liquido di versamento. Materiali e metodi. Il materiale pervenuto è stato processato come di routine e la lesione anale è stata valutata in microscopia ottica ed in immunoistochimica (HMB45, Ckpan, e CD20). Risultati. Microscopia ottica: i vari frammenti di mucosa del canale anale presentano a ridosso della giunzione dermo-epidermica una neoformazione ad alta densità cellulare costituta da elementi poligonali di medie dimensioni, coesivi, con nuclei voluminosi con nucleoli prominenti e ampi citoplasmi con fine granulia. La lesione appare sepimentata da fini fasci fibrosi. Immunoistochimica: la neoformazione risulta intensamente positiva per HMB45 e negativa per Ckpan e CD20. L’esame citologico effettuato sul versamento metteva in evidenza un fondo intensamente ematico-granulocitario con presenza di rare cellule epiteliomorfe senza aspetti atipici; l’esame dei linfonodi inguinali non ha messo in evidenza ripetizioni metastatiche. Conclusioni. I melanomi anali sono particolarmente rari, generalmente danno metastasi ai linfonodi loco-regionali e costituiscono una importante causa di mortalità per la loro prognosi rapidamente infausta. La sopravvivenza media è intorno ai 25-28 mesi con una percentuale globale del 10% a 5 anni. La lesione giunta alla nostra osservazione è stata tipizzata in base alle caratteristiche morfologiche e immunoistochimiche come melanoma maligno del canale anale. Nel caso giunto alla nostra osservazione, il paziente è stato successivamente sottoposto a colectomia sec. Miles e decedeva a 18 mesi dalla diagnosi. Bibliografia Ben-Izkako et al. Histopathology 2002;41:519-25. Espressione di EGFR e timidilato sintetasi nel carcinoma rettale: correlazioni anatomocliniche e significato prognostico R. Del Sordo, A. Cavaliere, M. Lupattelli*, G. Bellezza, R. Colella, F. Cartaginese, C. Aristei*, L. Draghini*, A. Sidoni Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Università di Perugia; * Radioterapia Oncologica, Azienda Ospedaliera, Perugia Introduzione. Il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) e la timidilato sintetasi (TS) sono stati ampiamente studiati nel carcinoma colon-rettale ai fini prognostici e predittivi. L’EGFR è espresso ad alti livelli nel 25-77% dei carcinomi del colon-retto associandosi ad una prognosi sfavorevole 1 e a radioresistenza. La TS, enzima coinvolto nella sintesi del DNA, è intensamente espressa nel 30-70% dei carcinomi colon-rettali e, sebbene riconosciuta come fattore prognostico indipendente 2, resta da definire il suo ruolo predittivo di sensibilità ad antimetaboliti quali il 5-fluorouracile. Lo scopo di questo studio è quello di valutare il significato prognostico dell’espressione di EGFR e della TS in una casistica di carcinomi del retto trattati con chirurgia radicale e con chemio-radioterapia adiuvante. Metodi. Sono stati reclutati 120 pazienti con adenocarcinoma del retto in stadio II-III sottoposti a chirurgia radicale e successiva chemio-radioterapia adiuvante. Il follow-up medio è stato di 103 mesi (range 6-196 mesi). L’espressione di EGFR e della TS è stata determinata con metodica immunoistochimica valutando semiquantitativamente la percentuale di cellule positive e l’intensità dell’immunomarcatura. Il livello di espressione è stato correlato con i principali parametri anatomo-cli- POSTERS nici: sesso, età, grado di differenziazione, stadio, sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia. Risultati. L’espressione di EGFR e di TS è risultata alta rispettivamente nel 31% e nel 61% dei casi. Nel 15% dei casi si è osservata una coespressione di EGFR e TS ad alti livelli. Non sono state dimostrate correlazioni statisticamente significative tra livello di espressione di EGFR e sesso, età, grado di differenziazione, stadio, sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia. I tumori in stadio più avanzato, hanno mostrato livelli di TS tendenzialmente più elevati. La coespressione di EGFR e TS sembra associarsi a neoplasie più aggressive. Conclusioni. I risultati ottenuti mostrano che il diverso livello di espressione di EGFR, quando valutato singolarmente, non correla significativamente con i vari parametri anatomoclinici da noi considerati. La sua coespressione con la TS sembrerebbe invece influenzare la prognosi del carcinoma rettale. La contraddittorietà dei dati riportati in letteratura è probabilmente legata ai diversi sistemi di valutazione utilizzati per interpretare l’espressione immunoistochimica, pertanto è auspicabile analizzare questi biomarcatori su casistiche più ampie utilizzando sistemi standardizzati e facilmente riproducibili. Bibliografia 1 Kopp R, et al. Dis Colon Rectum 2003;46:1931-9. 2 Edler, et al. J Clin Oncol 2002;20:1721-8. 219 scita del tumore (p = 0,0064). Nell’analisi univariata la perdita di CBX7 correlava con ridotta sopravvivenza (p = 0,0056). Nell’analisi FISH, 128 casi (12,3%) sono risultati “anormali” (polisomici o amplificati). Nell’analisi univariata, i casi polisomici e/o amplificati hanno mostrato una sopravvivenza più lunga (p = 0,0090). Nell’analisi multivariata insieme a pT e pN, i risultati erano al limite della significatività (p = 0,0543). Restringendo l’analisi solo ai tumori di tipo MSS, la presenza di amplificazione correlava con migliore sopravvivenza, sia nell’analisi univariata (p = 0,0017) che nella multivariata (p = 0,0094; RR 0,145). La RT-PCR ha mostrato riduzione dell’espressione di CBX7 in CRC rispetto al colon normale con un rapporto da -2,1 a -13,0 (media 4,8). Conclusioni. La riduzione dell’espressione di CBX7 è probabilmente legata alla prognosi. Alterazioni genomiche (amplificazione e/o polisomia) sono almeno in parte coinvolti nell’iperespressione della proteina, un meccanismo la cui importanza è stata già dimostrata in altri tipi tumorali 3. La reintegrazione dell’attività di CBX7 potrebbe essere una strategia terapeutica in sottogruppi di CRC. Bibliografia 1 Gil J, et al. DNA Cell Biol 2005;24:117-25. 2 Tornillo L, et al. Am J Clin Pathol 2007;127:114-23. 3 Holst F, et al. Nat Genet 2007;39:655-60. hENT1 protein expression in ampullary adenocarcinoma CBX7 nel carcinoma del colon-retto: un possibile marker prognostico? M. Guerriero*, L. Terracciano** ***, V. Carafa***, A. Lugli***, D. Baumhoer***, P.L. Pallante****, S. Sacchetti****, A. Ferraro****, A. Fusco****, L. Tornillo*** * U.O.C. Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche “Giovanni Paolo II”, Campobasso; ** Dipartimento di Scienze della Salute, Università del Molise, Campobasso; *** Istituto di Patologia, Università di Basilea, Svizzera; **** Dipartimento di Patologia Cellulare e Molecolare “Luigi Califano”, Università ‘Federico II”, Napoli Introduzione. Due “pathways” molecolari sono stati identificati nella genesi del carcinoma del colon-retto (CRC). Il primo (MSS) è caratterizzato dall’inattivazione di geni soppressori (APC, p53), il secondo (MSI) dall’inattivazione (genetica o epigenetica) delle proteine che controllano la riparazione del DNA. Le proteine Polycomb sono importanti per il controllo del destino cellulare e dell’apoptosi. CBX7 è parte del “Polycomb repressive complex 1” che riveste probabilmente un ruolo importante nella genesi di vari tipi tumorali 1. Scopi. Abbiamo studiato l’espressione di CBX7 in CRC con lo scopo di identificare il suo possibile ruolo nella genesi di CRC e evidenziarne il possibile significato prognostico. Metodi. Abbiamo effettuato l’analisi immunoistochimica e FISH per CBX7 su un “tissue microarray” (TMA) 2 costitutito da 1406 CRCs. I risultati dell’immunoistochimica sono stati successivamente confermati da RT-PCR semiquantitativa e “real time”. Risultati. Nell’analisi immunoistochimica, il CBX7 è risultato espresso in 84,8% dei casi. La perdita dell’espressione correlava con la categoria pT (p = 0,0013) e con il tipo di cre- G. Perrone, D. Santini*, G. Tonini*, S. Morini**, C. Rabitti Anatomia Patologica, * Oncologia Medica, ** Anatomia Umana, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, Italia Introduction. Gemcitabine is a reasonable alternative to best supportive care in the treatment of biliary tract cancers and it has assumed increasing importance in the therapy of ampullary carcinomas. Efficient cellular uptake of gemcitabine requires the presence of plasma membrane nucleoside transporter (NT) proteins 1. hENT1 is an ubiquitous nucleoside transporter protein and is the major means by which gemcitabine enters human cells 2. Materials and methods. 41 ampullary carcinomas were classified according to TNM system and morphological histotypes. H-ENT1 was evaluated by immunohistochemistry. Staining was graded as absent (0), positive but less intense than internal control tissue (lymphocytes) (1+), positive like internal control tissue (2+), positive, more intense than internal control tissue (3+). The samples with regions of varying staining intensities of hENT1 were scored and the percentages of each staining intensity were recorded. Finally, tumours with an intensity staining of 2+ and 3+ in ≥ 50% of the tumour cells were considered as high expression of hENT1. Results. A positive statistical correlation was found between T and N factor (p = 0.001). Morphologically, we found 49.3% intestinal-type carcinomas, 34.1% pancreaticobiliarytype carcinomas and 17.1% “unusual type” carcinomas. 63.4% ampullary carcinomas showed high hENT1 expression. 85% intestinal, 50% pancreaticobiliary and 28.6% unusual type carcinomas were positive for ENT-1. A statistical difference was found between intestinal vs. pancreaticobiliary type (p = 0.03) and between intestinal vs. unusual types POSTERS 220 (p = 0.006) in terms of h-ENT1 expression. No difference was found between pancreaticobiliary and unusual types (p = 0.36). Conclusions. Our findings demonstrated that a portion of ampullary adenocarcinomas showed high expression of hENT-1 protein suggesting that it should have a high probability to respond to gemcitabine-based chemotherapy. An elevated percentage of intestinal type showed a high hENT-1 expression providing the rational for clinical studies aimed to examine the efficacy of gemcitabina for the treatment of this type of ampullary carcinoma. Furthermore, the significant statistical difference found in terms of hENT-1 expression between pancreaticobiliary vs. intestinal type suggests that these two histotypes of ampullary carcinomas have different molecular biological characteristics and supports the concept of histogenetically different types of ampullary carcinomas. Metastasi di carcinoma mammario in GIST gastrico ad alto rischio con pleomorfismo cellulare A. De Chiara, G. Botti, R. Franco, S.N. Losito, E. Fontanella, V. De Rosa*, V.R. Iaffaioli**, P. Marone***, R. Palaia****, A.P. Dei Tos***** S.C. Anatomia Patologica, * S.C. Radiodiagnostica, ** S.C. Oncologia Medica B, *** S.C. Diagnostica e Terapia Endoscopica, **** S.C. Chirurgia Oncologica C, I.N.T. Napoli, ***** S.C. Anatomia Patologica USSL 9 Treviso References 1 Baldwin SA, et al. Mol Med Today 1999;5:216-24. 2 Mackey JR, et al. Cancer Res 1998;58:4349-57. Reliability and reproducibility of edmondson grading of hepatocellular carcinoma on paired core biopsy and surgical resection specimens M. Leutner, M. Pirisi*, L. Carsana, C. Smirne*, C. Avellini**, L. Sala*, R. Boldorini Anatomia Patologica e * Epatologia Ospedale di Novara; Anatomia Patologica, Polo Sanitario Udinese and 35.0%, respectively for pathologist #1 and #2. The numbers of agreements expected by chance were 47.0% (K = 0.057) and 29.5% (K = 0.078), respectively. Collapsing ES as above did not improve the strength of agreement. Conclusions. ES grading is underestimated in core biopsy specimens when compared to grading in surgical specimens; moreover, inter-rater disagreement is substantial. ** Background. Hepatocellular carcinoma (HCC) is routinely graded by the Edmondson scoring system (ES), described, in the 1950s, on autopsy specimens. We aimed to verify the reliability of ES in core biopsy specimens and the reproducibility of its estimate between different pathologists. Methods. Paired biopsy and surgical specimens obtained from 40 HCC patients were retrieved by pathology records in two hospitals. The single inclusion criterion was the availability of both a core biopsy specimen, obtained at least three months before surgical resection of the tumour, and a paired surgical specimen, evaluated by two experienced pathologists. Inter- and intra-rater agreement of ES was measured by kappa statistics and defined as poor (K ≤ 0.00), slight (K 0.01-0.20), fair (K 0.21-0.40), moderate (K 0.41-0.60), substantial (K 0.61-0.80) and almost perfect (K ≥ 0.81). Results. Both pathologists scored significantly lower ES grades in the biopsy than in the surgical specimens (p < 0.001). In the evaluation of biopsies, the number of observed agreements between pathologists was 32.5%, in comparison to 31.1% expected by chance alone (K = 0.021). Collapsing ES into only two categories (low-grade, ES I-II; and highgrade, ES III-IV), the number of observed agreements raised to 82.5%, in comparison to 78.5% expected by chance (K = 0.186). The number of observed agreements between pathologists on surgical specimens was 52.5%, in comparison to 40.7% expected by chance (K = 0.199). Collapsing ES into the two categories above, the number of observed agreements was 62.5%. The number of agreements expected by chance alone was 48.3% (K = 0.275). The number of observed agreements by the same pathologist, when grading similarly biopsy and corresponding surgical specimens, were 50.0% Introduzione. In letteratura, sono stati riportati casi di GIST “sincroni” ad altri tumori (insorti nello stesso organo o in organi differenti) ma mai associati a metastasi di “tumor to tumor”. Metodi. La nostra paziente è stata operata per CDI mammella dx pT2G2N1biii nel 1997. Nel febbraio scorso, in seguito all’aumento dei markers tumorali e ad approfonditi accertamenti strumentali, si è evidenziata una massa a partenza dalla grande curva gastrica. Risultati. L’esame istologico mostrava una neoplasia in gran parte a cellule fusate e solo focali epitelioidi; era però significativo il numero di cellule francamente pleomorfe e multinucleate. Mitosi 8 /50HPF; assente la necrosi. Tutte le cellule, anche quelle pleomorfe, risultavano intensamente positive a CD117 e CD34, negative a CD31, actina, desmina, S100, HMB45 e CK coerenti con la diagnosi di GIST (ad alto rischio: dimensioni cm 5,2 x 3,5 x 4). In una delle inclusioni, indovati nel contesto della neoplasia suddescritta, si osservavano piccoli sparsi gettoni di cellule epitelioidi monomorfe negative a CD117, CD34 e ai markers endocrini ma positive a CK ad ampio spettro, CK7, GCDFP15, estrogeni e progesterone coerenti con metastasi da carcinoma mammario di cui al dato anamnestico. Conclusioni. Questo caso appare del tutto peculiare per due aspetti. Il primo è che si tratta di un GIST con evidenti atipie citologiche: è ben noto, infatti, che i GIST, anche quando presentino un comportamento clinico aggressivo, sono caratterizzati nella stragrande maggioranza dei casi da caratteristiche citologiche blande ed i casi con atipie citologiche sono una netta minoranza. L’altro è che nel contesto del GIST (tumore già di per sé raro) sono presenti gettoni metastatici da Ca della mammella. È ben documentata l’insorgenza sincrona di un GIST e di altre neoplasie in organi differenti o anche nello stesso organo, in modo particolare nello stomaco (soprattutto adenocarcinomi e linfomi, contigui o distanti tra loro). In un unico caso di tumore da collisione i due pattern istologici apparivano persino frammisti tra loro. Più in generale, è sicuramente eccezionale l’evenienza di metastasi di “tumor-in-tumor” cioè di un tumore di un determinato organo metastatico in un altro tumore di un organo differente dal primo; i casi riportati in letteratura sono quasi sempre singoli e veramente occasionali sono quelli che coinvolgono il carcinoma della mammella. POSTERS La nostra diagnosi finale è stata di metastasi da carcinoma mammario in GIST ad alto rischio con evidenti atipie citologiche. Al meglio delle nostre conoscenze, questo è la prima metastasi di “tumor-in-tumor” coinvolgente un GIST. Expression of adhesion molecules in colorectal cancer may identify prognostic subgroups of tumors: a tissue microarray study M. Guerriero*, A. Lugli**, D. Baumhoer**, I. Zlobec**, F. Feroce***, U. Guumnthert****, L.M. Terracciano** *****, L. Tornillo** * U.O.C. Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche “Giovanni Paolo II”, Campobasso; ** Istituto di Patologia, Università di Basilea, Basilea, Svizzera; *** Istituto di Anatomia Patologica, II Università di Napoli; **** Department of Clinical and Biological Research, University of Basel, Switzerland, ***** Dipartimento di Scienze della Salute, Università del Molise, Campobasso, Italia Background. Adhesion molecules constitute complex molecular networks. In the normal, they are implicated in normal growth, differentiation, motility. In cancer, they play a role in neoplastic proliferation, invasivity, metastasis. A role for some adhesion molecules in the genesis of colorectal cancer (CRC) has been already shown, but a comprehensive analysis of their expression is up to now lacking. Aims. We have studied the expression of adhesion molecules (CD44 isoforms, TGF-beta, TGF-beta-receptor, e-cadherin) in CRC, in order to: 1) identify their relationship with clinicopathologic characteristics (grade, stage, prognosis); 2) find out possible relationship between the different markers; 3) identify combination of markers with prognostic and biological meaning. Methods. 1,406 cases of resected colorectal cancer were used to build a tissue microarray (TMA). Immunohistochemical analysis was performed for isoforms v5, and v9 of CD44, e-cadherin, TGF-beta receptor. Results. Interpretable cases were between 1187 and 1326. A significant relationship was found between CD44v5 and presence of peritumoral lymphocytes (p = 0.0002), growth limited to bowel wall (p = 0.0259) and invasive margins (p = 0.0005); CD44v9 and pT (p = 0.0036), pN (p < 0.0001), presence of vascular invasion (p = 0.0350); in the survival analysis CD44v5 positivity was significant (p = 0.0280). Moreover, a combination of CD44v5 and v9 was significantly related to prognosis (p = 0.0368). E-cadherin expression was related to CD44v9 (p = 0.0001). TGFBRI was related to prognosis in the multivariate analysis (p = 0.0349, RR = 1.20). Conclusions. Adhesion molecules are important in the genesis of CRC. They are strictly related together and therefore they could be useful to identify prognostic subsets of tumors. Moreover, the study of signaling pathways as a network could give a better insight in the biology of CRC. 221 Studio prospettico sul significato della ploidia del DNA, determinata con citometria a flusso, nel carcinoma del colon-retto chirurgicamente trattato P. Migliora, A. Santagostino*, C. Saggia**, M.C. Pavanelli, M. Dacorsi, G. Angeli Anatomia Patologica, Ospedale “S. Andrea”, Vercelli; * Ematologia, Ospedale “S. Andrea”, Vercelli; ** Dipartimento di Medicina Specialistica ASL 11, Vercelli Introduzione. Il valore prognostico della determinazione del contenuto di DNA tumorale nei carcinomi colon-rettali non è ancora completamente chiarito. Numerosi studi sono stati pubblicati ma la maggior parte sono retrospettivi e basati su materiale fissato in formalina e incluso in paraffina, con le limitazioni tecniche conseguenti. Un importante studio prospettico 1 effettuato su campioni criopreservati ha invece dimostrato che la ploidia del DNA è un fattore prognostico indipendente in grado di influenzare la disease free survival (DFS) e la overall survival (OS). Tali risultati sono stati confermati da un recente lavoro della Mayo Clinic 2. Lo scopo del nostro lavoro è valutare in uno studio prospettico l’impatto della ploidia del DNA tumorale sulla risposta alla terapia, sulla OS, sulla disesase specific survival (DSS) e sulla DFS. Materiali e metodi. Dal settembre 2002 al febbraio 2005 sono stati arruolati 67 pazienti operati per carcinoma del colonretto; per ognuno di loro sono stati congelati 3 campioni di tessuto tumorale e uno di mucosa sana. In una seconda fase, dopo opportuno trattamento di disgregazione, sono state effettuate la marcatura con ioduro di propizio, la lettura e l’analisi con citofluorimetro FACSCalibur utilizzando i programmi Cell Quest e ModFitLT. I carcinomi con singolo picco G0/G1 sono stati considerati diploidi, mentre quelli con due o più picchi aneuploidi e su questi è stato calcolato il DNA index. I 67 pazienti sono stati tutti successivamente seguiti e il follow-up mediano è di 30 mesi. Risultati. Sono stati analizzati 280 campioni. È stata evidenziata un’aneuploidia nel 66% dei carcinomi con presenza di contenuto di DNA eterogeneo nel 27% dei casi. Si è stabilita una correlazione significativa tra aneuploidia, stadio di malattia (p = 0,01), numero di linfonodi positivi (p = 0,005) e valori di marcatori tumorali (p = 0,04). La probabilità di progressione è più elevata nei casi a DNA aneuploide (p = 0,05), al contrario la DFS e la OS sono superiori nei casi a DNA diploide (p = 0,02) e (p = 0,03). Tutti i casi di decesso correlati alla neoplasia si sono registrati nel gruppo a contenuto aneuploide. Conclusioni. I risultati ottenuti, anche se preliminari, sembrano quindi confermare l’importanza della determinazione della ploidia del DNA delle cellule del carcinoma del colonretto al fine di stabilirne la prognosi ed eventualmente la scelta terapeutica. Bibliografia 1 Lanza, et al. Cancer 1998;82:49-53. 2 Garrity, et al. JCO 2004;22:1572-82. POSTERS 222 Alterazione di WNT/pathway nel carcinoma epatocellulare associato a cirrosi HCV+ e correlazione con l’espressione di survivin Microvessels density is correlated with 5lipoxygenase expression in human sporadic colorectal cancer F. Sanguedolce, S. De Maria*, M. Cartenì*, G. Pannone, A. Santoro, E. Antonucci, R. Franco**, G. Botti**, P. Bufo V. Barresi, E. Vitarelli, G. Tuccari, G. Barresi Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Foggia; * Dipartimento di Biochimica, II Università di Napoli; ** Istituto di Anatomia Patologica, Fondazione “G. Pascale”, Istituto dei Tumori di Napoli Introduzione. Il carcinoma epatocellulare (HCC), una delle patologie maligne inevitabilmente fatali più diffuse nel mondo, è spesso strettamente correlato, sul piano patogenetico, ad una pregressa cirrosi da HCV. Recenti studi hanno riscontrato nel 19-41% di HCC mutazioni del gene CTNNB1 (betacatenin), che è uno dei geni chiave della WNT pathway, a sua volta ampiamente coinvolta nelle tappe della cancerogenesi staminale. Le mutazioni dei geni di tale pathway (beta-catenin, axin, APC) si manifestano sotto forma di delocalizzazioni citoplasmatico-nucleari della proteina corrispondente con attivazione a catena di una serie di molecole decisive per la progressione neoplastica, tra cui survivin. Scopo del presente lavoro è la valutazione dell’espressione genica di beta-catenin e survivin in HCC insorto su cirrosi HCV+. Materiali e metodi. Sono stati esaminati 28 prelievi di HCCe di fegato cirrotico adiacente alla neoplasia provenienti da 18 pazienti. In tutti i casi il carcinoma epatocellulare è insorto su fegato con pregressa cirrosi macronodulare. Sono state effettuate effettuata indagini immunoistochimiche mediante tecnica LSAB-HRP (linked streptavidin-biotin horseradish peroxidase) utilizzando anticorpi specifici anti-survivin (policlonale, Novus Biological) e beta-catenin (monoclonale, Transduction Lab) su una parte dei campioni fissati in formalina ed inclusi in paraffina, ed analisi molecolare mediante metodica standard di RT-PCR per la valutazione dell’espressione dei suddetti geni su campioni congelati. Risultati. La metodica integrata di RT-PCR e IIC ha dimostrato incremento di survivin in tutti i casi di HCC e nelle cirrosi macronodulari associate. Il gene CTNNB1 è risultato iperespresso sia in HCC sia nella cirrosi in sede peritumorale mediante RT-PCR; inoltre il suo prodotto proteico beta-catenin è risultato, mediante IIC, delocalizzato nel citoplasma, con assenza della normale colorazione di membrana, in circa il 40% dei casi sia di cirrosi che di HCC. Conclusioni. Il nostro studio dimostra che l’alterata regolazione della WNT pathway, che si concretizza nella delocalizzazione intracellulare di beta-catenin e nell’attivazione di geni oncopromotori a valle, gioca un ruolo chiave nella cancerogenesi epatica da HCV; documenta inoltre che, nell’evoluzione del processo morboso, già allo stadio di cirrosi macronodulare si realizzano quelle alterazioni del profilo dell’espressione genica tipiche del carcinoma che ne consegue. Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina, Italia Introduction. Recent in vitro studies have suggested the role of 5-lipoxygenase (5-LO) in regulating colorectal cancer neo-angiogenesis. Specifically, it has been hypothesized that neo-angiogenesis is mediated by 5-LO expression in colorectal cancer. Neo-angiogenesis is quantitatively measured by microvessel density (MVD) in tissues. Herein, we investigated the correlations between 5-LO expression and tumour MVD in human sporadic colorectal adenocarcinomas in order to analyze the eventual differences in the angiogenic process among cases differing as to 5-LO expression amount. The specific marker for neo-angiogenesis CD105 was used to quantify MVD in our study. CD105 is a 180 KDa glycoprotein which is predominantly expressed by cycling endothelial cells of regenerating, inflamed or neoplastic tissues. It was demonstrated to be a specific powerful marker for neo-vascularization in many tumours, including colon cancer. Indeed it is highly expressed by the activated endothelial cells of peri- and intra-tumour vessels involved in tumour neo-angiogenesis, whereas a negative/weak expression is evidenced in vascular endothelium of normal tissues. Methods. Forty-five formalin fixed, paraffin embedded, surgical cases of colorectal adenocarcinoma were submitted to the immunohistochemical analysis for 5-LO and CD105. For the CD105 epitope retrieval, the specimens were pre-treated with proteinase K, whereas 5-LO antigen was unmasked by microwave oven pre-treatment. Sections were successively incubated at 4 °C overnight with the primary monoclonal antibodies against CD105 and 5-LO. The relationship between 5-LO expression and MVD was tested by using the MannWhitney and Spearman correlation tests. Results. 5-LO highly expressing tumours displayed a significantly higher MVD, in comparison to 5-LO lowly expressing carcinomas. A statistically significant correlation between 5-LO expression and MVD counts was also achieved through the Spearman correlation test. Conclusions. Our study suggests the existence of a relationship between 5-LO expression amount and the extent of tumour neo-angiogenesis in colorectal cancer. Since CD105 is specifically expressed and limited to the newly formed blood vessels in tumours, therapies which combine 5-LO specific inhibitors and vaccines targeting CD105 might be useful in reducing the blood supply and consequently, the growth and progression, of colon cancer. Sindrome di Cronkhite-Canada: descrizione di due casi F. Pedica, A. Alberani*, G. Formica*, G. Spinucci**, R. Zoni**, P. Baccarini U.O. di Anatomia e Istologia Patologica, * U.O. di Gastroenterologia, ** U.O. di Medicina Interna, Ospedale “Bellaria”, AUSL Bologna La Sindrome di Cronkhite-Canada (SCC) è una malattia rara, ad eziologia ignota, descritta per la prima volta nel 1955 1, e POSTERS caratterizzata da poliposi gastrointestinale generalizzata, alopecia, iperpigmentazione cutanea e onicodistrofia. Sebbene le lesioni gastrointestinali siano polipi non neoplastici, la SCC è una malattia a decorso imprevedibile, talora fatale, che può associarsi al carcinoma colorettale. Caso 1. Uomo di 67 anni, ricoverato in gennaio u.s. per diarrea acquosa presente da circa 8 mesi, severo calo ponderale e onicodistrofia. Nella storia familiare una sorella era deceduta per cancro del colon. Gli esami ematochimici evidenziavano anemia, ipoproteinemia, deficit idroelettrolitico, con indici di flogosi nella norma. L’esofagogastroduodenoscopia (EGDS) evidenziava nello stomaco e nel duodeno multiple formazioni polipoidi. La colonscopia mostrava la presenza di polipi e aree iperemiche a livello di colon, retto e ileo terminale. Caso 2. Donna di 63 anni, ricoverata in aprile u.s. per sindrome diarroica. Dal settembre 2006, la paziente manifestava un aumento nella frequenza delle evacuazioni (4-5/die, fino a 20), con rilevante calo ponderale. In seguito, erano insorte anche alopecia, iperpigmentazione cutanea e onicodistrofia. L’anamnesi remota rilevava asma bronchiale e poliallergopatia. Era presente anemia, ipoproteinemia nel contesto di un severo malassorbimento, valori elevati di IgE e alterazioni idroelettrolitiche, con ipocalcemia sintomatica. L’EGDS evidenziava numerose formazioni polipoidi a stomaco, duodeno e digiuno, alternate a zone di mucosa atrofica, con aspetti endoscopici sovrapponibili al caso 1; la pancolonscopia confermava l’interessamento di tutto il grosso intestino. All’istologia, le biopsie gastriche e duodeno-digiunali di entrambi i pazienti erano caratterizzate da marcato edema della lamina propria, dilatazione cistica delle ghiandole con associati aspetti iperplastico-rigenerativi. Nell’ileo e nel colon erano presenti lesioni polipoidi sessili con marcato edema ed infiltrato flogistico acuto e cronico. Le ghiandole mostravano marcata distorsione architetturale ed ectasia cistica. Nel caso 2, era presente un adenoma colico con displasia di basso grado. La SCC è una malattia poco conosciuta in cui la collaborazione tra clinico e patologo è assolutamente necessaria per formulare la diagnosi corretta. Bibliografia 1 Cronkhite LW, et al. N Engl J Med 1955;252:1011-5. Giant Brunner’s gland adenoma A. Eccher, M. Brunelli, S. Gobbo, S. Pecori, P. Capelli, C. Cannizzaro, M. Falconi*, P. Pederzoli*, G. Angelini**, G. Martignoni, F. Menestrina Dipartimento di Patologia, Anatomia Patologica, Università di Verona; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Verona; ** Dipartimento di Chirurgia e Gastroenterologia, Università di Verona, Italia Introduction. Brunner’s gland adenoma are rare duodenal tumors occurring in middle age that present either with gastrointestinal hemorrhage, anemia, obstructive symptoms or as an incidental finding. Most of the lesions are pedunculated, less than 1 cm in diameter accounting for about 7% of all endoscopically removed duodenal polyps 1. The most common location of the lesion is the posterior wall of the duodenum near the junction of its first and second portions. Endoscopic polypectomy is the treatment of choice 2. Carcinoma- 223 tous degeneration from Brunner’s gland adenoma has been rarely described. Methods. We describe the clinico-pathological findings of a giant brunner’s gland adenoma. Results. a 34-year-old man presented with an history of abdominal pain which was generally located in the epigastrium, sharp in character, and sometimes with gastrointestinal bleeding with melena. An esophago-gastroduodenoscopy showed the presence of a reddish pedunculated polyp, 9 cm. As maximum diameter, prolapsing between the bulb and the second part of the duodenum. The polyp was too large for an endoscopic removal; in addition because of the large size the lesion was suspected to be malignant. A surgical treatment approach through a longitudinal duodenotomy represented the most reliable approach. Macroscopically, the cut surface of the lesion showed grayish color and was predominantly composed of normal Brunner’s glands with small, oval, basally-oriented nuclei and abundant periodic acid-schiffpositive, apical, mucinous cytoplasm. The hyperplastic adenomatous glands formed lobules which were surrounded by thin bundles of fibromuscular and connective tissue. No dysplastic epithelium was found. Surgical excision was uncomplicated and the long term outcome was favourable. At a follow-up of 24 months the patient stays well free of disease. Conclusions. We report a giant (9 cm) Brunner’s gland adenoma which mimicked a malignancy of the duodenal-pancreatic area. To avoid “over-treatment” involving a cephalopancreatectomy, this benign lesion have to be considered in the differential diagnosis. References 1. Levine JA, et al. Am J Gastroenterol 1995;90:290-4. 2. Iusco D, et al. JOP 2005;6:348-53. Espressione della citocheratina 7 come marker precoce di danno da reflusso nella mucosa colonnare dell’esofago in assenza di metaplasia intestinale D. Cabibi, M. Cacciatore, E. Fiorentino, G. Pantuso, M. Campione, F. Latteri, F. Aragona Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo Introduzione. L’esofago di Barrett (EB) è stato definito come la presenza di mucosa colonnare all’endoscopia e di metaplasia intestinale (MI) all’istologia. In assenza di MI, condizione che definiamo “Columnar Lining Oesophagus” (CLO), il management dei pazienti non è ben definito e talvolta questa condizione è considerata frutto di un errore di campionamento. Nel presente studio ci siamo proposti di chiarire se esistono delle analogie immunoistochimiche tra EB e CLO che possano suggerire un significato patogenetico comune e abbiamo effettuato un follow-up dei pazienti con CLO per verificarne il significato prognostico. Materiali. Sono stati esaminate le biopsie effettuate 1 cm sopra la giunzione gastro-esofagea (GGE) ed 1 cm sotto la GCE di 128 casi consecutivi di pazienti negativi per Helicobacter Pylori (HP) con sintomi da reflusso gastro-esofageo associati alla presenza endoscopica di mucosa colonnare in esofago. Sono stati individuati due gruppi di pazienti, uno rappresentato da 106 casi di Esofago di Barrett (EB) e l’altro da 22 casi di CLO. Come controllo sono stati considerati dei campioni prelevati 1 cm al di sotto della GGE di 20 pazienti 224 negativi per HP, privi di sintomi da reflusso e di mucosa colonnare in esofago all’endoscopia. Su tutti i campioni è stato effettuato l’esame immunoistochimico con Citocheratina (CK) 7, CK 20, CDX2 e p53. Risultati. I campioni al di sopra della GGE dei gruppi EB e CLO mostravano una notevole somiglianza per quanto concerne la positività di CK7 e p53 mentre i controlli erano sempre negativi. In alcuni casi di CLO, la CK7 era presente soltanto nelle cellule basali della componente ghiandolare. Nelle CLO è stata evidenziata la presenza di p53 e displasia lieve in 7 di 22 (32%) biopsie alla prima osservazione ed in 8 di 22 (36%) biopsie effettuate dopo 2 anni di follow-up. Conclusioni. L’espressione di CK7, sia nel EB che nel CLO, ma assente nei controlli, potrebbe essere una espressione immunofenotipica aberrante verosimilmente correlata alla reale natura patologica, legata al reflusso della CLO. La precoce espressione di CK7 nelle cellule basali dell’epitelio ghiandolare, suggerisce che queste probabilmente sono più suscettibili ai cambiamenti immunofenotipici indotti dal reflusso a causa della loro multipotenzialità. La presenza di p53 e displasia lieve in alcuni casi di CLO sia alla prima osservazione che nel follow-up suggerisce infine che la CLO può rappresentare uno stadio precoce del processo “multi-step” che porta all’EB. Adult celiac disease: correlation among serology, clinical data and histological subtipes P. Ceriolo*, P. Cognein, E. Giannini**, G. Pesce**, M. Bagnasco**, V. Savarino**, R. Fiocca*, M.C. Parodi, P. Ceppa* Department of Histopathology, * Gastroenterology and ** Digestive Endoscopy Unit, Department of Internal Medicine, “San Martino” University Hospital, Genova, Italy Background and aim. Epidemiological studies showed that celiac disease (CD) is more common than previously believed (0.5-1% prevalence). Various histopathological patterns have been associated with CD. Villous atrophy (VA) of the small bowel mucosa combined with an increased number of intraepithelial lymphocytes (IEL) represents the most widely accepted diagnostic pattern. Conversely, the clinical meaning of an increased number of IEL without VA has not yet been fully elucidated. Aim of the present study was to evaluate the correlations among histology, serology and clinical features in patients with non-atrophic changes. Methods. We retrospectively reviewed a continuous series of 125 cases with either atrophic or non-atrophic lesions (79 females and 46 males, mean age 40 yrs); histological lesions were classified according to Marsh mod. Oberhuber (M 1-2 = non-atrophic lesions; M 3 = atrophic lesions). Only cases with available anti-endomysial and/or anti-transglutaminase antibody tests were included. We also reviewed the corresponding clinical data and recorded the prominent symptoms. Results. Atrophic lesions were found in 83 cases (66%), whilst non-atrophic changes were observed in 42 (34%). Positive serology was found in 78 out of 83 atrophic cases (94%) and in 11/42 (26%) non-atrophic cases (p < 0.0001). Among the 5 serology-negative atrophic cases, one was affected by immunodeficiency and 4 showed only mild atrophy. Typical CD clinical features, i.e. malabsorption, diarrhoea and weight POSTERS loss were more frequent in atrophic (23%, 27%* and 15%, respectively) than in non-atrophic cases (12%, 13%* and 7%, respectively) (*p < 0.05). On the other hand, the prevalence of malabsorption (27%), diarrhoea (36%) and weight loss (18%) in non-atrophic patients with positive serology was similar to the percentages in atrophic cases. In contrast, non-specific symptoms (i.e. dyspepsia, vomiting, epigastric pain) more frequently affected non-atrophic patients than atrophic ones (47% vs. 17%; p < 0.0003). Conclusions. Our data confirm the high prevalence of positive serology in VA. In contrast more than 70% of non-VA patients show negative serology and non specific symptoms. Although the clinical meaning of non atrophic lesions remains uncertain, they could represent the earliest presentation of CD: patients with such lesions and negative serology should be followed up. Reduced expression of synaptophysin in the dilated ileum of an adult patient with primitive lymphangiectasia P. Braidotti*, S. Ferrero*, G. Basilisco**, V. Fabbris*, G. Iasi*, G. Coggi* * ** Università degli Studi di Milano, Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Milano, Italia; * Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, e A.O. San Paolo; ** Dipartimento di Scienze Mediche, Unità di Gastroenterologia, Padiglione Granelli A 48 years old man suffering for diarrhea, abdominal distention, lower extremities edema and body weight loss, underwent surgical 25 cm ileal resection with latero-lateral anastomosis. The surgical specimen was characterized by ileal dilatation (maximum circumference 17 cm) and increased bowel wall thickness (14 mm). Histologic sections revealed thinning of longitudinal smooth muscle layer together with marked lymphangiectasia which caused distortion of the bowel wall. Intestinal lymphangiectasia is a rare disease characterized by dilatation of intestinal lymphatics and abnormalities in the lymphatic circulation with consequent protein loss in intestinal lumen. In order to investigate the putative causes of the segmental small bowel dilatation in absence of obstruction, the integrity and the distribution of interstitial cells of Cajal and intramural neural structures were evaluated with ultrastructural and immunohistochemical studies. Histologic sections from the case under study and control normal ileum were incubated with anti c-kit, S100, PGP 9.5, BCL2, NSE, Neurofilaments, and Synaptophysin antibodies. Morphologic light and electron microscopy studies revealed the presence of normal interstitial cells of Cajal, neuronal structures and nerve endings. Interstitial cells of Cajal were intensely immunostained with anti c-kit antibody; neuronal structures and nerve endings were strongly immunoreactive with anti S100, PGP 9.5, BCL2, NSE and Neurofilaments antibodies, both in the case and control samples. In the case under study, synaptophysin antibody weakly stained neuronal structures and was unreactive on nerve endings but strongly immunoreactive on neuro endocrine cells in mucosa glands providing internal controls. Therefore the altered expression of synaptophysin in the submucosa suggests that abnormalities in neurotransmission may play a role in the still unclear pathophysiology of gut dilatation in absence of obstruction. PATHOLOGICA 2007;99:225-229 Patologia dell’apparato respiratorio Mesotelioma maligno della pleura (MMP): analisi di fattori prognostici Mesotelioma papillare (ben differenziato) in situ G. Serio, A. Scattone, M. Musti*, A. Marzullo, R. Nenna, D. Cavone*, M. Loizzi**, L. Pollice, A. Pennella*** G. Caprara, C. Ligorio, S. Damiani Dipartimento di Anatomia Patologica, Università, Bari; * Dipartimento di Medicina Interna e Pubblica, Università, Bari; ** Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università, Bari; *** Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università, Foggia Il MMP è un tumore aggressivo, resistente alle terapie in uso e la sua sopravvivenza è di circa 6-18 mesi. Solo pazienti con MMP epiteliale in stadio I-N0, mostrano più lunga sopravvivenza e possono beneficiare di trattamenti multimodali come chirurgia demolitiva combinata a chemio- e/o radioterapia. Pertanto, si rende necessario identificare fattori prognostici predittivi di sopravvivenza e di risposta alla terapia. Allo scopo, abbiamo studiato il significato prognostico di alcune variabili clinico-patologiche e biologiche nel MMP. Metodi. Sono stati selezionati 122 pazienti con MMP che avevano ricevuto solo una biopsia toracoscopica e successiva chemioterapia palliativa. Tutti i casi erano inseriti nel Registro Regionale Mesotelioma (COR Puglia-DPR 366/96). Lo stadio clinico è stato ottenuto dalla rivalutazione delle immagini TAC e di RMN. Indice Mitotico (IM), grado nucleare, necrosi, flogosi, desmoplasia ed espressione immunoistochimica di MIB-1 e p27 sono stati valutati e i risultati sottoposti ad analisi statistica univariata e multivariata (Cox regression model). Risultati. Abbiamo osservato 83 (68%) mesoteliomi epitelioidi, 28 (23%) bifasici e 11 (9%) sarcomatoidi; 73,8% erano maschi e 26,2% femmine. L’età media al tempo della diagnosi era 66,6 anni (range: 23-90) ed il tempo medio di sopravvivenza 12,5 ± 11,5 mesi (range 1-72). 81 pazienti erano in stadio I (sopravv. media 17 mesi), 27 in stadio II (sopravv. media 4 mesi) e 14 in stadio III (sopravv. media 4 mesi). Le differenze erano significative (p = 0,0001). Pazienti con mesotelioma epiteliale presentavano una più lunga sopravvivenza [p = 0,005; 95% (CI), 11,3 a 16,7 mesi]. 30 casi avevano grado nucleare 2 e 92 grado 3 con sopravvivenza più lunga nei tumori grado 2 (p = 0,006). L’IM presentava score 1 (1-5 mitosi) in 55 casi, score 2 (6-10 mitosi) in 46 e score 3 (> 10 mitosi) in 21. Nei tumori con mitosi < 5 la sopravvivenza media era 20,9 ± 1,6 mesi e le differenze erano altamente significative (p = 0,0001). Una correlazione significativa è stata osservata nell’espressione dei due marcatori MIB-1 e p27 con il tempo di sopravvivenza (rs = -0,216; p = 0,01). Un’alta espressione di p27 (> 50%) e una bassa espressione di MIB-1 (< 25%) erano significativamente correlate ad una più lunga sopravvivenza (> 12 mesi). All’analisi multivariata IM, stadio e p27 sono risultati parametri prognostici indipendenti predittivi di sopravvivenza. Conclusioni. Indice mitotico, p27 e stadio clinico rappresentano validi indicatori prognostici nel MMP. Anatomia Patologica, Università di Bologna, Ospedale “Bellaria”, Bologna Il mesotelioma in situ è un’entità piuttosto controversa, al punto che secondo alcuni Autori, è giustificato parlare di lesione in situ solo se accanto a questa è identificabile un franco mesotelioma invasivo 1. Nel caso che riportiamo, la paziente, una donna di 68 anni, senza storia di esposizione all’asbesto, si è presentata con versamento pleurico monolaterale recidivante e resistente a qualsiasi trattamento medico, anti-infiammatorio e chemioterapico. Poiché, nell’arco di un anno, il quadro clinico non veniva risolto da alcuna terapia e anche a in seguito a ripetuti esami citologici sul liquido del versamento, con esito in diagnosi di malignità, la paziente veniva inviata al tavolo operatorio, nonostante un quadro TAC negativo e una diagnosi istologica di iperplasia mesoteliale condotta su materiale bioptico ottenuto in corso di toracoscopia. La paziente venne sottoposta a pleuropneumonectomia più asportazione di aree ispessite della pleura parietale. All’esame macroscopico la pleura viscerale e i frammenti di pleura parietale mostravano solo focali ispessimenti di lieve entità. Dopo accurato campionamento l’esame istologico dimostrò la presenza di una proliferazione di elementi mesoteliali con atipie nucleari evidenti, organizzati in papille talora complesse e anastomizzate, ma in assenza di invasione del tessuto connettivale sub-pleurico. All’indagine immunoistochimica le cellule che rivestivano le papille sono risultate positive con anticorpi anti-calretinina, anti-citocheratina 7 e anti-D2-40, mentre la desmina ha colorato solo il mesotelio normale residuo. Infine le colorazioni con anticorpi anti-laminina e anti-collagene IV hanno confermato la presenza di una membrana basale intatta e continua al di sotto delle cellule mesoteliali. A sei anni dalla iniziale diagnosi la paziente è libera da malattia. Tale caso pone l’attenzione sul riconoscimento e la valutazione del mesotelioma in situ. In realtà, sembra che si possano riconoscere due diversi tipi di mesotelioma maligno: a) il mesotelioma maligno diffuso convenzionale, che ne rappresenta la forma più comune e che consiste di una neoplasia aggressiva, estesamente invasiva, in cui solo occasionalmente si osservano focolai “in situ”, peraltro privi di significato clinico e b) una variante rara, il mesotelioma papillare ben differenziato, inizialmente descritto nel peritoneo di giovani donne. Questa variante è considerato un tumore “borderline” a basso potenziale di malignità in cui, per definizione, l’invasione è minima o assente (mesotelioma in situ) 2. Il caso da noi riportato rientra in questo secondo tipo di mesotelioma maligno. Riconoscere il mesotelioma papillare ben differenziato in situ/con invasione minima sembra essere di cruciale importanza, dato che alcuni pazienti hanno sopravvivenze di oltre 10 anni, anche in assenza di trattamenti chirurgici radicali 2. Bibliografia 1 Henderson DW, et al. AM J Clin Pathol 1998;110:397-404. 2 Galateau-Sallè F, et al. Am J Surg Pathol 2004;28:534-40. POSTERS 226 Carcinoma polmonare non a piccole cellule: sequenziamento diretto della regione D-Loop del DNA mitocondriale nella distinzione tra doppio primitivo e metastasi intrapolmonare S. Damiani, L. Morandi, G. Caprara, M. Boaron*, A. Cancellieri**, C. Ligorio, K. Kawamukai*, A. Pession, G. Tallini Anatomia Patologica Ospedale “Bellaria”, Università di Bologna; * Chirurgia Toracica AUSL Città di Bologna; ** Anatomia Patologica Ospedale Maggiore, Bologna Dal quattro al dieci percento dei pazienti con diagnosi di carcinoma polmonare non a piccole cellule (CPNPC) presentano una doppia localizzazione o sviluppano una seconda lesione successiva alla prima diagnosi. In questi pazienti, la distinzione tra una metastasi dal primo tumore e un secondo primitivo è di vitale importanza nella valutazione prognostica, nonché nelle successive decisioni terapeutiche. Attualmente i criteri in uso sono ancora quelli suggeriti da Martini e Melamed 1 negli anni ’70, e cioè principalmente l’istotipo, la sede del secondo tumore (stesso lobo o lobi differenti) e, per i tumori metacroni, il tempo di latenza tra il primo e il secondo tumore. Nel tentativo di trovare un parametro più oggettivo dei suddetti, utile alla classificazione dei pazienti con doppio tumore polmonare, abbiamo studiato una serie di 20 pazienti sottoposti a intervento chirurgico per doppio CPNPC sincrono o metacrono. Ogni caso è stato stadiato e classificato come istotipo tumorale seguendo le indicazione della WHO e i pazienti sono stati quindi classificati come doppio primitivo o tumore metastatico secondo i criteri di Martini e Melamed 1. Da blocchi in paraffina selezionati per ogni tumore, mediante microdissezione laser-assistita delle cellule tumorali, è poi stato estratto e sequenziato il DNA mitocondriale (mtDNA) per valutare la distanza genetica tra i due tumori 2. Per ogni caso sono stati utilizzati come controllo tessuto polmonare normale dello stesso lobo del tumore studiato e tessuto linfonodale reattivo. Nella nostra serie, dal confronto del pattern di mutazioni del mtDNA è emerso che nel 72% dei casi i due tumori non erano geneticamente correlate tra loro e pertanto da considerarsi come neoplasie primitive indipendenti. Nel restante 28% dei casi il sequenziamento del mtDNA ha mostrato un identico pattern di mutazioni nei due tumori, interpretabili, pertanto, come l’uno metastasi dell’altro. Confrontando poi i risultati dell’analisi molecolare con la classificazione secondo i criteri di Martini e Melamed 1, il 30% dei pazienti passava dalla categoria M1 (secondo tumore = metastasi) a quella del secondo primitivo. I nostri risultati indicano che l’analisi molecolare mediante sequenziamento del mtDNA fornisce un parametro utile e più oggettivo dei classici criteri clinicopatologici alla valutazione dei pazienti portatori di doppio tumore polmonare. Bibliografia 1 Martini N, Melamed MR. J Thorac Cardiovasc Surg 1975;70:606-12. 2 Morandi L, et al. Lung Cancer 2007;56:35-42. Significato prognostico dell’espressione immunoistochimica di insulin like growth factor receptor 1 (IGFR-1) ed epidermal growth factor receptor (EGFR) nei carcinomi non a piccole cellule del polmone (NSCLC) G. Bellezza, V. Ludovini*, A. Sidoni, L. Pistola*, F. Bianconi**, M.G. Mameli, C. Cioccoloni, R. Del Sordo, R. Colella, F. Cartaginese, I. Ferri, F.R. Tofanetti*, A. Flacco*, L. Di Carlo***, A. Semeraro***, G. Daddi***, L. Crino*, A. Cavaliere Sezione di Anatomia Patologica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche, Università di Perugia; * S.C. di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Perugia; ** Dipartimento di Ingegneria Elettronica e dell’Informazione, Università di Perugia; *** S.C. di Chirurgia Toracica, Università di Perugia Introduzione. Insulin like growth factor receptor 1 (IGFR-1) è implicato nei meccanismi di crescita, proliferazione e sopravvivenza delle cellule tumorali attraverso l’interazione con i suoi ligandi Insulin like growth factor 1 (IGF-1) e 2 (IGF-2). Epidermal growth factor receptor (EGFR) svolge un ruolo chiave nella proliferazione e sopravvivenza cellulare e la sua espressione risulta elevata in numerose neoplasie maligne. Il significato prognostico di IGFR-1 e EGFR deve essere ancora definito soprattutto nei NSCLC in stadio non avanzato. Nel nostro studio abbiamo analizzato l’espressione immunoistochimica di IGFR-1 e EGFR in una casistica di NSCLC trattati con chirurgia per valutarne la correlazione con i principali parametri anatomo-clinici, la possibile interazione e il significato prognostico. Materiali e metodi. L’espressione immunoistochimica di EGFR e di IGFR-1 è stata valutata in 130 casi consecutivi di NSCLC. La valutazione dei risultati è stata fatta con analisi semiquantitativa considerando come cut-off il 10% delle cellule positive 1. Risultati. L’età media dei pazienti studiati è stata di 66 anni (mediana 66; range 40-84), 111 maschi e 19 femmine. 81 pazienti erano in stadio I, 21 in stadio II, 26 in stadio III. Per quanto riguarda il tipo istologico, 64 erano carcinomi squamocellulari, 40 adenocarcinomi, 7 bronchioloalveolari, 13 carcinomi a grandi cellule e 6 misti. IGFR-1 è risultato espresso nel 36% dei NSCLC e si correlava con il parametro pT (p = 0,044) ma non con gli altri parametri anatomo-clinici considerati. L’espressione di EGFR si è osservata nel 56% dei casi, più spesso nei carcinomi squamocellulari (p = 0,017). All’analisi multivariata, la co-espressione di IGFR-1 e EGFR è risultato un fattore prognostico sfavorevole per la sopravvivenza libera da malattia (p = 0,0056). Conclusioni. Nei pazienti con NSCLC in stadio I-IIIa trattati con chirurgia la co-espressione di IGFR-1 ed EGFR rappresenta un fattore prognostico indipendente per la sopravvivenza libera da malattia. La possibile interazione tra EGFR e IGFR-1 apre nuove prospettive in termini di risposta ad agenti chemioterapici come gli inibitori delle tirosin-kinasi. Bibliografia 1 Selvaggi G, et al. Ann Oncol 2004;15:28-32. POSTERS Il gene EGFR: fattore discriminante nella stadiazione dell’adenocarcinoma polmonare multiplo? P. Graziano, R. Gasbarra, D. Remotti, E. Silvestri, J. Nunnari, L. Manente, M.C. Macciomei, R. Pisa, A. Leone Dipartimento dei Servizi, U.O.C. Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale “C. Forlanini”, Roma Introduzione. La stadiazione clinico-patologica è il fattore di maggior rilievo prognostico nell’inquadramento terapeutico dei pazienti affetti da carcinoma polmonare. In tali pazienti, il riscontro di più tumori a medesimo istotipo, fa emergere la necessità di appurare se si tratti di una metastasi o di una localizzazione sincrona/metacrona. Nell’ambito di uno studio mirato all’identificazione di mutazioni dell’EGFR, in pazienti, afferenti alla nostra istituzione, affetti da adenocarcinoma polmonare, abbiamo osservato 11 casi con duplici localizzazioni intra- od inter-lobari e conseguente stadiazione patologica rispettivamente pT4 o pM1. Nel tentativo di ottenere informazioni volte a discriminare tra lesione metastatica o localizzazione sincrona/metacrona, tutti i campioni bioptici sono stati analizzati mediante studio morfologico e biomolecolare. Metodi. Le 22 lesioni neoplastiche osservate sono state distinte in base al grading ed al loro pattern citoarchitetturale. È stato inoltre eseguito lo studio del gene EGFR sia mediante sequenziamento diretto degli esoni 19 e 21 che mediante metodica FISH per la valutazione dell’eventuale presenza di amplificazione. Risultati. In nove casi su undici, entrambe le lesioni neoplastiche di ciascun paziente mostravano il medesimo grading patologico, suggerendo l’ipotesi di una loro possibile origine clonale. Al contrario, il profilo molecolare del gene EGFR, ha permesso di identificare discordanze in quattro degli undici pazienti studiati, con riscontro di microdelezione nell’esone 19 in solo una delle due lesioni analizzate. La valutazione dell’EGFR mediante metodica FISH si è rivelata informativa in nove pazienti su undici. In sette casi l’amplificazione del gene era assente in entrambe le lesioni, mentre era presente solo in uno dei due adenocarcinomi nei due casi restanti. Conclusioni. Il nostro studio rileva la presenza di pattern molecolari difformi nell’ambito di un sottogruppo di adenocarcinomi polmonari multipli. L’integrazione delle informazioni morfofenotipiche e molecolari potrebbero quindi rappresentare un valido ausilio nella discriminazione tra eventi metastatici e lesioni sincrone/metacrone, consentendo una più accurata stadiazione clinico-patologica e prospettando differenti scenari terapeutici. Carcinoma a cellule aciniche della cavità nasale M. Zaccaria, R. Rossi, M.L. Fiorella*, N. Quaranta*, M. Palumbo, D. Piscitelli, L. Resta Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari; * Dipartimento di Oftalmologia e Otorinolaringoiatria, Policlinico di Bari Introduzione. Il carcinoma a cellule aciniche rappresenta circa l’1% di tutti i tumori delle ghiandole salivari, nelle ghiandole salivari minori è raro e solo 11 casi di carcinoma a 227 cellule aciniche della cavità nasale sono stati descritti nella letteratura Inglese. Si descrivono diversi pattern architetturali e diversi tipi cellulari che possono essere presenti anche nel carcinoma a cellule aciniche del tratto sinusale. Descriviamo un caso pervenuto alla nostra osservazione. Materiali e metodi. Donna di 44 anni con ostruzione nasale per una massa polipoide asportata chirurgicamente. Il materiale chirurgico è stato fissato in formalina 10% e incluso in paraffina. Le sezioni di 5 µm sono state colorate con Ematossilina-Eosina, PAS e PAS/diastasi, Ematossilina fosfotungstica ed effettuate le reazioni di IIC per citocheraine pool, CAM 5.2, alfa 1-antichimotripsina, GFAP, alfa 1-AT e proteina S-100. Risultati. Istologicamente la lesione era costituita da cellule rotonde o poligonali con abbondante citoplasma finemente granulare e nuclei rotondi, uniformi eccentricamente localizzati. Il pattern di crescita era trabecolare, solido e prevalentemente microfollicolare. PAS dopo diastasi era completamente negativa, la colorazione con Ematossilina fosfotungstica è risultata debolmente positiva e le reazioni di IIC sono risultate positive per citocheraine pool e CAM 5.2, alfa 1-antichimotripsina, GFAP e negative per alfa 1-AT e proteina S-100. Conclusioni. Il carcinoma a cellule aciniche è più frequente tra la 5°-6° decade di vita anche se può insorgere in tutte le età compresi i bambini senza alcuna differenza di sesso. Tipicamente risulta positivo al PAS dopo digestione con diastasi anche se sono noti casi negativi. La diagnosi differenziale include il cistoadenocarcinoma, il carcinoma mucoepidermoide, le metastasi di carcinoma tiroideo, oncocitoma, l’adenocarcinoma a cellule chiare, le metastasi di carcinoma renale a cellule chiare e il PLGA. La diagnosi si basa sulla valutazione delle caratteristiche citologiche delle cellule. Pas e α-amilasi sono di poco aiuto. La microscopia elettronica è riservata ai casi in cui la diagnosi al microscopio ottico è dubbia. Leioyosarcoma of larynx. Report of a case M. Bonucci, E.D. Rossi, G.L. Corsetti*, E. Torri* Servizio Anatomia Patologica, Casa di Cura “San Feliciano”, Roma; * U.O. Ororinolaringoiatria, Casa di Cura “San Feliciano”, Roma, Italia Introduction. Leiomyosarcoma of the larynx is a very rare tumor and sometimes misleading diagnosis. Histological evaluation of this smooth muscle tumor is difficult and immunoistochemistry (IIC) is esential for a correct diagnosis. Material and metods. An unusual case of a 57-year-old man with a 1.1 cm white nodular lesion of the rigth larynx was examinated. Results. The istological speciment done with an interval of 3 months showed a stromal myxoid proliferation of spindle cells with enlarged pleomorphic nuclei and and some bimultinuclear cells present in the backgraund focal necrosis, ephitelial ulceration and atypical rigenerative hyperplasia. The IIC resulted focal positive for S100 and Actine and negative for Cytocheratin, LCA, CD34, CD30. The final diagnosis supported by IIC was leiomyosarcoma well differenziated with focal pleomorphism. Conclusion. Leiomyosarcoma of the larynx is an extremely rare malignant smooth muscle tumor with poor world-wide literature. The diagnosis was done supported by ICC and optimal management and follow-up is still debated. POSTERS 228 A rare ocular cyst infection by trichinella spiralis M. Bonucci, E.D. Rossi, G. Pannarale*, L. Pannarale*, C. Pannarale* Servizio Anatomia Patologica, Casa di Cura “San Feliciano”, Roma; * U.O. Oculistica, Città di Bari Hospital, Italia Introduction. Ocular parassitary infectionis a rare evenience. In specific the presence of Trichinella Spiralis with predilection of muscle tissue of eye-socket is evaluated for the first time. Material and metods. A 71-year old man patient with an eye-socket rigth cyst underwent biopsy. Results. The lesion was a grey nodular cyst about 0.6 cm. The microscopic examination showed a fragment of granulation tissue with some oval struttures underlying by a cuticle wall and larvae and parasites inside. A final diagnosis of Trichinella Spiralis was done based on the exclusion of the ather common parasitis. Conclusion. Eye-socket Trichinella Spiralis is an extremely rare localization. Especially in presence of muscolar tissue associated with a parasite, the Trichinella Spiralis showed be considered of a possible infective desease for the trophism with muscles. Studio multicentrico di un caso di melanoma nasale con metastasi metacrona nel laringe A. Altavilla, R. Rossi, G. Caruso* D.A.P. (Dipartimento di Anatomia Patologica), Università di Bari, Policlinico; * U.O. di Anatomia Patologica “E. Franco”, D.A.P. (Dipartimento di Anatomia Patologica), Università di Bari, Policlinico Introduzione. Il melanoma della regione nasale presenta un’incidenza dell’8% di tutti i melanomi maligni della testa e del collo e meno dell’1% di tutti i melanomi. Le metastasi laringee sono rare, in venti anni 11 casi. La neoplasia, nel setto nasale, originerebbe dagli scarsi melanociti presenti nella sottomucosa scheneideriana. Presentiamo un caso di melanoma nasale con metastasi laringea metacrona. Metodi. Una donna di 61 anni, riferiva all’osservazione clinica comparsa graduale da circa due mesi di ostruzione nasale bilaterale associata a rinorrea mucosa, per presenza nella fossa nasale destra di neoformazione polipoide di aspetto traslucido. I campioni prelevati sono stati fissati in formalina neutra tamponata al 10%, processati ed inclusi in paraffina; da sezioni di 3 µ di spessore sono state allestite colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche. Alcuni frammenti sono stati sparaffinati in xylene e sottoposti ad ulteriore processazione per l’esame ultrastrutturale. Risultati. All’esame microscopico la neoplasia risultava costituita da piccole cellule basofile, fusate e rare epitelioidi di taglia media con rapporto nucleo/citoplasma a favore del nucleo, a contorno irregolare, con mitosi atipiche e nucleoli evidenti. Tali elementi cellulari apparivano organizzati in teche e in fasci intrecciati o dispersi. Presente necrosi e pigmento brunastro. Le reazioni immunoistochimiche risultavano positive per HMB-45 e S-100, negative per Ck-pool. L’esame ultrastrutturale ha rivelato la presenza di premelanosomi, melanosomi e assenza di granuli neurosecretori. Diagnosi finale. Melanoma melanotico a piccole cellule e a cellule fusate della fossa nasale. La paziente si sottopone a radioterapia e dopo sei mesi presenta neoformazione alla corda vocale destra, diagnosticata istologicamente come localizzazione secondaria laringea di melanoma del naso. Conclusioni. Il melanoma nasale è una neoplasia maligna abbastanza rara e biologicamente molto aggressiva e non facilmente eradicabile. Tale neoplasia è inoltre difficilmente diagnosticabile sia per l’aspecificità clinica sia per i problemi di diagnosi differenziale con altre neoplasie a morfologia simile. Pertanto è necessario effettuare uno studio multicentrico per un trattamento terapeutico opportuno, con una maggiore attenzione all’immunoterapia, confrontando i risultati ottenuti e verificandoli costantemente, onde evitare il rischio molto alto di recidive e metastasi a distanza. Adenocarcinoma “intestinal-type” dell’etmoide M. De Vito, M.L. Brancone, T. Ventura, K. Di Silvestre, L. Ventura* Istituto Veneri, Laboratorio di Analisi Citoistopatologiche, Tortoreto (TE); * U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila Introduzione. Gli adenocarcinomi di tipo intestinale (ITAC) della cavità nasale e dei seni paranasali sono neoplasie poco comuni che insorgono sporadicamente o in seguito ad esposizione protratta a polveri di legno, nickel e talora a fumo. Si tratta di neoplasie aggressive, con una mortalità superiore al 50% 1. Metodi. Giungeva alla nostra osservazione un paziente di sesso maschile, di 78 anni, di professione falegname, con sintomi da ostruzione nasale. Gli esami strumentali evidenziavano una neoformazione localizzata in sede etmoidale. Il campione operatorio era costituito da una formazione polipoide dell’altezza di 4,5 cm. Il materiale chirurgico veniva processato e tagliato in sezioni di 4 µm di spessore, colorate in ematossilina-eosina e con metodo immunoistochimico. Risultati. L’esame istologico evidenziava una lesione, composta da cellule cuboidali e colonnari, con nuclei pleomorfi ed ipercromici, con prominenti nucleoli, che si organizzavano in strutture di tipo tubulo-papillare, del tutto indistinguibili dalle neoplasie del tratto gastroenterico. Tali cellule erano immunopositive per CK20 e CDX2, cromogranina e sinaptofisina; erano invece negative per CK7. Veniva posta diagnosi di ITAC a localizzazione etmoidale. Conclusioni. Le neoplasie della cavità nasale e dei seni paranasali rappresentano lo 0,4% di tutti i tumori. Il WHO definisce gli ITAC come neoformazioni ghiandolari maligne che non mostrano caratteristiche istologiche proprie dei carcinomi delle ghiandole salivari. Le sedi più frequenti sono il seno mascellare e quello etmoidale 1. Si tratta di tumori che probabilmente originano da fenomeni di metaplasia intestinale indotta da polveri del legno, di pelle e da altri agenti sconosciuti 2. La diagnosi differenziale va posta con gli adenocarcinomi sinonasali di basso grado, con quelli primitivi del nasofaringe e con quelli metastatici. Gli studi immunoistochimici hanno evidenziato che gli ITAC sono costantemente positivi per la CK20 e che spesso coesprimono anche la CK7. Una piccola, ma significativa quota di adenocarcinomi, tra cui il nostro caso, esprimono un immunofenotipo CK20+/CK7-, che suggerisce una lenta trasformazione del- POSTERS l’epitelio respiratorio in quello di tipo intestinale 2. In conclusione, la valutazione immunoistochimica di CK7, CK20, CDX2, cromogranina e sinaptofisina, nonché gli esami strumentali, possono essere d’ausilio nella diagnostica differenziale tra ITAC, adenocarcinomi transizionali e neoplasie gastroenteriche metastatiche in sede etmoidale. 229 Bibliografia 1 Abecasis J, et al. Histopathology 2004;45:254-9. 2 Kennedy MT, et al. J Clin Pathol 2004;57:932-7. PATHOLOGICA 2007;99:230-252 Patologia dell’apparato uro-genitale Introduction. To verify the prognostic significance of high grade prostatic intraepithelial neoplasia (HGPIN) in 61 patients who underwent repeat biopsies with a mean follow-up of 32 months. Methods. In October 2006 we selected retrospectively 61 patients (mean age 63.4 ± 7.2, range 49-75) with HGPIN diagnosis, PSA values greater than 4 ng/mL, in the absence of clinical (digital rectal examination) or ultrasonographic parameters indicative of prostatic cancer (CaP), who underwent, between January 2002 and December 2005, rebiopsies after 3-12, 13-24, 25-36 and 37-48 months from HGPIN diagnosis. After each rebiopsy, three diagnoses were made: benign prostatic hyperplasia (BPH), HGPIN and CaP. Prognostic significance of PSA values and of monofocal/plurifocal HGPIN patterns ratios at biopsy were also assessed. Results. After a total of four rebiopsies, diagnosis of HGPIN was confirmed in 52/61 (85.2%), 45/60 (75.0%), 42/52 (80.7%) and 39/49 (79.6%) patients respectively while CaP diagnosis was detected in 12/61 patients (19.6%). Most of the CaP diagnoses were reported after the second biopsy with stage pT2 and Gleason sum ≤ 7. Significant differences in PSA values and mono/plurifocal rates were not reported in the three groups of patients at biopsy and no value could be assigned to these parameters in terms of prediction of the subsequent diagnosis of persistent HGPIN, BPH or CaP. Conclusions. The risk for cancer following the diagnosis of HGPIN (19.6%) is not higher than the risk reported following a benign diagnosis. PSA values and HGPIN focality at biopsy do not enhance cancer predictivity. Rebiopsy could be performed every 12 months from initial diagnosis. Metodi. Sono stati indagati 200 casi di TMC, osservati dal 1997 al 2006. I casi sono stati sottoposti a revisione istologica con registrazione dei tessuti presenti; su base morfologica sono stati selezionati 56 casi per lo studio immunoistochimico, impiegando anticorpi contro: Cromogranina A, PRL, GH, ACTH, α-hCG, β-FSH, β-LH, β-TSH, tireoglobulina, serotonina, PP e glicentina. Risultati. I TMC rappresentavano circa il 25% di tutti i tumori ovarici osservati nel periodo corrispondente. L’età media di presentazione era 37 anni (range: 8-87) con localizzazione ovarica destra nel 52%, sinistra nel 40% e bilaterale nel 6% dei casi. I TMC avevano dimensioni medie di cm 5,9 (range 1-25 cm). L’analisi morfologica ha evidenziato tessuti presenti: 1) nella quasi totalità dei casi (cute e annessi); 2) con elevata frequenza (tessuto adiposo, neuroglia e mucosa respiratoria); 3) occasionalmente (osso, cartilagine, denti, plessi corioidei, retina, nervi, ghiandole salivari, tiroide, mucosa intestinale e muscolo liscio); 4) raramente (muscolatura striata, mucosa gastrica, adenoipofisi e tessuto linfatico). In 2 casi (1%) è stato diagnosticato un carcinoma spinocellulare insorto su TMC. Nel 6% dei TMC è stato osservato un quadro di struma ovarii, nel cui ambito è stato possibile documentare uno spettro di lesioni: iperplasia nodulare (12 casi), carcinoma papillare (1 caso) e carcinoide strumale (5 casi, di cui 4 a struttura trabecolare, PP e glicentina+ e un caso a nidi solidi, con cellule cromogranina e serotonina+). Nel 3% dei casi erano presenti nidi di cellule adenoipofisarie, a prevalente espressione di PRL e GH, localizzate nel contesto di tessuto tiroideo, compreso quello di carcinoidi strumali o di struma ovarii, o in vicinanza di strutture respiratorie. Negli epiteli di tipo gastroenterico e respiratorio sono state evidenziate sparse cellule endocrine cromogranina e, talora, serotonina+. Conclusioni. Lo studio ha delineato il profilo di un’ampia casistica di TMC, tipizzando le varie componenti tessutali e le neoplasie da esse insorte; ha individuato le lesioni tiroidee associate agli struma ovarii e il fenotipo dei carcinoidi strumali e, infine, ha definito la frequenza e il fenotipo della componente adenoipofisaria. References Bostwick DG, et al. Pathol Res Pract 1995;191:828-30. Epstein JI, et al. J Urol 2006;175:820-34. Neoplasie simultanee endometriali ed ovariche: revisione casistica Prognostic significance of high grade prostatic intraepithelial neoplasia: risk of prostatic cancer on repeat biopsies L. Caliendo, E. Venturino, F. Gallo, S. Ardoino, A. Dellachà, C.E. Marino, A. Pastorino Ospedale “S. Paolo”, ASL2 Savonese, Italia P. Perego, F. Pagni, G. Cattoretti, M. Signorelli* Aspetti clinico-patologici dei teratomi maturi cistici dell’ovaio e caratterizzazione delle componenti endocrine D. Micello, E. Rigoli, N. Papanikolau, S. Marchet, S. La Rosa, C. Riva, C. Capella Dipartimento di Morfologia Umana, Unità di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria, Varese Introduzione. Il teratoma cistico maturo (TCM) dell’ovaio è composto da tessuti maturi ben differenziati derivanti dai tre foglietti embrionali, con prevalenza di elementi ectodermici. Lo studio si proponeva di definire il profilo di un’ampia casistica di TMC e di valutare la frequenza di componenti endocrine tiroidee, adenoipofisarie e associate a mucosa di tipo gastroenterico e respiratorio. Dipartimento di Patologia Clinica, U.O. di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica; * Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Divisione di Ginecologia Oncologica; Università di Milano, Bicocca, Azienda Ospedaliera “S. Gerardo”, Monza Introduzione. In una revisione clinica delle nostre neoplasie maligne ginecologiche l’associazione endometrio/ovaio è risultata nettamente prevalente (in accordo con i dati di letteratura dove c’è coesistenza nel 5-10% di tutti i casi) ma con un 55% dei casi in stadi iniziali, dato questo in contrasto con la letteratura. Di questo particolare gruppo è stata fatta una revisione istopatologica. Materiali. Sono state considerate 93 pazienti (dicembre 1981agosto 2005) con diagnosi simultanea di neoplasia ovaio/endometrio in stadio iniziale (IA-C ovaio/IA-IIB endometrio) senza pregresse patologie neoplastiche note, età media 52 an- POSTERS Casi Endometrio Ovaio 231 % Stadio IA IB IC IIA IIB IA IB IC 10 56 7 11 9 47 12 34 Casi % Grado 11 60 7 12 10 50,5 13 36,5 1 2 3 1 2 3 Concordanza istotipoEndometrioide/Endometrioide 72 casi Sieroso/Sieroso 1 caso Concordanza grado G1/G1 17 casi 18% 60% G2/G2 35 casi 39% G3/G3 3 casi 3% G2 in una sede36 casi 67% ni (range 27-79), prima chirurgia o presso la nostra divisione ginecologica (51 casi) o presso altre sedi (42 casi con nostra revisione istopatologica) ed indicazione chirurgica prevalentemente per patologia neoplastica uterina (57 casi). Risultati. I risultati sono riportati in tabella. Discussione. La nostra revisione istopatologica ha dimostrato, in contrasto con la letteratura, alta incidenza di grado I-II sia per le neoplasie endometriali ma soprattutto per quelle ovariche (contro il 30% di neoplasie grado III in stadio I della letteratura 1) e prevalenza di istotipo endometrioide (77% contro il 20% della letteratura). La definizione istopatologica è stata indipendentemente validata con analisi molecolare per espressione genica. La nostra associazione prevalente, prognosticamente favorevole (ovaio G1 stadio IA/endometrio G1 microinvasivo), spiega anche l’ottima sopravvivenza a 5 anni (96% dei casi). La distinzione tra neoplasie indipendenti sincrone o metastatiche ha importanza fondamentale perché il trattamento e soprattutto la prognosi sono completamente differenti nelle due evenienze. Il dato istopatologico ha quindi una ricaduta clinica significativa e la corretta diagnosi, tenendo conto di tutte le ben note difficoltà connesse, ha un ruolo di primo piano nel condizionare il percorso terapeutico successivo. Bibliografia 1 Soliman PT, et al. Synchronous primary cancers of the endometrium and ovary: a single institution review of 84 cases. Gynecol Oncol 2004;94:456. Malattia di Paget vulvare: dati istopatologici a favore di un approccio conservativo P. Perego, F. Bono, G. Cattoretti, A. Maneo* Dipartimento di Patologia Clinica, U.O. di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica; * Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Divisione di Ginecologia Oncologica, Università di Milano, Bicocca, Azienda Ospedaliera “S. Gerardo”, Monza Introduzione. La malattia di Paget vulvare è una patologia rara con caratteristiche particolari (estensione clinica della Casi % Istotipo 38 43 12 41 46 13 Endometrioide Sieroso Indifferenziato 90 2 1 97 2 1 25 63 5 27 68,5 5,5 Endometrioide Cellule chiare Mucinoso Sieroso Misto 73 2 5 9 4 78 2 5,5 10 4,5 77% lesione non sempre correttamente stimabile, plurifocalità, tendenza alla recidiva) che non rendono il trattamento elettivo (quello chirurgico) una sicurezza terapeutica. La chirurgia demolitiva non è garanzia di radicalità (alta incidenza di margini interessati, presenza di cellule di Paget a distanza dalla lesione clinica) e la negatività dei margini chirurgici non è predittiva dell’evoluzione successiva. L’andamento variabile della lesione (possibilità di recidiva indipendentemente dallo stato dei margini e viceversa non recidiva in casi di margini interessati) ha determinato una rivalutazione del tipo di approccio (da radicale a conservativo). Metodi. Sono stati valutati 35 casi di malattia di Paget presenti nella nostra casistica nell’arco di tempo dal dicembre 1981 ad oggi, con 5 casi a prima diagnosi in altri centri (nostra revisione istopatologica a concordanza totale) e successivo trattamento presso la nostra divisione di ginecologia e 30 casi con intero iter presso il nostro centro. In questo arco di tempo la chirurgia attuata si è evoluta da radicale (vulvectomia con linfadenectomia) a conservativa (prima vulvectomia semplice verso skin vulvectomy e poi tumorectomia) ed in rapporto a ciò, nei casi con un follow-up adeguato, sono stati correlati margini chirurgici, recidive e stato della paziente. Risultati. Nel follow-up considerato, ad eccezione di 2 pazienti decedute per altre patologie e comunque non con malattia vulvare in atto, tutte le altre pazienti sono vive (sopravvivenza massima 11 anni) spesso con recidiva (da un minimo di 1 ad un massimo di 4 recidive ma con un’incidenza delle recidive comunque sovrapponibile a quelle di casistiche a prevalente approccio radicale). In questo gruppo l’istotipo della lesione, lo stato dei margini chirurgici, la comparsa di recidive, la presenza di metastasi linfonodali (2 casi) o di altre neoplasie (3 casi di neoplasia mammaria, 1 casi di carcinoma endometriale e 2 casi di carcinoma vulvare) sincrone o metacrone non hanno condizionato la sopravvivenza. Discussione. La nostra revisione ha confermato i vantaggi di una scelta conservativa e per le minori sequele post-chirurgiche ma soprattutto, tenendo conto dei ripetuti interventi richiesti dalle recidive e condizionanti non tanto la prognosi quanto la qualità di vita, proprio per un miglioramento della qualità di vita stessa. 232 Struma ovarico maligno: descrizione di un caso A. Colasante, B. Zappacosta, M. Piccolomini, S. Magnasco, E. Dell’Osa, U. Tatasciore, D. Angelucci Istituto di Anatomia Patologica, Ospedale Clinicizzato “SS. Annunziata”, Chieti Introduzione. Il teratoma maturo ovarico costituisce il 2744% di tutte le neoplasie ovariche. Tessuto tiroideo benigno è osservato nel 5-15% dei teratomi maturi; la trasformazione maligna dello stesso rappresenta lo 0,01% dei casi. Descriviamo un caso di teratoma maturo associato a struma e neoplasia follicolare. Metodi. Donna di 24 anni sottoposta a laparoscopia per asportazione di formazione cistica a carico dell’ovaio sinistro. Macroscopicamente si presentava come una neoformazione cistica semisolida delle dimensioni di cm 2,8 x 2 x 2,3 a pareti ispessite e focalmente calcifiche. All’esame istologico si trattava di un teratoma maturo dell’ovaio con struma follicolare tiroideo con focali aspetti solidi ed a pattern di crescita infiltrativo. Sono state effettuate indagini di morfologia molecolare con immunoistochimica. Risultati. Lo studio istologico della neoformazione mostrava un teratoma maturo ovarico pluritissutale con una componente tiroidea qualitativamente e quantitativamente predominante. Focalmente, il tessuto tiroideo (TTF1 e tireoglobulina positivi) si presentava solido, a pattern di crescita infiltrativo dei tessuti fibromuscolari adiacenti (AML e DESMINA positivi). La neoformazione mostrava architettura follicolare e solida con lievi atipie citologiche, senza le caratteristiche alterazioni nucleari del carcinoma papillare. I margini del tessuto tiroideo erano irregolari, non delimitati da una capsula. La proliferazione follicolare in alcuni punti era perivascolare, senza peraltro mostrare aspetti embolici. Conclusioni. I criteri morfologici utilizzati per valutare la malignità dello struma ovarico dovrebbero essere gli stessi utilizzati per la ghiandola tiroide. Tuttavia, trattandosi di struma ovarico, è da definire il cut-off tra lo struma proliferativo ed il carcinoma follicolare ben differenziato. Nel nostro caso, pur non essendo presente una franca invasione vascolare, si osservava una diffusa infiltrazione dei tessuti fibromuscolari. Non è chiaro, dai dati della letteratura, se questa è assimilabile ad una “invasione capsulare” o se rappresenti un normale pattern di crescita teratomatoso. Dato che sono stati riportati struma follicolari “benigni” che in seguito hanno metastatizzato, vale la pena di enfatizzare criteri non usuali. Nel nostro caso, l’invasione destruente strutture fibromuscolari depone per carcinoma piuttosto che per struma. The prostate-associated lymphoid tissue (PALT) is linked to the expression of chemokines CXCL13 and CCL21 E. Di Carlo* **, S. Magnasco* **, T. D’Antuono* **, C. Sorrentino* ** * Department of Oncology and Neurosciences, Anatomic Pathology Section, “G. d’Annunzio” University, Chieti, Italy; ** Ce.S.I. Aging Research Center, “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti, Italy Introduction. The genitourinary tract is regarded as part of the mucosal immune system, however, the structural and POSTERS functional aspects of the prostate-associated lymphoid tissue (PALT) have never been extensively explored. Methods. We here describe the architectural, immunological and functional aspects of lymphoid tissue in the human prostate investigated by means of immunohistological, confocal and ultrastructural analyses. Results. PALT consists of two main components: 1. intraepithelial leukocytes, namely CD3+ T cells with prevalent CD8+ and CD45RA-CD45RO+ phenotype (some expressing the early activation marker CD69) followed by CD94+ NK cells, CD11c+ dendritic cells (DCs) (some expressing the co-stimulatory molecule CD86) and a few B lymphocytes; 2. lymphoid aggregates, frequently below the epithelia, arranged in B cell follicles, endowed with a central ICAM-1+ VCAM-1+ CD21+ follicular DC network expressing BLC/CXCL13, and parafollicular T cell areas crossed by PNAd+ HEV-like vessels showing SLC/CCL21 expression. Parafollicular areas were formed of prevalent CD4+ T lymphocytes, both CD45RA+ naïve and CD45RO+ memory, and intermingled with CD11c+ DCs. Germinal-centre-containing follicles are few and their parafollicular areas are scantily infiltrated by Foxp3+ CD69- highly suppressive regulatory T cells. Most lymphoid follicles lack a distinct germinal centre and their parafollicular area harbour numerous Foxp3+ CD69- cells. Conclusions. Comparative analyses with the tonsils show that PALT displays immunomorphological features required for the onset of cellular and humoral immune responses, while its T regulatory cells appear to function as suppressorregulators of T and B cell responses. Ruolo della citologia anale nella diagnosi delle lesioni pre-neoplastiche HPV correlate in soggetti omosessuali maschi HIV positivi: confronto tra strisci citologici e biopsie chirurgiche A. Ferri, F. Pagano, E. Omodeo Zorini, C.M. Antonacci, L. Vago, M. Nebuloni U.O. Anatomia Patologica, Dipartimento Scienze Cliniche “L. Sacco”, Milano Introduzione. Negli ultimi anni l’incidenza di lesioni displastiche e neoplastiche anali è in continuo aumento tra i pazienti omosessuali maschi HIV positivi. Come succede per la patologia cervicale, anche per le lesioni anali è ormai dimostrato un nesso eziologico tra HPV e lesioni displastiche, che rappresentano un precursore del carcinoma squamoso invasivo. La citologia anale potrebbe dunque essere un valido strumento di screening nella diagnostica delle lesioni HPV correlate. Lo scopo di questo studio è la valutazione della sensibilità dello striscio citologico come strumento diagnostico nelle lesioni anali da HPV, mediante il confronto con i risultati ottenuti da biopsie chirurgiche. Metodi. Lo studio si basa sul confronto dei preparati citologici e biopsie chirurgiche provenienti dagli stessi pazienti. Sono stati selezionati 56 omosessuali maschi HIV positivi, per 138 campioni cito/istologici appaiati. Sono stati considerati due intervalli di tempo tra l’esecuzione dei prelievi citologici ed istologici di ciascun paziente: T1 (intervallo di 1 mese) e T2 (intervallo compreso tra 1 e 6 mesi). Il materiale POSTERS citologico è stato raccolto mediante spazzolamento e i campiono bioptici sono stati prelevati in anoscopia. I campioni citologici sono stati valutati secondo il Sistema Bethesda e i preparati istologici in accordo con i criteri morfologici di displasia. È stato quindi eseguito un confronto tra le due serie di dati. Risultati. Centotredici coppie di esami cito/istologici sono stati effettuati ad un intervallo di tempo T1 e 25 a T2. Ventinove strisci citologici hanno ricevuto una diagnosi di HSIL, 102 di LSIL e 7 di negatività per displasia. Novantotto appaiamenti sono risultati concordanti (98/138; 67%). Le diagnosi citologiche di LSIL hanno ottenuto la più alta percentuale di concordanza rispetto all’istologia: 82% a T1 e 80% a T2. Il tasso più elevato di discordanza è stato riscontrato per le diagnosi di HSIL: 74% a T1 e 100% a T2. Il 95% dei casi di HSIL discordanti a T1 ed il 50% a T2 corrispondevano a diagnosi di displasia a basso grado, i restanti erano negativi per displasia. Conclusioni. Nel nostro studio l’accordo tra citologia ed istologia anale appare elevato solo nei casi di lesione citologica a basso grado, indipendentemente dall’intervallo temporale. Al contrario, la concordanza è scarsa per le lesioni citologiche ad alto grado, ove la diagnosi citologica appare sovrastimata rispetto a quella istologica. Carcinosarcoma vulvare: case report P. Parente, F. Castri, I. Pennacchia, A. Coli, G. Bigotti, F. Federico, G. Massi Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione. I tumori della vulva rappresentano il 3% dei tumori dell’apparato genitale femminile. L’istotipo più frequente è quello a cellule squamose (90-92%); altre varianti sono il carcinoma verrucoso, carcinoma adenosquamoso, carcinoma a cellule basali e carcinoma metaplasico o sarcomatoide. Sono descritte inoltre forme miste o carcinosarcomi composte da doppia componente epiteliale e mesenchimale. Tali forme insorgono generalmente in sede extravulvare; in letteratura sono descritti due casi a insorgenza genitale. Case report. Descriviamo il caso di una donna di 74 anni giunta all’attenzione del clinico per una lesione polipoide della vulva. All’esame macroscopico la lesione si presentava vegetante, peduncolata, del diametro di 4,5 cm, al taglio solida, di colore biancastro ed omogenea. Istologicamente la lesione mostrava una doppia componente maligna, epiteliale e mesenchimale; la prima rappresentata da carcinoma squamoso infiltrante ben differenziato con aspetti verrucosi; la seconda di aspetto sarcomatoso ad alto grado con le caratteristiche del fibroistiocitoma maligno. La superficie era estesamente ulcerata. Le indagini immunoistochimiche hanno confermato la compresenza dei due istotipi: la componente epiteliale positiva per le citocheratine, la componente mesenchimale per Vimentina ed S-100. Dei 13 linfonodi asportati uno mostrava metastasi da carcinoma squamoso. Discussione. La diagnosi delle lesioni miste rappresenta un problema diagnostico a causa della rarità di tali neoplasie e della incompleta conoscenza della loro istogenesi. Si pone inoltre la diagnosi differenziale con altre neoplasie. Un carcinoma squamoso altamente indifferenziato può assumere un aspetto sarcomatoso e può evocare una reazione stromale 233 pseudosarcomatosa. Nel nostro caso abbiamo escluso una diagnosi di carcinoma pseudosarcomatoso in quanto l’aspetto istologico mostrava una doppia componente chiaramente demarcata, non sovrapposta. Tale reperto era confermato dalle indagini immunoistochimiche. È stata esclusa anche diagnosi di tumore misto Mulleriano, la cui localizzazione tipica è a livello del corpo dell’utero con possibile estensione all’area vulvo-vaginale. I dati clinico-strumentali escludevano una localizzazione secondaria, istologicamente la componente carcinomatosa del tumore mulleriano è solitamente ben differenziata e le componenti epiteliale e mesenchimale sono sovrapposte. Conclusioni. Descriviamo il terzo caso in letteratura di carcinosarcoma vulvare. Tumore prostatico stromale a incerto potenziale (STUMP): case report I. Pennacchia, F. Castri, P. Parente, F. Federico, A. Coli, G. Bigotti, G. Massi Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italia Introduzione. I tumori prostatici stromali ad incerto potenziale maligno (STUMP) sono lesioni senza evidenza di malignità; originano come i sarcomi stromali dallo stroma specializzato ormonosensibile della prostata. A differenza di questi, la loro natura neoplastica è controversa e ciò è ascrivibile alla loro rarità e alla mancanza di un follow-up a lungo termine. Sono stati identificati quattro distinti patterns di STUMP: il più comune (atipia degenerativa) è costituito da uno stroma con cellule atipiche associate a ghiandole benigne; il secondo da uno stroma moderatamente ipercellulato senza atipie e ricorda l’iperplasia prostatica benigna; il terzo mostra una proliferazione stromale spesso mixoide dalla citologia blanda senza figure mitotiche; una crescita di tipo filloide individua il quarto. Case report. Descriviamo il caso di un paziente di 68 anni, sottoposto ad intervento di prostatectomia nel febbraio 2004, con recidiva, sette mesi dopo, di tessuto simil-cicatriziale. A settembre e dicembre 2006 si sono verificate due ulteriori recidive. Metodi. Tutto il materiale è stato incluso e sezionato a molteplici livelli, colorato in ematossilina eosina e testato per indagini immunoistochimiche per SMA, S-100, GFAP. Risultati. L’esame istologico del primo intervento mostrava un’iperplasia fibroadenomiomatosa con flogosi interstiziale focalmente ascessualizzata. La recidiva invece era costituita da tessuto angiofibromatoso con aspetti che ricordavano una forma mesenchimale reattiva. Istologicamente la lesione era caratterizzata da una proliferazione di cellule tipiche, fusate, regolarmente distribuite, di aspetto monomorfo, in abbondante stroma mixoide, focalmente positive per SMA, diffusamente positive per desmina; S-100 e GFAP risultavano negative. Il caso è stato interpretato come neoplasia mixoide a cellule fusate non classificata. Conclusioni. Descriviamo un caso di STUMP che pone un’importante diagnosi differenziale con l’iperplasia fibromioadenomatosa e con una forma reattiva post-chirurgica. La prima viene esclusa per il comportamento clinico, per la presenza di proliferazione vascolare atipica, lo stroma mixoide e l’assenza di ghiandole. L’altra viene esclusa per l’assenza della componente infiammatoria stromale. POSTERS 234 Nuovi ausili nella diagnostica dei sex-cord stromal tumors gonadici R. Boldrini, R. Devito, P. Francalanci, F. Diomedi Camassei, F. Callea Servizio di Anatomia Patologica Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, IRCCS Roma, Italia Introduzione. I “sex-cord stromal tumors” (SCST) configurano un gruppo di rare neoplasie gonadiche ad origine dagli elementi dei cordoni sessuali o dallo stroma gonadico. Questi tumori presentano una ampia variabilità di aspetti istologici e possono simulare altre neoplasie, gonadiche e non, quali le neoplasie della linea germinale, il tumore desmoplastico a piccole cellule, il carcinoma endometrioide dell’ovaio. Alcuni Autori hanno segnalato che l’anticorpo A 103 (Melan A), marcatore della linea melanocitaria, colora una elevata percentuale di SCST. Metodi. Sezioni in paraffina di 10 casi di SCST ottenuti dagli archivi del Servizio di Anatomia Patologica dell’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” più un linfoma del testicolo ed un caso di tumore desmoplastico a piccole cellule sono stati sottoposti a marcatura immunoistochimica con anticorpo monoclonale per inibina alpha ed anticorpo monoclonale Melan A. Risultati. Tutti i casi di SCST hanno evidenziato con Melan A una caratteristica marcatura citoplasmatica granulare di intensità variabile, da lieve a marcata, compresi casi negativi con inibina. In accordo con la letteratura l’intensità della marcatura è risultata inversamente proporzionale al grado di differenziazione del tumore, mentre diversamente da quanto segnalato, la colorazione è risultata per lo più diffusa piuttosto che focale. Sia il linfoma testicolare che il tumore desmoplastico sono risultati negativi. Discussione. L’anticorpo A 103 riconosce un antigene (Melan A) espresso nei melanociti e nella maggior parte delle lesioni melanocitarie. Più di recente si è constatato che l’A 103 marca le cellule che sintetizzano ormoni steroidei ed i relativi tumori quali i tumori adrenocorticali e i SCST gonadici. La marcatura con A 103 si è rivelata un valido ausilio diagnostico per i SCST, con particolare riguardo nei casi scarsamente differenziati ed inibina negativi che presentano problemi di diagnosi differenziale con altre neoplasie. Tumore mesonefrico del tratto genitale femminile R. De Cecio, C. Mignogna, A. Di Spiezio Sardo*, D. Mandato*, P. Giampaolino*, J. Falleti, G. De Rosa Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali Sezione di Anatomia Patologica e Citopatologia, Università “Federico II” di Napoli; * Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia e Fisiopatologia della Riproduzione, Università “Federico II” di Napoli Introduzione. L’Adenocarcinoma mesonefrico del tratto genitale femminile è un tumore maligno di origine Wolfiana, molto raro, ancor di più se consideriamo la localizzazione vaginale. In letteratura sono presenti solo due casi ben documentati, allo stato attuale è una lesione poco conosciuta sia per quel che riguarda la presentazione clinica, sia per le caratteristiche patologiche, i protocolli terapeutici e l’evoluzione prognostica. Trattiamo un caso relativo ad una donna caucasica di 58 anni, sottoposta 5 anni prima ad isteroannessiectomia totale bilaterale per fibromiomatosi, attualmente veniva ricoverata per la presenza di una massa, irregolarmente polipoide, occupante la loggia uterina e annessiale destra fino alla base delle grandi labbra, con associata sintomatologia di peso perineale e prurito vulvare. Metodi e risultati. Macroscopicamente la massa misurava 14 x 10 cm, in sezione era di aspetto variegato. L’esteso campionamento ha mostrato una neoplasia maligna epiteliale con prevalente pattern principale di tipo tubulare e pattern secondario di tipo solido. Erano presenti aree di necrosi, focali immagini di invasione vascolare, l’attività mitotica, valutata su 10 campi a forte ingrandimento era di circa 10 mitosi X HPF. La neoplasia era positiva allo studio immunoistochimico per CK pan, CK 5-6, Vimentina, CD10; localmente positiva per EMA e Calretinina; negativa per CEA, E-R, P-R e Ca 125. Sulla base dei dati morfologici ed immunofenotipici era posta diagnosi di adenocarcinoma mesonefrico. Conclusioni. L’adenocarcinoma mesonefrico è un tumore maligno che origina da residui mesonefrici, nel nostro caso localizzati a livello della parete laterale della vagina. Questo sembra essere il terzo di due casi già riportati in letteratura di adenocarcinoma mesonefrico della vagina, attualmente la paziente è libera da malattia ad un anno di follow-up. Iperplasia endometriale/EIN: valutazione morfologica ed imunofenotipica A. Canesso, G. Altavilla, G. Busatto, L. Poletto U.O.A. Istologia ed Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera ULSS 15 “Alta Padovana”, Cittadella (PD), Italia Introduzione. La distinzione delle lesioni precancerose dell’endometrio in iperplasia e neoplasia intraepiteliale endometriale (EIN) 1 2, si è rivelata maggiormente riproducibile rispetto alla classificazione WHO 1994. I criteri che la definiscono sono: – VPS (volume percentuale dello stroma) < 55%; – dimensioni > 1 mm; – demarcazione citologica; – esclusione dei mimickers; – esclusione del carcinoma. Metodi. L’espressione di p53, p27, c-erb-B2, PTEN, MSH2, MLH1, FHIT, recettore per estrogeni e progesterone e l’indice di proliferazione (MIB-1) sono stati valutati, con tecnica immunoistochimica, su un campione di 64 casi (25 iperplasie, 19 EIN, 20 adenocarcinomi endometrioidi) precedentemente diagnosticati con la classificazione WHO 1994 e rivisti con i criteri classificativi del sistema iperplasia/EIN. Il confronto è stato fatto nei seguenti gruppi: – iperpalsia-adenocarcinoma; – EIN-adenocarcinoma; – iperplasia-EIN. L’analisi statistica è stata eseguita utilizzando il test χ2 con correzione di Yates (p < 0,005). Risultati. La tabella seguente riassume i risultati ottenuti. I valori significativi sono evidenziati in grassetto. POSTERS REC estrogeni REC progesterone MIB-1 C-ERBB2 P53 P27 MLH1 MSH2 PTEN FHIT 235 P iper/ adenoca P iper/ EIN P EIN/ adenoca 0,00006 0,003 0,77 0,303 0,973 0,06 0,00006 0,00002 0,0017 0,004 0,219 0,413 0,008 0,116 0,796 0,792 0,81 0,409 0,04 0,06 0,016 0,103 0,025 0,979 0,899 0,07 0,0005 0,0002 0,415 0,445 Conclusioni. MLH1 ed MSH2 possono essere utilizzati come marcatori di lesione iperplastica benigna e di lesione neoplastica intraepiteliale analogamente a PTEN. MLH1 ed MSH2 possono essere utilizzati, in aiuto alla morfologia, nella distinzione tra EIN ed adenocarcinoma ben differenziato nei casi con morfologia dubbia. Si riconfermano il ruolo di PTEN e dello stato di espressione dei recettori per gli estrogeni ed il progesterone nel processo di tumorigenesi dell’adenocarcinoma endometrioide. In questo studio è stata eseguita la prima valutazione dell’espressione del gene FHIT nelle iperplasie e nell’adenocarcinoma valutati con la classificazione iperplasia/EIN; la significatività ottenuta nel confronto tra iperplasia ed adenocarcinoma conferma il suo possibile coinvolgimento nel processo di carcinogenesi endometriale ed offre lo spunto per approfondire il ruolo di tale oncosoppressore nella mucosa dell’endometrio. Bibliografia 1 Baak JP, et al. Cancer 2005;103:2304-12. 2 Hecht LJ, et al. Mod Pathol 2005;18:324-30. Tumore angiomiofibroblastoma-like degli annessi testicolari: caso clinico-patologico M. Muscarà, S. Valentini, C. Martinengo*, S. Cristina S.C. Anatomia Patologica, ASL 13 Novara, Ospedale di Borgomanero; * S.C. Urologia, ASL 13 Novara, Ospedale di Borgomanero Introduzione. Viene presentato un caso di neoplasia mesenchimale degli annessi testicolari con caratteri clinico-morfologici ed immunofenotipici affini all’angiomiofibroblastoma vulvovaginale. Metodi. Uomo di 52 anni sottoposto a chirurgia esplorativa per massa scrotale indolente presente da 3 anni, circoscritta; disomogenea all’esame US. All’esame macroscopico massa di 5,5 cm di asse maggiore, ovalare, roseo-grigiastra, di consistenza elastica. Esame intraoperatorio: proliferazione di vasi e cellule fusate a stroma lasso senza caratteri di malignità. Sezioni istologiche ottenute dopo fissazione in FNT ed inclusione sono state colorate con EE, Alcian Blu pH 2.2, PAS e Gomori; indagini immunoistochimiche con anticorpi anti: actina, desmina, CD34, S-100, vimentina, ER, PgR. Risultati. Istologicamente si tratta di proliferazione, ben delimitata, a stroma fibro-mixoide e bassa cellularità, costituita da cellule fusate, talora nastriformi, con nuclei allungati, prive di atipie, disposte attorno a piccoli vasi ectasici con parete ialina; assenti necrosi e mitosi. Tali elementi risultano immunoreattivi per vimentina, CD34 ed esprimono recettori per estrogeno e progesterone. Il paziente, sottoposto a escissione semplice della neoplasia, non presenta, a 6 mesi dall’intervento, recidive locali o metastasi. Conclusioni. Il nostro quadro clinico-morfologico ed immunofenotipico è diagnostico di tumore “angiomiofibroblastoma-like” del tratto genitale maschile 1. Tale entità entra in diagnosi differenziale con neoplasie circoscritte a cellule fusate quali l’emangiopericitoma, il lipoma a cellule fusate, il mixofibrosarcoma e l’angiomixoma aggressivo. Dei 25 casi riportati in letteratura, a nostra conoscenza, a localizzazione scrotale o inguinale, uno solo ha presentato progressione locale. L’istogenesi proposta per questo rarissimo tumore è quella di origine da una cellula totipotente perivascolare capace di differenziazione miofibroblastica ed adiposa. Bibliografia 1 Laskin W, et al. Am J Surg Pathol 1998;22:6-16. P53 e Glut-1 nei tumori della muscolatura liscia uterina ad incerto potenziale maligno e loro significato nella progressione neoplastica D. Cabibi, M. Cacciatore, A. Martorana, E. Barresi, F. Aragona Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo Introduzione. Le neoplasie uterine di origine muscolare comprendono le forme benigne, i leiomiomi (L), le forme maligne e i leiomiosarcomi (LS). Alcuni casi, definibili come “ad incerto potenziale maligno” sono considerate borderline (BL), non presentano i criteri minimi per la diagnosi di LS, e vengono definiti come “leiomioma atipico con basso rischio di recidiva”, o come “leiomioma con focali atipie ma per i quali l’esperienza è limitata” 1. Recentemente due markers immunoistochimici, P53 e Glut-1, sono stati utilizzati nella diagnosi differenziale tra L (negativi per entrambi i markers) e LS (spesso positivi per entrambi) 2. L’origine del LS da un L pre-esistente è ritenuta improbabile dalla maggior parte della letteratura corrente. Scopo dello studio è quello di approfondire il profilo immunofenotipico delle forme BL con l’uso dei suddetti anticorpi, per meglio definirne il significato istogenetico e valutarne un eventuale ruolo nella progressione neoplastica. Metodi. Lo studio è stato condotto su 9 casi con diagnosi istologica di “leiomioma atipico con basso rischio di recidiva” e su 15 casi di “leiomioma con atipie focali per i quali l’esperienza è limitata” 18 dei quali asportati con intervento di miomectomia e 6 con isterectomia. Le sezioni con aree maggiormente atipiche sono state sottoposte ad esame immunoistochimico con anticorpi p53 e Glut1. Come controllo negativo sono stati usati 3 casi di L. Le aree non atipiche delle neoplasie in studio fungevano da controllo negativo interno. Come controllo positivo sono stati usati 3 casi di LS. Un follow-up di due anni è stato effettuato per 12 pazienti. Risultati. Tutti i casi esaminati mostravano focale positività per entrambi i markers, nelle aree più atipiche. Le aree non atipiche e i leiomiomi di controllo erano negativi. POSTERS 236 I leiomiosarcomi mostravano positività diffusa per entrambi i markers. Il follow-up ha mostrato recidiva in due casi. Nessun caso ha mostrato metastasi. Conclusione. I BL da noi studiati presentavano focalmente non solo caratteri istologici, ma anche immunofenotipici maggiormente simili a quelli delle neoplasie maligne, almeno nelle aree con maggiori atipie. Queste osservazioni suggeriscono che tali neoplasie possano rappresentare una tappa intermedia del processo multistep di progressione neoplastica, rendendo maggiormente probabile l’ipotesi dell’origine del LS dal L. La probabilità di recidive evidenziata nel follow-up conferma la necessità di un corretto inquadramento al quale l’esame immunoistochimico potrebbe apportare un valido contributo. currence-free survival following radical prostatectomy. Further studies in larger cohorts of tissue are under way to confirm these observations. Bibliografia 1 Bell SW, et al. Problematic uterine smooth muscle neoplasm. A clinico pathologic study of 213 cases. Am J Surg Pathol 1994;18:535-58. 2 Rao UN, et al. Comparative immunohistochemical and molecular analysis of uterine and extrauterine leiomyosarcomas. Mod Pathol 1999;12:1001-9. Introduzione. Nell’era della genomica funzionale risulta essenziale raggiungere un giusto equilibrio tra l’acquisizione di tessuto ben conservato per analisi molecolari e il mantenimento della integrità istologica del tessuto. L’analisi di tessuti provenienti da 38 prostatectomie radicali consecutive ha consentito di giungere ad individuare con precisione le aree patologiche da campionare correlandole con i dati morfologici dell’esame patologico definitivo. Metodi. Sono di seguito riassunte le procedure di campionamento riportate altrove in dettaglio consistenti nell’effettuare il “whole mount sampling” con macrosezioni seriate di circa 5 mm perpendicolari all’uretra in direzione apice-base dopo aver chinato i margini del campione. Focolai sospetti sono prelevati tramite asportazione di frammenti di circa 1 x 1 x 0,2 cm e conservati a -80 °C. Risultati. Si è eseguito il campionamento di 38 casi di prostatectomia radicale eseguendo 54 prelievi di neoplasia, 25 di iperplasia, 3 di PIN. In 4 pazienti non è stato individuato il focolaio tumorale. I focolai neoplastici variavano tra 0,1 e 10 mm di diametro interessando dal 20% al 100% del frammento asportato. In 34 pazienti (89%) è stato possibile ricostruire la presenza del tumore sulle macrosezioni allestite per preparati definitivi. Le indagini estrattive dell’Rna ottenuto dai tessuti prelevati sono risultate soddisfacenti con l’ottenimento da 0,5 a 1 µg di Rna per mg di tessuto, avendo ottenuto da 20 a 60 mg di tessuto tumorale e da 20 a 180 mg iperplastico. Conclusioni. a) rilevante è il vantaggio della procedura adottata rispetto a quelle di Walton e di Jhavar, che sono riusciti ad acquisire materiale tumorale nell’83% e nel 66% dei casi esaminati. In particolare sembra indubbia la potenzialità offerta da una osservazione diretta delle macrosezioni rispetto a quella eseguita con agobiopsie eseguite con approccio a sestante dall’esterno per la quantità del tessuto prelevato 1 2; b) si è sempre riusciti ad eseguire correttamente l’esame patologico definitivo ed, evitando prelievi che comprendano il margine in china, sì è sempre valutato il margine in modo adeguato; c) la conoscenza del referto istologico delle biopsie eseguite prima dell’intervento è di aiuto nell’esame macroscopico; d) per preservare e conservare materiale per indagini molecolari il campione adeguato deve comprendere circa 1 cc di tessuto; e) il tempo di effettuazione dell’esame (20’30’) permette di preservare in modo idoneo il tessuto. per metodiche di real time PCR o di microarrays. TMPRSS2:ERG gene fusion expression and prostate cancer progression G. Nesi, L. Bonaccorsi*, M. Paglierani, L.R. Girardi, S. Serni**, M. Carini**, E. Baldi*, G.I. Forti*, L. Luzzatto*** Department of Human Pathology and Oncology; * Department of Clinical Physiopathology, Unit of Andrology; ** Department of Critical Care Medicine and Surgery, Unit of Urology, University of Florence, Italy; *** Istituto Toscano Tumori, Florence, Italy Introduction. Recent studies have reported functional fusion of the TMPRSS2 and ERG genes with consequent ERG overexpression in a large proportion of prostate cancers. Some data suggest that ERG expression is higher in less aggressive prostate carcinomas while others show an association between TMPRSS2:ERG gene fusion and more aggressive disease. Materials and methods. The TMPRSS2:ERG fusion status was assessed in tumour samples from 84 patients undergoing radical prostatectomy between 1998 and 2000. Sixty patients (group A) had surgery alone, while 24 patients (group B) received androgen ablation therapy for 3 months before surgery. Results. The fusion of TMPRSS2 and ERG was demonstrated by reverse transcription polymerase chain reaction (PCR) in 84% of patients in group A and in 54% of patients in group B (p = 0.01). The levels of TMPRSS2:ERG and ERG, measured by real-time quantitative PCR, did not show significant association with clinical and pathological characteristics of the tumours, except for a negative correlation of ERG overexpression with Gleason score (R = 0.457; p = 0.0001), only observed in group A. The lower proportion of patients harbouring TMPRSS2:ERG fusion in group B suggests that androgen ablation inhibits the expression of TMPRSS2:ERG, underscoring the key role of androgen-mediated transcription control of the gene fusion. Biochemical (PSA) recurrencefree survival was not significantly different in group A patients both with and without ERG overexpression. Conclusions. In this specimen set, we observed that the presence of a TMPRSS2:ERG fusion did not correlate with re- Correlazione dei dati istopatologici nel campionamento di prostatectomia radicale per la valutazione comparativa di dati istopatologici e biomolecolari M. Colecchia*, N. Zaffaroni**, M.G. Daidone**, A. Pellegrinelli, A. Carbone S.C. Anatomia Patologica B; * S.C. Anatomia Patologica C; ** S.C. Ricerca Traslazionale, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano Bibliografia 1 Walton TJ. Prostate 2005;64:382. 2 Jhavar SG. J Clin Pathol 2005;58:504. POSTERS Utilità diagnostica di CD13 e CD10 nelle neoplasie a cellule renali M. Brunelli, S. Gobbo, A. Eccher, A. Parisi, M. Gobbato, D. Dalfior, M. Chilosi, F. Menestrina, G. Martignoni Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia, Università di Verona Introduzione. L’utilità dell’espressione immunoistochimica della neuropeptidasi di membrana CD10 nella diagnosi differenziale delle neoplasie a cellule renali è stata descritta. L’aminopeptidasi N/CD13 è stata riportata in alcune neoplasie renali, tuttavia non vi è uno studio sistematico riguardo la sua espressione nei diversi istotipi. Lo studio prende in considerazione un’ampia serie di neoplasie renali, di diverso istotipo, valutando l’immunoespressione di CD10 e CD13 e ne compara l’utilità diagnostica. Metodi. Abbiamo studiato 85 neoplasie a cellule renali, 38 carcinomi a cellule chiare, 16 papillari, 17 cromofobi e 14 oncocitomi, con indagine immunoistochimica per CD13 (Novocastra) e CD10 (Novocastra). Risultati. Positività di membrana era presente in 31 dei 38 (81%) (19 con positività in > 50% delle cellule neoplastiche) carcinomi a cellule chiare e in 11 dei 16 (68%) (9 in > 50% delle cellule neoplastiche) carcinomi papillari mentre tutti i carcinomi cromofobi e gli oncocitomi sono risultati negativi. Positività al CD10 era presente in 36 dei 38 (94%) carcinomi a cellule chiare e in 14 dei 16 (87%) carcinoma papillari. Il CD10 era anche presente in 9 dei 17 (52%) carcinomi cromofobi e in 7 dei 14 (50%) oncocitomi. Conclusioni. 1) il CD13 è immunoespresso in modo significativo nei carcinoma a cellule renali a cellule chiare e papillari; 2) il CD13 non è immunoespresso nei carcinoma cromofobi e negli oncocitomi, mentre il CD10 può essere presente sia nei carcinomi cromofobi che negli oncocitomi; 3) suggeriamo di includere il CD13 nel pannello di anticorpi per distinguere il carcinoma cellule chiare (prevalentemente CD10+ e CD13+) dal carcinoma cromofobo (CD13 negativo e CD10+/-). 237 mia Patologica, che prevedono prelievi della tuba e delle fimbrie con specifico report anche nei casi di routine 1. Metodi. Abbiamo perciò studiato, a partire dal nostro data base un campione di 200 casi consecutivi, provenienti dai servizi di Ginecologia e Chirurgia Generale, esaminati nell’arco di circa un anno con un protocollo di report macro e microscopico dettagliato per la tuba e le fimbrie, applicato in routine sin dal 2005. Risultati. La patologia principale riguardava l’utero in 109 casi (81 patologia benigna, 20 tumori maligni del corpo, e 8 CIS o ca invasivo cervice), gli annessi in 84 (54 patologia benigna, 6 tumori borderline, e 24 carcinomi primitivi) e in 7 tumori maligni extraginecologici. Complessivamente abbiamo riportato una localizzazione tubarica di tumore maligno in 19/200 casi. Di questi 7/19 erano chiaramente metastasi: 3 da carcinoma ovarico e 4 da tumori extraginecologici. Degli altri 12 uno è del tutto tipico: carcinoma esclusivamente tubarico, in paziente già trattata per ca mammario e BRCA2 positiva. Negli altri 11/12 coesisteva carcinoma ovarico. Per ora altre due pazienti sono carrier di mutazioni BRCA ed altre due hanno una elevata probabilità a priori di mutazione BRCA. Una di queste presentava carcinoma sieroso multifocale (tube, ovaie, endometrio, cervice e vagina). Altre due erano già state operate per carcinoma mammario, ed una per iperplasia duttale atipica. Conclusioni. I nostri dati supportano le recenti raccomandazioni dei Direttori di Anatomia Patologica. Il dibattito sui criteri per definire la sede primitiva-ovarica vs. -tubarica si pone in metà delle pazienti con carcinoma “ovarico” e una associazione con carcinoma mammario/BRCAmut nel 30%. Peraltro in tumori extraginecologici, la coesistente localizzazione tubarica, potrebbe suggerire nuove considerazioni sul meccanismo di diffusione, in particolare nei casi tipo c.d. “tumore di Krukemberg”. Bibliografia 1 Longacre TA, Oliva E, Soslow RA, Association of Directors of Anatomic and Surgical Pathology. Recommendations for the reporting of fallopian tube neoplasms. Virchows Arch 2007;450:25-9. Tumori della salpinge: non sono poi così rari. Protocollo di prelievi nella routine Cistoadenoma mucinoso dell’ovaio con noduli murali di sarcoma I. Padoan, S. Chiarelli, E. D’Andrea*, A.R. Parenti, V. Ninfo C. Manini, M. Abrate*, P.L. Montironi**, D. Stramignoni Dipartimento di Scienze Medico Diagnostiche e Terapie Speciali, Anatomia Patologica I, Università di Padova, Azienda Ospedaliera di Padova; * Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche, Università di Padova, Azienda Ospedaliera di Padova Introduzione. Il carcinoma primitivo della tuba è considerato estremamente raro, anche se vi è una crescente evidenza che, in portatrici di mutazioni BRCA, le fimbrie possono rappresentare la sede elettiva di insorgenza del tumore. In accordo con la Letteratura e il Blue Book del WHO, molti Servizi di Anatomia Patologica applicano già correntemente da anni un protocollo di prelievi accurati delle fimbrie in casi di BSO profilattica in portatrici di mutazioni BRCA. Anche nel nostro Servizio questo ha consentito di evidenziare un microcarcinoma della fimbria in paziente con BRCA1 e ovaie scleroatrofiche negative. Nel 2007 sono state pubblicate le raccomandazioni della Associazione dei Direttori di Anato- Anatomia Patologica, Ospedale “Santa Croce”, Moncalieri (TO); * Anatomia Patologica, Ospedale Savigliano (CN); ** Ostetricia e Ginecologia, Ospedale “Santa Croce”, Moncalieri (TO) Introduzione. Riportiamo il caso di una donna di 52 anni con lesione sarcomatosa in associazione a cistoadenoma mucinoso dell’ovaio. I tumori cistici mucinosi dell’ovaio, anche quando benigni, possono contenere nel loro contesto noduli murali che, in base alla loro morfologia, sono stati classificati come: noduli sarcoma-like, noduli di carcinoma anaplastico e di sarcoma. A fini prognostici è importante distinguere queste entità e formulare una corretta diagnosi. Metodi. La paziente giunge con addome acuto. Alla laparotomia esplorativa si rinviene massa ovarica cistica destra, lacerata, con emoperitoneo e disseminazione metastatica. Si procede ad annessiectomia bilaterale ed omentectomia. I pezzi chirurgici vengono esaminati con colorazioni convenzionali ed immunoistochimiche. POSTERS 238 Risultati. La lesione ovarica misura 9 cm di diametro, ha pluriconcamerazioni ed area solida, aggettante nel lume. L’omento è ispessito, con aree emorragiche. All’esame istologico la parete della cisti risulta rivestita da epitelio cilindrico muciparo monostratificato, privo di atipie. La superficie del nodulo murale è in parte denudata, in parte rivestita da epitelio muciparo. Il nodulo è costituito da una popolazione di cellule pleomorfe, in parte fusate, in parte epitelioidi, con nuclei bizzarri, nucleolati. Presenti numerose mitosi (30/10 HPF) anche atipiche, aree di necrosi, emorragia ed invasione vascolare. L’ovaio controlaterale mostra invasione stromale da parte della stessa componente cellulare, così come l’omento. Nell’ovaio sinistro è presente anche tumore di Brenner benigno. Alle reazioni immunoistochimiche le cellule che compongono il nodulo murale e le disseminazioni metastatiche sono diffusamente positive per vimentina, focalmente positive per actina e desmina, negative per citocheratina (MNF116, AE1/AE3, 7 e 20), CEA, CA125, TTF1, WT1, c-KIT. Indice di proliferazione Ki-67 (clone MIB-1): 90%. Si pone diagnosi di cistoadenoma mucinoso dell’ovaio con nodulo murale di sarcoma con localizzazioni all’ovaio controlaterale e all’omento. La paziente decede per la neoplasia 10 giorni dopo l’intervento. Conclusioni. Lo studio della morfologia e degli indici di proliferazione cellulare permette di definire la natura maligna della lesione in accordo con i dati clinici. L’immunofenotipo consente di stabilire l’origine mesenchimale della neoplasia. Validazione istologica delle immagini RM pesate in diffusione nella identificazione della neoplasia prostatica G. Bovo, A. Abate*, P. Vigan**, G.R. Strada**, G. Cattoretti, S. Sironi* U.O. di Anatomia Patologica; * Dipartimento di Diagnostica per Immagini; ** U.O. di Urologia, A.O. “San Gerardo” di Monza, Università “Bicocca”, Milano Introduzione. Validazione istologica delle immagini di Risonanza Magnetica (RM) pesate in diffusione (DWI) nella identificazione e stadiazione locoregionale della neoplasia prostatica insorta in zona periferica. Metodi. Sono stati valutati con studio RM (1,5 T) e sequenze DWI (0-700 b-value), 28 pazienti consecutivi (età media 65 anni, range 55-76) con PSA compreso tra 3,7 e 80 ng/ml (valore medio 9,98 ng/ml) e biopsia positiva per adenocarcinoma prostatico. I pazienti sono stati quindi sottoposti a prostatectomia radicale. Tecnica di riferimento per la validazione delle immagini è stato l’esame istologico del pezzo operatorio con allestimento di macrosezioni seriate. Sia le macrosezioni che le ricostruzioni d’immagine sono state condotte secondo i medesimi piani. Ogni sezione è stata suddivisa in 3 aree (anteriore, laterale e posteriore) per ciascun lobo e classificata in relazione alla posizione nella ghiandola (apicale, medioghiandolare, basale) per un totale di 18 sottoaree. Si sono confrontate le immagini DWI-T1-T2 con i preparati istopatologici valutando sede, numero, dimensioni e livello di invasione loco-regionale delle lesioni. Risultati. Tutti i pazienti presentavano all’esame RM con sequenze DWI alterazioni di segnale compatibili con lesioni neoplastiche a livello della porzione periferica della prostata. In particolare sono state rilevate 54 lesioni nei 28 pazienti corrispondenti a 110 sottoaree; dimensioni: 3-70 mm; 19 pa- zienti (67,9%) con lesione multicentrica bilaterale e 9 (32,1%) monofocale. 24 pazienti presentavano malattia organo-confinata, 2 invasione della zona di transizione (1 con interessamento del collo vescicale), 2 pazienti interessamento delle vescicole seminali. Si è evidenziata una buona corrispondenza tra le lesioni documentate alle macrosezioni istologiche e le aree di alterato segnale riconoscibili allo studio RM DWI (sensibilità 94%; specificità: 93%), con differenze prevalentemente riconducibili alle dimensioni dei focolai. Conclusioni. Il confronto di macrosezioni istologiche di prostata con immagini di RM DWI convalida la buona accuratezza diagnostica del metodo di imaging nell’identificazione e stadiazione locoregionale delle neoplasie prostatiche della zona periferica, fornendo all’urologo un mezzo aggiuntivo nella decisione terapeutica (chirurgia vs. radioterapia vs. HIFU e, in caso di chirurgia, nerve o bladder-sparing). Neoplasie incidentali di prostata in cistectomia radicale G. Bovo, M. Casu*, G. Cattoretti, G.R. Strada* U.O. di Anatomia Patologica, * U.O. di Urologia; A.O. “San Gerardo” di Monza, Università “Bicocca”, Milano Introduzione. Tecniche chirurgiche di cistectomia con risparmio parziale o totale della prostata per conservazione della potenza sessuale sono in corso di definizione. Necessita il calcolo del rischio in questi pazienti in seguito alla validazione della presenza di neoplasia prostatica residua. Metodi. Da novembre 1995 a giugno 2005 sono state esaminate con studio prospettico 204 cistectomie radicali condotte per carcinoma uroteliale senza nota patologia prostatica associata. Ogni prostata è stata campionata secondo protocollo standard in macrosezioni seriate di 4 mm di spessore e processata secondo metodiche di routine. L’indagine microscopica è stata eseguita da un patologo esperto in uropatologia. Per ogni adenocarcinoma prostatico si è registrato il numero di foci, la sede, il grado di differenziazione, il volume neoplastico, lo stadio, l’associazione con HGPIN. Risultati. L’adenocarcinoma prostatico è stato riscontrato in 81 su 204 pazienti (39,7%). Focolai di HGPIN presenti in 101 casi (49,5%): 56 su 81 (69,1%) pazienti con cancro e 45 su 123 (36,5%) pazienti negativi. Età media: pazienti con cancro 70,7 ± 9 anni (range 42-86) e pazienti negativi 64,92 ± 10 anni (range 36-89) (p = ns). PSA pre-operatorio: 2,46 ± 2,17 ng/ml (range 0,19-6) pazienti non neoplastici; 1,90 ± 1,7 ng/ml (range 0,1-5,6) pazienti con adenocarcinoma (p = ns). Indice di Gleason (GI): GI 4-5: 31 casi (39%); GI 6: 39 casi (31%); GI 7: 6 casi (8%); GI 8-10: 3 casi (4%). Nel 55,7% dei casi la lesione è unifocale, nel 44,3% plurifocale fino ad un massimo di 12 foci; 100% di neoplasie in zona periferica, 20% di localizzazioni all’apice. Il volume medio calcolato su 56 neoplasie prostatiche è risultato di 0,89 ± 1,36 cc, range 0,03-7 cc; 58% volume inferiore a 0,5 cc. Distribuzione per stadio: pT2a 59%, pT2b 5%, pT2c 24%, pT3a 8%, pT3b 1%, pT4 3%; in 2 casi margini di resezione chirurgici positivi all’apice; presenza di 2 casi con micrometastasi a 1 linfonodo; non documentate metastasi a distanza. Discussione. Dai nostri dati emerge la necessità di un campionamento estensivo della prostata in corso di cistectomia per una corretta stadiazione di neoplasia incidentale. Risulta inoltre chiaro che solo l’escissione completa della prostata permette di evitare la permanenza di cancro prosta- POSTERS tico in sede; tuttavia in casi selezionati (potenza sessuale dimostrata) si può accettare un intervento conservativo solo dopo attuazione di tutte le tecniche atte ad escludere una neoplasia prostatica in atto. La perdita del 9p è un fattore prognostico nei pazienti affetti da carcinoma a cellule chiare del rene A. Eccher*, M. Brunelli*, S. Gobbo*, P. Cossu-Rocca**, V. Ficarra***, F. Zattoni* ****, F. Bonetti*, F. Menestrina*, G. Martignoni* * Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia, Università di Verona; ** Università di Sassari; *** Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche, Università di Padova; **** Clinica Urologia, Università di Verona Introduzione. Sono stati recentemente descritti diversi modelli prognostici in casistiche di pazienti affetti da carcinoma a cellule renali tra cui l’SSIGN (stage, size, grade, necrosis) score. Tali modelli prendono in considerazione diversi parametri clinico-patologici, ma non anomalie cromosomiche. La perdita del cromosoma 9p è stata descritta nella progressione dei carcinomi a cellule chiare del rene. Abbiamo valutato il valore prognostico del riscontro di tale perdita in un gruppo di pazienti affetti da carcinoma a cellule chiare con diverso SSIGN score e se tale informazione poteva essere ottenuta valutando soltanto i minuti frammenti di carcinoma di un tissue array. Metodi. 73 pazienti con diverso SSIGN score sono stati studiati con metodica di ibridazione in situ fluorescente (FISH). Sono stati costruiti cinque tissue array includendo 3 core di tessuto neoplastico e 2 di parenchima normale. L’analisi è stata eseguita anche su 17 sezioni di carcinoma. Risultati. La perdita del 9p è stata riscontrata in 13 casi (18%); un singolo segnale fluorescente è stato osservato in 44-66% (media 54%) delle cellule neoplastiche nei tissue array, e in 39-69% (media 55%) di quelle su sezione di tessuto. La probabilità di sopravvivenza cancro-specifica a 5 anni è risultata del 43% in quelli con perdita rispetto all’88% in quelli con normale corredo cromosomico (p < 0,001). L’estensione locale (2002 TNM), lo stato linfonodale e la presenza di metastasi sono state variabili predittive di sopravvivenza cancro specifica all’analisi univariata. La perdita del 9p è risultata un valore prognostico indipendente anche all’analisi multivariata. Conclusioni. 1) la perdita 9p ottenuta con analisi FISH è una informazione prognostica aggiuntiva a quelle tradizionali incluse nel SSIGN score; 2) la valutazione del 9p su tissue array è sovrapponibile a quella riscontrata sull’intera sezione. Utilità diagnostica della valutazione della ploidia con citometria a flusso nella diagnosi differenziale delle neoplasie a cellule renali C. Parolini, A. Eccher, M. Brunelli, S. Gobbo, M. Chilosi, F. Menestrina, G. Martignoni Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia, Università di Verona Introduzione. Sebbene di recente siano stati descritti i caratteri genetici, morfologici e prognostici che identificano le 239 differenti neoplasie a cellule renali, non infrequentemente la diagnosi differenziale istopatologica tra esse risulta difficoltosa in particolare quella tra carcinoma cromofobo e oncocitoma. Numerose tecniche sono state utilizzate a tal fine sia utilizzando tessuto “fresco” che incluso in paraffina le più recenti delle quali hanno avuto quale obiettivo l’identificazione del differente assetto cromosomiale, numerico e/o qualitativo. Il contenuto di DNA tramite la valutazione della ploidia è un parametro indiretto di aberrazioni genomiche. L’obiettivo di questo studio è la valutazione della ploidia delle più frequenti neoplasie a cellule renali al fine di evidenziarne una potenziale applicazione diagnostica. Metodi. Sono state studiate 44 neoplasie a cellule renali: 24 carcinomi a cellule chiare (dieci G1, sei G2, sette G3, un G4), 5 carcinomi papillari, 9 carcinomi cromofobi e 6 oncocitomi. La citometria a flusso è stata eseguita su materiale fissato in formalina ed incluso in paraffina in 39 casi ed in 5 casi su materiale congelato. Sono stati considerati aneuploidi i tumori in cui il rapporto tra il contenuto di DNA del campione e quello di riferimento (diploide) era diverso da uno. Risultati. Tutte le neoplasie, ad accezione di un carcinoma papillare hanno prodotto un istogramma del DNA interpretabile. La citometria a flusso ha evidenziato un pattern diploide in 19 dei 24 carcinomi a cellule chiare (79%). In 4 dei 7 G3 (57%) si rilevava aneuploidia (DNA index 1,7-1,9). In un caso si rilevava diploidia con aumento della fase S. In 2 dei 4 carcinomi papillari era presente diploidia mentre nei due rimanenti aneuploidia, rispettivamente ipodiploidia e iperploidia. Sei degli 9 casi (67%) di carcinoma cromofobo presentavano aneuploidia (in 2 triploidia e in 4 iperploidia, DNA index 1,5-1-94). Tutti gli oncocitomi presentavano diploidia ed in 3/6 un aumento della fase S e G2M. Conclusioni. La valutazione della ploidia con citometria a flusso è un utile ausilio nella diagnosi differenziale tra oncocitoma e carcinoma cromofobo poiché l’oncocitoma è costantemente diploide mentre il carcinoma cromofobo nella maggior parte dei casi è risultato aneuploide. Neoplasia vescicale a cellule chiare: caso con insolito fenotipo C. Bozzola, G. Marchioro* Dipartimento di Scienze Mediche, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Novara, Italia; ** Divisione di Urologia, Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità”, Novara, Italia Introduzione. Le neoplasie della vescica sono per oltre il 90% costituite da carcinomi uroteliali con numerose varianti istologiche di diversa valenza prognostica. Si riporta il caso di un’inusuale neoplasia in un maschio di 63 anni, manifestatasi con episodi di macroematuria. L’esame cistoscopico dimostrava formazioni polipoidi sessili, risultate all’esame istologico di natura neoplastica con infiltrazione della tonaca muscolare. In seguito al riscontro TAC di un ispessimento diffuso della parete vescicale, fu eseguita cistectomia radicale con prostatectomia. Materiali e metodi. I prelievi bioptici ed il materiale chirurgico sono stati sottoposti ad indagine istologica ed immunoistochimica (IIC) con anticorpi anti-panCK, CK7, 8, 19, 20, S-100, HMB45, Vimentina, PSA, Synaptofisina, CD68. Risultati. Alla biopsia era evidente la concomitante presenza di un carcinoma uroteliale papillare di alto grado e di una POSTERS 240 proliferazione di cellule a citoplasma chiaro finemente vacuolizzato, disposte in nidi solidi nella muscolatura. All’esame del materiale chirurgico il carcinoma uroteliale tipico non era più riscontrato (residuavano focolai di displasia dell’epitelio superficiale) e la proliferazione di cellule chiare risultava infiltrare estesamente la parete vescicale a tutto spessore, senza coinvolgere la prostata che appariva iperplastica. Il caso si presta ad una articolata diagnostica differenziale, poiché cellule chiare possono costituire neoplasie sia secondarie (in particolare metastasi di carcinomi renali e prostatici), sia primitive epiteliali (carcinomi uroteliali a cellule chiare, “lipidrich”), ma anche di altra origine (paraganglioma, emangioendotelioma epitelioide). L’indagine IIC dimostrava un fenotipo epiteliale associato all’insolita positività per vimentina, compatibile anche con l’origine renale, esclusa per il carattere diffuso a tutta la parete vescicale della neoplasia e all’assenza di neoplasie renali al momento dell’intervento e al follow-up. Si concludeva per una neoplasia epiteliale primitiva. Conclusioni. Il caso va considerato parte dell’esiguo gruppo di carcinomi a cellule chiare della vescica, peraltro con quadri, sia istologici (aspetto microvacuolare simil-macrofagico del citoplasma), sia immunoistochimici (vimentina+), che si discostano da quanto riportato in letteratura, ponendo il problema di una possibile nuova variante. Expression of maspin in papillary pTa/T1 bladder tumors E. D’Alessandro, W. Battanello*, M. Repele*, S. Blandamura Section of Pathological Anatomy, Department of MedicoDiagnostic Sciences and Special Therapies, University of Padova; * Section of Urology, “Sant’Antonio” Hospital, Padova, Italy Introduction. In the present study we have evaluated maspin expression in bladder urothelial papillary tumors, and have correlated the results with clinico-pathological parameters. Materials and methods. We evaluated 111 urothelial tumors from 66 patients: pathological examination of primary tumors disclosed 48 pTa and 18 pT1, with a grading distribution of 14 papillary urothelial tumors of low malignant potential (PUNLMP), 31 low-grade (LG) papillary urothelial carcinomas and 21 high-grade (HG) papillary carcinomas. Thirty-three patients with primary pTa papillary tumors (68.7%) and 11 out of 18 with pT1 (61%%) had subsequent relapses. For maspin immunoreactivity (IR), a double count was performed: 1) percentage of positivity, and 2) pattern and intensity of staining. Starting from the second type of evaluation, four reactivity patterns were identified and used for statistical analysis. The following tests were used, where appropriate: Fisher’s exact test, Cramer’s correlation coefficient, and Kendall’s test for ordered categorical data. The following multi-parametric models were used when appropriate: Cox’s proportional hazards (HR) model for survival time (time-to-event) outcomes on one or more predictors; logistic regression model, expressed as odds ratio (OR) to predict disease progression. Results. Some papillary tumors did not express maspin at all (pattern a; 12%), most papillary tumors showed maspin-positive IR in the basal, supra-basal, and sometimes intermediate layers, lacked staining of the superficial layer, or showed Tab. I. Maspin pattern distribution related to histological grade. Maspin pattern HG LG PUNLMP Total pattern pattern pattern pattern Total 13 2 13 10 38 6 32 10 1 49 7 16 1 0 24 26 50 24 11 111 a b c d only weak (+/-) intensity (pattern b; 50%). Other cases showed positive reactions throughout the epithelial layers, with strong staining (pattern c; 27%), and others showed IR at the margin of neoplastic clusters (pattern d; 10%) (Tab. I). A statistical association was found between maspin pattern and pT (Fisher’s exact test: p = 0.000, Cramer’s correlation coefficient: 0.580), maspin pattern and histological grade (Fisher’s exact test: p = 0.000, Cramer’s correlation coefficient: 0.585) and maspin pattern and nuclear staining (Fisher’s exact test: 0.018, Cramer’s correlation coefficient: 0.2). With Cox’s regression model correlated to the time of first relapse, maspin was < 60% had an HR of 2.01 (p = 0.027; 95% confidence interval [CI]: 0.810-3.701) and the logistic regression model gave the following result related to the progression of disease: maspin < 60%: OR = 8.61 (p = 0.01; CI: 1.501-4.701). Conclusions. In papillary urothelial tumors, the distribution pattern of maspin is associated with histological grade and pathological stage, probably reflecting its different activities in the neoplastic process. Alterazioni citogenetiche nel mesotelioma maligno primitivo e ricorrente della tunica vaginale del testicolo (MMTVT): presentazione di un caso A. Scattone, M. Criscuolo*, M. Gentile**, E. D’Ambrosio***, A. Palombo***, A.L. Buonadonna**, G. Serio Dipartimento di Anatomia Patologica, Università Bari; * Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “Perrino”, Brindisi; ** Servizio di Genetica Medica, Ospedale “Di Venere”, Carbonara (BA); *** Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “V. Fazzi”, Lecce Il MMTVT è un tumore raro, altamente fatale, non asbestocorrelato, non indagato geneticamente. Recidiva locale e metastasi rappresentano i principali aspetti clinici di una malattia resistente ai comuni trattamenti terapeutici. Studi di citogenetica sono stati condotti su molti casi di mesotelioma maligno della pleura e del peritoneo al fine di identificare i meccanismi molecolari della tumorigenesi e della progressione della malattia. In un caso di MMTVT occorso alla nostra attenzione, abbiamo ricercato con metodica CGH la presenza di possibili alterazioni genetiche nel tumore primitivo e nella sua recidiva. Metodi. Nell’agosto 2002 un uomo di 80 anni veniva ricoverato nel reparto di Urologia dell’Ospedale “V. Fazzi”, (Lecce) per una tumefazione dolente nello scroto destro. L’ecografia evidenziava idrocele con ispessimento della tunica vaginale; il testicolo appariva indenne. All’esplorazione chirurgica erano presenti micronoduli (2-3 mm) disseminati sulla POSTERS sierosa e si eseguiva una resezione parziale della stessa. L’istologia poneva diagnosi di mesotelioma maligno epitelioide con pattern di crescita prevalentemente tubulo-papillare. Si procedeva successivamente ad una orchiectomia monolaterale. Nessun trattamento chemio/radioterapico veniva effettuato. Nell’ottobre 2003 il paziente veniva sottoposto a nodulectomia per recidiva locale sulla tonaca vaginale residua. All’esame istologico la diagnosi era di mesotelioma bifasico. Nel dicembre 2005 per la comparsa di una massa (13 cm) nei tessuti molli scrotali veniva effettuata una emiscrotectomia destra e la diagnosi istologica confermava la recidiva di mesotelioma. All’ultimo follow-up (nov. 2006) il paziente risultava vivo con malattia. All’anamnesi nessuna esposizione all’asbesto veniva rilevata. Su campione paraffinato è stata condotta l’analisi CGH. Risultati. Alterazioni cromosomiali sono state osservate: le perdite erano più frequenti delle amplificazioni. Del 1p22.234.3, 4p12-q13.1, 6q23-26, 9q12-21.3, 22q12.2-ter nel tumore iniziale. Del 1p22.2-34.3, 5q35.2-35.3, 9q12-21.3, q33.333.4, 12q23.3-24.3, 15, 16p11.2-13.3, q12.1-24.3, 19p13.313.4, 20p13, 21q22.1-22.3, 22q11.2-13.3 nella recidiva. Conclusioni. Alterazioni cromosomiali ricorrenti tipiche del profilo genetico del mesotelioma sono state individuate. Un maggiore accumulo di delezioni era presente nelle recidive, evidenziando che un aumento dell’instabilità genetica può essere responsabile della progressione della malattia. Metastasi endometriali da neoplasia extragenitale P. Mercurio, D. Corti, F. De Trovato, A. Deiana, A. Gianatti, E. Pezzica Struttura Complessa di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica, Azienda Ospedaliera “Treviglio Caravaggio”, Treviglio (BG) Introduzione. La diagnosi di metastasi endometriali da neoplasia extragenitale è apparentemente ovvia ma può diventare problematica quando deve essere posta su biopsie endometriali eseguite perlopiù in isteroscopia per sanguinamento uterino anomalo. I problemi diagnostici sono legati principalmente alla scarsità del materiale e alla mancanza di dati anamnestici. Dall’analisi della letteratura l’evento è raro. In ordine decrescente i tumori più frequenti sono il carcinoma della mammella, dello stomaco, del colon e del pancreas. Anche il melanoma può raramente metastatizzare all’endometrio. Metodi. Riportiamo tre casi paradigmatici di metastasi endometriali da carcinoma lobulare della mammella (Caso 1, 9 anni dopo la diagnosi del primitivo); da carcinoma gastrico a cellule ad anello con castone (Caso 2, 3 anni dopo la diagnosi del primitivo) e da melanoma cutaneo (Caso 3, 18 mesi dopo la diagnosi del primitivo). Tre pazienti rispettivamente di 67 aa (Caso 1), di 64 aa (Caso 2) e di 62 aa (Caso 3), che si presentano all’ambulatorio di isteroscopia per perdite ematiche atipiche. All’isteroscopia canale cervicale regolare, endometrio atrofico, orifizi tubarici regolari, neoformazione endometriale polipoide del fondo nel caso 2 e 3. Nessuna notizia anamnestica al momento dell’isteroscopia. Risultati. L’aspetto morfologico fondamentale per riconoscere una neoplasia metastatica su biopsia endometriale nei tre casi riportati è il pattern diffusamente infiltrante con rispetto delle ghiandole endometriali associato a permeazione di spazi vascolari linfatici. Il riconoscimento dell’istotipo è 241 facile a forte ingrandimento per la morfologia tipica riconoscibile in E.E. ed è confermato dalle comuni indagini istochimiche ed immunoistochimiche. Considerando che spesso non si hanno notizie anamnestiche è necessario prendere in considerazione anche la possibilità di lesione metastatica quando si osserva un endometrio apparentemente atrofico. Quando le notizie cliniche confermano la neoplasia primitiva extragenitale, di regola alle metastasi endometriali sono associate metastasi ovariche. Conclusioni. Le metastasi endometriali da neoplasia extragenitale sono peculiarità di stadi avanzati e verosimilmente sono sottostimate. In letteratura sono riportati perlopiù casi di carcinoma della mammella. Le segnalazioni di primitività gastrica sono sporadiche. Il carcinoma a cellule ad anello con castone può anche essere primitivo dell’endometrio come descritto da Robboy nel 1997. A favore della primitività endometriale sono fondamentali i dati clinici (assenza di tumore primitivo in altra sede e di malattia disseminata, assenza di interessamento ovarico, liquido peritoneale negativo) e la presenza di adenocarcinoma endometrioide tipico associato alla componente ad anello con castone evidenziabile più facilmente su pezzo operatorio che su materiale bioptico. Alterazioni benigne delle cellule stromali endometriali che possono simulare un carcinoma metastatico sono le cellule vacuolate deciduali e gli istiociti stromali vacuolati già descritti da Clement and Scully nel 1988 e da Jacques nel 1996. Il traffico nucleo-citoplasma di PVHL e di HIF1alfa nella carcinogenesi del carcinoma renale a cellule chiare C. Di Cristofano, A. Minervini*, F. Lessi, M. Menicagli***, G. Bertacca, P. Collecchi, R. Minervini**, M. Carini*, G. Bevilacqua, A. Cavazzana Dipartimento di Oncologia, Divisione di Anatomia Patologica e di Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Università di Pisa ed Azienda Ospedaliera Pisana, Pisa; * Dipartimento di Urologia, Università di Firenze, Ospedale di Careggi, Firenze; ** Dipartimento di Chirurgia, Divisione di Urologia, Università di Pisa ed Ospedale Universitario di Pisa; *** MGM, Istituto di Medicina e Genetica Molecolare, Pisa Introduzione. L’inattivazione del gene Von Hippel-Lindau (VHL) è l’alterazione più frequente nel carcinoma renale a cellule chiare (cRCC). Sono stati descritti due prodotti di VHL: VHL30 e VHL19 come risultato di un inizio alternativo della trascrizione. VHL30 è associata alla stabilità del citoscheletro; VHL19 è una ligasi che promuove la degradazione del fattore indotto dall’ipossia-1alfa (HIF1α). HIF1 è composto da una subunità α e ß. HIF1ß è un recettore di traslocazione nucleare aril-carbonilico (ARNT) ed è costitutivamente espresso; l’espressione di HIF1α è regolata dai livelli di O2. Con livelli normali di O2 HIF1α dopo idrossilazione del dominio di degradazione ossigeno-dipendente (ODD) è ubiquitinilato nel nucleo da VHL ed esportato nel citoplasma per la degradazione proteosomica. In ipossia l’interazione VHL/HIF1α è abrogata e HIF1α si complessa con l’ARNT ed attiva nel nucleo geni bersaglio. Lo studio analizza l’inattivazione di VHL, un polimorfismo (SNP) di OOD nel cRCC, correlando le alterazioni geniche, POSTERS 242 le espressioni proteiche e la localizzazione cellulare con la prognosi. Materiali e metodi. È stato effettuato uno studio IIC su microarrays tissutali di 136 cRCC intracapsulari (8 aa di follow-up) utilizzando due anticorpi (Ab) antiVHL (cloni Ig32 ed Ig33), che riconoscevano entrambe le proteine o solo VHL30, ed uno antiHIF1α. Sono state indagate le mutazioni e lo stato di metilazione del promotore di VHL, il SNP del codone 582 di HIF1α e lo squilibrio allelico (LOH) del locus 3p25. I risultati sono stati correlati con la sopravvivenza tumore-specifica (TSS). Risultati. La maggioranza dei casi presentava una positività citoplasmatica per tutti gli Ab utilizzati, associata ad una localizzazione nucleare nel caso di HIF1α. I casi VHL negativi erano associati ad un’alta espressione di HIF1α. La negatività di VHL e la positività nucleare di HIF1α erano correlate ad una minore TSS (p = 0,007; p = 0,005). Le mutazioni di VHL erano presenti nel 51% dei casi. LOH e metilazione erano presenti nel 38% ed 11% dei casi. Pazienti con mutazioni frameshift avevano un minore TSS. L’87% dei casi VHL negativi presentavano mutazioni. Il SNP era associato alla sola localizzazione citoplasmatica di HIF1α. Conclusioni. Le alterazioni di VHL ed HIF1α influenzano l’espressione e la localizzazione cellulare dei loro prodotti. Tale espressione è coinvolta nella progressione tumorale. Il traffico nucleo-citoplasma di VHL ed HIF1α svolge un ruolo nella carcinogenesi dei cRCC. Subepithelial haematoma of the renal pelvis (Antopol-Goldman lesion) A. Eccher, M. Brunelli, A. Polara*, M. Amenta*, S. Gobbo, M. Pea, F. Bonetti, G. Grosso*, F. Menestrina, G. Martignoni Dipartimento di Patologia, Anatomia Patologica, Università di Verona; * U.O. Urologia, Clinica Pederzoli, Peschiera del Garda, Verona, Italia Introduction. Subepithelial haematoma of the renal pelvis (Antopol-Goldman lesion) 1 is a rare lesion of the kidney that may clinically mimic renal cell or pelvic neoplasm. Haematuria, flank pain and filling defect in the renal pelvis are the most consistent recurring clinical and radiological findings. It has been suggested that analgesic abuse may be a significant factor because it results in prominent renal vascular proliferation 2. Methods. We describe the clinico-pathological findings of a well-demarcated mass-forming subepithelial haematoma of the renal pelvis simulating a renal cell neoplasm. Results. A 76-year-old man presented with flank pain and haematuria. Computerized tomography revealed an hypodense lesion of 6 cm compressing the renal pelvis. A renal cell neoplasm was suspected. The patient underwent nephroureterectomy. Macroscopically, a well-demarcated mass of six centimeter as maximum diameter, with a darkbrown color appearance, immediately adjacent to the pelvicaliceal system, was present. Microscopically, the lesion was composed by a mixture of haemorragic and fibrinoid material with feature of an organizing haematoma. The renal cortex did not reveal any histopathological abnormalities. The pelvic mucosa was hyperaemic but no atypia was revealed along the urothelium. History was not significant for trauma, oral anticoagulative treatment or analgesic abuse. Interest- ingly, a diffuse deposition of amyloid in renal and extrarenal small and medium vessels was appreciated and verified by a positive Congo Red staining with typical birefringence under polarized light. Because of the misleading view of this organizing haematoma at computerized tomography, the lesion was diagnosed as renal cell neoplasm however the pathological pathological findings were conclusive for subepithelial haematoma of the renal pelvis (Antopol Goldman lesion). Conclusions. Subepithelial haematoma of the renal pelvis (Antopol Goldman lesion) is a rare benign lesion. The preoperative diagnosis is difficult because it may simulate a renal cell or pelvic neoplasm. This case interestingly showed a diffuse deposition of amyloid in the renal and extrarenal small and medium vessels. We recommend that subepithelial haematoma of the renal pelvis should be kept in mind by both radiologist and pathologist, if a localized lesion is suspected in the kidney especially with an history of analgesic abuse or a systemic amyloidosis. References 1 Antopol W, Goldman L. Urol Cutan Rev 1948;52:189. 2 Demirkan NC, et al. Histopathology 1999;35:282-3. Markers of DNA-replication licensing systems in cervical dysplasia S. Rossi, M. Pedriali*, I. Nenci* Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Medicina di Laboratorio, Anatomia Istologia e Citologia Patologica, Az. Ospedaliera Universitaria di Ferrara; * Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Università di Ferrara, Italia Introduction. We evaluate if ProExC (MCM2, TOP2A) could be a clinically significant marker of squamous dysplasia and of its progression and regression and useful for adressing the treatment. We compare ProExC-expression with Ki-67 and p16. Materials and methods. 71 cases from patients with diagnosis of CIN1, CIN2 and CIN3. The samples included one or more degrees of squamous dysplasia. Referring to the highest degree of dysplasia, we studied 17 CIN1, 24 CIN2 and 30 CIN3. Sections of 3-4 microns from archival tissue blocks were submitted to immunohistochemical reaction for ProExC (MCM2, TOP2A; TriPath Inc), p16INK4a (16P04;Cell Marque) and Ki-67 (MIB-1; Dako) with Ventana Benchmark XT and to hybridization in situ for HR-HPV (INFORM HPV I HR Probe). Cells labelled by ProExC and Ki-67 display a brown nuclear staining with ultraViewDAB (Ventana) and by p16INK4a a brown nuclear and cytoplasmic staining. Specimens positive for HR-HPV show blue nuclei or small blue dots over nuclei. Quantitative assessment of ProExC and Ki67 staining with the Ventana Image Analysis System (VIAS) and semi-quantitative (negative ≤ 1%; sporadic 2-5%; focal 6-25%; diffuse > 25%) evaluation of p16 were performed. Results. ProExC: CIN1 showed lower ProExC expression (19%) compared with CIN2 (58,5%) and CIN3 (82,5%) (p < 0.001). ProExC values of all CIN, reported on the histograms, showed a bimodal distribution with two peaks respectively around 20% and 70%, with a huge drop around 30% positive cells. CIN categories were differently represented within each area of the graph: CIN1 were concentrated in the former area with ProExC lower than 30% and CIN2 and 3 in the latter one with ProExC higher than 30%, CIN2 POSTERS 243 prevalently in the first half and CIN3 in the second half of the same peak. MIB-1: Ki-67 also showed a lower median value in CIN1 than in CIN2 and CIN3. The distribution of Ki-67 values was continuous with a concentration of CIN1 in a defined area of the graph but with an overlapping of higher degree of dysplasia. P16: CIN1 showed a lower p16 expression (17.64%) than CIN2 and CIN3 (100%) (p = 0.000). The staining was diffuse in 83.33% of CIN2 and in 100% of CIN3 and present in the lower two thirds in CIN2 and also in the higher third to full thickness in CIN3. Conclusions. ProExC and p16 may be able to discriminate better between lesions with low and high risk of progression to carcinoma than MIB-1. Acknowledgments. Mrs. R. Parolini, and Dr. C. Zampini, TSLB, for technical assistance. Ruolo prognostico di osteopontina e BSP nel carcinoma a cellule renali * E. Bollito, C. Terrone , V. Tavaglione, L. Righi, P. Ceppi, L. Chiusa***, A. Volpe**, M. Volante, F. Porpiglia**, M. Papotti S.C.D.U. Anatomia Patologica e * Urologia, Ospedale “San Luigi Gonzaga” e Università di Torino, Orbassano (TO); ** S.C.D.U. Urologia, Ospedale Maggiore “La Carità” e Università del Piemonte Orientale, Novara; *** S.C.D.U. Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore “San Giovanni Battista”, Torino Introduzione. Nel seminoma di tipo classico aspetti periferici di crescita intertubulare possono essere identificati e non presentano difficoltà interpretative. L’esclusiva crescita interstiziale del seminoma è invece assai rara 1 e può causare difficoltà diagnostiche particolarmente insidiose all’esame intra-operatorio (EI), anche perché si osserva usualmente in lesioni piccole (da distinguere da lesioni benigne suscettibili di chirurgia conservativa), spesso di difficile interpretazione in assenza di orientamento clinico preciso. Metodi. Riportiamo il caso di un 40enne con orchialgia da circa 2 mesi, già sottoposto in altra sede a visite ed ecografia non dirimenti. Nel corso del ricovero presso il nostro Ospedale il Paziente venne nuovamente sottoposto a test diagnostici documentando reperto palpatorio dubbio, evidenza ecografica di area isoecogena sospetta, ma non certa per neoplasia, marcatori sierologici in limiti. Fu eseguito intervento esplorativo con EI su un frammento ocraceo di 12 mm, consistenza aumentata e colorito indistinguibile dal parenchima testicolare normale. Risultati. All’EI si riscontrò un infiltrato cellulare interstiziale, con scarsa fibrosi tra tubuli seminiferi con spermiogenesi conservata sino a nemaspermi. Le ipotesi differenziali furono quelle di flogosi ed iperplasia di cellule di Leydig tra le lesioni benigne, e di linfoma o seminoma tra le neoplasie maligne (si favorì un giudizio di malignità all’EI). L’esame istologico ed il profilo immunoistochimico (CD117+/PLAP+) confermarono il sospetto di seminoma a crescita interstiziale; campi di atrofia e neoplasia in situ furono osservati nel parenchima extra-lesionale. Conclusioni. La rara eventualità della esclusiva crescita interstiziale del seminoma (in assenza di nodo o massa tumorale) deve essere considerata nella valutazione di EI di lesioni testicolari piccole, dubbie all’ecografia e con sierologia negativa. In tali forme, architettura tubulare e spermatogenesi possono essere conservate. Caratteri nucleari e valutazione comparativa con i linfociti associati agevolano la distinzione da forme infiammatorie e linfomatose. Inoltre i caratteri di aggregazione cellulare e morfologia dei citoplasmi (più ampli e vescicolosi, meno eosinofili) e dei nuclei (atipici con nucleoli evidenti) ed eventuali cariocinesi consentono la distinzione da lesioni di cellule di Leydig. Bibliografia 1 Henley JD, et al. Am J Surg Pathol 2004;28:1163-8. L’immunoistochimica nella diagnosi differenziale tra oncocitoma e carcinoma a cellule renali cromofobe: esperienza dell’Anatomia Patologica di Savona A. Dellachà, E. Venturino, M. Benvenuto, S. Ardoino, L. Caliendo, C. Marino, A. Pastorino Anatomia Patologica, Ospedale “S. Paolo”, ASL2 Savona Introduzione. La distinzione tra carcinoma a cellule renali cromofobe (CRCC) ed oncocitoma renale (RO) risulta talvolta difficoltosa, se basata unicamente sul dato morfologico, utilizzando colorazioni di routine quali ematossilina-eosina E1. La colorazione al ferro colloidale di Hale (80% positiva nel CRCC e 60% negativa nel RO) risulta tecnicamente impegnativa e spesso di difficile interpretazione. Dai dati della letteratura 1 emerge l’utilità dell’immunoistochimica nella diagnostica differenziale delle neoplasie renali; in particolare nel CRCC viene segnalata positività all’EMA (100%) alla CK7 (73%), alla CK8 (53%) e negatività alla CK20 e CK5/6 (100%); nel RO positività all’EMA (75%), alla CK7 (10%), alla CK8 (100%), e negatività alla CK20 e CK5/6 (100%). Entrambe le neoplasie risultano vimentina negative; inoltre CD10 è espresso nel 72% del CRCC e nel 58% del RO 1. L’indice di proliferazione tumorale (MIB-1) risulta sia nel CRCC che nel RO < 2%. Metodi. Abbiamo preso in considerazione tredici casi di RO e due casi di CRCC esaminati nel nostro ospedale nel periodo 2000-2007 ed abbiamo valutato l’espressione di vimentina, CD10, di alcune citocheratine (CK7-CK20-CK8-CK5/6CK34BetaE12) e l’indice di proliferazione tumorale (MIB-1). Risultati. Entrambi i CRCC sono risultati CK7+, CK20-, CK5/6-, CK34Beta E12-, vimentina-, CD10-; solo un caso è risultato CK8+; in entrambe le neoplasie l’indice di proliferazione tumorale (MIB-1) è risultato < 2%. Tutti gli oncocitomi sono risultati CK7-, vimentina-, CK8+ e l’indice di proliferazione (MIB-1) < 2%; 2/13 sono risultati focalmente positivi per CK20 e per CK34BetaE12 e solo 1/13 focalmente positivo per CK5/6; 10/13 casi CD10+. Conclusioni. Nella nostra esperienza abbiamo constatato come la diagnostica differenziale tra CRCC e RO possa essere facilitata dal supporto di colorazioni immunoistochimiche di comune utilizzo; in particolare nei casi di dubbia interpretazione morfologica un pannello con vicentina-, citocheratina7+ e CD10- è di supporto alla diagnosi di CRCC. Un pannello con vimentina- citocheratina7- CD10+ è indicativo di oncocitoma. Bibliografia 1 Skinnider BF, et al Am J Surg Pathol 2005;29:747-54. POSTERS 244 Quick (3 hours) histologic diagnosis on prostate biopsies Performance del test FISH nel monitoraggio del carcinoma uroteliale M. Freschi, L. Nava*, P. Rigatti*, G. Guazzoni*, C. Doglioni R. Bandelloni, S. Casazza, L. Turbino, A. Pastorino, M. Dezzana, G. Capponi*, M. Maffezzini* Department of Pathology, Scientific Institute “San Raffaele” H, Milano; * “San Raffaele Turro” Urology S.C. Anatomia Patologica; “Galliera”, Genova Introduction. Aim of this study was to prospectively evaluate the efficacy and reproducibility of quickly processing prostate core needle biopsies with RHS1®, an automated microwave-vacuum processor. Methods. From July 2004 to June 2007 a total of 914 consecutive prostate biopsies were performed for Pca detection in men with PSA levels between 2.5 and 14 ng/ml. The biopsies (mean core number 20, range 12-25) were stretched between two sponges in tissue cassettes, fixed in formalin, processed with RHS1® (xylene-free), embedded in paraffin, cut at 3 µ and then stained with H.E. Processing time, as well as time to final histological report, detection rate and percentage of further evaluations required were recorded; furthermore those results were prospectively compared with those registered in a concomitant series of 813 prostate biopsies performed in a similar series of patients, with the same sample technique, in the same period, but processed with the traditional method. Pathological evaluations were performed by a single pathologist. Results. The overall detection rate for both groups (RHS1® vs. traditionally processed biopsies) was similar for both group, 40% of Pca vs. 39.5%, 20% of HGPIN vs. 18.6%, 2% of ASAP vs. 3%. A comparable quality evaluation of histologic slides was given for both groups. No differences in core lengths were recorded in the two groups. The automatic processing time was 75 minutes vs. 14 hours, whereas the time to the definitive diagnosis was 190 minutes (range 145-260) vs. 24 hours. A quick diagnosis was performed in 887/914 pts (96%). In 37 pts additional immunohistochemical evaluations (p63, racemase, HMWCK) were successively performed, singly or with double stain, without any modification of routinely used methods. Conclusions. This experience confirms the validity of new automated microwave-vacuum device to process in a short time prostate biopsies. RHS1®, as other rapid processing tools now available, resulted at least as effective as the traditional processing method and could guarantee a new time effective standard to spare time, costs and stress for the patients. Being a xylene-free method, handling of the specimens is simplified and safer. RHS1® allows a better quality of service with a one-day diagnosis. Introduzione. Il carcinoma vescicale uroteliale (CU) è caratterizzato da percentuali di ricorrenza e di progressione pari, rispettivamente, al 70% e a circa il 15%. L’uretro/cistoscopia e la citologia urinaria su urine spontanee rappresentano gli strumenti “standard” per la diagnosi e il monitoraggio della neoplasia. L’impiego della indagine FISH, eseguita su campioni di urine, ha permesso di migliorare sensibilità e specificità nella diagnosi di CU, l’esame FISH inoltre, rispetto alla citologia, fornisce utili informazioni prognostiche per meglio quantificare il rischio di ricorrenza e di progressione della malattia. Lo scopo del nostro studio è valutare se l’esame FISH permette di categorizzare i pazienti affetti da CU in relazione al rischio di ricorrenza e progressione della malattia. Metodi. Dal maggio 2003 al dicembre 2006 sono state eseguite indagini FISH (UroVysion Vysis) per la ricerca di aneuploidie a carico dei cromosomi 3, 7 e 17 e della perdita omozigotica del locus 9p21, su 164 pazienti affetti da CU (età media 67,1 aa), 127 maschi (77,4%) e 37 femmine (22,6%). I pazienti sono stati seguiti con follow-up trimestrale comprendente uretro/cistoscopia e citologia urinaria, per i primi 2 aa e semestrale successivamente, associati a Rx urografia annuale. I pazienti sono stati suddivisi in 3 categorie in base ai risultati FISH: FISH negativa, FISH positiva a “basso rischio” e FISH positiva ad “alto rischio” 1. Sono state valutate per ciascuna categoria la ricorrenza e la progressione della malattia. Risultati. I risultati sono riportati in Tabella I. FISH negativa: pattern cromosomico disomico. FISH “basso rischio”: perdita omozigotica 9p21 solo o associato ad aberrazioni cromosomiche singole in meno del 10% delle cellule esaminate. FISH “alto rischio”: perdita omozigotica 9p21 associate ad aberrazioni cromosomiche multiple in oltre 10% delle cellule esaminate. Conclusioni. Lo studio dimostra come la positività alla FISH sia predittiva di ricorrenza e progressione del CU. * S.C. Urologia; E.O. Ospedali Bibliografia 1 Bollmann M, et al. BJU Int 2005;95:1219-25. Tab. I. Percentuali di ricorrenza e progressione del CU in relazione alla categoria FISH. FISH negativa FISH “basso rischio” FISH “alto rischio” Follow-up negativo Ricorrenza Progressione Totale 41 (60,3%) 19 (44,2%) 16 (30,2%) 24 (35,3%) 20 (46,5%) 25 (47,2%) 3 (4,4%) 4 (9,3%) 12 (22,6%) 68 43 53 POSTERS Metastasi isolata al funicolo spermatico in paziente con pregresso carcinoma gastrico L. Ventura, M. De Vito U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila Introduzione. Le neoplasie secondarie del funicolo spermatico e dell’area paratesticolare sono rare 1, originano solitamente da sedi primitive addomino-pelviche ed appaiono caratterizzate da prognosi infausta 1 2. Descriviamo un caso di metastasi isolata al funicolo spermatico in un paziente precedentemente gastrectomizzato per carcinoma. Metodi. Un uomo di 60 anni, avendo notato la comparsa di un nodulo inguinale destro, ecograficamente ipoecogeno, del diametro di 22 x 14 mm, veniva sottoposto a TC total body che confermava il reperto senza mostrare ulteriori alterazioni. L’anamnesi patologica evidenziava poliomielite all’età di 16 mesi, nefrectomia sinistra per litiasi a stampo a 27 anni e, due anni prima dell’attuale ricovero, gastrectomia totale per adenocarcinoma poco differenziato, di tipo intestinale secondo Laurèn, pT2N1MX, seguita da radio-chemioterapia postoperatoria. Risultati. L’exeresi del nodulo inguinale e la diagnosi intraoperatoria di adenocarcinoma venivano seguite da orchifunicolectomia destra. L’esame istologico definitivo mostrava infiltrazione del funicolo da adenocarcinoma poco differenziato, con invasione dei vasi venosi e linfatici, in assenza di coinvolgimento del testicolo e dell’epididimo. Il paziente è stato quindi sottoposto ad ulteriori cicli di chemioterapia e 19 mesi dopo (46 mesi dalla gastrectomia) risulta libero da malattia. Conclusioni. Le neoplasie primitive del funicolo spermatico sono relativamente poco frequenti e nella massima parte dei casi di origine mesenchimale. L’evenienza di metastasi funicolari costituisce evento estremamente raro, con sedi di origine solitamente rappresentate da prostata, rene, colon, stomaco e pancreas 1 2. Nelle casistiche giapponesi il carcinoma gastrico costituisce la primitività più frequente 1. La peculiarità del caso in esame risiede, oltre che nell’evenienza di metastasi al funicolo come unica localizzazione in corso di ripresa della malattia neoplastica, anche nella più lunga sopravvivenza rispetto alla media riferita in letteratura (9 mesi dalla diagnosi) 1. Bibliografia 1 Ota T, et al. Jpn J Clin Oncol 2000;30:239-40. 2 Pozzobon D, et al. Chir Ital 2001;53:729-32. Micropoliposi dell’endometrio come marker di endometrite cronica L. Resta, E. Cicinelli*, R. Rossi, M. Palumbo, G. Serio Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Bari; * Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Università di Bari Introduzione. L’endometrite cronica risulta una malattia di difficile inquadramento sia dal punto di vista clinico (scarsità e aspecificità dei sintomi) sia dal punto istopatologico (assoluta mancanza di criteri diagnostici univoci). I tradizionali criteri istopatologici di diagnosi includono: la presenza di infiltrato 245 plasmacellulare, una trasformazione “spindle-cell” delle cellule stromali, asincronia di maturazione glandulo-stromale. L’utilizzazione estensiva della tecnica di isteroscopia con distensione fluida della cavità ci ha consentito di osservare un particolare aspetto di vegetazioni micropolipodi della mucosa endometriale strettamente associato alla condizione di endometrite cronica: accuratezza diagnostica del 93% 1. Metodi. Una revisione della casistica sviluppata su 2.190 pazienti, ha dimostrato in 438 casi segni isteroscopici di edema e micropoliposi. In queste pazienti, lo studio microbiologico ha dimostrato in 320 casi (73,1%) la presenza di almeno un agente microbico nel prelievo endometriale. Su tutte è stata eseguita una biopsia endometriale per lo studio istopatologico. Risultati. La presenza di endometrite di vario grado era osservabile in 388 donne (88,6%). Un aspetto istologico non descritto in precedenza è rappresentato dalla presenza di piccole estroflessioni polipoidi (< 2 mm), corrispondenti a quelle descritte in isteroscopia, costituite da un’ansa capillare e da cellule infiammatorie, come verificato con l’indagine immunoistochimica. In casi più rari i micropolipi corrispondevano a rigonfiamenti edematosi superficiali della mucosa o a essudato sieromucoso su aree di erosione superficiale della mucosa. La corrispondenza tra il quadro isteroscopico e quello istologico è molto verosimile, anche se l’evidenza istologica delle lesioni avviene nel 48%, poiché, essendo i micropolipi molto piccoli, non sempre sono evidenziabili sul preparato: infatti la lesione scompare spesso nelle sezioni successive dello stesso incluso. Conclusioni. La presenza di micropolipi può rappresentare un utile segno di flogosi endometriale non solo per l’isteroscopista, ma anche per il patologo, in un campo della patologia endometriale in cui la diagnosi risulta difficile e sostanzialmente sottostimata, specie nelle condizioni di sanguinamento anomalo o di infertilità da causa sconosciuta. Bibliografia 1 Cicinelli E, et al. J Minim Invasive Gynecol 2005;12:514-8. Intratesticular serous cystoadenoma of borderline malignancy. A case report N. Scibetta, L. Marasà ARNAS “Civico, Di Cristina, Ascoli”, Palermo; Servizio di Anatomia Patologica, Italia Introduction. Testicular and paratesticular tumors of the common epithelial ovarian type are rare. The most frequent histological type is the serous. We present an example of this group of tumors that may be classified as mullerian serous papillary cistoadenoma of borderline malignancy (SBT). Methods. A 50 years-old man presented with a painless right testicular swelling of 24 months duration. Testicular sonography revealed a large, cystic mass. Laboratory tests were unremarkable. A right orchiectomy was performed. 6 months after surgery, there was no evidence of tumor recurrence or metastases. The specimens were fixed in 10% buffered formalin and paraffin embedded. Sections were stained with H&E, PAS. Immunostaining was performed with primary antibodies to CEA, Leu M1, B 72.3, S100 protein, PLAP, CA-125, CK7, CK20, vimentin, estrogen and progesterone receptors, calretinin. POSTERS 246 Results. The surgical specimen had a size of 11 x 8.5 x 4.5, and presented a intratesticular, unilocular cyst measuring 8 cm in diameter, containing a dens fluid. The cyst was separated from surrounding parenchyma by a thin fibrous capsule; the internal lining of the cyst was smooth with areas of granular gray tissue. Microscopically the tumor showed papillary structures of variable size, lined by columnar serous-type epithelium, exhibiting discontinous tufting, with moderate cell pleomorphism. Mitoses were rare. The adjacent seminiferous tubules showed focal atrophic changes; the epididymis, rete testis and spermatic cord appeared unremarkable. Immunohistochemically the tumor cells were positive for CK7, CEA, EMA, CA 125, Leu M1, estrogen and progesterone receptors. Conclusions. Both the gross and microscopic features and the immunophenotype of our case were identical to those of ovarian SBTs. Mullerian tumours of the testis may originate either from remnants of mullerian epithelium within the testicular tissue itself (“primary tumors”), or from mullerian epithelium which develops from the mesothelium of the tunica vaginalis testis by metaplasia (“secondary tumors”). In our opinion, it cannot be determined definitely whether the tumor belongs to the group of primary or secondary mullerian tumors. Our patient like the others reported in the literature had unilateral testicular SBT, without extragonadal spread. All of them had a favorable outcome after orchiectomy. The small number of patients does not permit unequivocal conclusions, but these tumors have a good prognosis. Transitional cell carcinoma of the endometrium. A case report N. Scibetta, L. Marasà ARNAS “Civico, Di Cristina, Ascoli”, Palermo; Servizio di Anatomia Patologica, Italia Introduction. Transitional cell carcinoma (TCC) are rare neoplasm in the femal genital tract. They are most common in the ovary, with isolated cases described in the fallopian tube, broad ligament, cervix and endometrium. TCC of the endometrium has been noted predominantly in postmenopausal women, some having the same risk factors and presentation as patients with endometrial carcinoma. Recently the presence of HPV type 16 has been detected in a proportion of primary TCC of the cervix and endometrium. This support the hypotesis that these rare neoplasm, in at least a proportion, are similar, with regard to risk factor, to squamous cell carcinoma of the cervix and suggest that HPV may play an etiologic role. Methods. A diabetic, hypertensive, liparous 67 years-old woman, with uterine bleeding, has been subjected to endometrial curettage and subsequent total abdominal hysterectomy with bilateral salpingo-oophorectomy. The specimens were fixed in 10% buffered formalin, and paraffin embedded. Sections were stained with H&E. Immunohystochemical staining for cytokeratins 7 and 20 was performed. The TCC was graded according to the four-tier grading system for transitional cell neopasm of the urinary bladder adopted by the World Health Organization. Results. The endometrial cavity was filled with a friable, polypoid mass. It penetrated deep in the outer one-half of the myometrium, with cervical involvement and also showed vascular invasion. Grossly and microscopically the adnexae were normal. Microscopically a tumor showed papillary structures with thin fibrovascular cores covered by several layers of urothelial-type transitional epithelium. The papillary component was admixed with more poorly differentiated areas ranged from spaces lined by transitional epithelium to nests of poorly differentiated transitional epithelium infiltrating the stroma. Nuclear grooves were not formed. No foci of squamous differentiation or areas of koilocytosis were found. A endometrioid component (5%), was admixed. The immunohystochemical profile (CK7 positive and CK20 negative) was consistent with the mullerian epithelium. Conclusions. TCC of the endometrium is a rare, distinct subtype of endometrial carcinoma with morphologic features of urothelial differentiation, but ritention of mullerian immunoprofile. The histogenesis of TCC of the endometrium is uncertain, and in the absence of benign transitional metaplasia, it is more likely that the endometrial lesions developed through neometaplasia from other neoplastic cell types rather than developing from initially benign metaplastic transitional cell epithelium. In this case report the finding that TCC is admixed with endometrioid component and the immunoprofile of mullerian epithelium support this mechanism, suggesting that the tumor arises through neometaplasia from mullerian epithelium. Studio immunoistochimico sulla differenziazione neuroendocrina di 100 adenocarcinomi di prostata provenienti da RRP S. Trabucco, A. Altavilla*, G. Caruso* U.O. di Anatomia Patologica, D.A.P. (Dipartimento di Anatomia Patologica), Policlinico, Bari; * U.O. di Anatomia Patologica, DAP (Dipartimento di Anatomia Patologica), Policlinico Università di Bari Introduzione. La presenza di singole cellule neuroendocrine (CN) nelle ghiandole prostatiche dell’adulto è riconosciuta sia in senso morfologico/immunoistochimico sia in senso funzionale per l’interazione con la componente ghiandolare esocrina. Inoltre le CN regolano la risposta agli androgeni ed identificano una quota di adenocarcinomi prostatici a differenziazione neuroendocrina non compresi nelle neoplasie neuroendocrine in senso stretto come carcinoidi e carcinomi a piccole cellule. Materiali e metodi. Sono stati studiati 100 casi di adenocarcinomi della prostata dal 1/01/2005 al 31/12/2005 ed è stata indagata l’espressione immunoistochimica della Cromogranina A in adenocarcinomi moderatamente e scarsamente differenziati. I campioni sono stati fissati in formalina neutra tamponata al 10%, processati ed inclusi in paraffina; da sezioni di 2-3 µ sono state allestite colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche. Ciascun caso è stato interpretato per immunoreattività con score-semiquantitativo da 1-3 per intensità di colorazione e POSTERS 247 per percentuale di cellule positive. L’intensità della colorazione varia da 1 (positività citoplasmatica debole e finemente granulare) a 3 (positività citoplasmatica intensa con granuli grossolani). La percentuale di cellule positive è distribuita nei gruppi: 1 (≤ 25%), 2 (25-50%) e 3 (50-100%). Risultati. Risultati ottenuti per percentuali di cellule positive: gruppo 1 (5,8% di casi); gruppo 2 (11,5%) e gruppo 3 (17%) per un totale del 35% di casi a differenziazione neuroendocrina. Risultati ottenuti per intensità di colorazione: gruppo 1 (33% dei casi); gruppo 2 (35%) e gruppo 3 (32%). Conclusioni. L’espressione della cromogranina identifica: aadenocarcinomi misti a doppia componente androgena-responsiva e neuroendocrina; b- adenocarcinomi acinari a totale differenziazione neuroendocrina. L’identificazione della componente neuroendocrina non rilevabile alla osservazione morfologica impone una sistematica ricerca immunoistochimica della stessa; la sua presenza si correla ad aspetti clinicoterapeutici importanti: 1) la valutazione sierica della cromogranina insieme al PSA nel follow-up post-operatorio e nei pazienti non operabili; 2) il trattamento terapeutico con omologhi della somatostatina da associare o meno ad ormonosoppressione in caso di ripresa di malattia oppure nei pazienti non operabili con elevati valori sierici di cromogranina. Endometriosi intestinale profonda: nuove osservazioni sul coinvolgimento e sulle lesioni dei plessi nervosi M. Mora, L.H. Abbamonte*, R. Ricca, S. Ferrero*, V. Remorgida*, E. Fulcheri Anatomia e Istologia Patologica (DI.C.M.I.), Università di Genova; * Clinica Ostetrica e Ginecologica, Università di Genova Introduzione. La localizzazione intestinale è presente nel 15-37% delle donne con endometriosi ed è definita profonda (EIP) quando si sviluppa nella parete oltre i 5 mm; la presentazione clinica è variabile ma simile a quella delle IBD. Caratteristiche dell’EIP sono: multifocalità, reazione fibrosclerotica (con deformazione e stenosi), localizzazione topografica alla radice del meso, lungo i plessi extramurali (neurotropismo dell’endometriosi) e i fasci vascolari. Da alcuni anni si ricerca una più precisa definizione degli aspetti morfofunzionali dell’EIP da correlare con le anomalie della peristalsi e della funzionalità dell’intestino. Metodi. Negli anni 1999-2007 sono stati diagnosticati 81 casi di EIP (55 resezioni segmentarie, 26 nodulectomie) (range Clinic-pathological correlations of microsatellite instable (MSI+) endometrial carcinoma S. Cesari, B. Dal Bello, P. Alberizzi, D. Ballarini, G. D’Ambrosio, S. Tateo*, E.M. Silini** Servizio di Anatomia Patologica, IRCCS Fondazione Policlinico “San Matteo”, Pavia, Italia; * Clinica Ostetrica e Ginecologica, IRCCS Fondazione Policlinico “San Matteo”, Pavia, Italia; ** Dipartimento Patologia e Medicina di Laboratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Parma, Italia Introduction. Microsatellite instability (MSI) occurs in 17 to 23% of non-familial endometrial adenocarcinomas (ECs) usually as a consequence of hMLH1 gene silencing by promoter methylation. The clinic-pathological correlations of MSI+ colonic and gastric tumors are well established, whereas these remain poorly defined in ECs. Distribuzione della EIP nella parete intestinale (%) Coinvolgimento dei plessi nervosi (%) N. casi Nessuno Extramurale Auerbach (stadio 0) (stadio 1) (stadio 2) Yantiss R.K. et al. (2001) Anaf V. et al. (2004) Mora M. et al. (2007) di età 22-54). Le pazienti, studiate con Multislice TC-water enteroclysis (MSCTe), sono state trattate secondo un protocollo chirurgico validato. In 8 casi era coinvolto l’ileo, in 4 il cieco, in 1 l’appendice, in 21 il sigma, in 36 il sigma-retto e in 16 il retto (5 pazienti presentavano lesioni in sedi multiple). Si sono effettuate campionature sulla lesione a tutto spessore e a 3 cm da essa in senso prossimale e distale. Una IIC di routine per la proteina S-100 ha facilitato la visualizzazione dei plessi e delle strutture gangliari e delle caratteristiche morfologiche di essi. Risultati. Le lesioni sono risultate estese alla sola sierosa o al tessuto periviscerale (4,9%), fino alla tonaca muscolare (54,4%), fino alla sottomucosa (34,6%) e fino alla mucosa (6,1%). L’interessamento dei plessi nervosi è risultato negativo nel 2,5%, positivo nei restanti coinvolgendo il plesso extramurale nel 19,7%, raggiungendo l’Auerbach nel 49,4% e raggiungendo il Meissner nel 28,4%. Il danno ai plessi nervosi ad opera della EIP (distorsione, coartazione, frammentazione e interruzione dei fascicoli) è responsabile del danno progressivo delle strutture preposte alla motilità. È anche evidente una ipertrofia e iperplasia dei plessi e dei gangli a monte delle lesioni, cui si associa l’ectasia del lume intestinale. Conclusioni. L’EIP è stata riclassificata in: stadio 0 coinvolgimento della sierosa e di nessun plesso; stadio I del plesso extramurale; stadio II del plesso di Auerbach; stadio III del plesso di Meissner. La valutazione dei danni ai plessi si aggiunge e completa le classiche valutazioni stadianti (ulcerazione della mucosa, stenosi e distorsione del lume e sindrome aderenziale associata alla malattia) attualmente in uso. Meissner (stadio 3) Margini + (%) Sottosierosa Muscolare Sottomucosa Mucosa 44 — — — — 73 89 66 30 31 — — — — 100 100 68 26 9,7 81 2,5 19,7 49,4 28,4 4,9 54,4 34,6 6,1 5 POSTERS 248 Methods. Base of the study were 156 ECs, clinical stage I, from a single tertiary academic institution, observed over the years 1991-2001, with a mean follow-up time of 74 months. All slides were reviewed for the study. ECs were classified according to WHO based on morphology and immunophenotype when required and were staged according to FIGO. Progesterone receptor, p53 and hMLH1 expression was evaluated by immuno-histochemistry in all tumors. MSI was assessed on DNA extracted from FFPE micro-dissected tissue using the two mononucleotide repeats, Bat25 and Bat26. Main pathological variables and survival were compared between groups by the chi-square test; statistical significance was for p < 0.05. Results. Thirty-one tumors (20%) were MSI+. Loss of antihMLH1 staining was highly predictive of MSI+ phenotype (PPE 93%, NPV 95%, sensitivity 84%, specificity 98%). MSI+ phenotype was significantly correlated with endometrioid histotype (p < 0.01), high grade (p < 0.001), tumor necrosis (p < 0.05), expansive growth pattern (p < 0.02) and prominent lymphocyte infiltration (p < 0.001). No effect was observed for age at diagnosis, pathological stage, depth of myometrial infiltration, desmoplastic reaction, lymphovascular invasion and lymphnode metastasis, progesterone receptor and p53 expression. Mortality and recurrence rates at 5 yrs were 25,8% and 32,2% for MSI+ tumors compared to 11.2% and 19,1% for MSI-, respectively (p = non significant). Conclusions. MSI+ phenotype is specific of endometrioid histotype and identifies a subset of tumors with specific pathological features and poor prognosis. Anti-hMLH1 staining accurately predicts MSI status. Appropriate histological classification is fundamental to highlight clinic-pathological correlates in tumor genetics. Seminoma del testicolo a crescita interstiziale: presentazione di un caso e analisi dei criteri di diagnosi differenziale all’esame intra-operatorio E. Bollito*, I. Morra**, M. Volante*, V. Marci*, F. Porpiglia**, R.M. Scarpa**, M. Papotti* * S.C.D.U. Anatomia Patologica e ** Urologia, Ospedale “San Luigi Gonzaga” e Università di Torino, Orbassano (TO) Introduzione. Nel seminoma di tipo classico aspetti periferici di crescita intertubulare possono essere identificati e non presentano difficoltà interpretative. L’esclusiva crescita interstiziale del seminoma è invece assai rara 1 e può causare difficoltà diagnostiche insidiose particolarmente all’esame intra-operatorio (EI), anche perché si osserva usualmente in lesioni piccole (da distinguere da lesioni benigne suscettibili di chirurgia conservativa), spesso di difficile interpretazione in assenza di orientamento clinico preciso. Metodi. Riportiamo il caso di un 40enne con orchialgia da circa 2 mesi, già sottoposto in altra sede a visite ed ecografia non dirimenti. Nel corso del ricovero presso il nostro Ospedale il paziente venne nuovamente sottoposto a test diagnostici documentando reperto palpatorio dubbio, evidenza ecografica di area isoecogena sospetta, ma non diagnostica per neoplasia, marcatori sierologici in limiti. Fu eseguito intervento esplorativo con EI su un frammento ocraceo di 12 mm, consistenza aumentata e colorito indistinguibile dal parenchima testicolare normale. Risultati. All’EI si riscontrò un infiltrato cellulare interstiziale, con scarsa fibrosi tra tubuli seminiferi con spermiogenesi conservata sino a nemaspermi. Le ipotesi differenziali furono quelle di flogosi ed iperplasia di cellule di Leydig tra le lesioni benigne, e di linfoma o seminoma tra le neoplasie maligne (si favorì un giudizio di malignità all’EI). Esame istologico e profilo immunoistochimico (CD117+/PLAP+) confermarono il sospetto di seminoma a crescita interstiziale; campi di atrofia e IGNU furono osservati nel parenchima extra-lesionale. Conclusioni. La rara eventualità della esclusiva crescita interstiziale del seminoma (in assenza di nodo o massa tumorale) deve essere considerata nella valutazione di EI di lesioni testicolari piccole, dubbie all’ecografia e con sierologia negativa. In tali forme, architettura tubulare e spermatogenesi possono essere conservate. Caratteri nucleari e valutazione comparativa con i linfociti associati agevolano la distinzione da forme infiammatorie e linfomatose. Inoltre i caratteri di aggregazione cellulare e la morfologia dei citoplasmi (più ampli e vescicolosi, meno eosinofili), dei nuclei (atipici con nucleoli evidenti) ed eventuali cariocinesi consentono la distinzione da lesioni di cellule di Leydig. Bibliografia 1 Henley JD, et al. Am J Surg Pathol 2004;28:1163-8. Carcinoma spinocellulare della cervice uterina con estesa differenziazione sebacea e trichilemmale: descrizione di un caso e revisione della letteratura C. Rizzardi, T. Perin*, M. Schneider, T. Salviato*, M. Melato, V. Canzonieri* DIA di Anatomia Patologica e Medicina Legale, Università di Trieste; * CRO Aviano, Istituto Nazionale Tumori, IRCCS La differenziazione annessiale dermica nel carcinoma spinocellulare della cervice uterina può essere caratterizzata dal riscontro istologico, nel tumore, di ghiandole sebacee, elementi trichilemmali e ghiandole eccrine. A livello dell’apparato genitale femminile, sono stati descritti casi sporadici di carcinoma sebaceo in forma pura nella vulva, nell’ovaio e nella cervice uterina. Sia nella cervice uterina normale che nei polipi cervicali possono, occasionalmente, ritrovarsi ghiandole sebacee ectopiche o metaplasiche e follicoli piliferi. Presentiamo il secondo caso noto di carcinoma spinocellulare della cervice uterina con differenziazione annessiale dermica (sebacea e trichilemmale) unitamente ad una revisione della letteratura sull’argomento, con particolare riguardo all’istogenesi, alla diagnosi differenziale immunoistochimica, e alla risposta patologica alla chemioradioterapia neoadiuvante. Si tratta di donna di 60 anni, obesa, con iniziale spotting vaginale. Una biopsia della cervice dimostrava un carcinoma spinocellulare focalmente cheratinizzante, infiltrante, con differenziazione sebacea talora microcistica. Era presente positività per CKAE1/AE3 e CK5 sia nella componente spinocellulare che sebacea. Negativi gli altri marcatori testati (CK7, recettori per gli estrogeni, recettori per il progesterone, recettori per gli androgeni, c-erb-B2). Dopo chemioradioterapia, all’intervento chirurgico di isteroannessiectomia bilaterale atipica senza linfoadenectomia, si è dimostrato un carcinoma spinocellulare con presenza di differenziazione sebacea e trichilemmale (annessiale dermi- POSTERS 249 ca) e focali aspetti basaloidi, stadiato ypT2bNx, angioinvasivo, con modesta risposta obiettiva patologica alla terapia neoadiuvante. Per quanto riguarda le diverse teorie istogenetiche, nel nostro caso sembra sostenibile quella della metaplasia ectodermica, derivante dalla stessa proliferazione neoplastica, in quanto dovuta ad elementi neoplastici spinocellulari meno differenziati che conservano potenzialità di differenziare in annessi dermici; quando tale differenziazione è totale si possono realizzare le forme pure di carcinoma sebaceo. Studi ulteriori sarebbero necessari per confermare una possibile maggior resistenza di questi tumori alla chemioradioterapia preoperatoria rispetto all’istotipo usuale. Urotensin II receptor: a new diagnostic marker and therapeutic target in human prostate adenocarcinoma Angiomiofibroblastoma del cordone spermatico (case report) Experimental Pharmacology, 1 Pathology and 2 Urology Unit INT Fondazione “G. Pascale”, Naples, Italy; 3 ISS, Rome; 4 Department of Experimental and Clinical Medicine, University of Catanzaro; 5 Department of Pharmaceutical and Toxicological Chemistry, University “Federico II” of Naples; 6 Pathology Unit, “A. Cardarelli” Hospital, Naples; 7 Institute of Pathology, University of Basel, Switzerland A. Remo, V. Rucco, M.G. Zorzi, M. Lestani U.O.C. di Anatomia ed Istologia Patologica, ULSS 5, Arzignano (VI) Introduzione. L’angiomiofibroblastoma (AMFB) è una neoplasia miofibroblastica di rara osservazione, tipica del sesso femminile e del tessuto sottocutaneo della regione pelvicoperineale; nonostante presenti aspetti istologici tali da giustificare una diagnosi differenziale con forme più aggressive, quali la fascite proliferativa e l’angiomixoma aggressivo, l’AMFB ha un comportamento benigno e caratteri istologici ed immunofenotipici relativamente specifici. Descriviamo un caso di AMFB identificato in un maschio, nel funicolo spermatico. Metodi. Nel corso di un intervento di ernioplastica inguinale presso l’UOC di urologia, a cui è sottoposto un maschio di 73 anni, viene casualmente riscontrata una neoformazione del funicolo spermatico di destra, che è asportata con intenti di radicalità. La lesione, marcata in periferia con china, è ridotta ed inclusa in toto. Dall’incluso più rappresentativo si ottengono sezioni seriate, studiate con immunoistochimica secondo protocolli di routine. Risultati. La neoformazione misura cm 3 x 2,5 x 2, è sacciforme, peduncolata, parzialmente delimitata da cercine di muscolo scheletrico, non capsulata. La superficie di taglio è brunastra e di consistenza gelatinosa. Istologicamente si presenta riccamente vascolarizzata (vasi ben formati e capillari) e ricca di adipociti; nel contesto di una matrice mixoide sono presenti elementi dispersi, di aspetto eterogeneo (cellule ovalari, fusate, frequentemente multinucleate), con atipie nucleari di grado lieve ma senza figure mitotiche, apoptosi o franca necrosi. Le cellule coesprimono vimentina, desmina, actina MLS, CD34 e – parzialmente – RE ed RPg. Conclusioni. Il caso presenta caratteri clinici e morfologici tali da giustificare diverse DD (funicolite proliferativa; angiomixoma aggressivo; liposarcoma mixoide). La presenza di aspetti “amartomatosi” (vasi ben formati; adipociti in lobuli) e la costante ed intensa espressione di desmina (fenotipo “miofibroblastico”) costituiscono gli elementi più utili alla definizione del processo. L’ernia inguinale è, nel maschio, un raro fattore di rischio per la funicolite proliferativa. Il caso che presentiamo, pur ricordando in parte le “fasciti”, soddisfa i criteri per una diagnosi di AMFB, lesione benigna che non richiede un intervento chirurgico aggressivo. A nostra conoscenza questa è la seconda descrizione di un AMFB del funicolo, registrata in letteratura 1. Bibliografia 1 Siddiqui MT, Kovarik P, Chejfec G. Angiomyofibroblastoma of the spermatic cord. Br J Urol 1997;79:475-6. R. Franco, M. Caraglia1, S.R. Addeo1, G. Meo1, M. Marra1, S. Losito, A. Grimaldi, S. Striano2, A. Molinari3, G. Arancia3, A. Belfiore4, P. Grieco5, L. Tornillo6, A. La Mura6, L. Terracciano7, A. Budillon1, G. Botti1 Urotensin II (U-II) is a potent vasoconstrictor peptide and its receptor (UTR) was correlated with human cortico-adrenal carcinomas proliferation. We studied expression of UTR in a Multitumor array, containing more than 5000 tumors from all body district and relative normal tissue of origin. UTR was expressed in different tumors, as in a subset of prostatic cancer. So that we have evaluated the expression and functional role of UTR on human prostate adenocarcinoma (AC) both in vivo and in vitro. We have used the androgen-dependent LnCaP and the androgen-independent PC3 and DU145 cells. UTR mRNAs were expressed at high levels only on LnCaP cells. The expression of UTR protein resembled that one of mRNAs. We have evaluated the effects of UII and an antagonist of UTR urantide on the proliferation of LnCaP cells. Urantide induced a 30% inhibition of LnCaP cell proliferation at 10-100 nM after 72 h of treatment while UII caused antiproliferative effects only at micromolar concentrations. No effect was recorded on both PC3 and DU145 cells. The addition of 10 nM androgen-like compound R1881 for 72 h induced growth stimulation in LnCaP cells that was abolished by both 2 µM UII and 10 nM Urantide. The two agents even caused a 20% reduction of cell growth as compared to untreated cells. We have also evaluated the effects of R1881 on cell cycle and a 50% increase of S-phase was recorded. This effect was again completely antagonized by both U-II and Urantide. In the same experimental conditions, urantide induced also a significant decrease of cell invasiveness. We have also evaluated the expression of UTR in vivo in 200 prostate tissue samples. UTR was always expressed at intermediate intensity in hyperplastic tissues and at high intensity in well-differentiated carcinoma (Gleason 2-3). The expression was low in Gleason score 4 and absent in Gleason score 5. The statistical analysis showed a significant correlation with both total and principal Gleason score (p < 0.05) and is related to shorter OAS. Moreover we developed a DAB staining of link between UTR and byotinilated antagonist in LnCAP and in a series of frozen section of AC. The linkage was inhibited by excess of not-byotinilated ligand. These data suggest that UTR can be considered both an additional therapeutic target and a diagnostic marker in differentiated prostate AC. POSTERS 250 Tissue microarray analysis reveals significant correlation between NeuroD1 and chromogranin a expression in human prostate cancer R. Franco1, M. Cantile2, L. Cindolo3, L. Zlobec, L. Forte1, L. Tornillo4, E. Fontanella1, L. Schips5, L. Terracciano4, L. Bubendorf4, G. Botti1, C. Cillo2 4 1 Surgical Pathology, National Cancer Institute “G. Pascale”, Naples, Italy; 2 Department of Clinical and Experimental Medicine, “Federico II” University Medical School, Naples, Italy; 3 Urology Unit, “G. Rummo” Hospital, Benevento, Italy; 4 Institute of Pathology, University of Basel, Switzerland, 5 Urology Unit, Vasto Hospital (CH), Italy Background. Understanding the mechanisms through which prostate cancer acquires neuroendocrine differentiation is diagnostically and therapeutically relevant. Tissue microarrays (TMA) are powerful tools to analyze the clinical significance of new molecular markers in human cancers. Here, we have tested neuro-endocrine related markers on a prostate TMA containing 1,152 different specimens. Methods. The specimens were derived from patients treated for clinically localized prostate cancer by radical prostatectomy or transurethral resection (TURP) for BPH. Expression of NeuroD1, Chromogranin A and androgen receptor was analyzed by immunohistochemistry. Survival analysis by Kaplan-Meier curves and univariate and multivariate analysis were performed in order to assess the role and the impact of each marker on prognosis. Results. Staining for NeuroD1, ChrA and Androgen Receptor were positive in 42%, 34% and 69% of the available cases, respectively. As far as the overall survival is concerned, there were 168 deaths and 488 patients who were alive/censored. For disease-specific survival only 22 deaths were recorded. A significant correlation between NeuroD1 and chromogranin A expression was recorded (Spearman correlation coefficient, r = 0.26 (p-value < 0.001), furthermore the chromogranin A expression increases as NeuroD1 expression increases (p-value < 0.001). Prognostic analyses reveal that none of the markers appear to be associated with either overall survival or disease-specific survival. Conclusions. ChrA, Androgen receptor and NeuroD1 were evaluated on a large TMA of prostate cancer for the first time. Our results show that these markers are strongly associated but their expression does not correlate with overall or disease-specific survival, suggesting a possible use as diagnostic markers. L’espressione delle proteine HMGA1 e HMGA2 rappresenta un valido marcatore diagnostico nei tumori testicolari R. Franco*, F. Esposito**, G. Liguori*, G. Botti*, A. Fusco**, P. Chieffi** *** hooks”. Le proteine HMGA non hanno attività trascrizionale intrinseca ma, modellando l’architettura della cromatina, regolano l’assemblaggio di fattori trascrizionali. La famiglia HMGA è composta di quattro proteine HMGA1a, HMGA1b, HMGA1c e HMGA2. Le prime tre proteine sono codificate dallo stesso gene attraverso “splicing” alternativi. Le proteine HMGA sono altamente espresse durante l’embriogenesi ed in diverse neoplasie maligne. Precedenti studi del nostro gruppo hanno dimostrato che l’isoforma HMGA1 è espressa nell’epitelio germinativo principalmente in cellule mitotiche (spermatogoni e spermatociti primari), mentre l’isoforma HMGA2 in cellule meiotiche (spermatociti e spermatidi) 1 2. Scopo della ricerca. Scopo della ricerca è stato quello di studiare l’espressione delle isoforme HMGA1 e HMGA2 in 70 tumori testicolari di differente istiotipo (30 seminomi, 15 teratomi, 15 carcinomi embrionali e 10 tumori testicolari a cellule miste con una prevalente componente di tumore del sacco vitellino). Per tali studi sono state utilizzate tecniche immunoistochimiche per la localizzazione delle isoforme ed analisi di “Western blot” e RT-PCR. Risultati. L’isoforma HMGA1 è espressa in tutti i seminomi e carcinomi embrionali analizzati ma non nei teratomi e nei carcinomi del sacco vitellino, mentre l’isoforma HMGA2 è espressa nei carcinomi embrionali e nei tumori del sacco vitellino e non nei seminomi e teratomi. Conclusioni. Tali osservazioni indicano che nei tumori testicolari le isoforme HMGA1 e HMGA2 sono differentemente espresse in funzione della differente origine istiogenetica; inoltre, il differente profilo di espressione delle due isoforme può essere utilizzato come precoce marcatore molecolare diagnostico soprattutto in alcuni casi di difficile diagnosi differenziale. Bibliografia 1 Chieffi P, Battista S, Barchi M, Di Agostino S, Pierantoni GM, Fedele M, et al. HMGA1 and HMGA2 protein expression in mouse spermatogenesis. Oncogene 2002;21:3644-50. 2 Di Agostino S, Fedele M, Chieffi P, Fusco A, Rossi P, Geremia R, et al. Phosphorylation of high mobility group protein A2 by Nek kinase during the first meiotic division in mouse spermatocytes. Mol Biol Cell 2004;15:1224-32. Carcinoma vescicale: classificazione WHO 2004 ed implicazioni terapeutiche G. Gazzano, L. Carmignani**, P. Acquati*, F. Rocco*, M. Maggioni, S. Bosari II Cattedra di Anatomia Patologica, Università di Milano, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, A.O. “San Paolo”, Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; * I Cattedra di Urologia, Università di Milano, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; ** Unità Operativa di Urologia, IRCCS Policlinico “San Donato” * Istituto Nazionale dei Tumori “Fondazione G. Pascale”, Napoli; ** Dipartimento di Biologia e Patologia, Università “Federico II” di Napoli; *** Dipartimento di Medicina Sperimentale, II Università di Napoli Introduzione. Le proteine HMGA (High Mobility Group A) sono proteine nucleari non istoniche che legano il DNA in regioni ricche di A-T attraverso tre domini basici chiamati “AT- Introduzione. Le Linee Guida AUA e EAU sul trattamento del carcinoma vescicale fanno riferimento alla classificazione WHO 1973, prevedendo la cistectomia radicale solo per le forme multicentriche e multirecidivanti G3 in particolare dopo un trattamento chemio o immunocavitario. Nella classificazione WHO 2004 il gruppo dei carcinoma ad alto grado prevede oltre ai G3 anche parte dei G2. Obiettivo del nostro POSTERS lavoro è stato la valutazione della ricaduta clinica nell’utilizzo di questa classificazione. Materiali e metodi. Sono stati riclassificati, secondo la WHO 1973, 100 casi di resezione vescicale transuretrale (TUR), precedentemente definiti secondo i parametri della WHO 2004. Essi erano così distribuiti: 47 carcinomi di alto grado, 46 carcinomi di basso grado, 5 neoplasie papillari uroteliali a basso potenziale di malignità (PUNLMP) e 2 carcinomi in situ. In accordo con le Linee Guida EAU, abbiamo proposto l’indicazione a cistectomia radicale in 18 pazienti pT1 di alto grado non responsivi a BCG (recidiva a 3 e 6 mesi). In tutti i 100 pazienti si è risaliti alla storia clinica valutando se le lesioni fossero monocentriche o multicentriche, se di prima osservazione o recidive e se avessero eseguito preliminarmente terapie endocavitarie. Risultati. La riclassificazione secondo la WHO 1973 ha dato esito a 51 (46%) casi G1, 22 (22%) casi G2, 25 (25%) casi G3 e 2 CIS (5%). La rilettura effettuata sui 18 pazienti sottoposti alla cistectomia ha evidenziato 13 G3 (72%) e 8 G2 (38%). La valutazione della corrispondenza tra le due classificazioni usate ha evidenziato 5 G1 nel gruppo PUNLMP; nei carcinomi a basso grado erano compresi 26 G1 e 20 G1-G2, nei carcinomi ad alto grado erano presenti i 22 G2 e i 25 G3. Conclusioni. Nei pazienti pT1 ad alto grado di malignità con patologia recidivante e/o multicentrica è stata data indicazione a cistectomia. Una parte importante di questi pazienti sec. la WHO 1973 è risultato G2 e per essi non ci sarebbe stata l’indicazione alla cistectomia. Con la classificazione WHO 2004 i G2 vengono considerati per la maggior parte di alto grado e quindi trattati come i G3. Le classificazioni attualmente in uso non sono supportate da precise Linee Guida di riferimento e riducono le possibilità di utilizzare trattamenti conservativi. Familial complete androgen insensitivity syndrome (Morris syndrome or testicular feminization syndrome) in two sisters M. Bisceglia, I. Carosi, V. Attino Department of Pathology, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo, Italy Introduction. Androgen insensitivity syndrome (AIS) is a form of male pseudohermaphroditism (46,XY karyotype), inherited according to an X-linked recessive mode of transmission (OMIM # 300068). AIS is usually the result of an endorgan resistance to androgens, caused by an abnormality of the androgen receptors due to abnormal genes (Chr.Xq1112), with patients clinically exhibiting female phenotype with a genotypic and gonadic male sex. Serum testosterone level is normal. The sexual organs are deficiently developed with absence of both Wolffian and Mullerian derivatives. Obliteration of the labioscrotal folds and lower vagina does not occur. Prostate is absent. Breast development at puberty does occur because of unbalanced estrogen effect. Testes are retained and pubic and axillary hair is absent. AIS may be sporadic as well as familial. The diagnosis is usually suspected at puberty because of amenorrhea. The testes are at risk of tumors development, usually after puberty. A case of familial and complete AIS in 2 “sisters” is described herein. Case report. Two phenotypically female siblings of 15 and 13 years respectively, with an established diagnosis of AIS, underwent preventive bilateral orchiectomy. At pathology the 251 Tab. I. Male pseudohermaphroditism. Diseases with incomplete virilization: • Gonadotropin-Leydig cell abnormalities • Testicular regression • Testicular steroid enzyme deficiencies cholesterol desmolase 3-beta-hydroxysteroid dehydrogenase 17-beta hydroxysteroid dehydrogenase 17-alpha hydroxylase • 5-alpha reductase-deficiency; • Testicular feminization or androgen insensitivity syndrome and variants (Reifenstein syndrome, Infertile male syndrome) • Pseudovaginal perineoscrotal hypospadia Persistent mullerian duct syndrome with normal virilization testes (normally for age sized), exhibited several hamartomatous parenchymal nodules, composed of seminiferous tubules, filled with immature Sertoli cells and devoid of germ cells. Numerous Leydig cells were seen. A smooth muscle pseudoleiomyomatous body, located at the upper pole of each testis, was noted and best interpreted as a portion of a rudimentary uterus. No epidydimis was identified. No vas deferens was found. Results. The clinicopathological features were distinctive of AIS, of the “complete” and “familial” type. AIS must be differentiated from other forms of male pseudohermaphroditism (Tab. I), mainly 17-beta hydroxysteroid dehydrogenase type 3 deficiency-gene on chr.9q22 2, with affected patients also having normal 46,XY karyotype, male gonads, and phenotypically female external genitalia, due to the impaired transformation of androstenedione into testosterone. The pathological clue for the correct diagnosis is the presence of Wolffian derivatives in this latter condition, since the prostate and the Mullerian derivatives are also absent here. Conclusions. AIS must be differentiated from other types of male pseudohermafroditism, and bilateral orchiectomy is strongly advised immediately before puberty. References 1 Rutgers JL, Scully RE. Int J Gynecol Pathol 1991;10:126-45. 2 Boehmer AL, et al. J Clin Endocrinol Metab 1999;84:4713-21. Tuberous sclerosis complex with polycystic kidney disease of adult type? The TSC2/ADPKD1 contiguous gene syndrome M. Bisceglia, I. Carosi, S. Fusilli, A. Simeone* Department of Pathology and * Radiology, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo Introduction. Tuberous sclerosis complex (TSC) and autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) have sometimes been seen in association, the molecular basis of this being the proximity of the TSC2 and PKD1 genes in a tail-to-tail orientation on the same chromosome (16p13.3) 1. TSC2/ADPKD1 contiguous gene syndrome represents the POSTERS 252 result of large deletions involving these two genes, of which so far around twenty cases have been described. We present here a (likely) new case of this complex genetic disorder, in a patient with a total lack of any family history. Case report. A 20-year old unmarried young woman with mental retardation and facial angiofibromas was investigated for arterial hypertension and multiple episodes of urinary tract infection. Brain cortical tubers and intraventricular subependymal nodules were discovered on MRI of the brain, which confirmed the clinically suspected diagnosis of TSC. Abdominal MRI discovered severe cystic and solid structural parenchymal renal lesions, mostly in the right kidney, for which the patient underwent right nephrectomy (kidney size: 20 x 12 x 12 cm; weight: 1100 g). At histology most of the cysts regardless of size were lined by non-descript flat or cuboidal single layered epithelium, typical for ADPKD, while a small proportion of the smallest ones (less than 1 cm in size) were lined by tall granular and eosinophilic epithelium, which is typical for TSC classic renal cystic pattern 1. The solid tumors were mainly composed of myoid cells, coexpressing both smooth muscle and melanocytic immunomarkers, and diagnosed as either angiomyolipoma or lymphangioleiomyoma, the latter when monotypic and showing a distinctive “pericytoma” pattern. Minute nodular myolipomatous proliferations were also observed in extrarenal locations (adipose renal capsule and hilar renal lymph nodes). Results. The diagnosis of TSC in this patient was firmly established based both on the presence of 4 major and 2 minor positive features, according to the new diagnostic criteria. The diagnosis of ADPKD was based on the presence of numerous large roundish renal cysts lined by a nondescript tubular epithelium. Conclusions. Due to the absence of any family history for TSC or ADPKD, this case was diagnosed as sporadic TSC2/ADPKD1 contiguous gene syndrome, with de novo deletion involving both the TSC2 and PKD1 genes. Sofar only one sporadic such case has been observed 2. Permission to perform molecular analysis was refused by the patient’s parents. References 1 Martignoni G, et al. Am J Surg Pathol 2002;26:198-205. 2 Longa L, et al. Nephrol Dial Transplant 1997;12:1900-7. Medullary sponge kidney associated with multivessel fibromuscular dysplasia: report of a case with renovascular hypertension M. Bisceglia, L. Dimitri, F. Florio*, C. Galliani** Department of Pathology and * Radiology, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo (FG), Italy; ** Department of Pathology, Cook Children’s Hospital, Fort Worth, Texas, USA Introduction. Medullary sponge kidney (MSK) is a nongenetically transmitted disease, usually asymptomatic, characterized by dilatation of the collecting ducts of Bellini with defective urinary acidification and concentration 1. MSK typically affects all papillae in both kidneys, but may be segmental, involve one or more renal papillae, one or both kidneys. The incidence is between 1 case per 5,000 and 20,000 in the general population. Dilatation of the collecting ducts is present at birth, but the disease is not discovered until complications have supervened. MSK is commonly radiographically detected in adulthood, even if pediatric cases are also on record. The main clinical symptom is given by renal lithiasis. Most MSK are sporadic. Important associations of MSK include mainly overgrowth syndromes, but other malformative disorders are also on record 1, one of the rarest but important of the latter being arterial fibromuscular dysplasia (FMD). FMD is one of the most common causes of curable arterial hypertension that accounts for 1-2% of all cases of hypertension and for < 10% of cases of renovascular hypertension 2. Design. An adult female patient affected by renovascular hypertension due to bilateral renal arterial FMD with left renal aneurysm and ipsilateral small kidney is described herein. The patient was treated with nephrectomy (kidney: weight 52 g – expected 115-155 g; size: 6 x 4 x 3 cm – expected 11 x 5 x 3.0 cm). The diagnosis of MSK was unsuspected. Results. At histology the renal artery, the basis for the clinical manifestations, exhibited narrowing of the lumen, thickening and disorderly layout of fibromuscular tunica media, and slight prominence of adventitial elastic tissue. The renal parenchyma showed the most salient, but mostly uncomplicated microscopic findings in the renal medulla, represented by tortuous, cylindrically dilated collecting ducts converging in the papillae. By polarizing microscopy, scattered debris of calcium complexes were seen in the lumens of the corrugated ducts and incrusted in the interstitium. There was patchy chronic calyceal and interstitial inflammation associated with mild tubulointerstitial sclerosis. The cortex was unremarkable, except for focal prominence of the juxtaglomerular apparatuses. Conclusions. Based on all these findings a final diagnosis of MSK associated with multivessel FMD was rendered. The patient, twelve months after the nephrectomy, is normotensive, taking beta-adrenergic blocker. References 1 Gambaro G, et al. Kidney International 2006;69:663-70. 2 Vuong PN, et al. Vasa 2004;33:13-8. PATHOLOGICA 2007;99:253-254 Patologia delle sierose Lo studio anatomo-patologico del mesotelioma maligno (MM) spontaneo in animali domestici: sua possibile utilità in riferimento al monitoraggio ambientale per la tutela della salute umana in aree inquinate da amianto N. Mariani, P. Re, P. Barbieri, P.G. Betta S.O.C. Anatomia Patologica. Azienda Sanitaria Ospedaliera “SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo”, Alessandria A 15 anni dal bando dell’uso industriale dell’amianto, si osservano ancora aree geografiche ad elevata incidenza di MM da esposizione ambientale alla fibra. In questi contesti territoriali sarebbe attualmente necessario acquisire dati sul rischio oncogeno da amianto con riferimento ad esposizioni cronologicamente più vicine di quelle tradizionali di tipo occupazionale, causa di MM nell’uomo con tempi di induzione-latenza di 20-40 anni. A questo scopo è stato suggerito lo studio del MM spontaneo in animali domestici e da compagnia, in particolare nel cane: il MM rappresenterebbe un’indicazione di contaminazione ambientale, in particolare dell’ambiente di casa, da parte dell’amianto. Su queste premesse è stato condotto uno studio anatomo-patologico propedeutico alla realizzazione di una ricerca metodologicamente strutturata con reclutamento di un numero, congruo ai fini dell’elaborazione statistica, di piccoli animali domestici in un’area ad elevata incidenza di MM, quale è il distretto di Casale M.to. L’obiettivo era definire con esame autoptico le caratteristiche macro- e microscopiche del MM spontaneo in una limitata serie di piccoli animali domestici, quali cani (n = 8) e gatti (n = 2), che, vissuti nella città di Casale M.to, avevano in vita evidenziato una patologia pleuro-polmonare di sospetta natura mesoteliomatosa sulla base dei dati clinicoradiologico-laboratoristici. I quadri macroscopico (noduli multipli, crescita per continuità con invasione dei tessuti submesoteliali e metastasi ai linfonodi loco-regionali, ma molto raramente con disseminazione sistemica per via ematogena) e microscopico (pattern epitelioide più frequente o bifasico, corpi ferruginosi nel tessuto polmonare), la immunoreattività (coespressione di cheratina e vimentina) hanno suggerito una stretta somiglianza morfo-biologica tra la forma spontanea animale e quella umana di MM. Grazie al minor tempo di induzione-latenza dell’ordine di 8-9 anni lo studio del MM spontaneo negli animali domestici può rappresentare un modello comparativo nelle indagini di salute ambientale. Più in generale lo studio della patologia veterinaria in campo ambientale, anche se probabilmente non fornisce dati da utilizzare come l’unico fattore determinante nella valutazione del rischio per la salute umana da inquinanti ambientali, può essere però utile quale supporto di ulteriore evidenza biologica nel monitoraggio di programmi di bonifica ambientale. Aspetti clinico-patologici ed immunoistochimici dei mesoteliomi maligni pleurici: studio di 70 casi F. Franzi, C. Facco, S. Marchet, A. Imperatori*, N. Rotolo*, C. Capella, F. Sessa Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia Patologica e * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università dell’Insubria, Varese Introduzione. Il mesotelioma maligno (MM) pleurico è una neoplasia infrequente, che talora può presentare una notevole complessità diagnostica. Diversi marcatori immunoistochimici sono stati studiati per facilitarne la diagnosi. Scopo del nostro lavoro è stato di valutare il profilo clinico-patologico e l’immunofenotipo di una casistica di MM pleurici e di verificare l’utilità diagnostica dell’osteopontina (OPN) e della mesotelina. Metodi. La casistica era composta da 70 MM osservati consecutivamente presso il Servizio di Anatomia Patologica dell’ospedale di Varese dal 2000 al 2006. Tutti i casi dopo revisione istologica sono stati immunocolorati, secondo il metodo standard avidina-biotina perossidasi, con anticorpi diretti contro: OPN, mesotelina, calretinina, CKAE1/AE3 e CEA. L’immunoreattività è stata valutata secondo l’intensità e la distribuzione da 0 a 3+. Risultati. La casistica risultava composta da 56 maschi (80%) e 14 femmine (20%) con un’età media di 68 anni (intervallo tra 37-88 anni). Dei 70 MM, 50 casi (71%) mostravano aspetti istologici epitelioidi, 8 casi (11%) sarcomatoidi (di cui 2 desmoplastici) e 12 casi (18%) quadri morfologici di tipo bifasico. L’espressione di OPN è stata osservata in 65 (93%) mesoteliomi il 51% dei quali (33/65) mostrava una debole positività, il 35% (23/65) una moderata positività e il 14% (9/65) una forte positività. L’OPN era positiva nel 96% (48/50) dei MM epitelioidi, nel 75% (6/8) dei MM sarcomatoidi e nel 92% (11/12) dei MM bifasici. La mesotelina era espressa in 45 (64%) mesoteliomi, di cui il 36% (16/45) mostrava una debole positività, il 36% (16/45) una moderata positività e il 28% (13/45) una forte positività. La mesotelina era positiva in 37/50 (74%) mesoteliomi epitelioidi, in 0/8 sarcomatoidi e in 8/12 (67%) bifasici. Nei MM bifasici la positività è stata osservata solo nella componente epitelioide. Nel 97% (60/62) dei casi i MM mostravano positività per calretinina e nel 96% (52/54) espressione di CKAE1/AE3, mentre tutti i casi erano CEA-negativi. Conclusioni. Lo studio ha confermato che il MM prevale nel sesso maschile, più frequentemente ha aspetti epitelioidi e che calretinina e CKAE1/AE3 sono i marcatori più sensibili di questa neoplasia. L’espressione elevata di OPN in tutti gli istotipi di MM, la suggerisce come marcatore di trasformazione maligna delle cellule mesoteliali. La positività per la mesotelina, limitata alla componente epitelioide, la indica come marcatore dei MM epitelioidi. POSTERS 254 Metastasi cerebrale di mesotelioma maligno (MM) prima manifestazione di malattia. Presentazione di un caso Alterazioni dell’espressione di geni dell’apoptosi nel mesotelioma maligno pleurico G. Serio, R. Rossi*, A. Scattone, A. Marzullo, D. Piscitelli*, A. Cimmino, A.M. Leo**, L. Resta* M. Falleni, E. Fasoli, V. Vaira, S. Bosari, L. Santambrogio*, A. Catania**, S. Romagnoli, G. Coggi Dipartimento di Anatomia Patologica, Università, Bari; * Dipartimento di Anatomia Patologica, Sezione di Microscopia Elettronica, Università, Bari; ** Dipartimento di Medicina Interna e Pubblica, Università, Bari Università di Milano, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, e A.O. “San Paolo”, Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; * Università di Milano e Dipartimento di Chirurgia Toracica, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; ** Università di Milano, Centro di Ricerca Preclinica, Padiglione “Granelli” e Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano Il MM è un tumore aggressivo usualmente asbesto-correlato. L’aggressività locale piuttosto che la diffusione metastatica a distanza caratterizzano la neoplasia e l’osservazione di metastasi è in genere un tipico riscontro post-mortem. La cavità intracranica e l’encefalo sono raramente sede di metastasi e ad oggi, solo pochi casi sono stati riportati. Presentiamo un caso di metastasi cerebrale di mesotelioma insorto in una donna asintomatica senza storia anamnestica di esposizione all’asbesto. Metodi. Maggio 2005: donna di anni 72 ricoverata nell’U.O. di Neurochirurgia per la comparsa di emiparesi sinistra. La TAC e la RMN encefalica evidenziavano una neoformazione rotondeggiante intrassiale, vascolarizzata, del diametro 3 cm, clivabile chirurgicamente. All’esame macroscopico venivano esaminati tre frammenti biancastri del diametro compreso tra 1.2 e 2,8 cm. L’esame istologico poneva diagnosi di metastasi cerebrale di carcinoma scarsamente differenziato con aspetti necrotici a tipo “comedonecrosi” compatibile con origine mammaria. Le indagini immunoistochimiche risultavano positive per CK-pool. Negative per estrogeno e progesterone recettore. Le successive indagini Eco e Mammografiche risultavano negative. La TAC total-body evidenziava ispessimento pleurico basale sinistro. La paziente veniva comunque sottoposta ad un ciclo di chemioterapia per carcinoma occulto della mammella. Giugno 2006: la paziente si ricoverava in Chirurgia Toracica per l’improvvisa comparsa di dolore toracico associato a massivo versamento pleurico sinistro. La toracoscopia evidenziava ispessimento pleurico diffuso con micronoduli pleuropolmonari (diam. max cm 0,8). Istologicamente si osservava una neoplasia epiteliomorfa scarsamente differenziata con componente fusocellulare. Le reazioni immunoistochimiche erano positive per CK 5/6, vimentina, focalmente per calretinina, HBME-1 e WT-1. Negative per TTF-1, CEA, Estrogeno, Progesterone. Il quadro immunofenotipico era compatibile per mesotelioma. Pertanto, si procedeva a revisione diagnostica ultrastrutturale su campione recuperato da paraffina di entrambe le lesioni che dimostrava markers ultrastrutturali indicativi di una differenziazione mesoteliale della neoplasia. Conclusione. La microscopia elettronica rappresenta l’indagine diagnostica decisiva soprattutto quando il dato immunoistochimico e gli elementi radiologico-clinici non sono indicativi della sede primitiva del tumore. Introduzione. Il mesotelioma maligno (MM) è una neoplasia a crescente incidenza e prognosi infausta, caratterizzata da spiccata resistenza alle attuali terapie oncologiche. Si ritiene che difetti di espressione di geni coinvolti nell’apoptosi e nei meccanismi della sua regolazione siano critici per la sensibilità delle cellule neoplastiche alla terapia. Alterazioni di geni appartenenti alle famiglie IAP (Survivin, XIAP, IAP2) e Bcl-2 (come Bcl-xL e MCl-1), regolatrici del processo, sono stati evidenziati in precedenti studi. La down-regolazione mediante oligonucleotidi antisenso di alcuni dei geni iperespressi è risultata efficace nell’indurre apoptosi nelle cellule di MM, suggerendo che approfondite valutazioni di questa pathway potrebbero essere utili per futuri approcci terapeutici. Nel presente studio è stata valutata con tecnica “Microfluidic card” l’espressione di 88 geni dell’apoptosi. Materiali e metodi. Sono stati valutati campioni a fresco di 44 MM, dei quali 26 con noto follow-up, due linee cellulari di mesotelioma (MSTO-211H e NCI-H2452), una linea cellulare di mesotelio immortalizzato (Met5a), 4 linee primarie e come controparte non neoplastica 8 pleure normali. L’RNA è stato retrotrascritto e caricato su “Microfluidic Cards” contenente primers e sonde per 88 geni relativi all’apoptosi e 8 geni housekeeping. Le card sono state analizzate mediante ABI Prism 7900HT Sequence Detection System. Sono stati considerati differenzialmente espressi i geni con entrambe le seguenti condizioni: a) rapporto di espressione in tessuti tumorali e normali > 2 (fold change-FC > 2) o minore di 0,5 (FC < 0,5); b) p value al T test < 0,01. Risultati. Venti geni sono risultati differenzialmente espressi, 4 down-regolati e 16 up-regolati. Difetti di espressione sono stati evidenziati sia nei geni della via di attivazione recettoriale dell’apoptosi, in particolare recettori e ligandi della famiglia TNF, proteine adattatrici citoplasmatiche, che nella via di attivazione mitocondriale, con alterata espressione di geni delle famiglie Iap e Bcl-2. Sono inoltre stati evidenziati difetti di espressione delle caspasi iniziatrici ed effettrici, come le caspasi 3, 8 e 10. Venti geni risultano inoltre differenzialmente espressi nei MM epitelioidi rispetti ai MM non epitelioidi (p < 0,05). Sei geni differenzialmente espressi sono significativamente correlati alla prognosi dei pazienti. Conclusioni. L’analisi ha evidenziato alterazioni nella via estrinseca, in quella intrinseca e nella via effettrice comune. Il profilo di espressione genica relativo all’apoptosi è inoltre in parte correlabile con le caratteristiche clinico-patologiche e la sopravvivenza dei pazienti affetti da MM. PATHOLOGICA 2007;99:255 Patologia iatrogena Correlation between pathologic tumor response and radiologic tumor response to preoperative chemo-radiation therapy in 40 cases of localized high-grade soft tissue sarcoma P. Collini, M. Barisella, A. Messina*, C. Morosi*, A. Gronchi**, P.G. Casali***, S. Stacchiotti***, S. Pilotti Anatomic Pathology C Unit, * Radiology Unit, ** Musculoskeletal Surgery Unit, *** Sarcoma Unit, Cancer Medicine Department, IRCCS Fondazione Istituto Nazionale Tumori, Milan, Italy Introduction. Tumor response to treatment is not always dimensional (RECIST criteria), but can be a “tissue” response, as already seen in GISTs. To improve the assessment of ‘tumor responsé, we tried a) to correlate radiological and pathological patterns of tumor response to concurrent preoperative chemotherapy and radiation therapy in localized high-grade soft tissue sarcomas (STS) and b) to validate these new radiologic, non-dimensional “tissue response” criteria through the comparison with the pathological response. Methods. Between April 2002 and September 2006, 40 consecutive patients with localized high-grade STS of extremities or superficial trunk received 3 cycles of neoadjuvant Epirubicin + Ifosfamide and concomitant radiotherapy, followed by surgery, within a prospective Italian Sarcoma Group (ISG) tri- al. MRIs were taken before the neoadjuvant treatment and before surgery. Radiologically, changes in tumor size and tissue characteristics, along with contrast enhancement variations were recorded. Histotype and FNCLCC grade were assessed on pretreatment biopsies. The post-treatment surgical specimens were oriented with the surgeon and sampled with a mapping of the lesion (about a sample per cm). Histologically, we evaluated the percentage of residual tumor (tentatively scored as 0%, < 50%, > 50%) and the quality and quantity of posttreatment changes (necrosis, hemorrhage, cysts, fibrohistiocytic reaction, and sclerohyalinosis). Eventually, we compared the histologic results with the radiologic assessment. Results. We recorded a stable, larger or slightly diminished dimension in 22 cases (55%), in which there were no radiologic tissue changes. At histology, these cases showed a residual viable tumour more than 50%. They were considered “non-responders” both for radiology and pathology. Other 18 cases (45%) showed a stable or larger diameter, and would be considered “non- responders” by RECIST criteria. Though, there were radiographic signs of tissue changes and histologically the residual tumour was less than 50%. Actually, these cases were considered as “responders”. Conclusions. Through dimensional RECIST criteria, we were able to appreciate only a proportion of responsive patients. In order to predict the actual pathologic tumor response, some kind of assessment of “tissue responses” on MRI may usefully integrate the dimensional data. PATHOLOGICA 2007;99:256-265 Patologia mammaria A lipid-rich basal-type breast carcinoma: case report S. Russo, F.M. Maiello, D. Coppola, P. Vinaccia, F. Baldassarre, A. Siciliano, G. Pisani, G. Teta, G. Battista Ospedale dei Pellegrini, Napoli We report a case of a breast carcinoma that is morphologically and histochemically looking-like a “lipid-rich” carcinoma but from a immunohistochemical point of view we could call it a “basal-type” carcinoma. The tumour occurred in a female patient of 73 years and presented as a 2 cm mass of the right breast showing a short clinical history. The patient submitted a FNAB and a mastectomy with lymphadenectomy. The lesion did not present axillary lymph node metastases. The tumour presented with cytological and histological features of an invasive lipid-rich breast carcinoma. Since it was a triple negative we performed an immunostaining for c-kit, EGFR and molecular high weight cytokeratins that resulted diffusely and intensely positive. We interpret this reactivity as a basal-type phenotype. Since recent literature suggests the existence of two distinct groups of breast neoplasia, luminal and basal, with different behaviour and therapy responsiveness, the relevance of this case would lye in its clinical and therapeutic implications. tati da esili bande collagene, con accrescimento espansivo nel tessuto adiposo. L’immunofenotipo è risultato: vimentina+, actina+, desmina+, CD34+, CD99+, S100-, HMB45-. Conclusioni. I caratteri morfologici ed immunofenotipici delle lesioni corrispondono al miofibroblastoma. La peculiarità clinica del caso è data dalla rarità, dalla bifocalità della lesione e dal fatto che è insorta 13 anni dopo analoga neoplasia controlaterale. La diagnosi differenziale si pone con le lesioni a cellule fusate a comportamento biologico aggressivo (fibromatosi e tumori maligni a cellule fusate). Meno significativa la diagnosi differenziale con tumori benigni a cellule fusate, per le ragioni suddette; l’immunoistochimica e la conoscenza dei dati radiologici sono cruciali quando si valuti materiale agobioptico o agoaspirativo. Bibliografia Magro G, et al. Virch Arch 2002;440:249-60. Fattane H, et al. WHO 2003:91-2. Lesioni fibroepiteliali e papillari della mammella: confronto tra preparati citologici convenzionali ed in strato sottile L. Chiapparini, C. Scacchi, C. Casadio Unità di Citologia Diagnostica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano, Italia Miofibroblastoma di mammella maschile: descrizione di un caso S. Ardoino, L. Caliendo, A. Dellachà, C.E. Marino, A. Pastorino, E. Venturino Ospedale “S. Paolo”, ASL2 Savonese Introduzione. Il miofibroblastoma è un raro tumore benigno a cellule fusate dello stroma mammario, radiologicamente solido circoscritto, omogeneo e privo di calcificazioni. È considerato derivare da miofibroblasti per caratteri immunofenotipici ed ultrastrutturali; peraltro criteri clinici, macromicroscopici, immunofenotipici e citogenetici lo assimilano ad altre neoplasie (lipoma a cellule fusate, tumore fibroso solitario), per cui è stato proposto il termine comprensivo di “tumore a cellule fusate benigno” che raggruppi lesioni che derivano da una presunta cellula staminale comune CD34+. Metodi. Uomo di 80 anni con 2 noduli della mammella sinistra comparsi dopo 13 anni dall’asportazione di miofibroblastoma della mammella destra; l’agobiopsia ecoguidata ha dimostrato neoplasie a cellule fusate analoghe a quella precedentemente esaminata in altro ospedale. Il materiale operatorio era costituito da tessuto mammario di 7,5 x 6 x 1,8 cm, con cute di 4 x 0,6 cm e 2 noduli biancastri tondeggianti circoscritti di 1,5 x 1 cm e 0,9 x 0,8 cm, distanti tra loro 2 cm. Il campione è stato fissato in formalina neutra tamponata, incluso in paraffina ed esaminato su sezioni di 5 µ, colorate con EE; sono state allestite colorazioni immunoistochimiche: vimentina, actina, desmina, CD34, CD99, S100, HMB45. Risultati. La microscopia ha dimostrato 2 neoplasie analoghe, parzialmente circoscritte da sottile capsula fibrosa, costituite da cellule fusate ad ampio citoplasma debolmente eosinofilo, nucleo chiaro, monomorfo, disposte in fasci, delimi- Introduzione. Lo strumento ThinPrep 2000 (CYTYC) permette di recuperare quantità minime di materiale biologico con cui allestire preparati citologici in strato sottile adeguati e con cellularità ben rappresentata e ben distribuita. Nel nostro istituto abbiamo applicato questa metodica a parte del materiale ottenuto da agoaspirati mammarii. Col presente lavoro ci proponiamo di mettere a confronto i quadri citologici di lesioni fibroepiteliali e papillari negli strisci convenzionali (STR) e nei corrispondenti ThinPrep (TP). Metodi. Dal 1 gennaio al 31 dicembre 2006 sono stati eseguiti nel nostro istituto 2431 agoaspirati mammarii, in 429 dei quali è stato allestito almeno un TP. Per 23 di questi, l’esame istologico successivo ha confermato la presenza di una lesione fibroepiteliale o papillare benigna. Gli agoaspirati sono stati eseguiti da un anatomopatologo, con ago 22 Gauge, in 2 casi sotto guida ecografica. Per ognuno sono stati strisciati due vetri (uno asciugato all’aria e colorato con May Grunwald Giemsa ed uno fissato in alcool 95% e colorato con Ematossilina/Eosina), il restate materiale è stato introdotto in 2 ml di soluzione Cytolyt (CYTYC Italia s.r.l) e la sospensione così ottenuta è stata utilizzata per allestire un TP poi colorato con colorazione di Papanicolaou. Risultati. Sono stati rivalutati i preparati citologici di 23 casi con diagnosi istologiche così distribuite: 16 fibroadenomi (69,6%), 1 tumore fillode benigno (4,4%) e 6 lesioni papillari (26%). La revisione è stata mirata a definire i criteri morfologici che distinguono i quadri citologici delle diverse lesioni e come questi siano rappresentati nei preparati in strato sottile rispetto agli strisci convenzionali. Quando la ricchezza del materiale ci ha permesso di allestire un secondo TP, questo è stato utilizzato per evidenziare l’immunoespressione di p63 da parte dei nuclei “nudi”. POSTERS Conclusioni. Nei preparati in strato sottile alcuni criteri morfologici (quali, per esempio, l’ipercromasia, la presenza di nucleoli prominenti e di irregolarità nucleari, o la composizione del fondo) sono diversamente rappresentati rispetto a gli strisci convenzionali, ma il quadro citologico rappresentativo di lesioni fibroepiteliali e papillari è comunque riconoscibile. L’allestimento di preparati citologici con il metodo ThinPrep permette di recuperare materiale utile per eseguire indagini immunoistochimiche di conferma diagnostica. Topoisomerase II alpha expression in invasive ductal carcinoma of the breast with fibrotic focus L. Memeo, R. Giuffrida*, S. Scarpulla*, M. Gulisano*, V. Canzonieri** Department of Experimental Oncology, Mediterannean Institute of Pathology, Viagrande (CT), Italy; * Fondazione IOM, Viagrande (CT), Italy; ** Department of Pathology, Aviano Cancer Center, IRCCS, Aviano, Italy Invasive ductal carcinoma (IDC) with fibrotic focus (FF) is a rare, recently described subtype of IDC with aggressive characteristics and significantly poorer survival course in shortand long-term survival periods. FF is composed of a mixture of fibroblasts and various amounts of collagen fibers, and they occupy almost the entire center of the IDC. IDCs with FF exhibit significantly greater tumor angiogenesis and higher tumor cell proliferative activity and the presence of FF is an independent prognostic parameter for IDC patients. IDCs with FF are characterized by higher frequencies of HER2 protein expression, abnormal nuclear accumulation of p53 and aneuploidy than those without FF. In addition, the former show significantly higher proliferation activity than the latter. These findings indicate that the presence of FF in IDCs is an important histological parameter for predicting the outcome of patients with IDC of the breast. Recent clinical trials have suggested that patients whose breast tumors overexpress HER2 may derive particular benefit from anthracycline-containing chemotherapy compared to that without anthracycline. It has been proposed that the HER2 gene amplification reported in these tumors might mask an underlying TOP2A gene amplification that occurs frequently and concurrently with HER2 amplification probably due to the close genomic position on chromosome 17. Topoisomerase II alpha, encoded by TOP2A, is a direct molecular target of anthracycline drug action and is potentially useful as a predictive marker of response to anthracycline therapy for breast cancer. Therefore we studied Topoisomerase II alpha expression by immunohistochemistry in five cases of IDC with FF selected from the pathology files of our institution. Patient’s age ranged from 43 to 71 (mean, 60 years); all cases showed an high proliferation index (Ki-67 > 20%) while 4 of 5 demonstrated HER-2 overexpression, in line with the previous findings about IDC with FF and 3 of 5 were positive for both ER and PR. We found that Topoisomerase II alpha was overexpressed in all the 5 cases studied, and if this data will be confirmed by larger cohorts of patients, it would suggest that patient with IDC with FF would benefit from an anthracycline-containing chemotherapy. 257 Akt-1 e Notch-2 identificano due distinte popolazioni di carcinoma invasivo della mammella M. Cacciatore, C. Tripodo, D. Cabibi, A.M. Florena, V. Franco Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo Introduzione. Il carcinoma della mammella rappresenta la neoplasia maligna più frequente nel sesso femminile. Alcune caratteristiche biologiche e fenotipiche, quali l’espressione di recettori ormonali, si sono rivelate utili non solo per una migliore definizione della neoplasia, ma anche come fattori prognostici e terapeutici. Scopo dello studio è quello di esaminare se oltre alle associazioni di fattori note, esistono altre caratteristiche molecolari in grado di correlare con il potenziale aggressivo e la prognosi. Tra queste, sono state prese in considerazione Akt-1 e Notch-2, fattori chiave nella trasduzione del segnale in senso differenziativo, proliferativo ed apoptotico. Metodi. L’espressione immunoistochimica dei recettori estrogenici e progestinici, Ki-67, HER2, Akt-1, e Notch-2 è stata valutata in 98 casi di carcinoma invasivo della mammella utilizzando la tecnica del Tissue Micro Array. Per l’analisi dei dati è stato considerato un set di 11 variabili categoriche (istotipo, stato linfonodale, recettori ormonali), ordinali (grado istologico, HER2, Akt-1 e Notch-2) e continue (età, MIB-1, dimensioni del tumore). L’analisi delle associazioni tra coppie di variabili è stata effettuata mediante test χ2 (α = 0,05; IC 95%). Risultati. L’analisi ha consentito di evidenziare alcune associazioni significative tra caratteristiche istologiche e/o immunofenotipiche dei casi presi in esame (Tab. I). L’espressione di Akt-1 si associava positivamente a quella del recettore estrogenico, ed inversamente al grado, all’espressione di HER2 ed al coinvolgimento linfonodale. L’espressione di Notch-2 è stata associata all’espressione di HER2. Conclusioni. I risultati dello studio consentono di porre in rilievo la presenza di un gruppo di carcinomi invasivi della mammella caratterizzati da un miglior grado di differenziazione, espressione di recettori estrogenici ed assenza di metastasi linfonodale e che mostrano espressione di Akt-1. Ac- Tab. I. Variabile 1 ER ER PR Grade ER HER-2 HER-2 Akt-1 Akt-1 Akt-1 Akt-1 Notch-2 Variabile 2 Segno α PR Grado Grado MIB-1 HER-2 Grado MIB-1 ER Grado HER-2 LN HER-2 + + + + + + 0,002 0,02 0,03 0,008 0,02 0,005 0,01 0,02 0,04 0,03 0,02 0,004 ER, recettore per estrogeni; PR, recettore per progesterone; LN, stato linfonodale; Associazione diretta: +; Associazione inversa: - POSTERS 258 canto a questo viene delineato un gruppo di casi con intensa positività per Notch-2 associata a iper-espressione di HER2. Sebbene lo studio non consenta allo stato attuale di evidenziare il meccanismo che sottende tali associazioni, è possibile comunque ipotizzare il ruolo di questi fattori nella progressione del tumore della mammella e nella prognosi. La migliore conoscenza del meccanismo d’azione di Notch-2 ed Akt-1, potrebbe suggerire un ruolo di queste molecole come nuovi target terapeutici nei casi resistenti alla terapia convenzionale. Analysis of breast cancer series from Central Sudan and Northern Italy show similar prognostic markers K.D. Awadelkarim* ** ***, C. Arizzi**, E.O.M. Elamin*, H.M.A. Hamad*, P. De Blasio*****, S.O. Mekki*, I. Biunno****, N.E. Elwali*, R. Mariani-Costantini***, M.C. Barberis** * Department of Molecular Biology, Institute of Nuclear Medicine, Molecular Biology & Oncology (INMO), University of Gezira, Wad Medani, Sudan; ** Department of Pathology and Laboratory Medicine, Policlinico MultiMedica, Milan, Italy; *** Unit of Molecular Pathology and Genomics, Center for Sciences on the Ageing (CeSI), “G. d’Annunzio” University Foundation, and Section of Molecular Pathology, Department of Oncology and Neurosciences, University “G. d’Annunzio”, Chieti, Italy; **** Institute for Biomedical Tecnologies (CNR), Milan, Italy; ***** Integrated Systems Engineering srl, Milano, Italy Background. In patients of Black African ethnicity breast cancer (BC) is reportedly characterized by aggressive, poorly differentiated phenotype(s). To highlight possible differences between BC in indigenous sub-Saharan African and European patients, we compared two BC case series, from Central Sudan (Khartoum) and Northern Italy (Milan), for clinical-pathological characteristics, ER, PgR and Her-2/neu statuses, and BC subtypes. Methods. After careful antigen retrieval, respectively 114 and 138 consecutive formalin-fixed/paraffin-embedded (FFPE) BC cases from the Radiation and Istope Center (Khartoum) and from MultiMedica (Milan) were screened by immunohistochemistry (IHC) for ER, PgR, Her-2/neu and basal-phenotype markers (CK5/6, CK17). Results. Compared to the Italian patients, the Sudanese patients were younger (p < 0.0001), and their tumors were larger (p < 0.0001), more advanced in stage (p < 0.00001), higher in grade (p < 0.00001) and more frequently positive for nodal metastases (p < 0.00001). ER expression varied between the two series (p < 0.0008), but no significant differences were found for PgR (p < 0.32), combined hormone receptors (p < 0.12), Her-2/neu (p < 0.5) and BC subtypes (p = 0.08). Conclusions. The differences between the Sudanese and the Italian BC series reflected stage at diagnosis rather than intrinsic biological characteristics. This may have relevant implications for BC prevention and treatment in Africa. Espressione delle citocheratine basali nei carcinomi mammari pT1b: studio clinicopatologico R. Colella, A. Sidoni, M.G. Mameli, G. Bellezza, R. Del Sordo, F. Cartaginese, M. Toraldo, G. Bartoli, F. Piselli, S. Gori***, F. Cucciarelli*, R. Vitali**, A. Cavaliere Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, * S.C. di Radioterapia Oncologica, ** Dipartimento di Igiene, Università di Perugia; *** S.C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Perugia Introduzione. I carcinomi mammari con espressione delle citocheratine di tipo basale sono in genere associati con una sopravvivenza peggiore, ma i dati riguardanti il loro comportamento biologico sono ancora oggetto di discussione 1. Da un indagine bibliografica non sono emersi studi riguardanti neoplasie di piccole dimensioni. Per tale ragione abbiamo esaminato una serie consecutiva di carcinomi pT1b allo scopo di individuare le neoplasie a fenotipo basale (FB) e valutarne il comportamento clinico. Metodi. Sono stati studiati 105 casi consecutivi di carcinoma mammario di diametro compreso tra 5 e 10 mm osservati presso il nostro Istituto nel triennio 1997-1999. In tutti i casi è stato valutato il diametro, i parametri morfologici e biopatologici (ER, PgR, AR, Mib-1, c-ErbB-2) e l’espressione delle citocheratine (CK) 5/6, 14, 8 e 18. Tutti i parametri sono stati correlati con il follow-up. Risultati. Tutte le neoplasie sono state osservate in pazienti di sesso femminile (età mediana 61 anni; follow-up mediano 94,5 mesi). Le CK basali erano espresse in 7 dei 105 casi (6,7%). Le neoplasie a FB sono risultate G2 in 2 casi e G3 in 5 casi, mentre nel gruppo di carcinomi “non basali” i casi G1, G2 e G3 sono risultati rispettivamente 32, 56 e 10 (p = 0,003). La valutazione dei linfonodi ascellari (93 casi) ha evidenziato metastasi in 17 casi (18,3%); di questi, 3 appartenevano al gruppo con FB (p = 0,06). Nei carcinomi a FB si è osservato, inoltre, una maggiore frequenza di casi negativi per ER, PgR, AR e c-ErbB-2 ed una elevata attività proliferativa (dati statisticamente significativi) con 5 casi triplo negativi (p = 0,000). Sono stati osservati 3 casi di recidiva locale e 4 casi di metastasi viscerali o scheletriche nessuno dei quali apparteneva al gruppo con FB. Infine, non si sono osservate differenze statisticamente significative nella sopravvivenza globale ed in quella libera da malattia. Conclusioni. I dati del presente studio sono in contrasto con la maggior parte dei dati della letteratura che indicano una prognosi peggiore per i carcinomi a FB. I nostri risultati riguardanti carcinomi pT1b non hanno messo in evidenza un decorso clinico peggiore nelle neoplasie con FB nonostante che in questo gruppo sia stato evidenziato un maggior numero di casi con parametri morfologici e biopatologici sfavorevoli. Bibliografia 1 Rakha EA, et al. Eur J Cancer 2006;42:3149-56. POSTERS Lesioni a cellule colonnari della mammella associate calcificazioni: correlazioni radioistologiche R. Senetta, P. Campanino*, G. Mariscotti*, A. Sapino Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana; * Dipartimento di Radiodiagnostica, Università di Torino Introduzione. Il rinnovato interesse, in questi ultimi anni, per le Lesioni a Cellule Colonnari (LCC) della mammella nasce principalmente dall’incremento di diagnosi in prelievi pre-operatori eseguiti con Core Biopsy o Stereotactic Vacuum Assisted Core Biopsy (VACB) per calcificazioni mammografiche. In letteratura i dati relativi all’incidenza di LCC, alle caratteristiche del quadro radiologico correlato e al significato clinico in studi di follow-up (FU) sono carenti. Metodi. 392 prelievi con VACB eseguiti su calcificazioni radiografiche da gennaio 2004 a giugno 2006 sono stati rivisti. È stata valutata: i) la frequenza di diagnosi istologica di LCC, ii) la correlazione tra morfologia delle calcificazioni e rischio radiologico (R) con la categoria diagnostica (B) delle LCC e iii) il FU clinico o chirurgico. Risultati. LCC sono state diagnosticate in 156/392 (39,7%) di VACB e nell’84% di questi, le calcificazioni riscontrate radiologicamente, erano istologicamente localizzate in LCC. Le calcificazioni radiologiche correlate a LCC erano di tipo amorfo/indistinto (42,9%) e granulare (25%). Frequentemente le calcificazioni erano distribuite in cluster, soprattutto in sede supero-esterna destra. Su 80 casi diagnosticati come B2, 75 sono stati inviati a FU clinico e 5 casi a biopsia escissionale con riconferma di LCC senza atipie. Dei 43 casi di LCC con atipia (B3), in 14 non è stato riconfermato il quadro atipico all’esame su biopsia chirurgica, mentre in 1 caso su 10 di LCC associate a Neoplasie Lobulari Intraepiteliali o Iperplasia Duttale Atipica era associato un Carcinoma Duttale in situ (CDIS) all’esame su pezzo chirurgico. Tutti i casi di LCC associati a CDIS (B5a) sono stati riconfermati al definitivo tranne uno diagnosticato come LIN. Conclusioni. I nostri dati suggeriscono che: i) le LCC rappresentano la causa di circa il 40% di VACB eseguite per il riscontro di calcificazioni mammografiche di basso sospetto radiologico, ii) l’escissione chirurgica di LCC atipiche, non associate ad altra patologia, diagnosticate su VACB, non è necessaria, vista la completa assenza di lesioni più aggressive all’esame istologico definitivo. Integrazione del Nottingham Prognostic Index con i fenotipi biologici per una migliore definizione prognostica delle pazienti affette da carcinoma della mammella M. Pedriali, P. Querzoli, R. Rinaldi, C. Frasson, I. Nenci Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Università di Ferrara Introduzione. La storia clinica dei carcinomi mammari infiltranti è determinata da fattori morfologici e biologici. Il pT, il pN ed il G hanno dimostrato avere un ruolo molto importante nella valutazione prognostica. Il Nottingham Prognostic Index (NPI) integra in un unico dato sintetico queste informazioni fornendo al clinico un potente strumento per stratificare la prognosi in tre classi di rischio. Gli studi su l’espres- 259 sione genica hanno permesso di identificare tre profili biologici (basale, HER-2+/ER- e luminale) ad andamento prognostico differente. Un’analisi combinata 1 dei dati presentati da Nielsen 2 e Livasy 3 ha permesso di individuare con ottima approssimazione questi fenotipi biologici basandosi sull’espressione di un pannel di marcatori (ER, PR, HER-2) oggi indispensabili nella routine diagnostica del carcinoma della mammella. Metodi. Lo studio è stato condotto su 702 pazienti (pz) affette da carcinoma mammario infiltrante incidente negli anni 1989-1993 diagnosticato presso la Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica dell’Università di Ferrara di cui era disponibile la caratterizzazione clinico-patologica (età ≤ 70 anni: 557 pz; 527 duttali, 109 lobulari, 66 speciali; pT: ≤ 2 cm: 450 pz). Sono stati raccolti i dati di follow-up (media: 93 mesi, mediana: 101 mesi; range: 8-158 mesi), allestiti 31 tissue micro arrays (TMA) su cui è stata effettuata la valutazione del G e dei parametri biologici (ER, PR, HER2) la cui integrazione ha permesso di identificare 118 casi con fenotipo basale o HER-2+ (ER-/PR-/HER-2- o HER-2+) e 549 casi a fenotipo luminale (ER+ e/o PR+). Risultati. Il 40,9% dei pz aveva un NPI ≤ 3.4 (buona prognosi), il 15% aveva NPI > 5,4 (alto rischio), il 44,1% dei pz aveva una prognosi intermedia (3,4 < NPI ≤ 5,4) Su questi ultimi si sono identificati 62 carcinomi a fenotipo basale/HER2+ con andamento clinico sovrapponibile al gruppo ad alto NPI e 52 pazienti a fenotipo luminale, di età > 70 aa, con andamento clinico non statisticamente differente da quello del gruppo a basso NPI. Conclusioni. L’integrazione dei parametri morfologici con i profili biologici identificati dalla biologia molecolare può permettere una migliore stratificazione prognostica delle pazienti affette da carcinoma mammario infiltrante. Nella nostra casistica questa integrazione ha permesso di ricategorizzare la prognosi del 37% delle pazienti a NPI intermedio. Bibliografia 1 Carey A, et al. Clin Cancer Res 2007;13:2329-34. 2 Nielsen T, et al. Clin Cancer Res 2004;10:5367-74. 3 Livasy CA, et al. Mod Pathol 2006;19:264-71. Valutazione dello stato del gene HER-2 nel carcinoma della mammella: protocolli della metodica FISH a confronto E. Bonanno, A. Colantoni, A. Costantini, C. Fortunato, A. Marinucci, L.G. Spagnoli Università “Tor Vergata” di Roma Introduzione. Un passaggio cruciale nell’esecuzione della metodica FISH riguarda i pre-trattamenti necessari per consentire il legame della sonda con il DNA target. Scopo del presente studio è stato quello di mettere a punto una metodica di pre-trattamento standard che consentisse di migliorare la penetrazione della sonda nei tessuti inclusi in paraffina, senza determinare alterazioni morfologiche tali da impedire una corretta valutazione dell’espressione del gene. Materiali e metodi. Sono state valutate 40 neoplasie della mammella (20 incluse in tissue microarray) con diversa espressione della proteina C-erb-B2. Sono state utilizzate due diverse sonde (Pathvysion, Vysis; HER2 DAKO) e vari protocolli di pre-trattamento: enzimatico, come suggerito dalle case di produzione delle sonde; pre-trattamento con il forno POSTERS 260 a microonde in tampone citrato a pH 6 e tampone EDTA a pH 8. Le condizioni di ibridazione ed i lavaggi di stringenza sono stati eseguiti rispettando le indicazioni delle case di produzione delle sonde. Risultati. Le 40 neoplasie presentavano una espressione variabile della proteina Cerb-B2 10 delle quali score 0, 7 score 1; 15 score 2; 8 score 3 (score Herceptest Dako). La valutazione con le sonde Pathvysion Vysis ed HER2DAKO, seguendo le procedure di pre-trattamento suggerite dalle case di produzione hanno dato risultati comparabili dimostrando l’assenza di amplificazione negli score 0, 1 e nell’86,7% degli score 2 (13 casi non amplificati, 2 casi amplificati) una marcata amplificazione genica con clusters negli score 3+. Il pre-trattamento nel forno a microonde in citrato pH6, pur fornendo dei risultati pressoché comparabili, produceva in alcuni casi (10 su 40) artefatti nucleari che rendevano difficoltosa la lettura. Il pre-trattamento nel forno a microonde in EDTA pH8 forniva risultati concordi con quelli eseguiti secondo le istruzioni del produttore della sonda. Inoltre la conservazione dell’architettura del tessuto e l’assenza di artefatti nucleari facilitavano l’osservazione sia diretta che le riprese fotografiche per la conta automatica degli spot. Conclusioni. Il pre-trattamento con il calore in EDTA, da noi messo a punto, ha rappresentato un buon compromesso tra permeabilizzazione e conservazione della morfologia nucleare. Va sottolineato che il pre-trattamento a microonde ha consentito di applicare a diverse neoplasie lo stesso protocollo con risultati equiparabili a quelli ottenuti variando i tempi di digestione enzimatica. Correlazioni tra flat atypia e patologia benigna e maligna della mammella S. Battista, E. Bonanno, D. Liotti, D. Postorivo, L.G. Spagnoli Università “Tor Vergata”, Roma Introduzione. Il termine “flat atypia” si riferisce a lesioni delle unità duttale-terminolobulare in cui acini variabilmente dilatati sono rivestiti da uno o più strati di cellule epiteliali colonnari con atipia citologica di basso grado. Secondo Azzopardi era una forma DCIS (clinging carcinoma). Oggi la WHO l’ha classificata come una lesione proliferativa intraduttale, DIN1a, che comprende: alterazioni delle cellule colonnari con atipia (acini rivestiti da uno o due strati di cellule colonnari epiteliali con vacuoli citoplasmatici apicali, calcificazioni luminali o psammoma bodies); iperplasia delle cellule colonnari con atipia (acini rivestiti da più di due strati di cellule epiteliali colonnari che possono formare protrusioni o micropapille con aspetto hobnail). L’atipia è di basso grado con nuclei rotondi od ovali non regolarmente orientati perpendicolarmente alla membrana basale, con aumentato rapporto nucleo/citoplasma e nucleoli prominenti. L’obiettivo del nostro studio è di correlare tali lesioni al DCIS e al Carcinoma Duttale Infiltrante per migliorare le strategie terapeutiche di pazienti, abbiamo valutato reperti chirurgici di nodulectomia, quadrantectomia e mastectomia radicale la possibile relazione. Metodi. Abbiamo esaminato un totale di 337 casi, in reperti chirurgici di nodulectomia, quadrantectomia e mastectomia radicale, inclusi in paraffina e colorati con ematossilina-eosina, di patologia mammaria suddivisa in benigna (fibroadenoma, mastopatia fibrosocistica, iperplasia e papillomatosi intraduttale, adenosi, altre patologie) rispettivamente corri- spondente a 180 casi e maligna corrispondente a 157 casi di carcinoma duttale e lobulare infiltrante (DCI, LCI) di carcinoma duttale e lobulare in situ (DCIS, LCIS). Risultati. Dei 180 casi di patologia benigna, solo 33 erano associati alla “flat atypia” ed erano mastopatia fibrosocistica (18,3%). Tra i 157 casi di patologia maligna, 115 erano DCI, di cui 27 con “flat atypia”; 42 erano DCIS di cui 6 con “flat atypia” (21%). Conclusioni. Dal nostro studio la “flat atypia” risulta essere correlata al carcinoma in situ ed infiltrante, piuttosto che alla patologia benigna, peraltro rappresentata da una maggioranza di casi di mastopatia fibrosocistica. Questo dato risulterebbe importante nel management agobioptico delle pazienti per non incorrere nel overtrattamento e nella sottostadiazione. Bibliografia 1 Schnitt SJ. Breast Cancer Res 2003;5:263-8. 2 Schnitt SJ, et al. Modern Pathol 2006;19:172-9. Amyloid beta protein precursor and vascular endothelial growth factor expression in breast carcinoma correlates with angiogenesis and prognosis L. Marasà, R. Passantino, S. Marasà U.O. Anatomia Patologica, P.O. “M. Ascoli”, Palermo, Italia Introduction. Angiogenesis is essential for tumour growth and important in tumour metastasis and prognosis. The amyloid beta protein precursor (APP), cleaved by β-secretase and γ-secretase to produce β-amyloid, is highly expressed in the endothelium of neoforming vessels suggesting that it might play a role during angiogenesis. So far APP expression has been correlated with high vascularity and malignant progression of human astrocytic tumours and, recently, oral squamous cell carcinoma. Vascular endothelial growth factor (VEGF) stimulates endothelial proliferation in vitro and angiogenesis in vivo. VEGF expression has been correlated with high vascularity in tumours, including breast carcinoma. Methods. This study investigated APP and VEGF expression in invasive lobular (n = 10) and invasive ductal breast carcinoma (n = 20). APP and VEGF expression was studied with immunohistochemistry using monoclonal antibodies on fivemicron thick sections obtained from formalin-fixed, paraffinembedded tissue blocks. The sections were also stained with antibodies against factor VIII, CD31 and CD34. APP and VEGF staining was evaluated by combining both percentage of positive tumour cells and staining intensity. Angiogenesis was moreover estimated as Microscopic Angiogenesis Grading System (MAGS) index and Microvessel Density (MVD). Results. Immunohistochemistry demonstrated that APP was detectable mainly in tumour and endothelial cells. There was more expression of VEGF in invasive ductal than in invasive lobular carcinoma. APP and VEGF expression correlated with a poor prognosis. Conclusions. This is the first study that has investigated the role of APP in angiogenesis in breast cancer suggesting a probable participation of APP and the possibility to use the inhibitors of the β- and γ-secretases such as new classes of anti-angiogenic and anti-tumoral drugs. Our preliminary results have confirmed the role of VEGF in angiogenesis in breast cancer and the different expression of VEGF in invasive ductal and lobular carcinoma suggesting that other fac- POSTERS 261 tors may play a more important role in the angiogenesis of the latter. CAV-1 protein expression in lobular breast neoplasia progression References 1 Nakagawa T, et al. Anticancer Res 1999;19:2963-8. 2 Ko SY, et al. Int J Cancer 2004;111:727-32. M. Zagami, G. Perrone, G. Lescarini, V. Altomare*, S. Morini**, C. Rabitti Neuroendocrine small cell carcinoma of the breast: a report of two cases with immunohistochemical features Introduction. CAV-1 is the principal structural component of caveolae domains, which represent a subcompartment of the plasma membrane. Several lines of evidence suggest that caveolin-1 functions as a suppressor of cell transformation 1. A recent report showed that expression of caveolin-1 was down-regulated in breast ductal carcinoma cells compared with the normal breast epithelial cells 2. To data, no information exists on neoplastic lobular breast pathology. In the present study CAV-1 expression was studied in normal lobular epithelial cells, LIN lesion and in lobular invasive cancer. Materials and methods. 69 specimens of lobular neoplasm (35 LIN, 34 invasive cancers) were examined for CAV-1 expression by immunohistochemistry. CAV-1 was evaluated as percentage of positively stained cells in a total of at least 1000 tumour cells. Staining for CAV-1 was considered positive if > 10% of cells were stained. Results. Immunohistochemical analysis revealed strong fine granular expression of caveolin-1 concentrated at the surface membrane and a diffuse cytoplasmic staining pattern in the normal lobular epithelial cells and surrounding endothelial cells (used as internal positive control) in all 69 cases. A strong significant difference (p < 0,0001) was found in terms of CAV-1 expression between LIN [28/35 (80%)] and invasive lesions [11/34 (32,3%)]. If CAV-1 expression was considered within different LIN grades, no significant difference was found between LIN1 and LIN2 while a significant difference was found between LIN1 and LIN3 (p = 0,02) and between LIN2 and LIN3 (p = 0,038). Moreover no significant difference was found between LIN3 and invasive lesions. Furthermore, a negative significant correlation was found between CAV-1 expression and lobular neoplasia grading. Conclusions. The higher percentage of CAV-1 positive LIN lesions compared with invasive lobular cancer and the significant negative correlation between CAV-1 expression and lobular neoplasia grading are further evidence of the possible role of CAV-1 in the development of human lobular breast cancer. Furthermore, our results show that CAV-1 expression is similar in LIN3 lesions and in invasive lobular carcinoma. A provocative possible explanation of the latter data is that LIN3, rather than LIN1 and LIN2 lesions, is a precursor lesion of invasive lobular carcinoma rather than a simple risk factor. G. Perrone, M. Zagami, S. Morini*, G. Gullotta, V. Altomare**, C. Rabitti Anatomia Patologica, * Anatomia Umana, ** Unità di Senologia, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, Roma, Italia Introduction. Small cell carcinoma, although most commonly encountered in the lung, can occur in many extrapulmonary sites, including the salivary glands, upper respiratory mucosa, intestinal tract, pancreas, urinary tract, and other organs. Small cell neuroendocrine carcinoma (SCNC) a of the breast is a rare tumour with less than 30 cases reported in the literature. Case 1. A 96 year old woman presented with a mass in her right breast. Radiological and clinical examination failed to reveal tumour elsewhere in the body. She had a breast cancer excision, which was diagnosed as SCNC. The size of the tumour was 3,5 cm. Axillary clearance was not performed. Immunohistochemical study showed positivity for NSE and MNF116 cytokeratin (dot-like pattern) while negative for chromogranin, synaptophysin, oestrogen receptor, progesterone receptor, p53, HER2. Ki-67 was positive in > 40% of cancer cells. Case 2. A 42 year old woman presented with a mass in her left breast. Radiological and clinical examination failed to reveal tumour elsewhere in the body. She had a simple lumpectomy with axillary dissection. Microscopically, a 3.5 cm SCNC with focal squamous differentiation and foci of in situ ductal component with 26 negative lymph nodes was diagnosed. In the neuroendocrine small cell component, immunohistochemical study showed positivity for NSE, chromogranin, synaptophysin, MNF116 cytokeratin (dot-like pattern), while negative for HMW-CK. On the other hand, the squamous component resulted negative for NSE, chromogranin and synaptophysin while positive for MNF116 cytokeratin and HMW-CK. Furthermore, oestrogen receptor, progesterone receptor, HER2 were negative. Ki-67 and P53 were respectively positive in 98% and 50% of cancer cells. Conclusion. SCNC is a rare tumour of the breast. The distinction is particularly important in view of the perceived more aggressive behaviour 1. The diagnosis of SCNC in the breast can usually be supported by detecting immunohistochemical evidence of neuroendocrine differentiation, however one of our cases of small cell mammary carcinoma did not display consistent immunoreactivity for neuroendocrine markers beyond strong and diffuse staining with NSE. Heterogeneous immunoreactivity for neuroendocrine markers is a well-documented observation in small cell carcinomas at other sites 2. Demonstrating a neuroendocrine immunoprofile is supportive but not essential in rendering a diagnosis of mammary small cell carcinoma. References 1 Samli B. Arch Pathol Lab Med 2000;124:296-8. 2 Guinee DG. Am J Clin Pathol 1994;102:406-14. Anatomia Patologica, * Unità di Senologia, ** Anatomia Umana, Università Campus Bio-Medico di Roma, Italia References 1 Williams TM. Mol Biol Cell 2003;14:1027-42. 2 Park SS, et al. Histopathology 2005;47:625-30. POSTERS 262 Correlazioni pre- e post-operatorie nella diagnostica dei tumori mammari M.G. Cattani Anatomia Patologica, Azienda USL Bologna, Ospedale Maggiore Introduzione. Sono stati studiati 232 carcinomi mammari diagnosticati pre-operatoriamente e successivamente operati presso l’Ospedale Maggiore di Bologna nel periodo gennaio 2000dicembre 2004. Requisiti per l’inclusione nello studio sono stati: diagnosi preoperatoria cito o istologica effettuata presso il nostro ospedale, neoplasie T1 trattate con intervento conservativo associato alla tecnica del linfonodo sentinella, inclusione delle pz in un follow-up aziendale. Scopo dello studio è stato quello di valutare in una casistica omogenea l’accuratezza delle metodiche diagnostiche recentemente adottate in patologia mammaria con particolare attenzione alle diverse tecniche istologiche di diagnosi preoperatoria e alla metodica del linfonodo sentinella. A tale scopo sono stati esaminati una serie di parametri tra cui: 1) correlazione tra dimensioni della lesione all’imaging e all’intervento; 2) presenza e caratteristiche degli esiti macro e microscopici della biopsia preoperatoria sul pezzo chirurgico; 3) correlazione tra diagnosi preoperatoria e diagnosi definitiva con valutazione di percentuale di sottostima della lesione, di riproducibilità di istotipo e di grading; 4) numero di linfonodi sentinella individuati, incidenza di metastasi, di micrometastasi e di cellule tumorali isolate; 5) percentuale di ripresa locale di malattia nel periodo di follow-up. Risultati e conclusioni. I risultati ottenuti hanno confermato l’elevata affidabilità diagnostica delle tecniche pre-operatorie, l’utilità di adottare strumenti diagnostici diversi secondo le caratteristiche di imaging della lesione, l’elevata affidabilità della tecnica del linfonodo sentinella che nel 83% dei casi è risultato essere l’unico linfonodo interessato dalla malattia. Materiali e metodi. Nel nostro Istituto sono stati studiati 15 casi consecutivi di CLD (0,3% di tutti i carcinomi invasivi della mammella) osservati nel periodo compreso tra il 1989 ed il 2007. Sono stati valutati i parametri morfologici, biopatologici (ER, PR, Mib-1, c-ErbB-2) e clinici. Tutti i dati sono stati confrontati con un gruppo di 71 carcinomi lobulari infiltranti (CLI) convenzionali (44 casi pT1 e 27 casi pT2). I parametri morfologici e biopatologici sono stati correlati con il follow-up. Risultati. Tutti i casi sono stati osservarti in pazienti di sesso femminile di età compresa tra 38 e 89 anni. Età media dei CLD 60,4 anni (mediana 59,0); età media dei CLI (pT1 + pT2) 65,4 anni (mediana 67,0). Il follow-up medio è stato di 53,6 mesi (mediana 48,2). I principali dati riguardanti il profilo biopatologico e le metastasi sono riportati nella Tabella I. I CLD sono risultati più frequentemente negativi per ER rispetto ai CLI pT1 (p = 0,002) e pT2 (p = 0,03) ed hanno mostrato un maggior numero di casi con metastasi linfonodali rispetto al gruppo dei CLI pT1 (p = 0,05) ma non rispetto ai CLI pT2. Non si sono osservate variazioni statisticamente significative per ciò che concerne PR, Mib-1, c-ErbB-2, sopravvivenza libera da malattia (SLM) e sopravvivenza globale (SG). Conclusioni. I dati del presente studio non mostrano un andamento clinico peggiore dei CLD in termini di SLM e SG rispetto ai CLI. È stato documentato un più alto numero di casi con metastasi linfonodali rispetto ai CLI pT1, ma non rispetto ai pT2, anche se la presenza delle metastasi non ha influito sulla SLM e sulla SG. In conclusione i nostri dati non consentono di delineare una categoria prognostica separata dei CLD 1 pur riconoscendone la peculiare difficoltà nell’identificazione clinico-strumentale. Bibliografia 1 Tot T. Virchows Arch 2003;443:718-24. La diagnostica del carcinoma della mammella nella provincia di Granma a Cuba. Il progetto dei Patologi oltre Frontiera Carcinoma lobulare diffuso: profilo biopatologico e significato prognostico F. Cartaginese, A. Sidoni, M.G. Mameli, G. Bellezza, M. Giansanti, R. Del Sordo, R. Colella, M. Toraldo, L. Di Terlizzi, M. Sagramola, M.G. Cacace, M. Spinelli, A. Cavaliere Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Università di Perugia Introduzione. Il carcinoma lobulare di tipo diffuso (CLD) è una neoplasia mammaria che cresce senza formare una massa tumorale distinta. Per la sua rarità, i dati riguardanti questa neoplasia sono scarsi; abbiamo pertanto esaminato una serie consecutiva di CLD per studiarne il profilo biopatologico ed il comportamento clinico. D. Fenocchio, R. Tumino*, P. Giovenali, F. Serrat Gomez**, V. Stracca Pansa***, L. Viberti**** U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “Silvestrini”, Perugia; * Registro Tumori e Anatomia Patologica, Dip. Oncologia, A.O. “Civile M.P. Arezzo”, Ragusa; ** Ospedale “Carlos Manuel de Cespedes Bajamo”, Cuba; *** U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Civile “SS Giovanni e Paolo”, Venezia; **** U.O. Anatomia Patologica Ospedale “EvangelicoValdese”, ASL1 Torino Introduzione. La ONG Patologi oltre Frontiera gestisce dal 2004 a Cuba, nella Provincia di Granma, un progetto con il supporto del PDHL (Programa del Las Naciones Unidas Para el Desarrollo), il comune di Foligno e di Venezia e l’O- Tab. I. Profilo biopatologico e metastasi nei CLD e CLI. ER+ CLD CLI pT1 CLI pT2 PR+ Mib-1 elevato N % N % N % 10 43 25 66,7 97,7 92,6 12 35 22 80,0 79,5 81,5 2 11 7 13,3 25,6 28,0 Metastasi linfonodali N % 8 9 17 53,3 22,0 65,4 Metastasi sistemiche N % 2 2 3 13,3 4,5 11,1 POSTERS 263 spedale di Perugia. La cooperazione riguarda due ambiti di patologia femminile: il carcinoma della mammella e della cervice uterina (prima e seconda causa di mortalità femminile a Cuba). Per il carcinoma della mammella i risultati sperati erano di aumentare le diagnosi in stadio T1 N0 M0, la creazione di un registro tumori organo specifico della mammella e la diminuzione della mortalità. Il programma nazionale di diagnostica del carcinoma della mammella comincia a Cuba nel 1991, nella regione del Granma nel 1992 e si basa sull’autopalpazione, l’ecografia delle donne sintomatiche e il prelievo citologico con agoaspirazione. Il mammografo in dotazione alla provincia non è funzionante. Metodi. Il progetto italiano, basato sullo scambio di specialisti, è cominciato nel 2004: sono stati inviati computer, microscopi, un ecografo e, allo scopo di istruire un registro tumori organo specifico della mammella, è stato installato un sistema informatico di raccolta dati SQTM. La provincia di Granma comprende 297.832 donne e il programma prevede lo screening con ecografia di 2.000 donne con ecografia e citoaspirazione. Risultati. Le valutazioni a due anni sull’utilità della diagnostica integrata ecografia/citologia nel carcinoma della mammella sono riportate in Tabella I. Tab. I. Carcinoma della mammella. Provincia Granma 2004 2005 2006 T1-2 T3-4 Ca. con T non definito 31,9% 21,1% 47,0% 46,9% 12,2% 40,9% 70,2% 5,4% 24,4% Il miglioramento delle tecniche di prelievo e di colorazione ha ridotto gli inadeguati citologici dal 18,8% nel 2004 al 6,2% nel 2006 e i falsi negativi dal 2,1% al 1,8% Conclusioni. Allo stato attuale nella provincia di Granma non esiste la possibilità di utilizzare un mammografo, da qui la necessità di implementare la diagnostica ultrasonografica e citoaspirativa. La formazione del patologo e del radiologo può considerarsi buona. Sono attualmente regolarmente registrati tutti i casi citologici e istologi di tumori della mammella. Il laboratorio di Anatomia Patologica è però in condizioni inaccettabili: il successivo sviluppo del progetto dovrebbe prevedere di potenziare la strumentazione minima, continuare la formazione, inserire la tecnica del linfonodo sentinella con blu di toluidina e la determinazione dei fattori prognostici e dei recettori ormonali. Cystic papillary adenomyoepithelioma of the breast. A case report A. Labate, G. Certo, P. Lo Verde, M. Mesiti Casa di Cura “Cappellani SPA”, Messina, Italia Introduction. Adenomyoepithelioma is a proliferative disorder of both epithelial and myoepithelial cells. This lesion may be found in salivary glands, skin appendages and, very rarely, in the mammary gland. Cystic papillary adenomyoepithelioma of the breast is a very rare tumor. Case report. We report a case of this entity in a 37-year-old woman The initial clinical finding was usually a nodular mass in the breast and examination suggested the diagnosis of a fibroadenoma.Ultrasound showed a cyst with an intracystic mass. The lesion was removed and sent to our observation. Histopathological examination and immunohistochemical analysis of the lesion was found to be a cystic papillary adenomyoepithelioma. Materials e methods. Nodular lesions of 2.2 x 2.2 cm sent to our observation. The specimens were fixed in 10% buffed formalin, and paraffin embedded. Paraffin sections were stained with hematoxilyn and eosin for histological evaluation. For immunohistochemical studies, section were incubated with anti estrogen and progesterone receptor, cHERB2, Ki 67 and secondly with desmin and SMA polyclonal antibody. Following incubation with avidin-biotin-peroxidase and the reaction was detected with 3,3’-diaminobenzidine. Results. The morphological grossly apparence produced a circumscribed, firm tumor with nodularity and cysts. The consistence not is strongly. Histopathological features describes a circumscribed lesions that showed ducts lined by inner epithelial and outer myoepithelial cells with papillary pattern and solid areas made up of fasciculated spindle myoepithelial cells. Was associated adenosis. Relatively bland is cytologic features. Immunohistochemical studies distinguished epithelial (CK+) from myoepithelial cells (SMAdesmine+). Hormone receptor studies showed estrogen and progesterone positive (20-25%); cHER-B2(Neg) and Ki67 positive (5-10%). Discussion. Adenomyoepithelioma was first described in 1970 and very few cases have so far been reviewed in the literature. This paper reports the clinical, histological and immunohistochemical characteristics of an adenomyoepithelioma in a 37 year old woman; the clinical feature suggested a fibroadenoma. A more complete study of the excised tumor tissue by immunohistochemical analysis proved that the correct diagnosis was cistyc papillary-adenomyoepithelioma. Literature findings indicate that adenomyoepithelioma is a benign this lesion is a benign or a low-grade malignant whether the possibility of local recurrence, wide local excision is recommended. References Accurso A, et al. Tumori 1990;76:606-10. Papaevangelou A, et al. Breast 2004;13:356-8. Carcinoma lobulare mammario metastatico ad un polipo endometriale M. De Vito, L. Ventura*, T. Ventura, M.L. Brancone Istituto Veneri, Laboratorio di Analisi Citoistopatologiche, Tortoreto (TE); * U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila Introduzione. Le metastasi di neoplasie extrapelviche in sede uterina sono rare. Le più frequenti sono rappresentate da neoplasie mammarie (43%), coliche (17,5%) e gastriche (11%) 1. Metodi. Giungeva alla nostra osservazione una paziente di sesso femminile, di 58 anni, con precedente diagnosi di carcinoma mammario posta in altra sede nel 1999, ed in terapia 264 con tamoxifene fino al 2005. La paziente presentava da qualche mese episodi di metrorragia. L’isteroscopia evidenziava una lesione polipoide, peduncolata, delle dimensioni di 3 x 1 x 0,5 cm. Il materiale chirurgico veniva processato e tagliato in sezioni di 4 µm di spessore, colorate in ematossilina-eosina e con metodo immunoistochimico. Risultati. L’esame istologico evidenziava un polipo endometriale con ghiandole di dimensioni variabili immerse in un denso stroma fibrovascolare con condensazione perighiandolare. Lo stroma mostrava foci multipli di cellule monomorfe, focalmente organizzate in filiere. I nuclei erano ipercromatici e talora localizzati in posizione eccentrica. L’endometrio adiacente era di tipo ipotrofico. Le cellule neoplastiche erano immunopositive per CK7 e recettori estrogeni (ER). La positività per i recettori del progesterone (PR) era focale. L’indice di proliferazione era pari all’8%. Veniva posta diagnosi di carcinoma lobulare mammario metastatico ad un polipo endometriale. Conclusioni. Il tamoxifene, un farmaco utilizzato nel trattamento del carcinoma mammario, agisce sia come parziale agonista degli ER che come antagonista. La prima caratteristica è quella prevalente sull’endometrio mentre le proprietà antiestrogeniche lo rendono efficace nel trattamento delle neoplasie mammarie. Le metastasi da carcinoma mammario su polipo endometriale, associate a terapia con tamoxifene, sono state descritte raramente in letteratura 2. Il carcinoma lobulare è l’istotipo più frequente essendone stati descritti 4 casi. In aggiunta sono stati illustrati un caso di metastasi da carcinoma apocrino ed uno da carcinoma duttale invasivo. Tutte le donne, inclusa quella del nostro caso, si presentavano con sintomi costituiti essenzialmente da metrorragia. Lo scopo di questo report è quello di segnalare la possibilità di metastasi da carcinoma mammario in donne con una pregressa diagnosi di neoplasia che siano state sottoposte a terapia con tamoxifene. A tale fine risulta fondamentale la corretta interpretazione dell’esame istologico del materiale proveniente da curettage e/o della biopsia endometriale. Bibliografia 1 Al-Brahim N, et al. Ann Diag Pathol 2005;9:166-8. 2 Alvarez C, et al. Obstet Gynecol 2003;102:1149-51. Expression of endothelial protein c receptor and thrombomodulin in human breast cancer S. Ferrero, M. Falleni, L. Caruso, G. Fontana*, L. Tagliavacca*, E.M. Faioni*, S. Bosari Department of Medicine, Surgery and Dental Sciences, Division of Pathology, University of Milan, A.O. “S Paolo” and Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico e “Regina Elena”, Milan, Italy; * Hematology and Thrombosis Unit, DMCO, Università di Milano and Ospedale “San Paolo”, Milano, Italy Background. Endothelial protein C receptor (EPCR) plays a critical role in augmenting protein C activation by thrombinthrombomodulin complex and it participates in the regulation of inflammation and possibly cell growth. Though hemostasis is important for cancer growth and invasiveness, little information is available regarding the expression of the EPCR in human cancer. This study aims to analyze the expression of EPCR in human breast cancer and to compare it to the expression of other known markers of breast cancer, such as the POSTERS progesterone and estrogen receptors, Ki-67, and c-erb-b2, as well as cancer stage. Thrombomodulin expression was analyzed as well. Methods. Retrospective surgical specimens from 96 breast cancer women were investigated for EPCR and Thrombomodulin both at protein and at transcriptional levels; EPCR protein was also analyzed in breast cancer cells with confocal microscopy. Results were statistically compared with known clinico-pathological characteristics of cases. Results. EPCR immunoreactivity was found in 49/96 (51%) breast cancer, one fifth of which with high intensity. EPCR expression was prevalently detected in lower stage cancer and it was inversely related to c-erb-B2 expression. EPCR was not found in normal breast parenchyma far removed from the malignancy except for the vessel endothelium, while it was expressed by the epithelial cancer cells and the myoepithelium, often with a polarized pattern. Thrombomodulin was detected in 17/96 (20%) breast cancers only, and it was equally distributed between EPCR positive (10/49, 20%) and negative (7/47, 21%; p = 0.5955) tissues. None of the analyzed clinical or immunochemical characteristics was specifically associated with thrombomodulin positive vs. thrombomodulin negative cancers. Conclusions. These findings suggest that protein C may not be always activated at the cancer cell surface since thrombomodulin is not invariably co-expressed with EPCR on the breast cancer cell. This receptor may have an extra-hemostatic role in breast cancer and might represent a functional state of cancer growth. Malattia di Paget della mammella associata a carcinoma lobulare pleomorfo: descrizione di due casi M. Bosco, R. Senetta, I. Castellano, L. Macrì, A. Sapino Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Università di Torino Introduzione. La malattia di Paget della mammella (MPD) è caratterizzata da una crescita intraepiteliale di cellule neoplastiche a livello dell’epidermide areolare e/o del capezzolo. La maggior parte dei casi di MPD origina da carcinoma duttale in situ o invasivo del sottostante tessuto mammario. Rari casi appaiono originare primariamente a livello dell’epidermide del capezzolo. In letteratura è descritto un solo caso di associazione di carcinoma lobulare in situ e MPD 1. Sono qui descritti due casi di MPD insorto su carcinoma lobulare in situ o infiltrante pleomorfo della mammella. Risultati. Caso 1. Si tratta di una donna di 48 anni con sovvertimento strutturale diffuso della mammella identificato ecograficamente. La cute del capezzolo e dell’areola erano indenni. È stata posta diagnosi istologica di carcinoma lobulare infiltrante pleomorfo (G3 pT1cm pN1a) associato a carcinoma lobulare in situ pleomorfo. I dotti galattofori erano indenni. A livello della cute areolare era presente un’infiltrazione intraepidermica di cellule con moderata quantità di citoplasma amfofilo, nuclei pleomorfi, cromatina vescicolosa, nucleoli prominenti. Caso 2. Si tratta di una donna di 73 anni con nodo mammario palpabile sottoareolare. La cute del capezzolo mostrava un’estesa reazione eczematoide. È stata posta diagnosi di carcinoma lobulare in pleomorfo multifocale e carcinoma duttale in situ di alto grado. Era presente un invasione pagetoide del dotti galattofori e dell’epidermide del capezzolo da parte POSTERS di cellule con caratteristiche morfologiche e immunoistochimiche sovrapponibili a quelle della componente in situ lobulare pleomorfa. Le cellule di Paget in entrambi i casi mostravano il seguente assetto immunofenotipico: negatività per caderina E ed HER2; positività per il recettore degli estrogeni e del progesterone, citocheratina 7 ed EMA. Conclusioni. La diagnosi differenziale in questi due casi deve essere posta con un MPD da CDIS; tuttavia la morfologia delle cellule di Paget, l’assenza di carcinoma duttale in situ e invasivo (nel caso 1), la cancerizzazione dei dotti galattofori da parte del carcinoma lobulare (nel caso 2), la negatività per HER2 e caderina E e la positività per i recettori ormonali supportano la diagnosi di MPD da carcinoma lobulare in situ. Viste le basse atipie citologiche le cellule di tipo lobulare in MPD potrebbero essere confuse con le cellule di Toker che risiedono normalmente in tale sede e che risultano CK7 e caderina E positive. Bibliografia 1 Sahoo S, et al. Arch Pathol Lab Med 2002;126:90-2. Miofibroblastoma della mammella: descrizione di un caso G. Ingravallo, A. Cimmino, A. Napoli, M.A. Bruno*, A. Colagrande, C. Giardina Dipartimento di Anatomia Patologica, Università-Policlinico di Bari; * Servizio di Anatomia Patologica, ASL Matera-4 Introduzione. Il miofibroblastoma (MFB) della mammella è una neoplasia benigna dei tessuti molli, con maggiore incidenza nell’uomo anziano. Lesioni con morfologia e immunofenotipo simili al MFB mammario possono essere osservate anche in sedi extramammarie, soprattutto nella regione inguinale. Metodi. Uomo di 67 anni con nodulo mammario palpabile del diametro di circa 1 cm, mobile osservato da alcuni mesi. Non erano presenti alterazioni cutanee né linfoadenopatie regionali. Il paziente fu sottoposto ad agoaspirazione eco-giudata del nodulo. Risultati. L’esame citologico si presentava ricco in cellule prevalentemente di tipo fusato sia riunite in clusters che disperse, con frequenti dismorfie e dismetrie nucleari. Il giudizio conclusivo fu: positivo per malignità (C5). In base a ciò, il paziente fu sottoposto a mastectomia. Il tumore appariva come un nodulo ben circoscritto del diametro di 1,2 cm. Esame istologico: la lesione circoscritta, non capsulata, era costituita da cellule prevalentemente fusate disposte in fascetti con aspetti a palizzata suggestivi per un neurinoma. Le cellule in prevalenza avevano nuclei allungati con cromatina finemente dispersa e rari nucleoli. Tra queste erano, inoltre, presenti cellule con nuclei grandi e con un elevato grado di pleomorfismo. Si osservava una ricca componente vascolare con diffusa fibrosi perivascolare. Assenti le figure mitotiche. Nella lesione mancavano strutture ghiandolari mammarie. Immunoistochimica: il tumore mostrava diffusa positività per vimentina, CD99, bcl2 e recettori estrogenici, focale positività per actina muscolo liscio e CD34; risultava negativo per citocheratine, EMA e proteina S-100. Viene posta diagnosi di MFB mammario. Conclusioni. Il MFB mammario appartiene al gruppo di neoplasie a cellule fusate costituite da una popolazione cellulare Vimentina+/CD34+ al quale appartengono anche il fibroma, 265 il tumore stromale miogenico, il tumore fibroso solitario e il lipoma a cellule fusate. In questo caso la presenza di atipie cellulari, rilevate anche all’esame citologico, ha portato ad “overtreatment” chirurgico della lesione. L’aspetto istologico di questa ha posto problemi di d.d. in primo luogo con il neurinoma, ed anche, con le altre neoplasie a cellule fusate. Questi, pur mostrando un vario grado di eterogeneità morfologica e immunofenotipica, hanno un comportamento biologico benigno. Essenziale è la d.d. dal carcinoma a cellule fusate e dalla fibromatosi localmente aggressiva. “Matrix-producing carcinoma” con necrosi centrale: descrizione di un caso A. Festa, P. Cossu Rocca, F. Pili, M. Contini, A. Mura, N. Caragliu*, V. Marras, G. Massarelli Istituto di Anatomia ed Istologia Patologica, Università di Sassari; * Servizio di Radiologia, Ospedale Conti, Sassari Introduzione. Il “matrix-producing” carcinoma (MPC) è una rara variante di carcinoma metaplasico eterologo della mammella caratterizzato da una transizione diretta tra la componente carcinomatosa e la matrice cartilaginea/ossea, senza una componente intermedia a cellule fusate od osteoclastica; inoltre, la componente carcinomatosa può esprimere un immunofenotipo mioepiteliale. La presenza di necrosi centrale è già stata descritta da Wargotz et al. nel 1989 in un’ampia serie di MPC. Recentemente, è stata individuata una nuova entità, denominata “carcinoma duttale infiltrante ad alto grado con ampia area centrale acellulata”, caratterizzata da un fenotipo basalioide-mioepiteliale e da necrosi centrale che occupa più del 30% della massa neoplastica. Tale entità mostra pertanto forti similitudini con il MPC, per quanto si differenzi in termini prognostici. Metodi. Il caso è relativo ad una paziente di 68 anni sottoposta a mastectomia totale sinistra con linfadenectomia per la presenza di due noduli palpabili, di 1 cm ed 1,5 cm, localizzati rispettivamente in sede subareolare e nel QII, mammograficamente radiopachi e a margini circoscritti, risultati positivi per malignità all’esame citologico. Risultati. L’istologia mostra due neoformazioni nodulari, circoscritte, caratterizzate da un’area periferica costituita da una proliferazione solida di elementi atipici in continuità con una componente condroide a stroma mixoide. L’area centrale appare ampiamente necrotica. I linfonodi esaminati sono risultati negativi. Le analisi immunoistochimiche hanno evidenziato diffusa positività negli elementi neoplastici per CK7, EMA, S100 e focale per e-cadherin, actina, calponina, CD10, p63, CK5/6. Negativi i recettori ormonali e Her2. Conclusioni. Il nostro caso mostra morfologia ed immunofenotipo compatibili con un MPC e si caratterizza per l’inusuale presenza di due distinti foci neoplastici. La presenza di ampia necrosi centrale e l’espressione di markers mioepiteliali sono peraltro caratteristici anche del carcinoma ad alto grado con area centrale acellulata, che viene però associato ad una prognosi infausta per l’elevata incidenza di metastasi cerebrali o polmonari. Nel nostro caso, a distanza di 3 anni dall’intervento, la paziente non ha mostrato ripresa di malattia. È auspicabile la raccolta di una più ampia casistica di tali lesioni, in modo da definire ulteriori criteri morfologici ed immunofenotipici distintivi che ne consentano un corretto inquadramento clinico-patologico. PATHOLOGICA 2007;99:266-271 Patologia molecolare Statistical analysis of RT-PCR human mammaglobin detection for diagnosis of pleural effusion from breast cancer patients Clinical significance of human mammaglobin mrna expression in peripheral blood of breast cancer patients by RT-PCR N. Gorji, P. Ferro*, M.C. Franceschini, B. Bacigalupo, P. Dessanti, A. Giannico, M. Moroni, L. Pietra, M.P. Pistillo**, S. Roncella, F. Fedeli N. Gorji, P. Ferro*, M.C. Franceschini, B. Bacigalupo, P. Dessanti, E. Falco**, A. Giannico, D. Gianquinto**, M. Moroni, L. Pietra, S. Roncella, F. Fedeli U.O. di Anatomia ed Istologia Patologica, ASL 5, La Spezia; * Associazione Italiana Leucemie Linfoma e Mieloma, Sezione “Francesca Lanzone”, La Spezia; ** Unità di Ricerca Traslazionale A, Istituto Nazionale Ricerca Cancro (IST), Genova, Italia U.O. di Anatomia ed Istologia Patologica, ASL 5 La Spezia; * Associazione Italiana Leucemie Linfoma e Mieloma, Sezione “Francesca Lanzone”, La Spezia; ** Dipartimento di Chirurgia ASL 5 La Spezia, Italia Introduction. Detection of breast cancer (BC) cells in pleural effusions (PE) is usually achieved by routine cytomorphology. However, the diagnosis of PE by this methodology shows scarce sensitivity thus requiring more sensitive and specific techniques. Recently, polymerase chain reaction (PCR) has been proposed to improve the diagnostic accuracy of PE. The aim of this study was to investigate the possible application of a nested RT-PCR for human mammaglobin (hMAM) mRNA detection in the diagnostic evaluation of PE. Accurate statistical analysis of the results obtained and a comparative analysis with cytology was performed. Methods. Twohundred and fifty PE samples including 32 from patients who had diagnosis of BC, 116 from patients with other cancers and 102 from patients with benign diseases were subjected to nested RT-PCR for hMAM. Diagnostic performance of hMAM RT-PCR was based on binomial distribution while comparison between correlated proportions was assessed through MCNemar test. Two-tailed pvalue < 0.05 was considered as statistically significant. Results. hMAM was found expressed in 76/250 (30.4%) total PE and in 23/28 (sensitivity of 82.1%) of the PE subgroup due to metastasis from BC. The specificity for hMAM detection method was 75.7%, while accuracy (Ac), positive predictive value (PPV) and negative predictive value (NPV) were 76.4%, 30.3% and 97.1%, respectively. hMAM was also detected in 46/116 (39.6%) PE specimens from other types of cancer and in 7/102 (6.8%) from benign diseases. Comparative analysis of RT-PCR and cytology showed that 14 PE samples from metastatic BC (50%) were positive by both PCR and cytology, 9 (32.1%) were positive only by PCR and 5 (17.9%) were negative by both tests whereas no cases were found of positive cytology with negative PCR. RT-PCR increased sensitivity of BC effusion detection of 32.1% (McNemar test p-value = 0.004). Conclusions. The RT-PCR methodology, developed for this study, has provided a rapid, reproducible and cost-effective hMAM analysis test for BC diagnosis of PE. Moreover, RTPCR for hMAM test was more sensitive but less specific than cytomorphology. We conclude that this test may be useful in adjunct to cytology for the routine screening of malignant BC effusions. Introduction. Breast cancer (BC) has been shown to shed tumor cells into the peripheral blood (PB) at the earliest stages of primary tumor development. These malignant cells are potentially able to form metastasis so that their early detection may have important therapeutic and prognostic implication. Human mammaglobin (hMAM) has recently been recognized as a breast associated glycoprotein and proposed as a marker for BC micrometastasis detection. However, hMAM expression in PB has been investigated in a relatively small number of patients and its correlation with others prognostic marker is controversial and must be further evaluated. The aim of our study was to assess the possible association of hMAM mRNA expression in PB with the patient’s characteristics and the recognized prognostic parameters of BC. Methods. Five ml of PB sample was drown in EDTA from the following subjects: healthy volunteers, patients with benign breast pathology before surgery and BC patients before treatment who underwent surgery. Total RNA was extracted from peripheral mononuclear cells separated by density gradient centrifugation and reverse transcribed into cDNA. RT-PCR amplifications were performed with primers specific for hMAM mRNA. Fisher’s exact test was used to evaluate the correlation between age of patients, type and size of tumor, nodal stage, histologic grade, c-erbB2 expression, Ki67 labelling index, estrogen and progesterone receptors status. Results. All samples from 66 healthy blood donors and 151 patients with benign breast disease were hMAM negative as assessed by nested RT-PCR. In contrast, hMAM was detected in 16/137 (12%) of BC patients. Statistical analysis demonstrated that the proportion of hMAM positive specimens correlated with tumor size (Fisher’s exact test p-value < 0.0001), nodal stage (Fisher’s exact test p-value < 0.003) and histological grade (Fisher’s exact test p-value < 0.027). On the contrary, no association was found with other parameters evaluated. Conclusions. The results of our study show that the hMAM RT-PCR assay has high specificity and low sensitivity for detection of BC cells in PB, as reported by other authors. However, the test is important because the positivity of hMAM expression identifies a subset of patients under-going poor prognosis. Other studies are needed to better understand the clinical significance of this finding and define its application in the management of BC patients. POSTERS Caratterizzazione del gene HER2 nel tumore della mammella A. Michelucci, P. Collecchi, S. Gelmini*, C. Orlando*, G. Bevilacqua, A. Cavazzana Dipartimento di Oncologia, Divisione di Anatomia Patologica e di Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Università di Pisa ed Azienda Ospedaliera Pisana, Pisa; * Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Università di Firenze ed Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze Introduzione. Un’iperespressione del recettore di membrana HER2 è documentata nel 25% dei tumori mammari ed è attribuibile nel 90% dei casi all’amplificazione del gene che correla con una prognosi peggiore, ma permette di selezionare le pazienti da sottoporre a terapia con erceptina. Quest’ultimo farmaco è un anticorpo monoclonale diretto in modo specifico contro il recettore. Determinare correttamente lo stato di HER2 è quindi essenziale; i test comunemente utilizzati sono l’immunoistochimica per la proteina e l’ibridazione in situ interfasica per il gene. In questo studio sono stati inoltre valutati i livelli di mRNA e sono stati correlati con i risultati ottenuti con le metodiche precedenti. Metodi. HER2 è stato caratterizzato per i livelli di espressione trascrizionali e proteici, ma anche per il numero di copie del gene in 100 tumori mammari sporadici consecutivi. I livelli di mRNA sono stati valutati con real-time RT-PCR ed i livelli di proteina mediante IHC; il numero di copie del gene è stato determinato con la FISH. Risultati. Confrontando i livelli di mRNA e proteina di HER2 è emerso che il gruppo 3+ ha un’espressione trascrizionale più elevata rispetto al gruppo 0-1+. Confrontando poi i livelli di mRNA con il numero di copie del gene HER2 è emersa la significativa associazione tra livelli trascrizionali e amplificazione. È stata evidenziata una buona concordanza tra i risultati ottenuti con IHC e FISH, ma il livello di espressione di mRNA correla meglio con lo stato di amplificazione genica che con l’espressione proteica. Infatti, 2 dei 3 falsi negativi hanno valori di espressione molto superiori rispetto alla media di espressione del gruppo 2+ e i 2 casi falsi positivi hanno valori di espressione molto inferiori rispetto alla media di espressione del gruppo 3+. I valori medi di espressione genica sono maggiori di un fattore 100 nel gruppo amplificato rispetto a quello non, ma la dispersione dei valori all’interno del gruppo amplificato è molto ampia per cui il gruppo positivo, e quindi adatto alla terapia con Erceptina, è eterogeneo per l’espressione genica. Conclusioni. È stata evidenziata una buona concordanza tra la tecnica IHC e le tecniche molecolari quali real-time PCR e FISH; inoltre, i livelli trascrizionali di HER2 potrebbero rappresentare un ideale complemento alle indagini di inquadramento prognostico-terapeutico, IHC e FISH, del carcinoma mammario, in considerazione dell’estrema variabilità dei valori di mRNA nel gruppo amplificato. 267 Expression of lactoferrin MRNA in human breast cancer cells selected by lasermicrodissection G. Giuffrè, S. Penco*, A. Simone, V. Barresi, G. Tuccari Department of Human Pathology, University of Messina, Italy; * Department of Laboratory Medicine, Medical Genetics Unit, “Niguarda-Cà Granda” Hospital, Milan, Italy Introduction. Lactoferrin (Lf), a 80 kDa basic glycoprotein, is a member of the transferrin family of iron-binding proteins which is coded by a gene present in the short arm of chromosome 3 (3p); transcription of the Lf gene leads to two products, Lf and ∆-Lf mRNAs. Multiple functions have been proposed for Lf, such as iron transport, storage and chelation, regulation of cell growth, the host defense against bacterial and viral infections, and modulation of the inflammatory response. The immunomodulatory activity of Lf seems to play an antitumoral and antimetastatic role; in fact, an oral administration of bovine Lf to rodents significantly reduces tumorigenesis in different organs. Moreover a deregulation of Lf expression has been documented in vivo and in vitro in some tumours and the 3p21.3 region is one of the most frequently lost in various cancers, comprising that of breast. In order to investigate Lf and ∆-Lf mRNAs expression exclusively in human breast cancer cells, we have performed a study utilizing a laser-assisted tissue microdissection procedure that avoids cellular contamination due to tissue heterogeneity. Methods. On cryostatic sections of 15 human breast cancers obtained at surgery and post-fixed with ethanol we applied laser-microdissection procedure using a Leica AS LMD system (Leica Microsystems, Germany). From each section stained with Haematoxilin-Eosin, a variable number of neoplastic epithelial cells (from 300 to 600) has been harvested in different PCR tubes. RNA extraction has been performed by RNeasy Micro Kit (Qiagen); successively, using the 1st Strand cDNA Synthesis Kit for RT-PCR (Roche Applied Science), RNA has been reverse transcribed into single-stranded cDNA. Finally, cDNA has been amplified utilizing primer pairs designed for the specific detection of target sequences of human Lf, its alternative isoform ∆Lf as well as β-actin. Results. All samples showed expression for β-actin. Sufficient cDNA for Lf amplification has been obtained starting from 300 epithelial cells. Lf mRNA has been detected in 14/15 breast cancer samples, with an occasional ∆Lf expression in 2/15 cases. Conclusions. The Lf expression by us documented in a selected cellular population of breast cancer suggests a maintained quite constant evidence of Lf, although the ∆Lf isoform appears to be downregulated. Finally, the laser microdissection may be considered a valid tool to perform a precise Lf molecular analysis. POSTERS 268 GCET1 expression in endemic Burkitt lymphoma. Correlation with EBV status and IGH mutation pattern C. Bellan, S. Lazzi, M. Cocco, T. Amato, N. Palummo, G. De Falco, E. Leucci, S. Mannucci, P. Tosi, M. Piris*, L. Leoncini Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università di Siena, Italy; * Centro Nacional de Investigaciones Oncologicas (CNIO), Madrid, Spain Introduction. GCET1 (centerin, serpin A9) is a gene induced in B cells by CD40-CD40L interaction and suspected to play an important role in GC-B cell development 1. Previous studies have shown that expression of GCET1 is primarily restricted to GC B-cells (centroblasts and large centrocytes but not small centrocytes). The normal counterpart of the neoplastic B cells in Burkitt lymphoma (BL) is still unclear. Basing on immunoglobulin gene rearrangement studies, some authors suggest an origin from germinal center B cells and others from memory B cells 2. To better clarify the cells of origin in BL we analysed GCET1 expression on 38 endemic BL, and we correlated its expression with EBV status and immunoglobulin gene mutation pattern of these cases. Materials and methods. All cases were classified as eBLs according to WHO criterias. IHC for GCET1 expression and ISH for EBERs were performed on consecutive sections according to the manufacturers. Groups of 5-7 GCET1 positive cells were taken through LCM. Following overnight digestion, the lysate was directly used as a template in a semi-nested PCR amplification for VH gene rearrangements analysis. The PCR products were subsequently cloned and sequenced in both directions. Only sequences showing a perfect homology were chosen for comparison with germline sequences from ImmunoGeneTiCs database. VH genes were considered mutated if they differed 2% or more from the corresponding germ line sequence. Results. We found that GCET1 expression was significantly correlated with EBV status. In fact, of 31 EBV positive eBLs, 29 did not shown evidence of GCET1 expression, while 5 out of seven EBV negative eBLs actively expressed the gene. This finding was further supported by the analisys of VH genes (Tab. I), which highlighted a A9- higher degree of mutation either between EBV+ and EBV- B cases. Conclusions. All together these results again suggested that EBV-positive and EBV-negative BL might originate from distinct subsets of B cells, pointing to a particular role for the germinal center reaction in the pathogenesis of these tumors. The immunoglobulin gene mutation patterns of further single Tab. I. EBV-/A9+ EBV-/A9EBV+/A9+ EBV+/A9- Range of mutations Average mutation frequency (mean) Antigen selection 1-7 6-9 7-8 5-25 1.7 2.9 3.1 5.1 0/5 0/2 0/2 9/29 GC A9+ and A9- cells will be analysed and compared to that of BL to confirm the results. References 1 Frazer JK, et al. Eur J Immunol 2000;30:3039-48. 2 Bellan C, et al. Blood 2005;106:1031-6. Correlazione nei tumori ovarici tra stato di metilazione dei geni RASSF1A e BRCA1 e grado di differenziazione M. Carosi, G. Chichierchia, E. Vizza*, G. Cutillo*, A. Savarese**, A. Papatantonakis, A. Marsella***, L. Perracchio*, P. Visca, F. Marandino, R. Perrone Donnorso S.C. Anatomia e Istologia Patologica, Istituto “Regina Elena”, Roma; * Ginecologia Oncologica, Istituto “Regina Elena”, Roma; ** Oncologia Medica A, Istituto “Regina Elena”, Roma; *** Radiologia Istituto “Regina Elena”, Roma Gli eventi molecolari responsabili della carcinogenesi nell’epitelio ovario non sono ancora tutti noti e nonostante i miglioramenti terapeutici e chirurgici la sopravvivenza al termine, per le pazienti soprattutto con malattia avanzata, resta piuttosto deludente. Tutto ciò è dovuto principalmente alla nostra poca abilità nello scoprire i tumori nei loro stati precoci e pertanto nuove strategie volte ad individuare nuovi markers debbono essere trovate. Infatti le neoplasie ovariche includono vari istotipi con caratteristiche isto-morfologiche differenti e pertanto di difficile valutazione prognostica. La metilazione del DNA risulta essere un importante regolatore della trascrizione genica ed il suo ruolo nella carcinogenesi ha suscitato considerevole interesse negli ultimi anni nell’ambito dell’insorgenza di molte neoplasie. Infatti l’ipermetilazione come modificazione epigenetica che reprime la trascrizione dei geni coinvolti nella soppressione del tumore è stato ampiamente studiato. Lo scopo di questo studio è di valutare lo stato di metilazione del promotore dei geni RASSF1A e BRCA1 in vari tipi e fasi di tumori epiteliali ovarici per valutare se sia possibile individuare nuovi markers per i quali ideare nuovi farmaci che possano interferire con gli eventi evolutivi della cellula neoplastica, con una maggiore selettività del tumore ed al tempo stesso una minore tossicità. Nel nostro studio sono stati analizzati 40 tumori epiteliali ovarici in un range che va dai cistoadenomi benigni, tumori a basso potenziale di malignità e carcinomi (10 cistoadenomi; 12 tumori a basso potenziale di malignità e 18 carcinomi) usando il metodo della metilazione-specifica PCR. In considerazione dei dati finora ottenuti si e potuto vedere che il promotore del gene RASSF1A risulta metilato soprattutto nei tumori a basso potenziale di malignità e nei carcinomi; mentre il promotore del gene BRCA1 risulta essere metilato prevalentemente nei carcinomi. POSTERS Carcinoma mammario: correlazione tra lo stato recettoriale (ER-alfa negativi) e metilazione del gene M. Carosi, G. Chichierchia, A. Pennetti, M. Diodoro, R. Covello, S. Sentinelli, P. Visca, F. Marandino, R. Perrone Donnorso S.C. Anatomia e Istologia Patologica, Istituto “Regina Elena”, Roma Il tentativo di colpire la cellula tumorale attraverso l’utilizzo di trattamenti ormonali e da considerarsi la più vecchia ma al tempo stesso la più attuale. La risposta alla terapia ormonale rappresenta un fattore determinante per il carcinoma della mammella ed è strettamente correlata con lo stato recettoriale delle cellule tumorali. Per questo motivo le ricerche sono concentrate su quei meccanismi che regolano l’espressione di recettori ormonali presenti nei tessuti sani e tumorali per poter ottenere elementi innovativi per quanto riguarda gli aspetti prognostici e terapeutici. Pazienti con carcinomi poco differenziati possono non esprimere recettori ormonali e sono associati ad un andamento clinico peggiore. Inoltre si è visto che pazienti con recettori ormonali negativi sono meno sensibili alla terapia ormonale. Sebbene i meccanismi che possono causare la perdita di espressione dei recettori ormonali sono diversi, quali mutazioni, polimorfismi, la causa predominante è la metilazione del promotore di alcuni geni tra cui alfa-ER. Partendo da questo presupposto abbiamo preso in considerazione 20 pazienti con carcinomi mammari ER- negativi ed abbiamo analizzato lo stato di metilazione del promotore del gene ER-alfa. In base ai nostri risultati si e visto che circa il 70% delle pazienti risultava avere il promotore del gene metilato. Pertanto in base ai risultati ottenuti si può ipotizzare che esiste una correlazione tra lo stato recettoriale e metilazione e questo ci potrebbe permettere di individuare un ulteriore markers per il quale disegnare un trattamento farmacologico alternativo e sicuramente più efficace. Instabilità dei microsatelliti ed espressione delle proteine del mismatch repair nel carcinoma endometriale R. Gafà, A. Gaban, I. Maestri, E. Grandi, L. Cavazzini, G. Lanza Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di Anatomia Istologia e Citologia Patologica, Università di Ferrara Introduzione. Il carcinoma endometriale (CE) è la neoplasia con la più elevata frequenza di instabilità dei microsatelliti (MSI), determinata da metilazione del promoter di MLH1 nelle forme sporadiche e da mutazioni dei geni MLH1, MSH2 e MSH6 nelle forme ereditarie. Numerosi aspetti relativi alle caratteristiche clinico-patologiche ed alla diagnostica di questi tumori devono ancora essere definiti. Metodi. Lo studio è stato condotto su una serie consecutiva di 123 CE diagnosticati negli anni 2002-2004. L’analisi genetica della MSI è stata effettuata su DNA estratto da campioni tissutali fissati in formalina ed inclusi in paraffina con metodica di PCR fluorescente, utilizzando i markers del panel di Bethesda (BAT26, BAT25, D2S123, D5S346, D17S250) ed il BAT40. In alcuni casi sono stati utilizzati an- 269 che i markers NR21, NR22 ed NR24. I tumori con instabilità in > 30% dei loci esaminati sono stati classificati come MSIH, quelli con instabilità in < 30% dei loci come MSI-L, e quelli senza instabilità come MSS. È stata valutata inoltre la espressione immunoistochimica delle proteine MLH1, MSH2 ed MSH6. Risultati. Del totale dei casi, 82 (66,7%) sono stati classificati come MSS, 4 (3,2%) come MSI-L e 37 (30,1%) come MSI-H. Dei 114 casi risultati valutabili alla analisi immunocitochimica, 76 (66,7%) hanno evidenziato normale reattività nucleare per tutte e tre le proteine (MMRP+), mentre 38 (33,3%) hanno presentato perdita di espressione di almeno una delle proteine (MMRP-). In particolare, in 29 tumori è stata osservata perdita di espressione di MLH1, in 4 perdita combinata di espressione di MSH2 e di MSH6 ed in 5 perdita selettiva della espressione di MSH6. Nel complesso, è stata rilevata una buona concordanza dei risultati ottenuti con le due metodiche (p < 0,001). Infatti, 74 dei 76 tumori MMRP+ sono risultati MSS, uno MSI-L ed uno MSI-H, mentre dei 38 carcinomi MMRP- 33 sono stati classificati come MSI-H, 3 come MSI-L e 2 come MSS. Non sono state riscontrate correlazioni significative tra espressione delle proteine del mismatch repair (MMR) o status MSI e parametri clinico-patologici, quali età, grado, istotipo e stadio. Conclusioni. I risultati ottenuti indicano che deficit del MMR è di frequente riscontro nel CE e che un numero significativo di CE sembra insorgere su base ereditaria per alterazioni dei geni MSH2 e MSH6. A differenza del colon-retto, infine, i CE MSI-L presentano spesso perdita di espressione delle proteine del MMR. Up-regulation of the HIF-1 transcriptional pathway in colorectal carcinomas R. Cerutti, D. Furlan, N. Sahnane, I. Carnevali, S. Uccella, A.M. Chiaravalli, V. Bertolini, F. Bertoni*, I. Kwee*, C. Capella Department of Human Morphology, Section of Anatomic Pathology, University of Insubria and Ospedale di Circolo, Varese, Italy; * Lab Experimental Oncology, Oncology Institute of Southern Switzerland Introduction. Hypoxia-inducible factor-1 (HIF-1) regulates gene expression in critical pathways involved in tumor growth and metastases. Methods. The expression of HIF-1α and thirteen HIF-1 target genes regulating energy metabolism (AMF, CAIX), angiogenesis (VEGF, VEGFR1, VEGFR2), cell motility and survival (HGF, MET, TGFα, EGFR, IGF2, MMP2, PLAUR, NIX) was quantified by real time PCR in 78 formalin-fixed and paraffin-embedded specimens of invasive colorectal carcinomas and in 10 samples of normal colorectal mucosa. The aim of this study was to evaluate whether the expression levels of HIF-1α and/or HIF-1 target genes could be useful as independent predictors of poor outcome for patients with colorectal carcinomas. A second purpose was to test the feasibility of a multi-marker real time PCR assay using archival tissue blocks to stratify these patients in a low and a high risk group. Tumor samples were selected in order to include three groups of patients with different 5-year disease-free survival rates: 18 colorectal carcinomas with microsatellite instability, 42 colorectal carcinomas without MSI and 18 poorly differentiated endocrine carcinomas (PDECs). 270 Results. A general up-regulation of HIF-1α and its target genes was observed in cancer compared with normal samples, with mRNA expression increases by 2- to 1500-folds. High levels of HIF-1α were significantly associated with poor histological grade (p < 0.05) and histological type of PDECs (p < 0.001). A two-way unsupervised hierarchical clustering applied to the full expression data stratified all samples in two main branches: cluster I including “normal-like” cancer samples and cluster II separating tumor samples with significantly higher expression levels of all genes examined. This second group comprised 16 out of 18 PDECs and the univariate analysis showed a significant decrease of overall survival for patients of cluster II compared with patients of cluster I (p < 0.04). The univariate analysis showed that poor overall survival was significantly correlated with: poor histological grade (p < 0.002), histological type of PDECs (p < 0.001), advanced tumor stage (p < 0.001), presence of lymph node metastases (p = 0.0017), and high expression levels of TGFα (p < 0.001) and NIX (p < 0.01). The multivariate analysis showed that advanced stage, presence of lymph node metastases and high levels of TGFα had an independent effect on survival (p < 0.006; p < 0.01; p < 0.0006). Gene expression data were used to calculate a predictive score of overall survival that stratified the patients in a low and a high risk group (p < 0.0006). Conclusions. These findings suggest an up-regulation of the HIF-1 transcriptional pathway in colorectal carcinomas and confirm in vivo its association with tumor growth and aggressiveness. A quantitative real time PCR assay can be used as a sensitive diagnostic technology to measure mRNA from archival tissue blocks. Analisi dell’espressione e dello stato genico di EGFR nel carcinoma colorettale: confronto S. Crippa, V. Martin, A. Camponovo, M. Ghisletta, S. Banfi, L. Lunghi-Etienne, L. Mazzucchelli, M. Frattini Istituto Cantonale di Patologia, Locarno, Svizzera Introduzione. Cetuximab è un nuovo farmaco nel trattamento del carcinoma colorettale metastatico (mCRC). I criteri per la somministrazione del farmaco includono l’immunoreattività per EGFR, bersaglio molecolare di cetuximab, nel cancro primitivo. Tuttavia, il cancro primitivo potrebbe mostrare un profilo molecolare distinto da quello della rispettiva metastasi. Scopo del presente lavoro è confrontare il grado di espressione e lo stato genico di EGFR tra i cancri primitivi e le rispettive metastasi. Metodi. Abbiamo analizzato l’espressione proteica tramite il kit PharmDx (Dako) e lo stato genico di EGFR tramite FISH utilizzando le sonde LSI EGFR/CEP7 (Vysis) in 32 cancri primitivi consecutivi e nelle rispettive metastasi (sincrone o metacrone) di pazienti affetti da mCRC, operati dal 2004 al 2006. Un campione è definito amplificato per EGFR quando l’amplificazione genica è stata osservata in almeno il 10% delle cellule. La marcata polisomia è definita quando almeno 3 copie del cromosoma 7 sono osservate in più del 50% delle cellule. Per ogni campione sono state valutate almeno 100 cellule. Risultati. A livello immunoistochimico abbiamo osservato immunoreattività per EGFR in 31 casi (97%). L’espressione della proteina non cambia confrontando il cancro primitivo con la rispettiva metastasi. All’indagine FISH effettuata sui cancri primitivi abbiamo osservato disomia in 11 casi (34%), POSTERS marcata polisomia in 13 casi (41%), amplificazione genica in 7 casi (22%) e perdita del cromosoma 7 in 1 caso (3%). Nel confronto con le rispettive metastasi, 17 casi hanno mostrato lo stesso pattern, mentre differenze sono state osservate in 15 pazienti. Di questi, 5 casi con polisomia o amplificazione nel cancro primitivo hanno mostrato disomia o polisomia nelle metastasi, probabilmente a causa della scarsa rappresentatività della biopsia; 10 casi con disomia del cromosoma 7 nel cancro hanno mostrato polisomia o amplificazione di EGFR nelle metastasi, indice di progressiva deregolazione genica. Non c’è alcuna correlazione tra stato genico ed espressione proteica di EGFR. Conclusioni. I nostri dati indicano che l’indagine FISH limitata al cancro primitivo può sottostimare il numero di pazienti potenzialmente rispondenti al trattamento con cetuximab; pertanto è opportuno esaminare anche il campione metastatico nei pazienti il cui cancro primitivo mostra disomia per il cromosoma 7. Il-6 dependent clusterin-Ku-Bax interactions: apoptosis inhibition and tumor progression. New in situ and serological marker S. Pucci, P. Mazzarelli, F. Sesti, E. Bonanno, L.G. Spagnoli Department of Biopathology, University of Rome “Tor Vergata”, Italy Introduction. Several experimental data have shown a strong correlation between the presence of the different isoforms of clusterin and tumoral progression. The disappearance of the proapoptotic form and the overexpression of the cytoplasmic isoform marks the transition from normal cell to neoplastic phenotype. Pro-inflammatory cytokines such as TGFβ and IL-6 influence the transcription of this protein. TGFβ influences directly clusterin promoter inducing the activation of the transcription factor AP1. The action of the IL6 on the clusterin gene transcript has not been clarified at molecular level yet. Several experimental evidences underline an increased production of IL-6 and TGFβ in tumor progression. It has been observed that the levels of circulating IL-6 increases in relationship to tumoral mass. Methods and results. We have focused our attention on defined pathways that underlie the promotion, initiation and progression of colon cancer. In particular we examined the relationship among IL6, clusterin isoforms expression pattern shift, Ku and Bax interactions in human colon tumorigenesis. Besides the acquisition of aggressiveness in colon carcinoma we observed that the overexpression of the secreted form (sCLU) and disappearance of the pro apoptotic clusterin isoform, strongly correlates to the inhibition of apoptosis and the loss of DNA repair activity of the complex Ku70/80. Moreover we observed an increase in the level of this protein in the serum and in stools of colon cancer patients as compared to the control suggesting a strong realease of sclusterin in the cripta lumen. Preliminary results obtained by ELISA confirmed that patients affected by colon cancer have a strong increase of clusterin in blood and in stools and this level correlated with the IL-6 level suggesting a possible twin set of new non invasive diagnostic markers. Conclusions. Hence, in colon cancer biopsies we found the loss of Ku80 and Ku70 protein translocated from the nucleus to the cytoplasm where it sterically inhibits cell death induction. These interactions in colon tumorigenesis are partially POSTERS driven by IL-6 that influence the Clu-Ku-Bax interaction. These data may provide valuable information on cancer progression and apoptosis induction in colon carcinoma and could suggest new strategies in the development of therapeutics that control apoptosis-related diseases. Carnitine palmitoyl transferase I in human carcinomas: a novel role in histone deacetylation? P. Mazzarelli, S. Pucci, E. Bonanno, F. Sesti, M. Calvani*, L.G. Spagnoli Dipartimento di Biopatologia, Istituto di Anatomia Patologica, Università di Tor Vergata, Roma, Italia; * Dipartimento Scientifico, Sigma Tau S.p.a. Pomezia, Italia Introduction. Carnitine palmitoyl transferase I (CPT1) catalyzes the transport of long-chain fatty acids into mitochondria for β-oxidation. A link between CPT1 and apoptosis has been suggested on the basis of several experimental data. Nevertheless, results are contradictory about the effective role of CPT1 in cell survival control and cancer development. Conversely, Fatty acid synthase (FAS) enzyme, required for the synthesis of fatty acids, is found over-expressed in tumours and inhibition of FAS triggers apoptosis in human cancer cells. Methods. We have studied the tumour-specific modulation of CPT1 and FAS in human colorectal cancer (n = 11) and 271 breast carcinomas (n = 24) by immunohistochemistry on tissue microarrays. We also performed in vitro experiments using epithelial neoplastic (MCF-7, Caco-2, HepG2 cells) and non neoplastic cell lines (MCF-12F), analyzing CPT1 expression by immunocytochemistry and western blot. In the nuclear environment the protein would modulate the levels of acetyl/acyl-CoA implicated in the regulation of gene transcription. To clarify the role of nuclear CPT1, neoplastic and control cells were treated with inhibitors of histone deactylase (HDAC), butyrate and trichostatin A. Then, CPT1 protein expression and the immunoprecipitation with histone deacetylase protein were evaluated in treated cells. Results. CPT1 was significantly decreased in the cytoplasm of tumoural samples (p ≤ 0.04), whereas FAS was increased (p ≤ 0.04). A striking CPT1 nuclear localization was evident in tumours (p ≤ 0.04) and in neoplastic cells. Histone deacetylase (HDAC) activity showed significantly higher levels in nuclear extracts from neoplastic than from control cells. HDAC1 and CPT1 proteins co-immunoprecipitated in nuclear extracts from MCF-7 cells. Moreover, the treatment with HDAC inhibitors significantly decreased nuclear expression of CPT1 and its bond to HDAC1. We also identified the existence of CPT1A RNA transcript variant 2 in MCF-7, beside to the classic isoform 1. Conclusion. The peculiar localization of CPT1 in the nuclei of human carcinomas and the disclosed functional link between nuclear CPT1 and HDAC1 propose a new role of CPT1 in the histonic acetylation level of tumours. PATHOLOGICA 2007;99:272-276 Patologia orale Flow cytometric analysis of dna ploidy using oral scrapings of potentially malignant oral lesions Correlazioni tra citologia esfoliativa e microistologia del cavo orale: analisi di una nuova metodica di prelievo A. Demurtas*, I. Rostan**, A. Marsico**, M. Pentenero, S. Gandolfo, R. Navone** A. Marsico, I. Rostan, P. Burlo**, M. Pentenero*, S. Gandolfo*, R. Navone Department of Biomedical Sciences and Human Oncology; Oral Medicine Section and * Pathology Section, University of Turin, Italy; ** UOADU Pathology 2, ASO “S. Giovanni Battista”, Turin, Italy Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana dell’Università di Torino, Sezione di Anatomia Patologica e di * Medicina Orale, e ** S.C. Anatomia Patologica 1, ASO “San Giovanni Battista”, Torino Introduction. Survival rate for oral squamous carcinoma is not only lower than that of the more common tumours but, above all, has not improved over the last 25 years, as it is often diagnosed in advanced stages. Late diagnosis may depend on the diagnostic difficulty: indeed, the variability of the histological diagnosis of dysplasia on oral squamous lesions is higher than in other sites. Moreover, the histo-cytological findings of oral dysplasia indicate no more that a lesion has an increased risk of malignant change, but this cannot used for confident prediction in any individual case, as carcinoma can develop from lesions in which epithelial dysplasia has not been diagnosed in previous biopsies. DNA content has been reported to be a reliable marker in oral oncology for both malignant and pre-malignant lesions, but intra-tumoral ploidy heterogeneity is high (12-45% in squamous cell carcinoma) suggesting that it is far from easy to analyse correct DNA content on only one specimen. Therefore, we propose the application of a sampling technique that uses a dermatological curette to collect cells representative of the whole visible lesion. Our study included the comparison of DNA ploidy results and cytological and histological (scalpel biopsy) diagnosis in potentially malignant oral lesions (PML). Material and methods. Scrapings and scalpel biopsies were obtained from 211 patients with PML. Of these 151 samples were considered adequate for flow cytometry. Samples were conserved using both Thin Prep® vials for cytology and microhistology and saline for flow cytometry. Cytometric assessment was performed with the cytofluorimeter FACSCalibur (Becton Dickinson) and the Cycletest Plus DNA Reagent Kit. A minimum of 20,000 events were acquired for each sample; the DNA index (D.I.) was elaborated by ModFit-Software. Results. Aneuploidy was found in 17/31 (54.8%) squamous cell carcinoma, 0/6 (0%) verrucous carcinoma, and 34/114 (29.8%) premalignant lesions: 24/48 (50.0%) dysplastic and 10/66 (15.1%) non-dysplastic lesions. A significant difference in the aneuploidy rate was linked to the presence of dysplasia (p = 0.004), irrespective of its grade. Conclusions. The cell material used for exfoliative cytology of the oral cavity may be used for further studies. In particular, the DNA test may provide useful informations in the diagnosis of oral PML. Should aneuploidy be present in lesions with no morphological evidence of dysplasia, it may be well of prognostic value. Introduzione. La sopravvivenza del carcinoma orale (38% a 5 anni in Italia) non è migliorata nell’ultimo ventennio e l’incidenza (> 500.000 nuovi casi/anno a livello mondiale) è in aumento anche in Paesi industrializzati (UK, Francia). La diagnosi tardiva può dipendere da difficoltà diagnostiche: in particolare, è frequente che il prelievo isto-citopatologico non sia rappresentativo della lesione. Poiché è noto che carcinomi possono svilupparsi da lesioni orali potenzialmente maligne (PML) in cui precedenti biopsie non avevano mostrato evidenza morfologica di displasia, sarebbe importante un “campionamento” che interessi tutte le zone sospette, comprese quelle sinora considerate “a basso rischio”. Scopo dello studio è l’analisi di un metodo di prelievo innovativo che, oltre all’esame citologico in “strato sottile” ed all’analisi della ploidia del DNA, consente l’esame istologico sui microfrustoli “accidentali” ottenuti con questa metodica, campionando una superficie molto più ampia di quella ottenibile con la sola biopsia chirurgica (“scalpel biopsy”). Metodi. In 138 pazienti affetti da PML orali abbiamo eseguito un prelievo con una curette dermatologica (AcuDispo Curette, Acuderm inc.). Il materiale è stato posto parte in Thin Prep per l’esame citologico e microistologico, parte in soluzione fisiologica per l’analisi del DNA. Ogni paziente è stato inoltre sottoposto a biopsia chirurgica della lesione. Risultati. In 3 casi il materiale per la microistologia non era adeguato per un giudizio diagnostico. Nei restanti 135 casi la diagnosi finale è stata di 73 casi positivi per displasia o carcinoma e 62 negativi. La più alta percentuale di casi positivi (70/73) è stata fornita dalla microistologia, seguita dalla “scalpel biopsy” (63/73) e dalla citologia (61/73). Conclusioni. La curette, rispetto ad altre metodiche, non solo consente di ottenere una maggiore quantità di cellule degli strati profondi utilizzabili per l’esame citologico e la ploidia del DNA, ma permette di ottenere dei microfrustoli utilizzabili per l’esame istologico. Data la superficie più ampia di prelievo e la possibilità di prelievi multipli, la sensibilità della metodica è superiore sia all’esame citologico che alla biopsia chirurgica tradizionale. La “microistologia” potrebbe pertanto essere un efficiente test, da affiancare alla citologia come esame di 1° livello, riservando alla “scalpel biopsy” il ruolo di esame di 2° livello per i casi positivi o sospetti e per i casi aneuploidi. POSTERS Studio clinicopatologico, immunoistochimico e ultrastrutturale di 2 casi di carcinomi mioepiteliali a cellule chiare delle ghiandole salivari N.S. Losito*, G. Botti*, F. Ionna**, G. Pasquinelli*** ****, M. Bisceglia**** Dipartimenti di * Patologia Clinica e di ** Otorinolaringoiatria, Istituto Nazionale Tumori, Fondazione “G. Pascale”, Napoli; *** Dipartimento di Patologia Clinica, Università di Bologna, Policlinico “S. Orsola”, Bologna; **** Dipartimento di Patologia Clinica, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo Introduzione. Cellule chiare (CC) risultano ben descritte nella composizione di mioepiteliomi benigni e di quelli maligni, o carcinomi mioepiteliali (CM), delle ghiandole salivari, a volte come componente parziale, a volte come componente esclusiva o prevalente. Sono stati però finora pubblicati in letteratura in totale solo 13 casi appartenenti a questa seconda categoria, di cui 10 a carico della parotide, 1 della sottomandibolare, e 2 di ghiandole salivari minori (1: palato; 1: seno mascellare) 1 2. Abbiamo osservato 2 casi di CM a CC della ghiandola sottomandibolare (GS), entrambi analizzati con indagini immunoistochimiche e ultrastrutturali. Materiali, metodi, e risultati. Aspetti clinicopatologici. Caso 1. Donna di 67 anni, affetta da una tumefazione dura e fissa ai piani contigui in sede sottomandibolare sinistra, presente da molti anni e in rapido accrescimento da pochi mesi. Intervento di scialoadenectomia radicale: neoplasia solida di 10 cm, di colorito grigiastro in sezione. Caso 2. Donna di 64 anni, affetta da una tumefazione dura e fissa in sede sottomandibolare sinistra, comparsa da 6 mesi, diagnosticata come mioepitelioma-NOS a cellule chiare su agobiopsia perorale, preoperatoria. Intervento di scialoadenectomia radicale: neoplasia solida di 6 cm, di colorito giallastro in sezione. Esame istologico. Le neoplasie, in entrambi i casi, sono risultate costituite di cellule di grossa taglia, di aspetto chiaro, ricche di glicogeno (PAS+/PASD-), con pattern prevalente cordonale e trabecolare nel 1° caso e lobulo-alveolare solido nel 2°, infiltranti le parti molli adiacenti. Franche atipie, elevato indice mitotico (10 M:10 HPF), mitosi atipiche, e focolai di necrosi, in entrambe. Nel 1° caso, anche, sparsi focolai di metaplasma squamosa, abbondante matrice mixoialina, ed evidenza di un’area di un residuo tumore misto benigno; una metastasi linfonodale. Esame immunoistochimico. In entrambi i casi: positività per vimentina, proteina S-100, calponina, alpha-SMA, p63, CKAE1/AE3, CK14, CK34Beta-E12; negatività per GFAP, Hcaldesmon, e desmina; negatività per CK7 e CK8. Esame ultrastrutturale. In entrambi i casi, nelle cellule: glicogeno libero, filamenti intermedi di tipo vimentinico, e microfilamenti contrattili di actina; tra cellule adiacenti: desmosomi; all’esterno: lamina basale pluristratificata commista a proteoglicani. Diagnosi differenziali considerate. Mioepitelioma benigno, carcinoma monomorfo a CC, carcinoma epi-mioepiteliale, carcinoma a CC ialinizzante, oncocitoma a CC, metastasi di carcinoma renale a CC. Diagnosi finali. Sulla base della documentata differenziazione ibrida, epiteliale e mioide, nello stesso citotipo, è stata posta diagnosi di carcinoma mioepiteliale, variante a CC, “ex tumore misto” il primo, “de novo” il secondo. Conclusioni e follow-up. Il CM a CC delle ghiandole salivari è molto raro. I 2 casi qui presentati sono il 2° e 3° in assoluto 273 a sede nella GS, uno dei quali (caso 1) è il primo in assoluto insorto su adenoma pleomorfo, ed entrambi sono i primi casi studiati sul piano ultrastrutturale. Nel CM-CC il decorso è altamente aggressivo e la prognosi infausta. Nei nostri casi: recidiva locale dopo 3 anni nel 1° caso; rapida recidiva locale in pochi mesi nel 2° caso con invasione di strutture vitali, scarsa risposta alla radioterapia, exitus entro 16 mesi. Bibliografia 1 Michal M, et al. Histopathology 1996;28:309-15. 2 Savera AT, et al. Am J Surg Pathol 2000;24:761-74. Correlazione tra espressione di proteine “chromosomal passenger” e parametri clinico-prognostici nei pazienti affetti da carcinoma squamoso del cavo orale P. Bufo, F. Sanguedolce, A. Santoro, M.C. Pedicillo, L. Lo Muzio*, C. Rubini**, G. Pannone Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Foggia; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Patologia Orale, Università di Foggia; ** Istituto di Anatomia patologica, Università di Ancona Introduzione. Le proteine “chromosomal passenger” (INCENP, chinasi Aurora-B e survivin) sono coinvolte nel corretto espletamento dell’evento mitotico, in quanto svolgono ruoli integrati in un complesso macromolecolare che regola la condensazione e la segregazione dei cromosomi, ed infine la citochinesi. Di queste, l’importanza della survivin nella cancerogenesi umana è stata ormai acclarata da numerosi studi, mentre la correlazione tra l’espressione delle altre proteine del gruppo è molto meno nota. Recenti evidenze sperimentali suggeriscono un ruolo di Aurora B nella cancerogenesi del distretto urogenitale maschile e della tiroide. Non esistono a tutt’oggi dati circa l’espressione genica di Aurora B nel carcinoma squamoso del cavo orale (OSCC). Materiali e metodi. L’espressione della proteina Aurora B è stata analizzata in 105 casi di OSCC mediante metodica standard immunoistochimica LSAB-HRP (linked streptavidinbiotin horseradish peroxidase), con anticorpo policlonale (NB100-294, Novus Biologicals); di tutti i pazienti sono stati raccolti i dati clinico-patologici e il follow-up a 5 anni. L’espressione proteica delle proteina e della sua forma attiva fosforilata è stata inoltre valutata mediante Western Blotting su 6 linee cellulari di OSCC di differente grado istologico e 1 linea cellulare di cheratinociti normali. Risultati. In tutti i casi esaminati la proteina era significativamente iperespressa se paragonata all’epitelio normale. La valutazione statistica mediante analisi univariata ha dimostrato una correlazione significativa tra espressione di Aurora B e stadio clinico avanzato (p < 0,05). È stato inoltre rilevato un incremento dell’espressione proteica nei tumori meno differenziati, sebbene non statisticamente significativo. Il Western Blotting ha dimostrato in tutte le linee di OSCC un incremento statisticamente significativo di espressione di Aurora e della sua forma attiva variabile dall’81 al 90% (p < 0,05). Conclusioni. I nostri risultati dimostrano l’iperespressione genica di Aurora B e la sua attivazione nel carcinoma squamoso del cavo orale. Oltre ad un possibile ruolo prognostico della molecola, è ipotizzabile anche un potenziale impiego clinico delle proteine POSTERS 274 “chromosomal passenger” come bersaglio terapeutico grazie ai crescenti sviluppi della ricerca oncofarmacologica nel campo degli inibitori chinasici. Ameloblastic fibro-odontoma. A case report N. Scibetta, L. Marasà Servizio di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico, Di Cristina, Ascoli”, Palermo, Italia Espressione di NIS in tessuti normali e neoplastici delle ghiandole salivari S. Lega, A. Farnedi, T. Ragazzini, K.J. Rhoden*, R. Cocchi**, G. Farneti***, C. Marchetti****, M.P. Foschini Sezione di Anatomia Patologica ed Istocitopatologia, Università di Bologna, Ospedale “Bellaria”, Bologna; * U.O. Genetica Medica, Dipartimento Medicina Interna, Cardioangiologia ed Epatologia, Università di Bologna; ** U.O. di Chirurgia Maxillo-Facciale, Ospedale “Bellaria”, Bologna; *** U.O. di Otorinolaringoiatria, Ospedale di Budrio, Bologna; **** Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche, Chirurgia Maxillo-Facciale Università di Bologna Introduzione. La proteina “sodium/iodide symporter” (NIS) è una glicoproteina di membrana che consente il trasporto di Iodio (I-) all’interno della cellula. La sua espressione è nota in tessuti tiroidei, normali e neoplastici. Recentemente si è evidenziato che NIS è espressa anche in altri organi, tra i quali sono comprese le ghiandole salivari. Scopo del presente lavoro è di studiare l’espressione del NIS in tessuti normali e neoplastici delle ghiandole salivari. Materiali e metodi. Ventisette casi di neoplasie benigne e maligne delle ghiandole salivari ed il relativo tessuto ghiandolare normale adiacente, sono stati selezionati dall’archivio dell’Anatomia Patologica dell’Università di Bologna, all’Ospedale “Bellaria” (Bologna). I tessuti sono stati fissati in formalina ed inclusi in paraffina. Da blocchetti selezionati si sono ottenute sezioni per la colorazione immunoistochimica con anticorpo anti NIS (hNIS Ab-1-Clone FP5A, NeoMarkers-LabVision Corporation, Fremont, Ca. diluzione 1:200). Risultati. Tessuto normale: NIS è espresso in sede baso-laterale della membrana plasmatica delle cellule luminali dei dotti striati, mentre è risultato negativa nelle cellule acinari. Nel tessuto parotideo NIS è espresso da tutte le cellule dei dotti striati, mentre nella ghiandola sottomandibolare e nelle ghiandole salivari minori l’espressione è limitata dal 60 all’80% delle cellule. Neoplasie: NIS è espresso nella porzione baso-laterale della membrana plasmatica delle cellule che rivestono le cavità cistiche del tumore di Warthin (positività in 3/3 casi) e nel caso di oncocitoma (positività in 1/1 caso). Inoltre sono risultate positive rare cellule in un caso di adenoma pleomorfo (positività in 1/3 casi). Tra le neoplasie maligne solo il carcinoma mucoepidermoide ha evidenziato cellule positive (positività in 7/10 casi). La positività era localizzata alla membrana plasmatica di cellule epidermoidi ed intermedie. Sono risultate negative tutte le restanti neoplasie maligne incluse nello studio: carcinoma cinico (3 casi) carcinoma adenoideo-cistico (4 casi), carcinoma mioepiteliale (1 caso), carcinoma squamoso (2 casi). Conclusioni. Il presente studio conferma che nelle ghiandole salivari NIS è espressa nei dotti striati ed evidenzia che l’espressione è maggiore nel tessuto parotideo rispetto alle altre ghiandole salivari. NIS compare nelle neoplasie che presentano differenziazione analoga ai dotti striati, quali tumore di Warthin, oncocitoma e carcinoma mucoepidermoide. Introduction. Ameloblastic fibrodontoma (AFO) is a rare mixed epithelial-mesenchymal odontogenic neoplasm, in which the mesenchymal compartment resembles the connective tissue of the dental papilla, while the epithelial component, composed of islands of cells with stellate reticulum, resembles early enamel organ developement, and with varyng degrees of inductive change and dental hard tissue formation. Clinically this neoplasm behaves as a slow-growing, well-encapsulated, benign lesion and it is frequently asyntomatic. Methods. A 14 years-old boy displayed an asymptomatic swelling in the left mascella. There was no history of local trauma or infection. The initial panoramic radiograph revealed a well defined, radiolucent region which contained several radiopaque bodies of varing sizes and shapes. The lesion was treated conservatly as a benign tumor by curettage. The specimen was processed and paraffin embedded. Sections were stained with H&E, PAS. Immunoistochemical staining was performed with antibodies to cytokeratin AE1-AE3, vimentin. An unerupted tooth was grossly present. Results. Microscopically the tumor was composed of soft and hard tissues. The soft tissue component was represented by an immature connective tissue with stellate-shaped fibroblasts reminiscent of the dental papilla; within this background there were cords of cuboidal to columnar epithelial cells, reminiscent of the early stages of enamel organ development. The hard tissue component consisted of dental hard structures, enamel, dentin, and cementum arranged haphazard. The diagnosis of AFO was performed for the presence of mineralized dental hard tissue products. Conclusions. Many authors reported that AFO is not aggressive and can be treated adequately through a surgical curettage to the lesion. In the literature recurrences have been rarely described, alone two cases of malignant transformation have been described. The innocuous behavior of these tumors does not justify more aggressive management. In the event of a recurrence, the resection may be more extensive and includes a margin of normal bone. We have reported a case of AFO treated conservatly by a excisional biopsy. 6 months after enucleation there was no sign of recurrence, but further periodic examination are regarded as necessary. Loss of expression of TGF-beta1, TbetaRI, TbetaRII and involucrin correlates with oral squamous cell carcinoma grade and clinical stage L. Artese, A. Piattelli, G. Mincione*, G. Vianale*, M. Piccirilli, V. Perrotti, C. Rubini**, R. Muraro* Department of Stomatology and Oral Science, * Department of Oncology and Neurosciences, University “G. d’Annunzio” of Chieti-Pescara, Chieti, Italy; ** Department of Pathology, University of Ancona, Italy Introduction. Aim of the study was to define and correlate the expression levels of TGF-β1, TGF-β type I, type II re- POSTERS ceptors (TβRI, TβRII) and involucrin with the clinico-pathological characteristics of the oral squamous cell carcinomas. Moreover, we investigated on two squamous carcinoma cell lines the responsiveness to TGF-b1 treatment in relation to the baseline expression patterns of TbRI and TbRII receptors. Methods. Immunohistochemistry was performed from 22 oral carcinomas and their corresponding normal mucosae using antibodies against TGF-β1, TβRI, TβRII and involucrin. TGF-β1, TβRI and TβRII expression levels were also evaluated by Western blot analysis using specific antibodies. Results. TGF-β1, TGF-β receptors and involucrin were differentially expressed in neoplastic tissues as compared to the surrounding apparently unaffected normal epithelia. The TGF-β1 system and involucrin were expressed in normal epithelia of all patients. In contrast, in the neoplastic tissues a loss of expression of TGF-β1, TGF-β1 receptors and involucrin was observed. The reduction of the expression was correlated with the clinical stage of disease, decreasing progressively from stage I to stage IV. In addition, a correlation between TGF-β1 system molecules/involucrin expressions and grade of differentiation of the tumor was observed. In all cases, TGF-β1, TGF-β1 receptors and involucrin expressions were significantly diminished in G3 and G2 tumors as compared to G1 lesions. Moreover, our results demonstrated a reduced and a lack of TbRI expression in the oral squamous carcinoma cell lines Cal27 and FaDu respectively. In addition, a significant decrease of TbRII expression, as compared to Cal27 cells, was shown in FaDu cell line. The decreased expression of TbRII and the absence of TbRI, could account for the resistance of FaDu cells to the growth-inhibiting effect of TGF-b1 in vitro treatments. Conclusion. In OSCC, the loss of TGF-β1, TGF-β1 receptors and involucrin expression significantly correlated with the grade of differentiation and with the clinical stage of the tumor. Thus, the decrease of expression of the TGF-β1 system molecules, associated to advanced and more aggressive tumors, suggests a functional role of these molecules in the oral tumor progression. Moreover, results from in vitro studies suggest that alterations in TGF-b1 receptors expression could represent one of the mechanisms that allow cells to evade TGF-b1-induced growth arrest. P16 expression in odontogenic tumors L. Artese, A. Piattelli, C. Rubini*, V. Perrotti, G. Iezzi, M. Piccirilli, F. Carinci** Department of Stomatology and Oral Science, University “G. d’Annunzio” of Chieti-Pescara, Chieti, Italy; * Department of Pathology, University of Ancona, Italy; ** Departemnt of D.M.C.C.C., Section of Maxillofacial Surgery, University of Ferrara, Italy Introduction. The odontogenic tumors (OTs) are uncommon lesions. The p16 gene was discovered as a multiple tumor suppressor gene, which directly regulates the cell cycle and inhibits cell division. The aim of the present study was to examine the expression of p16 in OTs with a low and a high risk of recurrences, to clarify the possible role of this factor in the invasiveness of these tumors. Methods. The tissues of 36 OTs were evaluated: 2 calcifyng cystic OTs, 2 odontogenic fibromas, 9 ameloblastomas-unicystic type, 4 ameloblastomas-extraosseous/peripheral type, 19 ameloblastomas-solid/multicystic type To evaluate the p16 expression a mean percentage of positive cells was de- 275 termined, derived from the analysis of 100 cells in ten random areas at x 40 magnification. To better evaluate the relationship between p16 expression and prognosis, the tumors were divided in 2 groups according to the clinical behavior. A. OTs with low risk of recurrences (i.e. calcifyng cystic OTs, odontogenic fibromas, ameloblastomas-unicystic type, ameloblastomas-extraosseous/peripheral type); B. OTs with high risk of recurrences (i.e. ameloblastomas-solid/multicystic type). Results. P16 was expressed in all the OTs but the location of the expression was different. Group A: the positivity was expressed at the level of the stellate reticulum cells in 15 cases (88.23%), while these cells were negative in 2 case (11.76%). Columnar/cuboidal peripheral cells were almost negative in all cases. Group B: it was possible to observe a prevalent positivity of the stellate reticulum cells in 12 cases (85.71%), while in 2 cases a prevalent negativity (14.28%) was present. Columnar/cuboidal peripheral cells were positive in 6 cases (42.85%), while were prevalently negative in 8 cases (57.14%). Statistically difference was found in p16 expression of peripheral cells with an increase of the expression in group A compared to group B (p < 0.05). Statistically significant difference was found in p16 positive expression of the central cells of OTs with a decrease of the expression in group A compared to group B (p < 0.05). Conclusion. The study show a correlation between the p16 expression and biological behavior of OTs. The peripheral portion of the tumors (i.e. the areas of tumor growth) shows a statistically significant higher quantity of p16+ cells in the group of tumors with a high risk of recurrences. p16 can be considered an useful marker to predict the recurrence and aggressive behavior of OTs. Sialolipoma della sottomandibolare: case report P. Parente, F. Castri, I. Pennacchia, G. Bigotti, F. Federico, A. Coli, G. Massi Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione. Le neoplasie a componente adipocitaria delle ghiandole salivari sono rare (0,5% circa) e sono rappresentate dal lipoma e dalle forme miste. Nel 2001 Nagao descrive una nuova variante istologica denominata sialolipoma. Riportiamo il primo caso di sialolipoma a insorgenza nella ghiandola sottomandibolare. Case report. Una donna di 77 anni viene operata per l’asportazione di una neoformazione solida non dolente in zona retromandibolare adiacente alla ghiandola salivare, ben capsulata e non infiltrante le strutture anatomiche circostanti. Materiali e metodi. Il materiale è stato tutto incluso e sezionato e colorato in Ematossilina Eosina. All’esame macroscopico la neoplasia era compatta, capsulata e omogenea e giallastra al taglio, del diametro di 2 cm, adiacente ma non infiltrante la ghiandola salivare. Istologicamente la neoformazione era composta da una proliferazione di adipociti maturi tipici, privi di mitosi e necrosi, tra i quali erano rare strutture ghiandolari con aspetti di differenziazione oncocitaria, circondata da una capsula fibrosa dalla quale partivano sottili introflessioni conferenti alla neoplasia un aspetto settato. Discussione. Le neoplasie con componente adipocitaria delle ghiandole salivari sono il lipoma e i tumori misti. Nagao descrive un istotipo particolare caratterizzato dalla presenza 276 di rare strutture ghiandolari all’interno della proliferazione adipocitaria, il sialolipoma, di cui sono stati descritti finora in letteratura 12 casi, di cui uno congenito, ma tutti intraparotidei. Il nostro caso è il primo descritto di sialolipoma della ghiandola sottomandibolare. La presenza della capsula fibrosa esclude, infatti, la lipomatosi e una diagnosi di involuzione ghiandolare; la presenza di rare strutture ghiandolari la diagnosi di lipoma o adenolipoma, l’assenza di componente mesenchimale (osso, cartilagine, tessuto fibroso o vasolare) POSTERS di tumore misto. Le caratteristiche oncocitarie della componente ghiandolare in assenza di infiltrato infiammatorio contrastano con l’ipotesi di una differenziazione in tal senso della quota epiteliale a seguito di una stimolazione flogistica, come accade in altri organi, deponendo per un’insorgenza “de novo”. Conclusioni. Il caso descritto in questo report è il primo in letteratura di sialolipoma ad insorgenza nella ghiandola sottomandibolare. PATHOLOGICA 2007;99:277-278 Patologia ossea Fibroma ossificante psammomatoide dello sfenoide con estensione all’orbita ed alla base del cranio V. Arena, P. Andreotta*, F. De Giorgio**, G. Monego***, E. Arena, A. Evangelista, A. Capelli Istituto di Anatomia Patologica; * Istituto di Radiologia; ** Istituto di Medicina Legale; *** Istituto di Anatomia Umana, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione. Il fibroma ossificante è una rara lesione fibroossea benigna. L’età media alla diagnosi è 31 anni con un range che va da 3 a 63 anni ed una ratio maschi:femmine pari a 1:1.6. Si localizza tipicamente a livello delle ossa craniofaciali con una particolare predilezione per la mandibola nel 75-89% dei casi. Meno comunemente sono convolte l’orbita, i seni paranasali o l’osso mascellare. Per evitare la recidiva è raccomandata l’escissione totale. Metodi. Riportiamo un caso di una fibroma ossificante dello sfenoide con massiva estensione locale. Si tratta di una donna di 70 anni con una recente storia di algia cranio-faciale ed edema periorbitale con episodi di epistassi e senso di ostruzione nasale. La signora non lamentava disturbi del gusto né della visione. L’esame endoscopico delle cavità nasali mostrava deviazione del setto a destra e secchezza della mucosa. Una RM del cranio ha evidenziato una massa ovoidale con caratteri espansivi-infiltrativi nei confronti dello sfenoide e del clivus, che occupava interamente il seno sfenoidale e si estendeva anteriormente alle celle etmoidali posteriori, alla porzione posteriore del setto nasale e dei turbinati superiore e medio sx infiltrando la parete mediale del seno mascellare. A sx infiltrava l’apice orbitario circondando il nervo ottico sx e la grande ala dello sfenoide. La formazione si estendeva poi in sede sellare e parasellare infiltrando il seno cavernoso di destra. Le dimensioni totali della massa erano di 4,7 (AP) x 4,2 (LL) x 2,6 (CC). Il radiologo in prima istanza suggeriva l’ipotesi di un carcinoma a partenza dal seno sfenoidale. Veniva così effettuata una biopsia che mostrava una neoplasia relativamente monomorfa, con pattern di crescita prevalentemente solido-nodulare con presenza di calcificazioni di aspetto irregolare che talora ricordavano i cementicoli. Vi erano altresì aree di aspetto mixoide e sporadici elementi gigantocellulari. Il quadro morfologico appariva coerente con un fibroma ossificante aggressivo psammomatoide. Risultati e conclusioni. Riconoscere tale variante è fondamentale sia per la corretta caratterizzazione nosologica della malattia sia perché si tratta di una lesione con potenziale aggressivo e con capacità invasive e distruttive locali. Ad un anno dall’intervento di asportazione della massa, stante la difficoltà di accesso chirurgico la lesione è ancora presente con marcata estensione loco-regionale e riduzione dell’ampiezza della cisterna prepontina. Descrizione di un caso di emangioendotelioma maligno epitelioide osseo complicato da infarto intestinale: diffusione angiotropica mesenterica o neoplasia multifocale? V. Arena, P. Andreotta*, F. De Giorgio**, G. Monego***, E. Arena, A. Capelli Istituto di Anatomia Patologica; * Istituto di Radiologia; ** Istituto di Medicina Legale; *** Istituto di Anatomia Umana, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione. L’emangioendotelioma (EHE) osseo è una neoplasia relativamente poco osservata nella routine anatomo-patologica e solitamente la “prima” diagnosi che viene formulata è quella di una metastasi da carcinoma, solitamente sostenuta da un quadro radiologico di multiple lesioni osteolitiche. Metodi. Descriviamo di seguito un caso giunto alla nostra osservazione di un paziente di sesso maschile di 76 anni che per l’insorgenza di una sintomatologia dolorosa ossea ingravescente si sottoponeva alle indagini del caso. Il quadro radiologico mostrava multiple lesioni osteolitiche diffuse a tutto lo scheletro con particolare concentrazione delle stesse a livello degli arti superiori. La biopsia su una delle lesioni omerali documentava una proliferazione di elementi cellulari di grossa-media taglia, talora binucleati, senza evidenza di un pattern di crescita specifico. Tali elementi neoplastici permeavano la struttura ossea compresa nel prelievo. Le indagini immunoistochimiche mostravano una positività per pancitocheratine, Vimentina, parzialmente per CD68 ed una marcata immunoreattività per CD31. Sulla base delle evidenze morfologiche-cliniche ed immunoistochimiche è stata posta diagnosi di emangioendotelioma epitelioide maligno. A distanza di qualche giorno dal prelievo osseo il paziente veniva operato d’urgenza per un addome acuto e sottoposto ad intervento chirurgico di ileoresezione per infarto intestinale; a livello delle diramazioni vascolari del viscere asportato si è potuta documentare la presenza di multipli elementi neoplastici di natura emangioendoteliomatosa, senza però che la morfologia potesse aiutare nell’esprimersi sulla primitività vascolare intestinale o sulla natura metastatica di quanto osservato poiché si osservavano sia emboli neoplastici che proliferazioni a partenza dalla parete endoteliale. Conclusioni. A differenza dei tumori ad insorgenza nei tessuti molli, l’esperienza clinica e prognostica della controparte ossea dell’EHE rimane ancora ad oggi limitata. Per le lesioni dei tessuti molli è riportato un 30% di metastatizzazione mentre sono molto scarsi i report di emangioendoteliomi epitelioidi ossei in cui sia accertata la metastatizzazione. Il caso da noi presentato appare sicuramente insolito per la presentazione clinica e pone un interrogativo difficilmente risolvibile se non si sia di fronte ad una neoplasia multifocale già all’esordio. POSTERS 278 Cranio-axial chordomas. A 15-year clinicopathological experience at the “Casa Sollievo della Sofferenza” hospital M. Bisceglia*, C. Clemente*, M. Vairo*, L. Di Candia*, G. Giannatempo**, M. Bianco***, V.A. D’Angelo*** G. Pasquinelli* **** Departments of * Pathology, ** Radiology, and *** Neurosurgery, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo, Italy; **** Department of Clinical Pathology, Policlinico “S. Orsola” Hospital, Bologna, Italy Introduction. Chordoma (CD) is a rare, slowly growing, malignant tumor with phenotypic epithelial features arising from notochordal rests, and occurring in several anatomic locations. Axial skeleton involvement from the clivus to the tip of coccyx is the standard, but even heterotopic CD are on record (paraxial-lateral bone and soft tissue occurrence). CD represents only 1% to 4% of all primary bone tumors 1. The yearly estimated incidence is < 1 case per million individuals, and most large general hospitals see 1 case every 1-2 years. CD is a tumor of adults and the elderly (peak incidence: VI decade) and very rare under 20 years. Both sexes are affected. The clinical presentation is diverse and related to the tumor location. Histological variants have been described: i.e., atypical, anaplastic, spindle cell, and dedifferentiated (DD) – with 53 cases on record of the latter as either primary or secondary to radiation 2. Design. The clinicopathologic records of 24 total CDs seen over the last 15 years, focusing on their histologies, were reviewed. All cases underwent imaging studies. The age ranged from 9 years to 80 years (mean 47.5 years); 4 of them occurred under 30 years of age (1 case in the I and 3 in the III decade). Male to female ratio was 11:13. All patients complained of diverse site-based symptomatology. The tumor location was cranial in 13 cases, vertebral in 6, and sacral in 4; 1 case was heterotopic (maxillary bone). All cases underwent surgery or needle biopsy. 6 cases had multiple biopsy (preoperative; recurrence; regional metastasis). Tumor size ranged from 2 (maxillary bone) to 15 cm (sacral). All cases were histologically diagnosed and immunoistochemically assessed. 3 cases were examined by electron microscopy (EM). 1 case was left with uncertain diagnosis (sacral CD vs. h.g. myxoid chondrosarcoma) and excluded from this review. Results. At histology a classic pattern was seen in 19 cases. Atypical or anaplastic features were seen in 4 cases. 1 case with anaplastic features was mainly a primary DD-CD of the T9 vertebra. Immunohistochemistry (vimentin, EMA, S-100 pr, CK w.s. + ty) was of support in all cases and decisive in some. EM was of invaluab