4-2007 - Journal of the Italian Society of Anatomic Pathology and

Periodico bimestrale – POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n° 46 art. 1, comma 1, DCB PISA
Aut. Trib. di Genova n. 75 del 22/06/1949
Vol. 99 - N. 4
Agosto 2007
Censita in Index Medicus
MEDLINE
Vol. 99 - N. 4
Agosto 2007
C.D.M. Fletcher, Boston
M.P. Foschini, Bologna
E. Fulcheri, Genova
R. Genta, Ginevra
Codirettore Scientifico
F. Giangaspero, Roma
Oscar Nappi, Napoli
G. Kloppel, Kiel
U. Magrini, Pavia
Direttore Responsabile
A. Maiorana, Modena
Roberto Bandelloni, Genova
V. Mambelli, Ascoli Piceno
G. Massarelli, Sassari
Comitato Scientifico
L. Matturri, Milano
A. Aguzzi, Zurigo
F. Menestrina, Verona
A. Andrion, Torino
G. Mikuz, Insbruck
M. Barbareschi, Trento
G. Monga, Novara
G. Barresi, Messina
R. Montironi, Torrette – Ancona
C.A. Beltrami, Udine
M. Papotti, Torino
F. Bertoni, Bologna
G. Pettinato, Napoli
S. Bianchi, Firenze
M. Bisceglia, S. Giovanni Rotondo S. Pileri, Bologna
S. Pilotti, Milano
G.P. Bulfamante, Milano
J. Prat, Barcellona
G. Bussolati, Torino
L. Resta, Bari
F. Callea, Brescia
G. Rindi, Parma
A. Carbone, Aviano
F. Roncaroli, Londra
M.L. Carcangiu, Milano
J. Rosai, Milano
P. Ceppa, Genova
R. Rosso, Pavia
M. Chilosi, Verona
L. Ruco, Roma
G. Collina, Bologna
M. Rugge, Padova
M. Cornaggia, Paderno Dugnano
A. Sapino, Torino
P. Dalla Palma, Trento
G. De Rosa, Napoli
P. Scarani, Bologna
M. Denk, Graz
A. Scarpa, Verona
R. Dina, Londra
F. Sessa, Varese
C. Doglioni, Belluno
E. Solcia, Pavia
G. Stanta, Trieste
V. Eusebi, Bologna
G. Faa, Cagliari
G. Tallini, Bologna
F. Tanda, Sassari
F. Facchetti, Brescia
Direttore Scientifico
Roberto Fiocca, Genova
G. Thiene, Padova
G. Viale, Milano
V. Villanacci, Brescia
G. Zampi, Firenze
Segreteria Redazionale
P. Galloro, Napoli
F. Grillo, Genova
L. Mastracci, Genova
Consiglio Direttivo SIAPEC-IAP
Presidente: O. Nappi, Napoli
Vice Presidente: E. Bucciarelli, Perugia
Segretario: M. Truini, Genova
Past President: V. Ninfo, Padova
Consiglieri:
M. Albrizio, Carbonara di Bari
G. Angeli, Vercelli
A. Bondi, Cesena
G. Caruso, Bari
C. Clemente, Milano
A.P. Dei Tos, Treviso
G. Massarelli, Sassari
G. Taddei, Firenze
S. Uccini, Roma
Rappresentante Soci Aggregati:
T. Zanin, Genova
In copertina:
Il Teatro Anatomico dell’Università degli Studi di Padova (Palazzo
del Bo)
Censita in Index Medicus - MEDLINE
Informazioni per gli autori
comprese le norme per la preparazione dei manoscritti
Pathologica, rivista bimestrale, rappresenta uno strumento per la pubblicazione dei risultati di ricerche riguardanti i processi patologici in generale e la patologia umana in particolare. La rivista accetta anche contributi relativi alla morfologia sperimentale, alle ricerche ultrastrutturali,
alle analisi immunocitochimiche e alla biologia molecolare, ed eventualmente materiale proveniente da altre discipline, purché fornisca un contributo alla comprensione della patologia umana. Saranno presi in considerazione anche articoli relativi all’applicazione di nuove metodologie e
tecniche diagnostiche in ambito patologico.
sentare lo stesso dato in più forme), dattiloscritte una per pagina e numerate progressivamente con numerazione romana. Nel testo della tabella e nella legenda utilizzare, nell’ordine di seguito riportato, i seguenti
simboli: *, †, ‡, §, ¶, **, ††, ‡‡ …
In una lettera di accompagnamento dell’articolo, firmata da tutti gli Autori, deve essere specificato che i contributi sono inediti, non sottoposti
contemporaneamente ad altra rivista, ed il loro contenuto conforme alla
legislazione vigente in materia di etica della ricerca.
Bibliografia: va limitata alle voci essenziali identificate nel testo con
numeri arabi ed elencate al termine del manoscritto nell’ordine in cui sono state citate. Devono essere riportati i primi sei Autori, eventualmente
seguiti da et al. Le riviste devono essere citate secondo le abbreviazioni
riportate su Index Medicus.
Esempi di corretta citazione bibliografica per:
In caso di sperimentazioni su umani, gli Autori devono attestare che tali
sperimentazioni sono state svolte secondo i principi riportati nella Dichiarazione di Helsinki (1983); gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni contenute nell’articolo e sono tenuti a dichiarare di aver
ottenuto il consenso informato per la sperimentazione e per l’eventuale
riproduzione di immagini. Per studi su cavie animali, gli Autori sono invitati a dichiarare che sono state rispettate le relative leggi nazionali e le
linee guida istituzionali.
La Redazione accoglie solo i testi conformi alle norme editoriali generali e specifiche per le singole rubriche. La loro accettazione è subordinata alla revisione critica di esperti, all’esecuzione di eventuali modifiche
richieste ed al parere conclusivo del Direttore scientifico.
Conflitto di interessi: gli Autori devono dichiarare se hanno ricevuto finanziamenti o se hanno in atto contratti o altre forme di finanziamento,
personali o istituzionali, con Aziende i cui prodotti sono citati nel testo.
Questa dichiarazione verrà trattata dal Direttore scientifico come una
informazione riservata e non verrà inoltrata ai revisori. I lavori accettati
verranno pubblicati con l’accompagnamento di una dichiarazione ad
hoc, allo scopo di rendere nota la fonte e la natura del finanziamento.
Norme generali per gli Autori
Testo: in lingua italiana o inglese, in triplice copia (gli Autori sono comunque pregati di conservare copia del materiale inviato), dattiloscritto,
con ampio margine, massimo 25 righe per pagina, con interlinea doppia,
con numerazione delle pagine a partire dalla prima, e corredato di:
1) titolo del lavoro (in italiano ed inglese);
2) riassunto (in italiano ed inglese);
3) parole chiave (in italiano ed inglese);
4) titolo e didascalie delle tabelle e delle figure.
Non si accettano articoli che non siano accompagnati dal relativo dischetto su cui è registrata l’ultima versione corretta del testo, corrispondente alla copia dattiloscritta. Il testo deve essere scritto con programmi
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Figure: (3 copie), vanno riprodotte in foto. I grafici ed i disegni possono essere in fotocopia, purché di buona qualità. Le figure devono essere
numerate e devono riportare sul retro, su un’apposita etichetta, il nome
dell’Autore, il titolo dell’articolo, il verso (alto).
Articoli e riviste:
Jones SJ, Boyede A. Some morphological observations on osteoclasts.
Cell Tissue Res 1977;185:387-97.
Libri:
Taussig MJ. Processes in pathology and microbiology. Oxford:
Blackwell 1984.
Capitoli di libri:
Vaughan MK. Pineal peptides: an overview. In Reiter RJ (ed.). The pineal gland. New York: Raven 1984:39-81.
Ringraziamenti, indicazioni di grants o borse di studio, vanno citati
al termine della bibliografia.
Le note, contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo, a piè di pagina.
Termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono
conformarsi agli standards riportati in Science 1954;120:1078.
I farmaci vanno indicati col nome chimico. Solo se inevitabile potranno
essere citati col nome commerciale (scrivendo in maiuscolo la lettera iniziale del prodotto).
Norme specifiche per le singole rubriche
Editoriali: sono intesi come brevi considerazioni generali e pratiche su
temi d’attualità. Vengono pubblicate in lingua italiana o inglese, su invito del Direttore Scientifico. È omesso il riassunto.
Articoli di aggiornamento: sono intesi come sintesi e revisioni critiche
su argomenti di particolare interesse. Sono, di regola, commissionati dal
Direttore Scientifico ma possono anche essere a lui proposti da potenziali autori. Vengono pubblicate in lingua italiana o inglese. Non devono superare le 20 pagine dattiloscritte, comprese tabelle, figure e voci bibliografiche. Didascalie di tabelle e figure a parte. È omesso il riassunto.
Articoli originali: comprendono lavori che offrono un contributo nuovo
o frutto di una consistente esperienza, anche se non del tutto originale, in
un determinato settore. Di regola, vengono pubblicati in lingua italiana,
se di autori italiani, ed in inglese, se di autori esteri. Devono essere suddivisi in: Riassunto in italiano ed in inglese con parole chiave (key
words) in italiano ed inglese, introduzione, materiale e metodi, risultati,
discussione. Il testo non deve superare le 15 pagine dattiloscritte compresi iconografia, voci bibliografiche e riassunto (max. 300 parole). Didascalie di tabelle e figure a parte.
Nella seconda pagina comparirà il riassunto e, nelle ultime, la bibliografia, le didascalie di tabelle e figure e l’eventuale menzione del Congresso al quale i dati dell’articolo siano stati comunicati (tutti o in parte).
Articoli originali brevi: comprendono brevi lavori (non più di 5 pagine
di testo dattiloscritto) con contenuto analogo a quello degli articoli originali e come questi suddivisi. Sono ammesse due tabelle o figure e 10
voci bibliografiche. Di regola, vengono pubblicati in lingua italiana, se
di autori italiani, ed in inglese, se di autori esteri.
Tabelle: (3 copie), devono essere contenute nel numero (evitando di pre-
Casi Clinici: sono accettati solo lavori di interesse didattico e segnala-
zioni rare. La presentazione comprende l’esposizione del caso e una discussione diagnostica differenziale. Il testo deve essere conciso e corredato, se necessario, di 2-4 figure o tabelle e di 10 riferimenti bibliografici essenziali. Di regola, vengono pubblicati in lingua italiana, se di autori italiani, ed in inglese, se di autori esteri. Il riassunto in italiano ed inglese (con le relative key words) deve essere di circa 100 parole.
Redazione della Rivista:
dott.ssa Eleonora Lollini
Segreteria Editoriale Pathologica
Pacini Editore S.p.A. - via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI)
Tel. 050 3130283 - Fax 050 3130300
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Rubriche: Linee guida e check lists, Citopatologia, Biologia Molecolare, Immunoistochimica, Informatica, Organizzazione e management, Didattica e formazione continua, Recensioni di Libri, Notizie Societarie. Il
testo, al massimo di 8 cartelle, dovrà essere in italiano.
Per le inserzioni pubblicitarie rivolgersi a:
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agli Autori dell’articolo e l’eventuale risposta degli stessi, pubblicata in
contemporanea. La loro estensione non deve superare le due pagine dattiloscritte, precedute dal titolo, si possono prevedere una tabella o figura e 2 o 3 riferimenti bibliografici essenziali. Di regola, vengono pubblicati in lingua italiana, se di autori italiani, ed in inglese, se di autori
esteri.
Estratti: gli autori di ogni articolo ricevono una copia del fascicolo di
pertinenza. Estratti aggiuntivi possono essere acquistati alle tariffe in vigore di Pacini Editore, purché ordinati al momento della restituzione delle bozze per la stampa finale.
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Pathologica è una rivista bimestrale (ogni anno vengono pubblicati 6 fascicoli. I prezzi degli abbonamenti annuali per i non Soci sono i seguenti: Italia € 100; Estero € 110. Prezzo di un singolo fascicolo € 19.
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Finito di stampare presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore Settembre 2007
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vanno indirizzati, unitamente alla lettera di cessione del copyright, alla
Norme per l’invio del materiale in formato elettronico
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Testo
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(Dos o Macintosh), il programma di scrittura e la versione, il nome del/i file/s del/i documento/i.
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Illustrazioni
- Dischetti: inviare le immagini in files separati dal testo e dalle tabelle. è possibile utilizzare dischetti da 3 1/2”, Iomega Zip o CD.
- Software e formato: inviare immagini esclusivamente in formato TIFF o EPS, con risoluzione minima di 300 ppi e formato di 100 x 150 mm.
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Information for authors including editorial standards for the preparation of manuscripts
Pathologica is intended to provide a medium for the communication of
results and ideas in the field of morphological research on human diseases in general and on human pathology in particular.
The journal welcomes contributions concerned with experimental morphology, ultrastructural research, immunocytochemical analysis, and
molecular biology. Reports of work in other fields relevant to the understanding of human pathology may be submitted as well all papers on the
application of new methods and techniques in pathology. The official
language of the journal is Italian. Articles from foreign authors will be
published in English.
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was performed in accordance with the principles of the 1983 Declaration
of Helsinki. The Authors are solely responsible for the statements made
in their paper, and must state that they have obtained the informed consent of patients for their participation in the experiments and for the reproduction of photographs. For studies performed on laboratory animals,
the authors must state that the relevant national laws or institutional
guidelines have been adhered to.
Only papers that have been prepared in strict conformity with the editorial norms outlined herein will be considered for publication. Their eventual acceptance is conditional upon a critical assessment by experts in the
field, the implementation of any changes requested, and the final decision of the Editor-in-Chief.
Conflict of Interests: in the letter accompanying the article, Authors
must declare if they got funds, or other forms of personal or institutional financing – or even if they are under contract – from Companies
whose products are mentioned in the article. This declaration will be
treated by the Editor-in-Chief as confidential, and will not be sent to the
referees. Accepted works will be published accompanied by a suitable
declaration, stating the source and nature of the financing.
General instructions
The text must be written in either Italian or English, and furnished in
three copies (anyway, Authors are invited to keep copy of every material), typewritten with ample margins, 25 lines per page. The pages should
be numbered, beginning with the first page. The paper must include:
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(2) an abstract (in both Italian and English);
(3) a set of key words (in both Italian and English);
(4) titles and legends for all of the tables and figures.
Upon request by the authors and after the final acceptation of the manuscript, the Italian translation of the title, key words and abstract can be
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Submissions will not be accepted unless they include a copy of the latest
version of the text, corresponding exactly with the typewritten copy, on
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Diskettes should be labelled with the last name of the first author, an abbreviated title of the manuscript, computer type, word processing programme and version, and file name(s) of the document(s).
The Authors are required to correct and return (within 48 hours of their
being sent) the first set of galley proofs of their paper.
On the first page of the manuscript should appear:
A concise title; a set of key words (no more than 5); the names of the
authors and the institution or organisation to which each author is affiliated; the category under which the authors intend the work to be
published (although the final decision here rests with the Editor-inChief); and the name, mailing address, and telephone and fax numbers
of the author to whom correspondence and the galley proofs should be
sent.
The second page should contain the abstract. At the end of the text
should appear the bibliography, the legends to the tables and figures, and
specification (where applicable) of the congress at which all or part of
the data in the paper may have already been presented.
Tables (in 3 copies) must be limited in number (the same data should not
be presented twice, in both the text and tables), typewritten one to a page,
and numbered consecutively with Roman numbers. In the text and legend of the tables, Authors must use, in the exact order, the following
symbols: *, †, ‡, ¶, **, ††, ‡‡ …
Figures in the form of photographs must be provided in 3 original
copies, labelled and numbered on the back, with the indication of the Author, of the title of the article and of the top of the picture.
The bibliography must be limited to the most essential and relevant references, identified in the text by Arabic numbers and listed at the end of
the manuscript in the order in which they are cited. The format of the references in the bibliography section should conform with the examples
provided in N Engl J Med 1997;336:309-15. The first six Authors must
be indicated, followed by et al. Journals should be cited according to the
abbreviations reported on Index Medicus.
Examples of the correct format for bibliographic citations:
Journal articles
Jones SJ, Boyede A. Some morphological observations on osteoclasts.
Cell Tissue Res 1977;185:387-97.
Books
Taussig MJ. Processes in pathology and microbiology. Oxford: Blackwell 1984.
Chapters from books
Vaughan MK. Pineal peptides: an overview. In Reiter RJ (ed.). The
pineal gland. New York: Raven 1984:39-81.
Acknowledgements and the citation of any grants or other forms of
financial support should be provided after the bibliography.
Notes to the text, indicated by an asterisks or similar symbols, should appear at the bottom of the relevant page.
Mathematical terms and formulae, abbreviations, and units of measure
should conform to the standards set out in Science 1954;120:1078.
Drugs should be referred to by their chemical name; the commercial
name should be used only when absolutely unavoidable (capitalizing the
first letter of the product name).
Specific instructions for the various categories of papers
Editorials: short general and/or practical papers on topical subjects invited by the Editor-in-Chief. They are published either in Italian or English. No abstract is requested.
Updates: They can be invited by the Editor-in-Chief. Papers should not
exceed 20 printed pages, including tables, illustrations and references.
They are published either in Italian or English. No abstract is needed.
Original articles: specially written-up articles which present original observations, or observations deriving from a relevant experience (though
not fully original) in a specific field. They are published either in Italian
or English. The text is to be composed in Abstract (in Italian and English), Key Words (in Italian and English), Introduction, Material and
Methods, Results and Discussion. They should not exceed 15 printed
pages including illustrations, references and abstract (max. 300 words).
Case reports will be considered for publication only if they describe very
rare cases or are of particular didactic interest. They are published either
in Italian or English. The presentation should include a clear exposition
of the case and a discussion of the differential diagnosis. The text must
be concise, and furnished with no more than 2 or 4 figures or tables, and
with 10 essential bibliographic references. The abstract (in Italian and
English) should be approximately 100 words in length; key words in Italian and English should be inserted.
Special sections: Guidelines and Check Lists, Cytopathology, Molecular
Biology, Immunohistochemistry, Informatics, Organization and Management, Medical Education, Book Reviews and Society News. They are
published in Italian and the text should not exceed 8 printed pages.
Letters to the Editor: They should focus on particularly relevant and exciting topics in the field of pathology, already published articles or present original data. When referring to already published articles, the letter
will be sent to the authors of the articles and their reply published in the
same issue. They should not exceed two manuscript pages with one table
or figure and 2-3 references. They are published either in Italian or English.
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Reprints may be ordered at cost price when page proofs are returned.
Pacini Editore will supply the corresponding author with one free copy
of the relevant issue.
Manuscripts (together with a copy on diskette) should be forwarded to:
dott.ssa Eleonora Lollini
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Pathologica publishes six issues per year.The annual subscription rates
for non-members are as follows:
Italy € 100; all other countries € 110.
This issue € 21.
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Printed by Pacini Editore - September 2007
Guidelines for electronic submission
Text
- Storage medium: 3 1/2” diskettes in MS-DOS, Windows or Macintosh format.
- Software: Word 6.0 or following versions are preferred. Do not use desktop publishing programmes such as Aldus Pagemaker, Quark X-Press or
Publisher. Refrain from complex formatting.
- File names: submit the text and tables of each manuscript in a single file.
- Labels: label all diskettes with the First Author’s name, a short title of the article, the word-processing programme and version used, the name of
the file/s included.
- Paper copy: accompany all files with a printed paper copy.
Illustrations
- Storage medium: Submit as separate files from text files, on separate diskettes or cartridges. 3 1/2” diskettes, Iomega Zip, and CDs can be submitted.
- Software and format: submit only TIFF or EPS files, with a minimum resolution of 300 dpi and 10 x 15 cm format.
- File names: illustration files should be given a 2- or 3-letter extension that identifies the file format (i.e.: .TIF, .EPS…)
- Labels: label all diskettes and cartridges with the First Author’s name, a short title of the article, the formats and sizes and compression schemes
(if any).
CONTENTS
Speaker presentations
Professione rivisitata - Parte prima
La parola alle industrie
Gli incontri imprevisti al microscopio
Slide Seminar Juniores. Le neoplasie uroteriali: approccio classificativo
Slide Seminar Seniores. FNAB tiroideo: criteri citologici di malignità del carcinoma papillare
Progressi in Cardiopatologia
Linfomania
Carcinoma della mammella
Trapianti d’organo
Patologia infiammatoria intestinale - Tavola rotonda: le diagnosi inutili, coliti non ibd, malattia celiaca
Patologia neoplastica intestinale
Patologia pancreatica
Giornata siapec-iap di Citologia Diagnostica
Strumenti di management per la gestione di un servizio di Anatomia Patologica
Patologia iatrogena
Il nodulo epatico: non così semplice
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Free Papers
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Posters
Applicazioni tecnologiche in A.P.
Cardiopatologia
Citopatologia
Controllo di qualità A.P.
Dermopatologia
Diagnostica
Immunoistochimica
La formazione dell’anatomopatologo
Miscellanee
Neuropatologia
Patologia dei tessuti molli
Patologia dei trapianti
Patologia del sistema emolinfopoietico
Patologia dell’apparato digerente
Patologia dell’apparato respiratorio
Patologia dell’apparato uro-genitale
Patologia delle sierose
Patologia iatrogena
Patologia mammaria
Patologia molecolare
Patologia orale
Patologia ossea
Patologia pediatrica
Patologia prenatale e neonatale
Problematiche correlate al management
Problematiche medico-legali
Target therapy
Authors index
SPEAKER PRESENTATIONS
PATHOLOGICA 2007;99:91-92
Professione rivisitata - Parte prima
Eterogeneità della refertazione tra patologi
A. Russo, L. Bisanti
ASL Città di Milano, Servizio di Epidemiologia
La refertazione per un anatomo-patologo è l’esito di un processo strutturato in tre fasi: la manipolazione del materiale
biologico, l’elaborazione delle informazioni ricavate dall’osservazione macroscopica e microscopica e l’integrazione di
tutto questo con i dati clinici.
La fase di manipolazione del materiale biologico – riduzione,
campionamento, inclusione, taglio, colorazione – è soggetta
a rigidi protocolli in assenza dei quali verrebbe meno la replicabilità dell’osservazione e l’universalità del giudizio. Le
due fasi successive invece, basate su capacità cognitivo-analitiche soggettive – ritenute dal patologo, a torto o a ragione,
preminenti rispetto alla replicabilità e alla universalità –
sfuggono alla riconduzione a norme generando una variabilità ed una eterogeneità di linguaggi e, per conseguenza, di
paradigmi diagnostici. L’esigenza di standardizzare le procedure di refertazione è però avvertita dai patologi come rimedio alla separazione, altrimenti inevitabile, dalla scienza
sempre più tecnologica e globale. Questo spiega la sempre
maggiore produzione di linee guida alla refertazione – specifiche per sede nel caso dei tumori – che distinguono il contenuto informativo del referto in indispensabile e facoltativo
come compromesso tra artigianalità creativa e uniformità
produttiva proprie del loro mestiere. Un grande sforzo è stato compiuto dalla Association of Directors of Anatomic and
Surgical Pathology (ADASP) che per un cospicuo numero di
sedi tumorali ha prodotto linee guida per la refertazione.
Il Registro dei Tumori di Milano ha di recente prodotto le prime stime di incidenza riferite alla popolazione cittadina (circa 1.300.000 abitanti) ed ha ottenuto l’accreditamento dell’Associazione Italiana dei Registri Tumori (AIRTum) e dell’International Agency for Research on Cancer di Lione
(IARC-WHO). Il registro ha prodotto l’incidenza per gli anni 1999-2002 ed entro il prossimo anno estenderà la rilevazione fino al 2006.
La disponibilità di sistemi informativi sempre più completi
ed efficienti ha reso possibile lo sviluppo di Registri informatizzati per il riconoscimento automatico dei casi incidenti.
L’identificazione automatizzata richiede l’attivazione di
complesse procedure di linkage di basi di dati amministrativi
con basi di dati sanitari; tra quest’ultime sono prioritarie il
Registro delle Cause di Morte (RCM), il Registro delle Schede di Dimissione Ospedaliera (RSDO) ed i Registri di attività
dei Servizi di Anatomia Patologica (RSAP).
Tutti i quattordici Servizi di Anatomia Patologica di Milano
collaborano con il Registro dei Tumori fornendo periodicamente i dati dei loro archivi elettronici dei referti corredati
dalle codifiche in SNOMED. È stato quindi possibile costituire un archivio che contiene circa 3 milioni di referti di anatomia patologica, 500.000 dei quali riferiti a tumori insorti in
soggetti residenti a Milano. Unitamente alle attività di acquisizione e consolidamento degli archivi elettronici è stato avviato un panel di patologi e registratori con la finalità di concordare attività di revisione e di ricerca. Dopo aver preso atto della grande eterogeneità della refertazione dei tumori a
Milano è stato deciso: 1) di verificare quantitativamente in
ogni centro di anatomia patologica lo scostamento dai criteri
suggeriti da ADASP per la refertazione; 2) di analizzare l’esito della prima attività per individuare i punti più critici delle difformità; 3) elaborare protocolli condivisi di refertazione. Nel corso della relazione saranno illustrati i risultati della prima fase del progetto facendo riferimento come case studies alle refertazione dei tumori della mammella, del colon e
del polmone.
La sicurezza in laboratorio: norme,
precauzioni, prevenzione, responsabilità
A. Colombi
Servizio di Prevenzione e Protezione, Azienda Ospedaliera
San Paolo, Milano
Lo studio dei possibili effetti sulla salute conseguenti a condizioni di lavoro insalubri si è avvalso nel tempo delle informazioni fornite dall’osservazione clinica, e più recentemente
dell’indagine epidemiologica, e delle evidenze della sperimentazione animale. Con il termine “Medicina Preventiva”
va oggi intesa una disciplina largamente composita che fa
propria la cultura ed i mezzi tecnici, oltre che della clinica,
anche della tossicologia, della biochimica, della fisiologia,
della psicologia e soprattutto dell’igiene del lavoro. La rilevazione nel tempo degli effetti dannosi, abbinata alla conoscenza delle caratteristiche dell’esposizione nelle sue componenti di durata ed intensità, permette di verificare la esistenza di conseguenze indesiderate, cogliere le alterazioni precoci dello stato di salute e definire condizioni di esposizione
non nocive o quantomeno “socialmente accettabili”. L’insieme di queste informazioni costituisce la premessa per svolgere una reale azione preventiva e per verificare la validità
delle scelte tecniche e sanitarie adottate per la tutela della salute dei lavoratori.
Nelle attività di Laboratorio dei Servizi di Anatomia Patologica sono utilizzate numerose sostanze e i prodotti chimici
pericolosi che possono comportare l’insorgenza di danni alla
salute dei lavoratori e che comportano quindi l’adozione di
Misure di sicurezza, interventi di prevenzione e protezione
da mettere in atto per limitare il Rischio Chimico. Tra i tanti,
il più rilevante, anche se apparentemente il più banale, è
quello di disporre di opportuno elenco, suddiviso per singolo
laboratorio, di tutte le sostanze in uso con le quantità dei singoli prodotti utilizzate annualmente ed il numero di confezioni giacenti in reparto in uso o in magazzino. Le sostanze
devono essere catalogate secondo le indicazioni di pericolo,
frasi di rischio e i consigli di prudenza, rilevate dall’etichettatura o tratte dalle schede di sicurezza fornite dal produttore. Ogni laboratorio deve essere provvisto di scaffali, armadi,
mobiletti con anta, mensole dei banconi di lavoro, frigoriferi
e armadi antincendio per sostanze infiammabili in cui sono
tenute in deposito le sostanze chimiche utilizzate. Poiché i
prodotti chimici vengono utilizzati sia in procedimenti manuali che in specifici macchinari a ciclo chiuso, potrà risultare diversa l’entità e la frequenza dell’esposizione allo stesso
agente a seconda delle condizioni di uso. Ai fini preventivi risulta inoltre necessario diffondere una Informazione sui rischi (in ogni laboratorio deve essere disponibile, per la consultazione da parte degli operatori, l’elenco delle sostanze in
uso e devono essere affissi i simboli e le indicazioni riporta-
92
te sull’etichetta delle sostanze e dei preparati pericolosi), disporre di Mezzi di protezione collettiva (quali cappe di aspirazione fissa), di Dispositivi di protezione individuale (guanti in latice monouso, camici in stoffa, camici in stoffa di tipo
chirurgico per gli addetti al “taglio pezzi”, mascherine di tipo chirurgico e mascherine FFP2 con filtro a carbone da utilizzare quando si maneggiano solventi o sostanze irritanti
quali la formaldeide, maschere con visiera per la sala autoptica, camici monouso per la sala autoptica, guanti in metallo
per la sala autoptica), di Dispositivi di sicurezza particolare
(docce di emergenza e lava occhi, presenti in numero di
una/due nei singoli laboratori). Sostanze cancerogene: nei laboratori dei servizi di Anatomia Patologica sono in genere in
uso alcune sostanze etichettate con le frasi di rischio R 45:
“Può provocare il cancro” ed R 40: “Può provocare effetti
irreversibili”. Tra le sostanze R 45 sono da citare: dicloroetano - acrilamide - nichel cloruro esaidrato. Sostanze R 40:
tricloroetilene - cloroformio - formaldeide - acetato di piombo basico - carbonio tetracloruro - arancio di acridina - diossano. Si pone in evidenza che il tricloroetilene, il cloroformio
e l’aldeide formica, benché compaiano nella classificazione
CEE con la frase di rischio R 40, sono state individuate come sostanze cancerogene dalla CCTN (Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale). Inoltre l’aldeide formica è
stata recentemente classificata dalla International Agency of
Research on Cancer come cancerogena per l’uomo (classe
2A). Coloro che operano con queste sostanze, se ad esse
esposti, andrebbero iscritti nel registro di cui all’art. 70 del D.
Lgs. 626/94.
Un’altra delle condizioni di rischio nelle attività dei laboratori di Anatomia Patologica è rappresentata dal Rischio biologico. L’attività svolta pur non comportando la deliberata
intenzione di operare con agenti biologici, può implicare il
rischio di esposizione dei lavoratori agli stessi per la pre-
PROFESSIONE RIVISITATA - PARTE PRIMA
senza di agenti biologici nei pezzi operatori, nelle biopsie,
nei liquidi biologici provenienti dai pazienti e nelle parti
anatomiche provenienti da reperti autoptici. E’ possibile
quindi l’eventuale contatto con gli agenti biologici classificati nell’art. 75 del D.Lgs.. 626/94 e successive modifiche
come appartenenti ai gruppi 1, 2, 3 delle classi di pericolosità. Gli studi sul rischio di natura biologica per il personale medico e paramedico impiegato nei Servizi di Anatomia
Patologica al seguito di accidentale esposizione indicano
che tale rischio è significativo nel caso di TBC, epatite (soprattutto B e C) e gastroenteriti. Non esistono ancora casi
documentati di infezione da HIV in personale impiegato nei
servizi di anatomia patologica. L’adozione di misure di confinamento della contaminazione (“misure di prevenzione
universali”, uso di cappe a flusso laminare), unite ai dispositivi di protezione individuale (occhiali, maschera con visiera, guanti in latice monouso, camici in stoffa, camici in
stoffa di tipo chirurgico per gli addetti al “taglio pezzi”, mascherine di tipo chirurgico) e alla formazione/informazione
dei lavoratori (con adeguati metodi procedurali e di organizzazione del lavoro), rappresentano gli interventi più efficaci e praticabili per il contenimento del rischio stesso. La
sorveglianza sanitaria, dopo l’eliminazione dei pericoli, il
controllo e limitazione della entità della esposizione, rappresenta la terza ed ultima metodologia di intervento per la
prevenzione dei danni per la salute conseguenti all’esposizione ad agenti lesivi; deve essere praticata tutte le volte che
il tipo di sostanze utilizzate e la entità della esposizione possano indicare l’esistenza di un rischio “non moderato” per la
salute dei lavoratori; si attua con accertamenti medici e chimico-clinici rivolti alla ricerca di segni, sintomi e alterazioni funzionali in grado di evidenziare gli effetti lesivi sull’organismo e si avvale di misure che permettono una diagnosi precoce di malattia.
PATHOLOGICA 2007;99:93
La parola alle industrie
Diagnosi molecolare dell’amplificazione
dell’oncogene Her-2 in sezioni e array:
efficienza e affidabilità dell’analisi
automatizzata a confronto con la lettura
manuale
D. Di Martino
Carl Zeiss, Milano
Campioni bioptici freschi e già archiviati di tessuto normale
e tumorale di cancro al seno sono stati sottoposti ad analisi
automatizzata al fine di compararne le risultanze analitiche
con precedenti letture effettuate da differenti operatori. Campioni prelevati dal medesimo paziente sono stati sottoposti
alla valutazione della presenza sia di amplificazioni del gene
Her2/neu su sezioni di 3-5 µm che del suo prodotto di espressione in array tissutali.
Le sezioni istologiche sono state marcate con le sonde
PathVision Vysis in grado di marcare contemporaneamente e
con differenti colori il gene Her2 e il CEP17. Al fine di effettuare i conteggi dei segnali ottenuti e stabilire la possibile
overespressione genica è stato utilizzato il sistema di analisi
automatizzato Metafer MetaSystems GmbH. I gruppi di nuclei marcati in fluorescenza sono stati catturati con l’impiego
di un microscopio Carl Zeiss e analizzati applicando degli algoritmi specificamente sviluppati per la valutazione della
qualità dei segnali e del relativo rapporto Her2/CEP17 da utilizzare come indice diagnostico. Le porzioni di tessuto orga-
nizzate in Tissue Micro Array sono state, invece, sottoposte a
colorazioni immunoistochimiche ed analizzate in luce
trasmessa per la determinazione del segnale di membrana
rivelato tramite DAB.
La combinazione di ottiche corrette all’infinito, percorsi ottici perfezionati, acquisizioni ad alta risoluzione e algoritmi
appositamente sviluppati per la determinazione e quantizzazione delle marcature in fluorescenza e immunoistochimica hanno offerto risultati che mostrano una soddisfacente
correlazione tra analisi automatizzata e manuale. Soltanto
pochi casi < 3% di campioni amplificati hanno mostrato una
minima differenza di 0,1-0,4 unità relative nel rapporto tra
Her2 e CEP17; differenze che non hanno influenzato l’output
diagnostico e che si possono paragonare alla discordanza tra
le valutazioni di due diversi operatori.
Il presente studio dimostra, dunque, come un’accurata
indagine supportata da opportuni strumenti automatizzati
quali il Metafer possa essere considerata tanto affidabile
quanto uno scoring manuale, consentendo di ritenere tale
strumentazione un nuovo mezzo da impiegare per dirigersi
verso un’analisi più oggettiva dell’espressione di Her2.
Bibliografia
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Piper J, Loerch T, Poole I, et al. Computing the Her-2:CEP-17 ratio
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PATHOLOGICA 2007;99:94-97
Gli incontri imprevisti al microscopio
Lesioni pre-neoplastiche della tuba
M.L. Carcangiu
U.O. Anatomia Patologica A, Istituto Nazionale Tumori,
Milano
In contrasto con quanto è accaduto per altri organi dell’apparato genitale femminile gli studi concernenti la patologia della tuba sono stati in passato molto scarsi. I pochi lavori presenti in letteratura, perlopiù di tipo clinico-patologico, si
sono essenzialmente concentrati sui problemi relativi agli aspetti clinici ed allo staging del carcinoma tubarico. In particolare, poiché l’incontro con un carcinoma tubarico in uno
stadio iniziale rappresenta una rara eventualità nella routine
diagnostica di un patologo, sono quasi completamente mancati studi concernenti i precursori ed i meccanismi patogenetici alla base dello sviluppo di questo tumore come sottolinea il fatto che la stessa definizione istologica dei precursori del carcinoma tubarico non è stata ancora messa a punto. Sebbene la ben nota sequenza displasia/carcinoma in
situ/carcinoma invasivo, descritta in altri organi dell’apparato genitale femminile ed altre sedi, potrebbe in principio essere applicabile anche all’epitelio tubarico, attualmente l’unica lesione universalmente accettata come precursore del
carcinoma tubarico è il carcinoma in situ caratterizzato secondo la definizione del WHO dalla “sostituzione dell’epitelio
tubarico da parte di cellule epiteliali ghiandolari con nuclei
pleomorfi” 1.
Questo approccio apparentemente limitativo è stato adottato
poiché criteri applicati ad altri organi genitali, come affollamento e stratificazione nucleare, perdita di polarità cellulare,
lieve atipia nucleare e rare mitosi sono di comune riscontro
nell’epitelio tubarico come fenomeno reattivo in associazione con processi patologici non-neoplastici e specialmente con alcuni tipi di salpingite.
Inoltre i dati relativi alla frequenza nella popolazione generale delle lesioni proliferative dell’epitelio tubarico iperplasia epiteliale tipica, iperplasia epiteliale atipica/displasia carcinoma in situ disponibili in letteratura sono aneddotici e di
difficile comparazione per via della varietà di criteri istologici e di terminologia usati nei pochi lavori dedicati all’argomento 2-4.
Il problema è aggravato dal fatto che l’iperplasia atipica ed il
carcinoma in situ dell’epitelio tubarico possono associarsi a
processi infiammatori cronici, quali la salpingite cronica di
origine tubercolare o no, ma anche all’assunzione di estrogeni o di Tamoxifene 5 6.
Infine alcuni studi – seppur con risultati contraddittori tra
loro – hanno sottolineato la presenza di modificazioni dell’epitelio tubarico in pazienti con tumori sierosi ovarici a
basso potenziale di malignità “borderline” 7 8.
Un rinnovato interesse per la patologia neoplastica tubarica ed
in particolare per le lesioni pre-neoplastiche dell’epitelio
tubarico è stato recentemente suscitato dal susseguirsi di pubblicazioni che hanno posto in relazione la patologia neoplastica tubarica con le mutazioni dei geni BRCA. Studi recenti hanno infatti dimostrato che donne portatrici di mutazioni BRCA
hanno un aumento del rischio di sviluppare un carcinoma della tuba, rischio che appare simile se non maggiore di quello di
sviluppare un carcinoma ovarico. La proporzione di carcinomi
tubarici che si crede sia dovuta a mutazioni BRCA varia dal 16
al 42%. Essi sono tipicamente di tipo sieroso ed a localizzazione fimbrica. Si è anche visto che i carcinomi della tuba
costituiscono un’alta percentuale, se non la maggioranza, dei
carcinomi clinicamente occulti individuati in donne portatrici
di mutazioni BRCA sottoposte a salpingo-ooforectomia profilattica con una frequenza che varia dal 2,3 al 38% nelle varie
serie 9. Sebbene i carcinomi tubarici individuati in questo contesto siano di piccole dimensioni e spesso non invasivi o solo
superficialmente invasivi, non mancano esempi di carcinomi
tubarici occulti anche in situ che si sono rivelati clinicamente
maligni. La frequenza dei carcinomi tubarici occulti nelle varie
serie tende ad essere direttamente proporzionale alla meticolosità dell’esame istologico e soprattutto al numero di
sezioni di tuba esaminate. A questo proposito sono stati messi
a punto dei protocolli di studio che prevedono sezioni seriate
delle tube con particolare attenzione alla regione fimbrica 10.
Non sorprende che anche la identificazione di lesioni di tipo
proliferativo/displastico dell’epitelio tubarico sia aumentata
in pazienti portatrici di mutazione BRCA 10-12.
Noi abbiamo avuto la opportunità di valutare la presenza di
lesioni proliferative atipiche dell’epitelio tubarico, esaminando le tube prelevate nel corso di 26 consecutive salpingoooforectomie profilattiche in donne portatrici di mutazioni
BRCA e le cui ovaie erano risultate negative per neoplasia all’esame istologico.
Le tube di 49 donne sottoposte a isterectomia con salpingoooforectomia per leiomioma uterino e con una età media simile a quella delle donne incluse nello studio, sono state usate
come controllo. Tutte le tube in ambedue i gruppi erano
macroscopicamente normali. All’esame istologico sono stati
individuati 2 carcinomi in situ e 2 iperplasie atipiche dell’epitelio tubarico nel gruppo delle pazienti portatrici di mutazioni BRCA, mentre le tube delle pazienti appartenenti al
gruppo di controllo non hanno invece mostrato alcuna anormalità di questo tipo 11.
Piek et al. identificarono displasia dell’epitelio tubarico in 6
di 12 donne portatrici di mutazione BRCA o con una predisposizione ereditaria al carcinoma ovarico. Nessuna alterazione patologica dell’epitelio tubarico fu invece diagnosticata nel gruppo di controllo costituito da 13 donne sottoposte
a isterectomia per patologia benigna. Un accumulo di p53 fu
identificato nelle lesioni con displasia severa 12.
Recentemente, aree p53-positive sono state identificate in
epiteli tubarici, appartenenti sia a donne BRCA-positive sia a
controlli, morfologicamente privi di atipia citologica o di un
aumentato indice proliferativo. Gli Autori suggeriscono che
questa “p53 signature” sia l’espressione di una alterazione
della funzione del p53 in grado, in determinate circostanze,
di contribuire alla patogenesi del carcinoma sieroso e quindi
in qualche modo rappresenti una lesione pre-neoplastica anche in assenza di alterazioni morfologiche 10.
È chiaro che a questo punto appare quanto mai necessaria,
sulla scorta dell’esperienza maturata dallo studio delle tube
di pazienti con mutazioni BRCA sottoposte a salpingoooforectomia profilattica, una definizione precisa dei criteri
morfologici e della terminologia da usare per la diagnosi
delle lesioni proliferative/displastiche preinvasive dell’epitelio tubarico che permetta di differenziarle da una parte dalle
comuni alterazioni reattive e iperplastiche di questo epitelio
e dall’altra da lesioni dichiaratamente neoplastiche ed invasive.
GLI INCONTRI IMPREVISTI AL MICROSCOPIO
Bibliografia
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La biopsia della membrana sinoviale: valore
diagnostico
A. Parafioriti
U.O. Anatomia Patologica, Istituto Ortopedico “Gaetano Pini”, Milano
La membrana sinoviale è un tessuto connettivale specializzato che riveste il versante interno delle articolazioni diartrodiali e la superficie interna di guaine e tendini. In condizioni
normali ha uno spessore variabile da 100 µm a pochi mm ed
è costituita da due strati: intima sinoviale o lining e sottosinovia o regione subintimale. L’intima sinoviale normale è
costituita da 1-3 strati di cellule dette sinoviociti, popolazione cellulare eterogenea per morfologia, immunofenotipo
e funzioni.
Il sinoviocita di tipo A, di derivazione monocita-macrofagico
di origine midollare, costituisce il 30% del lining e presenta
immunofenotipo caratterizzato da positività per CD68, CD14
e recettore ad alta affinità per la frazione Fc delle immunoglobuline. Il sinoviocita di tipo B è un particolare fibroblasto con positività per CD55, specializzato nella produzione di acido ialuronico. Un terzo tipo di sinoviocita di
tipo C, ha caratteristiche intermedie tra i due. La sottosinovia
95
è costituita da tessuto connettivale ricco in condroitin-4 e -6solfato e contiene una evidente rete vascolare e di terminazioni nervose.
La membrana sinoviale viene coinvolta in diversi quadri patologici di competenza ortopedica e reumatologica e può essere il bersaglio di malattie articolari a carattere flogistico, di
patologie infettive, pseudotumorali e neoplastiche. L’esame
istologico della membrana sinoviale nel processo artritico
rappresenta una fondamentale procedura diagnostica poiché
offre informazioni utili sugli eventi patomorfologici in divenire che caratterizzano le diverse fasi delle malattie. La
diffusione ed il perfezionamento delle tecniche bioptiche con
artroscopi ad ago e quindi mini-invasive hanno rappresentato una tappa significativa nello studio del complesso microambiente articolare, permettendo l’esecuzione di biopsie
sinoviali anche di piccole articolazioni, in fasi precoci di
malattia. Esistono casi in cui l’istologia mostra alterazioni
patognomoniche: granulomi con necrosi caseosa nella TBC
osteoarticolare, granulomi non necrotizzanti con inclusi citoplasmatici peculiari nella sarcoidosi, accumuli di cristalli
nelle artropatie da microcristalli. La biopsia della membrana
sinoviale è indispensabile per le lesioni similtumorali
sinovite villonodulare pigmentata, condromatosi sinoviale,
per quelle neoplastiche e per le sinovite post-traumatiche o
da emartri. La sinovite reumatoide è caratterizzata da lesioni
elementari che possono essere variamente presenti in relazione alla durata, al grado di attività della malattia e alla
sede del prelievo. La membrana sinoviale va incontro ad una
serie di modificazioni inizialmente di tipo essudativo e poi
proliferativo che ne determinano la caratteristica iperplasia
progressiva, papillare con aspetto vegetante ed esofitico nella cavità articolare. Le lesioni si presentano con una disposizione “a salto”: nella stessa articolazione convivono aree di
membrana normale ed aree con flogosi. All’inizio prevale
l’aspetto essudativo e le alterazioni precoci sono a carico dell’intima: sinoviociti iperplastici, con binucleazioni o multinucleati cellule di Collins, lining ipercellulato. La sottosinovia
è sede di neoangiogenesi, edema interstiziale, infiltrato flogistico. In seguito le lesioni elementari progrediscono fino al
quadro tipico con diffusa iperplasia dei villi, lining pluristratificato, polarità dei sinoviociti. La sottosinovia ha attivazione “mesenchimoide” dello stroma, neoangiogenesi con
aspetti di angioite, infiltrato infiammatorio marcato perivascolare o strutturato in pseudofollicoli con centro chiaro follicoli di Allison e Ghormely. La necrosi fibrinoide è presente
in quantità variabile: limitata a microfocolai nel lining oppure all’intero villo. Si arriva alle fasi di danno erosivo con
distruzione della cartilagine articolare e dell’osso da parte del
“panno” sinoviale ricco in osteoclasti. Determinante ruolo
patogenetico è stato di recente riconosciuto ai sinoviociti fibroblasto-like, in tutti i principali aspetti dell’Artrite Reumatoide: essi producono parte dei fattori di crescita che, insieme
a citochine infiammatorie della cavità articolare, portano allo squilibrio tra riassorbimento e neoapposizione ossea causando un rimodellamento osseo patologico. Infatti influenzano la modulazione dell’espressione di RANKL receptor
activator of nuclear factor K ligand, fattore osteoclastogenico e del suo inibitore che è l’OPG osteoprotegerina. L’istologia sinoviale permette la valutazione immunofenotipica dell’infiltrato e degli elementi proliferanti nelle sinoviti autoimmuni sinovite reumatoide, spondiloartriti. I linfociti T costituiscono il 30-50% della componente infiammatoria nella
reumatoide e il subset più rappresentato è quello CD4+ rapporto CD4/CD8 variabile tra 4:1 e 14:1. Si può infine tipiz-
96
zare la popolazione sinoviocitaria macrofagica o fibroblastica CD68, CD55 e valutare la quota proliferante con
Ki67/MIB1 e l’espressione di oncogeni coinvolti nell’apoptosi. L’espressione di questi marcatori sembra correlata a
maggior aggressività di malattia.
In futuro l’anatomopatologo sarà sempre più coinvolto nella
ricerca di parametri morfologici molecolari che permettano
di riconoscere una malattia potenzialmente erosiva in pazienti che presentano una early undifferentiated arthritis, prima
che siano soddisfatti i criteri per chiamarla artrite reumatoide. Le diverse pathways fisiopatologiche che determinano
la degradazione della cartilagine articolare e dell’osso risultano preferenzialmente attivate nella membrana sinoviale fin
dalle fasi più precoci di malattia. Ne consegue la necessità di
studiare i tessuti articolari e soprattutto la membrana
sinoviale, al fine di riconoscere le complesse pathways proinfiammatorie, degradative, downregulations di fattori inibitori
ecc. che determinano la progressione dell’artrite e di individuare parametri che siano predittivi sia di prognosi che di
risposta alle terapie.
Bibliografia
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Tsubaki T, Arita N, Kawakami T, et al. Characterization of histopathology and gene-expression profiles of synovitis in early rheumatoid
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Iperplasie mesoteliali
P.G. Betta
S.O.C. Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda Ospedaliera Nazionale, Alessandria
Processi reattivi coinvolgenti le cavità sierose rivestite da
mesotelio sono comuni, si osservano in una varietà di contesti clinici e riconoscono cause diverse, quali traumi fisici,
procedure chirurgiche, infarto polmonare, pneumotorace,
collageno-vasculopatie, infezioni, reazioni a farmaci, cirrosi,
neoplasie viscerali sottosierose. Adeguate informazioni clinico-radiologiche aiutano a non valutare erroneamente un esuberante processo reattivo del mesotelio come neoplastico.
Difficoltà di interpretazione di quadri microscopici di proliferazione mesoteliale occorrono a livello di campioni citologici e istologici. Due aree significative di difficoltà diagnostica sono:
– la distinzione tra iperplasia mesoteliale e mesotelioma maligno MM epitelioide ben differenziato più frequente in
ambito di citopatologia dei versamenti sierosi, ma presente anche a livello di campioni bioptici;
– la distinzione tra pleurite fibrosa e MM desmoplastico problema diagnostico generalmente posto da campioni bioptici, soprattutto di piccole dimensioni.
Nel distinguere a scopo didattico alcuni patterns di iperplasia
mesoteliale reattiva, è opportuno ricordare che questa pre-
GLI INCONTRI IMPREVISTI AL MICROSCOPIO
senta spesso un confuso intreccio di modificazioni citoarchitetturali coinvolgente sia il mesotelio di superficie sia il
connettivo stromale submesoteliale ispessito ed infiammato.
Proliferazioni mesoteliali epiteliomorfe limitate alla superficie sierosa. Iperplasia mesoteliale e iperplasia
mesoteliale atipica. Ogni stimolo flogistico in una cavità
sierosa tende ad associarsi a modificazioni reattive delle cellule mesoteliali di superficie. Nella forma più semplice si osserva un ingrossamento delle cellule mesoteliali che assumono una forma rotondeggiante o cubica. Il pleomorfismo
è più frequente nelle proliferazioni mesoteliali reattive che
nel MM epitelioide ben differenziato, dove i nuclei possono
avere un aspetto ingannevolmente innocuo. I nucleoli sono
spesso prominenti nelle reazioni benigne e le mitosi possono
essere presenti. Nelle proliferazioni più floride le cellule superficiali formano lamine epiteliali confluenti, di solito senza assi papillari, anche se occasionalmente possono osservarsi strutture simil-ghiandolari e semplici papille. È comune la
presenza di vacuoli intracitoplasmatici, di solito negativi per
mucine neutre dPAS, reperto questo che esclude in diagnosi
differenziale la possibilità di una metastasi di adenocarcinoma. La necrosi degli aggregati superficiali di cellule
mesoteliali può verificarsi nel corso di infezioni, in particolare da micobatterio, e raramente in altre condizioni benigne.
La necrosi, in assenza di flogosi acuta, induce sempre il
sospetto di malignità. L’invasione stromale è il criterio diagnostico più attendibile per considerare maligna una proliferazione mesoteliale. Quando una proliferazione di superficie
mostra aspetti suggestivi di malignità, ma senza chiara evidenza di invasione, è opportuno utilizzare il termine di “proliferazione mesoteliale atipica”, richiedendo ulteriori biopsie
nei casi clinicamente sospetti per MM. L’iperplasia
mesoteliale atipica può assumere una varietà di aspetti microscopici: da una filiera di cellule singole, cubiche e occasionalmente cilindriche, sulla superficie mesoteliale a quadri
complessi papillari.
Proliferazioni mesoteliali epiteliomorfe in una membrana
sierosa ispessita. Pseudoinvasione entrapment. Le proliferazioni mesoteliali possono estendersi dalla superficie in una
membrana sierosa ispessita per flogosi e/o fibrosi, o possono
essere localizzate completamente nello spessore della membrana. Distinguere una vera invasione stromale segno inequivocabile di malignità, da un intrappolamento reattivo di
cellule mesoteliali può essere talvolta estremamente difficile.
Cellule mesoteliali epitelioidi localizzate immediatamente
sotto la superficie sierosa sono tipiche di molte reazioni benigne, in cui le cellule mesoteliali proliferanti sono rimaste
intrappolate a seguito di un processo flogistico ancora attivo
o pregresso. La presenza di una flogosi acuta o cronica così
come di soltanto una o alcune formazioni tubulo-acinari nella membrana sierosa o di una o più file di ghiandole o di singole cellule parallele alla superficie sierosa favoriscono un
processo benigno reattivo del mesotelio. Tipicamente le proliferazioni mesoteliali benigne di tipo epitelioide non si estendono all’intero spessore della membrana sierosa né tanto
meno infiltrano il connettivo adiposo e i muscoli della parete
toracica.
Pleurite fibrosa. Si tratta di una reazione benigna in cui le
cellule mesoteliali proliferanti sono in gran parte o completamente di foggia fusata. Può verificarsi anche a livello di
cavità peritoneale o pericardica. Analogamente alle proliferazioni benigne epiteliomorfe, la pleurite fibrosa è caratterizzata da una chiara “zonazione”, con la cellularità più marcata immediatamente sotto la superficie ed una progressiva
GLI INCONTRI IMPREVISTI AL MICROSCOPIO
diminuzione con associata crescente fibrosi stromale verso
la parete toracica. I MM sarcomatoso e desmoplastico, invece, non presentano di solito zonazione e sono spesso uniformemente distribuiti a tutto lo spessore della membrana
sierosa ispessita, oppure hanno una cellularità più accentuata sul versante della parete toracica. Le cellule più superficiali sono citologicamente atipiche e di foggia fusata, di
solito commiste a fibrina, ma non si estendono in profondità
nella pleura ispessita. Allontanandosi dalla superficie appaiono lunghi capillari orientati perpendicolarmente alla
stessa e questo è un aspetto tipico della pleurite fibrosa. Di
solito le cellule fusate non si estendono al connettivo adiposo, anche se questa estensione, e perfino la produzione di
tessuto fibroso attorno ai muscoli della parete toracica, possono osservarsi in caso di fibrotorace e di pregressi interventi chirurgici.
Immunoistochimica. Attualmente non esiste alcun marcatore immunoistochimico discriminante tra mesotelio reattivo
e neoplastico dotato di accuratezza diagnostica riproducibile.
97
La immunopositività per cheratine ad ampio spettro è utile
per esaminare la distribuzione delle cellule mesoteliali nelle
membrane sierose, in particolare per evidenziare le filiere
lineari che favoriscono un processo benigno o la elusiva infiltrazione nel grasso o in altre componenti della parete
toracica che suggerisce la malignità. L’uso combinato di
desmina e EMA è stato proposto per valutare la natura delle
proliferazioni mesoteliali, in quanto la desmina è preferenzialmente espressa dal mesotelio reattivo 85% dei casi ma solo dal 10% dei MM, mentre EMA è preferenzialmente espressa dai MM 80% e solo dal 20% di iperplasie mesoteliali. L’espressione immunoistochimica di p53 è molto controversa
dallo 0 al 60% nel mesotelio reattivo e dal 25 al 97% nel
mesotelio maligno così come anche quella della telomerasi.
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Slide Seminar Juniores. Le neoplasie uroteriali:
approccio classificativo
Urothelial neoplasms. Classification approach
R. Montironi, R. Mazzucchelli
Section of Pathological Anatomy, School of Medicine, Polytechnic University of the Marche Region, Ancona, Italy
Introduction. Three diagnostic categories are identified in
the urinary bladder on the basis of the pattern of growth of
the urothelial tumours flat, papillary non-invasive, or invasive. The WHO 2004 classification is used 1. It is the constellation of the presence or absence of a number of histological
parameters which helps to arrive at the appropriate diagnosis
for a given case 2. Immunohistochemistry has limited value
but can be helpful in solving a number of diagnostic problems 2.
Normal urothelium, hyperplasia and other benign proliferative lesions. Normal urothelium. Urothelium, the dominant type of epithelium lining the urinary bladder, ureters,
and renal pelvis, is a multilayered epithelium in which superficial cells, intermediate cells and basal cells are identified. The surface cells, known as “umbrella cells”, may have
nuclear enlargement, coarsely clumped chromatin and prominent nucleoli which should not be misconstrued to be dysplastic. Intermediate cells are oriented with the long axis perpendicular to the basement membrane. Nuclei are oval and
the nucleoli are minute or absent. The cytoplasm is ample
and rich in glycogen that dissolves at the time of tissue processing, leaving cleared areas cytoplasmic clearing. The
basal cells are small and cuboidal, the nuclei have condensed
chromatin and the cytoplasm is scant. Mitoses are usually not
detected 3.
The thickness of the normal urothelium varies with the state
of distention of the bladder 2 to 4 cell layers when dilated and
5 to 7 layers when contracted. The density and shape of
urothelial nuclei varies in all cell layers according to the degree of distension 4. The urothelium of the renal pelvis, urethra and the bladder neck is usually composed of slightly
larger cells, which have increased cytoplasmic eosinophilia
and hence may be interpreted as dysplasia. Not uncommonly
technical problems such as thick sections and vagaries of
staining and fixation may cause the normal urothelium appear hyperchromatic.
By immunohistochemistry normal urothelium shows reactivity for CK20 only in the superficial umbrella cell layer 5,
while CD44 staining is limited to the basal cell layer 6. Nuclear staining for p53 is absent in normal urothelium 7 and Ki67 is negative or positive in < 10% of basal cells 8.
All the possible variations within the normal range should be
well kept in mind when approaching the diagnosis of urothelial lesions.
Hyperplasia. Flat urothelial hyperplasia. Flat urothelial
hyperplasia consists of a markedly thickened urothelium,
greater than seven cells layers thick, without cytological
atypia 9. In practice, counting the number of urothelial cell
layers is not reproducible, as urothelial cells do not line up in
neat rows and tangential sectioning may result in false impression of increased thickness. The observation that there is
no disturbance of the layering and the nuclei are inconspicuous help to establish the diagnosis. This lesion may be seen
in the mucosa adjacent to low-grade papillary urothelial lesions. When seen by itself, there are no data proving that it
has premalignant potential 9.
Papillary urothelial hyperplasia. It is characterized by slight
“tenting”, undulating, or papillary growth lined by urothelium
of varying thickness. The cytology is similar to the adjacent
normal urothelium. The lesion often has one or a few small, dilated capillaries at its base. Papillary hyperplasia is distinguished from papillary urothelial neoplasia by a lack of a welldeveloped branching fibro-vascular core while the absence of
prominent edema and inflammation help to distinguish it from
polypoid cystitis 10. This lesion is generally found on routine
follow-up cystoscopy for papillary urothelial neoplasms 1. A de
novo diagnosis of papillary urothelial hyperplasia does not
necessarily place the patient at risk to develop papillary tumors, but follow-up is recommended 11. In a patient with a history of a papillary urothelial tumor, this lesion may be associated with an increased risk of recurrence.
Cystitis cystica and von Brunn nests. Cystitis cystica is
made of cystically dilated von Brunn nests acquiring a luminal
space. The lumina may contain dense eosinophilic secretion
and mild nuclear atypia with occasional prominent nucleoli
has been described. When the proliferation becomes florid
may mimic the nested variant of urothelial carcinoma 12. Cystitis cystica is a reactive, proliferative consequence of inflammatory or other irritation. As a rule it does not have a
precancerous meaning, but it should be pointed out that carcinoma in situ may occasionally occur in the nests and be not
detectable in the overlying flat urothelium 13. In these cases it
is usually associated with previously diagnosed carcinoma in
situ or infiltrating at other sites in the bladder.
Flat urothelial lesions with atypia. Reactive atypia. Consists of nuclear abnormalities occurring in acutely or chronically inflamed urothelium. The thickness of the urothelium
and the polarity of the cells are maintained. Nuclei are uniformly enlarged and vesicular, with central prominent nucleoli. Mitotic figures may be frequent. In the absence of appreciable nuclear hyperchromasia, pleomorphism, and irregularity in the chromatin pattern, the lesion should not be considered neoplastic 9. The presence of acute or chronic inflammation, particularly in an intraurothelial location, warrants caution in the interpretation of dysplasia or carcinoma in situ, although it must be borne in mind that reactive atypia may coexist with dysplasia or in situ carcinoma.
A history of instrumentation, stones or therapy is often present 14. In particular, therapy associated atypia could easily be
mistaken for intraepithelial neoplasia. The presence of abundant cytoplasm, nuclear chromatin degeneration, multinucleation, prominent nucleoli and involvement of mainly the superficial cells are key features to associate the changes with
chemotherapy or radiation.
The term atypia of unknown significance is sometimes used
for cases in which the severity of atypia appears out of proportion to the extent of inflammation such that dysplasia cannot be confidently excluded 1. The patients may be followed
more closely and re-evaluated once the inflammation subsides. The use of the term atypia of unknown significance 15
was discouraged by Lopez Beltran et al. 9 because it does not
add any value in practice.
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Urothelial dysplasia. The thickness of the urothelium is usually normal four to seven layers but may be increased or decreased. There is loss of clearing of cytoplasm, nucleomegaly,
irregularity of nuclear contours and altered chromatin distribution. Nucleoli are usually not conspicuous; only a minor degree of pleomorphism is allowable in dysplasia and the mitotic activity is variable though usually not in the higher layers.
Loss of polarity is evidenced by crowding and nuclei with the
long axis parallel to the basement membrane 16. Comparison
with more normal appearing urothelium, if present, may help
in assessing features like nucleomegaly, and loss of clearing
and polarity. The distinction between urothelial dysplasia and
carcinoma in situ is essentially one of morphologic threshold
since nuclear atypia is evident but should not be severe
enough to merit a diagnosis of carcinoma in situ. The lamina
propria is usually unaltered but may contain increased inflammation and/or neovascularity.
Immunohistochemistry shows abnormal expression of CK20,
Ki-67 and p53 in the majority of the cases, together or individually, and helps to distinguish reactive atypia from dysplasia but not dysplasia from CIS 5. Increased reactivity for
CD44 in all layers of the urothelium is, on the contrary, more
commonly seen in reactive atypia 7.
Dysplastic lesions are typically seen in bladders with urothelial neoplasia and are uncommon in patients without it 17. In
patients with bladder tumors, the presence of dysplasia
places them at higher risk for recurrence and progression 18.
Urothelial carcinoma in situ. Carcinoma in situ CIS Highgrade Intraurothelial Neoplasia is histologically characterized by unequivocal severe cytological atypia, i.e., the type
of atypia usually seen in invasive urothelial carcinoma. The
urothelium may be diminished in thickness or of normal
thickness, while the observation of an increased thickness is
exceedingly rare. Cells have large, irregular, hyperchromatic nuclei often with one or more large nucleoli. There is alteration or complete loss of polarity and mitotic activity is
frequently observed 9 2. The lamina propria is frequently hypervascular and inflamed reflecting the erythematous appearance witnessed on cystoscopy. When evaluating the degree of cytological atypia, it is always important the comparison with the cells of the surrounding normal urothelium.
CIS may grow in the surrounding normal urothelium as clusters or isolated single cells pagetoid spread or undermining
or overriding it 19. The term of clinging CIS is used for cases where only a few residual cancer cells remain on the surface 9.
A common feature of CIS is the lack of intercellular cohesion
resulting in extensive denudation. Since denudation may occur also in association with trauma due to instrumentation or
therapy, deeper sections through the paraffin block may be
helpful in revealing atypical cells diagnostic for CIS. In the
absence of atypical cells, the finding of extensive denudation,
particularly when associated with neovascularity and chronic inflammation in the lamina propria, must be included in
the report and correlation with urine cytology findings may
be suggested 1.
Potential mimics of CIS are the truncated papillae that remain after treatment of papillary carcinoma with Mitomycin
C and thiotepa, particularly when associated with denudation
and inflammation 20. CIS can be mimicked 21 by infection of
immunocompromised patients with the human polyoma virus
resulting in large homogeneous inclusions in enlarged nuclei
of urothelial cells.
The differentiation of CIS from other flat urothelial lesions
with atypia is based primarily on the cytologic features. Lim-
99
ited studies suggest a potential adjunctive role of immunohistochemistry 7 22-24. CIS frequently shows diffuse, strong cytoplasmic reactivity for CK20 and diffuse nuclear reactivity
for p53 throughout the full thickness of the urothelium.
CD44 reactivity is limited to a residual basal cell layer of
normal urothelium when present, but is absent in the neoplastic cells. A panel consisting of these three antibodies is
important as not all cases of CIS consistently exhibit the
characteristic immunostaining.
CIS with microinvasion. In bladder carcinoma in situ, a
careful search should be made for the presence of invasion.
Microinvasive carcinoma of the urinary bladder is defined by
invasion into the lamina propria to a depth ranging 2-to-5
mm from the basement membrane 25 26. Microinvasion appears as direct extension cords tentacular, single cells, or single cells and clusters of cells. The neoplastic cells may be interspersed among and masked by chronic inflammation. In
this case immunohistochemistry with antibodies against CEA
or cytokeratins such as AE1-AE3 should be applied to identify the invading cells 9. Desmoplasia or retraction artifacts
that may mimic vascular invasion are useful in recognizing
invasion 27 28.
Some patients who have had prior bladder biopsies or
transurethral resections undergo a repeat resection within
several months for various reasons. The detection of a few
residual tumour cells in bladder specimens with prior biopsy
site changes can be challenging based on histology alone.
Immunohistochemistry for cytokeratins may be used as an
adjunct in this situation. However, when interpreting CK
stains for the detection of residual tumour cells, one should
pay attention to the nature of the cells and not assume all CK
positive cells are neoplastic 2.
Papillary urothelial neoplasms. The papillary lesions are
here described according to the WHO 2004 classification 1.
We do not report here the WHO 1973 classification because
it is already well known in the pathology, urology and oncology communities. There still is debate as to whether the
WHO 2004 system should be the only one to be used and
whether the WHO 1973 system should be abandoned. Current practice in patient’s management is still based on the old
one.
Urothelial papilloma. Urothelial papilloma without qualifiers refers to the exophytic variant of papilloma, defined as
a discrete papillary growth with a central fibrovascular core
lined by urothelium of normal thickness and cytology. This is
a rare, benign condition typically occurring as a small, isolated growth, commonly but not exclusively seen in younger
patients 29 30.
Inverted urothelial papilloma. Although not strictly speaking a papillary lesion is classified here because it shares certain features with exophytic urothelial papilloma. The histology of inverted papillomas has been well described 31. Rarely,
cases are hybrid in which significant portions of the lesion resemble exophytic urothelial papillomas and inverted urothelial papillomas. These lesions should be classified as papillomas with both exophytic and inverted features 2.
When completely excised, inverted papillomas have a very
low risk of recurrence. In a minority of cases, they may be
associated with urothelial carcinoma occurring either concurrently or subsequently. Rarely, cases of urothelial carcinoma arising in inverted urothelial papillomas have been described 1.
Papillary urothelial neoplasm of low malignant potential.
A papillary urothelial lesion with an orderly arrangement of
cells with minimal architectural abnormalities and minimal
100
nuclear atypia irrespective of cell thickness. The urothelium
lining the papillae is similar to flat hyperplasia 15 32. The major
distinction from papilloma is that in papillary urothelial neoplasm of low malignant potential the urothelium is much
thicker and/or nuclei are significantly enlarged. The urothelial
papilloma, in contrast, has no architectural or cytological atypia. Mitotic figures are infrequent in papillary urothelial neoplasms of low malignant potential, and usually limited to the
basal layer. This lesion is not associated with invasion or
metastases, except in rare cases 33. These patients are at an increased risk of developing recurrent or new papillary lesions.
These new lesions occasionally are of higher grade and may
progress.
Papillary urothelial carcinoma, low-grade. A papillary
urothelial lesion with an overall orderly appearance but with
easily recognizable variation of architectural and or cytological features seen at scanning magnification 15. Variation of
polarity and of nuclear size, shape, and chromatin texture are
the hallmark of the lesion. Mitotic figures are infrequent and
usually seen in the lower half of the urothelium. The urothelium lining the papillae is similar to flat dysplasia. Tangential
sections near the base of the urothelium may be misleading
since result in sheets of immature urothelium with frequent
mitotic activity. A spectrum of cytological and architectural
abnormalities may exist within a single lesion, stressing the
importance of examining the entire lesion and noting the
highest grade of abnormality 34.
Papillary urothelial carcinoma, high-grade. A papillary
urothelial lesion with predominantly or totally disorderly appearance at low magnification with both architectural and cytological abnormalities. The epithelium is disorganized and
there is a spectrum of nuclear pleomorphism ranging from
moderate to marked. The nuclear chromatin tends to be
clumped and nucleoli may be prominent. Mitotic figures, including atypical forms, are frequently seen at all levels 2. The
urothelium lining the papillae is similar to flat CIS. In tumors
with variable histology, the tumor should be graded according to the highest grade.
High-grade papillary urothelial carcinomas have a high risk
of progression and of association with invasive disease at the
time of diagnosis 35 36.
Relation of WHO 1973 to WHO 2004. A major misconception is that there is a one to one translation between the
WHO 2004 and the WHO 1973 classification systems. Only at the extremes of grades in the WHO 1973 classification
does this correlation hold true 2 37-40. Lesions called papilloma in the WHO 1973 classification system would also be
called papilloma in the WHO 2004 system. At the other end
of the grading extreme, lesions called WHO grade 3 are by
definition high-grade carcinoma in the WHO 2004 system.
However, for WHO grades 1 and 2, there is no direct translation to the WHO 2004 system. Lesions classified as WHO
grade 1 in the 1973 system, showing no cytological atypia,
some nuclear enlargement and merely thickened urothelium, are included in the group of papillary urothelial neoplasms of low malignant potential in the WHO 2004 system
while other WHO grade 1 lesions showing slight cytological atypia and mitoses, are diagnosed in the WHO 2004 system as low-grade papillary urothelial carcinomas. WHO
grade 2 includes either relatively bland lesions that in the
WHO 2004 system would be called low-grade papillary
urothelial carcinoma or higher grade lesions, which in many
institutions are called WHO grade 2-3. These lesions in the
WHO 2004 classification system would be called highgrade papillary urothelial carcinoma.
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Slide Seminar Seniores. FNAB tiroideo: criteri citologici
di malignità del carcinoma papillare
Esperienza di 24 anni di attività
A. Assi
U.O. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “Ospedale
Civile di Legnano”
Introduzione. La mia esperienza in citologia tiroidea si
riferisce a ventiquattro anni di attività, dedicati sia alla citologia diagnostica che alla citologia agoaspirativa suddivisi in
tre periodi: dal 1981 al 1986 all’Ospedale di Legnano; dal
1987 al 1993 all’Ospedale di Busto Arsizio; dal 1994 a tutt’oggi di nuovo all’Ospedale di Legnano.
Metodo. Nel periodo 1981-2005 sono stati eseguiti 28.226
agoaspirati di lesioni nodulari tiroidee. I noduli di presentavano clinicamente palpabili, ipoecogeni all’ecografia, non
funzionanti alla scintigrafia con 99mTc.
L’agoaspirato è stato eseguito a mano libera con aghi spinali
di 22 gauge lunghi 3 cm. I noduli non palpabili ma visibili
ecograficamente sono stati agoaspirati sotto guida ecografica
con sonde della frequenza da 7,5 a 10 Mhz, con guida elettronica ed accesso laterale, utilizzando aghi spinali da 22
gauge lunghi 9 cm.
Per ogni nodulo sono stati eseguiti 2 agoaspirati. Il materiale
ottenuto è stato strisciato su vetrino e colorato con metodiche
PAP e MGG. In casi selezionati è stato eseguito citoincluso
in paraffina dopo tecnica del cell-block e sono state applicate
metodiche di immunoistochimica.
Risultati. I dati presentati si riferiscono a 28.226 agoaspirati
effettuati dal 1981 al 2005 e citologicamente sono risultati:
26.768 94,8% negativi; 122 0,4% sospetti per patologia neoplastica; 836 3,0% positivi e 500 1,8% inadeguati.
L’esame istologico del pezzo operatorio di 1.702 pazienti sottoposti a tiroidectomia o emitiroidectomia, dal 1989, ha permesso di diagnosticare 478 neoplasie maligne e 1.224 lesioni
benigne. In 41 pazienti 2,4% è stato diagnosticato un “carcinoma occulto” in aree diverse da quelle sottoposte ad
agoaspirato, in altri 9 casi 8 carcinomi papillari ed 1 follicolare il “carcinoma occulto” è stato diagnosticato con
l’agoaspirato. In totale sono stati diagnosticati istologicamente 50 “carcinomi occulti” 1 follicolare, 46 papillari, 3 midollari.
Negli altri 1.652 pazienti operati sono state individuate 428
lesioni maligne: 47 carcinomi follicolari capsulati, 22 carcinomi follicolari invasivi, 304 carcinomi papillari, 17 carcinomi midollari, 17 carcinomi anaplastici, 10 linfomi maligni
non Hodgkin e 11 lesioni metastatiche.
Delle 428 lesioni maligne, 346 sono state diagnosticate alla
citologia sensibilità 81,1%; 58 33 carcinomi follicolari capsulati, 11 carcinomi follicolari invasivi e 14 carcinomi papillari sono state diagnosticate citologicamente come neoplasie
follicolari adenomi, 22 come struma 18 carcinomi papillari,
1 carcinoma follicolare capsulato, 1 carcinoma midollare, 2
carcinomi anaplastici ed 1 come tiroidite linfocitaria carcinoma follicolare capsulato.
Delle 1.224 lesioni benigne 1 nodulo iperplastico, 825 strumi
colloido-cistici, 380 adenomi, 17 tiroiditi, 1 emangioendotelioma, 1.211 sono state diagnosticate alla citologia specificità
98,9% e le 9 con citologia sospetta o positiva sono risultate
essere 1 nodulo iperplastico e 8 adenomi 1.
Conclusioni. L’agoaspirazione con ago sottile di lesioni
nodulari tiroidee in questa casistica risulta avere un’accuratezza del 94,3% con un valore predittivo positivo del
97,5% ed un valore predittivo negativo del 93,7% 2.
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Progressi in Cardiopatologia
Biopsia endomiocardica
O. Leone
Anatomia ed Istologia Patologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Orsola-Malpighi”, Bologna
La biopsia endomiocardica (BEM) si è diffusa nella pratica
clinica negli ultimi decenni ed ha rappresentato un innovativo strumento di indagine nella ricerca sulle malattie del muscolo cardiaco e, grazie alle tecnologie resesi disponibili nel
corso degli anni, ha consentito significativi progressi nella
ricerca e nella diagnostica delle malattie del miocardio.
Attualmente, l'uso diagnostico della BEM nelle cardiomiopatie alla base dello scompenso cardiaco, nelle aritmie
e nelle patologie neoplastiche primitive e metastastiche è divenuto routinario, anche se tale realtà non viene probabilmente percepita con chiara evidenza in ambito anatomo-patologico generale al di fuori degli Ospedali in cui sono presenti Centri di trapianto o Centri cardiologici e cardiochirurgici di riferimento.
Le ragioni alla base dell'incrementato uso diagnostico della
BEM sono principalmente due:
- l'impiego sistematico nel monitoraggio del paziente trapiantato, nel quale la BEM rimane ancora oggi il metodo
più sensibile per la diagnosi di rigetto, che ha apportato
una maggiore consuetudine e sicurezza nell'espletamento
dell'indagine;
- la crescente attenzione e la necessità della definizione eziologica delle cardiomiopatie, alla luce delle importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche che ne derivano, per
cui l'approccio diagnostico al paziente affetto da scompenso cardiaco si è andato modificando.
Trattandosi però di un'indagine invasiva, le “capacità” diagnostiche della BEM vanno commisurate alla effettive possibilità di modificare significativamente la diagnosi clinica ed,
eventualmente, di apportare contributi alla definizione prognostica della malattia e alle opzioni terapeutiche.
Dopo gli studi storici degli anni ’70 ed ’80 della Billingham et
al. 1 2, studi recenti 3 effettuati su ampie casistiche bioptiche
hanno segnalato una più elevata sensibilità diagnostica della
BEM rispetto alla diagnosi clinica in una percentuale significativa (31%) dei casi di cardiomiopatia inspiegata dopo valutazione clinico-strumentale, con particolare riguardo alle patologie della miocardite e dell'amiloidosi, ed un elevato grado
di specificità, soprattutto in alcune cardiomiopatie specifiche.
Altri studi su casistiche numericamente significative hanno,
inoltre, evidenziato il ruolo che tale indagine può assumere nel
fornire informazioni utili dal punto di vista prognostico e terapeutico 4 o dettagli patogenetici sulle malattie del miocardio.
Gli elementi che hanno, però, contribuito in modo sostanziale
ad aumentare la sensibilità e specificità diagnostica della
BEM sono rappresentati da:
- l'uso di criteri diagnostici istopatologici definiti ed internazionalmente condivisi;
- la standardizzazione dei protocolli anatomo-patologici;
- la possibilità di affiancare all'esame istologico tradizionale, le altre metodologie e tecniche di caratterizzazione tissutale (metodiche immunoistochimiche, molecolari, ultrastrutturali) 5.
Al patologo si richiede spesso un intervento differenziato a
seconda della situazione clinica e la capacità di interagire at-
tivamente con il clinico, valutando le possibilità diagnostiche
della BEM rispetto alle specifiche esigenze.
Nelle situazioni in cui la valutazione clinico-strumentale
standard non è riuscita a stabilire con un sufficiente grado di
certezza la causa della patologia cardiaca, viene richiesto soprattutto di intervenire nella definizione eziologica della
malattia, nel contesto di uno scompenso cardiaco di recente
insorgenza o cronico o di una patologia aritmica di cui siano
state già escluse alcune eziologie.
Nei casi in cui il sospetto clinico eziologico è molto indirizzato o la causa della cardiopatia è già accertata, il cardiologo
può avere la necessità di disporre, oltre che della definitiva
conferma dell'interessamento miocardico, di puntualizzazioni eziologiche più specifiche o di informazioni utili dal
punto di vista prognostico e terapeutico, come ad es. la
gradazione della malattia e lo studio di parametri istopatologici particolari.
Le possibilità diagnostiche della BEM sono quindi, oggi,
molto più articolate, per cui il contributo dell'esame istologico può svolgersi a differenti livelli:
- la diagnosi di certezza di una cardiomiopatia specifica,
possibile in alcune patologie definite: cardiomiopatie infiammatorie, amiloidosi, emocromatosi, glicogenosi, malattia di Anderson-Fabry, desminopatie, sarcoidosi, cardiomiopatia peripartum, endomiocardiofibrosi, alcune patologie aritmiche, patologia neoplastica;
- informazioni eziologiche più dettagliate nell'ambito di un
gruppo di cardiomiopatie: la natura infettiva, immune o
“tossica” delle miocarditi, il tipo di virus causa della malattia infiammatoria, la definizione del tipo di componente
fibrillare maggiore nei depositi di amiloide, cioè del tipo di
amiloide 6;
- la gradazione della malattia, come nell'emocromatosi/emosiderosi, nell'amiloidosi cardiaca, nelle cardiomiopatie infiammatorie;
- il grado di attività della malattia, soprattutto nelle malattie
infiammatorie;
- il monitoraggio della malattia dopo terapia.
In alcune patologie su base genetica, come nelle distrofinopatie o nelle cardiomiopatie mitocondriali, la BEM,
pur non riuscendo a fornire una diagnosi di certezza, può indirizzare significativamente la diagnosi, contribuendo al successivo programma diagnostico (espletamento ad es. di
indagini genetiche).
In altri casi ancora, la diagnosi istologica è aspecifica o di
generica compatibilità con il pattern funzionale segnalato dal
clinico: in tale eventualità, l'esclusione di alcune patologie
rappresenta comunque un target importante ai fini prognostico-terapeutici.
In tale contesto, è importante che il cardiologo ed il patologo
si rendano capaci di una lettura integrata, anche alla luce
delle nuove conoscenze sulle cardiomiopatie, che ne stanno
sempre più evidenziando la complessità, la possibilità di
eziopatogenesi multifattoriali miste e l'eventualità che pattern patofisiologici o quadri morfologici una volta univocamente riferiti a singole forme specifiche, possano in realtà
coesistere in una stessa cardiomiopatia, ponendo talora significativi problemi di diagnostica differenziale 7.
Nel corso della relazione saranno evidenziate le varie possibilità diagnostiche della BEM, attraverso l'analisi di alcuni
protocolli anatomo-patologici.
104
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Morte improvvisa e autopsia molecolare
C. Basso, E. Carturan, G. Thiene
Sezione di Anatomia Patologica Speciale, Dipartimento di
Scienze Medico-diagnostiche e Terapie Speciali, Università
di Padova
La Morte Improvvisa (MI) è una delle più comuni modalità
di morte, le cui cause sono per lo più di origine cardiaca. Nella maggior parte dei casi vengono identificate alterazioni
strutturali, ma in una percentuale variabile fino al 20% la MI
in giovane età (< 40 anni) rimane inspiegata anche dopo uno
studio approfondito macro e microscopico 1 2.
Recentemente è stato dimostrato che le MI sine materia sono
spesso dovute a mutazioni a livello di geni che codificano per
i canali ionici del sodio, del potassio e del calcio (sindrome
del QT lungo, del QT corto, di Brugada e della tachicardia
ventricolare polimorfa catecolaminergica). Inoltre esistono
cardiopatie strutturali geneticamente determinate in cui può
risultare importante lo screening di mutazione di geni noti
(cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, cardiomiopatia ipertrofica, cardiomiopatia dilatativi, malattia progressiva del sistema di conduzione o di Lenegre) 3. Infine una non
trascurabile percentuale di MI giovanili è dovuta ad una miocardite di eziologia virale 2.
Pertanto, l’applicazione delle tecniche di biologia molecolare risulta fondamentale nello studio postmortem (autopsia
molecolare) e risulta pertanto necessario mettere a punto un
protocollo uniforme per lo studio molecolare postmortem
della MI.
Ad oggi, l’indagine genetica molecolare postmortem nella
MI giovanile è stata effettuata solo in rari casi. Nel 1999 veniva riportato il primo caso di autopsia molecolare da Ackerman et al. 4 in un caso di MI di una giovane donna di 19 anni, identificando una delezione nel gene del canale del potassio (KCNQ1-LQT 1). Nel 2004, Chugh et al. 5 eseguirono
uno screening postmortem per i geni della LQTS in 12 casi
di MI con cuore strutturalmente sano. Lo studio fu eseguito
utilizzando DNA estratto da campioni autoptici fissati ed inclusi in paraffina (FF-PET). In due casi gli autori identificarono mutazioni nel gene KCNH2–LQT2. Nello stesso anno
furono pubblicati altri due studi molecolari postmortem. Di
Paolo et al. 6 che indagarono 10 casi di MI giovanile per i geni LQTS utilizzando sempre materiale FF-PET, e identificarono mutazioni nel gene KCNQ1-LQT1 in due individui; e
PROGRESSI IN CARDIOPATOLOGIA
Tester et al. 7 che identificarono mutazioni del gene RyR2 nel
14% di MI “sine materia”. In quest’ultimo caso l’indagine
molecolare è stata eseguita utilizzando DNA estratto da sangue autoptico o da miocardio congelato. Successivamente,
gli stessi autori hanno analizzato la stessa casistica di MI “sine materia” per otto geni implicati nella LQTS identificando
otto mutazioni missenso (5 KCNQ1-LQT1, 2 KCNH2LQT2, 1 SCN5A-LQT3) e due polimorfismi noti (KCNH2LQT2, SCN5A-LQT3) dei quali è stata dimostrata la potenziale suscettibilità aritmica 8. Complessivamente lo studio
molecolare condotto nella serie di 49 MI “sine materia” evidenziava nel 35% dei casi una mutazione putativa dei canali
ionici. Più recentemente, Creighton et al. 9 hanno riportato tre
nuove mutazioni nel gene RyR2 ed una mutazione nota nel
gene KCNH-LQT1 nello studio genetico eseguito in 14 MI
con cuore strutturalmente sano, utilizzando DNA estratto da
tessuto congelato. Negativa è stata l’indagine condotta da
Doolan et al. 10 per i geni KCNQ1 e SCN5A, effettuata in 59
casi MI utilizzando DNA estratto da FF-PET.
Gli attuali protocolli autoptici nella MI non prevedono il prelievo di campioni dedicati all’indagine molecolare postmortem. Purtroppo la maggior parte dei campioni disponibili sono FF-PET, essendo questa la miglior tecnica di conservazione tissutale per lo studio istologico ed immunistochimico, ma
la processazione del campione durante la fissazione e l’inclusione può portare ad una degradazione degli acidi nucleici che, se non ne precludono, ne limitano l’utilizzo. Infatti, se
la media della lunghezza dei frammenti amplificati di DNA
nella biopsia endomiocardica è di 300-400 basi, nel tessuto
miocardico postmortem è molto più corta, inferiore a 250bp.
Va precisato inoltre che, mentre nell’analisi virale la grandezza degli amplificati può essere modificata disegnando
coppie di primer specifiche per FF-PET e ricorrendo anche
alla nested-PCR, l’analisi di mutazione risulta essere meno
modulabile e più esigente.
Nel caso in cui non fosse possibile congelare o non fosse disponibile l’RNAlater, la fissazione del tessuto rimane l’unica
possibilità. In questa circostanza le raccomandazioni per rendere possibile una successiva estrazione degli acidi nucleici
sono: 1) minimo tempo di prefissazione; 2) uso di formalina
tamponata al 10%; 3) bassa concentrazione di sali; 4) fissazione a freddo 4°; 5) durata di fissazione entro le 3-6 ore; 6)
utilizzare EDTA 20-50 mmol/L come additivo; 7) evitare un
basso pH. Per facilitare un’uniforme penetrazione del fissativo è importante che il campione sia di piccole dimensioni
(0,5-1 gr) e il volume della soluzione sia circa 20 volte quello del tessuto. Il prolungato tempo di fissazione e le condizioni di conservazione del tessuto incluso in paraffina (umidità e temperatura) non hanno effetti nello studio istologico,
ma incidono negativamente nella qualità del DNA 11.
Per quanto riguarda studi prospettici, idealmente si dovrebbero
sempre prelevare 5ml di sangue in EDTA e 5g di miocardio,
milza e/o linfonodi, congelarli e conservarli a -80° o in RNAlater a 4°. Entrambi i metodi di conservazione permettono
un’ottimale preservazione del tessuto consentendo l’indagine
molecolare postmortem. L’RNAlater è una soluzione acquosa,
non tossica, che rapidamente penetra nel tessuto stabilizzando e
proteggendo gli acidi nucleici. In tal modo si ovvia alla necessità di processare o congelare immediatamente il campione. Il
tessuto di grandezza inferiore a 0.5 cm per lato, viene immerso
in un volume di RNAlater pari a 5-10 volte le sue dimensioni e
poi conservato a 4° e analizzato in un secondo momento.
L’indagine molecolare postmortem può aiutare a ridurre ulteriormente il numero di MI che rimangono inspiegate, nelle
PROGRESSI IN CARDIOPATOLOGIA
quali la diagnosi finale può essere ottenuta solo attraverso
uno screening genetico che, quando positivo, può essere la
base di partenza per uno screening clinico-genetico dei familiari, ai fini di una diagnosi precoce nei soggetti asintomatici
e della prevenzione della MI.
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Linfomania
I linfomi B a cellule della zona marginale
M. Paulli
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Pavia
Nel 1958, Lennert fu il primo a descrivere la cosiddetta “istiocitosi immatura dei seni “, che si rivelò poi essere una proliferazione linfoide reattiva di un peculiare “subset” di cellule B definite come “monocitoidi”. Lennert aveva osservato
questa reazione sia in casi di sialoadenite linfoepiteliale sia in
alcuni immunocitomi sempre insorti a livello delle ghiandole
salivari.
Successivamente, vari Autori segnalarono linfomi con caratteristiche citomorfologiche riconducibili alle cellule B
monocitoidi, ma solo nel 1992 si iniziò ad ipotizzare l’esistenza di una stretta correlazione tra il linfoma a cellule della zona marginale nodale da un lato e, rispettivamente, i linfomi MALT-correlati ed il linfoma primitivo splenico della
zona marginale dall’altro.
Seguono alcune brevi note dedicate in parte alla descrizione
dei principali aspetti morfofunzionali della zona marginale
“normale”, in parte al linfoma marginale a primitività nodale,
forma quest’ultima di relativamente rara osservazione. In
margine, alcune considerazioni sui dati emergenti che sembrano dimostrare la rilevanza eziopatogenetica dell’infezione
da virus HCV nell’eziopatogenesi di alcuni “subsets” di linfomi della zona marginale.
La zona marginale: definizione, distribuzione anatomica
e morfologia. La zona marginale ZM è un ben distinto compartimento B-cellulare, più evidente in quegli organi linfoidi
ad es. polpa bianca della milza, placche del Peyer nel piccolo intestino, tonsille dove il contatto con l’antigene è più frequente e quantitativamente più rilevante. Per questa ragione
nei linfonodi, in condizioni di normale stimolo antigenico, la
ZM è di solito poco riconoscibile, con la sola eccezione dei
linfonodi mesenterici.
La ZM circonda la corona mantellare ed è costituita da elementi, prevalentemente di medie dimensioni, con citoplasma
spesso chiaro e nuclei, da tondeggianti ad ovoidali, con uno
o due nucleoli. All’esame ultrastrutturale le cellule della ZM
contengono numerosi piccoli mitocondri, scarse cisterne di
reticolo endoplasmatico rugoso ed un ben sviluppato apparato del Golgi. Le cellule della ZM sono frammiste ad una quota variabile di elementi di aspetto blastico, piccoli linfociti,
macrofagi, plasmacellule e talora granulociti.
Mentre la ZM è poco sviluppata nei linfonodi normali, essa è
invece ben evidente in varie linfoadenopatie reattive, la gran
parte dei quali ad eziologia infettiva ad es. toxoplasmosi, infezione da HIV, ecc., in forma di una proliferazione B di aspetto monocitoide, con caratteristica distribuzione sinusale
sottocapsulare cosiddetta “istiocitosi immatura dei seni”.
Proliferazione/iperplasia delle cellule B-monocitoidi è spesso osservabile anche in linfonodi che drenano da aree sede di
neoplasia ad es. carcinoma della mammella e carcinoma gastrico.
Il profilo immunofenotipico delle cellule della ZM prevede
l’espressione degli antigeni CD20 e CD79a con negatività
per CD5, CD10, CD23 e CD43. Si osserva inoltre reattività
per le sIgM con debole/assente espressione di IgD; frequenti
le positività per CD21/CD35 CR1/2 e C3 e per la fosfatasi alcalina. Allo stato dell’arte, non sono disponibili marcatori
immunoistochimici assolutamente specifici per le cellule della ZM; alcune speranze in tal senso vengono dai risultati dei
tests condotti con l’anticorpo anti-IRTA-1 “immune receptor
translocation associated-1 protein, sviluppato presso il laboratorio del prof. Falini.
Nonostante il termine ZM identifichi una micro-area anatomica in sede splenica, vari studi hanno sottolineato le analogie
morfofunzionali tra le componenti cellulari della ZM rispettivamente splenica e nodali. Esistono però, tra questi distretti, minori differenze in termini di profilo antigenico responsabili, almeno in parte, delle loro differenti caratteristiche funzionali.
Queste differenze immunofenotipiche riguardano l’espressione di IgM e bcl-2 rispettivamente variabile ed assente
negli elementi monocitoidi nodali, del Ki-B3, epitopo del
CD45RA presente sugli elementi monocitoidi nodali, negativo nella ZM splenica e dell’antigene DBA44 negativo sulla
ZM splenica, positivo nel 20% circa degli elementi monocitoidi nodali.
Su queste basi rimane aperto il dibattito sull’esatta o meno
corrispondenza funzionale tra le cellule della ZM splenica e
gli elementi B monocitodi nodali.
Secondo alcuni Autori, questi ultimi rappresenterebbero una
sottopopolazione B funzionalmente differente rispetto alle
cellule della ZM splenica: studi sullo stato mutazionale dei
geni delle regioni variabili delle immunoglobuline IgvH condotti su cellule della ZM splenica ed a livello delle placche
del Payer hanno dimostrato trattarsi prevalentemente di
“memory-cells”, con una componente minoritaria di elementi “naive”. Al contrario, gli elementi monocitoidi nodali, ad
esempio quelli presenti in corso di linfoadenite toxoplasmosica, sono risultati prevalentemente di tipo “naive” con
una quota 25% circa di cellule post-centro germinativo “nonantigen-selected”.
L’esatta origine degli elementi della ZM e la loro funzione
non sono quindi completamente chiarite: evidenze sperimentali indicherebbero le cellule della ZM quali precursori delle
plasmacellule tipo Marschalko; questa modulazione funzionale si realizzerebbe entro 24 ore circa dal contatto con
l’antigene, attraverso il passaggio immunoblasto, plasmoblasto sino a plasmacellula, indipendentemente dai meccanismo di regolazione T-mediati. A livello della polpa bianca splenica, le cellule della ZM rappresenterebbero poi sia
dei siti di legame che dei vettori di trasporto di antigeni e di
complessi immuni, che verrebbero così più facilmente messi
a contatto con i prolungamenti degli elementi dendritico-reticolo-follicolari.
Linfomi a derivazione dalla zona marginale. Nonostante
siano caratterizzati da analogie sia morfologiche che immunomolecolari, i linfomi della ZM mostrano tuttavia alcune
peculiarità in termini di presentazione clinica e di “outcome”,
tali da giustificarne una distinzione in forme primitive nodali
e forme primitive extranodali.
La “WHO Lymphoma Classification” ha quindi suddiviso i
linfomi B della zona marginale rispettivamente in:
a. linfoma B della zona marginale a primitività nodale;
b. linfoma B della zona marginale a primitività extranodale
del tessuto linfoide mucosa associato MALT*;
c. linfoma B della zona marginale a primitività splenica.
*
a queste principali categorie deve essere aggiunto il linfoma
B della zona marginale a primitività cutanea, inserito come
LINFOMANIA
entità distinta nella “WHO/EORTC Cutaneous Lymphoma
Consensus Classification”, 2005.
Linfoma B della zona marginale nodale. Definizione: linfoma relativamente raro 1,8% di tutti i LNH, con decorso
clinico relativamente indolente, a derivazione dagli elementi
B-marginali/sinusoidali; “conditio sine qua non” per una diagnosi di linfoma marginale primitivo nodale, è l’assenza,
clinicamente dimostrata, di concomitanti o precedenti localizzazioni extranodali, particolarmente MALT-correlate.
Morfologia: il “pattern” di crescita è più spesso sinusale, con
tendenza alla confluenza od invece perifollicolare marginale,
a circoscrivere residue strutture B-follicolari; esistono anche
“patterns” intermedi o di tipo diffuso; residue strutture B-follicolari sono dimostrabili in più dell’80% dei casi, anche se
spesso associate ad aspetti di “colonizzazione”.
Gli elementi linfomatosi sono di solito facilmente identificabili grazie al loro citoplasma, relativamente ampio e chiaro,
che determina una tipica spaziatura tra le cellule neoplastiche. La citologia della popolazione linfomatosa è variabile;
l’aspetto più frequente è quello delle cellule monocitoidi:
medie dimensioni, citoplasma relativamente ampio e chiaro,
blu/grigiastro al Giemsa, nuclei da rotondi ad ovalari,
monocito-simili, anche se in questo caso la cromatina è più
scura, addensata; i nucleoli sono poco evidenti. Può essere
presente una componente di grandi cellule, usualmente < al
10%; ove la quota blastica risultasse superiore deve essere
considerata una “variante ricca in grandi cellule”, indicativa
di una fase di trasformazione in alto grado.
Tipici gli aspetti differenziativi in senso plasmacellulare che
talora divengono la nota preminente dell’infiltrato. In alcuni
casi la cellularità neoplastica è invece costituita da piccolemedie cellule, con nuclei spesso irregolari, centrocito-simili,
ridotto citoplasma ed assenza di differenziazione secernete.
Il “background” reattivo può comprendere, oltre a piccoli linfociti, una discreta quota di elementi epitelioidei; frequente
l’incremento delle venule epitelioidee.
Basandosi sul “pattern” predominante di crescita e su alcune
caratteristiche immunofenotipiche, è stata proposta una suddivisione dei linfomi B marginali nodali in due gruppi, rispettivamente “tipo-MALT” e “tipo-splenico”.
Il “tipo-MALT” è caratterizzato da un “pattern” prevalentemente sinusale e perivascolare e dall’assenza una concomitante componente extranodale. Il “tipo-splenico” si caratterizza invece per una crescita più spesso perifollicolare e per
una costante espressione di IgD.
È doveroso ricordare che questa distinzione non riveste un
valore assoluto, in quanto non da tutti condivisa.
Immunofenotipo. Generalmente gli elementi neoplastici
risultano: CD19+; CD20+; CD22+; CD79a+; Ki-B3+,
LN1/CDW75+/-reattività debole. In circa l’80% dei casi si
osserva una debole positività per bcl-2, negativo invece sugli elementi B monocitoidi reattivi. Negative le immunoreazioni per CD5, CD10, CD23, CD25, CD43 e ciclina D1/bcl1. CIg sono dimostrabili in circa il 50% dei casi, mentre una
percentuale variabile tra il 20 ed il 60% degli elementi linfomatosi presenta sIg monoclonali, soprattutto IgM; più spesso
negative le sIgD, a differenza di quanto si osserva nelle
forme primitive spleniche usualmente positive.
Citogenetica ed istogenesi. Gli attuali dati citogenetici non
sono conclusivi anche per la rarità delle forme primitive
nodali; non appaiono comunque frequenti né la t11;18
q21,q21 né la trisomia 3, usualmente associate ai linfomi
marginali extranodali.
Sul versante istogenetico, si vanno affermando evidenze a
supporto della derivazione relativamente eterogenea del lin-
107
foma marginale nodale, in precedenza considerato ad origine
da cellule “B-memory”. Studi sul “pattern” mutazionale della regione variabile delle catene pesanti delle immunoglobuline hanno infatti suggerito la possibile derivazione di questi
linfomi da almeno tre distinti “subsets” cellulari in particolare: a da elementi “B-naive” con geni Vh non mutati; b da
elementi “B-memory” con mutazioni somatiche in assenza di
variazioni intraclonali; c da elementi tipo “germinal-center”
identificati per la loro capacità di andare incontro a processi
di ipermutazione somatica.
Studi di CGH “comparative genomic hybridization” hanno
consentito di rilevare alterazioni cromosomiche soprattutto a
carico dei cromosomi 3, 18, X ed 1.
Diagnostica differenziale. In diagnostica differenziale devono essere considerate rispettivamente: un’iperplasia B-follicolare con associata reazione iperplastica monocitoide; un
linfoma B follicolare con aspetti di differenziazione in senso
marginale; un linfoma mantellare; una localizzazione secondaria di linfoma MALT extranodale; un linfoma a piccoli linfociti con aspetti differenziativi in senso secernente, in particolare l’immunocitoma.
Nel caso delle forme reattive ad es. linfoadenite toxoplasmosica, ecc., è essenziale un attento esame del “pattern” architetturale accompagnato da una valutazione quantitativa
della proliferazione monocitoide; una certa cautela è d’obbligo in quanto non esistono criteri assoluti in grado di discriminare con certezza tra una iperplasia B monocitoide marcata
ed una fase iniziale di linfoma nodale marginale con crescita
sinusale. L’immunoistochimica può rivelarsi di una qualche
utilità in quanto le cellule monocitoidi reattive sono usualmente bcl-2 negative mentre gli elementi neoplastici sono
positivi sia pur con intensità di grado variabile.
Una distinzione morfologica tra un linfoma marginale ed un
linfoma follicolare con differenziazione marginale è spesso
impossibile, soprattutto nei linfomi marginali con spiccata
colonizzazione dei centri. Essenziale il ricorso all’immunoistochimica e soprattutto alle indagini FISH per la ricerca della t14;18.
Anche nel caso del linfoma mantellare, la diagnostica differenziale morfologica può risultare difficile; essenziale anche in questo caso il ricorso all’immunoistochimica, con la
ricerca della positività per ciclinaD-1/bcl-1, pur ricordando
che una quota minoritaria di linfomi mantellari possono
risultare CD5 negativi; dirimente, nei casi dubbi, il ricorso
alla FISH per la t11;14.
È di estrema importanza, ai fini soprattutto prognostico-terapeutici differenziare tra un linfoma marginale nodale primitivo ed una localizzazione secondaria in corso di MALToma
extranodale.
La sola morfologia non consente questa distinzione ed anche
le indicazioni immunofenotipiche si rimanda al paragrafo di
cui sopra non sono spesso dirimenti. È essenziale che il patologo non formuli questa diagnosi in mancanza di precisi
dati clinici di stadiazione.
Alcuni linfomi indolenti a piccole cellule, quali il linfoma
linfocitico/LLC e l’immunocitoma possono presentare analogie citomorfologiche con il linfoma della ZM, e soprattutto
quei casi con prominenti aspetti differenziativi in senso secernente. Utile in questi casi un’attenta ricerca di eventuali
inequivocabili “clusters” di elementi B-monocitoidi; indispensabile l’immunoistochimica con l’impiego di almeno il
CD5 e del CD23. Ricordiamo che in alcuni casi una distinzione netta tra un linfoma della ZM con preminenti aspetti differenziativi in senso secernente ed un vero e proprio immunocitoma può risultare impossibile; questo rafforza la pos-
108
sibilità dell’esistenza una sorta di “continuum” tra queste entità.
Clinica. Il linfoma marginale a primitività nodale è considerato a decorso clinico indolente. Colpisce più frequentemente
soggetti di età media tra i 50 ed i 55 anni a seconda delle casistiche, con una certa preponderanza per il sesso maschile.
Nella gran parte dei casi 80% circa sono interessati i linfonodi latero-cervicali. Solo il 15% circa dei pazienti ha sintomi
B; rare le leucemizzazioni. Nel 30% dei casi è presente interessamento midollare. Si è già sottolineato della necessità
che la diagnosi anatomo-patologica debba essere sempre di
probabilità fintanto che un’accurata stadiazione ed un ragionevole follow-up abbiano consentito di escludere precedenti o concomitanti localizzazioni extranodali di malattia.
Detto questo rimangono da definire le esatte relazioni biologico-funzionali ed istogenetiche tra i linfomi marginali
nodali e le forme primitive extranodali. Un interessante studio comparativo di Nathwani ha dimostrato significative differenze tra le forme primitive nodali ed i MALTomi con localizzazioni nodali secondarie. Le forme primitive nodali si
caratterizzano, all’esordio, per uno stadio di malattia spesso
avanzato con interessamento di stazioni nodali, sia superficiali che profonde, analogamente a quanto si osserva in altri
istotipi di linfomi B indolenti.
Non sembrano invece emergere significativi distinguo rispetto ad altri parametri clinico-biologici quali l’età, il sesso, la
presenza di sintomi B, i valori di LDH, il “performance status”, lo “score IPI” o l’incidenza di “shift” istologico. In termini di sopravvivenza a 5 aa, i dati relativi alle forme nodali
indicano un “trend” meno favorevole 56% a fronte dell’81%
per le classiche forme MALT; analoghe le indicazioni sul
“failure-free survival” sempre a 5 aa 28% vs. 65% dei MALTomi. Questi dati, con differenze che permangono significative anche dopo stratificazione secondo lo “score IPI”, confermano trattarsi di entità effettivamente distinte.
Linfoma della zona marginale ed infezione da virus HCV.
La trasformazione neoplastica diretta ad opera di agenti patogeni, è un evidente esempio di linfomagenesi diretta.
Paradigmatici in tal senso l’azione svolta dal virus di Epstein-Barr EBV, dall’Herpes Virus Umano 8 HHV8, e dal
virus HTLV-1, tutti in grado di infettare “subsets” linfoidi all’interno dei quali si realizza l’espressione di oncogeni virali.
Uno scenario alternativo alla onco-trasformazione diretta
degli è stato però dimostrato per alcune specie microbiche, la
cui azione linfomagenetica segue invece un’azione di tipo indiretto.
In questo modello, gli agenti patogeni agiscono quali stimolatori antigenici cronici in grado di facilitare l’insorgenza del
vero e proprio processo di trasformazione neoplastico/linfomatoso attraverso un processo di selezione di cloni linfoidi
antigeni dipendenti.
Paradigmatico di questo modello, il linfoma gastrico MALTcorrelato, dove l’agente patogeno è costituito dall’Helicobacter Pylori HP.
Una precisa definizione dei complessi meccanismi della linfomagenesi indiretta e l’identificazione dei diversi possibili
patogeni coinvolti può fornire importanti indicazioni, soprattutto sul versante prognostico-terapeutico.
È noto che i soggetti affetti da HCV possono presentare
un’ampia gamma di manifestazioni extraepatiche dell’infezione, ivi comprese crioglobulinemie e disordini linfoproliferativi B cellulari.
In particolare, un recente studio di metanalisi ha confermato,
nei pazienti con linfoma non Hodgkin B LNH B, una signi-
LINFOMANIA
ficativa prevalenza di infezione da HCV: 15% rispetto
all’1,5% della popolazione generale.
Sulla base di questi dati, sono stati condotti vari studi, soprattutto in vitro, allo scopo di definire i possibili meccanismi linfomagenetici HCV-correlati: sembra accertato che la
glicoproteina E2 del virus HCV, in grado di interagire con il
CD81, presente sulla superficie dei linfociti B, rappresenti il
target della risposta umorale contro il virus.
Il CD81 è una tetraspanina ampiamente distribuita sulla superficie di vari tipi cellulari ove partecipa alla costituzione di
diversi complessi molecolari.
Sugli elementi B, il CD81 forma complessi ad azione costimolante rispettivamente con il CD19 ed il CD21; il successivo legame di questi complessi con il BCR “B-cell receptor
antigen” sembra determinare un abbassamento della soglia
richiesta per il “trigger” dei meccanisni proliferativi B-cellulari via BCR. Si determinerebbero quindi una serie di alterazioni funzionali in grado di condurre al linfoma, come confermato da studi in vitro sia su linee B infettate da HCV sia
su elementi mononucleati del periferico di pazienti HCV+; in
questi studi sono state documentate mutazioni dei geni di
p53, bcl6 e β-catenina; modificazioni biochimiche a livello
del core virale proteico c e della proteina 3 non strutturale
NS3 sarebbero coinvolte in questi processi mutazionali.
Nonostante il meccanismo linfomagenetico indiretto sembri
prevalere nel caso dell’HCV, è stato tuttavia segnalato un caso di linfomagenesi B diretta, in una linea linfoide, ottenuta
da un paziente HCV positivo con linfoma mantellare, risultata in grado di produrre virus in vitro.
Nonostante questa segnalazione sporadica, il più frequente
meccanismo genetico HCV-correlato rimane comunque quello di tipo indiretto come ci si deve attendere nel caso di una
proliferazione linfoide antigene-stimolata.
Questa indicazione trova ulteriore conferma dalla capacità di
HCV-E2 ricombinante di determinare ipermutazioni nei geni
delle immunoglobuline, a seguito di un legame esterno con il
CD81, quindi con un meccanismo mutageno indipendente da
un’azione diretta dell’HCV sulle cellule B.
Nonostante le evidenze sia sperimentali che biologiche di
una stretta correlazione tra infezione da HCV e linfomi, i dati
sull’incidenza dei diversi istotipi di linfomi in pazienti
HCV+, sono tuttora relativamente limitati e non univoci.
Alcuni studi indicano nei linfomi B diffusi a grandi cellule e
nei linfomi B della zona marginale gli istotipi più frequentemente HCV-correlati; altri Autori si limitano invece a sottolineare, nei soggetti HCV+, un semplice aumento del rischio
di sviluppare linfomi per la gran parte di natura B ma talora
anche di derivazione T ed hodgkiniana.
Dibattuta è anche la ipotizzata peculiare associazione tra
HCV e sede primitiva del linfoma.
I dati della nostra esperienza casistica su questo tema sono
stati recentemente arricchiti dalle informazioni relative ad
uno studio multicentrico regionale Lombardo incentrato su
HCV e linfomi Policlinico “San Matteo”, Università di
Pavia, Ospedale “Niguarda”, Ospedale “San Paolo”, Università di Milano, Istituto Tumori Milano.
I nostri risultati preliminari confermano la peculiare associazione tra infezione da HCV e gli istotipi diffuso a grandi cellule e marginale; quest’ultimo in particolare mostra un’incidenza molto superiore rispetto alla popolazione generale
28%, nei nostri dati vs. 8%.
Sul versante clinico, si conferma poi la predilezione dei linfomi HCV correlati per le sedi extranodali 51%, soprattutto
la milza.
LINFOMANIA
Di particolare interesse l’identificazione di un “subset” di
linfomi MALT-correlati extranodali definiti “lipoma-like”,
che si caratterizzano per la sede lesionale primitivamente ed
esclusivamente sottocutanea, per il decorso clinico, prolungato ed indolente, nonché per la costante HCV positività dei
pazienti, spesso in assenza di concomitanti alterazioni della
funzionalità epatica.
Conclusioni. Nonostante la recente “WHO lymphoma classification” abbia contribuito ad una più efficace definizione
delle diverse entità clinicopatologiche comprese nello spettro
dei linfomi della zona marginale, molti aspetti devono ancora essere puntualizzati, soprattutto sul versante biologicofunzionale. Di particolare interesse è la tematica, appena anticipata, relativa ai possibili meccanismi linfomagenetici che,
nel linfoma della zona marginale, sono almeno in parte mediati da patogeni ad ampia diffusione. Evidenti le ricadute
cliniche con l’apertura di nuove frontiere terapeutiche fondate sul possibile impiego, anche in prima linea, di specifiche
terapie anti-virali od anti-batteriche.
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Storia di una cellula
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Campielli, P.P. Piccaluga
Cattedra di Anatomia Patologica e U.O. di Emolinfopatologia, Istituto di Ematologia ed Oncologia Medica “L. e A.
Seràgnoli”, Università di Bologna, Policlinico “S. Orsola”,
Bologna
Hodgkin’s disease is a lymphoid tumour that represents about
1% of all de novo neoplasms occurring every year worldwide. Its diagnosis is based on the identification of characteristic multinucleated giant cells within an inflammatory milieu. These cells – termed Reed-Sternberg RS or diagnostic
cells – correspond to the body of the tumour: they measure
20 to 60 µm in diameter and display a large rim of cytoplasm
and at least two nuclei with acidophilic or amphophilic nucleoli, covering more than 50% of the nuclear area. The population of cells within the tumor also includes a variable
number of mononuclear elements – Hodgkin’s H cells –
showing similar cytological features to RS cells and neoplastic cell variants, each in relation to a specific subtype of
Hodgkin’s disease. Molecular studies have recently shown
that in most, if not all cases, RSC, HC and cell variants actually belong to the same clonal population, which is derived
from peripheral B- and T-lymphocytes in about 98% and 2%
of cases respectively 1-10. Accordingly, Hodgkin’s disease has
109
been included among malignant lymphomas and the term
Hodgkin lymphoma HL has come into use 6 11 12.
Although regarded as diagnostic, H&RS cells are not exclusive of HL, since similar elements may be observed in reactive lesions such as infectious mononucleosis, B- and T-cell
lymphomas, carcinomas, melanomas or sarcomas 13. Thus,
the presence of an appropriate cellular background – along
with the results of immunophenotyping – is basic for the diagnosis. The reactive milieu – which can even represent
99% of the whole examined population – consists of small
lymphocytes, histiocytes, epithelioid histiocytes, neutrophils, eosinophils, plasma cells, fibroblasts, and vessels in
different proportions depending on the histological subtype
of HL. It is sustained by autocrine and/or paracrine production of cytokines including IL-1, -2, -5, -6, -7, -8, -9, -10, 13, TNF-__ GM-CSF, M-CSF, TGF-___ bFGF_ VEGF,
MCP-1, MIP-1_, MIP-1_, IP10, MIG, TARC, CD70, CD80,
and CD86_ 14-23 In addition, various numbers of HRSC may
express cytokine receptors such as CD30, CD40, IL-2R
CD25/CD122, IL-3R CD123, IL-6R CD126, IL-7R CD127,
IL-13R CD213, TNF-R CD120, TGF-_R CD105/endoglin,
M-CSF-R CD115, SCF-R CD117/c-kit receptor, and FasL
CD178 14 15 19 20 24-26, chemokine receptors and their ligands
e.g. CXCR6, CCR10, CXCL 16, and CCL28 27, and receptor
tyrosine kineses see PDGFR_, DDR2, EPHB1, RON, TRKA, and TRKB 28. The release of these molecules is also responsible for the characteristics of the non neoplastic component 29 30 and most of the symptoms recorded in HL patients, as well as for the growth and immunosurveillance escape of neoplastic cells. It has also been proposed that hepatocyte growth factor HGF and its receptor c-MET might
constitute an additional signalling pathway between RSC
and the reactive cellular background, affecting adhesion,
proliferation and survival of H&RS cells 31.
Histopathological classification. In 1832, Sir Thomas
Hodgkin provided the first description of the process in a paper entitled “On some morbid appearances of the absorbent
glands and spleen” 32. In 1898 and 1902, Carl Sternberg and
Dorothy Reed independently described the typical “diagnostic” cells 33 34. In 1944, Jackson and Parker proposed the first
comprehensive classification of the tumour 35. This classification, however, was subsequently found to be clinically irrelevant, since most patients belonged to the granulomatous
subtype and the response to therapy greatly differed from
case to case.
In 1956, Smetana and Cohen identified a histopathologic
variant of granulomatous Hodgkin’s disease, provided with a
better prognosis and characterised by sclerotic changes 36:
this variant was termed “nodular slerosis Hodgkin’s disease”
in the classification proposed by Lukes, Butler and Hicks in
1964 37. The latter classification, simplified at the Rye Conference in 1965, was routinely used for some decades, because of the high inter- and intra-personal reproducibility and
satisfying clinico-pathologic correlations 38.
In 1994, in the light of morphologic, phenotypic, genotypic
and clinical findings, HL was listed in the Revised EuropeanAmerican Lymphoma REAL Classification 39 and subdivided
into two main types: lymphocyte-predominant LP-HL and
classical HL. The latter further included the following subtypes: a nodular sclerosis classical HL, b mixed cellularity
classical HL, c lymphocyte depletion classical HL, and d
lymphocyte-rich classical HL. In 2001, this approach was
adopted by the World Health Organization WHO, which promoted lymphocyte-rich classical HL from provisional entity
to accepted entity 40. On this occasion, the concept of lym-
LINFOMANIA
110
phocyte-rich classical HL has been expanded by including a
nodular form of the process, as proposed by the European
Lymphoma Task Force 41.
It is worthy of note that HL subtyping should be performed
only in lymph node biopsies at the onset of the of disease: in
fact, chemo- and/or radio-therapy actually modify the
histopathologal picture by inducing a lymphocyte depleted
pattern.
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La donna operata da carcinoma mammario:
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A. Goldhirsch
International Breast Cancer Study Group, European Institute of Oncology, Milano, Italy e Istituto Oncologico della
Svizzera Italiana IOSI, Bellinzona, Switzerland
*
Presentato in parte all’ESO Spring Masterclass 2007 a Malta
L’adattamento delle terapie precauzionali per donne con carcinoma mammario operato deve essere intrapreso mettendo a
fuoco le seguenti considerazioni:
1. il trattamento precauzionale è un trattamento “a fondo perso”. Infatti, è una terapia per un rischio e non per una malattia conclamata: non esiste quindi la possibilità di controllarne l’efficacia sull’individuo a cui è stato prescritto. Il
trattamento precauzionale va confezionato basandosi interamente sui risultati derivanti da studi clinici del passato;
2. nel processo decisionale del trattamento precauzionale i seguenti cinque aspetti giocano un ruolo fondamentale:
a. valutazione del grado di endocrino-responsività della neoplasia,
b. valutazione del rischio di recidiva,
c. estrapolazione da studi clinici condotti nel passato in pazienti con una simile presentazione della malattia,
d. l’interpretazione sulla rilevanza dei vari trattamenti nel caso specifico di ogni singolo paziente da parte dell’oncologo curante,
e. la preferenza della paziente e la sua opinione rispetto alla
ragionevolezza delle varie terapie in termini di costo-beneficio.
Nell’ultima conferenza di San Gallo nel marzo 2007 si è discusso molto per dare ai medici professionisti implicati nella
medicina del cancro un’interpretazione da parte di opinion
leaders su come affrontare il processo della scelta del trattamento. Tale interpretazione è controversa. La sovrastima di dati
randomizzanti può indurre a false conclusioni sul beneficio
rispetto a certi gruppi di pazienti. L’errore al contrario può invece determinare una mancata individuazione di differenze biologicamente tangibili con implicazioni e ricadute terapeutiche.
Sono stati effettuati dei cambiamenti fondamentali nella selezione del trattamento sistemico precauzionale, attribuendo
primaria importanza all’endocrino-responsività. Si distinguono,
infatti, tre categorie: 1. la malattia endocrino-responsiva, il cui
trattamento primario è l’endocrinoterapia; 2. la malattia non endocrino-responsiva, per la quale viene esclusa l’endocrinoterapia dal trattamento; 3. gruppo di malattia con caratteristiche
intermedie, per il cui trattamento la sola endocrinoterapia non
viene giudicata sufficiente. La scelta del trattamento precauzionale, inoltre, dipende anche dallo stato menopausale. Si
definiscono tre gruppi a rischio: basso, intermedio ed alto, variando leggermente la precedente classificazione.
Si raccomanda la terapia endocrina come pilastro portante e
componente principale del trattamento precauzionale nelle
pazienti con malattia endocrino-responsiva. L’aggiunta della
chemioterapia viene invece valutata per le pazienti con carcinoma mammario endocrinoresponsivo appartenenti al gruppo ad alto rischio o a rischio intermedio di recidiva;
l’impiego della sola chemioterapia è riservata per le pazienti
con malattia non endocrino-responsiva, mentre l’associazione chemioterapia ed endocrinoterapia viene utilizzata per
pazienti con malattia con endocrino-responsività dubbia ed
incerta, eccezion fatta per coloro che appartengono al gruppo
a basso rischio di recidiva.
Da poco tempo si dispone di nuovi dati importanti derivanti
da 5 studi clinici, che indicano che l’impiego dell’anticorpo
monoclonale trastuzumab, è vantaggioso nel trattamento precauzionale delle donne affette da carcinoma mammario con
sovraespressione o amplificazione del c-erbB2. L’aggiunta di
trastuzumab ai trattamenti precauzionali attualmente a disposizione è ancora una controversia medica e soprattutto di
salute pubblica. Si presume che nel prossimo futuro ci saranno altre nuove risorse terapeutiche che saranno confezionate
sul singolo individuo e non solo sul gruppo di rischio. Questo
obiettivo rappresenta comunque un compito particolarmente
difficile, proprio perché non si ha uno strumento ed un modo
concreto per dimostrare l’efficacia del trattamento precauzionale nelle singole pazienti che sono donne sane.
Carcinomi della mammella: nuovi istotipi
V. Eusebi, F. Flamminio
Sezione di Istocitopatologia e Citogenetica “Marcello Malpighi”, Università di Bologna presso Ospedale “Bellaria”,
Bologna
Dopo più di 200 anni di morfologia diagnostica parlare di
“nuovi” istotipi sembra arrogante. In realtà la maggior parte
delle malattie non sono “nuove” perché sono sempre esistite
e il fatto che non siano state riconosciute è dovuto a molti fattori, non ultimo la rarità di un singolo tumore che lo ha tenuto celato negli anni.
In campo mammario, a conoscenza dello scrivente, i c.d.
nuovi istotipi non sono altro che localizzazioni mammarie di
neoplasie comunemente insorte in altre sedi che occasionalmente si osservano in ambito mammario. Per questo viene
detto che la patologia mammaria è il campo più trasversale
della “Surgical Pathology”. Se non si conosce questa, la patologia mammaria resterà uno sterile esercizio collegato ai
marcatori predittivi e/o prognostici o ancor peggio si può
trascorrere la vita nello stabilire se carcinomi in situ minimi,
prognosticamente irrilevanti, debbano essere denominati
iperplasia duttale atipica, DIN o carcinoma duttale in situ ben
differenziato.
Pertanto qui ci si limiterà a descrivere le nuove localizzazioni
di lesioni comunemente osservate in altre sedi e non descritte
fino all’ultimo decennio nella mammella.
Verranno descritti gli adenoibernomi 1 2 e i pecomi mammari 2.
Verranno indicati un gruppo di lesioni stromali benigne a cellule fusate 3 4.
Neoplasie simili a quelle delle ghiandole salivari quali il carcinoma acinico 5, gli oncocitomi 6 e il carcinoma pleomorfo di
“basso grado” 7 verranno descritti.
I carcinomi a cellule pigmentate, melanina producenti verranno discussi.
Infine lesioni identiche a quelle che si osservano nella tiroide 8
dimostreranno le relazioni esistenti fra questi due organi.
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I nuovi trials clinici mirati
R. Passalacqua, G. Tomasello
Istituti Ospitalieri, Cremona
Diversi trials clinici sono attualmente in corso per valutare
l’efficacia delle nuove target therapies nel trattamento delle
pazienti affette da carcinoma della mammella in stadio iniziale.
Qui sono riassunti solo alcuni di quelli più importanti che,
per originalità e tipo di disegno sperimentale, rappresentano
una novità assoluta nel trattamento adiuvante del carcinoma
mammario.
Inoltre, cosa più importante, per la prima volta in questi studi è richiesta una stretta collaborazione multidisciplinare fra
diversi specialisti: chirurghi, oncologi, anatomo-patologi,
senza la quale non è assolutamente possibile condurre questi
studi.
Il MINDACT Microarray In Node-negative Disease may
Avoid Chemotherapy è uno studio prospettico randomizzato
che propone il confronto tra il profilo di espressione dei 70
geni di Amsterdam microarray ed i comuni criteri clinico-patologici per meglio selezionare le pazienti affette da tumore
della mammella linfonodi-negativo destinate alla chemioterapia adiuvante (Fig. 1).
L’obiettivo primario è quello di dimostrare la superiorità di
questo approccio, che studia il profilo molecolare della
malattia, sul classico metodo clinico, nell’assegnare adeguate
Fig. 1. MINDACT Trial (vedi il testo per la descrizione).
CARCINOMA DELLA MAMMELLA
categorie di rischio e la conseguente necessità di ricevere o
no un trattamento chemioterapico adiuvante per le pazienti
con carcinoma mammario linfonodi ascellari negativo. Lo
studio inoltre mirerà a confrontare un regime chemioterapico
a base di docetaxel e capecitabina possibilmente associato ad
una maggiore efficacia ed a ridotte tossicità a lungo termine,
con gli schemi comunemente usati a base di antracicline.
L’ultimo obiettivo primario sarà quello di determinare la
migliore strategia di trattamento ormonale, confrontando la
monoterapia up-front con un inibitore dell’aromatasi letrozolo per sette anni con la strategia sequenziale fatta da 2 anni di
tamoxifen seguiti da 5 anni di letrozolo.
Il TAILORx A Clinical Trial Assigning IndividuaLized Options for Treatment Rx è uno studio disegnato per includere
un nuovo test, denominato Oncotype DX, nel processo decisionale riguardante le pazienti con tumore della mammella in
stadio iniziale (Fig. 2).
Questo trial includerà donne con tumori che esprimono i recettori ormonali ER and/or PGR positive, Her2 negative e
linfonodi ascellari negativi.
L’Oncotype DX è il primo test in grado di fornire una valutazione individuale, quantitativa della probabilità di recidiva
di malattia. Per mezzo dell’analisi di 21 geni associati al carcinoma mammario, i ricercatori dell’NSABP sono stati capaci di predire la probabilità di recidiva a dieci anni dalla diagnosi iniziale, in modo più accurato rispetto ai metodi attualmente in uso.
L’Oncotype DX utilizza le ultimissime tecnologie per analizzare l’espressione o l’attività di questi 21 geni. I risultati dell’analisi genica vengono quindi, mediante un’equazione
matematica, convertiti in un punteggio denominato Recurrence Score.
Questo punteggio è un numero compreso tra 0 e 100 che correla con una specifica probabilità di ripresa di malattia entro
dieci anni dalla diagnosi iniziale. Per mezzo dei risultati di
questo test, le pazienti verranno separate in tre categorie:
– Primary Study Group Recurrence Score 11-25;
– Secondary Study Group 1 Recurrence Score 10 or lower;
– Secondary Study Group 2 Recurrence Score 26 or higher
(Fig. 2).
Circa il 40% delle pazienti affette da carcinoma mammario
rientra nel Primary Study Group. I ricercatori dubitano che le
pazienti di questo gruppo possano avere benefici con la
chemioterapia adiuvante. Lo scopo dello studio è appunto
quello di stabilire se la chemioterapia ha dei benefici in
queste pazienti ed in caso di risposta positiva, quali pazienti
possano trarne maggiore giovamento.
L’ALTTO Adjuvant Lapatinib and/or Trastuzumab Treatment Optimisation è uno studio aperto di fase III, multicentrico, randomizzato che confronta l’attività della monoterapia
con lapatinib verso trastuzumab da solo verso trastuzumab
seguito da lapatinib verso la combinazione di lapatinib con
Fig. 2. TAILORx Trial (vedi il testo per la descrizione).
CARCINOMA DELLA MAMMELLA
trastuzumab nel trattamento adiuvante delle pazienti con carcinoma mammario avente HER2 iperespresso e/o amplificato.
I regimi chemioterapici a base di trastuzumab hanno migliorato sia il controllo sistemico della malattia che la sopravvivenza globale delle pazienti con tumore della mammella
HER2 positivo.
Nonostante ciò, alcune pazienti continuano a sviluppare progressione di malattia come risultato di una resistenza al farmaco che può essere de novo oppure acquisita. Nel complesso, il rapporto rischio-beneficio è decisamente a favore del
trastuzumab, anche se ulteriori progressi potranno essere fatti con l’uso di terapie anti-HER2 che mantengono l’efficacia
del trastuzumab, ma meno cardiotossiche.
Il lapatinib è una piccola molecola attivo per via orale, inibitore reversibile delle tirosin-chinasi, che blocca in modo
potente l’attività tirosin-chinasica associata sia ad ErbB1 che
ad ErbB2.
113
Dati preliminari suggeriscono che questa doppia inibizione
recettoriale è associata ad un maggiore beneficio terapeutico
rispetto agli inibitori che agiscono su uno solo dei recettori.
L’obiettivo primario di questo studio è confrontare, in termini di disease-free survival DFS, le pazienti randomizzate ad
un anno di trastuzumab verso lapatinib per un anno verso
trastuzumab per 12 settimane seguito da lapatinib per un totale di 52 settimane un anno di trattamento da iniziare dopo
un periodo di sei settimane di wash-out, verso la combinazione di trastuzumab e lapatinib per un anno.
Obiettivi secondari sono rappresentati dal confronto tra i vari
gruppi riguardo a: sopravvivenza globale, tempo alla recidiva, tempo alla recidiva a distanza, sicurezza e tollerabilità,
incidenza di metastasi cerebrali ed analisi condotte separatamente per coorti di pazienti identificate in base alla presenza
o assenza dell’amplificazione dell’oncogene cMyc, al livello
di espressione di PTEN ed alla presenza o assenza del recettore p95HER2 forma troncata.
PATHOLOGICA 2007;99:114-116
Trapianti d’organo
Diagnostica del donatore
W.F. Grigioni, N. Zucchini, M. Fiorentino, A. Bagni, B.
Corti, B. Fabbrizio, M.G. Pirini, A. Altimari, E. Gruppioni, E. Gabusi, E. Capizzi, A. D’Errico Grigioni
U.O. di Anatomia e Istologia Patologica, Istituto Oncologico
“F. Addarii”, Policlinico “S. Orsola-Malpighi”, Università
di Bologna
La continua richiesta di organi e l’allungamento delle liste di
attesa ha fatto sì che il pool dei donatori si stia espandendo
non solo rispetto al dato anagrafico ma anche alla pregressa
storia clinica con l’incremento del rischio di trasmissione di
malattia donatore/ricevente.
Il rischio di trasmissione neoplastica, inizialmente trascurato
nell’era pionieristica del trapianto di organi solidi, fu posto
come problema solo negli anni ’60 quando iniziarono a comparire in letteratura le prime segnalazioni di trasmissione
neoplastica donatore/ricevente 1 2.
Nel 1968 il dr. Israel Penn istituì il Denver Tumor Registry
in seguito Cincinnati Transplant Tumor Registry – CTTR
nel quale raccolse, fino all’agosto del 1997, dati inerenti
270 pazienti riceventi organi da donatori affetti da neoplasia. La natura “aneddotica” dei casi raccolti, risultato di
segnalazioni spontanee da diversi centri di trapianto, ha reso questo registro fondamentale ma nello stesso tempo limitato, sia per la mancanza di un confronto con la popolazione totale dei donatori, sia per l’assenza in molti casi di
parametri quali istotipo tumorale, grado e stadio delle neoplasie dei donatori, fondamentali per la comprensione del
decorso e della loro aggressività biologica 3-6. Solo in tempi
recenti il rischio di trasmissione neoplastica donatorericevente è stato affrontato in maniera più sistematica dalla
United Network for Organ Sharing UNOS ed in particolare
il dr. Kauffman: in uno studio pubblicato nel 2002 su
34.933 donatori e 108.062 riceventi, distinguendo le neoplasie del ricevente in trasmesse di fatto presenti al momento della donazione e come derivate comparse de novo
nel ricevente, ma in elementi cellulari del donatore, il rischio di trasmissione neoplastica per donatore è pari a
0,025% 1 ogni 3.881 donatori, mentre per organo trapiantato è pari a 0,017% 1 ogni 6.003 organi trapiantati, con una
mortalità del 38% 7.
Dalla revisione della letteratura, inclusa quella di origine europea 8-15, emerge che, analizzando casistiche il più possibile
controllate nei diversi Registri, il rischio di trasmissione neoplastica è piuttosto basso nel complesso, eccettuati alcuni istotipi particolarmente aggressivi indipendentemente dallo
stato di competenza del sistema immunitario del paziente: il
melanoma, il corioncarcinoma, i tumori a piccole cellule di
tutte le sedi, il carcinoma mammario, i carcinomi anaplastici
e alcuni istotipi di linfomi non-Hodgkin, tutti correlati con
una alta incidenza di trasmissione di malattia nel ricevente.
La maggior parte degli Autori che si è occupata di queste
problematiche ciò nonostante ritiene irrinunciabile un protocollo di screening dei donatori il più accurato possibile: una
anamnesi accurata, un inquadramento sierologico e di diagnostica per immagine oltre che una attenta analisi di torace ed
addome da parte del chirurgo prelevatore con esame estemporaneo nei casi dubbi, rappresentano fasi fondamentali in
ogni procedimento di espianto, al fine di permettere una
adeguata sicurezza nella procedura trapiantologica e nel futuro del ricevente.
Le raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 1997 sul
tema della donazione di organi e tessuti promuovevano infatti l’obiettivo di ridurre al minimo il rischio di trasmissione di
malattie da donatore a ricevente concetto di rischio zero 16.
In Italia, la Regione Emilia-Romagna si è adeguata con un
protocollo estremamente stringente: il donatore non doveva
essere portatore di nessuna neoplasia maligna potenzialmente
metastatica: non doveva essere portatore di alcun tumore o,
al massimo, poteva essere accettabile un tumore maligno in
uno stadio “in situ” o incapace di dare metastasi a distanza
es. carcinoma basocellulare 17.
Il Centro Nazionale Trapianti CNT ha fatto proprio questo
principio dal 2001 elaborando le prime Linee Guida nazionali per la valutazione di idoneità del donatore, tuttavia la
carenza di organi e il progressivo aumento del numero dei
pazienti in attesa di trapianto, ha reso cogente il problema
della morte in lista di attesa per cui le Linee Guida nazionali
sono state rivisitate nel 2005 con lo scopo di definire livelli
di rischio accettabili/non accettabili per l’utilizzo degli organi 18.
Ogni potenziale donatore deve pertanto poter essere inserito
in una delle tre categorie di rischio delle Linee Guida del
CNT rischio standard, rischio aumentato ma accettabile con
consenso informato, rischio inaccettabile durante il processo
di valutazione di idoneità alla donazione.
Nella valutazione dei donatori a rischio di trasmissione neoplastica ruolo fondamentale hanno l’istotipo, il grado di differenziazione e lo stadio delle neoplasie riscontrate durante il
protocollo di screening. Come evidenziato dai dati del Registro Nazionale dei Donatori a Rischio di Trasmissione Neoplastica istituito nel 2002 19, dal 2002 al 2005 in 351 donatori
potenziali con rischio di trasmissione neoplastica il ruolo del
patologo è stato fondamentale nel 81% 285 dei casi. La diagnosi istologica infatti è stata fondamentale nel determinare la
categoria di rischio di donazione prima, durante e dopo la
fase di espianto/trapianto (Tab. I): la diagnostica istopatologica, nel fornire i dati di istotipo, grading e stadiazione delle
neoplasie, consente di giungere alla definizione della categoria di rischio in buona parte dei casi durante la fase di rac-
Tab. I. Coinvolgimento del patologo in 351 donatori a rischio di trasmissione neoplastica dal Registro Nazionale dei Donatori a rischio di
trasmissione neoplastica istituito 2002-2005.
Momento della diagnosi
Diagnosi clinica
Diagnosi istopatologica
Prima
Durante
Dopo
Donatori potenziali
61 92%
115 40%
2 4%
145 51%
2 4%
26 9%
66
285
TRAPIANTI D’ORGANO
colta dei dati anamnestici. Altrettanto importante è l’esame
estemporaneo che contribuisce alla risoluzione del dubbio diagnostico in corso di screening nel 40% dei casi ma che, per
la tempistica degli espianti d’organo, viene richiesto soprattutto di notte con buona pace dei patologi coinvolti in questa
attività 20.
Persiste il problema della diagnosi di neoplasia a trapianto
avvenuto 7% con tutte le implicazioni cliniche e medico-legali che ne derivano. La pratica sistematica del riscontro diagnostico sul cadavere del donatore 57% dei casi diagnosticati in post-trapianto viene suggerita dalla letteratura 6 15, ma
allo stesso tempo presenta i limiti intrinseci della discrepanza tra diagnosi macroscopica e microscopica, dei tempi di
risposta e non influisce sulla riduzione del rischio di trasmissione neoplastica donatore/ricevente.
Il ruolo del patologo tuttavia non si esaurisce solamente al
momento della donazione d’organo, ma diventa nuovamente
di fondamentale importanza in corso di follow-up in quei
riceventi, fortunatamente pochi, con rischio di trasmissione
neoplastica: la diagnosi precoce di neoplasia trasmessa, la diagnosi differenziale con neoplasie de novo derivate e non,
sono infatti il cardine del follow-up di questi pazienti ove la
diagnosi istologica può divenire d’ausilio alle metodiche
cliniche. In questo contesto le indagini di biologia molecolare possono offrire un valido supporto diagnostico con il follow-up molecolare con la ricerca di cellule tumorali circolanti nel sangue del ricevente 21 e la comparazione genomica donatore/ricevente 22.
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Patologia molecolare delle neoplasie posttrapianto
G. Gaidano, D. Capello, S. Franceschetti, D. Rossi
Divisione di Ematologia, Dipartimento di Medicina Clinica
e Sperimentale, Università del Piemonte Orientale Amedeo
Avogadro, Novara
L’aumento di incidenza di tumori nelle persone trattate con
farmaci immunosoppressivi anti-rigetto è noto sin dalla fine
degli anni ’60. Linfomi e sarcoma di Kaposi (KS) sono i principali tipi di neoplasie post-trapianto di cui sia stata caratterizzata la patologia molecolare. In base alla classificazione
WHO, i disordini linfoproliferativi post-trapianto (PTLD)
monoclonali sono distinti in PTLD polimorfico, e PTLD
monomorfici, tra cui linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) e linfoma di Burkitt/Burkitt-like (BL/BLL).
Le informazioni riguardanti l’istogenesi dei PTLD derivano
dall’applicazione di un modello in grado di distinguere i linfociti B maturi in: i) cellule B vergini; ii) cellule B del centro
germinativo (CG); e iii) cellule B post-CG. Le mutazioni dei
geni IgV si accumulano fisiologicamente durante il transito
dei linfociti B attraverso il CG (mutazioni ongoing), per
quindi rimanere stabili nelle fasi post-CG. Le mutazioni di
IgV rappresentano il più affidabile marcatore genotipico di
istogenesi: la positività per mutazioni ongoing identifica l’origine del clone neoplastico da linfociti B del CG, mentre la
positività per mutazioni “stabili” identifica l’origine da linfociti B post-CG. L’espressione dei marcatori BCL-6,
MUM1 e CD138 permette una ulteriore stratificazione istogenetica. Infatti, BCL-6 è espresso dai linfociti B del CG,
MUM1 dai centrociti tardivi e dalle cellule B post-CG, e
CD138 dai linfociti B post-CG indirizzati verso la differenziazione plasmacellulare. A differenza di quanto avviene nei
linfomi B dell’ospite immunocompetente e nei linfomi HIVcorrelati, la maggior parte dei PTLD originano da centrociti
tardivi, in quanto mostrano mutazioni stabili dei geni IgV ed
esprimono il fenotipo BCL-6-/MUM1+/CD138-.
I fattori molecolari coinvolti nella patogenesi dei PTLD sono
molteplici e comprendono: i) stimolazione antigentica; ii) infezione da virus oncogeni; e iii) lesioni a carico di protooncogeni e geni oncosoppressori. Nei PTLD, diversamente
da quanto avviene nei linfomi HIV-correlati, il ruolo della stimolazione antigenica è minore. Infatti, ~50% dei PTLD orig-
116
ina da linfociti B che hanno perso la capacità di esprimere
una Ig funzionante. Tale fenomeno è giustificato in parte dalla presenza di mutazioni di IgV crippling, che introducono un
codone di stop che blocca la sintesi della proteina. Poiché l’espressione di una Ig funzionante è necessaria per la sopravvivenza dei linfociti B, le cellule di PTLD sono salvate dalla
apoptosi da meccanismi alternativi, tra cui la infezione da
EBV. Inoltre, solo una frazione dei PTLD che esprimono una
Ig funzionale porta i segni molecolari della stimolazione antigenica e, a differenza di quanto avviene nel linfomi HIV-correlati, i PTLD non mostrano il fenomeno dell’utilizzo preferenziale di specifici geni per la regione variabile delle Ig.
EBV infetta ~60-80% dei PTLD. L’infezione è frequentemente monoclonale e, quindi, verosimilmente presente fin
dalle prime fasi della espansione clonale. Nei soggetti trapiantati, linfociti B infettati da EBV sono presenti in numero
aumentato nel sangue e nei tessuti dei pazienti che successivamente svilupperanno un linfoma. Inoltre, una compromissione della immunità cellulo-mediata specifica contro EBV
costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di linfoma.
HHV8 è selettivamente associato alla patogenesi del PEL nel
contesto post-trapianto. Benché inizialmente alcuni autori
abbiano descritto una elevata prevalenza di SV40 nei linfomi
dell’ospite immunodeficiente, successivamente tale associazione è stata ampiamente smentita da studi epidemiologici,
sierologici, istologici e molecolari. La progressione a linfoma richiede l’accumulo di lesioni genetiche o epigenetiche a
carico di proto-oncogeni e geni oncosoppressori. A differenza dei linfomi della popolazione generale il cui DNA è generalmente stabile, una frazione di PTLD, per un difetto dei
meccanismi di riparazione del DNA, acquisisce un fenotipo
mutatore e accumula mutazioni a carico di numerosi geni, fra
cui i geni pro-apoptotici BAX e CASPASE5 e il gene di riparazione del DNA RAD50. Accanto alla instabilità dei microsatelliti, le alterazioni molecolari dei PTLD includono lesioni a carico dei proto-oncogeni c-MYC e BCL-6 e del gene
oncosoppressore p53, la ipermetilazione del DNA e il
fenomeno della mutazione aberrante di proto-oncogeni. cMYC è riarrangiato nel 100% di BL/BLL e mutazioni di
BCL-6 ricorrono nel 50% dei PTLD. Il gene MGMT codifica per un enzima di riparazione del DNA che protegge le cel-
TRAPIANTI D’ORGANO
lule dal danno mutageno delle sostanze alchilanti. La inattivazione di MGMT causa tumori tramite l’accumulo di mutazioni di RAS e p53, e induce lo sviluppo di linfomi nei topi
knockout. MGMT è metilato nel 60% dei PTLD. DAP-kinasi
è una serina-treonina kinasi coinvolta nella trasduzione del
segnale apoptotico innescato dai death receptors. La inattivazione di DAP-kinasi ha pertanto un effetto anti-apoptotico.
DAP-kinasi è inattivato tramite metilazione nell’80% dei
PTLD. Il meccanismo di ipermutazione somatica può colpire
in maniera aberrante e tumore-specifica i proto-oncogeni
PIM-1, c-MYC, PAX-5 e RhoH/TTF ed è presente nel 30%
dei PTLD. Poiché le mutazioni colpiscono la regione regolatoria di PIM-1, c-MYC, PAX-5 e RhoH/TTF, tali mutazioni
possono influire sulla trascrizione del gene. Inoltre, le mutazioni possono agire tramite l’introduzione di variazioni nella sequenza genica codificante del proto-oncogene. Recenti
studi con tecniche di wide genome analysis, quali Microarray-Comparative Genomic Hybridization (MA-CGH), hanno
rivelato nuove lesioni molecolari preferenzialmente associate
ai PTLD nell’ambito dei linfomi B.
Osservazioni sperimentali e cliniche indicano che il KS origini come un processo iperplastico caratterizzato da intensa infiltrazione infiammatoria e da angiogenesi che si sviluppa
nell’ambito di deregolazione della risposta immunitaria dominato da attivazione di linfociti T CD8+ e da aumentata
espressione di citochine infiammatorie di tipo Th1, tra cui
γIFN, TNFα e IL1β. Queste citochine attivano gli endoteli,
inducono fattori angiogenici e chemotattici, e inducono le
cellule endoteliali ad acquisire il fenotipo KS. Le stesse citochine, inoltre, riattivano HHV-8, determinando la trasmissione del virus alle cellule endoteliali e di KS. Negli stadi
avanzati, il KS può evolvere in un vero sarcoma e divenire
monoclonale. Questo processo è associato alla deregolazione
di oncogeni e geni oncosoppressori ed alla continua espressione dei geni di latenza di HHV8 nelle cellule di KS. Esempi di proteine virali di HHV8 coinvolte nella trasformazione
includono: i) LANA, in grado di inibire la via di p53 e interferire con la via di Rb, favorendo la progressione del ciclo
cellulare; ii) ciclina virale, in grado di mimare l’azione della
ciclina D2 umana e tuttavia insensibile ai meccanismi regolatori della ciclina D2 umana;
PATHOLOGICA 2007;99:117
Patologia infiammatoria intestinale
Tavola rotonda: le diagnosi inutili, coliti non IBD,
malattia celiaca
What is Colitis? Infections and IBD
K. Geboes
Department of Pathology, KU Leuven, Belgium
The prevalence of diarrhea number of individuals with a specific condition at a given time is approximately 5%, making
it a major cause of disability. Patients with chronic diarrhea,
with or without the passage of blood, are likely to be fully investigated, inclusive one or other form of endoscopy with
biopsy. A study evaluating more than 800 patients with
chronic diarrhea found that 122 15% of them had abnormal
histopathology. Histological diagnoses include a variety of
conditions such as spirochetosis, pseudomelanosis coli and
microscopic colitis. Various forms of colitis can thus be present in the absence of radiological and endoscopic lesions or
features of colitis. In the absence of clinical information, a
mere increase in predominantly chronic inflammatory cells
beyond what would be expected physiologically in the absence of architectural abnormalities with or without reactive
changes in the surface epithelium reduced height of cells and
in the crypts increase in mitoses and slight irregularity in
shape can only be diagnosed as “non-specific colitis”. This
pattern can be seen in resolving infections, diverticular disease, drug-induced colitis and even Crohn’s disease. However, lack of sufficient clinical data and distinctive histopathological features precludes further classification into specific
types of colitis. Various entities can mimic chronic inflammatory bowel disease. A diagnosis is optimally reached when
the histological findings can be combined with clinical information although there are many conditions where histology
on its own may be sufficient.
Microscopic examination of biopsies is important for the diagnosis of inflammation. A proper diagnosis requires multiple biopsies. The first question to be answered by the pathologist analysing biopsy specimens is whether there are signs
of inflammation. Genuine inflammation has to be distinguished from artefacts and implies the presence of alterations
of epithelial cells and lamina propria cellularity.
Infectious type colitis, also called Acute self-limited colitis
ASLC, is a transient, presumably infectious disorder presenting with the sudden onset of bloody diarrhea, which may mimic IBD. A precise diagnosis is especially needed in the case of
a severe first attack for which steroid treatment or surgery is
contemplated. Stool cultures take 48-72 h and grow pathogens
in only 40-60%. Rectal biopsies are the major tool for the differential diagnosis between ASLC and Crohn’s disease and/or
ulcerative colitis. In terms of pathology acute inflammation is
usually signaled by the exudation into the tissue of neutrophils
and chronic inflammation is characterized by increased lymphocytes, plasma cells and macrophages in the affected tissue.
B lymphocytes are transformed into mature plasma cells becoming visible in abundance after 7 to 10 days following the
initial inflammatory response.
Major discriminating parameters for IBD are architectural
abnormalities such as a pseudovillous or villiform mucosal
surface, a disturbed crypt architecture, mucosal atrophy,
basal plasmacytosis, and epithelioid granulomas. The distribution of the inflammatory infiltrate can also orient towards
a diagnosis of infectious type colitis. In this type of colitis the
inflammatory reaction is mainly situated in the upper third of
the lamina propria. The presence of crypt abscesses is not a
reliable feature for the distinction between IBD and infectious type colitis.
PATHOLOGICA 2007;99:118
Patologia neoplastica intestinale
La displasia serrata della mucosa colica
M. Risio
Servizio di Anatomia ed Istologia Patologica, Istituto per la
Ricerca e Cura del Cancro, Candiolo, Torino
La maggior parte degli adenocarcinomi del grosso intestino è
preceduta da una fase preinvasiva di Neoplasia Intraepiteliale di
varia durata. Dal punto di vista morfologico il termine displasia
viene convenzionalmente applicato all’insieme di alterazioni
cito-cariologiche ed architetturali che definiscono la neoplasia
intraepiteliale: seppure i due tipi di alterazione dipendano da diverse alterazioni genomiche 1, non è proponibile la ponderazione
diagnostica differenziata dei parametri architetturali e di quelli
cito-cariologici, essendo le due tipologie simultaneamente presenti e commiste nei polipi adenomatosi colorettali 2.
La neoplasia serrata è stata recentemente postulata come precancerosi intestinale disgiunta dalla displasia o in cui la displasia non
è univocamente rappresentata 3. In effetti, è noto da tempo che i
polipi iperplastici, espressione paradigmatica della alterazione
serrata, seghettata o dentellata dell’epitelio colico, e la mucosa
circostante condividono alcune caratteristiche differenziative e
proliferative con i polipi adenomatosi, così da giustificarne l’inquadramento nell’ambito delle lesioni intestinali paraneoplastiche 4. Il rallentamento del flusso di scorrimento dell’epitelio dalla base della cripta iperplastica alla superficie mucosa determina
accumulo cellulare che si organizza in forma di salienze endoluminali discrete costituite da cellule ipermature, prive di alterazioni displastiche. La configurazione serrata in assenza di displasia è tipica dei piccoli polipi iperplastici dimensione media <
0,5 cm, confinati con assoluta prevalenza al sigma-retto: esistono
evidenze per un percorso morfogenetico peculiare che conduce
dalla configurazione serrata alla neoplasia intraepiteliale di alto
grado attraverso fasi intermedie, distinte, di sequenziale estrinsecazione architetturale e cito-cariologica della displasia.
Gli adenomi serrati sessili Adenoma Serrato Tipo Superficiale,
Adenoma Serrato Tipo 2; Polipo Serrato con Anomalie Proliferative 5-7, prevalenti in sede prossimale al sigma-retto, per lo più
di dimensioni maggiori di 1 cm, sono caratterizzati da cripte che,
focalmente o in distretti più o meno estesi del polipo, mostrano
minime distorsioni dell’organizzazione perdita del parallelismo
o franche alterazioni displastiche architetturali microgemmazioni, ramificazioni, dismetrie del diametro, arborizzazione e
coalescenza delle salienze epiteliali endoluminali, crescita orizzontale, estensione del profilo serrato alla base della cripta. Le
modificazioni nucleari, in questi polipi, sono limitate a brevi
tratti dell’epitelio serrato e consistono nella diafanizzazione
vescicolosa della cromatina, ispessimento della membrana nucleare, micronucleoli.
Per contro, negli adenomi serrati tradizionali 5 8 Adenoma Serrato Tipo Polipoide, Adenoma Serrato Tipo 1 5-7 un riconoscibile
profilo serrato persiste in cripte che, diffusamente, oltre alla displasia architetturale mostrano alterazioni nucleari e citologiche
riconducibili alla displasia ipercromasia e stratificazione nucleare, anisocitosi, deplezione endocrina.
Allo stato attuale delle conoscenze, i tempi ed i potenziali di progressione delle lesioni displastiche serrate paiono grossolanamente sovrapponibili a quelli degli analoghi polipi adenomatosi
9
: di qui l’indicazione ad esplicitare nel referto diagnostico, oltre
alla classificazione istopatologica del polipo serrato in esame,
anche il grado, la tipologia e l’estensione della displasia 2.
Sembrerebbe intuitiva la progressione dalla displasia serrata architetturale, spesso minima e focale, a quella diffusa e complessa, architetturale e cariologica e, parallelamente, l’evoluzione
dalla crescita sessile a quella polipoide degli adenomi serrati:
pur tuttavia risulta molto più frequente, nell’ambito di singoli
polipi, la coesistenza di displasia serrata architetturale con aree
di displasia adenomatosa tubulare e tubulo-villosa c.d. “Polipi
adenomatosi misti, serrati e tubulari” 10 che non con la displasia
serrata cariologica. Ancora, la propensione alla riconversione
degli adenomi serrati in displasia adenomatosa “tradizionale” è
supportata dalla frequente osservazione di tessuto tipicamente
tubulare interposto tra aree serrate e carcinoma negli adenomi
serrati cancerizzati 5. È pertanto ipotizzabile un modello unificante di carcinogenesi intestinale, che presuppone la fusione
delle due principali vie morfogenetiche adenomi tubulari vs.
adenomi serrati e molecolari CIN vs. MIN della carcinogenesi
intestinale, anche se gli eventi genetici di collegamento non
sono ancora definiti 11.
La neoplasia serrata conduce al cancro secondo percorsi multipli, complessi, variamente correlati ed intersecatisi. La plasticità
dei percorsi è governata da fattori epigenetici, polimorfismi intragenici germinali ed interazioni ambientali 12: la corretta identificazione della displasia serrata nella mucosa colica è indispensabile per la gestione dei programmi di screening, dei gruppi a rischio, di nuove e solo parzialmente conosciute sindromi
neoplastiche intestinali ereditarie.
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PATHOLOGICA 2007;99:119-121
Patologia pancreatica
Adenocarcinoma pancreatico
G. Zamboni
Dipartimento di Patologia, Università di Verona, Ospedale
“Sacro Cuore-Don Calabria-Negrar”
L’adenocarcinoma duttale rappresenta l’80-90% delle neoplasie pancreatiche e di queste solo il 15-20% è suscettibile di
resezione chirurgica con intento radicale. Sebbene in un discreto numero di casi la diagnosi pre-operatoria possa essere
formulata con l’esame citologico ecoguidato FNAC o più raramente tramite prelievo bioptico ecoguidato FNAB, la diagnosi
di certezza si ottiene in alcuni casi solo dall’esame patologico
del pezzo operatorio. Gli adenocarcinomi duttali devono essere distinti dalle altre neoplasie pancreatiche come i tumori
cistici, i tumori endocrini, i carcinomi a cellule acinose e da lesioni pseudotumorali come la pancreatine autoimmune.
I pezzi operatori resecati per adenocarcinoma pancreatico
non sono reperti frequenti nella maggior parte dei dipartimenti di patologia; una accurata valutazione patologica si ottiene se vi è un stretta collaborazione fra chirurgo, patologo
e radiologo. Molti sono i parametri morfologici che il patologo può ricercare, tuttavia egli deve concentrarsi soprattutto
su quelli con significato prognostico utile ad identificare i
pazienti che potrebbero beneficiare di una terapia adiuvante.
Margini di resezione duodeno-cefalopancreasectomia. I
margini di resezione chirurgici comprendenti il dotto epatico
comune e la trancia di sezione pancreatica, possono essere
esaminati intra-operatoriamente con esame al congelatore.
Grande attenzione deve essere posta nella valutazione del
margine di resezione retroperitoneale, definito come il tessuto adiposo posto dietro la testa del pancreas, dorsalmente e
lateralmente all’arteria mesenterica superiore. Tale margine,
riconoscibile sia perché cruentato chirurgicamente che per la
presenza di fili chirurgici, deve essere colorato con inchiostro
di china, sezionato perpendicolarmente ed incluso in toto per
l’esame istologico definitivo l’esame estemporaneo non è indicato.
Stazioni linfonodali. I linfonodi possono essere inviati separatamente dal chirurgo oppure essere isolati dal patologo dal
tessuto adiposo peripancreatico.
Tipizzazione istologica. La tipizzazione istologica del tumore sia basa sulla classificazione WHO e AFIP. La maggior
parte dei carcinomi è di tipo duttale ed è molto simile alle
normali strutture del pancreas e dei dotti biliari. La componente ghiandolare neoplastica, come i duttuli intralobulari
normali, presenta immunoreattività per il MUC1; mentre il
MUC2 è presente esclusivamente nella variante “colloide”.
Le mucine MUC5-6, marcatori di tipo gastrico-foveolare,
negative nel carcinoma infiltrante, sono frequentemente
espresse nelle lesioni PanIN. Altri markers sono le citocheratine 7,8,18,19 occasionalmente la citocheratina 20, il
CA19,9, il DUPAN-2 ed il CEA.
Varianti dell’adenocarcinoma duttale. Il carcinoma mucinoso non cistico colloide è composto da ghiandole ben differenziate immerse in abbondante > 50% mucina extracellulare. La maggior parte dei carcinomi insorge da pre-esistenti
neoplasie intraduttali papillari mucinose IPMN. È caratterizzato da prognosi relativamente favorevole.
Il carcinoma adeno-squamoso è composto da componenti
neoplastiche ghiandolare prevalente e squamosa > 30%. La
prognosi è peggiore di quella dell’adenocarcinoma classico.
Il carcinoma anaplastico è composto da cellule pleomorfe,
cellule giganti e/o cellule fusate. La diagnosi differenziale va
posta con i sarcomi ed i carcinomi metastatici indifferenziati.
È più aggressivo rispetto all’adenocarcinoma classico.
Il carcinoma a cellule giganti di tipo osteoclastico è composto da cellule epiteliali maligne indifferenziate, rotonde o
fusate, associate a cellule giganti di tipo osteoclastico non
neoplastiche.
Il carcinoma midollare, è caratterizzato da cellule polimorfe,
crescita sinciziale, elevato indice mitotico e ricco infiltrato
infiammatorio intra- e peri-tumorale di tipo linfocitario. La
caratterizzazione molecolare evidenzia un’alta frequenza di
instabilità dei microsatelliti DNA replication error + e assenza di mutazioni del gene K-ras. La prognosi non si discosta
da quella del carcinoma classico.
Altri carcinomi rari sono il carcinoma a cellule chiare, l’adenocarcinoma duttale a cellule schiumos ed il carcinoma misto esocrino ed endocrino.
Precursori del carcinoma pancreatico invasivo. I precursori del carcinoma infiltrante comprendono una lesione microscopica, costituita da neoplasie pancreatiche intraepiteliali PanIN e due lesioni microscopicamente evidenti:
neoplasie mucinose papillari intraduttali IPMN e neoplasie
cistiche mucinose MCN.
Le PanIN, che di solito coinvolgono i dotti di diametro < 5
mm, sono caratterizzate da cellule colonnari e cuboidi ed in
base alle atipie citologiche ed architetturali sono classificate
come: a. PanIn-1A-B atipia citologica ed architetturale minima; b. PanIn-2 atipia citologica ed architetturale moderata
con frequente formazione di papille; c. PanIN-3 atipia citologica ed architetturale severa. Il profilo genetico mostra sia
l’attivazione di oncogeni che l’inattivazione di geni soppressori tumorali, in particolare l’attivazione dell’oncogene K-ras
e l’inattivazione dei geni soppressori CDKN2A/p16,
TP53/p53 e SMAD4/DPC4.
Le informazioni sulla progressione dei differenti tipi di PaIN
sono ancora limitate. PanIN-1 e PanIN-2 non hanno un
potenziale maligno dimostrato per cui sembrerebbe non necessario segnalarle nella diagnosi. Le modificazioni tipo
PanIN-3 dovrebbero invece essere identificate e segnalate
nella diagnosi patologica importanti anche nella valutazione
della trancia di resezione pancreatica.
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120
Tumori cistici e non duttali del pancreas
F. Sessa, S. La Rosa, C. Capella
Dipartimento di Morfologia Umana e Dipartimento di Patologia, Università dell’Insubria e Azienda Ospedaliera-Universitaria, Ospedale di Circolo di Varese
I tumori cistici e non duttali del pancreas sono un gruppo
eterogeneo di neoplasie, in genere benigne o a basso grado di
malignità, che comprende tumori di diversa istogenesi, età di
insorgenza, incidenza tra maschi e femmine e prognosi. Il
miglioramento delle tecniche di diagnosi per immagine ha
fatto si che queste neoplasie vengano documentate con una
frequenza maggiore, da cui un loro incremento relativo.
I tumori cistici includono due grandi categorie: i tumori
sierosi adenoma sieroso microcistico, cistoadenocarcinoma
sieroso e i tumori mucinosi. Questi ultimi a loro volta comprendono due diverse entità: i tumori papillari mucinosi intraduttali e i tumori mucinosi cistici. I tumori non duttali
comprendono: i tumori endocrini, il tumore solido pseudopapillare, il carcinoma acinare e il pancreatoblastoma. Rappresentano circa il 10% di tutte le neoplasie pancreatiche.
Cistoadenoma sieroso microcistico. È prevalente nelle
donne 7:1 in età post-menopausale, interessa con uguale frequenza sia la regione della testa che del corpo-coda del pancreas, è generalmente unico ma può essere multifocale nella
malattia di von Hippel Lindau VHL. È formato da una miriade di piccole cisti a contenuto limpido sieroso che gli conferiscono un aspetto spugnoso. Le cisti sono rivestite da un
epitelio cubico, positivo al PAS e alle CK 7, 8, 18 e 19. Sono
descritte varianti macrocistiche cistoadenoma sieroso
oligocistico, solide o combinate con neoplasie endocrine in
pazienti con sindrome di VHL. Il 50-70% di questi tumori
presenta inattivazione di VHL mentre K-Ras, p53 e SMAD4
non sono alterati. Le cisti pancreatiche nella malattia di VHL
sono rivestite da un analogo epitelio e sono distribuite lungo
tutto il pancreas.
Cistoadenocarcinoma sieroso. È estremamente raro, citologicamente indistinguibile dalla forma benigna, per cui la
diagnosi va posta solo in presenza di franche metastasi
epatiche e dopo aver escluso la possibilità di metastasi di carcinomi a cellule chiare o più raramente ancora a lesioni cistiche dovute a neoplasie endocrine o a carcinomi acinari cistoadenocarcinoma acinare.
Neoplasie cistiche mucinose NCM. Insorgono quasi esclusivamente nelle donne di età compresa tra i 40 e i 50 anni,
sono generalmente di notevoli dimensioni 7-10 cm, sono unio pluriloculate, localizzate nel corpo-coda del pancreas, non
comunicanti con i dotti pancreatici, rivestite da epitelio che
produce mucine, delimitato da uno stroma di tipo ovarico,
presente sia nei setti che nella capsula del tumore. Questo
stroma si osserva anche nelle NCM del fegato e del retroperitoneo e normalmente esprime i recettori per il progesterone.
Si ipotizza una origine di questi tumori da residui ovarici o
dallo stroma mesenchimale periduttale. L’epitelio presenta
gradi crescenti di atipia: lieve, moderata, severa e i tumori
variano da adenoma, a NCM con carcinoma in situ, a cistoadenocarcinoma mucinoso quando è presente una componente infiltrativa. Circa un terzo inoltre si associa ad un carcinoma infiltrante di tipo duttale-tubulare o più raramente al
carcinoma indifferenziato con cellule giganti di tipo osteoclastico. K-Ras, p53 e SMAD4 sono le mutazioni più frequenti, condivise con il carcinoma duttale. In ogni modo la
prognosi a 5 anni di queste due neoplasie è nettamente diversa con una sopravvivenza del 50-60% nelle NCM e del 5%
PATOLOGIA PANCREATICA
nei carcinomi duttali. A fronte di medesime alterazioni
molecolari la diversità di aspetto macroscopico, microscopico e prognostico sembra dovuta ad un diverso timing nella
sequenza mutazionale che si osserva nel carcinoma duttale:
K-Ras, p53/p16, SMAD4 rispetto alla sequenza K-Ras,
SMAD4, p53/p16 presente nelle NCM.
Tumori papillari mucinosi intraduttali TPMI. Sono caratterizzati da una dilatazione cistica dei dotti pancreatici dovuta alla eccessiva secrezione intraluminale di mucine da parte
dell’epitelio che costituisce questo tumore. Sono localizzati
alla testa del pancreas. Si osservano generalmente in maschi
nella 7°-8° decade di vita, con storia di dolori addominali o
di pancreatiti ricorrenti. Possono insorgere nel dotto principale o nei dotti collaterali. Microscopicamente l’epitelio
delle papille può essere classificato come: a intestinale, b
pancreatobiliare, c gastrico o “null”. I TPMI intestinali sono
generalmente MUC2 e CDX2 positivi. I TPMI pancreatobiliari sono MUC2 e CDX2 negativi ma MUC1 positivi. Le
atipie citologiche lievi, moderate e severe consentono di classificare questi tumori come: adenomi, tumori borderline e
carcinomi intraduttali. Una componente invasiva si osserva
in circa un terzo dei casi, di tipo mucinoso o colloide frequentemente associata alle forme di TPMI intestinali e di tipo
duttale-tubulare associata alle forme di TPMI pancreatobiliari. La sopravvivenza media a 5 anni è superiore al 75%. In
generali i tumori che insorgono dai dotti periferici, di tipo
gastrico e di piccole dimensioni sono adenomi o tumori borderline. I tumori che insorgono nel dotto principale, di tipo
intestinale e di maggiori dimensioni sono carcinomi intraduttali e più frequentemente associati ad un carcinoma infiltrante. Mutazioni di K-Ras, p53/p16, SMAD4 sono eventi piuttosto rari nei TPMI. SMAD4 è generalmente espresso in
tutti i TPMI. Questi tumori vanno differenziati dalle PanIN,
sia di basso che alto grado, dove si osserva una diversa
espressione di MUC2 e MUC1 ed inoltre si osserva una
perdita di SMAD4 nelle PanIN 3. La variante oncocitica di
questi tumori è rara e presenta caratteristiche peculiari che la
differenziano dagli altri TPMI.
Il tumore solido pseudopapillare. Si osserva quasi esclusivamente in giovani donne età media 25 anni, rapporto M/F
1:20, le sue cellule esprimono il recettore del progesterone e
il recettore beta degli estrogeni. Ha un basso potenziale di
malignità e presenta aspetto cistico in particolare nei casi di
maggiori dimensioni 9-10 cm dovuto al processo necrotico/degenerativo della componente tumorale e non ad una vera cisti rivestita da epitelio. Infatti la cisti contiene materiale
necrotico, macrofagi, sangue e pseudopapille rivestite da elementi che assomigliano a cellule endocrine. K-Ras, p53/p16
e SMAD4 non sono alterati mentre nel 90% dei casi si osserva un accumulo nucleare di β catenina dovuto ad una mutazione puntiforme dell’esone 3 e positività a CD10 e CD117.
L’istogenesi di questo tumore non è ancora collegata ad alcuna delle cellule normalmente presenti nel pancreas. Le cellule neoplastiche esprimono vimentina, NSE, alfa 1 antitripsina, CD56, sinaptofisina, ma sono cromogranina negative. L’80% dei casi è benigno, per il restante 20% sono casi
maligni, ma non ci sono chiari criteri istologici per documentare il potenziale di malignità.
Neoplasie endocrine. Rappresentano circa l’1-2% dei tumori del pancreas. Generalmente sporadici possono insorgere
in sindromi ereditarie come MEN1 e VHL. L’aspetto microscopico è variabile da trabecolare a psudoacinare a cordonale
o a solido, è generalmente presente in diversa misura nel
medesimo tumore. Lo stroma tra le cellule è estremamente
PATOLOGIA PANCREATICA
variabile fino ad essere fibrotico o ialinizzato. In alcuni casi
insulinomi è presente deposito di amiloide. Le cellule sono
poligonali, a citoplasma eosinofilo, generalmente abbondante, con nucleo periferico aspetto plasmocitoide. Sono stati
descritti aspetti particolari come l’oncocitico 7% dei casi, a
cellule chiare in corso di malattia di VHL, pleomorfo o rabdoide. La prognosi è correlata alle dimensioni del tumore, indice mitotico, necrosi, invasione della capsula, invasione
vascolare, invasione del tessuto pancreatico peritumorale,
metastasi epatiche. Mutazioni di K-Ras, p53/p16, SMAD4
sono eccezionali nei tumori endocrini, ma inattivazione di
p16 da ipermetilazione del promotore è presente nel 40% dei
casi. Il carcinoma endocrino scarsamente differenziato rappresenta il 3% dei tumori endocrini del pancreas, ha un indice
mitotico superiore a 10 per 10 hpf. Può avere un aspetto simile al carcinoma a piccole cellule del polmone; ha una prognosi estremamente sfavorevole.
Carcinoma acinare. Rappresenta il 2% delle neoplasie pancreatiche dell’adulto ed il 15% di quelle del bambino. È un
tumore le cui cellule contengono granuli di zimogeno PAS
positivi, produce tripsinogeno e lipasi che vengono utilizzati
per differenziarlo immunoistochimicamente dai tumori endocrini. Una componente endocrina minoritaria è presente
nel 50% dei casi, quando supera il 25% delle cellule parliamo
di carcinoma misto acinare/endocrino, ma sono riportati anche carcinomi misti acinari/duttali e acinari/duttali/endocrini.
Il carcinoma acinare ha una prognosi simile al carcinoma
duttale ma non presenta le stesse alterazioni molecolari mutazioni di K-Ras, p53, p16, SMAD4. Nel 50% dei casi si osserva LOH di 11p e nel 25% dei casi mutazioni di APC/β
catenina.
Pancreatoblastoma. È la più frequente neoplasia maligna
del pancreas in età pediatrica. Presenta più linee differenziative documentate dalla immunoreattività per i markers acinari tripsina, chimotripsina, lipasi endocrini cromogranina,
sinaptofisina duttali CEA, DUPAN 2. Si caratterizza inoltre
per la presenza di nidi di cellule squamose. Le alterazioni
molecolari sono simili a quelle del carcinoma acinare LOH di
11p e mutazioni di APC/β catenina mentre sono assenti
quelle del carcinoma duttale K-Ras, p53, p16, SMAD4.
Nei tumori solidi-pseudopapillari del pancreas la mutazione
di β catenina è presente in circa il:
a. 20% dei casi;
b. 50% dei casi;
c. 90% dei casi.
Nei cistoadenomi sierosi microcistici sporadici del pancreas
è più frequente:
a. la mutazione di Kras;
b. la mutazione di p53;
c. l’inattivazione di VHL.
Il fattore prognostico più importante per i tumori mucinoso
cistici del pancreas è determinato da:
a. dimensioni della neoplasia;
b. tipo di intervento chirurgico;
c. grado di atipia citologica.
Il carcinoma colloide o gelatinoso è associato più frequentemente a:
a. IPMN di tipo intestinale;
b. IPMN di tipo pancreatobiliare;
c. IPMN di tipo oncocitico.
121
Diagnostica Speciale. Centro Integrato di
Diagnostica Cito-Radiologica nella Patologia
Pancreatica. Esperienza del Policlinico di Verona
E. Manfrin, F. Bonetti
Istituto di Anatomia Patologica, Università di Verona
La citologia per agoaspirazione è spesso utilizzata come procedura elettiva per una diagnostica pre-operatoria delle patologie pancreatiche formanti massa. La disponibilità di metodiche
di prelievo con guida eco-radiologica ed eco-endoscopica hanno reso il prelievo citologico agoaspirativo a rischio “controllato” e con accresciuta accuratezza. L’accuratezza diagnostica
della citologia è molto “operatore dipendente”. La formazione
del patologo in ambito citologico non implica solo una specifica formazione diagnostico-morfologica, ma necessita di una
più ampia competenza che comprenda, più in generale, la gestione del “caso-paziente”. Il ruolo attuale del citopatologo è infatti quello di valutare la procedura diagnostica migliore da
adottare per risolvere il quesito posto dal clinico e di essere
egli stesso l’esecutore o compresente all’espletamento del prelievo. In questa visione moderna della diagnostica citologica è
fondamentale il ruolo dell’équipe formata da anatomopatologo
e radiologo. Presso il Policlinico di Verona è operativa un’attività diagnostica integrata citologico-radiologica con l’individuazione di équipe mediche composte da citopatologi, radiologi ecografisti e radiologi dedicati alla diagnostica per immagini Tac, che cooperano direttamente alla scelta delle procedure diagnostiche ottimali e all’espletamento dei prelievi.
L’attività diagnostica integrata, sviluppatasi progressivamente
negli ultimi dieci anni, dal 2004 usufruisce di un proprio Centro di Diagnostica Integrata Cito-Radiologica con un laboratorio dedicato di citologia, sala lettura citologica e segreteria diagnostica con refertazione immediata, posto in diretta comunicazione con le sale ecografiche.
L’attività svolta presso il centro di diagnostica integrata citopatologica del Policlinico “G.B. Rossi” dell’Università di
Verona, ha risposto pienamente alle aspettative proprie di una
diagnostica moderna:
– abbattimento dei tempi d’attesa per la diagnosi patologica.
Le risposte diagnostiche sono immediate e consegnate direttamente al paziente o depositate nella cartella clinica che
lo accompagna; tutto ciò si riflette in una gestione rapida e
dinamica del paziente ospedalizzato;
– accuratezza diagnostica. La verifica in tempo reale del materiale citologico limita il numero di casi con citologia non
diagnostica per la possibilità di ripetere più volte le agoaspirazioni fini al raggiungimento dell’adeguatezza. La disponibilità delle cartelle cliniche ed il rapporto diretto con
il paziente ed i medici clinici all’atto dell’esecuzione dell’esame citologico favorisce la correlazione anatomo-clinica ed una migliore accuratezza diagnostica;
– scelta in tempo reale delle procedure diagnostiche da
espletare. La verifica in tempo reale del materiale citologico permette di ripetere più volte la manovra agoaspirativa
alla ricerca dell’adeguatezza del materiale; se questo non
risulta possibile, si può procedere all’espletamento di altre
metodiche diagnostiche, ad esempio microbiopsia oppure
contrasti ecografici per la migliore visualizzazione di lesioni non “centrate” dal primo prelievo;
– integrazione e crescita formativa dell’équipe degli operatori. La cooperazione diretta di più specialisti favorisce la gestione multidisciplinare di ogni caso garantendo così l’alta
qualità della prestazione offerta e la condivisione delle
competenze specialistiche a tutta l’équipe con una conseguente crescita culturale del personale coinvolto.
PATHOLOGICA 2007;99:122-126
Giornata SIAPEC-IAP di Citologia Diagnostica
Il Sistema classificativo Bethesda 2001 TBS
non è idoneo alle esigenze di uno screening
organizzato di popolazione
A. Bellomi, L. Regattieri
U.O. Struttura Complessa di Diagnostica Istocitologica,
Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Ospedali “Carlo
Poma” Mantova
Lo screening cervicale della Provincia di Mantova, operante
con chiamata dal 1986, non utilizza pienamente il TBS perché
lo ritengo inidoneo alle esigenze di un test di primo livello.
Indubbiamente la mia scelta è stata influenzata dalla scuola
dell’Istituto Tumori di Milano ai tempi del prof. Rilke, che
aveva adottato la classificazione di Papanicolaou inserendo il
CIN in tre gradi tra la classe seconda e la classe quarta ed
abolendo la classe terza.
Lo scopo di un test di primo livello in uno screening di popolazione è quello di discriminare una piccola percentuale
meritevole di ulteriori accertamenti; l’esito dovrebbe essere:
– negativo;
– da controllare colposcopicamente;
– inadeguato.
I risultati di uno screening di popolazione organizzato da un
sistema sanitario statale, sono monitorati continuamente e
consentono interventi correttivi e miglioramenti.
Lo scenario in cui è stato ideato il TBS è completamente diverso: uno screening dipendente dalle grandi compagnie assicuratrici e dalle grandi aziende sanitarie, vale a dire regolato dalle logiche di mercato.
Lo scopo “dichiarato” della nuova classificazione di Bethesda è di favorire il dialogo tra citologi e ginecologi e questo è
stato raggiunto: dopo l’introduzione del TBS vi è stato un aumento di spesa per colposcopie pari ad un bilione di dollari
all’anno negli USA.
La classe negativa per malignità ha una durata di un solo anno, mentre è triennale in Italia.
Il citologo italiano che applica il TBS, con la diagnosi di
Negativo condiziona il controllo citologico successivo a tre
anni, mentre chi ha formulato questa classificazione lo
prevede ad un anno di distanza. Nell’ultima versione del
TBS, nella classe “Negativo per malignità” sono comprese
anche casi con alterazioni cellulari di un certo rilievo, proprio
perché il periodo di responsabilità diagnostica e legale nei
confronti della donna è limitata ad un anno e quindi demanda al Pap test successivo il giudizio sull’eventuale progressione delle alterazioni presenti.
Il motivo è semplice negli USA tanti Pap significano tanti
guadagni, in Italia tanti Pap significano tante spese tasse.
Il nuovo Bethesda ha anche escluso la possibilità di alcune
diagnosi microbiologiche, ad esempio quella di infezione da
Clamidia la più frequente nella pratica clinica ginecologica
solo per lucrare maggiori guadagni con indagini di PCR: perché fare questa diagnosi per dieci dollari quando se ne possono chiedere molti di più per un’indagine microbiologica
sofisticata.
La classe diagnostica ASC nelle varie proposizioni, non consente la discriminazione che il Pap test come primo livello di
uno screening di popolazione deve effettuare, perché prevede
una categorizzazione delle incertezze 1, dei dubbi del citologo
scrupoloso e lascia ampia scappatoia alla incapacità o alla superficialità del citologo frettoloso sottopagato a cottimo 2.
Questa categoria non discrimina, ma induce ben più lauti
profitti perché condiziona indagini ulteriori di alto costo colposcopia, test per l’HPV e soprattutto preserva dai costi legali per errori diagnostici essendo molto elastica nelle sue
correlazioni istologiche.
Tutti gli studi di concordanza citologica per la categoria ASC
su set di vetrini hanno mostrato che non esistono criteri riproducibili e che questa categoria è spesso la misura dell’incapacità diagnostica o di prelievi subottimali.
L’accorpamento nella categoria LSIL di alterazioni virali ed
alterazioni da CIN1, mentre semplifica il lavoro del citologo,
mortifica gli sforzi di chi cerca di differenziare le alterazioni
transitorie della infezione da HPV da quelle potenzialmente
più aggressive della CIN anche di basso grado 3.
Infine, dopo aver per anni ignorato il problema dell’Adenocarcinoma cervicale così come aveva fatto Papanicolaou ora
si propongono tre categorie diagnostiche per le cellule cilindriche AGC, AIS, CTM continuando a fare confusione tra patologia cervicale ed endometriale situazione tipica del Pap
test al di fuori degli screening e pretendendo di fare citologicamente la diagnosi differenziale tra forma in situ e forma
microinvasiva, che spesso non è possibile nemmeno con una
istologia accurata.
Ritengo che non solo questa classificazione non sia idonea
per uno screening di popolazione come organizzati in Italia
ed in Europa, ma che non andrebbe utilizzata dagli anatomopatologi che refertano esami citologici.
In tal modo si capirebbe che un Pap test classificato con il
sistema Bethesda è al di fuori della responsabilità medica essendo stato letto ma non interpretato da un non medico.
Questa ultima considerazione è certamente una utopia, visto
lo scarso interesse della maggior parte dei patologi per il Pap
test, in considerazione dell’enorme sproporzione tra richiesta
e numero dei patologi e non ultimo per la bassa remunerazione tariffaria di questo esame.
Bibliografia
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HPV NO: elogio dell’incertezza
“Difficile non è sapere, ma saper far uso di ciò che si sa”
A.M. Buccoliero, F. Castiglione, F. Garbini, C.F. Gheri,
D. Moncini, E. Zappulla, G.L. Taddei
Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università
di Firenze
L’infezione da Human Papilloma Virus (HPV) umano è una
delle più frequenti malattie a trasmissione sessuale nel mondo. Nel tratto genitale femminile l’infezione da HPV può determinare quadri patologici diversi per gravità e presentazione clinica. Numerosi dati epidemiologici, clinici e bio-
GIORNATA SIAPEC-IAP DI CITOLOGIA DIAGNOSTICA
molecolari hanno in particolare dimostrato il rapporto
causale tra infezione da HPV ed insorgenza del carcinoma
della cervice uterina.
La diffusione della citologia cervico-vaginale quale strumento
di screening ha notevolmente modificato la storia naturale del
carcinoma cervicale determinando una drammatica riduzione
delle forme infiltranti. In letteratura a tale proposito viene riportato un crollo dell’incidenza del carcinoma invasivo da circa 15/105 negli anni ’60 a meno di 3/105 negli anni ’90 1 2.
Più recentemente ha tuttavia preso corpo il sospetto della
possibile fallibilità del Pap test. Tra le varie criticità sollevate
ci sono la non sufficiente sensibilità e specificità 3 di questo
esame.
Numerose metodiche diagnostiche sono state proposte quale
possibile integrazione o alternativa al Pap test tradizionale.
Tra queste la citologia in fase liquida, la lettura automatizzata dei preparati, il test per la determinazione del genoma virale o ancora indagini immunocitochimiche o biomolecolari
volte a valutare la persistenza dell’infezione da HPV e/o l’integrazione virale.
Attualmente i test molecolari per la determinazione della presenza del genoma virale nel prelievo citologico cervico-vaginale Polymerase Chain Reaction – PCR; Hybrid Capture Assay sono oggetto di grande attenzione sia tra la classe medica che tra le donne come documentato dalla mole di pubblicazioni in merito sia nelle riviste scientifiche che nella stampa divulgativa ordinaria e dalla nascita di movimenti di
donne a favore della loro diffusione di massa 4. Il razionale
per l’introduzione e diffusione dell’HPV test si fonda soprattutto sul suo elevato valore predittivo negativo a fronte delle
presunte lacune diagnostiche del Pap test tradizionale.
In realtà se è vero che circa 230.000 donne muoiono ancora
oggi ogni anno nel mondo per carcinoma della cervice uterina 5 c’è da chiedersi quante di queste morti siano davvero imputabili ai limiti del Pap test e quante invece alla mancanza
di efficaci programmi di screening. Una riflessione meritano
inoltre i costi morali e materiali legati all’aumento di esami
di secondo livello quali la colposcopia provocato dall’indubbia maggiore sensibilità dell’HPV test per un’infezione che
nella gran parte dei casi sarà destinata a risolversi spontaneamente. È noto infatti che il vero fattore di rischio non è tanto
l’infezione da HPV, sia pure ad alto rischio o da tipi virali
multipli, quanto la sua persistenza. Si calcola infatti che il
93% delle donne risultate infette da un determinato HPV
risulti poi negativa per quello stesso tipo virale ad un successivo controllo. Attraverso la Polymerase Chain Reaction
PCR si è potuto dimostrare che l’infezione da HPV mediamente permane per circa 5-6 mesi per poi scomparire spontaneamente 6. Il carcinoma cervicale è infatti considerato una
complicanza estremamente rara di una infezione estremamente frequente. Da qui l’importanza di scandagliare tra la
popolazione femminile non tanto l’infezione in quanto tale
quanto piuttosto la sua persistenza o l’avvenuta integrazione
virale. A questo ultimo proposito va ricordata la determinazione immunoistochimica della proteina con azione oncosoppressiva p16INK4a la cui espressione risulta alterata in
caso di infezione virale persistente con espressione delle oncoproteine virali E6 ed E7 o le metodiche molecolari volte a
documentare direttamente l’mRNA per E6 ed E7.
Riteniamo di scarso beneficio per la donna e per la collettività il test per l’HPV in particolare quando generalizzato e primario. Risulta infatti difficile immaginare una maggiore adesione delle alle campagne di screening o un allargamento
delle aree geografiche in cui le campagne di screening stesse
sono attive semplicemente sostituendo la citologia cervico-
123
vaginale con un altro test peraltro più costoso. Potrebbe
eventualmente risultare più utile valutare attraverso ampi studi l’opportunità di un suo possibile impiego nei casi citologicamente dubbi o ancora quale indagine preliminare alla vaccinazione.
Bibliografia
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Anttila A, Pukkala E, Söderman B, et al. Effect of organised screening
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3
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Citologia
S. Fiaccavento
Istituto Clinico Città di Brescia, Servizio Anatomia Patologica, Sezione di Citopatologia Diagnostica, Brescia
Introduzione. Non è la priva volta che citologia agoaspirativa FNA e mammotome sono messi a confronto come oggetto di controversia diagnostica sia in precedenti incontri che in
recenti pubblicazioni 1 2. Si ha comunque l’impressione che la
difesa di singole posizioni sia legata più a metodologie che
uno sa usare da tempo e dalla difficoltà di accettare cambiamenti che potrebbero metterlo in difficoltà piuttosto che da
una corretta analisi dei pro e contro di un approccio
metodologico. Comunque la valutazione critica che si legge
nei confronti della citologia si basa spesso su una insufficiente esperienza di molti patologi nell’allestimento dei vetri
e/o dal fatto che non siano direttamente coinvolti nelle fasi
che precedono l’interpretazione dei preparati. Partendo dal
presupposto che le due metodiche possano e debbano essere
complementari e non alternative, lo scopo del mio intervento
è solo quello di elencare i diversi punti critici da sottoporre
alla attenzione dei partecipanti:
1. necessità di corretta modalità di allestimento prelievo, striscio, colorazioni sono fondamentali per l’adeguatezza dei
vetri;
2. sensibilità e specificità per maligno e benigno sono paragonabili alla CB anche per quanto si riferisce alle microcalcificazioni;
3. possibilità della FNA di definire istotipo e grading;
4. impossibilità della FNA di distinguere tra carcinoma in situ vs. invasivi; un falso problema?
5. possibilità di utilizzo della immunocitochimica nei preparati citologici.
Conclusioni. Pur rispettando la comprensibile affezione che
ciascuno di noi ha per le metodiche che usa più frequentemente e con le quali è pertanto più abile, riteniamo che la
FNA debba conservare il suo ruolo come primo suggerimento diagnostico. La sua presenza nelle Linee Guida non esclude che si possano mettere in atto da subito prelievi con
ago più grosso ma evita che la metodica citologica venga ingiustamente colpevolizzata quando utilizzata da équipes esperte.
124
Bibliografia
1
Shousha S. Issue in Interpretation of breast Core Biopsie. Intern J
Surg Pathol 2003;11:167-76.
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Masood S. Core Needle Biopsy vs. Fine-Needle Aspiration Biopsy:
Are There Similar Sampling and Diagnostic Issue? Breast J
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Vacuum-assisted needle core biopsy VANCB
S. Bianchi, V. Vezzosi, D. Ambrogetti*, J. Nori**, B. Brancato***
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Azienda
Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze; * U.O. Prevenzione secondaria screening, CSPO Firenze; ** S.O.D. Diagnostica Senologica, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze; *** U.O. Senologia, CSPO Firenze
La vacuum-assisted needle core biopsy VANCB sta assumendo un ruolo cruciale nell’inquadramento della patologia mammaria e sta in parte sostituendo la FNAC come
prima modalità di diagnosi pre-operatoria nelle lesioni precliniche, in modo particolare nei casi di pattern mammografico costituito dalla presenza di sole microcalcificazioni.
L’utilizzo della VANCB in sostituzione della FNAC nelle microcalcificazioni appare giustificata in considerazione di vari
fattori: più elevati livelli di sensibilità e specificità; minori prelievi inadeguati, minori lesioni dubbie e sospette, quest’ultimo
dato ha portato ad una riduzione di interventi chirurgici per patologia benigna. Inoltre, il vantaggio della core biopsy CB in
generale, sia di tipo convenzionale che “vacuum-assisted”,
rispetto alla FNAC, è che consente di diagnosticare un carcinoma in situ o invasivo con l’opportunità di pianificare il trattamento terapeutico in fase pre-operatoria.
I limiti della VANCB, legati essenzialmente al fatto che si
tratta di un campionamento parziale, emergono soprattutto
nei casi in cui venga diagnosticata una proliferazione
epiteliale atipica di tipo duttale o un carcinoma duttale in situ
DCIS. In riferimento alla proliferazione epiteliale atipica di
tipo duttale, numerosi studi hanno dimostrato un certo grado
di discordanza fra la diagnosi su VANCB e la diagnosi definitiva su biopsia chirurgica; così come la diagnosi di DCIS su
VANCB non può escludere la presenza di carcinoma invasivo sulla biopsia chirurgica per la limitatezza del campionamento della lesione. I dati di sottostima, riportati in letteratura, variano dall’11% al 35% per la proliferazione epiteliale
atipica di tipo duttale e dal 5% al 19% per il DCIS.
L’esperienza del gruppo fiorentino che lavora in ambito
senologico ci ha consentito di mettere a confronto la metodica della CB convenzionale con la VANCB su due diverse casistiche in totale circa 2000 casi di microcalcificazioni al fine
di valutarne la performance in termini di sottostima con riferimento in particolare alla proliferazione epiteliale atipica di
tipo duttale ed al DCIS. I 49 casi di proliferazione atipica di
tipo duttale diagnosticati su CB con ago da 14 G hanno evidenziato una sottostima complessiva DCIS + carcinoma invasivo nel 59,3% dei casi. Gli 84 casi di proliferazione atipica di tipo duttale diagnosticati mediante VANCB hanno evidenziato una sottostima complessiva DCIS + carcinoma invasivo nel 34,5% dei casi.
I 43 casi di DCIS diagnosticati su CB con ago 14G sono
risultati carcinomi invasi su biopsia chirurgica nel 30,2% dei
casi, mentre i 446 casi di DCIS su VANCB sono risultati carcinomi invasivi nel 18,2% dei casi.
GIORNATA SIAPEC-IAP DI CITOLOGIA DIAGNOSTICA
In conclusione la VANCB evidenzia una minore sottostima di
DCIS e/o carcinoma invasivo nei casi diagnosticati come
proliferazione epiteliale atipica di tipo duttale e di carcinoma
invasivo nei casi diagnosticati come DCIS.
Bibliografia
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et al., eds. European guidelines for quality assurance in breast cancer screening and diagnosis. Fourth Ed. Belgium: European Communities 2006, p. 221-311.
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needle biopsy: the Florence experience of over 4000 consecutive biopsies. Breast Cancer Res Treat 2007;101:291-7.
Citologia agoaspirativa in LBC favorevole
S. Rossi, G. Braghiroli*, S. Immovilli*, A. Carantoni*, C.
Cavicchi*, A.L. Delazer*, M.D. Beccati*
Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Medicina di Laboratorio, Anatomia Istologia e Citologia Patologica; 1 Diagnostica Citopatologica, Azienda Ospedaliera Universitaria
di Ferrara
Tra le tecniche disponibili per l’allestimento del materiale ottenuto mediante agoaspirato, lo striscio su vetrino è sicuramente quella tradizionalmente più usata, efficace ed economica. I vetrini possono essere fissati all’aria o in alcol 95° e colorati rispettivamente con MGG o Papanicolau. È però una
metodica operatore-dipendente, in ciascuna delle diverse fasi,
dal trasferimento del materiale sul vetrino alla fissazione.
La fissazione in fase liquida e successivo allestimento in strato sottile, con metodica Thin Prep Cytyc o Sure Path TriPath,
BD, offre alcuni vantaggi rispetto allo striscio convenzionale:
– tutto il materiale presente nell’ago viene trasferito nel liquido fissativo;
– il materiale è immediatamente fissato con conseguente
conservazione ottimale delle cellule;
– riduzione di muco, emazie e flogosi sul fondo ed oscuranti gli elementi diagnostici tramite sostanze mucolitiche ed
emolitiche nel fissativo e per filtrazione;
– rappresentazione di tutte le componenti cellulari, disperse
e con minima sovrapposizione;
– minore e ben circoscritta superficie diametro massimo dell’area cm 2 e minor numero di vetrini da esaminare 1 o 2;
– disponibilità di materiale di riserva, rappresentativo del
campione.
Le caratteristiche segnalate contribuiscono alla riduzione dei
preparati inadeguati, ad una lettura più agevole e meno dispersiva anche a piccolo ingrandimento e danno la possibilità
di migliorare la diagnosi tramite l’utilizzo di tests ancillari
quali l’immunocitochimica, ad esempio per supportare diagnosi sospette, confermare la primitività o secondarietà di una
neoplasia o la sede del prelievo.
Accuratezza diagnostica. In citologia agoaspirativa della
tiroide, l’applicazione della fissazione in fase liquida e dell’allestimento in strato sottile sembra dare promettenti risultati in termini di sensibilità, specificità e valore predittivo.
Abbiamo confrontato, in una casistica di 555 agoaspirati di
tiroide, sotto guida ecografica, consecutivi, l’accuratezza diagnostica su striscio convenzionale SC, fissato all’aria e colorato con MGG, con quella su preparati in strato sottile Thin
Prep TP ottenuti dal materiale residuo nell’ago dopo l’esecuzione degli strisci split-sample. Ove possibile, è stato ese-
GIORNATA SIAPEC-IAP DI CITOLOGIA DIAGNOSTICA
guito il controllo cito-istologico. Risultati. Diagnosi descrittive benigne sono state espresse in percentuale minore in SC
rispetto a TP. La tiroidite di Hashimoto è stata diagnosticata
2 volte più frequentemente in SC che in TP, in cui la diagnosi
è stata di tiroidite cronica per mancata evidenza di oncociti.
La diagnosi di carcinoma papillare non è stata possibile in TP
in 3 casi su 65, in 5 casi è stata espressa una diagnosi di “neoplasia” indeterminata e in ulteriori 3 casi di “atipia” per la
mancanza di alcuni criteri diagnostici specifici. L’accuratezza diagnostica è strettamente dipendente dal riconoscimento
delle caratteristiche morfologiche ed architetturali modificate: è necessario tradurre-trasporre artefatti già noti in quelli indotti dalle diverse sollecitudini meccaniche e dalla diversa fissazione in un liquido a base di metanolo Cytolyt. Sono
infatti mantenuti i criteri diagnostici, ma è diverso l’aspetto
dei singoli parametri con cui occorre acquisire confidenza: la
contrazione di volume dei nuclei e la disgregazione dei citoplasmi dei tireociti; la colloide con aspetto a “carta velina” o
in gocce; gli oncociti con citoplasma ampio e pallido talora
simile ai macrofagi: il minore risalto degli pseudo-inclusi nucleari, la frammentazione degli aggregati papillari e la presenza di cellule isolate nel carcinoma papillare; la dispersione dei linfociti sul fondo nelle tiroiditi; il diverso aspetto
degli aggregati microfollicolari nelle neoplasie follicolari.
Controversie metodologiche. Citologia
agoaspirativa in fase liquida
L. Di Bonito
U.C.O. di Citodiagnostica e Istopatologia, Università di
Trieste
La citologia agoaspirativa non è una citologia di screening,
bensì diagnostica, e la presenza del patologo al prelievo è un
momento fondamentale. È il patologo, con un atto semplice
e rapido, a trasferire il materiale cellulare dall’interno dell’ago al vetrino, materiale che, correttamente strisciato, verrà istantaneamente fissato. Egli inoltre può verificare, con una
colorazione rapida, se il materiale prelevato è idoneo qualitativamente e quantitativamente per la successiva valutazione
al microscopio ed integrare gli elementi clinici con gli aspetti morfologici del preparato.
Se partiamo da questi presupposti, indispensabili ad una
citologia di qualità che sappia dare una risposta ai dubbi diagnostici, ci rendiamo conto che non è necessario adoperare
la fase liquida per allestire un preparato di citologia agoaspirativa, nonostante che, negli ultimi tempi, tale metodica venga proposta anche in questo ambito.
Le valutazioni emerse da studi comparativi tra allestimento
in fase liquida del materiale citologico agoaspirato e strisci
convenzionali non sono univoche. Diversi Autori sottolineano, per lo strato sottile, alcune problematiche di tipo tecnico-procedurale che possono dar luogo a modificazioni morfologiche ed architetturali, anche importanti, soprattutto in
alcuni organi e per alcune lesioni 1-6.
In generale sono state sovente osservate una diminuita cellularità, con conseguente aumento dei preparati inadeguati o
inconclusivi 1 2 4 ed un’eccessiva frammentazione dei lembi e
degli aggregati cellulari 1 3. Ma difficoltà diagnostiche sono
state evidenziate anche per la perdita di gran parte degli elementi che caratterizzano il fondo dei preparati muco, colloide, elementi infiammatori, emazie e che spesso sono
parametri aggiuntivi che contribuiscono alla diagnostica 2 3 6.
125
La rottura dei citoplasmi con aumento di nuclei nudi e talvolta una maggiore presenza di nucleoli prominenti sono
state segnalate come fonti di errori diagnostici 2 6. Un’erronea
attribuzione di caratteristiche di atipia a cellule perfettamente
normali può essere imputabile anche all’azione del metanolo
contenuto nei fissativi che determina la coartazione del citoplasma e del nucleo 4.
Secondo alcuni Autori tali modificazioni dei quadri morfologici determinano talora l’impossibilità di porre una precisa
definizione diagnostica, che si concretizza con valori di sensibilità e di specificità più bassi di quelli delle preparazioni
convenzionali 2-4 6.
È da tenere in considerazione, inoltre, un elemento assolutamente non trascurabile, costituito dal fatto che la maggior
parte dei patologi ha sicuramente più familiarità con i criteri
diagnostici acquisiti in anni di attività che, se applicati ad un
preparato in fase liquida, non sarebbero del tutto trasferibili,
anzi talvolta potrebbero essere addirittura fuorvianti.
Nel nostro laboratorio abbiamo voluto testare la validità della metodica in fase liquida per la citologia agoaspirativa, ma
non abbiamo evidenziato particolari vantaggi rispetto alle
tradizionali tecniche di allestimento eseguite in parallelo,
anzi abbiamo riscontrato un aumento del numero di inadeguati e di casi dubbi soprattutto nelle lesioni solide,
derivante spesso dalla scarsa presenza di elementi diagnostici. Abbiamo anche osservato alcuni falsi negativi in lesioni
con componente cistica associata, per la presenza nel
preparato dei soli elementi provenienti dalla cisti.
I risultati ottenuti sono stati quindi decisamente inferiori a
quanto siamo riusciti a realizzare in tanti anni di esperienza
in citologia agoaspirativa convenzionale. Ad esempio, se
consideriamo la citologia mammaria, la più presente nella
nostra casistica, il tasso di inadeguati è attualmente inferiore
al 7%, con una sensibilità e specificità rispettivamente del
98,3 e del 98,6%.
Questi risultati sono stati raggiunti grazie ad una stretta collaborazione tra radiologi e patologi nell’esecuzione di prelievi citologici sotto guida strumentale, con allestimento di
strisci convenzionali, nonostante che il materiale provenga
da lesioni sempre più piccole, anche di diametro inferiore ai
5 mm.
Questa metodologia di lavoro ci porta inoltre alla possibilità
di apprezzare sempre, già al momento dello striscio, le caratteristiche del materiale prelevato e di far giungere al nostro
laboratorio vetrini già pronti per la colorazione, evitando i
maggiori carichi di lavoro e di spesa necessari all’allestimento di preparati in monostrato.
In conclusione, riteniamo che i patologi debbano tendere all’esecuzione diretta dei prelievi con ago sottile, partecipando
così a tutti i momenti dell’iter diagnostico. Ciò permetterà di
realizzare un’ottima diagnostica, riducendo al minimo gli inadeguati e le occasioni di errore.
La citologia in fase liquida, a nostro avviso, potrà trovare una
sua applicazione solo in quelle realtà in cui non è possibile
realizzare tutto ciò. Qualunque metodologia, infatti, che
migliori la qualità dei preparati è accettabile, poiché un cattivo prelievo penalizza pesantemente la diagnostica.
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Didattica e master
M.R. Giovagnoli, E. Giarnieri
II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La
Sapienza”
La necessità di personale che svolga attività di lettura citologica è stata più volte affermata a livello di Linee Guida
nazionali, pubblicate anche sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, ed è ribadita, dalle società scientifiche che
si occupano di tale settore, oltre ad essere sentita soprattutto
a livello di servizio sanitario.
Quella del Citoscreener, del Citologo e del Citopatologo è
una “attività professionale” che non può prescindere da
specifiche conoscenze teoriche e da precise competenze/abilità pratiche le quali, in quanto tali, devono essere oggetto di
un’accurata attività formativa. La consapevolezza della necessità di tale formazione si è tradotta, in molti paesi europei,
in un percorso universalmente riconosciuto ed ormai formalizzato da vari decenni. In Italia, dove tale “attività professionale” non ha avuto un riconoscimento a livello normativo,
il discorso formativo ha avuto connotazioni più variegate e
mutevoli nel corso degli anni. Si può ragionevolmente suddividere la formazione in: formazione di base; approfondimento/specializzazione ed aggiornamento. Quest’ultimo, di fatto,
coincide con l’“educazione continua”.
Per quanto riguarda la formazione di base di tipo “formale”
essa ha avuto diverse connotazioni a partire dagli anni 70
Corsi semestrali, biennali, indirizzi specifici all’interno di
diplomi di laurea ecc., che hanno portato alla creazione di intere “generazioni” di citoscreener con un background culturale relativamente omogeneo. Tuttavia, va riconosciuto che,
accanto a questi diversi percorsi, si è svolta un’attività più
“informale” tesa a colmare la carenza di personale, laddove
non esistevano soggetti specificamente addestrati, con il
risultato di una maggiore variabilità professionale.
Con l’accordo della Sorbona nel 1999 e la riforma universitaria, la formazione ha assunto in Europa dei tratti maggiormente omogenei, soprattutto per quanto riguarda i diversi livelli formativi: laurea triennale, laurea specialistica o magis-
GIORNATA SIAPEC-IAP DI CITOLOGIA DIAGNOSTICA
trale e Master di I e II livello oltre alle specializzazioni, particolarmente importanti nel settore sanitario. Inoltre da tale
data l’attività formativa è suddivisa in unità dette “crediti formativi” universalmente riconosciute. Questa unitarietà ha
permesso la libera circolazione degli studenti tra le diverse
Università Europee.
In Italia, dopo un gap formativo di alcuni anni, legato a questa riforma che ha portato alla cessazione dei corsi preesistenti senza ne che fossero istituiti dei nuovi, si è visto il sorgere
di alcuni Master di I livello, aperti cioè anche a tecnici con
laurea triennale, dedicati alla formazione di citoscreener e
basati su di un tipo di didattica fortemente interattiva, impostata secondo le Linee Guida europee.
Contemporaneamente la formazione più approfondita, dedicata non solo alla citologia esfoliativa ma anche a quella
agoaspirativa, aveva la sua naturale sede presso le scuole di
specializzazione in Anatomia Patologica e talora in Patologia
Clinica, aperte a laureati in medicina. Anche questa formazione è risultata però disomogenea, perché non in tutte le
sedi esisteva od esiste una tradizione in campo citopatologico, con il risultato che, accanto a punte di eccellenza, intere
generazioni di neo-patologi risultavano privi di un adeguata
formazione. È entrata da poco in vigore una nuova normativa, che prevede un tronco unico per gruppi di specialità, ma
rimane da vedere se tale riforma possa, almeno in parte, sopperire a vecchie carenze.
Pertanto molte problematiche rimangono tuttora aperte sia
sui contenuti quali sono i “requisiti minimi” di una formazione di base? E di un corso più avanzato? sia sui soggetti ai quali tale formazione debba essere indirizzata a seconda
dei diversi livelli laureati tecnici, biologi, medici? ed infine
su chi debba costruire tale offerta formativa e secondo quali
modalità Master di I o II livello?, periodi di formazione
specifici all’interno di corsi di specializzazione? corsi riconosciuti extrauniversitari? Formazione sul campo?
Risulta, però, chiaro che l’attuale confusione di ruoli e competenze non può che essere nociva ad una “disciplina” che
proprio in quanto poco quantizzabile ed oggettivizzabile
risulta gravata da una certa soggettività di giudizio e pertanto richiede un’impostazione ancor più rigorosa ed un’esperienza notevolmente approfondita.
Un altro importante tema, connesso al quello della formazione è il tema della “valutazione del citologo”. Anche in
questo caso possiamo considerare un test di base relativo alla valutazione delle competenze indispensabili per accedere
all’attività di citoscreener, un secondo, teso alla valutazione
del mantenimento di tali competenze nel tempo, e infine una
prova che riconosca abilità e competenze maggiori. A differenza che all’estero, in questo campo in Italia, non esistono
modelli specifici ed universalmente accettati, ma si è finora
fatto riferimento a test messi a punto a livello Europeo Test
di competenza o Aptitude test.
PATHOLOGICA 2007;99:127
Strumenti di management
per la gestione di un servizio di Anatomia Patologica
Strumenti di management per la gestione di
un Servizio di Anatomia Patologica. Il
progetto S.I.A.P.E.C.
G. Angeli
S.C. Anatomia Patologica, Ospedale “S. Andrea”, Vercelli
In considerazione dell’evoluzione istituzionale ed organizzativa delle Aziende Sanitarie, sempre più orientate ad operare
in condizioni di equilibrio economico, appare evidente come
gli strumenti di gestione manageriale entrino a far parte a tutti gli effetti del bagaglio culturale dell’Anatomia Patologica,
sia per quanto concerne la Dirigenza Medico-Biologica che il
Coordinamento Tecnico ed Amministrativo.
Nell’ambito di tali strumenti un ruolo rilevante spetta alle
metodiche quantitative di misurazione, intese non come procedure di controllo burocratico dell’attività, ma come utili attrezzi atti ad orientare le decisioni di chi è, in tutti i profili
professionali, chiamato a dirigere e coordinare un’Unità Operativa di Anatomia Patologica.
In tale ottica la S.I.A.P.E.C. ha ritenuto di attivare un progetto di valutazione su base nazionale degli standard di attività
e carichi di lavoro in Anatomia Patologica, cui è sembrato
necessario collegare strettamente una metodologia per quanto possibile standardizzata per la determinazione dei costi
delle Unità Operative di Anatomia Patologica.
La richiesta di attivazione del progetto finalizzato a standard
di attività e costing è venuta in primo luogo dalla Consulta
Nazionale di Firenze del 2005, ed è stata accolta dal Consiglio Nazionale, che ne ha dato mandato alla Commissione
per le problematiche organizzative e gestionali, emanazione
della Consulta stessa.
Considerato che in letteratura internazionale vi sono relativamente pochi lavori su standard di attività e costi in Anatomia
Patologica, e che nella letteratura specialistica italiana il lavoro più ampio sull’argomento è quello di Andrion et al. “Audit of histopathological activities in the laboratories of 7
general hospitals. Types of resources and quantitative aspects of the workload” – Pathologica 1996;88:18-24, è sembrato opportuno procedure ad un aggiornamento dello studio,
alla luce delle evoluzioni istituzionali e dei moderni sviluppi
delle metodiche manageriali, rendendolo contestualmente
non più autoreferenziante.
A tal fine si è deciso di procedere alla richiesta di una consulenza professionale manageriale, identificandola nelle persone del prof. Andrea Francesconi e della dr. Elisabetta
Trinchero della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università
“Bocconi” di Milano. I consulenti sono stati affiancati da un
gruppo di lavoro S.I.A.P.E.C. di 16 componenti, coordinato dal
dr. Giovanni Angeli. I componenti del gruppo sono stati scelti
dal Consiglio Nazionale tra colleghi noti per essersi già in passato occupati di tematiche gestionali in Anatomia Patologica.
Il gruppo di lavoro ha deciso di utilizzare per le rilevazioni
dei dati di attività e di costi, allo scopo di elaborare un modello di riferimento, un campione di 8 ospedali, scelti per le
caratteristiche istituzionali realtà grandi e medio-piccole,
sede di Policlinico Universitario, dimensione ospedaliera o di
Istituto di Ricerca, e per la sede geografica, privilegiando una
distribuzione per quanto possibile omogenea sul territorio
nazionale.
I consulenti ed il gruppo di lavoro hanno proceduto alla rilevazione dei dati ed all’elaborazione di un modello di riferimento, seguendo le due linee degli standard di attività/carichi
di lavoro e della rilevazione dei costi/determinazione delle
tariffe, prendendo come primo riferimento il nomenclatore
S.I.A.P.E.C 2002 delle prestazioni pesate e dei raggruppamenti omogenei.
La metodologia utilizzata, che permette di ricavare uno standard di riferimento per l’attività ed i costi, da cui desumere
tra l’altro un organico teorico per le diverse figure professionali, viene descritta in termini analitici nei manuali operativi specifici, che sono stati approvati, come il modello nel
suo insieme, dal Consiglio Nazionale di Milano dell’89/06/07, per essere successivamente presentati alla Consulta
Nazionale di Roma del 30/6/07.
È evidente che il modello, essendo stato costruito su un numero limitato, per quanto significativo, di ospedali campione, va considerato come di riferimento, anche ai fini di
benchmarking.
È intenzione del Consiglio Nazionale validare il modello
dopo una seconda fase allargata di sperimentazione, da effettuarsi su un campione di ospedali più ampio, tale da rendere
il modello stesso definitamente significativo. A tal fine verrà
chiesta la collaborazione dei segretari regionali, perché
fungano da facilitatori nel reclutamento di un ampio e territorialmente distribuito campione per la seconda fase della
sperimentazione, indicativamente prevista tra l’autunno 2007
ed il 2008.
È essenziale che alla seconda fase partecipino unità operative
con le più varie caratteristiche dimensionali, organizzative e
di distribuzione geografica.
Si ritiene che in questo modo sarà possibile ottenere un modello che possa rappresentare un attendibile strumento gestionale in Anatomia Patologica, dal punto di vista organizzativo, delle logiche di budget e di un sistema decisionale improntato su criteri di misurazione oggettiva delle prestazioni
e dei costi. In una parola, che permetta di operare al miglior
livello qualitativo rispettando l’equilibrio economico.
PATHOLOGICA 2007;99:128-130
Patologia iatrogena
Modificazioni iatrogene dopo interventi
diagnostici e terapeutici
P. Viacava
Divisione di Anatomia Patologica e di Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Azienda Ospedaliera Universitaria
Pisana
Gli interventi diagnostici e terapeutici hanno portato importanti benefici nella pratica medica, ma, si sono resi responsabili della possibile comparsa di lesioni negli organi e tessuti. Il patologo, nella sua attività, incontra frequentemente
queste lesioni iatrogene che possono rappresentare una sorgente di errori diagnostici se non riconosciute e inserite in un
adeguato percorso anatomo-clinico. Le lesioni iatrogene possono insorgere in seguito a procedure diagnostiche, interventi chirurgici e azioni di agenti chimici quali farmaci
chemioterapici o fisici tipo radiazioni. Tutti gli organi o tessuti possono essere interessati dalle lesioni iatrogene, ma alcuni, quali la mammella, l’apparato genitale femminile e gli
organi addominali ne sono particolarmente colpiti.
Lesioni da procedure diagnostiche. I prelievi bioptici determinano un trauma fisico nei tessuti con conseguente alterazione del pattern architetturale e del dettaglio citologico. Il
tessuto rimosso chirurgicamente dopo biopsia può presentare
una morfologia alterata con aree necrotiche ed emorragiche; in
particolare vi può essere una intensa reazione fibroblastica ed
endoteliale con singole cellule caratterizzate da nuclei grandi,
vescicolosi, nucleoli prominenti e mitosi numerose. Queste
cellule sono simili alle cellule epiteliali neoplastiche e, talora,
solo con indagini immunoistochimiche è possibile effettuare
una diagnosi differenziale. Nelle aree di tessuto alterato da
trauma bioptico, anche le atipie delle cellule epiteliali devono
essere valutate con cautela per la presenza di marcati fenomeni
degenerativi e rigenerativi che interessano gli epiteli normali.
Questo fenomeno è ben evidente nell’endometrio e nella endocervice, dove, in seguito a procedure chirurgiche, è possibile
osservare una riepitelizzazione caratterizzata da cellule con
nuclei ipercromici e perdita di polarità. La diagnosi differenziale con un adenocarcinoma risulta particolarmente difficile
quando le alterazioni riguardano, oltre all’epitelio di superficie, anche le ghiandole normali. La mucosa della cavità orale,
dopo biopsia, può presentare modificazioni delle ghiandole
salivari minori con comparsa di una marcata metaplasia
squamosa degli acini che pone il problema di una diagnosi differenziale con il carcinoma squamoso o mucoepidermoide. La
presenza di lievi atipie citologiche e di acini residui, in parte
degenerati, depone per un quadro reattivo piuttosto che neoplastico. Nel parenchima mammario, in seguito a “core biopsy”, può verificarsi una dislocazione di cellule epiteliali benigne in genere provenienti da papillomi e/o maligne da carcinomi duttali in situ, nel tessuto di granulazione e/o all’interno
di vasi linfatici. Questo determina notevoli difficoltà interpretative e, talora, può essere praticamente impossibile differenziare le cellule dislocate meccanicamente da una vera invasione neoplastica stromale e/o emolinfatica. In alcuni casi le
cellule epiteliali dislocate nei vasi linfatici vengono trasportate
dal drenaggio linfatico nei linfonodi dove possono essere interpretate come micrometastasi. Le cellule epiteliali provenienti da lesioni benigne, quali papillomi adiacenti ad un carcinoma duttale in situ di alto grado, presentano generalmente
caratteristiche citomorfologiche ed immunoistochimiche pattern recettoriale differenti dal tumore primitivo. Nel caso di
cellule epiteliali maligne può risultare impossibile distinguere
le cellule dislocate e trasportate meccanicamente con la linfa
da quelle realmente metastatiche provenienti da un focolaio di
microinvasione.
Lesioni da interventi chirurgici. Nelle sedi di anastomosi
ureterosigmoidostomie, gastroenterostomie sono frequentemente osservate alterazioni di tipo rigenerativo-iperplastico
degli epiteli, formazione di polipi adenomatosi e comparsa di
carcinomi indifferenziati o con aspetti mucinosi. In seguito a
procedure chirurgiche, nella vagina, nell’uretra prostatica e
nella vescica possono comparire noduli formati da cellule
fusate con mitosi numerose definiti “post-operative spindle
cell nodules” PSCN. Queste noduli devono essere differenziati, anche mediante indagini immunoistochimiche, dai carcinomi a cellule fusate, sarcomi o pseudotumori infiammatori. Il trauma chirurgico può favorire la formazione di aggregati di cellule istiocitarie con citoplasma eosinofilo-granulare che ricordano il tumore a cellule granulari o lesioni cistiche uni o multiloculari con intrappolate cellule mesoteliali
atipiche che simulano un adenocarcinoma.
Lesioni da agenti chimici e fisici. Le sostanze chimiche possono determinare lesioni di vario tipo negli organi e tessuti.
Le protesi mammarie di silicone inducono la formazione di
una capsula fibrosa rivestita da una membrana di cellule simil-sinoviali. In alcuni casi la capsula si presenta ispessita e associata a intensa reazione fibroistiocitica con cellule giganti
plurinucleate, un quadro che può essere confuso clinicamente
con una neoplasia maligna. A livello istologico gli istiociti
presentano aspetto irregolare e una vacuolizzazione citoplasmatica provocata dal silicone che ricorda citologicamente
quella dei lipoblasti maligni. Cellule con questi aspetti possono essere osservate anche nei linfonodi ascellari dove determinano la comparsa di una linfoadenopatia sospetta per localizzazione neoplastica. I farmaci chemioterapici determinano alterazioni a livello degli epiteli normali e neoplastici.
Gli epiteli normali possono presentare marcate atipie cito-nucleari che determinano difficoltà diagnostiche in caso di
biopsia o esame citologico. Nei tumori maligni possono comparire fenomeni degenerativi di vario grado o, come avviene
nei neuroblastomi, aspetti di maturazione istologica. Gli effetti degli ormoni sui tessuti sono molteplici. L’esposizione
in utero di dietilbestrolo determina la comparsa di adenosi
vaginale e più raramente di adenocarcinomi a cellule chiare.
A livello prostatico la terapia endocrina pre-operatoria per
adenocarcinoma determina la comparsa di alterazioni citonucleari che possono creare difficoltà nella gradazione tumorale
post-operatoria. Il tamoxifen, a livello uterino, può favorire
l’insorgenza di polipi, iperplasie e carcinomi endometriali.
Le modificazioni indotte dalle radiazioni sui tessuti normali
riguardano gli epiteli e gli stromi. A livello epiteliale si osservano rigonfiamenti citonucleari, vacuolizzazioni intracitoplasmatiche, nucleoli prominenti e nuclei talora ipercromici.
Il rapporto nucleo-citoplasma rimane invariato o lievemente
aumentato. I danni stromali si verificano soprattutto a carico
degli endoteli e dei fibroblasti che si presentano rigonfi e
talora con aspetto bizzarro. Le cellule tumorali dopo terapia
radiante possono apparire immodificate o presentare aspetti
degenerativi talora marcati e un quadro di pleomorfismo che
può superare quello del tumore primitivo.
PATOLOGIA IATROGENA
Effetti delle terapie ormonali sugli organi
bersaglio
G.F. Zannoni, V.G. Vellone
Anatomia Patologica, Policlinico “A. Gemelli”, Università
Cattolica, Roma
Si definiscono organi bersaglio le strutture anatomiche che
dotate di specifici recettori, subiscono particolari modificazioni in seguito all’azione degli ormoni. Gli effetti delle
terapie ormonali su tali organi sono tuttavia differenti a seconda della durata dell’esposizione, della dose e del tipo di ormone. Lo studio dei cambiamenti morfologici indotti dall’uso clinico della terapia ormonale è stato accuratamente descritto nell’endometrio in quanto l’accessibilità di tale organo
alle biopsie ha reso agevole l’interpretazione dei suoi cambiamenti nelle varie fasi del ciclo 1.
Le terapie ormonali vengono somministrate per varie ragioni:
controllo delle nascite, trattamento delle perdite ematiche
atipiche, dell’endometriosi, dell’iperplasia endometriale, di
selezionati casi di carcinoma e per alleviare i sintomi peri- e
post-menopausali.
Gli estrogeni inducono la proliferazione dell’endometrio e il
loro prolungato uso può determinare l’instaurarsi di un
quadro di disordine proliferativo, che a sua volta può evolvere in iperplasia con aspetti di differenziazione squamosa e
metaplasia a cellule ciliate fino alla trasformazione in un adenocarcinoma ben differenziato.
I progestinici vengono generalmente impiegati nella cura empirica delle perdite ematiche atipiche che si ritengono causate
da problemi funzionali. L’azione del progestinico conduce alla soppressione della ovulazione e all’arresto della crescita
dell’endometrio.
Gli effetti del progesterone sull’endometrio possono essere
riassunti in tre quadri principali che possono coesistere, o
presentarsi come evoluzione progressiva: alterazioni deciduali simil gravidiche, alterazioni secretive, alterazioni
atrofiche 2.
Le alterazioni deciduali tendono a manifestarsi negli endometri che sono stati sottoposti ad alte dosi di estrogeno oppure in seguito a terapia per cicli anovulatori o per iperplasia.
Il quadro istologico è caratterizzato da cellule stromali allungate, con abbondante citoplasma, prominenti contorni cellulari e occasionali mitosi. Le ghiandole evidenziano un pattern di tipo secretorio con cellule epiteliali con citoplasma
vacuolizzato e abbondante secrezione luminale. Talora alcune ghiandole possono apparire dilatate e raramente si osservano immagini riferibili a fenomeno di Arias-Stella. Le arterie spirali sono marcatamente ispessite per effetto dell’iperplasia endoteliale e muscolare liscia. Le venule, infine, appaiono dilatate.
Le alterazioni secretive sono caratterizzate da una accentuazione degli aspetti ghiandolari e stromali che sono propri
della fase luteinica. Le ghiandole appaiono tortuose; le cellule epiteliali, di forma lievemente colonnare, hanno nuclei
basali ben orientati. Il bordo apicale appare liscio e ben
definito e il lume ghiandolare può essere occupato da secrezioni eosinofile. Le cellule stromali sono lievemente ingrandite e mostrano aspetto predeciduale, hanno forma
ovoide con raro citoplasma.
Le alterazioni atrofiche rappresentano l’esito del prolungato
uso di progestinici e contraccettivi. Le ghiandole perdono la
loro tipica tortuosità, diminuiscono di dimensioni, assumono
morfologia tubulare e non evidenziano secrezioni luminali.
L’epitelio appare lievemente colonnare con citoplasma ridot-
129
to e pallido. Rispetto all’atrofia fisiologica, l’atrofia provocata dall’uso di progestinici è caratterizzata dall’abbondanza
di stroma in cui si osservano ghiandole sottili e quasi indistinte dallo stroma attorno. Inoltre lo stroma può apparire iperplastico e pseudosarcomatoso aumento della cellularità, ipercromasia nucleare, nucleoli allargati, variazioni di dimensioni cellulari e variazioni di forma.
Le cellule stromali possono apparire epitelioidi e in alcuni
rari casi il nucleo può farsi eccentrico simulando così una
cellula ad anello con castone 3. Infine si possono osservare infiltrati linfocitari e granulocitari.
Nella terapia sostitutiva in menopausa estrogeni e progestinici possono essere somministrati in combinazione. Le modalità di somministrazione si possono ricondurre a due
metodiche: sequenziale uso quotidiano di estrogeni per i primi 20-25 giorni e aggiunta di progestinici negli ultimi 10-15
giorni e combinato uso contemporaneo quotidiano di estrogeni e progestinici. A questi due diversi modi di somministrazione si associano due diversi quadri istologici 1 4.
Nella somministrazione sequenziale l’endometrio appare debolmente proliferativo, caratterizzato da piccole ghiandole
tubulari in scarso stroma. Nella somministrazione combinata,
invece, il quadro più frequente è quello di tipo atrofico. Le
più diffuse complicanze dell’uso di questa terapia sono i
polipi, l’iperplasia e il carcinoma 5.
Il tamoxifen è un antiestrogeno non steroideo che ha
un’azione di modulatore selettivo del recettore per estrogeno
e può agire sia come antagonista sia come agonista. Le pazienti comunemente si dividono in sintomatiche e asintomatiche; in quest’ultima categoria l’endometrio appare
atrofico. Nelle donne sintomatiche invece si possono riscontrare frequentemente polipi endometriali che possono essere
di grandi dimensioni e multipli e tendono a recidivare, mentre lo stroma può essere edematoso mixoide o più tipicamente fibroso. Spesso questi polipi possono avere aspetti di
tipo iperplastico, e mostrare focolai di metaplasia mucinosa o
a cellule chiare. I polipi, infine, possono contenere aree di
iperplasia con atipie e focolai di adenocarcinoma ben differenziato 6.
Il Raloxifene, che è un modulatore selettivo del recettore per
estrogeno e può essere impiegato nel trattamento del carcinoma mammario o per la prevenzione dell’osteoporosi,
provoca atrofia endometriale 7.
Il Clomifene acetato è un antiestrogeno usato per indurre
ovulazione nel trattamento delle donne che hanno cicli
anovulatori. Provoca un effetto luteinico con diminuzione
della tortuosità delle ghiandole con debole secrezione 8.
Il Danazol, che viene impiegato nel trattamento dell’endometriosi, è correlato al testosterone ed è un debole androgeno. Il suo principale metabolita è l’etisterone, un debole
progestinico, che provoca lesioni simil progestiniche. La terapia prolungata porta ad atrofia. Si possono osservare venule
ectasiche.
Il Leuprolide acetato può dare effetti sia sull’endometrio
atrofia sia sul leiomioma bizzarrie cellulari, necrosi fibrinoide e obliterazione dei vasi per deposizione di fibrina 9.
Parallelamente alle terapie convenzionali si assiste ad un progressivo utilizzo di integratori della dieta a base di fitoestrogeni, i cui effetti sugli organi bersaglio non sono stati del tutto chiariti, sebbene sperimentazioni sui ratti hanno dimostrato sull’endometrio un effetto proliferativo inferiore rispetto a
quello riscontrato nelle terapie a base di estrogeno 10.
Il patologo deve avere ben presenti i diversi quadri ora descritti perché può essere può essere consultato dal clinico in
quattro importanti situazioni: nei controlli durante la terapia
PATOLOGIA IATROGENA
130
sostitutiva, nella valutazione di perdite ematiche atipiche durante la terapia ormonale, nella programmazione del trattamento dell’iperplasia, nella valutazione dello stato dell’endometrio in seguito a terapie di induzione ormonale per ovulazione o per crescita endometriale.
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differenziale in fegato cirrotico
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Istituto Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano
L’utilizzo della tecnica ecografica nel follow-up di pazienti
cirrotici frequentemente rivela la presenza di uno o più
noduli di dimensione dimensioni variabili da 1 a 2 cm e pattern all’imaging ecografia con o senza contrasto, TAC, RMN
non conclusivo di malignità 1. In considerazione della elevata incidenza del carcinoma epatocellulare in corso di cirrosi
epatica 3-4%, è irrinunciabile la caratterizzazione istologica
delle singole lesioni che viene condotta mediante biopsia e
prelievo di un frustolo intra- ed extra-lesionale. Le entità che
sottendono il nodulo epatocellulare in cirrosi sono fondamentalmente 5 e segnatamente i larghi noduli di rigenerazione, i noduli displastici a basso ed alto grado, il cosiddetto epatocarcinoma tipo early nelle sue due varianti “vaguely
nodular type” e “nodular” nonché il classico epatocarcinoma.
La ricerca di alcune figure istologiche crescita clonale, affollamento cellulare, perfierizzazione sinusoidale dei nuclei,
ecc., del pattern di vascolarizzazione e la documentazione
dello stato della trama reticolare sono di fondamentale ausilio
per un inquadramento diagnostico preliminare di queste lesioni 2. L’interpretazione istologica non è tuttavia sempre uni-
voca soprattutto nella distinzione tra noduli diaplastici ad alto grado e carcinoma epatico tipo early. Nel corso della presentazione sarà discussa la opportunità di utilizzare un pannello di marcatori di malignità attualmente disponibili 3-5
nonché le modalità morfofenotipiche più idonee per accertare
la cosiddetta microinvasione stromale, propria delle lesioni
epatocellulari maligne 6.
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B
FREE PAPERS
PATHOLOGICA 2007;99:135-151
Valutazione HTA per l’introduzione di nuova
tecnologia in Anatomia Patologica
P. Dalla Palma, K. Chistè*, G.M. Guarrera**
Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale “S. Chiara”;
*
Servizio Controllo di Gestione; ** Servizio Garanzia di
Qualità, A.P.S.S., Trento
Introduzione. L’introduzione di nuova tecnologia nella routine di un Servizio diagnostico richiede una valutazione secondo le regole dell’Health Technology Assessment specialmente quando va a sostituire o integrare tecnologia già presente e ritenuta fino a quel momento la più efficiente. Questo
è possibile attraverso una stretta collaborazione con il Controllo di Gestione e col continuo monitoraggio delle
prestazioni.
Materiali e metodi. Dal 2000 l’Anatomia Patologica viene
monitorata sia dal punto di vista dei costi che delle
prestazioni con un centro di costo principale suddiviso in sottocentri (Autopsie, Istologia, Citologia, Screening cervicovaginale, Immunoistochimica, Biologia molecolare, Patologia quantitativa e citofluorimetrica). È quindi possibile valutare l’impatto dell’introduzione e della successiva gestione
di nuova tecnologia attraverso l’analisi dei dati, ovviamente
ancora prima di decidere per l’acquisizione o meno della
stessa in conto capitale o in service.
Risultati. Il numero delle prestazioni effettuate negli anni
non ha subito sostanziali scostamenti mentre ne è variata la
complessità e la completezza. L’aumento costante di spesa
per i presidi sanitari e per i reagenti di laboratorio (da circa
200.000 dell’anno 2000 a quasi 360.000 nel 2006) trova
giustificazione, oltre che nell’inflazione, nelle innovazioni
tecnologiche legate all’estensione della citologia in strato
sottile (consumo costante della cervico-vaginale ma aumento
della extravaginale), all’applicazione dell’HCII nel triage
dell’ASC, all’aumento delle reazioni immunoistochimiche
con l’introduzione di pannelli prognostici sempre più ampi
(in particolare per il carcinoma della mammella non ultimo
con le FISH), all’ampliamento del pannello degli anticorpi
per la tipizzazione linfocitaria citofluorimetrica. Abbastanza
stabile è stata la spesa per la biologia molecolare nonostante
la rivoluzione avvenuta in tale settore con l’introduzione di
test sempre più sofisticati (sequenziamento e pcr quantitativa
solo per fare degli esempi): vi è stata una contemporanea dismissione di tecniche ritenute superate proprio nell’ottica dell’HTA.
Conclusioni. L’attività di Anatomia Patologica sta vivendo
in questi anni un’importante rivoluzione. Sempre maggiori
sono le richieste da parte dei clinici (specie gli oncologi) di
nuovi marcatori che possano avere un riflesso non solo in una
più precisa definizione diagnostica del processo morboso ma
anche nella valutazione del singolo paziente per una personalizzazione della prognosi e della farmacoresponsività. Tutto
ciò comporta un aumento della spesa che deve essere monitorata e i cambiamenti vanno attuati dopo valutazione HTA.
La conoscenza di tali dati e la stretta collaborazione con il
Controllo di gestione ci ha ad esempio permesso di pianificare il budget annuale e di predisporre interventi importanti
come l’acquisizione dell’analizzatore automatico dei Pap test
dimostrandone sia efficacia clinica che la valenza economica
(nel caso specifico con riduzione/non sostituzione del personale citotecnico).
Organizzazione dei controlli di qualità dei
fattori prognostico/predittivi del carcinoma
della mammella. Progetto SIAPEC regione
Piemonte. Rete oncologica regione Piemonte
I. Castellano, C. Pecchioni, G. Ghisolfi, M. Cerrato, S. Vigna, A. Sapino
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana
Introduzione. La definizione dei fattori prognostici e predittivi nel carcinoma mammario (ER, PR, Ki67, HER2) riveste
un ruolo fondamentale nella scelta della terapia oncologica.
Questo ruolo comporta conoscenza, competenza e consapevolezza delle responsabilità diagnostiche del personale medico e tecnico di Anatomia Patologica. Una partecipazione diretta ed attiva di entrambe le figure professionali porterebbe
ad una migliore presa di visione dei problemi e alla
risoluzione degli stessi.
Metodi. 1) Identificazione di figure partecipanti (Centro di
coordinamento e Centri di Anatomia Patologica regionale
con Diagnostica di carcinoma mammario) e del patologo e
del tecnico di riferimento; 2) definizione delle procedure di
allestimento delle reazioni (tempi di fissazione, procedure di
immunocitochimica, anticorpi utilizzati); 3) criteri di lettura
delle reazioni immunocitochimiche; 4) standardizzazione a
livello regionale del referto diagnostico.
Tempi di esecuzione: 1° round. Definizione su casi controllo delle procedure tecniche e di diagnosi delle singole unità
partecipanti. Il centro di coordinamento ha provveduto a
fornire sezioni su Tissue Array (TA) dei casi controllo. Le
sezioni sono state inviate a tutti i servizi di Anatomia Patologica della Regione. Per ogni anticorpo sono state compilate
e inviate al centro coordinatore le schede di procedure immunocitochimiche e le schede di valutazione dei risultati.
Successivamente vi è stato un incontro con discussione dei
risultati al microscopio multiplo e delle difficoltà tecniche.
Nella stessa sede il personale tecnico ha rivisto i protocolli di
procedura apportando le modifiche necessarie al fine di ottimizzare i risultati. È stato definito un gruppo di lavoro per
la redazione di una scheda diagnostica standardizzata comune.
Round successivi incontri bimensili. Il centro di coordinamento ha provveduto alla preparazione di TA di studio con
casi inviati dalle singole unità partecipanti per valutare l’influenza delle procedure di trattamento dei tessuti sui risultati
immunocitochimica. Come per il primo round i risultati sono
stati discussi in sessione congiunta tecnici-patologi, con revisione al microscopio multiplo.
Risultati e conclusione. La partecipazione delle Anatomie
patologiche regionali è stata piena. I risultati sono stati inseriti su data base per l’elaborazione statistica e lo studio della
concordanza diagnostica ha dimostrato un miglioramento
nelle varie fasi.
FREE PAPERS
136
Esiste ancora un ruolo della microscopia
elettronica nella diagnostica delle malattie da
accumulo?
V. Papa, P. Preda, L. Tarantino, L. Badiali De Giorgi, G.N.
Martinelli, G. Cenacchi
Banca tessuti congelati: come ottenere
tessuto fresco di carcinoma nella
prostatectomia radicale. Proposta di una
procedura sperimentata all’INT di Milano
A. Pellegrinelli, M. Colecchia, N. Zaffaroni, A. Carbone
Dipartimento Clinico di Scienze Radiologiche e Istocitopatologiche, Università di Bologna
Dipartimento di Patologia e Struttura Complessa di Ricerca
Traslazionale, IRCCS INT, Milano
Introduzione. Le malattie da accumulo sono numerose e
complesse e i meccanismi eziopatogenetici non sono ancora
completamente chiariti 1. In numerose di esse sono stati
definiti i difetti genetici e la terapia può avvalersi, in alcuni
casi, di molecole sostitutive. La diagnosi precoce risulta, pertanto, di fondamentale importanza. Scopo del nostro studio è
stato, quindi, quello di rivalutare il ruolo della Microscopia
Elettronica quale strumento di indagine fondamentale nella
diagnosi di tali malattie.
Materiali e metodi. Sono stati studiati mediante microscopia
elettronica a trasmissione 42 casi di malattie da accumulo
(2001-2007) di cui: 18 malattie da accumulo intracitoplasmatico lisosomiale (Fabry, 5, mucopolisaccaridosi, 1, Niemann-Pick, 2, gangliosidosi, 1, glicogenosi tipo II, 4, Danon,
1, ceroidolipofuscinosi, 4); 4 casi di malattia da accumulo intracitoplasmatico non lisosomiale (IBM, 1, malattia da
deficit di L-CAT, 1, Lafora, 2) e 20 casi di malattia da accumulo extracitoplasmatico (CADASIL, 20).
Risultati. I quadri submicroscopici relativi delle singole patologie mostravano alterazioni degenerative aspecifiche e/o
inclusioni lisosomiali o citoplasmatiche specifiche definite
dai differenti pattern riorganizzativi delle strutture molecolari accumulate: accumulo di particelle di glicogeno
(glicogenosi), finger prints o GRODs (ceroidolipofuscinosi),
figure mieliniche (malattia di Fabry), strutture filamentosofibrillari (IBM), GOMs (CADASIL).
Conclusioni. I nostri dati evidenziano come la diagnostica
ultrastrutturale possa essere considerata una metodica di
screening diagnostico altamente sensibile, efficiente, costoeffettiva e rapida che non può prescindere, tuttavia, dall’esperienza del patologo nella lettura dei preparati. È assolutamente necessario, infatti, essere in grado di differenziare alterazioni aspecifiche/artefattuali da strutture patognomoniche e, nell’ambito di queste, tra patologie con strutture morfologiche simili. Nonostante tale metodica sia sicuramente più costosa rispetto ad analisi di tipo biochimico, in
alcune forme di “malattie da accumulo” quali CADASIL o
alcune varianti di ceroidolipofuscinosi con anomala localizzazione tissutale 2, sembra rappresentare la metodica diagnostica più efficace e sicura.
Introduzione. Le caratteristiche macroscopiche del carcinoma prostatico nei campioni di prostatectomia radicale rendono difficile individuare e prelevare una parte di tumore per
la banca dei tessuti congelati senza compromettere il successivo esame istologico routinario. I risultati ottenuti mediante
una procedura sperimentale vengono qui confrontati con
quelli ottenuti con altre procedure di prelievo 1.
Metodi. La procedura prevede i seguenti passaggi:
1. chinare la superficie esterna della prostatectomia, immergerla per qualche secondo in liquido di Bouin ed asciugare
con garza;
2. eseguire macrosezioni seriate di circa 0,5 cm di spessore,
parallele alla base prostatica ed esaminarle cercando di individuare le aree sospette (aree di consistenza aumentata
rispetto al parenchima circostante, aree di colore giallastro,
aree che deformano il profilo periferico della capsula prostatica o il parenchima circostante ecc.). In questo passaggio può essere di aiuto conoscere il risultato del mapping
bioptico eventualmente eseguito pre-operatoriamente in riferimento alla sede ed alla quantità di carcinoma;
3. asportare con bisturi una parte dell’area sospetta (con tecnica tipo shave per le lesioni cutanee), ottenendo un frammento tessutale di circa 1 cm x 1 cm x 0,2 cm, senza intaccare la superficie esterna in china;
4. congelare i frammenti asportati, eseguire una Ematossilina-Eosina (E.E.) (eventualmente da archiviare con le altre E.E, del caso) e conservare il tessuto congelato a -80
gradi.
5. stendere su supporti di sughero (numerati e con indicazioni dx e sx) le macrosezioni mediante il posizionamento di
spilli nella zona periferica, tendendole e sollevandole dal
piano del sughero e lasciare a fissare in formalina per almeno 12 ore. Procedere quindi con il campionamento indicando sui blocchetti il lato (dx o sx) e la sede del prelievo
(anteriore, posteriore, base, ecc.).
Risultati. La procedura è stata eseguita su una serie di 38
prostatectomie consecutive, prelevando un totale di 54 frammenti da aree ritenute sospette. Dopo l’esame della EE ottenuta, il 90% conteneva carcinoma.
Conclusioni. La sensibilità (90%) di questa procedura è
sovrapponibile a quella ottenuta mediante biopsie multiple
esterne (83,3%) 1 e l’esame istologico routinario non è stato
compromesso in nessuno delle 38 prostatectomie. I vantaggi
sono la possibilità di ottenere quantità superiori di carcinoma
rispetto alla procedura bioptica e la possibilità di esaminare
con più accuratezza l’architettura della neoplasia disponendo
di sezioni più ampie e rappresentative (circa cm 1 x 1) rispetto a quelle bioptiche.
Bibliografia
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Walton TJ, et al. The Prostate 2005;64:382-6.
FREE PAPERS
Interobserver reproducibility in the diagnosis
of digitized core breast lesion biopsies using
quicktime virtual reality technology
F.A. Zito1, P. Verderio2, V. Ventrella3, A.F. Conde4, O.
Hameed5, J. Ibarra6, A. Leong7, V. Angione8, P. Apicella9,
S. Bianchi10, N. Pennelli11, E. Pezzica12, V. Vezzosi10, A.
Labriola1, S. Pizzamiglio3, R. Daprile1, S. Rossi13, I. Ellis14
1
Anatomia Patologica IRCCS, Istituto Tumori “Giovanni
Paolo II”, Bari, Italy; 2 Radiologia Senologica IRCCS, Istituto Tumori “Giovanni Paolo II”, Bari, Italy; 3 U.O Statistica Medica e Biometria, IRCCS Fondazione Istituto Nazionale Tumori, Milano, Italy; 4 Department of Pathology, University Hospital Perpetuo Socorso, Badajoz, Spain; 5 Department of Pathology, University of Alabama at Birmingham,
Alabama; 6 Memorial Care Breast Center, Department of
Pathology, Long Beach, California; 7 Department of Pathology University of Newcastle, Australia; 8 Anatomia Patologica, Ospedale, Udine, Italy; 9 Anatomia Patologica, Ospedale, Pistoia, Italy; 10 Anatomia Patologica, Ospedale Careggi, Firenze, Italy; 11 Anatomia Patologica, Università di
Padova, Italy; 12 Anatomia Patologica, Ospedale Treviglio,
Italy; 13 Consorzio di Bioingegneria e Informatica Medica
(CBIM), Pavia, Italy; 14 Department of Histopathology, University of Nottingham, UK
Introduction. Virtual Reality (VR) is a digital technology
that is playing an impotant role in medical training. The VR
technologies applied to the cyto-histopatology are able to be
stored and shared on-line virtual slides (VS). However, there
have been very few Quality Control studies in which have
verified the diagnostic reproducibility of VS. The purpose of
this study is to assess whether pathologists are able to make
an accurate and reproducible diagnosis on-line using virtual
slides of core breast biopsy lesions.
Methods. Virtual slides, based on Quicktime Virtual Reality
(QTVR) technology 1, were generated from 20 cases of core
breast biopsy complex lesions. A web-page was created to allow access to the server containing the virtual slides. The participants were recruited via e-mail using the ITAPAT mailing
list or by personal invite via e-mail. The expert referee
pathologist of the study, was prof. Ian Ellis. The pathologists
had to classify the virtual slides according to the five categories of the “European Commission Working Group on
Breast Screening Pathology” and they also had to make a descriptive diagnosis. The interobserver reproducibility and the
reproducibility between each pathologist and the reference
values were assessed adopting an approach based on the
weighed kappa statistic (Kw) 2.
Results. Among the 36 contacted pathologists, a total of 10
provided diagnosis for all the 20 considered cases. The lesions were classified by the referee as: 3 cases B1/B2; 8 cases B3; 2 cases B4; 7 cases B5. Comparisons with reference
values showed an unsatisfactory level of reproducibility with
a median Kw value of 0.52 (range, 0.13-0.69). As regards the
interobserver reproducibility results showed that in general
the level of agreement was not satisfactory, with a median Kw
value of 0.30 (range, 0.16-0.42). The study was concluded after a period of 6 months.
Conclusion. Demonstrating the possibility of carrying out a
Quality Control studies using digital technology in a relatively short time was the major contribution of this study. The
results acquired are encouraging, considerating both the dif-
137
ficultyes of the cases chosen for the study and the new technology used to make diagnoses.
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Il 373E1: marker specifico per il carcinoma
papillare della tiroide
G. Magro, S. Lanzafame, L. Puzzo, R. Caltabiano, P. Amico
Dipartimento “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Policlinico “G. Rodolico”, Catania
Introduzione. Talora, la distinzione tra un carcinoma papillare (PTC) e lesioni benigne della tiroide (iperplasia papillare, proliferazioni follicolari con pseudo-clearing nucleare)
può risultare difficile all’esame morfologico; alcune varianti
rare del PTC, quali quella solida, possono presentare problemi di diagnosi differenziale con altre neoplasie tiroidee più
aggressive (carcinoma midollare; carcinoma scarsamente differenziato). Studi da noi effettuati 1 hanno dimostrato aberrazioni post-trascrizionali del profilo glicosilativo a carico di
alcune glicoproteine, mucina 1, tireoglobulina e transferrina,
prodotte dalle cellule del PTC vs. i tessuti tiroidei benigni di
controllo1. In questi anni abbiamo prodotto un anticorpo
monoclonale, il 373E1, diretto contro il cheratansolfato (KS)
che ha dimostrato elevata sensibilità e specificità per i PTC 2.
Metodi. Abbiamo studiato l’espressione del 373E1 nelle
varianti più rare del PTC (solida, a cellule di Hurthle, sclerosante, a cellule alte, a cellule colonnari, Warthin-like) per
stabilire la sua affidabilità ed applicabilità nella diagnostica
tiroidea routinaria. Come controllo sono state incluse lesioni
benigne tipo gozzo nodulare, malattia di Basedow, tiroidite di
Hashimoto e adenoma follicolare.
Risultati. Tutti i casi di PTC testati sono risultati positivi (>
50% delle cellule neoplastiche) per il 373E1 (7 casi di v. solida; 14 casi di v. a cellule di Hurthle; 5 casi di v. sclerosante;
1 caso di v. a cellule colonnari; 1 caso di v. a cellule alte; 3
casi di v. Warthin-like). La distribuzione cellulare era simile
a quella osservata nelle v. più comuni di PTC (classica; v. follicolare): positività intracitoplasmatica, di membrana ed endoluminale 2.
Conclusioni. Il 373E1 rappresenta un anticorpo sensibile e
specifico per il PTC, comprese le sue varianti più rare. Utile
risulta il suo impiego nella variante solida che nella diagnostica routinaria pone maggiori difficoltà interpretative. Suggeriamo di inserire il 373E1 nella lista degli anticorpi specifici
per il PTC già disponibili, quali CK19 e HBME1.
Bibliografia
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Magro G, et al. Differential expression of mucins 1-6 in papillary thyroid carcinoma: evidence for transformation-dependent post-translational modifications of MUC1 in situ. J Pathol 2003;200:357-69.
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138
Linfomi ed infezione da HCV: analisi istologica
di una casistica retrospettiva multicentrica
M. Lucioni1, L. Bandiera1, L. Arcaini2, R. Riboni1, E.
Boveri1, U. Gianelli3, A. Cabras4, L. Baldini5, L. Uziel6,
A.M. Gianni7, L. Devizzi7, E. Morra8, M. Lazzarino2, U.
Magrini1, A. Carbone4, S. Bosari3, M. Gambacorta9, M.
Paulli1
1
Anatomia Patologica, Fondazione IRCCS “San Matteo”,
Università di Pavia; 2 Clinica Ematologia, Fondazione
IRCCS “San Matteo”, Università di Pavia; 3 Anatomia Patologica, Ospedale “San Paolo”, Università di Milano; 4 Anatomia Patologica, Istituto Tumori, Milano; 5 Dipartimento di
Scienze Mediche, Università di Milano; 6 Divisione di Oncologia, Ospedale “S. Paolo”, Milano; 7 Ematologia, Istituto
Tumori, Milano; 8 Ematologia, Ospedale “Niguarda”, Milano; 9 Anatomia Patologica, Ospedale “Niguarda”, Milano
Introduzione. È noto che i soggetti affetti da disordini linfoproliferativi B cellulari presentano una prevalenza di infezione da HCV significativamente più elevata rispetto alla
popolazione generale. Un recente studio di metanalisi ha dimostrato nei linfomi non Hodgkin B (LNH B) una prevalenza di infezione da HCV del 15% rispetto all’1,5% della popolazione generale. Nonostante queste evidenze, i dati sull’incidenza dei diversi istotipi di LNH B in pazienti HCV+ sono
ancora relativamente limitati e non univoci.
Metodi. Nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2006, presso
4 centri lombardi (Policlinico “San Matteo”, Ospedale “Niguarda”, Ospedale San Paolo, Istituto Tumori Milano), sono
stati osservati 144 casi di linfomi HCV+. Tutti i casi sono
stati sottoposti a revisione istopatologica collegiale, seguendo i criteri della classificazione WHO. 25 casi sono stati
eliminati per l’esiguità del materiale; i rimanenti 119 sono
stati estesamente caratterizzati dal punto di vista immunofenotipico.
Risultati. In 43/119 (36%) casi la malattia risultava primitivamente nodale, mentre in 61/119 (51%) casi vi era coinvolgimento di almeno una sede extranodale. In 45/119 (38%) il
linfoma risultava confinato a sedi extranodali; in 16/119
(13%) erano coinvolti anche linfonodi loco-regionali. Le sedi extranodali più spesso interessate comprendevano: milza
(20), cute e sottocute (11), cavo orale/Waldeyer (8), annessi
oculari (5), ghiandole salivari (4), tratto gastroenterico (4),
fegato (3). Interessamento midollare era presente in 48/119
(40%) casi.
Sulla base della revisione istologica, i casi selezionati sono
stati così classificati: linfoma B diffuso a grandi cellule (LBDGC) 40/119 (34%); linfoma B della zona marginale (LZM)
33/119 (28%); linfoma follicolare 9/119 (8%); linfoma di
Hodgkin 7/119 (6%), linfoma linfocitico/LLC 4/119, linfoma
mantellare 4/119, linfoma linfoplasmacitico 3/119. In 3/119
casi è stata posta diagnosi di linfoma T, in 1 caso di plasmocitoma ed in 15/119 casi (13%) di linfoma B a basso grado NAS.
Conclusioni. Nella nostra casistica di pazienti HCV+, si documenta una netta prevalenza di 2 istotipi, rispettivamente il
LBDGC ed il LZM. Quest’ultimo in particolare mostra
un’incidenza molto superiore rispetto alla popolazione generale (28% vs. 8%).
Sul versante clinico si evince inoltre una peculiare
predilezione dei linfomi HCV correlati ad interessare le sedi
extranodali (51%), soprattutto la milza ed alcuni siti tipo
MALT (cute/sottocute ed annessi oculari).
FREE PAPERS
Analisi dell’espressione dei geni dell’apoptosi
in pazienti affetti da leucemia linfatica
cronica (CLL) mediante low density array
V. Vaira, E. Fasoli, U. Gianelli, C. Pasquini*, C. Vener*, A.
Cortelezzi*, G. Lambertenghi Deliliers*, S. Bosari, G.
Coggi
II Cattedra di Anatomia Patologica, DMCO, Università di
Milano e IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”; * Ematologia I, Centro
Trapianti di Midollo, Università di Milano, Fondazione
IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano
Introduzione. La CLL è una neoplasia a cellule B mature a
decorso e prognosi variabili, con una sopravvivenza media di
4-6 anni. Nel nostro studio abbiamo analizzato mediante tecnologia Microfluidic Card il profilo di espressione dei geni
coinvolti nel processo apoptotico in una casistica di CLL, allo scopo di identificare eventuali alterazioni molecolari e di
individuare correlazioni tra profili di espressione genica e
parametri clinici.
Metodi. Abbiamo analizzato in duplicato 92 geni coinvolti
nel processo apoptotico e 4 geni di riferimento in 35 pazienti affetti da CLL ed in 3 pool di controllo comprendenti 30
donatori. La popolazione di linfociti B neoplastici è stata selezionata mediante cromatografia, con una purezza superiore
al 90%. L’RNA di ogni paziente è stato retrotrascritto e analizzato su Microfluidic Card. I valori di espressione relativi ai
92 geni sono stati normalizzati prima sulla media geometrica
dei 4 geni di riferimento, poi sulla propria mediana e trasformati in valori logaritmici (log2). L’espressione della proteina
chinasi ZAP70 è stata valutata mediante RealTime PCR ed in
32 casi anche mediante immunoistochimica.
Risultati. 15 geni sono risultati differenzialmente espressi in
quanto soddisfacevano entrambe queste condizioni: a) il rapporto tra la media di espressione del gene nei tumori rispetto
ai controlli era superiore a 2 o inferiore a 0,5; b) il T test di
Welch forniva un p value ≤ 0,01. In particolare 7 geni sono
risultati iper-espressi nelle CLL (CASP8AP2, TNFSF14, TNFRSF4, BCL2, CD40LG, CDKN2A e ZAP70) ed 8 ipoespressi (CASP10, BIRC5, LTB, BCL2A1, TNFSF10, TNFRSF8, BID and CASP2). La correlazione tra l’espressione
di ZAP70 valutata con le due tecnologie è risultata significativa (p = 0,001) e conseguentemente i pazienti sono stati suddivisi in ZAP+ (n = 19) ed in ZAP- (n = 19) in base al valore
di espressione genica di ZAP70.
Conclusioni. La valutazione dei geni differenzialmente
espressi nelle CLL rispetto ai normali ci ha permesso di
identificare numerose deregolazioni del processo apoptotico nelle leucemia linfatiche croniche. La metodica descritta sarà successivamente utilizzata per caratterizzare
molecolarmente i pazienti responsivi o non responsivi alle
terapie impiegate.
FREE PAPERS
Unmutated kit expression in neuroendocrine
thymic carcinoma: an immunohistochemical
and molecular study on five cases
D. Remotti, P. Graziano, MC. Macciomei, L. Manente, E.
Silvestri, J. Nunnari, A. Leone, R. Gasbarra, A. Cavazzana*, E. Bonoldi**, R. Pisa
U.O.C. di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “San
Camillo-Forlanini”, Roma; * Istituto di Anatomia Patologica, Ospedale “Santa Chiara”, Pisa; ** U.O.C. Anatomia Patologica, Ospedale “San Bortolo”, Vicenza
Background. Primary thymic neuroendocrine carcinomas
(NEC) are rare, representing 2-5% of thymic epithelial tumors. They have to be distinguished from thymic carcinoma
with foci of neuroendocrine differentiation and from mediastinal paragangliomas. Furthermore, it is sometimes very
difficult both clinically and pathologically to distinguish
thymic NEC from lung NEC with massive mediastinal involvement. The expression of KIT (CD117) in thymic NEC
was investigated in order to evaluate the usefulness of this
marker for differential diagnosis and therapeutic purposes.
Material and methods. The records of 5 cases diagnosed between 2000 and 2007 of thymic NEC were studied. Four cases were retrieved from the files of “Forlanini” Hospital in
Rome where, during the same period, 82 thymic epithelial tumors were resected. An additional case was retrieved from
the files of “San Bortolo” Hospital in Vicenza. We examined
the immunohistochemical expression of CD117, CD5, CD56,
Chromogranin A, Synaptophysin and NSE in all cases. PCR
amplification and direct sequencing of the c-kit exons
9,11,13 and 17 were performed on two cases.
Results. According to WHO classification, three cases were
diagnosed as “well-differentiated NEC” and two as “poorly
differentiated NEC”. All cases showed positive immunoreactivity for at least two neuroendocrine markers. CD5 and
CD117 expression was found in all cases whereas c-kit mutations were not found.
Conclusions. CD117 expression is a constant finding in
thymic NEC and, as well as in thymic carcinoma, KIT is
probably involved in the pathogenesis of this rare neoplasms.
CD117 expression in thymic NEC has potential diagnostic
utility in differentiating these tumors from NEC arising from
other sites.
In thymic epithelial tumors, strong KIT expression seems to
be associated with malignancy, but its molecular mechanism
is still to be clarified in an effort to make an effective therapy available.
CD162 (PSGL-1) come possibile bersaglio di
immunoterapia nel mieloma multiplo
V. Campisi, C. Tripodo, A. Di Bernardo, A.M. Florena, V.
Franco
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo
Introduzione. Il mieloma multiplo (MM) è una proliferazione clonale di cellule B a differenziazione terminale che
interessa primariamente il midollo osseo.
L’acquisizione di un fenotipo plasmocitoide nei linfociti B è
associata, oltre alla capacità secretoria di immunoglobuline,
all’espressione di molecole di adesione quali CD38, CD56,
CD138, implicate nell’interazione tra cellule mielomatose e
139
stroma midollare. In uno studio sulle dinamiche di adesione
di cellule linfomatose abbiamo identificato una costante
espressione del CD162 (PSGL-1), ligando della P-selectina,
sulla superficie di linfociti plasmocitoidi e plasmacellule.
Questo dato, unitamente al ruolo del PSGL-1 nella trasduzione del segnale, rende ipotizzabile l’impiego del CD162
quale target di immunoterapia con anticorpi monoclonali
(MoAb) nel MM. In questo studio abbiamo valutato gli effetti in vitro di un MoAb anti-CD162 (KPL-1) su cellule di
mieloma umano indagando i principali meccanismi effettori
della citotossicità anticorpo-mediata.
Materiale e metodi. L’espressione di CD162 è stata valutata
mediante: immunoistochimica su sezioni di biopsie osteomidollari di pazienti con MM, immunocitochimica su linee cellulari umane di MM (RPMI-8226 e U266) e citofluorimetria
su sangue midollare di pazienti con MM, utilizzando MoAb
KPL-1. Gli esperimenti di citotossicità in vitro sono stati
condotti su linee cellulari RPMI8226 e U266 utilizzando:
KPL-1+ policlonale goat anti-mouse IgG per saggiare l’induzione diretta di apoptosi;
KPL-1+ siero umano e di ratto per valutare la citotossicità
complemento-mediata (CDC) e KPL-1+ splenociti attivati di
ratto per valutare la citotossicità cellulo-mediata anticorpodipendente (ADCC).
Risultati. Lo studio ha evidenziato che KPL-1: induce apoptosi in linee di mieloma secondo un modello dose-tempo
dipendente: ~40% di cellule in apoptosi a 24 h con 4 µg/ml
di KPL-1; determina CDC rispettivamente dello 0% (siero
umano) e del 16% (siero di ratto) delle cellule mielomatose.
Tali percentuali salgono al 35% ed al 50% in seguito al blocco di proteine regolatrici del complemento (CD46, CD55 e
CD59) espresse sulle cellule bersaglio; produce ADCC del
25% delle cellule di mieloma ad un rapporto effettore/target
di 50/1.
Conclusioni. I nostri risultati suggeriscono un possibile ruolo del PSGL-1 come bersaglio di immunoterapia nel MM.
Studi in vivo dovranno indagarne gli effetti sulle interazioni
tra cellule mielomatose e stroma midollare, sull’adesione e
sul reclutamento leucocitario.
Surgical pathology of spinal lesions: our 13year experience
F. Sanguedolce*, P. D’Urso**, P. Ciappetta**, R. Ricco, A.
Cimmino
Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Bari,
Italy; 1 Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Foggia, Italy; 2 Dipartimento di Scienze Neurologiche, Cattedra di Neurochirurgia, Università di Bari, Italy
Introduction. Spinal lesions are a heterogenous group comprising tumoral and non-tumoral entities as well, both accompanied by similar symptoms, such as myelopathy,
radiculopathy, neck or back pain. Though less common than
cerebral lesions (estimated overall ratio 1:4), they account for
significant morbidity related to the site and type of lesion;
thus, current diagnostic assessment includes magnetic resonance imaging (MRI) and histopathology.
We aim to evaluate the diagnostic accuracy of preoperative
MRI for spinal lesions, with a special emphasis on neoplasms, using histology as the gold standard.
FREE PAPERS
140
Methods. We retrieved 259 consecutive cases (from February 1994 to March 2007) of spinal lesions from the files of
the Department of Pathology at the University of Bari. There
were 143 men (mean age 55.6) and 126 women (mean age
54.2). All patients underwent MRI of the spine and subsequent biopsy of the lesion; tissue samples were formalinfixed and routinely processed in order to obtain hematoxylineosin slides, which were observed at light microscopy by a
dedicated pathologist. In 23 cases a frozen section examination was performed; in 167 cases further immunohistochemical investigations were performed.
Results. All cases in which a diagnosis was made by the
pathologist were subsequently reviewed and divided into 3
groups:
1. no MRI diagnosis was obtained (27 cases, 10.4%), most of
them (22,2%) being either a non-Hodgkin lymphoma or a
metastasis;
2. MRI and histological diagnosis did not match (47 cases,
18.1%), most of them (17%) being a mieloma;
3. MRI diagnosis (in many cases strongly supported by a proper anamnesis) was confirmed by histopathology (158 cases, 61%), most of them (25.9%) being metastases.
Conclusions. We present a large series of 259 spinal lesions
and compare preoperative MRI with surgical pathology results; since signs and symptoms are not specific to a single
neoplastic or non-neoplastic entity, diagnostic assessment is
largely based upon imaging and pathology.
Our results show that MRI displays great diagnostic accuracy for metastatic lesions and neurinomas, while other neoplastic lesions such as non-Hodgkin lymphomas are less likely to be preoperatively identified by such technique. We believe that the pathologist should be aware of this, especially
when evaluating such lesions on frozen sections.
tate di routine con colorazioni istologiche ed istochimiche
quali E-Eo, tricromica di Gomori, PAS, fosfatasi acida, fosfatasi alcalina e istoenzimatiche per l’evidenziazione dell’attività di NADH, Cox/SDH, ATPasi (4,35; 10,4). È stata infine
effettuata valutazione morfometrica per definire coefficiente
di variabilità diametrica e indici di atrofia e ipertrofia.
Risultati. Delle 152 biopsie studiate, 9 (circa il 5,9%) presentavano alterazioni soprattutto a livello mitocondriale. Erano spesso presenti oltre a fibre tipo ragged red, anche fibre
Cox-negative e alterazioni ultrastrutturali, quali iperplasia,
degenerazione, polimorfismo e rari megamitocondri. In un
caso la genetica molecolare ha evidenziato delezioni multiple
a carico del DNA mitocondriale.
Conclusioni. Dai risultati emerge che i parametri clinico-laboratoristici rivelano un quadro miopatico aspecifico, quindi
la biopsia muscolare risulta fondamentale per la diagnosi. I
nostri dati mostrano alterazioni preferenzialmente a carico
dei mitocondri che escludendo una possibile causa di primitività mitocondriale, identificano questi organuli quali target
principale coinvolto nel meccanismo etiopatogenetico della
miopatia da farmaci. In un caso l’azione del farmaco si è
sovrapposta ad una preesistente mutazione del DNA mitocondriale (miopatia da propofol), slatentizzando il quadro
clinico.
Ruolo della biopsia muscolare nella
diagnostica delle miopatie da farmaci:
correlazioni clinico-patologiche
Department of Medical and Morphological Sciences, Dept.
Surgery and Transplation, Department of Biomedical Sciences
and Technologies, Azienda Ospedaliero-Universitaria Udine
L. Maiarù, V. Tarantino, L. Badiali De Giorgi, M. Zavatta*, R. D’Alessandro**, R. Rinaldi***, V. Carelli**, G.N.
Martinelli, G. Cenacchi
Introduction. Oxidative stress is a major pathogenetic event
occurring in several liver disorders and is a major cause of
liver damage due to ischaemia/reperfusion (I/R) during liver
transplantation. In order to identify early protein targets of
oxidative injury, we used a multiple approach, by morphological, immunohistochemical and proteomic methods.
Methods. HepG2 human liver cells were treated for 10 minutes with 500 mM H2O2 and studied by differential proteomic analysis (two-dimensional gel electrophoresis and
MALDI TOF mass spectrometry). The same methods have
been applied on liver needle biopsy before vascular ligation
(T0), after cold (T1) and after warm (T2) ischaemia: these
specimen underwent to histological analysis (Suzuki score)
and immunohistochemical evaluation of APE1/Ref1 expression, also on frozen sections.
Results. Post-translational changes of native polypeptides
are associated with H2O2 treatment sensitivity of 3 members
of Peroxiredoxin family of hydroperoxide scavengers (Prx I,
II, VI), that showed changes in their pI as result of overoxidation, by modification of active site thiol into sulphinic
and/or sulphonic acid. The oxidation kinetic of all peroxiredoxin was extremely rapid and sensitive, occurring at H2O2
doses unable to affect the common markers of cellular oxidative stress. Similar results have been obtained on liver
biopsy specimen: significant higher value of Suzuki score
Dipartimento Clinico Scienze Radiologiche e Istocitopatologiche, e ** Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università
di Bologna; * U.O. Ortopedia e *** U.O. Neurologia, Azienda
Ospedaliera-Universitaria Policlinico “S. Orsola-Malpighi”
Introduzione. Numerosi farmaci, tra cui statine, acido valproico, propofol, zidovudina, clorochina e steroidi possono
provocare miopatia sia direttamente che con meccanismi
patogenetici indiretti. Scopo del nostro studio è stato quello
di verificare la possibilità di definire un quadro clinico-patologico patognomonico delle miopatie iatrogene da farmaci,
ad oggi non riportato in letteratura.
Materiali e metodi. Abbiamo valutato casi di miopatia giunti alla nostra osservazione nel periodo 01-05/04-07 (152
casi). I parametri clinico-laboratoristici considerati sono
stati: sintomatologia, esame obiettivo, terapia farmacologica
(correlazione temporale tra somministrazione dei farmaci e
insorgenza dei sintomi), CPKemia, EMG; sono stati quindi
valutati la biopsia muscolare e l’analisi molecolare del DNA
mitocondriale (1 caso) mediante long-PCR e sequenziamento genico. La biopsia muscolare è stata studiata dopo congelamento in N2 liquido. Le sezioni criostatate sono state trat-
Bibliografia
1
Guis S. Best Pract Res Clin Rheumatol 2003;17:877-908.
2
Sieb JP. Muscle Nerve 2002;27:142-56.
Oxidative stress in livertransplantation: the
pathologist’s search for predictive tools
C. Avellini, G. Trevisan, G. Tell, U. Baccarani, C. Vascotto, G.L. Adani, L. Cesaratto, C.A. Beltrami
FREE PAPERS
and higher levels of APE1/Ref1 expression parallel peroxiredoxin changes.
Significant changes in Suzuki score by histology and immunohistochemistry have been observed also in liver biopsies after ischaemic preconditioning (T0 basal, T0* after 10’
of ischaemia, T1 after cold and T2 warm ischaemia) with increased APE1/Ref1 reactivity in T0* and T2 specimen.
Conclusion. The in vivo relevance of our study is demonstrated by the finding that overoxidation of PrxI occurs during I/R upon liver transplantation and is dependent on the
time of warm ischaemia. These data are in keeping with higher histological damage extent and APE1/Ref1 expression in
the same specimen and lower histological damage with higher APE1/Ref1 expression in T0* and T2 cases after ischaemic
preconditioning. Furthermore, frozen section immunohistochemistry for APE1/Ref1 may play a role as a marker of I/R
damage in the graft. Our present data could be of relevance
in setting up more standardized procedures to preserve and
evaluate organs for transplantation.
Carcinoma papillare della tiroide: la bassa
espressione di NCAM (CD56) è associata alla
down-regolazione della produzione di VEGFD da parte delle cellule tumorali
F. Melotti, S. Scarpino, A. Di Napoli, C. Talerico, L. Ruco
Ospedale “Sant’Andrea”, Università di Roma “La Sapienza”
Introduzione. È stato descritto che l’espressione di NCAM
da parte delle cellule tumorali può interferire nel processo di
metastatizzazione stimolando la linfangiogenesi peri-tumorale tramite la produzione di VEGF-C e VEGF-D 1. Abbiamo studiato l’esistenza di una possibile correlazione tra il
livello di espressione di NCAM ed il processo di linfoangiogenesi nel carcinoma papillare della tiroide.
Metodi. Sono state effettuate colorazioni immunoistochimiche
per NCAM e podoplanina (marcatore dell’endotelio linfatico)
in 61 carcinomi papillari della tiroide. RNA ottenuti da tessuto
congelato sano e tumorale, mediante la metodica della microdissezione-laser, e da linee di carcinoma papillare della
tiroide PTC-1 silenziate per NCAM, sono stati misurati per
NCAM, VEGF-C e VEGF-D utilizzando la real-time PCR. Cellule TPC-1 silenziate sono state valutate per la loro capacità migratoria utilizzando la camera di invasione Boyden Chamber.
Risultati. Cellule tumorali di 18 casi sono risultate negative
alla colorazione immunoistochimica per NCAM, i restanti 43
casi hanno dimostrato positività in una percentuale di cellule
neoplastiche inferiore al 5%. La colorazione per podoplanina
ha evidenziato che la presenza di vasi linfatici è estremamente rara all’interno del tumore. I livelli dei trascritti di
mRNA per VEGF-D e NCAM nel tessuto tumorale sono
risultati molto bassi. Il silenziamento di NCAM in cellule
PTC-1 causa una significativa (p < 0,05) riduzione nell’espressione dell’mRNA di VEGF-C e VEGF-D. Le cellule
PTC-1 silenziate hanno dimostrato una maggiore capacità
adesiva a diverse componenti della matrice extracellulare,
una minore efficienza nella migrazione cellulare (riduzione
del 59%; p < 0,05) e nella invasività (riduzione del 68%).
Conclusioni. Questi risultati suggeriscono che la modificazione dell’espressione di NCAM nelle cellule tumorali
causa profonde alterazioni della capacità migratoria e della
produzione di fattori pro-linfoangiogenetici.
141
Bibliografia
1
Crnic I, et al. Cancer Res 2004;64:8630-8.
Ruolo della biopsia endomiocardica nella
diagnosi del rigetto cronico
A. Marzullo, G. Serio, D. Piscitelli, D.M. Tateo, G. Caruso
Dipartimento di Anatomia Patologica (DAP), Università di
Bari
Introduzione. Sebbene le caratteristiche morfologiche della
vasculopatia del graft siano state estesamente studiate, lo
stesso non si può dire per le modificazioni indotte sui miocardiociti e in modo particolare per le alterazioni del microcircolo coronarico. Gli aspetti di proliferazione miofibroblastica a carico della parete vasale e la vacuolizzazione dei
miociti subendocardici sono stati proposti come marcatori
del rigetto vascolare cronico.
Metodi. Questo studio si propone di analizzare le caratteristiche del miocardio in 9 pazienti sottoposti a trapianto cardiaco seguiti per un periodo compreso tra i 3 e i 5 anni, e verificare la presenza di alterazioni vascolari al fine di consentire una diagnosi più tempestiva della vasculopatia da
trapianto. In ciascun caso sono stati esaminati i seguenti
parametri: numero di arteriole totali ed eventuale presenza di
lesioni vascolari (in particolare di aspetti proliferativi miofibroblastici intimo-mediali), grado di fibrosi e infiltrazione
adiposa (valutati come percentuale della superficie totale del
campione), numero ed entità degli episodi di rigetto acuto,
individuazione di lesioni ischemiche subletali (vacuolizzazione dei miocardiociti) e microinfarti.
Risultati. In totale sono stati riesaminati 141 frustoli di endomiocardio ventricolare e 79 arteriole. Nel 12% dei vasi erano presenti lesioni, prevalentemente costituite da un ispessimento della tonaca media. La fibrosi interstiziale variava dal
16,7 al 39,1%. Il tessuto adiposo risultava scarsamente rappresentato. Il grado di infiltrazione flogistica risultava per lo
più scarso, generalmente compreso tra 0 e IB della Working
Formulation e solo in un caso erano segnalati due episodi di
rigetto moderato. Dal confronto dei parametri esaminati
emergeva un certo grado di associazione tra la presenza di
modificazioni vascolari, la fibrosi e il reperto di lesioni suggestive di ischemia miocardica e microinfarti.
Conclusioni. Tali risultati, ancora preliminari, suggeriscono
la possibilità di individuare attraverso le biopsie endomiocardiche l’insorgenza delle lesioni della vasculopatia da
trapianto in uno stadio relativamente precoce, considerato
che le metodiche routinarie (angiografia) permettono lo studio solo dei vasi epicardici e dei primi tratti intramiocardici.
Ciò consentirebbe al clinico di mettere in atto tempestivamente interventi terapeutici, compresa la possibilità di valutare la opportunità di un nuovo trapianto.
FREE PAPERS
142
Distribuzione del Sonic Hedgehogg nella
mucosa corpo-fundica normale e nei polipi
ghiandolari fundici: uno studio
immunoistochimico
P. Declich, E. Tavani, G.R. van den Brink*, B. Omazzi**,
S. Bellone, S.A. Pel-Bleuming*
Servizio di Anatomia Patologica e ** Divisione di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Ospedale di Rho, Italia;
*
Academic Medical Center Amsterdam, Center for Experimental and Molecular Medicine, The Netherlands
Introduzione. I Polipi ghiandolari fundici (PGF) sono polipi
sessili, spesso multipli, di piccole dimensioni, della mucosa
gastrica acido-secernente. Sono stati descritti sia come forma
sporadica, associati alla poliposi familiare del colon, ed alla
Sindrome di Zollinger-Ellison.
Dato il loro aspetto istologico, caratterizzato dalla presenza
di dilatazioni cistiche sia superficiali che profonde, i PGF
sono stati da alcuni Autori considerati come polipi amartomatosi.
Fig. 1.
5
Mucosa normale:
Recentemente, è stata studiata una proteina con funzione
morfogenetica, il Sonic Hedghogg, che nel tratto gastrointestinale sia fetale che nell’adulto ha una azione morfogenetica e nel mantenimento della differenziazione, con una
espressione pressoché esclusiva da parte delle cellule parietali.
Abbiamo allora studiato l’espressione del SHH in un gruppo
di PGF sporadici, da alcuni interpretati come di tipo iperplastico, da altri come risultato di una alterata organizzazione
(amartomi).
Come controllo abbiamo usato 5 campioni di mucosa corpofundica normale.
Metodi. 5 casi di mucosa corpo-fundica di controllo, 20 FGPs di 15 pazienti sono stati colorati con tecnica immunoistochimica ABC, usando un anticorpo anti-SHH (sviluppato
da van Der Brink), diluito 1:50.
Risultati. I cinque campioni di mucosa corpo-fundica di controllo hanno mostrato una intensa positività per il SHH nelle
cellule parietali, con la massima concentrazione nel terzo superiore della mucosa, e una riduzione nella porzione profonda.
Tutti i venti PGF hanno mostrato una intensa positività al
SHH, sia nelle cisti, sia nella mucosa ghiandolare circostante.
13 polipi hanno mostrato una distribuzione della reattività
per l’SHH analoga alla mucosa normale di controllo, mentre
7 hanno mostrato una intensa positività diffusa, sia nella
porzione superficiale del polipi, sia in quella profonda.
Discussione. Nel presente lavoro abbiamo confermato la
positività nelle cellule parietali della mucosa umana corpofundica dell’adulto del SHH, molecola cruciale sia nella differenziazione embrionale della mucosa corpo-fundica, sia nel
suo mantenimento nell’adulto. Abbiamo anche descritto il
mantenimento di tale differenziazione nei PGF. Essi quindi
non solo non presentano una riduzione di tale molecola morfogenetica, ma in un terzo dei casi mostrano addirittura una
iperespressione dell’SHH.
Incidence of post-transplant
lymphoproliferative disorders (PTLD): study
of 828 adult patients after liver
transplantation in a single institution
13
D. Petrella, P. Oreste, E. Minola, M. Gambacorta
PGF con
distribuzione
normale
7
PGF con
distribuzione
aumentata
Department of Histopathology, Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda “Cà Granda”, Milano, Italy
Background. Post-transplant lymphoproliferative disorders
(PTLD) encompass a variety of polyclonal lymphoid hyperplasias and lymphomas that occur in 2-3,8% of solid organ
transplanted patients. PTLD have been defined as “opportunistic neoplasms” since they arise partly as a consequence
of the immunosuppressive regimen administrated to prevent
graft rejection. Intensive immunosuppression in fact allows
to loss of T-cytotoxic cell activity with a decrease in immunosurveillance. Increased patients susceptibility to lifethreatening infections permits the Epstein-Barr virus (EBV)
infected cells to persist, leading in a minority of cases to an
uncontrollated B-cell proliferation with overt clinical PTLD.
The role of EBV in etiopathogenesis of PTLD is the pathway
clearly defined at this time.
Clinical features. PTLD can occur early in the first year after transplantation (“early onset PTLD”) or later (“late onset
PTLD”. Clinical presentation is heterogeneous and non spe-
FREE PAPERS
cific. Non-EBV PTLD are rare and generally characterised
with late onset, inciting factors not completely known and
poor outcome.
Patients and methods. 828 adult patients underwent liver
transplantation at Niguarda Hospital, Milan, between June
1992 and May 2007. Patients have been followed until death
or until the end of the study (May, 2007). Pathological reports, autoptic findings (when available), surgical specimens
and medical records have been retrieved and reviewed for all
PTLD patients.
Results. 26/828 patients (3,14%) developed monoclonal high
grade non-Hodgkin lymphomas (25 LNH-B and 1 LNH-T, all
EBV-related). 25 were males and 1 female (mean age 46
years, range 33-64). 15 of them were submitted to transplant
because of viral-related cirrhosis (the majority HCV-type)
and the remnant 9 patients because of alcoholic or biliary cirrhosis. Among these cases, during sampling primitive neoplastic lesions (hepatocellular carcinoma, cholangiocarcinoma) were found in 6 specimens. The mean follow-up was
41,5 months (range 2-164) until PTLD discovery. During
post-transplantation course, 14 patients developed early onset PTLD (mean follow-up 6 months, range 2-10) and 6 of
them died; the other 12 patients developed late onset PTLD
(mean follow-up 83 months, range 13-164) and 1 of them
died. The main site of PTLD was the liver (15 cases) followed by lymph nodes and peritoneum, and there is a strong
relationship between site and latency of the disease (12/15 of
hepatic PTLD are “early” and 9/11 of extrahepatic PTLD are
“late”).
Conclusion. In our experience the frequency of PTLD related to liver transplant recipients is comparable to data present
in literature. Most of cases were hepatic early onset PTLD,
characterised by a worse outcome in comparison to late onset PTLD. No patients showed central nervous system or
bone marrow involvement.
Tumori epatici in età pediatrica ad interesse
trapiantologico: esperienza del Centro
trapianto di fegato di Torino
A. Barreca, M. Muscio*, L. Garofalo*, E. Basso**, L.
Delsedime, G. Paraluppi***, R. Romagnoli***, M. Forni*,
M. Salizzoni***, A. Pucci*, E. David
Anatomia Patologica I, ASO “S. Giovanni Battista, Molinette”, Torino; * Anatomia Patologica OIRM-ASO OIRM, “S.
Anna”, Torino; ** Dipartimento Oncoematologia Pediatrica,
Università di Torino; *** Centro Trapianto di Fegato, ASO
“S. Giovanni Battista, Molinette”, Torino
Introduzione. L’istotipo dei tumori epatici pediatrici influenza le strategie terapeutiche che comprendono la
chemioterapia, la radioterapia, la resezione epatica e da alcuni anni il trapianto epatico (OLT). L’obiettivo dello studio è
stata la valutazione retrospettiva del quadro istologico delle
neoplasie maligne infantili della nostra casistica; per i casi di
epatoblastoma è stata applicata la recente proposta di classificazione morfologica di Zimmermann 1, che aggiunge all’istotipo un’indicazione prognostica, suddividendo i tumori in
base ad uno score di malignità.
Metodi. Sono stati rivisti i casi con diagnosi di tumore epatico in età infantile, giunti negli ultimi dieci anni alla nostra attenzione. Si tratta di 24 pazienti (13 F e 11 M), di età compresa tra 2 mesi e 15 anni, con diagnosi clinica di massa epatica, sottoposti all’esordio a biopsia epatica (n = 13) oppure ad
143
epatectomia parziale/OLT (n = 11), con follow-up medio di
43 mesi (range 1 mese-9 anni). Dei 24 casi, 7 (5 epatoblastomi, 1 epatocarcinoma ed 1 emangioendotelioma), sono stati
sottoposti (dopo chemioterapia ± epatectomia parziale) a
OLT.
Risultati. In 10/24 casi (età media 20,5 mesi) è stata posta diagnosi di epatoblastoma, di tipo prevalentemente epiteliale in
5 (50%), tipo misto in 3 (30%) e NAS (esiti sclerotici) in 2
(20%). I restanti 14/24 casi comprendevano 4 epatocarcinomi (età media 13,5 anni), 2 tumori epatici a cellule transizionali (“Transitional Liver Cell Tumor” TLCT) in pazienti di 10 e 12 anni, 4 emangioendoteliomi (età media 12,7
mesi) e 4 sarcomi indifferenziati (Embrionali) con età media
di 6,4 anni. Sei/sette pazienti trapiantati sono vivi (follow-up
medio di 64 mesi), un solo caso/7 trapiantati è deceduto dopo
17 mesi per recidiva neoplastica; si trattava di un paziente
con epatoblastoma di tipo prevalentemente epiteliale con focali campi anaplastici e microinvasione tumorale, inquadrabile nella categoria ad alto rischio. Nei 17 pazienti non sottoposti ad OLT la mortalità è stata di 3 casi (un epatocarcinoma fibrolamellare, un TLCT ed un sarcoma indifferenziato).
Data l’esiguità numerica del campione analizzato non sono
state realizzate analisi statistiche.
Conclusioni. Si sottolinea il ruolo di una adeguata caratterizzazione istopatologica per l’identificazione di differenti
categorie di rischio nelle neoplasie epatiche infantili, anche
ai fini di una corretta indicazione all’opzione trapiantologica.
Bibliografia
1
Zimmermann A. Eur J Cancer 2005;41:1503-14.
Carcinomi mammari “triple-negative”: studio
dei fattori prognostici e predittivi
F. Cartaginese, A. Cavaliere, M.G. Mameli, G. Bellezza,
R. Del Sordo, R. Colella, M. Colozza*, S. Gori*, L. Crino*,
A. Sidoni
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Università di Perugia e * S.C. di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di
Perugia
Introduzione. I carcinomi mammari “triple-negative” (TN)
(negatività per recettori estrogenici, progestinici e per HER2) costituiscono una categoria ad istogenesi incerta e alta aggressività, per i quali non esistono attualmente specifici trattamenti 1. Recentemente è stata segnalata una possibile efficacia dei derivati del platino, anche se l’elevata instabilità genetica di queste neoplasie non consente di prevederne il tasso di risposta. La proteina ERCC1 (excision repair crosscomplementation group 1) è coinvolta nella riparazione del
DNA e, nel caso dei carcinomi del polmone non a piccole
cellule, si è rivelata un fattore predittivo di resistenza al cisplatino 2. Nel presente lavoro abbiamo rivalutato le principali
caratteristiche clinico-patologiche di un gruppo di carcinomi
mammari TN, determinando la loro espressione immunoistochimica di ERCC1 allo scopo di analizzarne il ruolo prognostico ed il possibile significato predittivo.
Materiali e metodi. Sono stati ricercati tutti i casi di carcinoma mammario diagnosticati nel periodo 2000-2004 e
caratterizzati dalla negatività per i recettori estrogenici, progestinici e per HER-2. Di ciascun caso sono stati riesaminate
le principali caratteristiche clinico-patologiche determinando
immunoistochimicamente l’espressione di ERCC1 (clone
8F1, Neomarkers).
144
Risultati. Nel periodo in esame sono stati diagnosticati 1068
carcinomi invasivi della mammella di cui 99 TN (9,2%). Le
principali caratteristiche bio-patologiche osservate sono in
linea con quanto riportato in letteratura. In particolare vi è
una prevalenza di forme G3 (60,2%) con un’elevata cinetica
cellulare e una relativa maggiore frequenza di istotipi speciali. Tuttavia in contrasto con alcuni studi non abbiamo documentato la prevalenza in età giovanile, l’elevato interessamento linfonodale e l’alta espressione di p53. I dati preliminari dimostrano che la proteina ERCC1 è espressa in circa il
57% dei casi.
Conclusioni. I risultati ottenuti forniscono un’ulteriore conferma della notevole eterogeneità della famiglia dei carcinomi mammari TN per i quali si rendono necessari ulteriori criteri di stratificazione prognostica e predittiva. La determinazione della proteina ERCC1, condotta su casistiche più
ampie, potrebbe rappresentare un utile contributo a tale
scopo.
Bibliografia
1
Rakha EA, et al. Cancer 2007;109:25-32.
2
Olaussen KA, et al. N Engl J Med 2006;355:983-91.
Screening patologico per la identificazione
dei tumori colo-rettali con deficit del DNA
mismatch repair
R. Gafà, I. Maestri, M. Matteuzzi, A. Gaban, L. Cavazzini, G. Lanza
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di Anatomia Istologia e Citologia Patologica, Università di Ferrara
Introduzione. La identificazione dei carcinomi colorettali
con deficit del DNA mismatch repair (MMR) è di notevole
rilevanza clinica. Questi tumori presentano infatti una prognosi più favorevole ed una differente risposta alla chemioterapia e sono inoltre in una parte dei casi ereditari (sindrome di
Lynch). Il presente studio è stato condotto al fine di definire
le modalità più appropriate per la effettuazione di uno screening patologico dei tumori con deficit del MMR sporadici ed
ereditari.
Metodi. Una serie consecutiva di 323 carcinomi colorettali
operati nella provincia di Ferrara nell’anno 2004 sono stati
sottoposti ad analisi immunoistochimica della espressione
delle proteine MLH1, MSH2, MSH6 e PMS2 e ad analisi della instabilità dei microsatelliti (MSI) con metodica di PCR
fluorescente.
Risultati. Deficit del MMR è stato evidenziato in 49 carcinomi (MMR-D, 15,2% dei casi), mentre 274 tumori hanno
presentato normale funzione del MMR, cioè regolare espressione di tutte le proteine ed assenza di MSI di grado elevato
(MMR-P, 84,8%). Tutte le neoplasie MMR-D sono risultate
MSI-H alla analisi genetica e 48/49 hanno evidenziato perdita di espressione di almeno una delle proteine del MMR. In
particolare, 38 carcinomi hanno presentato perdita di espressione di MLH1 (sempre associata a perdita di espressione di
PMS2), 3 perdita di espressione di MSH2 e di MSH6, mentre 6 tumori hanno evidenziato perdita selettiva della espressione di MSH6 ed uno di PMS2. Come atteso, i tumori
MMR-D sono risultati più spesso localizzati nel colon prossimale (85,7% dei casi, p < 0,001). Tuttavia, mentre i carcinomi MLH1-negativi hanno evidenziato quasi costantemente
una localizzazione prossimale (94,7%), i carcinomi MMR-D
FREE PAPERS
esprimenti altri pattern immunofenotipici sono risultati quasi
egualmente distribuiti nel colon prossimale e distale. In base
all’età del paziente ed al pattern immunoistochimico, è possibile ipotizzare che il 70% (n = 34) dei tumori MMR-D individuati siano sporadici ed il 30% (n = 15) ereditari.
Conclusioni. I risultati ottenuti confermano che l’analisi immunoistochimica è una metodica altamente specifica e sensibile per la identificazione dei tumori colorettali con deficit
del MMR ed indicano che lo screening patologico deve comprendere la valutazione della espressione di MSH6 oltre a
quella delle proteine MLH1 ed MSH2.
Linfonodi e noduli tumorali pericolorettali:
considerazioni critiche sull’utilizzo del TNM5 e
TNM6
P. Greco, A. Gurrera, F. Brancato, P. Amico, G. Magro
Dipartimento “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Policlinico “G Rodolico”, Catania
Introduzione. Recentemente Quirke e Morris 1 hanno pubblicato delle Linee Guida per la refertazione del carcinoma
colorettale. Gli Autori ritengono che 15-18 linfonodi siano un
numero adeguato per una corretta stadiazione e raccomandano di utilizzare il TNM5 piuttosto che il TNM6 nella classificazione dei depositi tumorali pericolorettali (DTP) privi
di tessuto linfonodale residuo.
Discussione. In uno studio recente abbiamo dimostrato che
15-18 linfonodi sono insufficienti per una accurata stadiazione nei pazienti pT3 con carcinoma del retto 2; infatti,
aumentando la media dei linfonodi da 17,8 a 26,8 dopo ricampionamento abbiamo trovato metastasi nel 18,7% dei
pazienti che inizialmente erano stati sottostadiati. Va sottolineato che questi pazienti avevano un singolo linfonodo
metastatico < 5 mm. Pertanto, riteniamo, anche in accordo
con lo studio di Goldstein, che almeno 20 linfonodi siano
necessari per una adeguata stadiazione dei pazienti pT3. Per
quanto riguarda i DTP, a nostro avviso, né il TNM5 né il
TNM6 sono adeguati per la classificazione di queste lesioni. Infatti, il TNM6 li considera come metastasi linfonodali se a contorni regolari, come invasione venosa se a
contorni irregolari; questo criterio risulta spesso arbitrario e
non riproducibile 2. D’altra parte va criticato l’utilizzo del
TNM5 che considera i DTP > 3 mm come metastasi linfonodali nonostante uno studio di Goldstein abbia dimostrato
con sezioni seriate che queste lesioni sono costituite prevalentemente da invasione tumorale perineurale, perivascolare o intravascolare.
Conclusioni. Suggeriamo di distinguere e riportare separatamente nella diagnosi le vere metastasi linfonodali (residuo
linfonodale riconoscibile), i DTP (specificando il numero, le
dimensioni e il tipo di crescita perineurale, perivascolare o
intravascolare, quando possibile) e la vera invasione venosa
(chiara invasione tumorale della parete o emboli neoplastici
intraluminali). Si ottiene in tal modo una classificazione semplice e riproducibile che, con alcune limitazioni, ha il vantaggio di raggruppare i pazienti nei trials clinici in modo più
omogeneo.
Bibliografia
Quirke P, et al. Reporting colorectal cancer. Histopathology
2007;50:103-22.
Greco P, et al. Staging in colorectal cancer: problems for pathologists.
Histopatology 2007(in press).
FREE PAPERS
Espressione immunoistochimica di MGMT nei
carcinomi colorettali con assenza di elevata
instabilità dei microsatelliti (MSI)
V. Bertolini, A.M. Chiaravalli, D. Furlan, C. Placidi, B.
Martinelli*, G. Carcano**, C. Capella
Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia
Patologica, Università dell’Insubria ed Ospedale di Circolo,
Varese, Italia; * Sezione di Oncologia, Ospedale di Circolo,
Varese, Italia; ** Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università dell’Insubria, Varese
Introduzione. La ridotta espressione dell’enzima O6-metilguanina-DNA-metiltrasferasi (MGMT), dovuta a metilazione del promotore del gene, è un fenomeno osservato in
molti tipi di neoplasia. Nel carcinoma colorettale (CCR) tale
evento si verifica frequentemente ed è stato descritto in associazione al fenotipo metilatore delle isole CpG (CIMP). I
CCR CIMP sporadici possono essere associati a presenza di
MSI o ad assenza (MSS). Nel presente studio è stato valutato il fenotipo di 100 CCR MSS consecutivi (2000-2002) in
relazione all’espressione immunoistochimica di MGMT.
Metodi. Per ogni caso di carcinoma sono stati valutati
parametri clinici (sesso, età del paziente, stato in vita), anatomo-patologici (sede e diametro del tumore, aspetto macroscopico, istotipo e grado tumorale, presenza di muco, tipo di
crescita, presenza di infiltrato linfoide e di fibrosi, presenza
di angio-, linfo-, neuroinvasione, pT, pN) ed espressione di
p53. Per MGMT è stato calcolato un indice: percentuale di
cellule tumorali positive x intensità della reazione (1-3
rispetto al controllo interno).
Risultati. Ridotta espressione di MGMT (MGMTr: indice ≤
25) è stata osservata in 23 casi (23%), 9 dei quali erano completamente negativi. MGMTr correlava significativamente
con la metilazione del promotore (p < 0,001). Rispetto ai
CCR con indice > 25, quelli con MGMTr erano tutti adenocarcinomi (74% ordinari, 13% mucinosi, 13% papillari/cribriformi) discretamente differenziati (100% vs. 77%; p <
0,05), con frequente aspetto macroscopico rilevato
(polipoide o vegetante; p < 0,05). La frequenza maggiore di
CCR MGMTr è stata osservata nel colon ceco/ascendente (9
casi, 39%) e nel retto (7 casi, 30%), rispetto al sigma (6 casi,
26%) e alla flessura splenica (1 caso, 4%). I CCR MGMTr
mostravano una scarsa tendenza alla angio-linfoinvasione (p
= 0,01) ed una correlazione significativa con la presenza di
muco > 10% (p < 0,05). Elevato accumulo di p53 (superiore
al 50% delle cellule tumorali) è stato osservato solo nel 39%
dei casi con MGMTr rispetto al 61% dei casi senza MGMTr.
I pazienti con CCR MGMTr erano più frequentemente femmine (M/F: 0,76 vs. 1,26). Non sono state osservate altre correlazioni tra MGMTr e tutti gli altri parametri indagati.
Conclusioni. I CCR MSS con MGMTr hanno caratteristiche
anatomo-cliniche e istologiche diverse da quelle dei CCR
MGMT immunoreattivi. Vi è una significativa correlazione
tra MGMT e metilazione. MGMT può essere un utile indicatore per la chemioterapia.
145
Valutazione dell’espressione di GATA3 con
tecnica del tissue microarray (TMA) e
significato prognostico nel carcinoma
mammario infiltrante
C. Frasson, P. Querzoli, M. Pedriali, R. Rinaldi, E. Magri,
M. Lunardi, G. Querzoli, I. Nenci
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica, Università di Ferrara
Introduzione. GATA3 è una glicoproteina identificata per la
prima volte nelle cellule del sistema immunitario, coinvolta
nella differenziazione dell’epitelio duttale luminale, intimamente correlata con il recettore per gli estrogeni e probabilmente implicata nella modulazione della terapia con Tamoxifene 1.
Metodi. Abbiamo confrontato l’espressione nucleare di GATA3 con metodica immunoistochimica (anticorpo monoclonale HG3-31) con le caratteristiche clinico-patologiche
(istotipo, pT, G, pN secondo TNM2002) e biologiche (ERα,
ERβ, PR, Mib1, HER-2, p53, E-Caderina) di 727 carcinomi
mammari infiltranti consecutivi, diagnosticati negli anni
1989-93 presso la nostra Sezione di Anatomia Patologica,
allestiti su 33 TMAs. Abbiamo, inoltre, valutato il significato prognostico (intervallo libero da malattia, RFI, e sopravvivenza globale, OS) di GATA3.
Risultati. GATA3 era iperespresso (cut-off > 10%) nel
37,9% dei casi ed è risultato inversamente correlato con il
Gfin (p < 0,001), pT (p < 0,001) ed HER2 (p = 0,011), direttamente correlato (p < 0,001), invece, con ERα, ERβ e
PR. In relazione ai possibili fenotipi recettoriali, le neoplasie scarsamente differenziate sono solitamente associate
ad un fenotipo ERα-/GATA3- (40,8% Gfin3/ERα-/GATA3vs. 14,8% Gfin3/ERα+/GATA3+, p < 0,001); correlazioni
significative sono emerse anche considerando il grado tubulare (p < 0,001), il grado nucleare (p < 0,001) ed il grado
mitotico (p = 0,047). Alla fine del periodo di osservazione
(follow-up mediano: 101 mesi), il 9,2% delle pazienti presentavano malattia metastatica in atto ed il 17,8% era deceduta per cancro. Per quanto riguarda l’impatto prognostico,
l’iperespressione di GATA3 è in grado di identificare una
coorte di pazienti con una prognosi in termini di OS significativamente più favorevole sia all’interno della casistica
generale (p = 0,0187) sia del sottogruppo delle pazienti
pN0(i-) (p = 0,024). Inoltre, è emersa una peggiore OS (p =
0,03) ed un significativo più breve RFI (p = 0,02) per il
fenotipo ER-/GATA3-.
Conclusioni. I risultati del nostro studio potrebbero offrire lo
spunto per ulteriori approfondimenti volti a validare l’ipotesi
che l’espressione di GATA3 possa essere implicata nella
risposta delle pazienti all’ormono-terapia, oggi non ancora
perfettamente prevedibile sulla base della sola determinazione dell’assetto recettoriale ERα/PR.
Bibliografia
1
Mehra R, et al. Identification of GATA3 as a breast cancer prognostic
marker by global gene expression meta-analysis. Cancer Res
2005;65:11259-64.
FREE PAPERS
146
Toker cells of the breast. Morphological and
immunohistochemical findings in 40 cases
L. Di Tommaso, G. Franchi, A. Destro, F. Broglia, D. Rahal, M. Roncalli
Department of Pathology, School of Medicine, University of
Milan, Humanitas Clinical Institute, Rozzano, Milan, Italy
Toker cells (TC) are epithelial cells with clear cytoplasm usually free of cytologic atypia localised within the nipple epidermis. Rarely they can be numerous and atypical requiring
a careful distinction from malignant cells of Paget’s disease
(PD). Purpose of this paper is to better define the incidence
of these atypical TC and to investigate phenotypic markers
helpful in the differential diagnosis with PD.
Forty cases of TC were retrospectively identified within the
nipples of 390 patients (10.2%) who underwent complete
breast mastectomy. Most TC [24 cases (60%)] were cytologically benign, disappearing after a few consecutive sections
(“normal TC”). In 11 cases (27.5%) TC were more numerous
and persistent on serial sections, still retaining bland cytological features (“hyperplastic TC”). In 5 cases (12.5%) hyperplastic TC also resulted cytologically atypical (“hyperplastic, atypical TC”). TC were ER+ (25/25); PgR+ (19/22);
HER2/NEU+ (5/20, mostly detectable in hyperplastic, atypical cells); CD138- (18/19); CK7/EMA+ (14/14); p63(14/14); p53- (14/14). By contrast, cells of PD, studied for
comparison, were ER-(6/10); PgR- (7/10); HER2/NEU+
(9/10); CD138+ (7/10); EMA/CK7+ (10/10); p63- (10/10);
p53+ (6/10).
TC are abortive mammary cells, able to proliferate and, in
10% of the cases, atypical. The combined use of CD138/p53
is the most useful tool in the differential diagnosis of atypical clear cells of the nipple, being negative in TC and positive in PD.
all’utilizzazione, 27 campioni erano riferibili a pazienti al I
stadio (IA n = 16; IB n = 11) con follow-up disponibile; il
materiale congelato è stato sezionato e colorato con E&E per
valutare la qualità del tessuto, l’estensione della presenza
della neoplasia, la presenza di necrosi, l’entità della reazione
desmoplastica e dell’infiltrato infiammatorio. L’RNA totale è
stato isolato utilizzando il kit di estrazione Trizol reagent (Invitrogen). I livelli di espressione dei geni STAT1, ERBB3,
LCK, MMD e DUSP6 sono stati valutati mediante una analisi Real Time Pcr con specifici TAQMAN probes e primers.
L’espressione dei singoli geni è stata quantificata in relazione
all’espressione del gene di controllo TBP (TATA-box-binding
protein). I livelli di espressione dei cinque geni analizzati
sono stati utilizzati per costruire un albero decisionale a tre
rami (decision tree model). Il software Avadis (Strand Genomic) è stato utilizzato per classificare i pazienti in due
gruppi, a basso (L) ed alto rischio (H) di progressione di
malattia sulla base dell’albero decisionale.
Risultati. L’analisi dei livelli di espressione dei 5 geni studiati ci ha permesso di classificare 16 dei 27 pazienti come a
basso rischio, e 11 pazienti come ad alto rischio. L’analisi del
follow-up ha dimostrato che nel periodo di osservazione si
sono verificati 4 decessi nel gruppo ad alto rischio e nessuno
nel gruppo a basso rischio (p = 0,005). L’analisi comparativa
di alcuni parametri, quali età, sesso, tipo istologico del tumore, ed intensità di infiltrato infiammatorio e reazione stromale non ha dimostrato differenze significative tra i due
gruppi. Attualmente stiamo estendendo lo studio a 50 campioni di NSCLC stadio II.
Conclusioni. I nostri risultati indicano che la “five-gene signature” proposta dal gruppo di Chen può costituire uno strumento efficace per identificare un gruppo di pazienti con
NSCLC ad elevato rischio di progressione di malattia.
Bibliografia
1
Chen et al. NEJM 007;356:11-20.
Una firma a 5 geni identifica i casi di
carcinoma polmonare non-microcitoma ad
elevato rischio di progressione
Espressione delle chinasi fosfo-Aurora A e
Aurora B nei tumori uroteliali della vescica
A. Pasanen, S. Scarpino, E. Duranti, C. Pompili, R. Erino,
G. Natoli, P. Marchetti, L. Ruco
F. Sanguedolce, G. Pannone, S. Tortorella, M.C. Pedicillo, P. Bufo
U.O.C. di Anatomia Patologica, di Chirurgia Toracica e di
Oncologia Medica, Ospedale “Sant’Andrea”, Università di
Roma “La Sapienza”
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia
Patologica, Università di Foggia, Italia
Introduzione. Il 70% circa dei carcinomi polmonari non a
piccole cellule (NSCLC) diagnosticati al primo stadio guariscono completamente dopo l’intervento chirurgico di lobectomia; il 30% dei casi va incontro a progressione di malattia
causando la morte del paziente. Attualmente non disponiamo
di marcatori prognostici predittivi che consentano di distinguere i due gruppi. In un recente studio effettuato da Chen
et al. 1 sono stati individuati 5 geni (“five-gene signature”)
espressi nell’ambito del tessuto tumorale che sono strettamente correlati con la sopravvivenza dei pazienti e con il rischio di recidiva di malattia. Nel presente lavoro abbiamo utilizzato l’analisi della “five-gene signature” proposta da Chen
per valutare la sua efficacia come fattore prognostico predittivo in un gruppo di 27 casi di NSCLC stadio I con followup medio di 33 mesi.
Metodi. Nell’ambito di una collezione di 160 frammenti di
NSCLC, congelati in azoto liquido e conservati a -80 °C fino
Introduzione. Aurora A e B sono enzimi serina/treonina chinasici della famiglia Aurora; entrambi svolgono ruoli essenziali nella evoluzione dell’evento mitotico, attraverso la formazione del fuso, la segregazione dei cromosomi (Aurora A),
la separazione dei centrosomi e la citochinesi (Aurora B).
La loro iperespressione ha come effetto l’instabilità cromosomica, ed è stata messa in relazione con l’insorgenza e la
progressione neoplastica.
Metodi. Sono stati esaminati 60 casi di tumori uroteliali papillari e non papillari della vescica, diagnosticati in base alla
classificazione ISUP/WHO 1998. La nostra casistica includeva lesioni di grado variabile da G0 (papilloma) a G3
(carcinoma ad alto grado di malignità), e con livello di infiltrazione da pTa (non infiltrante) a pT2 (infiltrante la tonaca
muscolare). Sono state condotte indagini immunoistochimiche utilizzando gli anticorpi anti-fosfo Aurora A
(T288, rabbit polyclonal, Bethyl Labs.) e anti Aurora B
(NB100-294, rabbit polyclonal, Novus Biologicals) con
FREE PAPERS
metodica LSAB-HRP (linked streptavidin-biotin horseradish
peroxidase).
Risultati. In tutti i casi di carcinoma (G2 e G3) è stato osservato un incremento statisticamente significativo di positività solo citoplasmatica (fosfo Aurora A) e sia citoplasmatica che nucleare (Aurora B) (p < 0,05) nei confronti dell’urotelio normale degli stessi campioni utilizzato come controllo interno.
Inoltre, nei casi G0 e G1 (papillomi e neoplasie) non è stato
osservato incremento di espressione proteica di Aurora B.
Conclusione. I nostri dati sui tumori uroteliali vescicali sono
in accordo con gli studi più recenti su neoplasie in altra sede
(tiroide, testicolo, prostata) circa la relazione tra iperespressione delle chinasi Aurora A e B e progressione tumorale.
Ulteriori studi su ampie casistiche sono auspicabili ai fini
dello sviluppo di farmaci inibitori chinasici che abbiano
come bersaglio Aurora A e B, da utilizzare come nuova frontiera nella terapia antineoplastica.
Caratterizzazione citogenetica su sezioni
istologiche di linfomi diffusi a grandi cellule
B: studio multicentrico
V. Martin1 2, B. Del Curto3, L. Pecciarini4, S. Uccella1, G.
Pruneri3, M. Ponzoni4, L. Mazzucchelli2, G. Martinelli3,
G. Pinotti1, A.J.M. Ferreri4, E. Zucca5, C. Doglioni4, F.
Cavalli5, C. Capella1, F. Bertoni5, M.G. Tibiletti1
1
Ospedale di Circolo, Varese; 2 Istituto Cantonale di Patologia, Locarno, Svizzera; 3 Istituto Europeo di Oncologia, Milano; 4 Istituto Scientifico, Ospedale “San Raffaele”, Milano;
5
Istituto Oncologico della Svizzera Italiana, Bellinzona,
Svizzera
Introduzione. I linfomi diffusi a grandi cellule B (DLBCL)
sono neoplasie caratterizzate da elevata eterogeneità clinica,
biologica e morfologica. Le anomalie cromosomiche più frequentemente riscontrate sono traslocazioni a carico dei geni
BCL2 e BCL6. La caratterizzazione citogenetica dei DLBCL
potrebbe essere d’ausilio per una più accurata classificazione
e per l’identificazione di sottogruppi con prognosi diversa.
Scopo di questo studio multicentrico è di identificare nei DLBCL la presenza di traslocazioni dei geni BCL2, BCL6,
MYC, MALT1 e BCL10 utilizzando un nuovo set di sonde
per FISH e di valutare il significato prognostico delle anomalie riscontrate.
Metodi. Abbiamo analizzato con metodo FISH campioni di
74 pazienti affetti da DLBCL nodali, identificati dal 1998 al
2000, con dati clinici e di follow-up completi. La FISH è stata eseguita su sezioni istologiche con sonde DAKO (Denmark) a strategia split-signal specifiche per i geni BCL2,
BCL6, MYC, MALT1 e BCL10. I campioni sono stati analizzati anche con tecniche di immunoistochimica secondo i
criteri di Hans et al. (Blood, 2004), per definire il fenotipo attivato o dei centri germinativi.
Risultati. Dei 74 casi studiati, 48 presentavano almeno una
traslocazione; in particolare, BCL2 era traslocato in 16 casi
(22%), BCL6 in 34 casi (46%), MYC in 12 casi (16%),
BCL10 in 14 casi (19%). Nessun caso aveva traslocazione di
MALT1. In 21 DLBCL sono state identificate traslocazioni
multiple (le più frequenti: BCL6 più BCL10 in 5 casi, BCL6
più BCL2 in 4 casi). Indipendentemente dal gene coinvolto,
la metà dei casi traslocati presentava un riarrangiamento classico (1 allele normale e 2 derivativi), mentre l’altra metà
147
mostrava un riarrangiamento complesso con perdita e/o polisomia dei derivativi. La valutazione dell’assetto genico ha
evidenziato polisomie a carico di tutti i loci indagati in 59
casi. Dal punto di vista immunoistochimico, 34 casi presentavano fenotipo tipo centro germinativo e 39 tipo attivato (1
caso non era valutabile). La correlazione tra i risultati FISH
e le caratteristiche clinico-patologiche dei pazienti sono in
corso.
Conclusioni. I dati presentati indicano che la FISH su
sezioni istologiche è un efficace strumento per identificare
specifiche traslocazioni nei DLBCL. L’analisi FISH ha evidenziato classi genetiche differenti per tipo di traslocazione e
questa classificazione potrebbe essere il presupposto per l’identificazione di sottogruppi diversi per prognosi e risposta
alle terapie.
CXCR4 nel carcinoma renale: oggi un nuovo
fattore prognostico, domani un nuovo
bersaglio per la terapia?
A. La Mura, A.M. Grimaldi*, P. Fedelini**, G. Capasso, D.
Masala**, S. Scala***, G. Carten*, O. Nappi
Division of Pathology, 2 Division of Oncology, 3 Division of
Urology, AORN “A. Cardarelli”, Naples, Italy; 4 INT “Fondazione Pascale” Clinical Immunology, Naples, Italy
Introduzione. Il carcinoma a cellule renali (RCC) rappresenta circa il 3% di tutte le neoplasie maligne ed almeno 1/3
dei casi si presentano già metastatici alla prima osservazione.
Recenti studi suggeriscono che le chemochine ed i loro recettori giocano un ruolo nei processi di metastatizzazione;
anche nel RCC è stata descritta l’espressione di recettori per
le chemochine, quale CXCR4 1. Caratteristica molecolare del
RCC è la mutazione con perdita della funzione del gene oncosoppressore VHL a cui segue, tramite l’accumulo di HIF1_, l’iperproduzione di molecole associate alla crescita e sopravvivenza cellulare ed all’angiogenesi, fra cui CXCR4.
Metodi. Abbiamo valutato l’espressione immunoistochimica
di CXCR4, classificandola in 4 gradi, in 253 carcinomi renali
operati presso l’A.O.R.N. “A. Cardarelli” tra il 1999 ed il
2006: 205 carcinomi a cellule chiare, 23 carcinomi papillari,
10 carcinomi cromofobi, 3 carcinomi sarcomatoidi e 12 carcinomi renali con aspetti istologici misti.
Risultati. In un primo campione di circa la metà della popolazione totale la correlazione dell’espressione di CXCR4 con
i fattori prognostici istopatologici ha mostrato un’espressione
alta (> 50%) e intermedia (10-50%) nel 90% dei pazienti con
grado nucleare 4, mentre il 60% dei pazienti con grado nucleare 1 ha una bassa espressione (< 10%); il 75% circa dei
pazienti con stadio T1 mostra bassa o assente espressione e
l’80% dei pazienti metastatici al momento della prima diagnosi ha un’alta espressione.
Conclusioni. Riteniamo che l’espressione di CXCR4 correli
con i fattori prognostici istopatologici e che possa essere considerato come un fattore prognostico molecolare, come un ulteriore utile marker per identificare i pazienti ad alto rischio.
Inoltre, considerando che, sia nella malattia metastatica che
in quella localmente avanzata, le terapie convenzionali sono
inefficaci e che circa il 30% dei pazienti con malattia localizzata e localmente avanzata svilupperanno metastasi con
una percentuale di sopravvivenza a 5 anni rispettivamente di
65-80% e 40-60% fino a 0-20% in presenza di metastasi, è
auspicabile lo sviluppo di nuove terapie e CXCR4 potrebbe
148
FREE PAPERS
rappresentare un nuovo target per una terapia molecolare
“mirata”.
Alterazioni dell’espressione di geni del ciclo
cellulare nel mesotelioma maligno pleurico
Bibliografia
1
Zagzag D, et al. Cancer Res 2005;65:6178-88.
S. Romagnoli, V. Vaira, M. Falleni, E. Fasoli, C. Pellegrini, L. Santambrogio*, S. Bosari, G. Coggi
Mutational analysis of the PIK3CA gene in
breast carcinomas: different prognostic role
of mutations in the helical and kinase
domains
F. Buttitta, L. Felicioni, S. Cotrupi*, M. Del Granmastro,
F. Barassi, A. Ferro**, P. Dalla Palma*, E. Galligioni**, A.
Marchetti, M. Barbareschi*
Clinical Research Center, Center of Excellence on Aging,
University-Foundation, Chieti, Italy; * Unit of Surgical
Pathology, Laboratory of Molecular Pathology, “S. Chiara”
Hospital, Trento, Italy; ** Unit of Medical Oncology, “S.
Chiara” Hospital, Trento, Italy
Introduction. Mutations in the PIK3CA gene, coding for the
PI3K catalytic subunit, are among the most frequent mutational events in breast cancer. The PI3K-AKT pathway plays
a fundamental role in signal transduction following tyrosine
kinase growth factor receptor (TKGFR) activation. We and
others have previously reported that the PIK3CA gene is frequently mutated at “hot spots” in exons 9 and 20, corresponding to the helical and kinase domain respectively. In
this study, we decided to investigate the association of
PIK3CA mutations with pathological and biological features
and clinical outcome in a large series of consecutive primary
infiltrating breast carcinomas.
Methods. Frozen samples of primary infiltrating breast carcinomas from 163 consecutive patients with complete pathological and clinical data were analyzed for mutations in exon
9 and 20 of the PIK3CA gene using SSCP and direct sequence of PCR products.
Results. We identified 45 missense mutations, 24 (53%) in
exon 9 and 21 (47%) in exon 20. Twelve (50%) of the 24 mutations in exon 9 were of the E542K type and 11 (46%) were
of the E545K type. Twenty (95%) of the 21 mutations in exon 20 were H1047R substitutions. Mutations in exon 9 were
more frequent in lobular carcinomas (42% of cases) than in
ductal carcinoma (11% of cases) (p = 0.002). At univariate
survival analysis PIK3CA exon 20 mutations were associated
with prolonged overall (OS) and disease free survival (DFS)
while mutations in exon 9 were associated with significantly
worse prognosis. At multivariate analysis exon 9 PIK3CA
mutations were the strongest independent factor to predict
poor prognosis for DFS (P = 0.0003) and OS (P = 0.001).
Conclusions. Exon 9 PIK3CA mutations are typical of infiltrating lobular carcinomas. PIK3CA mutations in different
exons are of different prognostic value: exon 9 mutations are
independently associated with early recurrence and death,
while exon 20 PIK3CA mutations are associated with optimal
prognosis.
Università di Milano, Dipartimento di Medicina, Chirurgia,
Odontoiatria, e A.O. “San Paolo”, Fondazione IRCCS,
Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; * Università di Milano e Dipartimento di Chirurgia Toracica, Fondazione IRCCS, Ospedale Maggiore
Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano
Introduzione. Il mesotelioma è una neoplasia a pessima
prognosi e con crescente incidenza nel mondo. Alterazioni
dei geni coinvolti nel controllo del ciclo cellulare sono stati
evidenziati in precedenti studi: perdita di espressione di
p14INK4a, alterata espressione di p27 e p21, delezioni di p16,
iperespressione di Aurora kinasi A e B.
Il presente studio ha l’obiettivo di analizzare l’espressione di
60 geni coinvolti nel controllo del ciclo cellulare in 45 pazienti con mesotelioma, mediante tecnica “Microfluidic card”.
Materiali e metodi. Sono stati raccolti e appropriatamente
congelati campioni di 45 pazienti portatori rispettivamente di
30 mesoteliomi epitelioidi, 5 mesoteliomi sarcomatoidi e 10
mesoteliomi bifasici.
Sono state inoltre analizzate due linee cellulari di mesotelioma, MSTO-211H e NCI-H2452, una linea cellulare di
mesotelio immortalizzato (Met5a) e come controparte non
neoplastica cinque pleure normali. L’RNA estratto dai campioni è stato retrotrascritto e caricato su Microfluidic card
contenente primers e sonde per 60 geni del ciclo cellulare opportunamente selezionati (“assay-on-demand”), 4 geni
housekeeping. Le card sono state analizzate mediante ABI
Prism 7900HT Sequence Detection System. I geni sono stati
considerati differenzialmente espressi se presentavano entrambe le seguenti condizioni: a) un rapporto di espressione
in tessuti tumorali e normali > 2 (Fold change-FC > 2) o minore di 0,5 (FC 0,5); b) un p value al T test < 0,01.
Risultati. Quarantacinque geni mostrano una maggiore
espressione nei tumori rispetto alle pleure normali, mentre
quattordici geni risultano ipo-espressi nel tumore rispetto al
normale. Diciannove geni hanno evidenziato un FC K/N > 2
o < 0,5 ma solo nove geni mostrano un T test < 0,01: Check1,
CCNH, Ciclina B1, P18 (CDKN2), ciclina D2, Ube1L,
CDC2, FOXM1, CDC6. Inoltre, l’espressione di Ube1l ha
evidenziato una correlazione con l’istotipo, denotando una
upregolazione nei mesoteliomi epitelioidi.
Conclusioni. Alcuni geni per lo più concentrati nella progressione tra la fase S e la fase M del ciclo cellulare risultano
differenzialmente espressi nel mesotelioma. Tali geni potrebbero avere un ruolo nella progressione e prognosi della neoplasia. Inoltre ulteriori studi dovranno accertare il significato
biologico del loro silenziamento come possibile atto terapeutico.
FREE PAPERS
Citologia in strato sottile su agoaspirati
ecoendoscopici di lesioni pancreatico-biliari
G. Fadda, E.D. Rossi, A. Larghi*, P.G. Lecca*, R. Ricci, F.M.
Vecchio
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica; 1 Divisione di
Endoscopia Chirurgica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione. L’introduzione, nell’ultimo decennio, della
citologia agoaspirativa (FNAB) in corso di eco-endoscopia
(EUS) ha migliorato la diagnostica delle lesioni solide pancreatico-biliari. Tuttavia la citologia delle lesioni pancreatiche presenta alcune difficoltà interpretative.
La citologia su strato sottile (TLC), diventata ormai di largo
utilizzo nella diagnostica agoaspirativa di numerosi organi, è
stata solo di recente applicata anche alla EUS. Obiettivo del
presente studio è la valutazione dell’efficacia della TLC in
corso di EUS in lesioni solide pancreatiche.
Metodi. 71 pazienti con lesioni solide del pancreas, della via
biliare o dell’ilo epatico hanno eseguito una FNAB in corso
di EUS, eseguito con aghi da 22-25G nel biennio 2006-2007.
Il materiale aspirato è stato esclusivamente processato secondo la metodica Thin Prep 2000 (Cytyc Corp, Marlborough,
USA).
Per una diagnosi definitiva, i casi citologici risultati positivi
alla citologia sono stati considerati conclusivi, per i casi dubbi o negativi per neoplasia, sono stati utilizzati, ove possibile,
l’istologia o il follow-up clinico.
Risultati. Sono stati ottenuti 55 casi (77,5%)di neoplasie maligne, 1 caso (1,4%) cito-istologico negativo e 15 inadeguati
(21%). In 9 casi (12,6%) la diagnosi di malignità è stata supportata anche dall’immunocitochimica (ICC) eseguita sul
materiale conservato dopo la TLC e di questi 4 erano tumori
neuroendocrini e 2 linfomi non-Hodgkin. Solo 4 pazienti
(5,6%) sono risultati falsi negativi con un’accuratezza diagnostica complessiva del 94,4%.
Conclusioni. La citologia in strato sottile rappresenta una
valida ed innovative metodica perfettamente applicabile alla
EUS per la diagnostica delle lesioni pancreatico-biliari. Ulteriori studi di confronto con la citologia tradizionale sono tuttavia opportuni per stabilire definitivamente l’efficacia di
questa metodica.
Bibliografia
De Luna R, et al. Diagn Cytopathol 2004;30:71-6.
Bardales RH, et al. Diagn Cytopathol 2006;34:140-75.
Malignant solitary fibrous tumor: a great
pretender. Report of 7 cases of
dedifferentiated malignant solitary fibrous
tumour with a deceptive morphology
P. Collini, M. Barisella, S. Stacchiotti*, M. Fiore**, A.
Gronchi**, P. Casali*, S. Pilotti
Anatomic Pathology C Unit, * Medical Oncology Unit, ** Musculo-skeletal Surgery Unit, IRCCS Fondazione Istituto Nazionale Tumori, Milan, Italy
Introduction. The diagnosis of solitary fibrous tumor (SFT)
is relatively easy if there is the typical morphologic pattern,
such as bland cells with a variably represented collagenous
stroma in a hemangiopericytomatous pattern. Though, this
149
tumor can show histologic heterogeneity, ranging from nearly totally collagenized tumors to neoplasms composed of
high-grade sarcoma. In particular, a high-grade component
lacking any characteristic reminding a SFT can be present
(so-called “dedifferentiated malignant SFT”). We report here
7 such cases.
Material and methods. From 2002 up to 2007 7 cases of
dedifferentiated malignant SFT diagnosed and treated at our
institution were retrieved. All these cases were reviewed applying updated criteria.
Results. There were 5 males and 3 females. Age at diagnosis
ranged from 44 to 73 years (median 55). Four primary tumors
were in the retroperitoneum, 2 at pleuro-pulmonary site, and
1 in the inguinal canal. In 5 cases a dedifferentiated component was diagnosed at the primary site and in 2 cases in the
liver metastases occurred 14 and 1 year from the presentation, respectively. The dedifferentiated component featured
in one case a true embryonal rhabdomyosarcoma, in 3 cases
a small round cell tumour-like component [Ewing sarcomalike (1 case) and poorly differentiated synovial sarcoma-like
(2 cases)], and in 3 cases a high-grade pleomorphic and/or
spindle cell sarcoma. The dedifferentiated components retained the immunophenotype typical of SFT, i.e., bcl2, CD34
and CD99 reactivity, but in the case featuring an embryonal
rhabdomyosarcoma. In this case, the rhabdomyosarcomatous
component expressed desmin and myogenin in absence of
bcl2 and CD34 reactivity. A diagnosis of dedifferentiated malignant SFT was possible in the presence of residual more
typical areas and on the knowledge of the existence of a previous SFT.
Conclusions. Among malignant SFTs, a group of dedifferentiated tumors exist, in which the typical morphologic features
of SFT are lacking. In our cases, the differentiated areas featured high-grade pleomorphic and/or spindle cell sarcomas,
small round cell-like sarcomas, or embryonal rhabdomyosarcoma. The dedifferentiated component was variably present
at onset, in relapses and/or in metastases. A right diagnosis is
possible if there are residual areas of typical SFT or there is
knowledge of a previous SFT.
Metodiche molecolari applicate a campioni
citologici d’archivio: perché possono fallire?
M. Barberis, M. D’Amico, M. Cannone
Dipartimento di Anatomia Patologica e Medicina di Laboratorio, Gruppo Multimedica/IRCCS, Milano
Introduzione. Da preparati citologici fissati e colorati è possibile estrarre DNA, più raramente RNA, e ricercare con tecnica PCR targets molecolari specifici. Il risultato atteso, positivo o negativo, è valutato attraverso il rispetto di protocolli
consolidati e l’introduzione di controlli positivi e negativi per
ciascun target. Tuttavia in citologia sono poco noti gli effetti
dei comuni reagenti d’uso sulla successiva applicazione di
tecniche molecolari.
Metodi. Abbiamo valutato 50 campioni citologici d’archivio
colorati con Papanicolaou (reagenti prodotti dalla nota ditta
A) con altri 50 preparati analoghi da archivio (reagenti
prodotti dalla nota ditta B). Rimossi i coprioggetto, la cellularità è stata recuperata con bisturi sterile e sospesa in alcool
assoluto. Il DNA è stato estratto con QiaAmp DNA Mini kit
(Qiagen, Hilden, D) secondo le istruzioni del produttore. Per
entrambe le serie il risultato dell’estrazione è stato valutato
150
allo spettrofotometro ottenendo i valori di ratio e resa
(µg/ml). Quindi si è eseguita amplificazione per due housekeeping gene: Bcl-6 (100 paia di basi) e HLA-DQ_ (242 paia di basi).
Risultati. Nella seria A la ratio variava da 1,27 a 1,82 (media
1,53), mentre nella serie B la ratio era compresa tra 1,80 a
2,00 (media 1,89). Per la serie A la resa variava da 58 a 343
µg/ml e da 12 a 30 µg/ml per la serie B. Tuttavia mentre
l’amplificazione per Bcl-6 e HLA-DQ_ era positiva in 46 dei
50 casi della serie B (92%), essa era costantemente negativa
per la serie A (0%). La valutazione comparativa delle schede
tecniche dei coloranti per Papanicolaou delle ditte A e B ha
rilevato che nei coloranti della ditta A (Ematossilina e EA50)
era presente acido acetico in percentuale inferiore al 5%,
mentre negli stessi coloranti della ditta B l’acido acetico non
era presente.
Conclusioni. La drammatica differenza osservata nei risultati della PCR è verosimilmente dovuta al noto effetto di
degradazione che l’ambiente acido esercita sul DNA 1. Questa osservazione rende auspicabile l’attento studio delle
schede tecniche di prodotto e l’adozione di metodiche
molecolari di controllo sui reagenti in uso. Se entrambi i
prodotti valutati sono perfettamente idonei alla pura morfologia, nel prodotto A esistono componenti capaci di
degradare il DNA a frammenti inferiori a 100 bp e di non renderlo più idoneo ai fini diagnostici.
Bibliografia
1
Bonis S, et al. J Clin Pathol 2005;58:313-6.
Utilizzo di metodica immunoistochimica e
metodica FISH per la valutazione di EGFR nei
carcinomi colorettali
A. Bernardi, E. Berno**, A. Crova*, G. Canavese, P. Lovadina, E. Margaria, N. Martinetti, E. Berardengo
S.C. Anatomia Patologica, ASO “San Giovanni Battista” di
Torino, Presidio Ospedaliero “San Giovanni” Antica Sede
(TO); * S.C. Oncologia Medica 2, ASO “San Giovanni Battista” di Torino, Presidio Ospedaliero “San Giovanni” Antica
Sede (TO); ** Oncologia Medica, Ospedale “Gradenigo”,
Torino
Introduzione. Il recettore del fattore di crescita epidermale
(EGFR), codificato dal gene omonimo sul cromosoma 7p12,
appartiene alla famiglia dei recettori tirosinachinasici. La
deregolazione del suo sistema di segnale determina: crescita
cellulare incontrollata, diminuzione dell’apoptosi, stimolo
dell’angiogenesi e proliferazione cellulare. EGFR è over
espresso in vari tumori solidi tra cui quelli colorettali e rappresenta un target di terapia mirata. Secondo dati di letteratura la probabilità di efficacia del trattamento non è prevista applicando un singolo metodo di dosaggio di EGFR, ma dalla
combinazione di più metodi. In un lavoro preliminare si eseguiva la reazione di Ibridazione in Situ in Fluorescenza
(FISH) su 30 prelievi istologici di pazienti già chemiotrattati,
da una casistica comprendente 114 tumori primitivi del
grosso intestino e 30 metastasi epatiche da carcinomi (ca)
colorettali, in totale 144 casi, precedentemente studiati con
metodica immunoistochimica (IHC).
Metodi. Su sezioni di 4 µm di 144 prelievi istologici fissati
in formalina ed inclusi in paraffina si eseguiva IHC con il kit
K1492 (Dako) FDA approvato per la visualizzazione della
FREE PAPERS
proteina EGFR e trattamento con terapia mirata Erbitux. Si
consideravano IHC positivi i campioni con positività di
membrana completa e/o incompleta in un numero di cellule
> 0% (aggiornamento FDA 09/06). Su 30 dei prelievi istologici IHC positivi si eseguiva FISH con EGFR-CEN7 Fish
kit (Dako). Si consideravano FISH positivi i campioni con
Ratio ≥ 2, o con polisomia > 4 copie di gene in ≥ 40% nuclei
analizzati. Quattro pazienti dei trenta erano trattati secondo il
protocollo Erbitux.
Risultati. Si trovava il 64% di positività IHC e il 36% di positività FISH senza alcuna correlazione significativa di p ≤
0,01 tra le due metodiche. Dei pazienti trattati con Erbitux:
due IHC positivi/FISH negativi non rispondevano alla terapia
con progressione della malattia e decesso, due, IHC/FISH
positivi (uno con amplificazione del gene EGFR, l’altro con
netta polisomia) rispondevano bene al trattamento.
Conclusioni. In un lavoro preliminare su campioni da ca colorettale non risulta correlazione tra espressione proteica e
stato del gene EGFR. Il numero di copie del gene potrebbe
interferire con la risposta all’Erbitux. Come da letteratura si
conferma che il dosaggio di EGFR è da affidare ad una combinazione di più metodi d’indagine per l’eterogeneità di stato ed espressione del gene nelle cellule tumorali.
Espressione di PTEN e risposta a cetuximab in
pazienti affetti da carcinoma colorettale
metastatico
M. Frattini, V. Martin, E. Romagnani*, M. Ghisletta, A.
Camponovo, L. Lunghi-Etienne, P. Saletti*, L. Mazzucchelli
Istituto Cantonale di Patologia, Locarno, Svizzera; * Istituto
Oncologico della Svizzera Italiana, Bellinzona, Svizzera
Introduzione. Cetuximab, che ha come bersaglio molecolare
EGFR, è un farmaco assai promettente per il trattamento di
pazienti con carcinoma colorettale metastatico (mCRC). Attualmente è oggetto di intenso dibattito se alterazioni genetiche degli effettori innescati da EGFR, come K-Ras, possano influenzare la risposta a tale farmaco. Il ruolo di PTEN,
la cui assenza di espressione predice resistenza a trastuzumab in pazienti con carcinoma mammario, non è ancora stato
investigato. Scopo del presente lavoro è quello di analizzare
lo stato genico di EGFR, di K-Ras e l’espressione proteica di
PTEN in pazienti con mCRC e correlare i dati molecolari con
il dato clinico di risposta cetuximab.
Metodi. Abbiamo analizzato 27 pazienti consecutivi con
mCRC. L’espressione di EGFR è stata indagata con il kit
PharmDx (Dako), lo stato genico di EGFR con FISH utilizzando le sonde LSI EGFR/CEP7 (Vysis). Le mutazioni di KRas sono state analizzate con sequenziamento diretto e l’espressione di PTEN con l’anticorpo primario della ditta Neomarkers. Un campione è stato definito come amplificato per
EGFR quando l’amplificazione genica è stata osservata in almeno il 10% delle cellule. La marcata polisomia è stata
definita quando almeno 3 copie del cromosoma 7 sono state
osservate in più del 50% delle cellule. Per ogni campione
sono state valutate almeno 100 cellule.
Risultati. Undici pazienti hanno mostrato risposta parziale
(PR) al cetuximab, 3 hanno mostrato stabilità della malattia
(SD) e 13 progressione (PD). SD e PD sono stati considerati
come non rispondenti (NR). In tutti i pazienti è stata osservata espressione di EGFR a livello immunoistochimico. Otto
FREE PAPERS
pazienti hanno mostrato amplificazione genica di EGFR (6
PR e 2 NR), 16 marcata polisomia del cromosoma 7 (5 PR e
11 NR) e 3 disomia (3 NR). Il gene K-Ras è stato trovato mutato in 10 casi (1 PR e 9 NR) e wild-type in 17 (9 PR e 8 NR).
Una normale espressione di PTEN è stata riscontrata in 16
casi (10 PR e 6 NR) e assente in 11 (tutti NR). L’associazione
tra mutazioni di K-Ras e l’espressione di PTEN con la risposta a cetuximab è statisticamente significativa (p < 0,05).
Conclusioni. Si confermano i dati della letteratura che indicano assenza di risposta a cetuximab nei pazienti con disomia
del cromosoma 7 e nei pazienti con mutazioni di K-Ras, indipendentemente dallo stato genico di EGFR. L’assenza dell’espressione di PTEN rappresenta un nuovo marcatore indipendente di resistenza al trattamento con cetuximab.
Esame istopatologico in alternativa allo
striscio citologico per l’esame del brushing
delle vie biliari
S. Asioli, G. Accinelli, E. Armando, D. Pacchioni, P. Cassoni, G. Bussolati
Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana,
Università di Torino
Introduzione. La citologia su striscio delle vie biliari extraepatiche effettuata con spazzolino (brushing endoscopico)
è il metodo più utilizzato per la valutazione delle lesioni delle
vie biliari extraepatiche, ma presenta scarsa sensibilità. Per
migliorarne la potenzialità diagnostica, presentiamo una nuo-
151
va ed originale metodica che permette di effettuare un esame
citologico ottimale del materiale ago-aspirato.
Metodi. Lo spazzolino viene immediatamente immerso in
metanolo e inserito nelle biocassette per l’inclusione in
paraffina. Vengono tagliate delle sezioni parallele e consecutive lungo l’asse maggiore, fino al core metallico; successivamente il blocco di paraffina viene ruotato di 180° e nuove
sezioni vengono effettuate sul lato opposto. Le sezioni, colorate in Ematossilina e Eosina e con Alcian Blue Mucine,
hanno mostrato piccoli frammenti di mucosa, di cellule infiammatorie aggregate o di carcinoma, con un’ottima fissazione, permettendo una diagnosi definitiva accurata in
quasi la totalità dei casi esaminati. Infatti 112 campioni citologici di brushing endoscopici delle vie biliari extraepatiche
(67 M; 45 F), raccolti all’Ospedale “Molinette”, Università di
Torino, tra Gennaio 2002 e Agosto 2006, sono stati inclusi
nel nostro studio. Tutti i pazienti avevano una diagnosi
definitiva istologica e un follow-up clinico medio di 21 mesi.
Risultati. Confrontando questa originale metodica su 112
casi consecutivi di brushing endoscopico con la diagnosi istologica su pezzo operatorio, abbiamo osservato: 87% di sensibilità, 100% di specificità, 100% di valore predittivo positivo (VPP) e 91% di valore predittivo negative (NPV). La
metodica inoltre, confrontata con la diagnosi clinica dopo almeno 6 mesi di follow-up, ha mostrato: 88% sensibilità,
100% specificità, 100% VPP e 96% VPN.
Conclusioni. In conclusione questa nuova metodica è altamente sensibile e specifica, limitando all’1% le diagnosi non
idonee, con una concordanza con la diagnosi istologica pari
all’88% (K-value).
B
POSTERS
PATHOLOGICA 2007;99:155-159
Applicazioni tecnologiche in A.P.
Match project: improvement of therapy
selection by matching molecular data from
colon cancer patients
L. Memeo*, S. Forte**, K. Matysiak***, M. Duplaga****, S.
Scarpulla**, M. Gulisano**
*
Department of Experimental Oncology, Mediterannean Institute of Pathology, Viagrande (CT), Italy; ** Fondazione
IOM, Viagrande (CT), Italy; *** Department of Surgery, Poznan University School of Medicine, Poznan, Poland; **** Department of Medicine, Jagiellonian University, Krakow, Poland
The main focus of MATCH project is the development of an
automatic computer-based system supporting decision process in patients with colorectal cancer. The strategic foundation of the MATCH project addresses the challenge of the integration of clinical practice and molecular approach establishing a framework to enable an efficient handling of diversified data sources. The framework is expected to improve adequacy of treatment options offered to patients. Since the response to therapy is affected by genetic variability, one can
assume that genetic fingerprinting could be a relevant way to
assess the sensitivity of a patient with specific molecular profile to a particular therapeutic mode. Since Single Nucleotide
Polymorphisms (SNPs) represent the molecular substrate of
this variability, SNPs fingerprinting provide molecular snapshot of a patient profile with information highly relevant for
anticipating the susceptibility to therapeutic agents or modes.
The process of MATCH system functionality development
was planned to take place in three stages. In the first one, the
system will be filled with quantitative and qualitative clinical
and genetic (mainly SNPs information for tumour suppressor
genes) data. Next, computational process will be carried out
and finally, the results that concern more effectively colon
cancer treatment will be obtained. The first stage crucial for
the initiation of the process is provision of clinical and genetic data from medical facilities. Genetic data are represented
mainly by SNPs information of TSGs from: patient normal
tissues, patient primary tumour, lymph nodes and distant metastasis (when available). Additional genetic and molecular
data may be also used. Clinical and genetic data of all patients are used to generate homogeneous clusters of patients
with the longest subset of features (both clinical and genetic).
It is expected that all members of a cluster will respond to
specific therapeutic modes in similar way since their molecular profiles reveals high level of concordance. The automated decision support system is then used to match the clinical and genetic profile of a new patient with the clusters representing homogeneous groups of patients in MATCH data
set. The new profile is assigned to the cluster showing the
smallest distance in its centroid profile. Statistical analysis of
cluster population provides information on the best available
therapy for the new patient based on the outcomes of all cluster members.
Parametri morfologici nella diagnosi delle
lesioni anali HPV correlate: valutazione di tre
differenti metodiche citologiche su campioni
provenienti da soggetti omosessuali maschi
HIV positivi
F. Pagano, E. Omodeo Zorini, A. Ferri, C.M. Antonacci,
R. Beretta*, L. Vago, M. Nebuloni
U.O. Anatomia Patologica Dipartimento Scienze Cliniche
Ospedale “L. Sacco”, Milano; * Seconda Divisione Malattie
Infettive Ospedale “L. Sacco”, Milano
Introduzione. Il ruolo degli HPV nella displasia e nel carcinoma della cervice è ormai assodato. Dati recenti documentano l’implicazione di HPV anche nell’eziologia delle lesioni displastiche e del carcinoma anale, la cui incidenza è in aumento negli ultimi anni tra soggetti omosessuali maschi, soprattutto HIV positivi. La citologia anale potrebbe dunque
rappresentare un valido strumento di screening nella diagnostica delle lesioni HPV correlate.
Come per le lesioni cervicali, la diagnosi delle lesioni anali
da HPV si basa sulla valutazione di parametri morfologici
ben definiti. Lo scopo di questo studio è il confronto di tali
caratteri morfologici in preparati citologici anali ottenuti mediante l’applicazione di tre differenti metodiche di processazione dei campioni: striscio convenzionale, citospin e citologia su strato sottile (thin prep).
Metodi. Sono stati raccolti mediante “brushing” 62 campioni anali provenienti da omosessuali maschi HIV positivi con
infezione da HPV dimostrata mediante biologia molecolare.
Da ogni campione sono stati allestiti: striscio, cytospin e
thin prep, tutti colorati con metodo di Papanicolaou. Nella
valutazione morfologica sono stati considerati 5 parametri:
coilociti, cellule coilocitosimili, discheratociti atipici, lesioni ASCUS e lesioni squamose intraepiteliali. Infine, indagini di immunoistochimica con anticorpi anti-HPV sono state
effettuate su ogni vetrino. I reperti morfologici ed immunoistochimici sono stati sottoposti ad una stima semiquantitativa ed è stato realizzato un confronto dei risultati nelle tre
metodiche.
Risultati. Non sono state rilevate differenze dei parametri
morfologici nei preparati citologici ottenuti mediante le tre
differenti metodiche. La presenza di cellule coilocitosimili e
di discheratociti atipici rappresenta un reperto costante in
questi preparati, anche in assenza di coilociti classici. L’immunoistochimica è risultata positiva nell’85% dei casi. In alcuni casi una negatività immunoistochimica è stata ottenuta
anche in presenza di coilociti.
Conclusioni. Questo studio dimostra che le tre metodiche sono sovrapponibili per quanto riguarda la valutazione dei parametri morfologici utili nella diagnosi delle lesioni anali
HPV correlate. Si rileva inoltre che l’immunoistochimica
sottostima la presenza di HPV nei prelievi e che, in assenza
di coilociti, è necessaria la valutazione di discheratociti atipici e cellule coilocitosimili per la diagnosi.
POSTERS
156
Use of telepathology for frozen section
diagnosis: a support and a teaching tool for
young pathologists
S. Alexiadis, C. Arizzi, L. Cattaneo, S. Ferrarese, S. Manara, M. Barberis
Department of Pathology, Multimedica Group/IRCCS, Milano
Background. Young pathologists perform frozen sections
(FS) on inpatients and they are backed up by staff. For fellows of a Pathology operating far from central labs, to be alone could be very difficult. Our Department serves two hospitals respectively 21 and 50 kilometers far. Then, FS diagnoses are performed, mainly for breast surgery.
We evaluated the performaces of two young isolated pathologists assisted by a static telepathology system (TP) (Nikon
Corporation, Tokyo, Japan), via an Intranet network.
Materials and methods. We retrospectively analyzed 120
cases of breast specimens diagnosed by FS from January
2006 to April 2007. 76 and 44 cases respectively were evaluated by two junior pathologists and re-evaluated on line by
senior pathologists at the same time. FS diagnoses were registred and discussed by phone before the communication to
the surgeons. The time of discussion was also registered. The
final diagnoses obtained from formalin fixed and paraffin
embedded (FFPE) specimens were compared to FS before
and after TP. Diagnostic errors were classified as interpretation errors (discrepancies betweeen FS, TP and final slides);
sampling errors (discrepancies between TP assisted FS and
final slides). Diagnostic errors were further classified as
either clinical significant or insignificant.
Results. The FS diagnoses were infiltrating carcinoma 95;
intra ductal carcinoma 4; benign neoplasms 11; nonneoplastic disease 8; atypical proliferative lesion to be defined on final slides 2. Diagnostic agreement between FS and TPS was
obtained in 118/120 cases (98.3%). Discordant cases were an
intraductal carcinoma considered infiltrating on FS and a benign proliferative lesion on FS that was considered incertain
for malignancy by TP. This lesion corresponded to a phyllodes tumor of uncertain potential of malignancy; the other case was confirmed as intraductal carcinoma. In one case a
sampling error was showed by the histological sections from
FFPE samples: a focus (5 mm in diameter) of infiltrating duct
carcinoma was missed in FS and TP. The time of discussion
ranged from 3 to 10 minutes (mean: 6 minutes).
Conclusion. Diagnostic agreement in our study is comparable to the rates (92-100%) in previous studies. The most significant error was an inappropriate tissue sampling. In our
experience TP for FS diagnosis is a significant support and
teaching tool for young pathologists.
Alla ricerca del fissativo ideale
M. Forni, Pandiscia, F. Pulerà
Sevizio di Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale Infantile “Regina Margherita”, Torino
Introduzione. La formalina rappresenta ancora oggi il fissativo maggiormente utilizzato nella routine di laboratorio, e
nonostante da circa venti anni si sia a conoscenza dei potenziali effetti cancerogeni da esposizione professionale alla formaldeide, solo recentemente la I.A.R.C. l’ha dichiarata cancerogeno umano. Lo scopo del nostro lavoro è valutare se
l’utilizzo di fissativi costituiti da sali a base di zinco (ZBF),
possano costituire una valida alternativa alla formalina, e siano equivalenti o più idonei rispetto ai fissativi disponibili in
commercio e non rappresentino un rischio per la salute del
personale.
Metodi. Il nostro studio prevede una fissazione di tipo chimico mediante utilizzo di ZBF, ma anche una fissazione di tipo fisico, mediante utilizzo del forno a microonde. Sono state preparate diverse miscele fissative a base di sali di zinco,
alle quali sono stati aggiunti tensioattivi e sistemi tampone. I
campioni istologici erano rappresentati da tessuto fresco
aventi tutti lo stesso spessore di circa 0,5 cm. Le sezioni venivano poi fissate in due differenti modi: in un primo, le sezioni venivano fissate in ZBF un’ora a temperatura ambiente
a cui seguiva un ulteriore fissazione al microonde con le sezioni immerse in alcool 70% per meno di un ora (30 minuti a
400 W e 20 a 180 W). Nel secondo metodo, le sezioni venivano immerse in ZBF a temperatura ambiente e lasciate a fissare fino al giorno seguente. Una volta terminata la procedura di fissazione, i campioni venivano processati ed inclusi in
paraffina. Per ogni campione istologico fissato ed incluso, è
stata eseguita una ematossilina-eosina con sezioni aventi lo
spessore di 3-4 micron e sezioni adiacenti per immunoisochimica.
Risultati. Al microscopio ottico, i preparati colorati, presentano tutti una buona morfologia strutturale, con una discreta
conservazione del dettaglio istologico del tessuto analizzato.
Le cellule risultano ben distinguibili l’una dalle altre, e non
presentano il fenomeno della coartazione, visibile invece nei
preparati fissati su base alcolica. Anche l’immunoistochimica è risultata soddisfacente con lo ZBF.
Conclusioni. Dalla nostra esperienza, è dimostrato che lo
ZBF può rappresentare una valida alternativa, in quanto non
dimostra inconvenienti nella pratica routinaria di laboratorio
e permette di ottenere dei preparati istologici di qualità paragonabile, se non migliore, rispetto a quelli ottenuti con la formalina.
Realizzazione e gestione di un archivio
elettronico di una banca dei tessuti
E. Bonanno, S. Cappelli, R. Bernabei, A. Costantini, W.
Von Lorch, F. Raparelli, L.G. Spagnoli
Università “Tor Vergata,”Roma
Introduzione. Le banche dei tessuti inclusi in paraffina costituiscono un prezioso patrimonio per la ricerca traslazionale. Per la gestione di una banca di tessuti è fondamentale la
messa a punto di un sistema informatico gestionale, al fine di
garantire una accurata registrazione di dati inerenti al paziente, alle qualità intrinseche e a quelle estrinseche del tessuto in
esame.
Metodi. La banca delle neoplasie è costituita da 1830 neoplasie selezionate tra quelle pervenute al servizio di Anatomia ed Istologia Patologica di “Tor Vergata” nel quinquennio
2001-2006. Nel data base sono stati inseriti dati anagrafici
(età, sesso del paziente), dati anamnestici, dati riguardanti il
tipo di fissativo (formalina, formalina tamponata, altro), la
durata della fissazione (12-24 ore, 24-48 ore, > 48 ore). Le
neoplasie sono state classificate da due patologi in cieco specificando l’istotipo, il grading istologico, il pTNM, il codice
SNOMED, la valutazione dei marcatori molecolari eseguiti.
Il database è stato progettato con il programma “Microsoft
POSTERS
157
Organo
M
Pancreas
Mammella
9
6
Fegato
Colon
Tiroide
F
Età
Casi totali
Tumori
benigni
5
1398
65,3
44,8
14
1404
6
672
30
20
66,7
50
3
111
60
109
82
58,9
35,4
220
142
95
16
Access” ed è stato strutturato con maschere suddivise per argomento ad accesso regolato da password. Ad ogni neoplasia
è stata associata una immagine rappresentativa della diagnosi. Sono state inoltre previste delle “query” standard per le
associazioni di più comune utilizzo. Inoltre è stato predisposto un menu di aiuto per la formulazione di “query” personalizzate.
Risultati. La distribuzione delle neoplasie dall’esame generale del data base è riportata in tabella..
Conclusioni. In una prima fase di utilizzazione il data base
ha consentito di individuare 50 neoplasie benigne e maligne
della mammella idonee per la costruzione di un “tissue microarray” per il controllo di qualità per le reazioni di immunoistochimica dei marcatori molecolari indispensabili per la
terapia adiuvante e neoadiuvante del carcinoma della mammella. Il “database” si è rivelato uno strumento utile per la
consultazione di un archivio di patologie meno frequenti quali quelle del pancreas e del fegato sia a scopo didattico (immagini di aspetti significativi per la diagnosi) che di ricerca.
Museo virtuale di anatomia patologica:
applicazioni alla patologia del sistema
nervoso centrale
E. Bonanno, A. Colantoni, A. Costantini, C. Fortunato, P.
Gallo*, L.G. Spagnoli
Università “Tor Vergata”, Roma; * Università di Roma “La
Sapienza”
Introduzione. La diagnostica anatomo-patologica, ed in particolare l’esame autoptico, hanno un ruolo determinante per la
comprensione del quadro clinico con il danno d’organo momento fondamentale per determinare il susseguirsi degli eventi morbosi. La raccolta di reperti anatomici di rilievo clinico ha
dato luogo alla istituzione di musei di anatomia patologica prevalentemente per scopi didattici. Attualmente la gestione di
queste strutture è molto complessa e poco flessibile se comparata ai moderni mezzi della didattica interattiva. Obiettivo del
presente studio è stato quello di organizzare un museo virtuale
di reperti anatomici del sistema nervoso centrale a fini didattici per gli studenti in medicina e per i medici in formazione.
Materiali e metodi. Sono stati selezionati e fotografati 243
reperti anatomici del sistema nervoso centrale, conservati nel
Tumori
maligni
8 Adenocarcinoma
241 DCIS
14 LCIS
454 DCI
23 LCI
4 Epatocarcinoma
34 Adenocarcinoma
1 Colangiocarcinoma
8 Sede di metastasi
125 Adenocarcinoma
119 Carcinoma papillifero
3 Carcinoma midollare
4 Tumore a cellule di Hurthle
Museo di Anatomia Patologica dell’Università di Roma “La
Sapienza”. I reperti sono stati classificati per patologia e per
ogni capitolo sono state redatte delle tavole sinottiche di anatomia patologica comprendenti i fondamenti per la diagnosi
compresi i criteri per la diagnosi differenziale. È stato quindi
allestito un database utilizzando un “foglio excel” che consentisse rapidi collegamenti ipertestuali tra le tavole sinottiche e le foto dei reperti macroscopici.
Risultati. Nel nostro museo virtuale sono state inserite immagini relative a 243 casi suddivisi in 15 malformazioni, 35
patologie infettive/infiammatorie, 5 patologie degenerative,
73 patologie vascolari, 115 patologie neoplastiche (5 adenomi ipofisari, 88 neoplasie primitive cerebrali, 15 neoplasie
primitive delle meningi, 7 neoplasie secondarie). Da ogni immagine è stato predisposto un collegamento con le tavole sinottiche di pertinenza consentendo così una immediata associazione tra l’eziologia, i criteri diagnostici ed il danno d’organo.
Conclusioni. Il foglio elettronico da noi realizzato, grazie ai
collegamenti ipertestuali, consente una rapida consultazione
del materiale sia dalle singole immagini che per gruppo di
patologia. I risultati ottenuti costituiscono una buona premessa per ampliare la casistica contenuta nel museo virtuale
estendendo la casistica ad altri sistemi ed apparati. Tale
espansione dovrebbe essere finalizzata soprattutto ad inserire
reperti di patologie rare nella nostra popolazione che si osservano sempre più frequentemente sia per la maggiore facilità degli spostamenti che per le frequenti e numerose migrazioni.
Mutazione K601E del gene BRAF in un
carcinoma papillare a cellule chiare:
descrizione di un caso con diagnosi citologica
su strato sottile
E.D. Rossi, E. Simonetti**, M. Raffaelli*, F. Morassi, D.
Bianchi**, C. Trozzi**, G. Fadda
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica; * Divisione di
Chirurgia Endocrina, Università Cattolica Sacro Cuore, Roma e ** Bioaesis S.r.l., Jesi (AN)
Introduzione. La mutazione V600E del gene BRAF è descritta nella variante classica del carcinoma papillare della ti-
158
roide, mentre la mutazione K601E del BRAF è molto meno
frequente e più caratteristica della variante follicolare 1. Viene descritto il primo caso di mutazione K601E del BRAF in
un carcinoma papillare a cellule chiare. La stessa mutazione
si osserva anche nel materiale agoaspirativo allestito in strato sottile.
Metodi. Una paziente di sesso femminile di 37 anni esegue
un agoaspirato di un nodulo tiroideo sin di cm 2,1 che viene
allestito in strato sottile con la metodica Thin Prep 2000 TM
(Cytyc Italia, Roma). In base alla diagnosi di sospetto per
carcinoma papillare si esegue una tiroidectomia totale che
documenta due focolai contigui di carcinoma papillare varietà follicolare con aspetti a cellule chiare. L’estrazione del
DNA viene eseguita sia sul materiale conservato in fase liquida, e non utilizzato per l’allestimento del preparato citologico, sia su quello incluso in paraffina.
L’analisi molecolare utilizzata rileva mutazioni sia del codone 600 del gene BRAF sia di quelli ad esso adiacenti e include due fasi: 1) una PCR-RFLP arricchita, che consente di amplificare una porzione del gene BRAF e di arricchire il campione in alleli mutati tramite digestione selettiva degli alleli
non mutati e 2) una Real-Time PCR che identifica la mutazione.
Risultati. Sono state studiate le mutazioni V600E, K601E e
VK600-IE del gene BRAF. Nel caso in questione, sia sul materiale citologico sia sull’inclusione per l’istologia risulta
modificata la K601E con sostituzione di una lisina con un
acido glutammico nel codone 600 che determina l’attivazione del BRAF.
Conclusioni. La mutazione K601E di BRAF non è mai stata
descritta in un caso di carcinoma papillare varietà follicolare
a cellule chiare sebbene la mutazione V600E di BRAF venga riportata come altamente presente e selettiva nel carcinoma papillare tiroideo. Nel caso in esame la mutazione K601E
si associa ad una rara varietà di carcinoma papillare e pertanto questa analisi potrebbe essere utilizzata per una diagnosi
citologica pre-operatoria.
Bibliografia
1
Trovisco V, et al. Virchow Arch 2005;446:589-95.
2
Salvatore G, et al. J Clin Endocrinol Metab 2004;89:5175-80.
POSTERS
through the sending of microscopic images by Internet. Aim
of this study is to evaluate the effectiveness of this project in
terms of diagnostic accuracy analyzing the interobserver reproducibility using appropriate statistics.
Methods. 542 consecutive pap smear performed during the
whole year 2006 were evaluated: all smears were initially diagnosed by two local technicians, trained on the spot through
theoretical lessons and practice activity by some members of
the project. After the training period, the two technicians became able to recognise the main cytological alteration, to select and photograph some microscopic fields of every suspect
case (≥ ASC) and to send it to a special website where a forum of volunteers cytologists assessed a definitive diagnosis
and sent it back to Chirundu. Negative and unsatisfactory
cases were directly reported by the technicians. Finally, all
the 542 slides were then sent to Italy and revised by an expert.
Results. On 542 cases, 404 (74.5%) were directly reported
by the Zambian technician (354 negative and 50 unsatisfactory); selected images of the remaining 138 cases (25.5%)
were evaluated through the website. To check the diagnostic
accuracy of the two technicians we compared their 542 diagnosis with the diagnosis of the expert using two statistics that
estimates the difference between how much agreement between two observers is actually present and the agreement
that would be expected by chance alone, the Cohen’s κ and
Gwet’s AC1 statistic, obtaining a value of 0.72 and 0.81 respectively (the perfect agreement being 1). The same statistics were also applied to a comparison between the 138 diagnosis made by the Internet forum and the diagnosis of the expert obtaining a value of 0.56 and 0.62 respectively. A
weighted Cohen’s κ was also applicable in this case, giving
values 0.63 and 0.70 with linear and quadratic weighting, respectively.
Comment. There are encouraging evidences about the opportunity to manage a cytological routine by means of Internet; moreover, a well organized training program plays a key
role to improve the already interesting results of this particular type of telepathology.
Invasione capsulare nei tumori della tiroide:
evidenze 3D di un duplice meccanismo
Checking diagnosis by telepatology: a
statistical analysis of one year of esperience
in remote second opinion on Pap smears
permormed in a surgical pathology
department in Zambia
S. Guzzetti, F. Pennecchi*, B. Zingaro**, A. Faravelli***, L.
Viberti, A.M. Ferrari****
S.C. di Anatomia Patologica, Ospedale Evangelico Valdese,
ASL1, Torino, Italy; * Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM), Torino, Italy; ** S.C. di Anatomia Patologica,
Ospedale di Savigliano, Italy; *** S.C. di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera di Vimercate, Ospedale di Desio,
Desio, Italy; **** Servizio di Anatomia Patologica e Citopatologia, Casa di Cura S. Pio X, Milano
Introduction. The association “Patologi Oltre Frontiera”
NGO undertook in 2005 a project with the Mtendere Mission
Hospital in Chirundu, Zambia to built and organise there a
surgical pathology Department and to train the local staff in
Pap smear examination with a remote check of their activity
C. Paulon, G. Rizzo*, R. Fiorillo**, D. Tresoldi*, A. Destro**, P. Comi***, M. Roncalli, L. Di Tommaso
Dipartimento di Patologia, Università di Milano ed Istituto
Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano; * Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare (IBFM), CNR, L.I.T.A. Segrate, Milano; ** Laboratorio di Genetica Molecolare, Istituto Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano; *** Dipartimento
di Scienze e Tecnologie Biomediche, L.I.T.A. Segrate, Milano
Introduzione. La diagnosi di carcinoma follicolare della tiroide poggia su criteri di esclusione (assenza di aspetti citologici caratteristici del carcinoma papillare) unitamente alla
individuazione di aspetti di invasione 1) vascolare e 2) della
capsula perilesionale. Definire con certezza questi parametri
può essere difficile, se non impossibile. I principali strumenti attualmente a disposizione del patologo sono rappresentati
dall’impiego di marcatori vascolari e di sezioni su più livelli. Tuttavia, nei casi ove non si raggiunga una diagnosi, è stato proposto di utilizzare la dizione di Tumore follicolare ad
incerto potenziale di malignità (Williams ED. Int J Surg
Pathol 2000).
POSTERS
Obiettivo. Ricostruire gli aspetti tridimensionali 3D di casi
di invasione capsulare “sicura” (ICS) e “dubbia” (ICD).
Materiali e metodi. Sei casi di tumore follicolare (TF) della
tiroide selezionati per la presenza di aspetti di ICS (n° = 3) o
ICD (n° = 3) costituiscono l’oggetto di questo studio. Per ciascun caso è stato individuato un blocchetto significativo e,
individuata l’area di interesse, la stessa è stata evidenziata
utilizzando la procedura per l’allestimento di un array tissutale (AT) (Bussolati GJ. Cell Mol Med 2005). Successivamente sono state tagliate un numero medio di 70 sezioni seriate (range 50-100) di 2-3 µm. Le immagini di queste sezioni sono quindi state allineate mediante i punti ottenuti con la
metodica per AT ed acquisite utilizzando il pacchetto software di visualizzazione tridimensionale Amira (versione 4.1,
Mercury Computer System SA). La ricostruzione 3D delle
aree in esame e dei rispettivi costituenti (capsula perilesionale, gettone neoplastico, vasi) è stata poi ottenuta connettendo
tali aree mediante triangolazione.
Risultati. L’analisi delle sezioni seriate ha evidenziato che i
casi di ICD sono sempre associati alla presenza di strutture
vascolari che penetrano nel tumore attraverso la capsula, determinando una soluzione di continuo nella stessa; tali vasi
sono risultati assenti in 2/3 casi di ICS. In un caso di ICS, al
contrario, si è evidenziato un vaso posto in stretta relazione
159
al gettone neoplastico. L’analisi 3D ha confermato che nei
casi di ICS il gettone neoplastico ha un aspetto a “fungo” evidenziando inoltre che la capsula perilesionale appare sfrangiata nel punto di infiltrazione. Nei casi di ICD il gettone
pseudoinfiltrante cresce nello spazio compreso fra il vaso e la
capsula. Infine, nel caso di ICS associato alla presenza di un
vaso l’indagine 3D ha dimostrato che il gettone neoplastico,
dopo essersi insinuato nello spazio tra vaso e capsula, ha
compresso il vaso e, seguendone il tragitto a ritroso, ha superato la capsula perilesionale (vedi http://www.ibfm.cnr.it/istituto/news.php).
Discussione. I nostri dati suggeriscono che l’infiltrazione
della capsula nei TF della tiroide possa avvenire con due modalità. Il gettone neoplastico può interrompere, distruggendola, la capsula perilesionale (infiltrazione vera). In alternativa
il gettone neoplastico può crescere attorno ad un vaso che
dall’esterno entra dentro al TF (pseudoinfiltrazione) sino al
punto di comprimerlo e, seguendone il percorso a ritroso, erniare all’esterno (erniazione). È verosimile che, dal punto di
vista biologico, l’infiltrazione vera rifletta capacità molecolari specifiche mentre l’erniazione rappresenti un mero evento meccanico. Tale ipotesi suggerisce anche di rivalutare in
maniera ponderata il significato clinico della invasione capsulare nella diagnosi di carcinoma follicolare.
POSTERS
PATHOLOGICA 2007;99:160-162
Cardiopatologia
PTHRP e PTHR1 e adattamento miocardico
all’insulto ischemico
Morte inattesa da grave cardiopatia
polifattoriale in bambino “FIVET” di 12 mesi
V. Arena*, G. Monego**, E. Arena*, E. Stigliano*, S. Pasquini*, F.O. Ranelletti***, A.Capelli*
E. Barresi, R. Bussani, F. Silvestri
Istituto di Anatomia Patologica; ** Istituto di Anatomia
Umana; *** Istituto di Istologia ed Embriologia
UCO Anatomia Patologica, Ospedale di Cattinara, Trieste
*
Introduzione. Lo Human Parathyroid Hormone Related
Protein (hPTHrP) ed il Parathyroid Hormone Receptor 1
(PTHR1), formano un sistema ligando/recettore che influisce
sulla fisiopatologia cardiovascolare. Nei miocardiociti umani, il PTHR1 è diffusamente espresso, mentre il PTHrP è prevalentemente espresso a livello atriale, con espressione sfumata/assente nei miocardiociti ventricolari. Nei modelli sperimentali, il PTHrP esogeno ha effetto inotropo, cronotropo e
lusitropo positivi, nonché di vasodilatazione coronarica,
agendo sul PTHR1. Il nostro studio, condotto su casistica autoptica, valuta l’espressione del PTHrP e del PTHR1 nei miocardiociti ventricolari umani, nonché eventuali variazioni in
relazione all’ischemia.
Obiettivi. Sulla base di osservazioni effettuate su una casistica ridotta, abbiamo deciso di ampliare lo studio dell’espressione di hPTHrP e PTHR1 nei miocardiociti ventricolari, raddoppiando il campione iniziale, valutando quindi eventuali correlazioni con l’ischemia, il tipo di morte, la coronarosclerosi, l’ipertrofia, il disarray.
Metodi. L’espressione di hPTHrP e PTHR1 è stata studiata
con metodica immunoistochimica su campioni di miocardio
ventricolare sinistro prelevati da 101 riscontri diagnostici effettuati presso il Policlinico Universitario “A. Gemelli”. Su
base clinico-morfologica abbiamo diviso la casistica in decessi per causa ischemica e non ischemica.
Risultati e conclusioni. I miocardiociti ventricolari umani
esprimono sia PTHrP, sia PTHR1. L’iperespressione del
PTHrP risulta correlata in modo significativo con i segni di
ischemia (Fisher 0,0196), con il disarray (Fisher = 0,0114),
con l’ipertrofia (Fisher = 0,0456). L’iperespressione del
PTHR1 risulta correlata con l’ischemia (Fisher = 0,0022),
con la morte ischemica (Fisher = 0,0394), con la coronarosclerosi (Fisher = 0.0015), con l’ipertrofia miocardiocitaria
(Fisher = 0,0080). L’iperespressione del peptide è correlata
con quella del recettore, (Fisher = 0,0004), senza elementi a
favore dell’ipotesi di down-regolazione recettoriale.
Sulla base delle nostre osservazioni, il sistema
hPTHrP/PTHR1 parrebbe agire come un modulatore della
funzione ventricolare secondo circuiti paracrini ed autocrini,
basandosi sul rilascio di peptide da parte dei miocardiociti
ventricolari ancora vitali (e dall’endotelio). L’iperespressione
di hPTHrP/PTHR1 entrerebbe pertanto a far parte dei numerosi meccanismi di adattamento miocardico all’ischemia ed
al deficit funzionale.
Un bambino di 15 mesi, nato, assieme ad un gemello, con
metodica di procreazione assistita FIVET, venne portato all’osservazione dei sanitari del Pronto Soccorso Pediatrico per
una tosse persistente stizzosa insorta qualche ora dopo un
episodio di inalazione accidentale di materiale alimentare.
Anamnesticamente il bambino risultava congenitamente ipotiroideo e circa due settimane prima aveva avuto una “flu-like
syndrome”. La radiografia del torace evidenziava un’iperdiafania del polmone destro con sbandieramento mediastinico a
sinistra. Il giorno seguente il polmone sinistro risultava già
atelettasico. Venne eseguita in emergenza una broncoscopia
con estrazione di alcuni frustoli di materiale alimentare dall’albero endobronchiale e ventilazione assistita cui fece velocemente seguito un quadro di pneumotorace sinistro con realizzazione di enfisema sottocutaneo toracico ed arresto cardiaco resistente a qualsiasi manovra rianimatoria. L’esame
autoptico non evidenziò perforazioni parietali dell’asse tracheo-bronchiale post-broncoscopia, ma un cuore del peso di
40 g con vistosa ectasia del distretto atrio-ventricolare destro
e cospicua transilluminabilità del cosiddetto “triangolo della
displasia”, anche con “bulging” dell’efflusso dell’arteria polmonare. L’istologia cardiaca dimostrò fenomeni di ipertrofia,
attenuazione ed atrofia miocellulare, grave ispessimento fibroso endocardico con presenza di cellule muscolari lisce nel
suo contesto, nonché, a carico della parete anteriore mediobasale, un piccolo “myocardial bridge” che comprimeva, e
parzialmente disassiava l’arteria coronaria discendente anteriore ed il primo diagonale. La zona del triangolo della displasia appariva strutturalmente “displastica” anche se non
sostituita da tessuto adiposo, fatto invece evidente a livello
dell’apice ventricolare destro. A livello della parete posteriore ventricolare sinistra si evidenziava, inoltre, un ampio focolaio di miocardite linfoistiocitaria interstiziale in fase attiva. I dati morfologici cardiaci farebbero pensare ad una cardiomiopatia destra in fase iniziale o comunque ad una cardiomiopatia dilatativa polifattoriale, forse almeno in parte sostenuta dalla situazione di ipotiroidismo congenito. La miocardite attiva è stata un’ulteriore aggravante per un cuore già
pesantemente compromesso, anche per le possibili problematiche aritmiche correlate. In questo contesto l’evento “ab ingestis” è stato probabilmente un destabilizzatore di una situazione di estrema fragilità cardiaca.
POSTERS
Mixomi atriali: caratteristiche delle
interazioni cellula-matrice
G. Donato, F. Conforti, L. Maltese, I. Tomasello, N. Mazzeo, F. Onorati*, A. Amorosi, A. Renzulli*
Cattedra di Anatomia Patologica, Facoltà di Medicina e
Chirurgia, Università “Magna Graecia”, Catanzaro; * Cattedra di Cardiochirurgia, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università “Magna Graecia”, Catanzaro
Introduzione. I mixomi atriali sono le più frequenti neoplasie cardiache primitive. La tipologia della neoplasia è quella
di tumore con caratteristiche mesenchimali dotato di una matrice mixoide ricca in glicosaminoglicani di vario tipo (Negishi, 2003). Le cellule della neoplasia, di probabile origine endocardica, tendono caratteristicamente a dare origine a formazioni a morfologia vascolare.
La neoplasia nonostante le sue tipiche strutture è complessivamente poco cellulata.
Molte cose sono ancora da chiarire sullo sviluppo di questa
lesione per lungo tempo considerata come una semplice
struttura trombotica.
Metodi. Scopo del nostro lavoro è stato quello di approfondire immunoistochimicamente in 7 casi di mixoma dell’atrio
sinistro resecati chirurgicamente, alcune caratteristiche della
matrice e delle cellule facenti parte di questa neoplasia allo
scopo di aggiungere nuovi dati alla conoscenza del suo meccanismo di sviluppo. Le neoplasie esaminate non facevano
parte di quadri sindromici come il complesso di Carney e appartenevano a pazienti di sesso maschile in 5 casi e di sesso
femminile nei restanti 2, con una età media di 61,3 anni.
A livello di molecole della matrice extracellulare abbiamo
studiato l’espressione della tenascina-C che come è stato precedentemente rilevato (Ballard, 2006) gioca un importante
ruolo nella angiogenesi cardiaca post-natale, oltre che nello
sviluppo delle neoplasie (Orend, 2006).
Risultati. Nei mixomi cardiaci da noi studiati la tenascinaC è espressa soprattutto a livello delle strutture di aspetto
vascolare suggerendo che questa molecola giochi un ruolo
nella genesi di tale tipo di organizzazione e nella proliferazione cellulare. I mixomi analizzati sono neoplasie che hanno un basso indice proliferativo (indice MIB1 < 1%) e con
un consistente numero di cellule, circa 60% soprattutto nelle zone interne della neoplasia, che esprimono la caspasi 3
attivata. Studi, per altro su pochi casi, hanno segnalato un
ruolo importante dell’apoptosi nelle cellule di queste neoplasie (Chu, 2004) che noi possiamo confermare sulla nostra casistica.
Conclusioni. Anomale interazioni cellula-matrice possono
essere alla base degli eventi che portano alla regolazione
della crescita di queste neoplasie. Ciò è confermato dal fatto che il CD44s, molecola recettrice per lo ialuronato è
espressa in una bassa percentuale delle cellule neoplastiche
(da 0 a 3%).
161
Alterazioni dei vasi intramurali nella
cardiomiopatia ipertrofica: studio
morfologico ed istomorfometrico su
campioni di miotomia-miectomia
F. Garbini, A.M. Buccoliero, F. Castiglione, F. Cecchi*, G.
D’Amati**, C.F. Gheri, M. Jacoub***, M. Mancini**, V.
Maio, I. Olivotto*, P. Stefano***, G.L. Taddei
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia Università
di Firenze; * Centro di Riferimento per le Cardiomiopatie
Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi Firenze; ** Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sapienza, Università
di Roma; *** Cardiochirurgia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze
Introduzione. Le alterazioni del microcircolo coronarico
(MC) sono state chiamate in causa come fattori contribuenti
di alcune manifestazioni (aritmie, morte improvvisa, rimodellamento e disfunzione del ventricolo sinistro) della cardiomiopatia ipertrofica (HCM). Tuttavia in letteratura esistono pochi studi sistematici sulla morfologia del MC nell’HCM, condotti prevalentemente su cuori autoptici o su biopsie endomiocardiche. Abbiamo valutato le alterazioni del
MC su campioni di miocardio da miotomie-miectomie per
correlarle con le altre alterazioni istologiche e con i dati clinici.
Metodi. Sono stati esaminati 10 campioni consecutivi, (5 M,
5 F, età media 45 aa, range 18-70) e 5 controlli (4 M, 1 F età
media 28, range 16-40). Sulle sezioni (colorate con EE, tricromica di Masson e picrosirius red) è stata effettuata un’analisi morfologica ed istomorfometrica, quest’ultima valutando i seguenti parametri: area totale di ogni campione
(AC), area della fibrosi sostitutiva (AF), numero di vasi (nV),
area dei vasi (AV) area della parete (AP), area del lume (AL)
fibrosi perivascolare (FP). Sono stati quindi derivati i seguenti parametri: area percentuale del lume vasale (AL/AV),
densità dei vasi (nV/AC), frazione di fibrosi sostitutiva
(AF/AC).
Risultati. Esame istologico: Alterazioni dei vasi intramurali
(ispessimento parietale, fibrosi perivascolare) erano evidenti
in tutti i campioni; 6/10 casi mostravano fibrosi sostitutiva,
10/10 fibrosi interstiziale ed 8/10 disarray miocellulare. I
controlli non mostravano disarray, né fibrosi sostitutiva.
Istomorfometria: L’area percentuale del lume vasale e la densità dei vasi sono risultati significativamente ridotti nell’HCM rispetto ai controlli (p < 0,01). La fibrosi perivascolare era aumentata nell’HCM, ma non in modo significativo.
In maniera analoga si comportava la fibrosi sostitutiva.
Conclusioni. I nostri risultati preliminari confermano la presenza di alterazioni del MC nella HCM. L’associazione della
stenosi del lume con la rarefazione dei vasi (secondaria all’ipertrofia) può essere alla base di una ischemia miocardica focale. La fibrosi perivascolare potrebbe giocare un ruolo in
questo fenomeno.
POSTERS
162
Metaplasia ossea con midollo emopoietico in
valvola aortica stenotica: riferimento di un
caso
L. Marasà, F. Rappa, M.P. Ternullo
U.O.C. di Anatomia Patologica, A.R.N.A.S. “Civico, G. Di
Cristina, M. Ascoli”, Palermo
Introduzione e descrizione del caso. La stenosi della valvola aortica si associa solo raramente a metaplasia ossea con
tessuto midollare in ematopoiesi completa. Si segnala il caso
di una donna di 60 anni con lembi valvolari sede di sclerosi,
calcificazioni distrofiche, aree mixoidi e metaplasia condroide ed ossea. Nel contesto di quest’ultima si evidenziavano rilevante neoangiogenesi, cellule infiammatorie, ma soprattutto, la formazione di trabecole ossee e midollo emopoietico in
cui erano rappresentate le linee eritroide, mieloide e megacariocitaria, sia come precursori che come elementi maturi. La
cellularità midollare era del 70% con un rapporto mielo-eritroide pari a 3:1. I megacariociti mostravano tendenza ad aggregarsi in cluster. Presenti anche linfociti T (5%) e B (30%),
plasmacellule e mastociti
Risultati e conclusioni. Una metaplasia con formazione di
midollo osseo nella valvola aortica è stata descritta da Arumugam e Fernandez Gonzalez rispettivamente in una donna
di 43 anni ed in un uomo di 69 anni. La metaplasia ossea si
riscontra nelle fasi avanzate della stenosi della valvola aortica ed è un processo attivo in cui si è ipotizzato che cellule infiammatorie quali linfociti, monociti e mastcellule infiltrino
l’endotelio e rilascino citochine che agirebbero su cellule simil-miofibroblastiche presenti nelle valvole cardiache 1. Miofibroblasti in coltura, infatti, si differenziano in cellule similosteoblastiche con conseguente deposizione di osso. Il rimodellamento della matrice ossea sarebbe favorito dalla presenza di proteine extracellulari di matrice (ECM) quali l’osteopontina o la metalloproteinasi-2 (MMP-2) che si riscontrano
normalmente nell’osso, ma non nel tessuto valvolare normale 2. Il caso riferito offre l’occasione per discutere il ruolo
svolto dai fattori di crescita ematopoietici nello stimolare la
produzione di cellule ematiche nel midollo osseo.
Bibliografia
1
Mohler ER III, et al. Circulation 2001;103:1522-8.
2
Kaden JJ, et al. Expression and activity of matrix metalloproteinase2 in calcific aortic stenosis. Z Kardiol 2004;93:124-30.
Quilty effect has the features of lymphoid
neogenesis and shares CXCL13-CXCR5
pathway with recurrent acute cardiac
rejections
C. Sorrentino* **, T. D’Antuono* **, E. Di Carlo* **
*
Department of Oncology and Neurosciences, Anatomic
Pathology Section, “G. d’Annunzio” University, Chieti,
Italy; ** Ce.S.I. Aging Research Center, “G. d’Annunzio”
University Foundation, Chieti, Italy
Introduction. The Quilty effect (QE) is a nodular infiltrate
that may be confined to the endocardium or extend into the
underlying myocardium of the transplanted human heart.
This mononuclear infiltrate is a frequent, yet enigmatic feature of cardiac allograft, since it is apparently devoid of clinical significance, though its association with acute (A)
rejection (R) is strongly suspected.
Methods. In this study, we examined endomyocardial biopsies,
obtained from transplanted patients, by means of immunohistological and confocal analyses. QE was observed in 126/379
biopsies from 22 patients during the first post-transplant year.
Most grade (G)2R biopsies displayed a concomitant QE.
Results. The following features typical of QE were identified: a) focal angiogenesis and lymphangiogenesis associated
with bFGF, VEGF-C and VEGF-A expression; b) marked infiltrate of CD4+ T and CD20+ B followed by CD8+ T
lymphocytes arranged around PNAd+ HEV-like vessels. Most QE appear as distinct B-T cell-specific areas with
lymphoid follicles sometimes endowed with germinal centrelike structures containing VCAM-1+ CD21+ follicular dendritic cells and CD68+ macrophages, which frequently expressed BLC/CXCL13. These cells were also found in the mantle-like zones, where small lymphocytes expressed the BLC
receptor, CXCR5, otherwise in the whole area of not clustered lymphoid aggregates. CXCL13 was also expressed, in association with CD20+ B lymphocyte recruitment, in G2R biopsies obtained from patients with recurrent AR.
Conclusions. QE has the features of a tertiary lymphoid tissue suggesting an attempt, by the heart allograft, to mount a
local response to a persistent alloantigen stimulation resulting in aberrant CXCL13 production, as also occurs in recurrent AR. CXCL13-CXCR5 emerge as a common molecular
pathway for QE and recurrent episodes of AR.
PATHOLOGICA 2007;99:163-171
Citopatologia
Prevalenza dell’infezione da HPV in un
gruppo selezionato di pazienti confrontato
con un gruppo di controllo
V. Nirchio, S. Fusilli**, R. Lipsi*, Di Taranto*, R. Antonetti*
Servizio di Citopatologia, * Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda Universitaria-Ospedaliera, OO.RR. Foggia;
**
Direzione Sanitaria-Statistica Epidemiologia IRCCS
“Casa Sollievo Sofferenza”, S. Giovanni Rotondo
Introduzione. L’Infezione da papilloma virus umano è una malattia sessualmente trasmessa e prevalente nelle giovani donne.
I fattori di rischio per l’infezione, la sua incidenza e durata
non sono ben note.
Abbiamo voluto apportare il nostro contributo con una iniziale casistica, afferente da diversi Centri di Prelievo, le cui
pazienti ci assicurano una continuità nel follow-up.
Metodo. Nel periodo intercorso tra agosto 2005 e maggio
2007, da una casistica di circa 4395 pap test eseguiti con lo
strato sottile, abbiamo selezionato 90 pazienti, di varie fasce
di età, su circa 350 pazienti a cui è stata attribuita una delle
seguenti categorie del sistema Bethesda (ASCUS, AGC,
ASC-H, LSIL, HSIL, Ca in situ).
Le pazienti arruolate sono state sottoposte oltre che all’esame
citologico cervico-vaginale su strato sottile, anche a ricerca
di HPV-DNA PCR test, sul residuo materiale del Thin prep.
In questo ristretto gruppo abbiamo calcolato la prevalenza
dell’infezione da HPV, la frequenza dei vari ceppi, la coespressione di più ceppi virali, raffrontando i dati con una popolazione di controllo di circa 1.000 donne.
Risultati. Nella popolazione studiata 86/90 dei casi selezionati (pari al 95,6%), l’HPV test è risultato negativo nel 20,9%
dei casi, mentre la positività totale è stata del 79,1%.
La distribuzione dei ceppi di HPV, nelle pazienti positive, è
risultata nel 26,5% legata ad un ceppo di basso rischio.
Le donne positive ad un ceppo di HPV ad alto rischio rappresentano, invece, il 73,5% del campione.
La frequenza dei vari ceppi virali e la loro distribuzione per
fasce di età, sono sovrapponibili a quelle riscontrate nel gruppo campione.
La coespressione di più ceppi virali è più frequente nella fascia di età tra i 25-35 anni, ed è dovuta alla co-presenza dei
ceppi HPV6-HPV16.
In 4 pazienti si è verificata l’associazione con l’infezione da
HIV.
Conclusioni. Sono esaminate le cause della divergenza tra
gli aspetti colposcopici-clinici e quelli di biologia molecolare nel gruppo di donne, pari al 20,9% del campione, risultate
negative al Test HPV-DNA.
Viene tracciata, seppure limitatamente, il decorso clinico dell’infezione, nella popolazione che ha aderito allo studio, e ne
vengono sottolineate le correlazioni con altre note infezioni
sessualmente trasmesse. In particolare vengono riesaminate
le casistiche presenti in letteratura inerenti la protezione esercitata sull’HPV da altre infezioni sessualmente trasmesse,
l’influenza dello stato ormonale, del fumo, dell’alcolismo e
lo stato di progressione dell’infezione in casistiche selezionate.
Bibliografia
1
Si-Mohamed A, et al. J Med Virol 2005;77:430-8.
2
Weiderpass E, et al. Cancer Epidemiol Biomarkers Perv 2001;10:899901.
Thyroid nodule volume reduction
predictability after percutaneous ethanol
injection
V. Nirchio, F. Nirchio*, M. Zingrillo**, P. Tizzani***
U.O. Citodiagnostica Az. Ospedaliera-Univ. OO.RR. Foggia; * Agenzia Spaziale Italiana, Centro di Geodesia Spaziale, Matera; ** Endocrinologo libero professionista, Foggia;
***
Department of Pathology (P.T.), Scientific Institute, Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, S. Giovanni Rotondo
Objective. To determine the effect of percutaneous ethanol
injection (PEI), suppressive therapy of cold benign thyroid
nodules (CBNs), on the cytology and its predictability in
classifying lesions with fine needle aspiration (FNA) results.
Study design. The study group consisted of 31 cold benign
thyroid nodules, treated with PEI for 1 year aspirated before
and while the patients were on suppressive therapy.
The control group consisted of 22 patients with nodule characteristic, PEI-treatment and follow-up similar to those of the
first series was used to validate the results obtained.
Fig. 1. Prevalenza dei ceppi di HPV ad alto rischio nella popolazione studiata.
164
POSTERS
In analogy with a similar study, we have considered: the initial volume of the CBNs > 25 ml, abundant colloid, poor cell
hyperplasia and presence of degenerative changes.
To test these hypotheses we have verified the differences using t-test for initial volume and the Mann-Whitney U test for
the remaining features.
Results. The study has proved the unpredictability of the volume reduction in a single nodule on the basis of the cytological evaluation.
Conclusion. The lack of the cytological features considered
statistically predictive of large nodule reduction due to PEI
treatment, confirm, however, the FNA may help to establish
the correct diagnosis.
nostic concordance in 47.4%, whereas a discordance in
52.6% between conventional cytology and TP. Statistically it
was observed an increase of whole precancerous lesions, i.e.
a significative increase of LSIL in TP slides vs. Pap smears
and decrease of inflammatory findings in TP vs. conventional cytology.
Conclusions. TP appear to be more accurate in improve technical quality and working results. It was more sensitive and
specific than conventional cytology in detecting cervical precancerous lesions. TP sensitivity results in an increase of cytologic diagnosis of cervical atypia, i.e. LSIL, and a decrease
of false negative results.
References
1
La Rosa GL, Ippolito AM, Lupo L, et al. Cold thyroid nodule reduction with L-thyroxine can be predicted by initial nodule volume and
cytological characteristics. J Clin Endocrinol Metabolism
1996;81:4385-7.
2
Zingrillo M, Collura D, Ghiggi MR, Nirchio V, Trischitta V. Treatment of large cold benign thyroid nodules not eligibile for surgery
with percutaneous ethanol injection. J Clin Endocrinol Metabolism
1988;83:3905-7.
Riorganizzazione citologia cervico-vaginale
in area vasta
Thin prep cervical cytology in a split-sample
preliminary study
S. Senatore, M.D. Scordari, P. Rizzo*, E. Molina**, A.
D’Amuri
Morbid Anatomy “S. Cuore di Gesù Hospital” ASL/LE, Gallipoli, Italy; * School of Biology University of Camerino,
Italy; ** Department of Human Anatomy, Pharmacology and
Medical Forensic Sciences, School of Medicine, University
of Parma, Parma, Italy
Introduction. The performance of Thin Prep (TP), a liquidbased cytology preparation technique, was evaluated in comparison with conventional Pap smears using a Split-Sample
approach in detecting cervical pathology.
Methods. Cervical cytological samples obtained from 173
women, aged from 25 to 70 years, which presented at previous
conventional Pap smears, technical, interpretative or diagnostic problems were considered. A Split-sample protocol was
used to obtain both conventional Pap smears and then the Thin
Prep pap test (TPPT) substrate. Pap test (PT) and TPPT vial
samples, were stained with conventional Papanicolaou staining. Both PT and TPPT slides were subdivided and randomly
evaluated in a blinded fashion by two observer separately to
compare both diagnostic specimen adequacy (S.A.) and diagnostic accuracy (D.A.) in detecting cancer precursors obtained
with different cytological diagnostic procedures were assessed. S.A. evaluations was grouped in three categories: satisfactory, suboptimal and unsatisfactory. As so as cytological
diagnosis (C.D.) was classified into three groups: negative/flogistic; positive from ASCUS to LSIL and positive for HSIL.
Specimen adequacy and cervical lesions detection rates were
classified using the Bethesda 2001 nomenclature system for
cervicovaginal cytology. Both chi-square and Fisher-Yates chisquare tests were applied to a 2 X 2 contingency table to evaluate the detection rates of different C.D. and S.A. in both
TPPT and PT evaluated findings.
Results. Statistical investigations demonstrated significative
increase of satisfactory as so as decrease of not diagnostic TP
slides vs. Pap smears and a reduction of suboptimal samples
by using TP procedure. Furthermore, it was observed a diag-
E. Zini, G.L. Taddei, P. Cariaggi, A. Giannini, P. Apicella,
M. Biancalani, F. Zolfanelli
U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “Santa Maria Annunziata”, ASL 10 Firenze
L’Istituto Toscano Tumori della Regione Toscana, nel 2006
ha attivato un gruppo di lavoro costituito dai direttori delle
anatomie patologiche ospedaliere dell’area vasta centro, dall’Anatomia patologica della Università di Firenze e dal
C.S.P.O., con l’obiettivo di formulare una ipotesi di riorganizzazione in area vasta della citologia di screening cervicovaginale.
L’analisi è stata condotta tenendo conto da una parte della attività in essere nei vari centri, rapportandola al grado di raggiungimento degli obiettivi di P.S.R. I pap test prodotti sono
stati suddivisi in coerenti con le indicazioni di screening ed
extra screening etichettando questi ultimi come diagnostici.
Dal punto di vista delle risorse umane sono state suddivise
per profilo professionale precisandone le attività svolte e
l’apporto in termini di ore/settimana lavorativa. I dati di attività così ottenuti sono stati confrontati con gli obiettivi di
P.S.R. evidenziandone gli scostamenti che sono risultati negativi per tutti i centri e per il sistema area vasta nel suo complesso, anche a fronte di carenza di risorse umane. È stato
quindi quantificato il fabbisogno, in termini di risorse umane, coerente con gli standard deliberati dal consiglio regionale, per poter perseguire gli obiettivi regionali. L’indagine si è
quindi concentrata sul possibile impatto delle nuove tecnologie nel migliorare l’efficienza di tale attività in relazione ai
relativi costi: si è considerato lo strato sottile, gli apparecchi
automatici di lettura ed infine l’associazione strato sottile apparecchio automatico di lettura. Questa ultima ipotesi consente di conseguire i risultati più significativi con un abbattimento complessivo dei tempi di lettura di oltre il 40% rispetto alle tecniche tradizionali. Partendo da questo dato è stata
quindi formulata una ipotesi teorica applicata all’intera area
vasta che tenesse conto dei nuovi costi, dei costi cessanti e
dei risparmi ipotizzati, modulata anche sulle esperienze e sulle aspirazioni dei vari centri di area vasta. È emersa una valutazione di fattibilità in termini di rapporti costo/beneficio
oltreché un possibile miglioramento qualitativo, conseguito
attraverso l’omogeneizzazione delle procedure.
POSTERS
Studio preliminare di prevalenza e di
distribuzione per classi età delle infezioni da
HPV nella popolazione femminile della
provincia di Foggia
S. Fusilli, R. Lipsi*, V. Nirchio**, Di Taranto*, R. Antonetti*
Direzione Sanitaria IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”; * II Laboratorio di Analisi e ** Servizio di Citopatologia
Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda UniversitariaOspedaliera OO.RR. Foggia
Nel periodo tra settembre 2005 e marzo 2007 sono state studiate, presso il II Laboratorio di Analisi dell’Azienda Universitaria-Ospedaliera degli Ospedali Riuniti di Foggia, circa
700 pazienti, per la determinazione dell’HPV test, sia ad alto
che basso rischio, con metodica PCR.
Metodi. La maggior parte del campione, giunto da pazienti
sottoposte a controlli ginecologici di routine ambulatoriali
(87,80%), è stato ottenuto da prelievo di tampone cervicale
(93,77%), una piccola percentuale del campione è stato ottenuto dal residuo materiale Thin Prep (3,81%), il rimanente
2,42% da altre sedi.
Nel maggior parte dei casi la selezione è stata effettuata dal
ginecologo sulla base della clinica e/o degli aspetti colposcopici, in percentuale minore l’indicazione ad eseguire il test è
sulla base di una citologia anomala. Il dato del risultato è riportato per il 97,33% (689/705).
Risultati. La popolazione è stata suddivisa in 6 classi di età
(≤ 25; > 25 ≤ 35; > 35 ≤ 45; > 45 ≤ 55; > 55 ≤ 65; > 65).
La distribuzione di frequenza ottenuta mostra che le classi di
età maggiormente rappresentate sono quelle 25-35 e 35-45 con
presenza percentuale del 39,4% e 32,8% rispettivamente, rappresentando il 72,2% della popolazione sottoposta al test.
Nella popolazione studiata la prevalenza totale di infezione
da HPV è stata del 29,32%, di questa il 27,81% quella di basso rischio, mentre il 72,19% quella di alto rischio. I ceppi isolati sono il 6 e 11 tra quelli a basso rischio, mentre tra gli alto rischio sono: 16, 18, 31, 33, 39, 45, 52, 56, 58 ed il 59.
Tra i pazienti positivi al test, i ceppi in assoluto più frequenti sono, tra quelli a basso rischio il 6, 22,3%, tra quelli ad alto rischio il 16, 31,7%.
La classe di età che in assoluto presenta il maggior numero di
infezioni sia da ceppi a basso rischio che da quelli ad alto rischio è quella 25-35, anche se questa non è la classe maggiormente rappresentativa in termini percentuali. La coespressione di più ceppi virali è stata documentata nel 20,79%
(42/202) dei casi positivi, l’associazione più frequente tra le
infezioni multiple è rappresentata dall’associazione 6-16 nel
6,44% dei positivi e nel 30,95% tra le infezioni multiple.
La fascia di età più colpita, da infezioni multiple è rappresentata da quella 25-35.
Conclusioni. Questo studio, nonostante i limiti, della esiguità
del campione che risulta non essere rappresentativo della popolazione utente, rappresenta la prima indagine epidemiologica circa la prevalenza e la distribuzione dell’HPV nella provincia di Foggia. I dati mostrano la prevalenza delle infezioni
da HPV sono in linea con quelli nazionali, sia per quel che riguarda la prevalenza dell’infezione sia per la presenza del ceppo 16 come quello maggiormente espresso sia in singola
espressione che in associazione ad altro ceppo virale.
Questo studio si ripropone di essere il punto di partenza di
uno analisi di prevalenza e di distribuzione per fasce di età
delle infezioni virali da HPV nella popolazione femminile
della provincia di Foggia.
165
Frequenza
Valid
1
2
3
4
5
6
Total
Missing System
Total
Percent Percent Percent
Valid Cumulative
86
237
197
61
17
3
601
111
712
12,1
33,3
27,7
8,6
2,4
,4
84,4
15,6
100,0
14,3
39,4
32,8
10,1
2,8
,5
100,0
14,3
53,7
86,5
96,7
99,5
100,0
HPV test: esperienza di un anno dell’UO di
Anatomia Patologica dell’Ospedale “S. Paolo”
di Savona
D. De Leonardis, W. De Pirro, S. Pontoni, S. Ardoino, O.
Ballario, A. Lugani, S. Poggi, E. Venturino
Ospedale “S. Paolo”, ASL2 Savona
Introduzione. Il ruolo etiologico dello HPV nella genesi del
cervico-carcinoma e suoi precursori è certo. Il riscontro della persistenza di HPV per i sottotipi ad intermedio/alto rischio oncogeno permette di indirizzare ad un follow-up mirato.
Nella nostra U.O. nel 2006 è stata avviata, pertanto l’indagine per la determinazione di HPV ad intermedio/alto rischio,
mediante tecnica Hybrid Capture 2, con l’obiettivo di selezionare i soggetti con pap test dubbio o di basso grado da inviare al secondo livello e di integrare la diagnostica cervicovaginale con una metodica sempre più richiamata nelle linee
guida nazionali e internazionali emesse dalle Società Scientifiche di Colposcopia. Non manca inoltre una crescente richiesta da parte dell’utenza, influenzata dall’impatto mediatico per l’ormai prossima introduzione della vaccinazione
contro i tipi di HPV 6, 11, 16 e 18.
Metodi. Viene utilizzato il test Hybrid Capture 2 per i tipi di
HPV ad intermedio/alto rischio (16, 18, 31, 33, 35, 39, 45,
51, 52, 56, 58, 59, 68). I campioni provenienti principalmente dai centri di colposcopia del territorio, dell’Ospedale e da
privati pervengono alla nostra U.O. corredati da modulo di richiesta da noi appositamente predisposto, stoccati a 20 °C e
processati entro 25 giorni. Per la raccolta dei campioni viene
utilizzato il Digene cervical Sampler. Il test viene utilizzato
come esame di secondo livello (triage) in caso di precedente
riscontro di anomalie cellulari nel pap test tipo ASCUS,
ASC-H e LSIL.
Risultati. L’incidenza di HPV a rischio intermedio/alto nelle
donne con pap test dubbio è del 20,9%, nelle donne con LSIL
Diagnosi
citologica
ASC-US, ASC-H
LSIL
Totale
HPV-test
Negativo
Positivo
Totale
91
70
161
24
44
68
115
114
229
POSTERS
166
è del 38,6%, in tabella sono riportati i valori per le categorie
prese in esame.
Conclusioni. Il test è stato mirato alle lesioni bordeline
(ASCUS e ASC-H) e LSIL. Il triade con HPV-test ha consentito di aumentare la predittività di queste categorie diagnostiche.
L’introduzione di questa indagine di biologia molecolare è
stata anche l’occasione per riaffermare la collaborazione con
i ginecologi dell’ospedale e del territorio attraverso la redazione di un protocollo condiviso che standardizza il percorso
diagnostico/terapeutico.
profondi, mentre tra quelli superficiali, mammella e tiroide
sono “appetiti” da altre figure professionali.
La qualità dei prelievi aumenta notevolmente sia nei patologi che nei “non patologi”, anche a causa di training a cui si
sono sottoposti i colleghi degli ospedali periferici in cui non
può essere presente il patologo.
Bibliografia
Cox JT, et al. Am J Obstet Gynecol 1995;172:1150-7.
F. Zanconati, A. Romano, N. Sabato, D. Bonifacio, S. Dudine, M. Di Napoli, E. Isidoro, I. Rosano, G. Slatich, L.
Ulcigrai, F. Martellani, L. Di Bonito
Agoaspirati a Mantova: cosa cambia in 10
anni
A. Bellomi, L. Gaetti, S. Negri, R. Fante, A. Cassisa, F.
Colpani, G. Calabrese, G. Granchelli
Centro di Diagnostica Istocitopatologica, Servizio di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera, Ospedale “Carlo Poma”, Mantova
Introduzione. La citologia aspirativa riveste dal 1984 un
ruolo fondamentale nell’attività diagnostica dell’Anatomia
Patologica dell’Ospedale “Carlo Poma” di Mantova.
Il lavoro presenta il confronto quali/quantitativo tra i dati relativi ai prelievi eseguiti dai patologi ed alle diagnosi citologiche a distanza di 10 anni (1996-2006).
Metodi. Dall’archivio computerizzato dell’Anatomia Patologica di Mantova (Armonia della ditta Metafora di Milano)
sono stati estratti sia per il 1996 che per il 2006:
Numero prelievi eseguiti dai patologi su lesioni palpabili a
mano libera, N. prelievi eseguiti dai patologi sotto guida strumentale in collaborazione con altri colleghi (Radiologi, ecografisti, endocrinologi, ecc.), N. prelievi eseguiti da altri colleghi e di tutti questi esami la sede del prelievo e l’adeguatezza del materiale.
Risultati. Vedi tabella.
Patologi
Altri
Totale
1996
totali
1996
inadeguati
2006
totali
2006
inadeguati
1302
433
1735
222
102
324
1169
1468
2637
63
126
189
Le sedi di prelievo più frequenti sono la mammella: 641 nel
1996 pari al 36,9% del totale, 1.121 nel 2006 (42,5%) e la tiroide: 367 (21,1%) nel 1996 e 851 nel 2006.
Gli organi profondi (fegato, pancreas, polmone, rene ecc.) si
mantiene costante: 114 nel 1996 e 117 nel 2006.
Conclusioni. La diagnostica citologica per agoaspirazione a
Mantova è notevolmente aumentata, ma i prelievi eseguiti
dal Patologo rimangono costanti, anzi in lieve diminuzione in
numeri assoluti e in percentuale nettamente inferiore passando dal 75% dei prelievi del 1996 al 44% del 2006. Aumentano in percentuale i prelievi sotto guida strumentale e tra questi il patologo è chiamato ad eseguire più spesso quelli
Classificazione NMH in citologia tiroidea:
contributo ad una migliore definizione delle
lesioni dubbie
U.C.O. Citodiagnostica e Istopatologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Università di Trieste
Introduzione. La FNA è l’esame più accurato nella valutazione dei noduli tiroidei ed il test pre-operatorio più sensibile e specifico per la definizione delle lesioni maligne. L’esistenza di un’ampia area grigia, costituita dalle lesioni indeterminate/sospette, crea difficoltà nella selezione dei casi da
inviare alla chirurgia. Abbiamo valutato l’efficacia della proposta classificativa per le FNA tiroidee della Northwestern
University di Chicago 1 2, applicandola retrospettivamente alla nostra casistica a cui era stata già attribuita originariamente una suddivisione in categorie in analogia alla diagnostica
senologica. Le lesioni vengono classificate in 6 categorie
principali: 1) inadeguato; 2) negativo (iperplasia, tiroidite,
nodulo colloideo, cisti benigna); 3) indeterminato per neoplasia (neoplasia/iperplasia follicolare o lesione ossifila); 4)
neoplasia (neoplasia follicolare od ossifila); 5) sospetto di
malignità; 6) positivo per malignità (carcinoma, linfoma, metastasi).
Classificazione originaria
(gr. A) N. FNA
Follow-up Benigno
Maligno
clinico all’istologia all’istologia
C3
C4
C5
118
26
6
70
0
0
34
7
0
14 (*)
19
6
4
54
12
0
0
3
24
11
3
0
0
2*
13
21
3
Classificazione NMH
(gr. B)
C2
C3
C4
C5
C6
7
80
36
24
3
* = carcinoma occulto
Metodi. Lo studio comprende un campione di pazienti con
noduli tiroidei sottoposti a FNA con diagnosi citologica non
negativa (C3-5) e con un follow-up minimo di 17 mesi (150
noduli totali enucleati da un pool di quasi 1500 FNA consecutive). La revisione dei preparati citologici è stata eseguita
PATHOLOGICA 2006;98:363-366
su base esclusivamente morfologica, senza l’ausilio di dati
clinico-strumentali.
Risultati. La tabella riporta la distribuzione delle diagnosi
originarie e di quelle attribuite con i nuovi criteri classificativi assieme alle rispettive correlazioni clinico-istologiche.
Nel gruppo A il VPN dei C3 era dell’88,9%, mentre nel gruppo B è risultato del 98,8%; il VPP dei sospetti per malignità
(C4 del gruppo A e C5 del gruppo B) è risultato rispettivamente del 73% e dell’87%; il VPP delle lesioni indeterminate per malignità (C4 del gruppo B) è risultato invece del 36%.
Conclusioni. I dati ottenuti dimostrano una miglior efficacia
nella gestione clinica dei noduli C3, i quali non necessitano
del ricorso alla chirurgia, obbligatoria invece per i casi C5.
Una gestione differenziata è indispensabile per la categoria
C4, per la quale invece è necessario integrare il dato morfologico con i parametri clinici, radiologici ed immunofenotipici.
Bibliografia
1
Nayar R, et al. Mod Pathol 2001;14:63A.
2
Ivanovic M, et al. Pathologica 2006;98:333-4.
Agoaspirati tiroidei a Mantova: 20 anni di
esperienza
A. Bellomi, L. Gaetti, S. Negri, F. Colpani, A. Cassisa, R.
Fante, G. Calabrese, G. Granchelli
Centro di Diagnostica Istocitologica, Servizio di Anatomia
Patologica, Azienda Ospedaliera Ospedale “Carlo Poma”,
Mantova
Il presente lavoro analizza 20 anni di agoaspirati della tiroide in rapporto alle modalità di prelievo.
Metodi. Dall’archivio computerizzato dell’Anatomia Patologica sono stati estratti i pazienti sottoposti ad agoaspirazione
della tiroide, suddivisi per anno dal 1987 al 2006, per numero di noduli e per metodologia di prelievo (con o senza eco).
Risultati. Vedi tabella.
Aumentano gradualmente i casi con prelievo ecoguidato a
partire dal 1990 da zero all’81% e parimenti il numero di prelievi per singolo paziente. Nel 2006 il 23% dei pazienti ha
avuto prelievi multipli (2-4); se il prelevatore è il patologo la
percentuale scende al 20%,
se è il clinico sale al 25%.
Conclusioni. Nel corso di questi 20 anni il numero degli
agoaspirati tiroidei è aumentato notevolmente a causa dell’uso dell’ecografo, si aspirano più noduli per paziente, il patologo è spesso escluso dal prelievo. Gli inadeguati sono numerosi in rapporto al prelievo del clinico, circa il triplo del
patologo, anche se è evidente un miglioramento negli ultimi
anni. Il numero di carcinomi è in aumento in assoluto, abbastanza stabile in percentuale e non in rapporto al numero delle sedi di prelievo.
L’utilizzo dell’ecografo nella diagnostica tiroidea ha indotto
un incremento delle richieste di agoaspirazione con scarsa o
nulla evidenza di benefici clinici per i pazienti.
La competenza del patologo sul prelievo, laddove è possibile, garantisce un minor numero di inadeguati ed una migliore diagnostica integrata, cioè migliore qualità a minor prezzo.
Introduzione. La citologia agoaspirativa riveste un ruolo notevole nell’ambito della diagnostica del Servizio di Anatomia
Patologica di Mantova.
Agoaspirati eseguiti dal clinico
inadeguati
totale
anno
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2204
2005
2006
Totale
19
30
63
93
106
87
126
122
123
86
81
202
267
278
227
416
554
563
413
568
4424
10
3
22
26
21
14
28
31
40
22
9
39
58
83
45
33
54
59
45
44
686
Agoaspirati eseguiti dal patologo
inadeguati
totale
%
52,6
10,0
34,9
28,0
19,8
16,1
22,2
25,4
32,5
25,6
11,1
19,3
21,7
29,9
19,8
7,9
9,7
10,5
10,9
7,7
15,5
184
260
258
327
316
312
316
304
273
280
285
290
337
387
411
452
387
326
278
283
6266
31
35
16
35
48
27
30
22
22
29
15
14
28
12
10
9
13
9
10
11
426
%
16,8
13,5
6,2
10,7
15,2
8,7
9,5
7,2
8,1
10,4
5,3
4,8
8,3
3,1
2,4
2,0
3,4
2,8
3,6
3,9
6,8
Totale positivi
n.
3
4
4
8
4
14
9
16
7
15
13
15
19
17
37
51
37
33
46
38
%
1,5
1,4
1,2
1,9
0,9
3,5
2,0
3,8
1,8
4,1
3,6
3,0
3,1
2,6
5,8
5,9
3,9
3,7
6,7
4,5
POSTERS
168
Tiroidite sclerosante multifocale
G. Napoli, M. Casiello, R. Scamarcio, G. Renzulli, R.
Ricco
Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari
Introduzione. Rara tiroidite interstiziale con focolai multipli
di sclerosi ad eziologia e patogenesi sconosciute.
Metodi. Donna di 42 anni portatrice, da circa un anno, di
gozzo plurinodulare. L’ecografia evidenzia nodulo ipoecogeno a margini sfumati del terzo superiore lobo destro, diametro 10 mm. L’esame citologico su FNAB non è risultato
conclusivo in quanto si rilevavano tireociti di piccola taglia,
conglutinati e in regressione, con nuclei provvisti di piccolo nucleolo e lievemente dismetrici, in aggregati solidi e
microfollicolari. Al controllo ecografico eseguito dopo un
anno si apprezzano altri due noduli ipoecogeni nello stesso
lobo, e si esegue FNAB sui tre noduli con esito non diagnostico il primo e negativi gli altri due. Si procede a tiroidectomia totale. L’esame macroscopico evidenzia la presenza, nel lobo destro, di tre neoformazioni biancastre, a
contorni stellati, diametro 10 mm, 8 mm e 6 mm. Aspetto
compatto del restante ambito. Dai campioni inclusi in paraffina sono stati allestiti vetrini per la colorazione ematossilina-eosina.
Risultati. L’esame istologico evidenzia una tiroide a struttura nodulare, con multipli focolai di fibrosclerosi inglobanti
follicoli tiroidei distorti, rivestiti da cellule con nucleo ingrandito, talora ipocromico, con cromatina granulare e minuto nucleolo, ma privo di pseudoinclusi. Presenza di cospicuo
infiltrato flogistico linfoplasmacellulare alla periferia delle
lesioni, in sede interstiziale e intrafollicolare.
La diagnosi differenziale va posta tra carcinoma papillifero,
variante follicolare, multifocale e con sclerosi dello stroma
(più frequente) e tiroidite sclerosante multifocale (molto rara).
A favore della seconda diagnosi l’assenza delle caratteristiche citologiche tipiche del carcinoma papillifero (pseudoinclusioni nucleari, grooves, affollamento cellulare).
Conclusioni. La tiroidite sclerosante multifocale potrebbe
rientrare nel gruppo delle tiroiditi linfocitiche focali, che sono rare tiroiditi probabilmente su base patogenetica autoimmune, caratterizzate da multifocalità delle lesioni follicolari
di tipo infiammatorio in evoluzione sclerosante.
Sebbene la stessa multifocalità del processo e l’aspetto istologico possano apparire simili alle caratteristiche del microcarcinoma papillare, la componente epiteliale della tiroidite
sclerosante, rappresentata da follicoli distorti e intrappolati
nelle aree di fibrosi, perde le caratteristiche citologiche delle
neoplasie papillari.
On-site evaluation and triage for endoscopic
ultrasond-guided fine needle aspiration
cytology. The Turin experience
P. Campisi, D. Pacchioni, G. Bussolati
Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia, Università
di Torino, Italia
Introduction. On-site evaluation of ecoendoscopic ultrasound-guided fine needle aspiration (EUS-FNA) specimens
can be beneficial at determining samples’ adequacy. It also
involves triage of specimens for ancillary studies and prelim-
inary diagnosis, which can be helpful for a rapid clinical decision-making.
Of great importance is the on-site presence of a skilled cytopathologist, whose ability enhances the quality of direct
smears by performing staining technique and taking personal
care of the aspirated material.
Additional phases are necessary if the initial specimen is
hypocellular or if the diagnosis is not evident yet or still if
there is a need for additional material for the cell block
preparation.
On the basis of the cytopathologists’ impression of the slides,
they can triage the specimen through an immunocytochemical evaluation or through a microbiologic workup or even
through biochemical analysis. An additional step is taken if
there is a suspicion of lymphoproliferative disorder in order
to performance flow cytometry.
Methods. Here is presented a retrospective analysis of our
institutés experience with EUS-FNA sampling and cytopathological diagnosis.
From January 2001 to May 2007 404 patients underwent the
EUS-FNA evaluation. From 2003 a knowledgeable cytopathologist was present during the procedure and started
making an extemporary evaluation of the samples’ adequacy.
Results. Before 2003, a final cytological diagnosis was available in only 70% of the cases (without an on-site cytopathologist). After 2003, in 90% of the cases (with an on-site cytopathologist). Immunocytochemistry on cell block material
was planned and performed in order to: clarify the diagnosis
when the morphology alone was not sufficient; demonstrate
neuroendocrine differentiation; evaluate the proliferation index; study immunophenotype in cases of lymphomas; address proper investigations related to therapeutic strategies.
Suspected lymphoproliferative lesions were analyzed by
flow cytometry and/or molecular biology methods in order to
detect clonality.
Conclusions. The quality of the specimens and the proper
handling of the aspirated sample from the endoscope to the
microscope are crucial to the ultimate success of the cytological diagnosis in EUS-FNA. On-site evaluation and triage of
the material is a critical point at improving the accuracy of
the diagnosis.
Tumore stromale gastrointestinale (GIST):
raro caso di diagnosi citologica su
versamento
R. Zappacosta, S. Rosini, B. Caporale*, M. Ottaviantonio*,
M. De Laurentis*, S. Stura*, B. Zappacosta, D. Caraceni*
Sezione Citodiagnostica, Dipartimento Oncologia e Neuroscienze Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara; * Unità
di Citopatologia, Ospedale “Renzetti”, Lanciano
Introduzione. I tumori maligni gastrointestinali (GIST) rappresentano le neoplasie mesenchimali maligne più frequenti
in sede gastroenterica. Tuttavia, in letteratura sono pochi i
dati pubblicati relativamente agli aspetti citologici che tali
neoplasie assumono nei versamenti. Riportiamo di seguito il
terzo caso di diagnosi citologica di GIST su liquido ascitico.
Metodi. Un uomo di 53 anni gravato da epigastralgie persistenti, melena ed improvviso versamento intra-addominale
veniva sottoposto a paracentesi evacuativa ed a biopsia gastrica in sede corpo-fundico-antrale, ove si repertava tessuto
di granulazione infiammatorio frammisto a tessuto connetti-
POSTERS
vale esuberante. Parallelamente all’approntamento del preparato istologico venivano allestiti i vetrini da citocentrifugato
di liquido peritoneale che venivano citochimicamente colorati con: Papanicolaou, May-Grünwald-Giemsa, PAS ed immunocitochimicamente con anticorpi monoclonali anti-CKAE1,
anti-CKAE3, anti-Vimentina, anti-Cromogranina ed antiCD117.
Risultati. L’esame citomorfologico repertava, su un background privo di fondo, elementi di piccole e medie dimensioni, spesso organizzati in cluster tridimensionali e caratterizzati da un elevato rapporto nucleo/citoplasma. I nuclei,
spesso centrali ma talora anche eccentrici, moderatamente
polimorfi, con cromatina irregolarmente distribuita e macronucleoli eosinofili prominenti, presentavano ispessimento
della membrana nucleare talora caratterizzata da indentature
ed invaginazioni. Il citoplasma mostrava numerose microvacuolizzazioni, PAS-negative, talvolta più grandi e tali da conferire alla cellula l’aspetto ad “anello con castone”. Lo studio
immunocitochimico dimostrava una forte e diffusa immunoreattività per Vimentina e CD117 (c-kit); negativo appariva il
profilo immunofenotipico relativamente a CKAE1, CKAE3 e
Cromogranina. La diagnosi citologica di GIST veniva confermata dalla definizione istologica di “GIST epitelioide di
alto grado”.
Conclusioni. Dalla precedente descrizione morfologica si
evince come le cellule del GIST epitelioide, su liquido ascitico, ricordino caratteristicamente le cellule dell’adenocarcinoma. Appare subito chiaro quindi, soprattutto per le importanti ripercussioni clinico-terapeutiche che ciò comporta, il
ruolo delle tecniche ancillari per dirimere il dubbio diagnostico tra GIST e neoplasia maligna di origine ghiandolare, già
posto in funzione della negatività istochimica al PAS; importante, inoltre, la distinzione tra GIST ed altri sarcomi gastroenterici (anch’essi Vimentina+) sulla base dell’utilizzo
dell’anticorpo c-kit che rivela una forte positività citoplasmatica nel primo, a fronte della nulla o lieve immunoreattività dei secondi.
Bibliografia
Newton ACS, et al. Acta Cytol 2002;46:723-7.
169
che citologicamente non mostrava il tipico aspetto del TFM
e che veniva asportato per le sue dimensioni (6 cm): l’esame
istologico evidenzia un TFM ad alto grado con stroma a componente sarcomatosa, a differenziazione leiomiosarcomatosa
e con aree osteocondrosarcomatose, con elevato indice mitotico ed estesa necrosi. A distanza di 6 mesi dall’intervento
compaiono formazioni polmonari multiple bilaterali. L’esame citologico effettuato sotto guida Tac, mediante dispositivo monouso Histo-TACsa, pone la compatibilità di metastasi
polmonare di TFM. La paziente, che presenta anche una recidiva sottocutanea alla mammella sinistra, decede dopo 40
giorni.
Risultati e conclusioni. L’aspetto citologico del citoaspirato
mammario non era tipico per TFM e solo le dimensioni indirizzarono il chirurgo verso l’exeresi. Lo striscio citologico
del nodulo polmonare era caratterizzato da aggregati di cellule epiteliali di piccola-media taglia frammiste a numerose
cellule voluminose con citoplasma microvacuolizzato, talora
allungato e nucleo eccentrico, atipico. Erano inoltre presenti
rari capillari. Entrambe le diagnosi citologiche sono state avvalorate sia dall’esame istologico effettuato sulla mammella
sia dal microistologico ottenuto contestualmente al prelievo
citologico polmonare. Le diagnosi citologiche di tumore filloide maligno della mammella sono rare e ancor più inusuali
sono i secondarismi diagnosticati citologicamente. A tutt’oggi la letteratura riporta solo un limitato numero di pubblicazioni di metastasi polmonari di TFM della mammella e rarissimi i casi diagnosticati citologicamente mediante FNA.
Bibliografia
1
McKenzie CA, Philips J. Malignant phyllodes tumor metastatic to the
lung with osteogenic differentiation diagnosed on fine needle aspiration biopsy. A case report. Acta Cytol 2002;46:718-22.
Il pap test nelle donne straniere: risultati
degli ultimi due anni nell’Ospedale “S. Paolo”
di Savona
D. De Leonardis, W. De Pirro, M.C. Cirucca, S. Pontoni,
S. Ardoino, E. Venturino
Anatomia Patologica, Ospedale “S. Paolo”, Savona
Diagnosi mediante aspirazione con ago
sottile di metastasi polmonare di tumore
filloide maligno della mammella
F. Di Nuovo, P. Uboldi, R. Claren, C. Delpiano, M. Spinelli
Dipartimento di Patologia A.O. “G. Salvini”, Servizio di
Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale “S. Corona”,
Garbagnate Milanese, Milano
Introduzione. I tumori filloidi della mammella sono neoplasie rare, bifasiche, fibroepiteliali, con una incidenza pari
all’1% di tutte le neoplasie mammarie. Sulla base del loro
aspetto istologico sono classificati, in accordo con la WHO,
come benigni, borderline e maligni, che hanno prognosi sfavorevole poiché possono frequentemente metastatizzare a distanza a polmoni ed ossa. Riportiamo un caso di tumore filloide maligno (TFM) diagnosticato mediante FNA-Tac guidata in paziente a cui 6 mesi prima era stato asportato un
TFM, preceduto da FNA ecoguidata.
Materiali. Donna di 39 anni giunge in ambulatorio di agoaspirazione per la presenza di nodulo della mammella sinistra;
Introduzione. Nonostante l’introduzione negli ultimi anni di
nuove tecniche per lo screening del cervico-carcinoma (HPV
test, lettura computer assistita), resta indiscutibile il valore
del PAP-TEST. L’esecuzione di questo semplice ed efficace
esame è sempre indispensabile per l’individuazione del tumore della cervice uterina e dei suoi precursori.
Scopo del nostro lavoro è rilevare l’incidenza delle donne
straniere che eseguono il pap test nella nostra provincia e
confrontare la frequenza delle diverse classi diagnostiche con
quella delle donne italiane.
È noto che la Liguria è la regione a maggior indice di invecchiamento; questo determina il richiamo di donne straniere
(circa il 53% della popolazione straniera), generalmente in
età fertile, che si occupano in maniera preferenziale di assistenza agli anziani. Si tratta evidentemente di categorie più a
rischio anche per il fatto che difficilmente hanno eseguito
pap test preventivi nel loro paese di origine.
Metodi. La regione Liguria non ha attuato sino ad ora programmi di screening di massa. La nostra UO raccoglie principalmente esami spontanei eseguiti nei consultori della provincia e dagli ambulatori ASL.
POSTERS
170
Anno
2005
2006
Pap test eseguiti
italiane
straniere
8378
10,3%
8243
10,1%
920
15,3%
915
15%
% LSIL+ borderline
italiane
straniere
274
3,2%
220
2,7%
Sono stati presi in considerazione gli esami effettuati negli
ultimi due anni (2005-2006) nella popolazione italiana e straniera e sono state messe a confronto le % di: pap test eseguiti, lesioni di basso grado, lesioni di alto grado.
I dati sulla popolazione straniera ci sono stati forniti dalla Caritas Diocesana di Savona Noli.
Risultati. Vedi tabella.
Conclusioni. La frequenza di donne straniere che eseguono
il pap test risulta maggiore rispetto alle italiane. Sovrapponibili sono le frequenze delle lesioni di basso grado mentre si
osserva un significativo aumento delle lesioni di alto grado
nelle donne straniere. È doveroso quindi rivolgere l’attenzione a tale categoria con una efficace politica di prevenzione da
estendere comunque a tutte le donne che non hanno mai effettuato un pap test e presentano pertanto rischio più elevato.
Bibliografia
Badino M, et al. Caritas diocesana Savona e Noli 2006.
Cytologic detection of oestrus ovis larvae in
conjunctival scraping: a case report
F. Rivasi, F. Campi*, G.M. Cavallini*, S. Pampiglione**
Departments of 1° Pathological Anatomy and * Ophthalmology University of Modena and Reggio Emilia, Modena,
Italy; ** Department of Veterinary Public Health, University
of Bologna, Ozzano Emilia, Bologna, Italy
Introduction. Human ophthalmomyiasis is the infection
of the eye associated with larvae of some flies of the order Diptera (Insecta). Oestrus ovis is a parasite specific of
sheep that only accidentally is affecting man. Adult
Oestrus ovis female is normally projecting their larvae in
the muzzle of the sheep, during flying, sometimes in the
human face where particularly the eyes are struck. Man is
a blind alley for the parasite, which is dying after few
days or weeks. While the infection is uncommon and sporadically reported in Northern Italy, it is relatively frequent in Central and Southern Italy and more common in
Sicily and Sardinia 1 . Particularly affected are shepherds,
farmers and people living in rural areas where sheep are
bred. The larva, irritates the conjunctival layer provoking
acute foreign body feeling, photophobia, blepharospasm
and a watery to mucopurulent discharge, sometimes a
painful chemosis and oedema of the eyelids. Prognosis is
normally benign 2 . Clinical misdiagnosis is common event
in the regions where the infection is not usually seen. We
report a human case of this infection occurred in Northern
Italy and diagnosed by cytologic examination.
Case report. A 54-year-old man was presented to the Department of Ophthalmology with irritation, lacrimation and photophobia of the left eye. His ophthalmic history revealed that a
few hours before the symptoms appeared, while the patient
36
3,9%
25
2,7%
% HSIL+ positivi
italiane
straniere
44
0,5%
41
0,4%
9
1%
12
1,3%
took a walk in a residential zone next to Ravennàs Lido Adriano, he had the sensation of a foreign body in the left eye. On
ophthalmic examination, the conjunctiva presented markedly
hyperemic, oedematous, with abounding watery exudate.
Loads of transparent small formations were observed adhering
to the conjunctival mucosa. The patient introduced reddening
of the nasal and pharyngeal mucosae and submandibular
lymph node hyperplasia. An acute catarrhal conjunctivitis likely of parasitological cause was suspected; conjunctival scraping was therefore obtained and submitted for cytological examination. The cytologic examination was positive for larvae
of Oestrus ovis. Therapy was subsequently instituted with norfloxacina drops. Seven days later ophthalmic examination
showed no larvae and diseappeance of the symptomatology.
Cytologic Findings. Conjunctival scrapings, smeared on
glass slides, were immediately fixed by cytofix. The cytologic smears Papanicolaou stained contained load ovoid and
flattened elements, 1 mm long x 0,3 mm wide and equipped
with twelve segments, two small hooks and numerous rows
of tiny thorns. These elements were referable of Oestrus ovis
larvae. In addition, the smears contained sheets of reactive
epithelium, with nuclear enlargement and prominent nucleoli. Moderately chronic inflammation and cellular necrosis
were also noted.
Conclusion. The cytologic examination played a significant
role in establishing the definitive diagnosis of opthalmomyiasis and determining early administration of treatment.
References
1
Pampiglione S, et al. Parassitologia 1997;39:415-8.
2
Kean BH, et al. Color Atlas/Text of Ophthalmic Parasitology. IgakuShoin, NY 1991.
Scialoadenite cronica sclerosante (tumore di
Kuttner): reperti di citologia aspirativa in
cinque casi
S. Rossi, L. Moneghini, G. Bulfamante
Università di Milano, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e
Odontoiatria, e A.O. “San Paolo”, Fondazione Ospedale
Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano
Introduzione. La scialoadenite cronica sclerosante, o “tumore” di Kuttner (TK), è un processo flogistico tipico della ghiandola sottomandibolare di riscontro molto raro, responsabile
della formazione di una massa generalmente monolaterale che
simula clinicamente una neoplasia maligna. Vengono descritti
i reperti citologici da biopsia aspirativa con ago sottile relativi
a cinque casi di TK accertati istologicamente.
Materiale e metodi. Tre pazienti erano di sesso maschile e
due di sesso femminile. All’esame clinico tutti presentavano
una tumefazione sottomandibolare monolaterale, esordita da
non più di 2-3 mesi, localizzata a destra in 3 casi e a sinistra
POSTERS
in 2. Il prelievo è stato eseguito dal Patologo utilizzando aghi
di 23G o 25G; gli strisci sono stati fissati in etanolo e colorati con metodica di Papanicolaou.
Risultati. Tutti i campioni erano caratterizzati da: fondo
ematico con presenza variabile di detriti cellulari; popolazione di linfociti in vari stadi di modulazione; istiociti con citoplasma schiumoso; tralci stromali di collagene denso; aggregati di cellule epiteliali duttali prive di alterazioni nucleari di
rilievo; scarsità di strutture acinari contrassegnate da cellule
epiteliali tendenzialmente atrofiche e prive di atipie. In tre
casi prevaleva la popolazione linfoide e negli altri due il prelievo risultava ipocellulato, con rari linfociti e occasionali
strutture duttali e acinari. L’esame istologico della biopsia
escissionale ha evidenziato in tutti i casi un quadro caratteristico di TK, rappresentato da ispessimento fibroelastotico dei
171
setti interlobulari, denso infiltrato infiammatorio e attivazione linfoide, con deplezione e atrofia delle strutture acinari.
Discussione. In tutti i casi descritti l’osservazione citologica
escludeva l’ipotesi di neoplasia maligna e suggeriva la diagnosi di TK. Il polimorfismo della popolazione linfoide e la
caratteristica commistione con cellule duttali escludevano l’ipotesi di un linfoma follicolare o di un maltoma. L’assenza di
atipie delle cellule epiteliali duttali, nonché l’assenza di elementi squamocellulari e oncocitici consentiva di escludere,
rispettivamente, la metastasi di un adenocarcinoma, di carcinoma squamocellulare, o un tumore di Warthin. In conclusione, le presenti osservazioni confermano la validità della citologia aspirativa nell’identificazione pre-operatoria del TK e
sottolineano il ruolo di tale procedura diagnostica nel determinare il più corretto approccio terapeutico della lesione.
PATHOLOGICA 2007;99:172-173
Controllo di qualità A.P.
Non conformità delle richieste di esami
citoistologici: progetto obiettivo in un
sistema qualità certificato Vision 2000
logo, rivalutandone il ruolo nel processo diagnostico e terapeutico del paziente.
F. Di Nuovo, P. Uboldi, T. Donnola, M. Piovesan, C. Scotti
Il Controllo di Qualità dell’attività di
prevenzione del cervico-carcinoma
nell’Azienda Ospedaliera Treviglio-Caravaggio
Dipartimento di Patologia, Azienda Ospedaliera “G. Salvini”, Servizio di Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale
“S. Corona”, Garbagnate Milanese, Milano
Introduzione. Il Servizio di Anatomia Patologica dell’A.O.
“G. Salvini” di Garbagnate Milanese si è certificato in
conformità con la norma UNI EN ISO 9001:2000 nel marzo
del 2002. In accordo e nel rispetto di tale norma, il personale tecnico della nostra unità operativa ha identificato nel
2005, un progetto obiettivo la cui implementazione è servita
non solo per migliorare la compilazione delle richieste di esami citoistologici, da parte dei medici richiedenti le prestazioni, ma anche per aumentare la compliance tra il personale
operante all’interno del servizio di anatomia patologica e gli
altri operatori sanitari esterni.
Metodi. Nell’ambito del monitoraggio e misurazione del
processo in essere, abbiamo formalizzato un documento, modello check-list, denominato “segnalazione di non conformità” comprendente una serie di item tra cui: 1) scorretta e/o
incompleta identificazione del paziente; 2) scorretta e/o incompleta identificazione del campione biologico, sia esso
contenitore o vetrino; 3) mancata identificazione della sede
del prelievo; 4) mancata indicazione della procedura di prelievo (biopsia incisionale, escissionale, vabra, tur, laparoscopia, ecc.); 5) mancata indicazione dei dati clinico-anamnestici rilevanti: dati di laboratorio e/o strumentali; 6) mancata indicazione del quesito diagnostico; 7) mancata indicazione del
medico richiedente l’esame; 8) mancata indicazione della tipologia della prestazione sanitaria (ricovero, D.H., prestazione ambulatoriale). Mediante segnalazione alla direzione sanitaria si è provveduto a diffonderne il contenuto a tutti i responsabili delle unità sanitarie esterne, richiedendo la massima adesione al fine di assicurare uno standard comportamentale. Ogniqualvolta perviene al nostro servizio una richiesta
di esame cito-istologico, questa viene valutata sulla base delle specifiche contenute nella scheda check-list e in presenza
di non conformità, il personale tecnico in accordo con il patologo e il biologo, rinvia al direttore della divisione di provenienza, sia il materiale biologico che la scheda indicante le
non conformità. La richiesta di prestazione viene accettata
solo in assenza di non conformità.
Conclusioni. La valutazione semestrale delle non conformità, per tipologia d’errore di compilazione, è stata calcolata
sia sugli esami istologici che citologici cervico-vaginali ed
extravaginali. I risultati ottenuti sono stati segnalati nel riesame della direzione e divulgati ai diretti interessati durante le
verifiche ispettive di sorveglianza. Questo progetto, pur richiedendo un impegno attento e preciso, nonché costoso in
termini di tempo del personale tecnico, ha permesso sia di
migliorare la qualità del nostro iter diagnostico che di monitorare le prestazioni sanitarie con positive ricadute sul budget. Ha inoltre prodotto un significativo aumento del flusso
di informazioni tra il patologo e tutti gli altri operatori, favorendo un clima di fattiva collaborazione interdisciplinare. Infine, ha contribuito a far meglio conoscere la figura del pato-
D. Corti, P. Mercurio, M.G. Mazzolari, D. Simoncelli, M.
Penatti, E. Pezzica
Struttura Complessa di Anatomia Patologica e Citologia
Diagnostica, Azienda Ospedaliera Treviglio Caravaggio,
Treviglio (BG)
Introduzione. Il pap test è disponibile pressoché ovunque e
molti sono i programmi di screening organizzati rivolti ad
una popolazione identificata ed invitata attivamente.
Nell’ambito di un programma di screening organizzato Il
Controllo di Qualità (CQ) di tutto il processo è attivato dagli
organizzatori dello screening.
Nella provincia di Bergamo, l’accordo tra la ASL e L’Az.
Osp. Treviglio-Caravaggio per l’esecuzione dello screening
del cervico-carcinoma prevede l’accesso diretto senza chiamata delle donne presso i consultori pubblici accreditati.
A carico dell’Az. Osp. la responsabilità dell’attivazione del
CQ.
Metodi. Il sistema di valutazione della Q dell’attività di prevenzione del cervico-carcinoma nel territorio dell’Az. Osp.
Treviglio-Caravaggio è affidato alla STR di Anatomia Patologica aziendale ed è basato sul CQ delle seguenti fasi:
1. test di screening (pap test);
2. approfondimento diagnostico dei casi positivi (Colposcopia);
3. trattamento delle lesioni.
Il sistema si basa su una stretta collaborazione tra la STR di
Anatomia Patologica aziendale, 4 Ambulatori di Colposcopia
decentrati e la STR di Ginecologia Aziendale.
Il CQ del pap test è previsto in tutte le sue fasi ed è favorito
da unico sistema di refertazione informatizzato.
Il CQ dell’attività di Colposcopia comporta l’adozione di
unica scheda colposcopica e di indicatori comuni di processo
e esito.
Il CQ del trattamento si basa sull’adozione di preciso protocollo terapeutico e di follow-up per la valutazione delle complicanze.
Risultati. Sono monitorati 8 indicatori di Q per verificare il
test di screening, ogni indicatore è monitorato costantemente
e vengono riportati report semestrali:
1. verifica T.A.T.;
2. valutazione adeguatezza prelievo;
3. verifica adeguatezza diagnostica mediante revisione random di almeno il 10% degli esami negativi;
4. correlazione cito-istologica;
5. monitoraggio della percentuale di invio alla Colposcopia;
6. monitoraggio delle categorie diagnostiche;
7. valutazione di evento sentinella (diagnosi di K. invasivo
della cervice uterina);
8. confronto fra la diagnosi citologica e istologica e la determinazione di HPV DNA con metodica Digene HPV DNA
Test HC2.
POSTERS
Il programma di CQ della Colposcopia e del trattamento prevede il monitoraggio di 9 indicatori. A carico della Struttura
di Anatomia Patologica è la determinazione della proporzione delle biopsie adeguate per esame istologico.
Conclusioni. Gli indicatori di Q utilizzati permettono di verificare semestralmente il sistema e motivano il personale addetto allo screening.
173
Il controllo delle categorie diagnostiche permette di mantenere nei limiti accettabili le diagnosi di ACG (0,72%) e ASC
(1,18%).
La proporzione di biopsie adeguate per diagnosi istologica è
del 95,48%.
In 1448 casi la diagnosi cito-istologica è confrontata con i risultati del Test HPV DNA.
PATHOLOGICA 2007;99:174-181
Dermopatologia
DMPM had never been reported before. The genetic locus for
acne inversa has recently been identified within the 1p21.11q25.3 chromosomal region. Interestingly, frequent losses in
chromosomal region 1p.21-22 have been found in mesothelioma as well. It is thus tempting to speculate that genetic
mutations involving chromosome 1p.21-22 may account for
the development of both diseases.
Acne inversa associated with diffuse
malignant peritoneal mesothelioma arisen in
the absence of predisposing factors: report
of a case
V. Barresi, E. Vitarelli, G. Barresi
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina
Introduction. Diffuse malignant peritoneal mesothelioma
(DMPM) is a relatively rare neoplasm. Risk factors associated with its development include asbestos exposure, chronic
irritation or inflammation of the peritoneum, abdominal radiotherapy, familial Mediterranean fever, and simian virus
40. A familial segregation of this neoplasia has been reported
in small villages of the Cappadocian region of Turkey, and it
has been postulated that hereditary factors may predispose to
mesothelioma, even with exposure to small amounts of asbestos. We report a case of DMPM which apparently occurred
in the absence of predisposing factors.
Methods. A 47 year-old physician was admitted to our hospital with ascites and abdominal pain. Neither exposure to
asbestos nor chronic irritation or irradiation of the peritoneum was reported. The past clinical history was significant
for 25-years-duration acne inversa complicated by a squamous cell carcinoma. Considering the family history, none of
his family members had been exposed to asbestos, but the 20year old son of the patient’s sister was also affected by acne
inversa. Cytologic examination of the ascitic fluid and histological evaluation of a peritoneal biopsy were performed. Peritoneal fragments obtained at biopsy were formalin-fixed
and paraffin-embedded and sections were stained with H&E
for histologic diagnosis. An ascitic fluid cytologic smear was
stained with Papanicolau stain, and the sediment was stained
with H&E. Immunohistochemistry against calretinin, CEA,
EMA and CK 5/6 was carried out on the cytologic sediment
as well as on the peritoneal biopsy fragments.
Results. Cytology of the ascitic fluid and microscopic evaluation of the peritoneal biopsy samples revealed the presence of a neoplastic process. Considering the immunohistochemical findings (calretinin+, EMA+, cytokeratins 5/6+, CEA)
the neoplasm was classified as a tubulo-papillary DMPM.
Conclusions. The association of acne inversa with non-melanoma skin cancer and tumours other than those involving
skin has been highlighted. Nevertheless the association with
Sesso Età
F
F
M
M
F
F
F
F
M
F
44
76
68
43
67
90
77
80
84
87
Sede
Gluteo
Gamba
Fronte
Dito mano
Coscia
Naso
Fronte
Avambraccio
Volto
Palpebra
Dim. cm
4 x 2,8
3,5
0,8
1,2
1 x 0,7
0,4
1,1
1,5 x 2
1,6 x 1
1,3
Carcinoma a cellule di Merkel: profilo
immunoistochimico, su 10 casi, dei recettori 2
e 5 della somatostatina
E. Venturino, C. Ciocca, S. Ardoino, L. Caliendo, A. Dellachà, C. Marino, A. Pastorino
Ospedale “S. Paolo”, ASL 2 Savonese
Introduzione. Il carcinoma di Merkel (CM) è un tumore
neuroendocrino cutaneo di rara incidenza, caratterizzato da
alta aggressività, descritto per la prima volta nel 1972 da
Toker. Istogeneticamente è considerato derivare dalla cellula
di Merkel che risiede fisiologicamente alla base dell’epidermide. Gli Autori si propongono di studiare l’espressione immunoistochimica dei Recettori della Somatostatina 2 (SSTR2) e 5 (SSTR-5) su 10 casi di carcinoma di Merkel d’archivio.
Metodi. I 10 casi istologici estratti dai nostri archivi con diagnosi di CM sono stati rivalutati da un unico patologo per dati clinici, aspetti istopatologici e immunoistochimici (CK20,
CD117, CD99, Cromogranina A (CR-A), SStr-2, SSTR-5 e
Ki67).
Risultati. Il 70% della casistica presa in esame interessava
individui di sesso femminile; il 50% aveva come sede la cute del volto. La CK20 era reattiva nel 90% dei casi;In nessun
caso (0%) abbiamo dimostrato positività per CD99; il CD117
era positivo nel 70% dei casi con una caratteristica espressione granulare citoplasmatica spesso con rinforzo di membrana. Un solo tumore (10%) è risultato reattivo per SSTR-5
con caratteristica positività dot-like paranucleare; Significativa la reattività a SSTR-2 nel 40% dei tumori. In tabella sono
riassunti i risultati complessivi.
Ck20
CD99
CR-A
SSTR2
SSTR5
CD117
Ki67
+
+
+
+
+
+
+
+
+
-
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
-
+
-
+
+
+
+
+
+
+
90%
60%
70%
75%
80%
60%
90%
90%
80%
90%
POSTERS
Conclusioni. Nella nostra casistica vi è una prevalenza per il
sesso femminile con predilezione per il volto. Lo studio immunoistochimico non ha dimostrato reattività per CD99 a
differenza di altre studi riportati in letteratura; la positività
per CD117 ha evidenziato una caratteristica espressione granulare citoplasmatica spesso con rinforzo di membrana
Sull’espressione per SSTR-2 e SSTR-5 non abbiamo termini
di confronto in quanto da ricerca PubMed (www.pubmed.gov)
non siamo stati in grado di trovare uno studio analogo. Riteniamo che sia utile studiare lo stato recettoriale nel CM. La conoscenza dell’espressione di SSTR potrebbe aver ricadute nell’ambito dell’applicabilità delle nuove terapie recettore–associate con modalità di trattamento meno tossico, ma più mirato.
Bibliografia
Llombart B, et al. Histopathology 2005;46:622-34.
Caratterizzazione immunoistochimica
dell’infiltrato linfocitario e valutazione
quantitativa delle cellule T regolatrici
CD4+/CD25+ FOXP3+ in lesioni melanocitarie
cutanee umane benigne, displastiche e
maligne
V. Mourmouras, M. Fimiani*, P. Rubegni*, M.C. Epistolato, V. Malagnino, C. Cardone, E. Cosci, M.C. De Nisi , C.
Miracco
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Sezione di
Anatomia Patologica, Università di Siena; * Dipartimento di
Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Dermatologia, Università di Siena
Introduzione e scopi. Recentemente è stata dimostrata l’esistenza di cellule, definite “regolatrici”, capaci di indurre immunotolleranza in vari tipi di patologia umana. In pazienti
con melanoma cutaneo è stato dimostrato un incremento in
circolo ed intralesionale delle cellule T regolatrici CD4+
CD25+ FOXP3+ (Tregs). Gli studi effettuati sul tessuto sono,
finora, esigui e le Tregs non sono state ancora analizzate nell’intero spettro delle lesioni melanocitarie cutanee.
Nel nostro lavoro abbiamo caratterizzato immunoistochimicamente l’infiltrato linfocitario e quantificato le Tregs
CD4+/CD25+ FOXP3+ in una serie di lesioni melanocitarie
benigne, displastiche e maligne.
Metodi. Abbiamo analizzato 128 lesioni (10 nevi comuni
giunzionali benigni; 10 nevi comuni composti benigni; 10 nevi composti di Spitz; 10 nevi giunzionali displastici; 20 nevi
composti displastici; 20 melanomi in fase di crescita radiale;
30 melanomi in fase di crescita verticale; 18 metastasi di melanomi). Le Tregs sono state identificate con l’immunoistochimica mediante doppia marcatura CD4/CD25/FOXP3.
Risultati. Le Tregs CD4+/CD25+ FOXP3+ erano presenti in
tutti i gruppi di lesioni analizzate. I nevi giunzionali displastici, i nevi composti displastici ed i melanomi in fase di crescita radiale avevano le più alte percentuali di Tregs (nevi
giunzionali displastici vs. nevi giunzionali comuni, nevi
composti comuni, nevi composti di Spitz e metastasi di melanoma: p < 0,0001; nevi giunzionali displastici vs. melanomi in fase di crescita verticale: p = 0,001; nevi composti displastici vs. nevi giunzionali/composti comuni: p < 0,0001;
nevi composti displastici vs. nevi giunzionali comuni e nevi
composti comuni: p = 0,0001; nevi composti displastici vs.
nevi composti di Spitz e metastasi di melanoma: p = 0,002;
175
nevi composti displastici vs. melanomi in fase di crescita verticale: p = 0,02; melanomi in fase di crescita radiale vs. nevi
giunzionali comuni, nevi composti comuni, nevi composti di
Spitz e metastasi di melanoma: p < 0,0001; melanomi in fase di crescita radiale vs. melanomi in fase di crescita verticale: p = 0,008).
Conclusioni. La forte prevalenza delle Tregs CD25+
FOXP3+ sia nei nevi displastici giunzionali/composti che nei
melanomi in fase di crescita radiale, suggerisce che esse possano indurre immunotolleranza in uno stadio precoce, durante lo sviluppo del melanoma, favorendone, così, la crescita.
La loro valutazione nel sito tumorale potrebbe essere utile sia
dal punto di vista prognostico che terapeutico.
Nevi cutanei melanocitari del dorso: problemi
nella diagnosi istologica differenziale
R. Zamparese, G. Pannone, P. Bufo, J. Wechsler*
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia
Patologica, Università di Foggia; * Dipartimento di Fitopatologia, Università Parigi XII “Val de Marme”, Ospedale
“Henri-Mondor”, Parigi
Introduzione. I primi studi condotti sul nevo displastico risalgono al 1978.
Di recente sono stati condotti studi che dimostrano che alcune caratteristiche istopatologiche proprie del nevo displastico
possono essere talora presenti nei nevi melanocitari di particolari regioni corporee, le cosiddette “regioni speciali”, come
le chiama Le Boit 1. I nevi genitali, acrali, mammari, auricolari e periauricolari, delle pliche cutanee e quelli congiuntivali sono considerati nevi delle “regioni speciali”.
Nella regione del dorso la diagnosi differenziale tra nevi comuni e displastici è spesso problematica. Si ritenuto, pertanto, interessante studiare le loro caratteristiche istopatologiche
al fine di individuare se essi costituiscono un insieme omogeneo tanto da far considerare anche il dorso una “regione
speciale”.
Materiali e metodi. Sono stati selezionati 1.115 nevi melanocitari benigni, pervenuti alla Sezione di Anatomia Patologica Universitaria nel periodo 2002-2004.
I nevi melanocitari sono stati suddivisi in gruppi in base alla
regione corporea da cui sono stati asportati chirurgicamente
(Tab. I).
Sono stati esclusi dallo studio i nevi melanocitari delle regioni cosiddette “speciali”. Le lesioni neviche studiate sono state, quindi, 527.
Per ogni lesione sono state analizzate le caratteristiche istologiche, elencate nella Tabella II, e alle quali è stato attribuito uno Score variabile da 0 a +3. Per ogni lesione, in seguito,
è stato calcolato uno Score totale.
Risultati. Nella Tabella I sono riportati i risultati dell’esame
morfologico dei nevi analizzati.
Discussione. I nevi del dorso si presentano spesso di forma
piana, asimmetrici, con un diametro massimo a 6 mm e margini laterali mal definiti. Istologicamente sono caratterizzati
da un pattern di proliferazione melanocitaria lentigginoso,
con presenza, talora, di melanociti atipici e di melanocitosi
soprabasale. Altra caratteristica molto frequente è la presenza della fibroplasia lamellare.
Lo studio delle peculiari caratteristiche cliniche ed istopatologiche dei nevi del dorso, in gran parte sovrapponibili a
quelle proprie del nevo displastico, fornisce elementi a soste-
POSTERS
176
Tab. I. Caratteristiche istopatologiche e cliniche dei nevi.
Forma
N.
Dimensioni nevo
Piana Tuberosa Polipoide < 5
mm
score 0
Dorso
Spalla
Lombosacrale
Torace
Addome-Fianco
Collo
Arto inferiore
Arto superiore
Cuoio capelluto
Fronte
Guancia
Labbro
Mento-Mandibola
Naso
PalpebraSopracciglio
91
19
27
21
52
47
15
12
25
23
49
32
41
40
33
19
4
6
0
4
1
8
1
2
1
2
1
0
2
1
30
3
5
3
12
0
3
6
7
2
10
7
13
14
3
42
12
16
18
36
46
4
5
16
20
37
24
28
24
29
6-10
mm
score 1
46
11
21
13
31
33
9
6
8
12
33
24
28
31
26
Simmetria
Demarcazione
bordi
> 10
presente assente
mm
score 2 score 1 score 0
35
8
5
7
20
12
4
2
10
10
16
8
12
8
7
10
0
1
1
1
2
2
4
7
1
0
0
1
1
0
80
17
24
17
52
46
10
12
23
22
49
24
28
39
33
11
2
3
4
0
1
2
0
2
1
0
0
0
1
0
presente
assente
score 1
score 0
74
16
23
20
52
47
10
12
25
23
49
24
28
40
33
17
1
4
1
0
0
2
0
0
0
0
0
0
0
0
Tab. II. Caratteristiche architetturali della componente melanocitaria nell’epidermide.
N.
Proliferazione lentiginosa
Formazione teche
0%
< 30% 30-50% > 50%
0%
Score 0 Score 1 Score 2 Score 3 Score 0
Dorso
Spalla
Lombosacrale
Torace
Addome-Fianco
Collo
Arto inferiore
Arto superiore
Cuoio capelluto
Fronte
Guancia
Labbro
Mento-Mandibola
Naso
PalpebraSopracciglio
91
19
27
21
52
47
15
12
25
23
49
32
41
40
33
37
14
21
18
41
40
12
9
23
22
47
23
41
34
29
27
0
3
1
7
4
3
3
1
1
0
4
0
5
3
13
1
3
2
2
2
0
0
1
0
1
5
0
1
1
14
4
0
0
2
1
0
0
0
0
1
0
0
0
0
gno della tesi che tali nevi costituiscano un gruppo omogeneo
che si dovrebbe far rientrare in quello delle regioni speciali.
Tale dato fornisce un notevole ausilio nella diagnostica istologica routinaria, al fine di evitare diagnosi errate di nevo displastico o di melanoma maligno.
Bibliografia
1
Le Boit PE. Am J Dermatopathol 2000;22:556-5.
57
14
14
15
33
38
10
10
24
20
49
31
41
37
31
Melanociti
soprabasali
< 30% 30-50% > 50% Presenti Assenti
Score 1 Score 2 Score 3 Score 1 Score 0
24
3
9
4
11
6
4
0
1
3
0
3
0
3
1
6
1
2
1
3
3
1
1
0
0
0
0
0
0
0
4
1
2
1
5
0
0
1
0
0
0
0
0
0
1
7
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
84
19
27
21
52
47
15
12
5
23
49
32
41
37
33
POSTERS
Mycobacterial spindle cell pseudotumor of
skin in a HIV+ patient. Morphological
evidence of an impaired host immune
system-pathogen relationship
A. Cassisa, F. Colpani, L. Gaetti, R. Fante, A. Zanca*, P.
Danese*, L. Palvarini**, A. Bellomi
Servizio di Anatomia Patologica Azienda Ospedaliera “C.
Poma”, Mantova; * Unità Operativa di Dermatologia
Aziendda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova; ** Divisione
Malattie Infettive Azienda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova
We report a case of a 37-year-old woman affected by AIDS,
resistent to highly active antiretroviral therapy (HAART),
with severe and ingravescent low CD4 count. She presented
a rigth leg persistent, ulcerated nodule, refractory to local
therapy. Incisional biopsy showed a mixed dermal infiltrate
including several aphazardly arranged histiocytes without
definite granuloma formation. Ziehl-Neelsen stain revealed
many acid-fast bacilli in the histiocytes. Several other
papules and nodules developed successively. A second biopsy was performed five months later on a nodule over the buttock which disclosed a dermal nodule composed of proliferative spindle cells tightly arranged in a plexiform pattern. A
few perivascular lymphocytes were focally observed. The
spindle cells were strongly reactive to CD68, and CD31 suggesting macrophage differentiation. They were also weakly
reactive to S-100. CD34, actin, HHV8 were not expressed.
Ziehl-Neelsen stain revealed many acid-fast bacilli packing
the cytoplasm of the spindle cells. A diagnosis of mycobacterial spindle cell pseudotumor of skin was rendered. Spindle
cell mycobacterial pseudotumors are being described in the
lymph nodes of immunocompromised host but rarely in the
skin. It is important for pathologists differentiated this lesion
to avoid mistaking from a mesenchymal neoplasm. The different histology of subsequent biopsies may represent a dinamic instability of immune response to mycobacterial infection in an immune compromised host. The pseutotumoral
histiocyte proliferation may depend by suppression of apoptosis in infected cells. Actually experimental and in vivo
studies have demonstrated Toll- like receptor signaling dependent suppression of apoptosis in infected cells. Our patient very low CD4 count was not most likely sufficcient to
overrun this aberrant mechanism.
Melanoma nevoide acrale
I. Pennacchia, P. Parente, F. Castri, F. Federico, G. Bigotti, G. Massi
Istituto di Anatomia Patologica Università Cattolica del Sacro Cuore Roma
Introduzione. Il melanoma nevoide è una neoplasia melanocitaria maligna che presenta una notevole somiglianza con il
nevo composito comune. Le cellule sono tondeggianti e di
piccola taglia, linfocito-simili; l’architettura ricorda quella di
un banale nevo composito. Tra i melanomi nevoidi quello a
sede acrale presenta maggiori problemi di diagnosi differenziale con una lesione melanocitaria benigna e rappresenta
un’autentica trappola diagnostica sia per la sua morfologia
nevoide sia per la sottostima delle alterazioni citocariologiche, generalmente tollerate nelle lesioni melanocitarie osservate in questa sede.
177
Materiali e metodi. descriviamo quattro casi di melanoma
nevoide acrale inviati in consultazione presso il nostro centro. I preparati sono stati colorati con ematossilina ed eosina
e testati con HMB4.
Risultati. Istologicamente le lesioni presentavano numerose
caratteristiche in comune con il nevo composito: la forma e
le dimensioni delle teche, la loro regolare distribuzione nel
derma, la bassa attività mitotica e l’assenza o la limitatezza
di spreading pagetoide. Le atipie cariologiche sono presenti,
ma molto blande. La componente collagena era rispettata
dalla crescita neoplastica. L’immunoistochimica mostrava
tuttavia una irregolare distribuzione delle cellule positive,
con positività anche nella quota melanocitaria intradermica.
Dallo studio di questi casi è possibile trarre le seguenti considerazioni:
1. la morfologia in ematossilina ed eosina è notevolmente simile a quella dei nevi comuni e l’errore diagnostico può essere quasi inevitabile in osservazioni di routine;
2. elementi obiettivi che possono indurre il sospetto sulla natura delle lesioni sono:
–
l’età dei pazienti (superiore ai 50 anni),
–
la dimensione delle lesioni (diametro verticale o
orizzontale superiore a 0,6-0,8 mm),
–
il coinvolgimento eccrino con singoli elementi
melanocitari disposti intorno ai dotti escretori,
–
la presenza di una proliferazione lentigginosa a
livello giunzionale;
3. la presenza di cellule HMB45 positive nella profondità della proliferazione neoplastica.
L’atipia e il pleomorfismo nucleare con presenza di elementi
ipercromici con cromatina in zolle grossolane sono elementi
ulteriori, ma possono sfuggire all’osservazione routinaria. Il
neurotropismo è pure stato riscontrato, ma solo in un caso (e
può essere presente anche in lesioni benigne).
I dati clinici sembrano più importanti di quelli istologici per
indirizzare la diagnosi, specie se combinati col risultato dell’indagine immunoistochimica.
Discussione. La diagnosi differenziale di questa particolare
forma di melanoma si pone con il nevo congenito che è caratterizzato dalla disposizione dei melanociti intorno ai vasi
e agli annessi con presenza di una “grenz-zone” di fibre collagene; con il nevo di Spitz nel quale le cellule sono grandi
ed epitelioidi e non piccole e nevoidi come nel melanoma nevoide; con il nevo lentigginoso acrale in cui le cellule non
presentano ipercromasie e dendriti prominenti e nel quale è
meno saliente lo spreading pagetoide. La diagnosi definitiva
di melanoma nevoide si pone utilizzando i dati clinici (lesioni voluminose, di natura acquisita, in adulti), immunoistochimici (positività profonda per HMB45) e citologici (modesta
atipia citocariologica e pleomorfismo). Senza l’uso integrato
di questi criteri il melanoma nevoide acrale è frequentemente misdiagnosticato come nevo composito.
POSTERS
178
Solitary cellular neurofibroma with nuclear
atypia: a case report with
immunohistochemical findings and
differential diagnosis
D. Lepanto, G. Perrone, A. Bianchi, C. Rabitti
Anatomia Patologica, Policlinico Universitario Campus BioMedico di Roma, Italia
Introduction. Peripheral nerve tumors is a group of neoplasm that includes benign tumours (such as schwannomas,
neurofibromas and perineuromas) and malignant tumors, collectively designated as malignant peripheral nerve sheath tumors (MPNST). Here we present a rare case of solitary cellular neurofibroma with nuclear atypia.
Case report. A 59 year old male patient was visited in the
Plastic Surgery Division of our hospital for a skin nodular
formation on the right side of the neck. Physical examination
revealed a hard nodule that measured 1.3 cm in size. A local
excision was performed. Grossly, the specimen measured 3 x
1.3 x 1 cm and a solid white 1.3 cm nodule was present in the
derma. Histologically, the lesion was composed of a dual
population of schwann-like cells and fibroblasts. Furthermore, focal atypia and high cellularity were present. Mitotic
activity was absent. Immunohistochemical study showed expression of S-100 protein and CD34 positivity. Ki-67 was
positive in < 1% of neoplastic cells.
Conclusion. Based on morphological features, the differential diagnosis included cellular neurofibroma, dermatofibrosarcoma, cellular schwannoma and MPNST. The immunohistochemical markers (S-100+, CD34+) made us to
exclude the diagnosis of cellular schwannoma (CD34-, S100+) and dermatofibrosarcoma (CD34+, S-100-). p53 gene
mutation and protein expression have been suggested as findings for distinguishing benign from malignant nerve sheath
tumors. Kindblom et al. 1 using immunohistochemical methods reported p53 overexpression in MPNSTs and suggested
that this method may detect malignancy before the presence
of obvious histologic evidence 1. The present lesion had rare
p53 positive cells (< 1%). Proliferation rate also has been
suggested as a method for distinguishing benign tumors from
MPNSTs. Cell proliferation rate can be determined by Ki-67
immunostaining. In benign neurofibromas, Scheithauer et al.,
detected a Ki-67 labeling index of 1-13% (mean 4.7%), as
compared with 5-38% (mean 18.5%) in MPNSTs 2. In the
present lesion, Ki-67 staining results positive in < 1% of neoplastic cell. The low proliferative rate (MIB-1 < 1%) and low
p53 expression made us establish a diagnosis of rare case of
solitary cellular neurofibroma with atypia. In tumors with
borderline histologic features the results of ancillary studies
may be useful in distinguishing benign from malignant lesions.
References
1
Kindblom LG. Virchows Arch 1995;427:19-26.
2
Scheithauer BW. Pathol Res Pract 1995;19:771.
Langerhans cell histiocytosis limited to the
skin in a elderly man
A. Cassisa, F. Colpani, S. Negri, R. Fante, A. Zanca*, A.
Bellomi
Servizio di Anatomia Patologica Ospedale “C. Poma”, Mantova; * Unità Operativa di Dermatologia Ospedale “C. Poma”, Mantova
Langerhans cell histiocytosis (LCH) is a pleomorphic disease/entity of variable biological behaviour and clinical presentation. It is characterized by proliferation of S-100 protein
and CD1a positive subset of histiocytic cells. Proliferative
Langerhans cells are commonly found in bone, lungs, mucocutaneous structures, and endocrine organs.
We describe a 78-year-old male presented with a nodular persistent lesion on the scalp 1 cm wide. Hematoxylin and eosin
stain showed a nodular, expansive dermal monomorphic,
mononuclear cell infiltrate composed of large cells with folded nuclei. Small necrotic foci were focally present. Interstitial extravasated red blood cells suggested, in the first instance, a vascular lesion. Mitoses were easily found. Sparse
perivascular lymphocytes were present, eosinophils were not
detected. A narrow grenz zone was observed between dermal
infiltrate and epidermis. Immunoperoxidase stain for S-100
protein and CD1a confirmed a Langerhans cell differentiation. Lysozyme, CD-68 and E-chaderin were also expressed.
An imaging workup ruled out systemic involvement; hematological parameters were in the normal range. The lesion recurred one year later and was surgical excised. No specific
treatment was performed. No significative event has been
recorded to date, after 3 years of follow-up.
Skin confined Langerhans cell histiocytosis is uncommon
among reported cases of adult LCH. A significantly higher
expression of histiocytic markers in the adult restricted cases
compared to the extensive form of the disease has been reported. E-cadherin expression has been reported to be more
expressed in localised disease than in extensive disease. It is
possible that histiocytes with Langerhans cell phenotype may
proliferate locally as result from extrinsic unknown signals
but association with hematological disordes or widespread
disease supervening even many years after the first diagnosis
cannot be ruled out, so a carefull follow-up of the patient is
mandatory.
CD30-positive pilotropic T cell lymphoma
without mucinosis
A. Cassisa, F. Colpani, A. Perasole*, M.R. Biasin*, A. Zanca**
U.O. di Anatomia Patologica Azienda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova; * U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale di
Castelfranco Veneto e Montebelluna; ** U.O. Dermatologia
Azienda Ospedaliera “C. Poma”, Mantova
Pilotropic cutaneous T-cell lymphomas without mucinosis
are rare and may be an expression of mycosis fungoides. Progression of mycosis fungoides is characterized by tumoral
skin infiltration and large cell transformation sometimes with
CD30 antigen expression. Combination of pilotropism, large
cell transformation and CD30 positivity in a mycosis fungoides clinical setting seems to be an exceptional event. We
describe a 78-year-old man with a 10-year history of large
POSTERS
plaque parapsoriasis that was brought to our attention by a
persistent erythematous, nodular, ulcerated lesion of the face
refractory to local therapy with antibiotics. A punch biopsy
showed a heavy lymphocytic dermal infiltration composed
mainly of large atypical cells that infiltrated perifollicularly
and penetrated the pilar apparatus forming intraepithelial
nests. There was no evidence of follicular mucinosis. The
epidermis was ulcerated without epidermotropism. The neoplastic lymphocytes expressed T-cell markers such as CD4,
CD3, CD5. Al least 75% of large cells expressed also CD30
antigen. Monoclonal T cell population was detected by polymerase chain reaction from formalin-fixed,paraffin-embedded tissue sample. A diagnosis of pilotropic CD30-positive
lymphoma was rendered. The lesion improved after PUVA
therapy and and intralesional steroids but did not disappeared
completely. The patient is well 8 months later with persistence of disease.
Discussion. Clinical history suggests a transformation of mycosis fungoides into a CD30-positive large cell lymphoma.
Over-expression of intercellular adhesion molecule type 1
(ICAM-1) by adnexal keratinocytes has been reported to play
a significant pathogenetic role in pilotropism. CD30 and its
ligand are also implicated in adhesion properties of neoplastic lymphocytes. The absence of epithelial mucin production
may be expression of a different epitheliotropic migration
mechanism from follicular mucinosis a histological variant
of mycosis fungoides. We belive that this case despite its distinctive features may be included in the pleomorphic spectrum of mycosis fungoides and its transformation-related
lymphoproliferative lesions.
Leiomioma cutaneo atipico: analogie con il
leiomioma simplastico dell’utero
F. Di Nuovo, V. Lo Re, M. Spinelli
Dipartimento di Patologia Azienda Ospedaliera “G. Salvini”, di Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale “S. Corona”, Garbagnate Milanese, Ospedale “Caduti Bollatesi”,
Bollate, Milano
Introduzione. Il leiomioma cutaneo atipico è una distinta variante istologica del leiomioma pilare. È di raro riscontro, infatti esigui sono i casi attualmente segnalati in letteratura. È
ritenuto da alcuni autori, la controparte uterina del leiomioma simplastico. In considerazione dell’aspetto macroscopico
ed istologico è spesso misdiagnosticato come istiocitoma fibroso benigno.
Materiali. Paziente di sesso maschile di 46 anni di età, riferisce di aver notato da tempo imprecisato, una neoformazione cutanea alla gamba. Il dermatologo, dopo escissione, la invia per l’esame istologico con il sospetto clinico di istiocitoma fibroso. All’esame macroscopico la losanga cutanea era
centrata da neoformazione misurante 1,2 cm di asse maggiore, rilevata, grigiastra, con alone periferico brunastro. Al taglio si osservava ispessimento dermico biancastro. Istologicamente la lesione appariva ben circoscritta, in sede dermica,
e costituita da elementi cellulari fusati, in arrangiamento fascicolato, di taglia medio-grande, con nuclei evidenti, fusati
e sigariformi, talora macronucleolati. Erano presenti anche
alcune cellule multinucleate con nuclei polilobati, vescicolosi. La neoformazione appariva, in periferia, in continuità con
i fasci muscolari erettori degli annessi pilari. Rarissime le mitosi e l’indice di proliferazione valutato mediante Mib1 era
179
inferiore all’1%. La popolazione neoplastica è risultata intensamente positiva per Actina alfa comune, per SMA, per
Desmina e, localmente, per Vimentina; mentre era negativa
per CD34 e per CD68 (KP1).
Conclusioni. Il leiomioma pilare atipico è una variante infrequente di leiomioma cutaneo. L’osservazione di un caso ci
ha indotto a rivalutare la letteratura e a segnalarlo soprattutto in considerazione della atipicità della lesione. Ricordiamo
infine, che rappresenta la controparte uterina del leiomioma
simplastico sia per aspetto istologico analogo e verosimilmente per comportamento biologico.
Bibliografia
1
Matthews JH, et al. Dermatol Surg 2004;30:1249-51.
2
Mahalingam M, et al. Am J Dermatopathology 2001;238:299-303.
Casistica dermatopatologica: quando la
Clinica chiarisce l’Istologia
A. Amantea, P. Donati, L.G. Spagnoli*
Laboratorio di Dermatopatologia, Istituto Dermatologico
“San Gallicano”, IRCSS, Roma; * Cattedra di Anatomia Patologica, Università “Tor Vergata”, Roma
Introduzione. La dermatopatologia necessita spesso, più che
ogni altro settore dell’Anatomia patologica, una correlazione
con l’aspetto clinico delle lesioni, specialmente per quel che
riguarda le patologie infiammatorie della cute. L’assenza di
una tale correlazione clinico-patologica può indurre infatti a
diagnosi non corrette.
Metodi. Gli Autori presentano alcuni casi esemplificativi selezionati dalla casistica del Laboratorio di Dermatopatologia
dell’Istituto “San Gallicano” di Roma, il cui corretto inquadramento diagnostico è stato possibile solo da un’accurata visita dermatopatologica.
Risultati. Esistono numerosi pattern istomorfologici comuni
a differenti dermatosi quali la discheratosi acantolitica, l’eliminazione trans-epidermica, le reazioni lichenoidi, i granulomi palizzatici, ecc.
Conclusioni. La dermatopatologia deve necessariamente attingere alle fonti di due discipline quanto mai complesse quali l’Anatomia patologica e la Dermatologia.
Atypical vascular lesions of the breast skin
following radiotherapy
R. Santi, D. Massi, A. Franchi, A. Palomba, V. Maio, J.
Panelos, C. Delfino*, N. Pimpinelli*, M. Santucci
Department of Human Pathology and Oncology, University
of Florence, Italy; * Department of Dermatological Sciences,
University of Florence, Italy
Introduction. While pathologists have known about postmastectomy angiosarcomas from the origin of the radical
mastectomy, a new group of unusual atypical vascular lesions
(AVL) of the mammary skin are now being increasingly recognized. AVL arise in the setting of breast-conserving surgical treatment with adjuvant radiation therapy. These are subtle vascular proliferations, both clinically and histologically,
which show significant clinical and histopathologic overlap
with well-differentiated angiosarcoma and thus often represent a diagnostic challenge. The morphological spectrum
180
ranges from lymphangiectasia-like vascular proliferations resembling lymphangioma circumscriptum or progressive lymphangioma to hemangiomas of different types showing some
atypical features.
Methods. Three patients with AVL at the site of radiotherapy
for breast carcinoma are described.
Results. They were female patients, their age ranging from 47
to 68 years. All patients had a history of infiltrating breast carcinoma, and were treated by excision with postoperative radiation therapy. All lesions were located in mammary skin within the prior radiation field. The clinical presentation included
multiple skin-coloured papules and vesicles in one case, single
erythematous plaque in other 2 cases. Histopathologically, in 2
cases we observed relatively well-circumscribed complex,
anastomosing vascular proliferations confined to the superficial and mid dermis, with no extension in the subcutaneous tissue. Dilated empty vascular spaces particularly in the superficial portion of the lesions were detected. The third case met
most, but not all, the morphological criteria for AVL, with endothelial cells decorating the vascular channels showing signs
of cytological atypia, although not featuring clear-cut findings
for low-grade angiosarcomas.
Conclusions. Post-radiation AVL of the breast skin show a
wide morphological spectrum. Due to possible overlap with
low-grade angiosarcomas, complete excision and long follow-up is recommended.
Co-localizzazione di carcinomi cutanei e
leucemia linfatica cronica: un case report
T. Brambilla, P. Possanzini, L. Moneghini, U. Gianelli, G.
Coggi
II Cattedra di Anatomia Patologica, DMCO, Università di
Milano, A.O. “San Paolo” e Fondazione IRCCS Ospedale
Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano, Italia
La leucemia linfatica cronica (LLC), nel mondo occidentale,
rappresenta la più comune forma di leucemia negli individui
al di sopra dei 50 anni.
I pazienti affetti da questa patologia hanno un aumentato rischio di sviluppare una seconda neoplasia maligna, soprattutto un carcinoma squamocellulare cutaneo.
In letteratura, è descritto un coinvolgimento cutaneo diffuso
(leucemia cutanea in corso di LLC) con un’incidenza del 420% sul totale dei casi di LLC, mentre la co-localizzazione
cutanea di LLC in corso di neoplasie epiteliali (carcinoma
squamocellulare, carcinoma basocellulare e melanoma) è solo occasionale.
Qui riportiamo il caso di un uomo di 85 anni, già affetto da alcuni anni da LLC, giunto alla nostra osservazione per la prima
volta nel 2005 per l’asportazione di una neoformazione sulla
punta del naso e che, successivamente, è stato sottoposto ad
asportazione di altre neoformazioni cutanee del capo.
Tali neoformazioni, diagnosticate come cheratosi attiniche e
carcinomi squamocellulari, erano tutte circondate da localizzazione sottocutanea di un denso infiltrato linfocitario, situato esclusivamente nelle regioni immediatamente circostanti
la neoplasia, immunofenotipicamente compatibile con LLC,
tipizzato grazie alla positività per le colorazioni immunoistochimiche CD20, CD23 e CD5.
Questo rappresenta, quindi, uno dei rari casi in cui è possibile osservare la coesistenza di carcinoma cutaneo e localizzazione cutanea di LLC.
POSTERS
La presenza di linfociti sembra essere dovuta ad un’alterata
risposta immunitaria dell’ospite alla neoplasia e non peggiorativa della prognosi del paziente, a differenza di quanto osservato per la leucemia cutanea; infatti, dopo un follow-up di
2 anni e mezzo, il paziente descritto non presenta una evoluzione della LLC.
Bibliografia
1
Smoller BR, Warnke RA. Cutaneous infiltrate of chronic lymphocytic
leukemia and relationship to primary cutaneous epithelial neoplasms.
J Cutan Pathol 1998;25:160-4.
2
Dargent JL, Kornreich A, et al. Cutaneous infiltrate of chronic
lymphocytic leukaemia surrounding a primary squamous cell carcinoma of the skin. Report of an additional case and reflection on its
pathogenesis. J Cutan Pathol 1998;25:479-80.
Chemerin-mediated recruitment of
interferon producing cells/plasmacytoid
dendritic cells in target sites of cutaneous
lupus erythematous
A. Santoro, M. Morassi, W. Vermi, F. Gentili, M. Ravanini, P.G. Calzavara-Pinton*, S. Sozzani**, F. Facchetti
1° Servizio Anatomia Patologica e * Clinica Dermatologica,
Spedali Civili di Brescia; ** Dipartimento di Patologia Generale, Università di Brescia, Italia
Introduction. Recent studies have suggested that interferon
(IFN) producing cells/plasmacytoid dendritic cells
(IPC/PDC) are involved in the pathogenesis of lupus erythematosus (LE), an autoimmune disease of unknown etiology.
IPC/PDC have been demonstrated in skin lesions from LE,
along with IFN-α mRNA. Our hypothesis was that IPC/PDC
play multiple roles in the pathogenesis of LE via IFN-α and
granzyme-B (GR-B), a serine protease inducing cell death.
Methods. Skin biopsies from 37 patients with cutaneous LE
(CLE, n = 29) or systemic LE (SLE, n = 8) were analysed by
immunohistochemistry for the expression of CD3, CD20,
CD68, CD123, CD208, perforin, GR-B, activated caspase-3,
MxA (a protein specifically induced by IFN-α), chemerin and
its receptor ChemR23 which are responsible for IPC/PDC recruitment. Additionally, IPC/PDC density, phenotype and cellinteractions were investigated by double immunofluorescence.
Results. IPC/PDC were observed in 91,9% of LE skin biopsies, but only CLE was characterized by a high density of
IPC/PDC (medium value/HPF ± ESM, CLE 8,32 ± 1,8 vs.
SLE 1,0 ± 0,35; p = 0,018). Accordingly, chemerin was abundantly produced in CLE, suggesting that IPC/PDC are recruited via chemerin-ChemR23 mechanism. IPC/PDC were
found in dermis and along interfacies, arranged as perivascular and iuxta-epithelial aggregates and in the epidermis as
single cells. IPC/PDC were also associated to local production of IFN-α, as demonstrated by strong expression of MxA
in the epidermis. Even if IPC/PDC have never shown maturation on the basis of CD208 expression, IFN-producing
IPC/PDC may represent the active form of these cells and
play an immunomodulatory role, stimulating myeloid DC
maturation via IFN-α. Infact, cell-to-cell contact between
CD123+ IPC/PDC and CD208+ DC was observed and a significant correlation between the numbers of these two populations was found. Moreover, a direct role of IPC/PDC in
skin lesions of LE was suggested by their localization along
damaged epithelial structures and GR-B expression. We have
found a co-localization of GR-B+ IPC/PDC and perforin+
POSTERS
and GR-B+ T lymphocytes in the cutaneous lesions of LE,
associated to the detection of activated caspase-3 in the epithelium, a marker of apoptosis commitment.
Conclusions. These results suggest a pivotal role for IFN
producing IPC/PDC in the pathogenesis of CLE, by promoting DC maturation and GR-B mediated-epithelial damage.
Nevo blu con satellitosi
M. De Vito, L. Ventura*, M.L. Brancone, T. Ventura
Istituto Veneri, Laboratorio di Analisi Citoistopatologiche,
Tortoreto (TE); * U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila
Introduzione. Il nevo blu è una lesione melanocitaria benigna,
che si manifesta sottoforma di una papula di colore blu o nero,
ben circoscritta e solitamente asintomatica. I nevi blu possono
mostrare un ampio spettro di cellularità ed atipia che va dal
piccolo nevo blu comune fino al raro nevo blu maligno.
Metodi. Giungeva alla nostra osservazione un paziente di
sesso maschile, di 66 anni, con una lesione, situata sul capo,
di colorito blu-nerastro, lievemente rilevata, a margini sfumati, asimmetrica, che mostrava formazioni nodulari satelliti, dalle stesse caratteristiche morfologiche. La neoformazione non era dolente. La superficie occupata era di cm 1,6 x
1,2. Il nodulo principale era presente da circa 7 anni mentre i
noduli satelliti erano comparsi da circa un anno e mezzo. Il
materiale chirurgico veniva processato e tagliato in sezioni di
4 µm di spessore, colorate in ematossilina-eosina.
181
Risultati. L’esame istologico evidenziava una proliferazione di melanociti allungati, “dendritici”, pigmentati, localizzati nel derma reticolare, senza atipie cito-architetturali ed
attività mitotica. Veniva posta diagnosi di nevo blu con satellitosi.
Conclusioni. I nevi blu sono lesioni solitarie, di forma rotonda od ovale e delle dimensioni comprese fra 0,5 ed 1,5
cm. Rari sono i casi di nevi blu multipli od “a placca”. Ancora meno frequenti sono i casi di “nevo blu con satellitosi e
di “nevo blu maligno”. Quest’ultimo solitamente si localizza
sul capo e colpisce il sesso maschile. Si tratta di una lesione
dal comportamento aggressivo con tendenza a recidive locali ed a metastasi a distanza 1. Il caso in esame si presentava
sottoforma di un nodulo centrale a contorni mal definiti con
noduli satelliti perilesionali. Le caratteristiche cliniche della
lesione rendevano necessaria la diagnosi differenziale con il
melanoma. L’esame istologico, che ha evidenziato l’assenza
di atipie cellulari e di attività mitotica, ha permesso di escludere la diagnosi di melanoma 2. Lo scopo di questo report è
quello di segnalare che lesioni morfologicamente compatibili con un nevo blu, che aumentano di dimensioni e presentano lesioni satelliti, non implicano necessariamente la natura
maligna della lesione stessa. Si tratta comunque di casi inusuali che, soprattutto se localizzati sul capo, necessitano di
un’ampia escissione chirurgica e di una stretta sorveglianza
clinico-dermatologica del paziente.
Bibliografia
1
Del Rio E, et al. Cutis 2000;65:301-2.
2
Sahin MT, et al. J Eur Acad Dermatol Venereol 2001;15:570-3.
PATHOLOGICA 2007;99:182-183
Diagnostica
Giant cell carcinoma of the thyroid: a case
report with emphasis on ultrastructural
evidence of mitotic catastrophe
R.A. Caruso, V. Zuccalà, G. Costa, E. Gagliardi, V. Cavallari
Dipartimento di Patologia Umana, Policlinico Universitario, Messina
We report a case of a 70-year-old woman with an anaplastic
carcinoma of the thyroid gland, along with immunohistochemical and electron microscopic findings. Histologically,
the tumour is characterized by mononucleated and multinucleated giant cells, lack of architectural cohesion, atypical
mitoses, and extensive areas of coagulative necrosis. Tumour
cells are positive for AE1/AE3, show nuclear overexpression
of p53 and ki-67, and are negative for caspase-3. Ultrastructural examination shows multiple nuclei with heterogeneous
size ranging from micronuclei to large-size (giant) nuclei.
Nuclear projections and pockets as well as nucleoplasmic
bridges are present. There are also early signs of cell death
including cytoplasmic vacuolization and heterochromatin
disappearance. Taken together, these findings indicate high
proliferative activity, suppression of apoptosis, chromosomal
instability, formation and disintegration of (multinuclear) giant cells (which is also termed mitotic death or catastrophe).
To the best of authors’ knowledge, this appears to be the first
report describing ultrastructural features of mitotic catastrophe in a human tumour.
Immunolocalizzazione del fattore di crescita
ALR su muscolo normale e patologico
R. Rossi, L. Polimeno*, D. Piscitelli, M. Mastrodonato**,
C. Gemma, M. Palumbo, M.G. Fiore, L. Resta
Dipartimento di Anatomia Patologica, Servizio di Patologia
Ultrastrutturale, Università di Bari; * Dipartimento di Gastroenterologia, Università di Bari; ** Dipartimento di Zoologia, Università di Bari
Introduzione. L’Augmenter of Liver Regeneration (ALR) è
un fattore di crescita epatocellulare importante nell’indurre la
progressione del ciclo cellulare. Il gene per l’ALR è localizzato sul cromosoma 16 nell’uomo e codifica per tre diverse
isoforme (15, 21 e 23 kDa). La proteina ALR è stata rilevata
in molti organi, in particolare nel testicolo, muscolo, cervello e fegato. Nella biogenesi mitocondriale tale proteina svolge un ruolo fondamentale fornendo al processo rigenerativo
epatico l’energia supplementare necessaria, inducendo l’espressione del DNA mitocondriale stimolando la produzione
di ATP. Studi precedenti hanno evidenziato una differente
espressione dell’mRNA nelle fibre muscolari umane a seconda del sesso e dell’età. Inoltre è stata evidenziata una stretta
correlazione tra l’espressione di questa proteina e la positività degli enzimi mitocondriali. Scopo della ricerca è localizzare la proteina ALR nel muscolo normale e patologico con
indagine immunomicroscopia elettronica.
Metodi. Abbiamo processato 6 campioni di muscolo normale e 6 di muscolo patologico provenienti da pazienti con di-
verse miopatie degenerative. Oltre all’osservazione ultrastrutturale con TEM abbiamo applicato una tecnica di immunogold con anticorpi policlonali e monoclonali anti-ALR
(MultiBind, Biotec GmbH).
Risultati. L’indagine di immunomicroscopia elettronica ha
evidenziato una localizzazione della proteina ALR in tutti i
campioni, sia a livello citoplasmatico che mitocondriale. L’espressione è risultata quantitativamente maggiore nei muscoli patologici. Nei mitocondri la positività riguardava sia lo
spazio intermembrana che le creste.
Conclusioni. La presenza della proteina ALR nel tessuto muscolare umano può essere correlata con alcune patologie neuromuscolari, varie miopatie, neuropatie, e sindromi complesse. Infatti tali patologie possono essere considerate primariamente come malattie mitocondriali, con conseguente alterazione del meccanismo di fosforilazione ossidativa, cui sarebbe correlata la funzione di ALR.
Osservazioni ultrastrutturali di un carcinoma
gastrico misto con componente acinare
pancreatica ed endocrina
G. Finzi, C. Placidi*, S. Marchet, D. Micello*, C. Capella*
Anatomia Patologica Ospedale di Circolo Varese; * Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria, Varese
Viene presentato un caso di carcinoma gastrico misto con una
componente acinare pancreatica ed endocrina. Solo pochi casi sono stati descritti finora, e nessuno è mai stato osservato
al microscopio elettronico. Il paziente è un uomo di 66 anni,
sottoposto a gastrectomia per una neoplasia identificata all’endoscopia. All’osservazione macroscopica, il tumore appare come una neoplasia ulcerata con bordi indistinti (tipo III
sec. Borrmann) interessante l’antro gastrico, del diametro di
8 x 6 cm. Istologicamente, il tumore appare esteso fino alla
sottosierosa, e mostra una componente di tipo diffuso frammista ad una componente acinare, che rappresenta circa il
50% della neoplasia. Nella componente diffusa si distinguono cellule ad anello con castone, mentre quella acinare è costituita da cellule cuboidali, con abbondante citoplasma eosinofilo granulare e nucleo disposto alla base della cellula, disposte a delimitare piccoli lumi. Le indagini immunoistochimiche mostrano nelle cellule neoplastiche una positività per
la tripsina, prevalentemente concentrata nelle regioni a componente acinare, e alla cromogranina, in cellule endocrine
sparse in tutta la neoplasia. Le indagini ultrastrutturali evidenziano nella componente acinare la presenza di cellule esocrine con granuli secretori dall’aspetto eterogeneo, in parte
immunoreattivi per la tripsina, che suggeriscono una differenziazione ibrida gastrico-pancreatica, e di cellule endocrine cromogranina-positive che mostrano i granuli tipici delle
cellule enterocromaffini. La coesistenza nella stessa neoplasia di cellule esocrine, parzialmente differenziate in senso
pancreatico, ed endocrine, permette di ipotizzare che la neoplasia sia originata da una cellula staminale pluripotente,
provvista di capacità di differenziare in diverse direzioni. In
conclusione abbiamo identificato un raro tipo di carcinoma
gastrico dalle caratteristiche istopatologiche peculiari: il car-
POSTERS
cinoma gastrico misto con componente acinare pancreatica
ed endocrina. Il comportamento di queste neoplasie non è ancora noto, ma la presenza, nel nostro caso, di metastasi linfonodali diffuse, suggerisce che il tumore sia altamente aggressivo.
Indagine ultrastrutturale della
microangiopatia nel diabete di tipo 1 dopo
trapianto di rene-pancreas, rene-isole, o rene
L. Usellini, G. Finzi, C. Placidi*, S. La Rosa, F. Folli**, P.
Fiorina***, C. Capella*
Anatomia Patologica Ospedale di Circolo, Varese; * Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria, Varese; ** Department of Medicine, University of Texas Health Science Center, San Antonio,
Texas, USA; *** Dipartimento di Medicina, Istituto Scientifico “San Raffaele”, Milano
Come è noto, nel diabete i danni al sistema cardiocircolatorio sono così importanti che costituiscono la principale causa di morte per questa malattia. Alcuni studi hanno dimostrato che il trapianto di pancreas può rallentare la progressione dell’aterosclerosi e migliorare le funzioni degli endoteli nel diabete di tipo 1. In un precedente studio è stato dimostrato che il trapianto di isole pancreatiche porta ad un
miglioramento delle condizioni degli endoteli, del profilo
aterotrombotico e della sopravvivenza dei pazienti 1. Nel
presente studio abbiamo confrontato gli effetti di diversi tipi di trattamento del diabete di tipo 1 sulla microangiopatia.
Lo studio è stato condotto su una serie di biopsie cutanee di
183
pazienti affetti da diabete di tipo 1, di cui 42 sottoposti a
trapianto di rene (TrR), 162 a trapianto di rene e pancreas
(TrRP), 37 a trapianto di rene e isole (TrI), di cui 24 con
successo (TrIs) e altre 13 con successiva perdita della funzionalità insulare (TrIi) e, per confronto, di 196 pazienti
diabetici uremici non trapiantati (PUNTr) e di 10 pazienti
trapiantati di rene non diabetici (TrND). Le biopsie sono
state studiate, oltre che con ematossilina-eosina e con la colorazione AB-PAS, con la microscopia elettronica e con indagini immunoistochimiche per la localizzazione in microscopia ottica ed elettronica del fattore di von Willebrand. Al
microscopio ottico, tutte le biopsie dei pazienti diabetici,
trapiantati e non, mostravano un evidente un ispessimento
della membrana basale dei capillari ematici, bene evidenziato con la colorazione AB-PAS. Al microscopio elettronico, in tutti i gruppi di diabetici osservati era presente un
ispessimento della membrana basale, e una riduzione del lume vascolare, che in alcuni casi arrivava ad essere completamente collassato; sulle cellule endoteliali si osservava una
ramificazione dei microvilli, una dilatazione delle cisterne
di reticolo endoplasmatico, un aumento di filamenti intermedi, e degli aspetti di apoptosi dei nuclei. Queste lesioni
erano modeste nei gruppi TrIs, TrRP e TrR, e più marcate
nei gruppi PUNTr e TRIi. L’espressione di vWF nelle cellule endoteliali era diminuita nei pazienti TrI e TrR, e, sebbene in minore misura, nei pazienti TrRP, rispetto ai pazienti TRND. In conclusione, i nostri dati dimostrano che il
trapianto di rene e pancreas e quello di rene e isole pancreatiche migliorano la microangiopatia diabetica.
Bibliografia
1
Fiorina P, et al. Transplantation 2003;75:1296-301.
PATHOLOGICA 2007;99:184-185
Immunoistochimica
Carcinoma papillare della tiroide: espressione
immunoistochimica di EG-VEGF
R. Zamparese, G. Pannone, P. Bufo
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia
Patologica, Università di Foggia
Introduzione. La neoangiogenesi ha un ruolo fondamentale
nel processo di crescita, invasione e metastatizzazione di
gran parte delle neoplasie umane. Recenti studi hanno messo
in evidenza che gli organi steroidogenici risentono dell’influenza di una famiglia di fattori angiogenetici, detti EGVEGF (Endocrine Gland-derived Vascular Endothelial
Growth Factors). I fattori angiogenetici EG-VEGF espletano
la loro azione in modo selettivo sull’endotelio delle ghiandole endocrine, in particolare nelle cellule del surrene, dell’ovaio, del testicolo e della placenta 1.
Ancora molto poco è noto sull’espressione di EG-VEGF nelle neoplasie maligne.
Scopo del presente lavoro è indagare l’espressione immunoistochimica di EG-VEGF nei tumori della tiroide.
Materiali e metodi. La nostra ricerca è stata condotta su un
campione costituito da 42 carcinomi papillari e 4 carcinomi
anaplastici della tiroide. Trattasi di 32 donne e 14 uomini,
con un’età media di 49 anni (range: 31-76 anni). Ogni caso è
stato stadiato applicando il sistema TNM.
Due sezioni istologiche di ogni campione, comprendente
neoplasia e parenchima non neoplastico, sono state saggiate
con un anticorpo monoclonale per EG-VEGF (RD-System)
mediante metodica standard LSAB-HRP.
Risultati. L’espressione di EG-VEGF è presente in tutti i casi di carcinoma papillare, mentre è assente nel tessuto tiroideo non neoplastico adiacente alla neoplasia e nei 4 casi di
carcinoma anaplastico.
Conclusioni. I nostri risultati suggeriscono una associazione
tra l’espressione di EG-VEGF e l’incremento della neoangiogenesi nel carcinoma papillare della tiroide. L’espressione
di EG-VEGF, elevata nelle cellule neoplastiche ed assente
nelle cellule non neoplastiche, suggerisce che l’azione di EGVEGF è cancro-specifica. Inoltre, l’assenza di espressione di
EG-VEGF in tutti i casi di carcinoma anaplastico della tiroide potrebbe suggerire, in primo luogo, che durante la progressione neoplastica si ha un decremento dell’espressione
genica fino alla perdita completa della proteina, in secondo
luogo, potrebbe indicare che tali casi di carcinoma anaplastico non sono istogeneticamente correlati con il carcinoma papillare. Tali dati, in particolar modo l’espressione cancro-specifica di EG-VEGF, sono molto importanti perché potrebbero costituire il punto di partenza per una nuova prospettiva terapeutica del carcinoma papillare della tiroide.
Bibliografia
1
LeCouter J, et al. Nature 2001;412:877-84.
Utilità dell’immunoistochimica nel
differenziare un carcinoma papillare della
tiroide insorto su tessuto ectopico da una
metastasi laterocervicale
D. Cabibi, M. Cacciatore, C. Guarnotta, V. Rodolico, F.
Aragona
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo
Introduzione. In assenza di tumore primitivo nella tiroide, la
distinzione tra “carcinoma insorto su tessuto tiroideo ectopico” e “metastasi laterocervicale da carcinoma papillare occulto” può essere difficile. Anche il tessuto follicolare apparentemente normale in sede laterocervicale viene spesso considerato, secondo la letteratura corrente, “metastasi da carcinoma tiroideo ben differenziato”. Recentemente è stata riportata l’utilità dell’immunoistochimica con Galectina-3, Citocheratina 1 e HBME-1 nella diagnosi del carcinoma papillare della tiroide. Lo studio si propone di verificare se i suddetti
anticorpi possono essere utili per chiarire la vera natura del
tessuto follicolare in sede laterocervicale.
Metodi. Sono stati selezionati sei casi (gruppo A) costituiti
da masse laterocervicali sede di carcinoma papillare tiroideo
con aree follicolari apparentemente normali adiacenti. L’esame della tiroide non aveva evidenziato la presenza di carcinoma nella ghiandola. Come controllo (gruppo B) sono stati
selezionati 8 casi con masse laterocervicali sede di carcinoma papillare con aree adiacenti di tessuto follicolare apparentemente normale, nei quali l’esame della tiroide aveva
evidenziato la presenza di carcinoma papillare. Entrambi i
gruppi sono stati studiati con Galectina-3, Citocheratina 1 e
HBME-1.
Risultati. Nel gruppo B le aree neoplastiche tiroidee, delle
masse laterocervicali, e le aree follicolari apparentemente
normali adiacenti erano positive per tutti e tre gli anticorpi.
Nel gruppo A erano positive solo le aree neoplastiche laterocervicali, mentre le adiacenti aree follicolari apparentemente
normali e il parenchima tiroideo erano negativi.
Conclusioni. La positività per tutti e tre gli anticorpi nelle
aree follicolari apparentemente normali del gruppo B suggerisce che queste possano essere di natura neoplastica, nonostante appaiano così ben differenziate da apparire normali,
Nel gruppo A, dove il tumore primitivo della tiroide era assente, il tessuto follicolare laterocervicale apparentemente
normale, negativo per tutti e tre gli anticorpi, potrebbe invece costituire il parenchima ectopico che ha dato origine al
carcinoma papillare primitivo. L’immunoistochimica può
quindi aiutare a riconoscere la vera natura del parenchima
follicolare ectopico, evitando in alcuni casi una diagnosi di
“metastasi da carcinoma primitivo occulto” che porterebbe
ad una over-stadiazione della malattia e alla infruttuosa ricerca del primitivo all’interno della ghiandola tiroide.
POSTERS
Miofibroblastoma epitelioide polipoide del
cavo orale: un mimo di rabdomiosarcoma
embrionale, varietà botrioide
G. Magro, P. Greco, A. Gurrera, M. Curduman, E. Giurato, E. Vasquez
Dipartimento “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Policlinico “G. Rodolico”, Catania
Introduzione. I tumori fibro-miofibroblastici primitivi della
cavità orale sono rari. I più frequenti sono la miofibromatosi,
il sarcoma miofibroblastico ed il tumore miofibroblastico infiammatorio.
Metodi. Riportiamo un caso unico di neoplasia miofibroblastica, insorta come lesione polipoide del pilastro tonsillare
posteriore, in una bambina di 11 anni.
Risultati. L’esame istologico rivelava una neoplasia polipoide, rivestita da epitelio squamoso, costituita da una predominante proliferazione di cellule rotonde/epitelioidi, di piccolemedie dimensioni con scarso citoplasma eosinofilo, immerse
in abbondante stroma mixo-edematoso, riccamente vascolarizzato. In sede sub-epiteliale, le cellule si compattavano tra
loro ed erano separate dall’epitelio sovrastante da una sottile
banda di collagene denso. Il numero di mitosi variava da 3 x
10 HPF, nella zona centrale della lesione, fino ad un massimo
di 8 x 10 HPF al di sotto dell’epitelio di rivestimento. Caratteristica era la presenza di numerose fibre collagene eosino-
185
file di forma variabile, da rotonda a stellata, interposte tra le
cellule, che ricordavano le cosiddette “fibre simil-amiantoidi”, descritte nel miofibroblastoma intranodale 1 e della mammella 2. Le indagini immunoistochimiche evidenziavano positività diffusa per vimentina, desmina e focalmente per αactina muscolare liscia (SMA). Negative le colorazioni con
citocheratine, miogenina, MyoD1, HMB45, CD34, h-caldesmon ed i recettori per gli estrogeni e progesterone. Morfologicamente, la neoplasia ricordava un rabdomiosarcoma
embrionale, varietà botrioide. Tuttavia non si osservavano
segni morfologici di differenziazione rabdomioblastica, né
un vero “cambium layer”. Le indagini ultrastrutturali confermarono la natura fibro-miofibroblastica della neoplasia.
Conclusioni. L’aspetto morfologico, soprattutto la presenza
di fibre collagene simil-amiantoidi ed il profilo immunoistochimico della neoplasia erano coerenti con la diagnosi di
“miofibroblastoma epitelioide, mitoticamente attivo del cavo
orale”. L’interesse di questo caso risiede nel fatto che tale
neoplasia, mai riportata nel cavo orale, rappresenta un mimo
del rabdomiosarcoma embrionale, varietà botrioide.
Bibliografia
1
Lee JY, et al. Solitary spindle cell tumor with myoid differentiation of
the lymph node. Arch Pathol Lab Med 1989;113:547-50.
2
Magro G, et al. Spindle cell lipoma-like tumor, solitary fibrous tumor
and myofibroblastoma of the breast: a clinico-pathological analysis
of 13 cases in favor of a unifying histogenetic concept. Virchows Arch 2002;440:249-60.
PATHOLOGICA 2007;99:186
La formazione dell’anatomopatologo
La formazione a distanza in Citologia:
Eurocytology Website Project
A. Bondi
Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore, Azienda USL Bologna
Il Eurocytology è un progetto messo a punto da un gruppo di
Citologi di diversi Paesi per promuovere la formazione a distanza citologia clinica e di screening. Rappresenta la continuazione del progetto Leonardo da Vinci e rappresenterà anche uno strumento multilingue per rendere più uniforme la
realtà della citologia europea per quanto concerne l’iter formativo, la nomenclatura, i criteri diagnostici ed anche la normativa di settore, che in Europa è particolarmente disomogenea.
Il nucleo centrale del gruppo di progetto è costituito da tre
Istituzioni Scientifiche (The Imperial College – Hammersmith Hospital, Londra, Inghilterra – Karolinska Institute,
Stoccolma Svezia, Pomerial Medical University, Stettino,
Polonia), supportato da quattro Società Scientifiche (le Società di Citologia ungherese, polacca, svedese e SIAPECIAP per l’Italia) e col contributo del Coordinamento Europeo
dei Citotecnici. L’iniziativa è in parte sponsorizzata dalla Comunità Europea.
Lo strumento da usare sarà essenzialmente un sito Internet
che conterrà dei corsi strutturati con lezioni, esercitazioni te-
st ed esami sui vari argomenti e con progressivi livelli di
avanzamento.
Si realizzeranno lezioni sui diversi settori organici della citologia: il primo corso, già in fase di realizzazione, sarà quello
sulla citologia cervico-vaginale di screening e clinica e coprirà i temi della nomenclatura nei diversi Paesi con i criteri
diagnostici e la possibilità di “tradurre” la diagnosi da un sistema ad un altro.
Seguiranno altre sezioni: citologia dei versamenti, urinaria,
agoaspirativa di tiroide e mammella, ecc.
I destinatari dell’iniziativa sono i Citologi Europei, ed in particolare i Citotecnici che, con un accesso individuale e controllato potranno usufruire delle lezioni con presentazioni, registrazioni (podcasting), atlanti di immagini, “vetrini digitali” e test progressivi di apprendimento.
I vari gruppi nazionali, compreso quello Italiano da costituire nell’ambito del Comitato di Citologia di SIAPEC-IAP,
avranno il compito di contestualizzare l’iniziativa: tradurre
gran parte del materiale in lingua locale, validare il sistema
ed accreditarlo, secondo le regolamentazioni nazionali, come
strumento di educazione continua.
I citologi Italiani che sono interessati a partecipare attivamente al progetto devono contattare i coordinatori del Comitato di Citologia SIAPEC-IAP:
A. Bondi – [email protected]
G.L. Taddei – [email protected]
PATHOLOGICA 2007;99:187-191
Miscellanee
Dirofilariasi umana repens a sede insolita:
descrizione di un nuovo caso in Puglia
A. D’Amuri* **, T.G. Carlà*
*
Ospedale “Sacro Cuore di Gesù”, U.O. Anatomia Patologica ASL/LE Area Sud Maglie; ** Scuola di Dottorato in Biotecnologie Mediche, Dipartimento di Patologia Umana ed
Oncologia, Università di Siena
Introduzione. La Dirofilaria repens è un nematode parassita
presente in animali domestici quali il cane e il gatto ed anche
selvatici, antropozoonosi con localizzazione preferenziale a
livello sottocutaneo delle parti anatomiche esposte (testa,
collo, tronco e arti superiori) mentre più rare sono le localizzazioni in sede anatomica profonda (polmone, omento, mesentere e organi sessuali).
Metodi. Uomo di anni 45, durante un intervento chirurgico
di ernioplastica inguinale sinistra, gli fu riscontrata occasionalmente una neoformazione solida, lardacea e dolente a livello del funicolo del testicolo sinistro. Praticata l’escissione
chirurgica del didimo, epididimo e funicolo sinistro, il tutto
fu inviato presso la nostra Unità Operativa di Anatomia Patologica ponendo come quesito diagnostico differenziale tra
lesione infiammatoria o neoplastica. Macroscopicamente il
pezzo operatorio comprendeva didimo del diametro massimo
di 5 cm epididimo e funicolo della lunghezza complessiva di
9 cm; a circa 2 cm dal margine di resezione del funicolo si
rinveniva un’area di consistenza aumentata nodulariforme
del diametro massimo di cm 2,5.
Risultati. Istologicamente al livello del parenchima didimario ed epididimario non si riscontravano alterazioni patologiche. A livello del cellulare fibro-adipo-vascolare del funicolo
era presente una intensa reazione flogistica di tipo cronica e
granulomatosa ad impronta linfo-istiocitaria con presenza di
numerosi eosinofili incentrata attorno a sezioni trasversali di
nematode identificato del tipo Dirofilaria repens. Fu, quindi
formulata una diagnosi di dirofilariasi repens in sede annessiale testicolare.
Conclusioni. La Dirofilariasi dal punto di vista diagnostico
istopatologico è sempre una evenienza non frequente, dopo i
9 casi già descritti in passato nella regione Puglia 1. Resta in
ogni caso da rilevare la localizzazione rara (2 casi segnalati
in passato in Italia, ed 1 in Ungheria) 2 a livello degli annessi
testicolari in sede funicolare, ed il fatto che si è trattato di un
reperto occasionale durante un intervento chirurgico di ernioplastica inguinale.
Bibliografia
1
Pampiglione S, et al. Pathologica 1994;86:528-32.
2
Elek G, et al. Pathol Oncol Res 2000;6:141-5.
Ricognizione sul cadavere dello storico Pietro
Martini, “pietrificato” nel 1866 dal medico
cagliaritano Efisio Marini
A. Maccioni, C. Varsi, C. Zedda*
U.O di Anatomia Patologica, P.O. “SS. Trinità”, ASL 8 Cagliari; * Storico
La necessità della ricognizione sul cadavere dello storico sardo Pietro Martini a 140 anni dalla morte, nasce dalla peculiarità del trattamento conservativo di “pietrificazione” cui è
stato sottoposto dal Medico cagliaritano Efisio Marini, secondo una metodica di cui non sono mai stati rivelati i particolari. All’interno del loculo sono stati reperiti vari oggetti
(vetri, borchie, bicchieri, bottiglie in vetro), la cui presenza è
stata giustificata sulla base dei dati reperibili negli archivi
storici. Il microambiente non idoneo in cui il cadavere è stato conservato, ha favorito i processi di scheletrizzazione e la
persistenza di pochi esiti del trattamento “pietrificante”. I dati anatomici osservati non consentono di avanzare ipotesi sulla causa della morte, che appare comunque insorta in tempi
brevi in un uomo che nel complesso aveva goduto di buona
salute fino a poco tempo prima del decesso. Significativo appare il reperto microscopico di ectasia della componente alveolare polmonare associata a depositi interstiziali di pigmento antracotico; tali dati sono stati ottenuti dopo reidratazione tessutale secondo tecniche impiegate su mummie egizie. La buona conservazione delle strutture oculari (protette
da lenti corneali), la persistenza del disegno digitale e delle
unghie delle mani, indicano la tempestività con cui il cadavere è stato trattato dopo la morte. Si segnala la presenza di
un artigianale “parrucchino” ottimamente conservato. Non
sono state repertate vie anatomiche di accesso dei reagenti alle cavità corporee, come in genere avveniva nei trattamenti
conservativi di altri “pietrificatori”. La consistenza lapidea
del materiale repertato all’interno della scatola cranica e la
presenza di stratificazioni grigio-biancastre in corrispondenza del peritoneo parietale, consentono di avanzare l’ipotesi
che i composti conservativi del Marini (verosimilmente a base di silicati), sono simili a quelli impiegati dal lodigiano Gorini, benché utilizzati con esclusive tecniche di permeazione,
agoinfusione endovasale e l’impiego delle cavità naturali. Il
trattamento di “pietrificazione” non è risultato in grado di impedire del tutto i processi di scheletrizzazione, ma da questo
giudizio impietoso deve essere risparmiato il medico Efisio
Marini, autore di altre “pietrificazioni” ottimamente conservate, che si batté strenuamente per impedire la traslazione del
cadavere in ambienti inidonei per la duratura efficacia del
suo trattamento.
POSTERS
188
Alterazioni istopatologiche e ultrastrutturali
nel connettivo subsinoviale nella sindrome
del tunnel carpale idiopatica
Paleoistologia dei resti mummificati del
Tadrart Acacus, Libia sud-occidentale (IV
millennio a.C.)
G. Donato, F. Conforti, I. Perrotta*, L. Maltese, C. Laratta, S. Tripepi*, P. Valentino**, O. Galasso***, A. Amorosi
L. Ventura, C. Mercurio, F. Ciocca, M. Sarra, S. Di Lernia*, G. Manzi**, G. Fornaciari***
Cattedra di Anatomia Patologica, Facoltà di Medicina e
Chirurgia, Università “Magna Graecia”, Catanzaro; * Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria, Rende; **
Cattedra di Ortopedia, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università “Magna Graecia”, Catanzaro; *** Cattedra di
Neurologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università
“Magna Graecia”, Catanzaro
U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila; * Dipartimento di Scienze Storiche Archeologiche e Antropologiche dell’Antichità, Università “La Sapienza”, Roma; ** Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università “La Sapienza”, Roma; *** Divisione di
Paleopatologia, Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e
delle Nuove Tecnologie in Medicina, Università di Pisa
Introduzione. La sindrome del tunnel carpale è una patologia con una incidenza in crescita, stimata tra circa 100 e 200
casi per 100.000 persone per anno (Ashworth, 2007). Nella
maggior parte dei casi la patologia è idiopatica, mentre più
raramente si riconoscono cause come malattie metaboliche,
lesioni occupanti spazio, infezioni ecc. Le alterazioni istopatologiche nella sindrome del tunnel carpale sono poco conosciute. Tradizionalmente il dato saliente è considerato una fibrosi sinoviale non infiammatoria a livello dei tendini dei
muscoli flessori accompagnata a livello ultrastrutturale da alterazioni delle fibrille collagene del connettivo subsinoviale
(Ettema, 2004; Oh, 2006).
Metodi. Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare dal
punto di vista istopatologico, immunoistochimico e ultrastrutturale le alterazioni presenti nella membrana sinoviale
dei tendini flessori in 16 soggetti (11 donne e 5 uomini) sottoposti a intervento chirurgico per sindrome del tunnel carpale. La nostra valutazione ha avuto anche lo scopo di formulare nuove ipotesi sulla genesi di questa entità patologicoclinica.
Dal punto di vista istopatologico i nostri dati confermano
quelli recenti della letteratura: Presenza di fibrosi e proliferazione vascolare con iperplasia e ipertrofia intimale.
Risultati. Dal punto di vista immunoistochimico è stato possibile rilevare che nei soggetti studiati la valutazione dell’attività proliferativa cellulare, effettuata mediante studio dell’antigene Ki-67 (anticorpo MIB-1), ha evidenziato come
una percentuale variabile dal 2 al 5% di cellule dell’endotelio vasale e dello stroma fosse in fase mitotica.
Un altro dato interessante dal punto di vista immunoistochimico è il rilievo della positività delle cellule stromali per gli
antigeni CD34 e CD31. Tale rilievo suggerisce che tali elementi hanno caratteristiche di progenitori endoteliali simili a
quelle capaci di formare una rete di strutture capillary-like in
coltura (Alessandri, 2001).
Dal punto di vista ultrastrutturale in microscopia elettronica
a scansione e a trasmissione si rileva come il processo di
iperplasia e ipertrofia endoteliale porti spesso a occlusione
delle strutture vascolari neoformate con conseguente ischemia del tessuto.
Conclusioni. In conclusione dal punto di vista patogenetico
è possibile che si instauri una sorta di circolo vizioso a partire dai primi episodi ischemici microtraumatici che portano a
una risposta angiogenetica anomala all’ipossia.
Introduzione. La Missione Archeologica Italo-Libica nell’Acacus e Messak, finalizzata allo studio della straordinaria
arte rupestre ed alla ricostruzione delle vicende umane della
regione, comprende concessioni di scavo di enorme prestigio
per l’archeoantropologia italiana.
Presentiamo i risultati dello studio di 2 individui parzialmente mummificati (TK-H1 e TK-H9), rinvenuti nel massiccio
del Tadrart Acacus e vissuti nel IV millennio a.C. (datazione
al radiocarbonio: 6090 ± 60 e 5600 ± 70 anni fa).
Metodi. I resti sono stati sottoposti ad analisi radiologica,
esame esterno e campionamento. Prelievi di ossa, tendini, dischi intervertebrali, muscoli scheletrici, vasi, cute e visceri
sono stati reidratati in soluzione di Sandison per 24-72 ore,
includendo preliminarmente in agar i campioni più delicati e
decalcificando in acido forte per 1 ora l’osso reidratato. I tessuti sono stati processati ed inclusi in paraffina per ottenere
sezioni di 4 µm, colorate con ematossilina-eosina, Masson,
Perls e van Gieson fibre elastiche.
Risultati. Entrambi gli individui risultavano di sesso femminile, con età apparente di 30-35 anni per il soggetto H1 e non
definibile per H9 a causa della limitatezza dei segmenti corporei. L’esame radiologico di H1 evidenziava iperostosi cranica, frattura ulnare sinistra in consolidamento, lesione sclerotica del collo femorale destro, strie di Harris dell’epifisi tibiale prossimale sinistra. Il soggetto H9 non presentava alterazioni significative.
L’analisi istologica dei campioni mostrava tessuto fibroso
con lacune riferibili ad alterazioni tafonomiche, muscolo
scheletrico con buona evidenza di striature, osso spugnoso e
compatto, pareti viscerali e materiale fecale contenente ectoparassiti. Numerosi campioni presentavano contaminazione
da materiale terroso e diffusa colonizzazione da spore fungine.
Conclusioni. Gli individui femminili neolitici, sebbene incompleti, presentavano segni di patologia traumatica (esiti di
fratture) e carenziale (strie di Harris, iperostosi cranica).
L’evidenza di strutture riferibili a tessuti molli e scheletrici
pur prive di patologie ha consentito di studiare le caratteristiche di organi che possono essere considerati tra i più antichi
sottoposti ad esame istologico.
La presenza di spore fungine, da non interpretare come emazie, è costante in paleoistologia e non assume significato patologico.
Esami immunoistochimici, ultrastrutturali, parassitologici e
molecolari consentiranno di ampliare le informazioni sui tessuti e le condizioni di salute degli individui in esame.
POSTERS
Unusual thymic carcinoma with hepatic
metastases? Report of one case
M. Marino, L. Lauriola*
Department of Pathology, “Regina Elena” Cancer Institute,
Rome, Italy; * Department of Pathology, Catholic University
of Rome, Italy
Introduction. Spread of Thymic Epithelial Tumours (TET)
outside the thoracic cavity is unusual, and usually associated
to Thymic carcinoma. The morphological features and immunohistochemical markers of thymic origin actually available, however, are scant, as well as it is difficult to establish
a clear cut thymic origin of a metastatic nodules outside the
mediastinum, particularly when the “cortical” lymphocytic
component usually associated to the rare metastatic thymomas is absent. We report here a case of a thymic carcinoma
with synchronous hepatic metastases.
Methods. A female patient, aged 39 years, was found to have
a mass in the anterior mediastinum synchronous with liver
nodules. An hepatic biopsy showed an epithelial tumor positive to CK7 and Cam5.2 and negative to CK20, Chromogranin, TTF1 and Ca125. No further markers were applied to
the small tissue fragment. A TC-guided FNAC of the mediastinal mass also showed epithelial cells CK19+, EMA+ and
TTF1-. The patient underwent thymectomy after neoadjuvant
therapy, and in addition she underwent partial hepatectomy
The thymic tumor and the hepatic nodules showed the same
morphological and immunohistochemical features: the tumor
and the metastatic nodules were formed by large cells with
huge vescicular or with multiple nuclei and large nucleoli.
Tumor cells were CD5+, CK19+ and CD117+, and negative
for neuroendocrine markers and for HepPar1.
Conclusions. The anterior mediastinal mass showed features
of an unusual epithelial tumor with huge cells of “cortical”
thymic type, positive to CK19, as usually thymoma epithelial
cells (EC) do. In addition, the EC showed the CD5 positivity
reported for thymic carcinoma of squamous type, and a
CD117 positivity (cytoplasmic and membrane staining) also
reported for thymic carcinomas. The case is particular in that
the mediastinal tumor and the hepatic metastases showed features of both thymoma and thymic carcinoma, thus establishing a correlation between the differently located neoplasias.
CXCR4/CXCL12 axis and VEGF are critical for
Uveal melanoma progression
R. Franco, S. Scala*, S. Staibano**, M. Mascolo**, G. Ilardi**, A. La Mura***, G. Loquercio, E. Fontanella, G. Botti,
G. de Rosa**
S.C. Anatomia Patologica, Istituto dei Tumori “Fondazione
G. Pascale”, Napoli; * S.C. Immunologia, Istituto dei Tumori “Fondazione G. Pascale”, Napoli; ** Dipartimento di
Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università “Federico
II”, Napoli; *** S.C. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “A. Cardarelli”, Napoli
Uveal melanoma is the most common ocular tumor of adults.
Almost 50% of uveal melanoma patients die of metastatic
disease. The peculiar metastatisation in uveal melanoma
through emathogen dissemination highlight the role of
neoangiogenesis and migration, in which CXCR4/CXCL12
axis and VEGF play an important function.
189
CXCR4-CXCL12-VEGF were detected by immunohistochemistry in 53 samples of uveal melanoma. Correlations
with main clinic-pathological features were evaluate, as well
as their potential impact on overall survival and disease-free
survival. Moreover immunohistochemical and mRNA expression were evaluated in liver metastasis of two patients in
our series.
CXCR4 staining was present in 22 cases (41.4%) and significantly correlates with neoplastic progression and VEGF expression, while CXCL12 expression was positive in 23 cases
(43.4%) and significatively correlated to tumor diameter and
to the epithelioid-mixed cytotype. VEGF expression was
positive in 21 (39.6%). Neither single protein expression neither their combined expression did not affect DFS and OAS.
Moreover liver metastasis showed increased CXCR4 expression.
Although CXCR4-CXCL12-VEGF expression in uveal
melanoma failed to identify high risk patients, cross-interaction of CXCR4-CXCL12 axis and VEGF seem to have a role
in uveal melanoma progression, adding prognostic information on this group of patients.
Pseudoparasites in histological specimens
F. Rivasi, S. Pampiglione*
Department of Pathologic Anatomy and Forensic Medicine,
Section of Pathological Anatomy, University of Modena and
Reggio Emilia, Modena, Italy; * Department of Veterinary Public Health and Animal Pathology, University of Bologna, Italy
Introduction. Various materials including unfamiliar cell fragments, abnormal conglomerates, mineral concretions, Curschmann spirals, extraordinary elements, artefacts and foreign
material of vegetable origin, will be encountered by pathologist during tissues examination 1. Unfortunately, because of the
wide range of possibilities, it is not always easy to identify these structures that sometimes show one vague or even strong resemblance to parasitic organisms or their eggs 2. Differential
diagnosis from this material with parasites should be therefore considered. The aim of this paper is to focus on this diagnostic problem by illustrating histological findings with the
presence of these structures.
Materials and methods. The investigation was carried out
between January 2000 and June 2007. 100 formalin-fixed,
paraffin embedded histological tissue specimens (60 appendicectomy, 12 intestinal wall surgical specimens, 18 colectomy, and omentectomy, peritoneal biopsies, pleuropulmonary biopsies, conjunctival biopsies and 2 prostatectomy cases, respectively), exhibiting sometimes acute
and/or chronic granulomatous inflammation with evidence
of elements mimicking parasites, were retrieved from the
archives of the Anatomic Pathology of Modena. 58 patients
were females while 42 were males, ages raging from 24
and 78 years (mean 65 years). The histological specimens
were routinely processed and stained. Each specimen was
also assessed for the type and number of inflammatory cells in order to evaluate the degree of the pathological changes correlated to the presence of the pseudo-parasitic elements and to the clinical data. The histopathological slides
were reviewed by the authors, one being a histopathologist (FR), the other (SP) a parasitologist, who paid particular
attention to the histological and possible parasitological
aspects.
POSTERS
190
Results. The pseudoparasites found in the lumen of the appendix, in the serosa or submucosa of intestinal tract, in the
peritoneum, omentum, pleura and lung were of vegetal origin. These elements were referable to plant structures,
plant debris, starch grains, plant spiral fibres, trachaee,
small seeds or pollen grains, They were often isolated, sometimes grouped in nests or in columns. The vegetal cells
show thin walls and a thin layer of clear transparent cytoplasm around a large central nucleus. The nuclei were sometimes oblong, moderately hyperchromatic and homogeneously coloured. The plant debris, stark grains, or pollen
grains are thought to be some kind of parasite egg. The
plant structures were mistaken with sections of helminthes
or with fragments of arthropod. These elements in histological sections were often observed inside a granuloma with
the presence of giant multinucleated foreign body type cells. The elements observed in glandular lumen of the prostate, in the conjunctiva, in the endometrium were referred
to stratified concretions of mucoid material, partially calcified. They were often mistaken for eggs of various helminth worms. Unfortunately it is not always possible to
identify all the nonparasites elements, because of the numerous range of possibility and of the inadeguate palinological and botanical knowledgés.
Conclusions. This study can be useful to pathologists because, by giving findings of non-parasite objects, it can help to
correctly interpret the presence of foreign material in histological specimens in order to avoid diagnostic errors.
References
1
Ash LR, Orihel TG. Atlas of human parasitology. Am Soc Clin Pathol
Press Singapore 2007.
2
Orihel TG, Ash LR. Parasites in human tissues. Am Soc Clin Pathol
Chigago-Hong Kong 1995.
Medullary thyroid microcarcinoma. A case
report
N. Scibetta, L. Marasà
ARNAS Civico “Di Cristina, Ascoli”, Palermo; Servizio di
Anatomia Patologica, Italy
Introduction. Medullary thyroid microcarcinoma is a thyroid tumor measuring 1 cm or less.
Papillary microcarcinoma is the most common subtype, often
identified incidentally in a thyroid removed for multinodular
goiter or diffuse processes (eg, thyroiditis), whereas
medullary thyroid microcarcinomas (microMTC), are very
rare.
A number of microMTC are discovered in patients members
of familial-MTC or MEN-II kindred.
The discovery of a microMTC as sporadic tumor is even rarer.
Very little information is available about occult microMTC
pathological features and outcome.
Methods. A 26 years-old woman with a unique subcentimetric palpable thyroid nodule has been subjected to fine needle
aspiration biopsy (FNAB). The presence of cellularity higher
than that found in the usual hyperplastic nodule and of highly hyperchromatic nuclei with oncocytic cytoplasm suggested the presence of oncocytic neoplasm.
A total thyroidectomy was made.
The specimens, constituited by thyroid and by 4 pericapsular
lymph nodes, were fixed in 10% buffered formalin, and
paraffin embedded. Sections were stained with H&E, Congo
red stain and argyrophilic stains. Immunohystochemical
staining for low-molecular-weight keratin, CEA, NSE, chromogranin A, synapthphysin, thyroglobulin, calcitonin, TTF,
BCL2, MIB 1 (KI 67), S100 was performed.
Results. Grossly the tumor was solid, firm, and non encapsulated but relatively well-circumscribed, located in the right
upper half of the gland, with maximum diameter of 0.8 cm.
Microscopically showed a prominent central sclerosing area
with calcifications, and a lobular proliferation of polygonal
and splindle shaped cells, separated by varyng amounts of fibrovascular stroma. Tumor cells contain round to oval regular nuclei, and mitotic figures are scant. The cytoplasm is
granular, amphophilic.
Several benign thyroid follicles are entrapped in the tumor.
The congo-red stain no showed amyloidosis, and the cells
were only weakly positive for calcitonin, diffusely positive
for keratin, CEA, and pan-endocrine markers such as NSE,
chromogranin A, synapthophysin, TTF and argyrophilic
stains, negative for thyroglobulin.
A lymph node showed a metastasis. This tumor that was devoid of amyloid, weakly positive for calcitonin and negative
for thyroglobulin and positive for NSE and chromogranin
was viewed as poorly differentiated (“calcitonin free”) variant of medullary carcinoma.
The patient showed a normal postoperative basal calcitonin,
and family screening showed no sign of MEN II or abnormal
CT level. Two years after the surgery she did not show any
local recurrence or metastasis.
Conclusions. Although specific survival rate and percentage
of biological cure in micro-MTC are significantly better than
for larger tumors, the frequency of lymph-node involvement,
however, justifies an aggressive surgical approach,
and a long-term follow-up that strongly relies on regular CT
measurement.
Sistemi informativi a supporto della gestione
della strumentazione
A. Comi
Servizio di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “San
Paolo”, Milano, Polo Universitario, Università di Milano
I servizi di Ingegneria Clinica garantiscono, all’interno delle strutture sanitarie e ospedaliere l’utilizzo sicuro, appropriato ed economico delle apparecchiature biomediche. Un
efficace servizio di Ingegneria Clinica è in grado di: effettuare i collaudi di accettazione, realizzare l’inventario tecnico ed economico, effettuare gli interventi di manutenzione preventiva e correttiva, svolgere periodicamente le verifiche di sicurezza ed i controlli di qualità, ottimizzare il risk management, fornire consulenza sugli acquisti e contribuire a definire i piani di rinnovo della strumentazione. Il
sempre maggior livello di complessità e numerosità assunto dal parco tecnologico all’interno delle strutture sanitarie
comporta la necessità di sistemi informativi che supportino
non solo la gestione inventariale ma costituiscano anche
uno strumento per il mantenimento della sicurezza e dell’efficienza delle tecnologie. Numerosi sistemi informativi
si sono evoluti negli ultimi anni, attraverso la gestione di un
numero sempre più ampio di informazioni. Molte Aziende
Ospedaliere possiedono oggi sistemi più o meno sofisticati
per l’acquisizione, il controllo e l’analisi dei dati di funzio-
POSTERS
namento della strumentazione. Sistemi di questo tipo consentono di analizzare la manutenzione sotto tutti i punti di
vista: migliorare la manutenzione ordinaria, ridurre quella
correttiva, fornire un supporto ideale per la stesura di consuntivi e relazioni richieste dagli organi ispettivi, sia al fine
della sicurezza che della qualità. Non in tutte le realtà però
vi è la possibilità di rendere disponibili queste informazioni anche a professionalità diverse dai principali utilizzatori
aziendali (servizi di ingegneria clinica, fornitori di service
di manutenzione), quali gli operatori sanitari (medici, biologi e tecnici). In questo lavoro vengono presentate le modalità di impiego del sistema Geos Web introdotto nell’Azienda Ospedaliera “San Paolo” da circa 3 anni ed utilizzato con ottimi risultati dal personale del Servizio di Anatomia Patologica. Poter effettuare un regolare controllo della
manutenzione della apparecchiature biomediche significa
per l’operatore assicurarsi che la strumentazione sia sempre
in perfette condizioni di lavoro e ridurre i possibili rischi di
fermo macchina. Nel contesto dell’attività di laboratorio
spesso non vi è spazio per inattesi fermo macchina. Quando
questo accade, perdite di tempo e denaro si sommano, compromettendo la produttività. Il controllo diretto sul piano di
manutenzione da parte degli operatori sanitari è quindi la
migliore garanzia di performance della strumentazione.
Due casi di sedi inusuali di meningiomi
extracranici
P. Possanzini, T. Brambilla, P. Braidotti, S. Paradisi*, L.
Moneghini
Università di Milano, Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano, Dipartimento di
Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, e Azienda Ospedaliera
“San Paolo”; * Chirurgia Maxillo-Facciale-Chirurgia Cervico-Maxillo-Facciale, I Istituto Ortopedico “Galeazzi”, Milano
Il meningioma è una neoplasia tipica del sistema nervoso
centrale che può manifestarsi in sede extracranica a seguito
di una diffusione per contiguità o continuità. Raramente il distretto testa/collo è la sede primitiva d’insorgenza della neoplasia.
All’inizio del 2006, durante l’esame intraoperatorio di due
interventi di chirurgia maxillo-facciale, è stato possibile osservare due neoplasie istologicamente simili che, all’esame
definitivo, sono state diagnosticate come meningiomi extracranici primitivi.
Il primo caso riguardava una paziente di 39 anni con una tumefazione della regione temporale destra; il secondo caso
una donna di 69 anni con una neoformazione in sede parotidea sinistra. L’esame estemporaneo intraoperatorio mostrava,
in entrambi i casi, una neoformazione a crescita infiltrativa
formata da linee epiteliomorfe, aggregate in spirali e lobuli,
separate da fasci di cellule fusate; le cellule neoplastiche presentavano scarso polimorfismo e diffuse inclusioni nucleari.
L’esame definitivo ha confermato l’origine meningea di entrambe le neoplasie; tuttavia, data l’eccezionalità del caso,
abbiamo eseguito le colorazioni immunocitochimiche per
l’Antigene Epiteliale di Membrana, la Vimentina, e la proteina S-100. L’esame ultrastrutturale ha inoltre evidenziato la
presenza di processi citoplasmatici con complesse interdigitazioni uniti da piccoli desmosomi.
191
La sede nel muscolo temporale di un meningioma primitivo
è stata segnalata in letteratura in vari case report 1; al contrario, quella parotidea 2 deve considerarsi assolutamente eccezionale in quanto, a nostra conoscenza, questo è solo il secondo caso descritto fino ad ora.
Bibliografia
1
Thompson L, et al. Mod Pathol 2003;16:236-45.
2
Wolff M, Rankow RM. Hum Pathol 1971;2:453-9.
Valutazione spertimentale in vivo di
nanoparticelle lipidiche solide (NLS) come
carrier di farmaci intraoculari
P. Braidotti*, F. Viola**, D. Galimberti**, O. Pala*, P. Possanzini*, L. Moneghini*
* **
Università degli Studi di Milano, Fondazione Ospedale
Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Milano
*
Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, e A.O.
San Paolo, ** Dipartimento di Scienze Otorinolaringologiche
e Oftalmologiche .
La somministrazione di farmaci che devono raggiungere la
retina avviene, di norma, per via sistemica; sono necessari
quindi alti dosaggi che possono essere mal tollerati provocando effetti collaterali indesiderati. Con questo esperimento
preliminare si vuole valutare l’uso alternativo di NLS come
carrier di farmaci intraoculari. A tale scopo sono stati instillati nel sacco congiuntivale di 24 conigli pigmentati, 50 microlitri (una goccia di 25 microlitri x 2 a 60 secondi di intervallo) di NSL bianche e fluorescenti (Fluo SLN) caricate con
6-cumarina senza principi attivi, in formulazione adatta alla
somministrazione topica, secondo la procedura brevettata e
già descritta da Nanovector s.r.l. Gli animali sono stati sottoposti in vivo ad esame biomicroscopico con lampada a fessura alla valutazione della superficie oculare e all’esame del
fundus dopo 1 e 15 minuti e 1, 6 e 24 ore dalla somministrazione topica. Gli animali sono stati sacrificati (ai tempi 15
minuti e 1, 6 e 24 ore) ed enucleati e i relativi tessuti oculari
sottoposti ad esame istologico, ultrastrutturale e microscopico a fluorescenza.
Si è successivamente proceduto a creare NLS inglobanti un
farmaco cortisonico. Una sospensione di 50 microlitri (una
goccia di 25 microlitri x 2 a 60 secondi di intervallo) è stata
somministrata per via topica in 4 conigli pigmentati. A 2 ore
dalla somministrazione gli animali sono stati sacrificati ed
enucleati e i relativi tessuti oculari in studio sottoposti a
dosaggio del farmaco nei tessuti in studio con HPLC.
Non sono state rilevate alterazioni né istologiche né ultrastrutturali a carico dei tessuti oculari esaminati (congiuntiva,
cornea, retina) dopo somministrazione per via topica di NSL
senza principi attivi in formulazione adatta alla somministrazione topica. Si è inoltre accertato che le Fluo SLN sono
presenti sulla cornea allo stato particellare mentre, sulla retina, danno una positività di fluorescenza con pattern diffuso.
Questi studi preliminari dimostrano che le NLS possano essere utilizzate come carrier di farmaci intraoculari. Sono in
corso ulteriori studi sulla biodisponibilità del farmaco nei diversi tessuti oculari.
PATHOLOGICA 2007;99:192-196
Neuropatologia
Adult-onset chordoid meningioma. Report of
3 additional cases
M. Bisceglia, M. Castelvetere, M. Bianco*, V.A. D’Angelo*
*
Department of Pathology and Neurosurgery, IRCCS “Casa
Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo,
Italy
Introduction. Chordoid meningioma (CM) is a rare subtype
of meningioma (< 0.5% of all meningiomas). It was first described in 1988 in young 1. Clinically this “young-onset” subtype was accompanied by systemic manifestations of the
Castleman’s disease (CD). Histologically – in addition to the
chordoid morphology – a peritumoral, conspicuous, polyclonal lymphoplasmacellular infiltration (l.p.i.) with lymph
follicles and germinal centers was initially described. In 2000
the “adult-onset” variant (AV) of CM was reported 2. At histology this AV, also known as myxoid or mucinous meningioma, is mostly unaccompanied by conspicuous l.p.i. and
clinically free of any systemic manifestations. The relationship between the two variants is unclear. Sofar 77 total cases
have been described of both variants, 14 in the I-II decades
and 63 in adulthood (59 in the IV-VIII decades, 4 in the III).
Manifestations of CD were seen in 8 pediatric cases and in 1
adult. Absence of CD was recorded in 64 cases, and in the remaining 4 this datum was not given. Conspicuous l.p.i. has
been described in 8 pediatric and 1 adult cases associated
with signs of CD; mild to moderate l.p.i. was recorded in 2530 cases, and severe l.p.i. in few; absence of l.p.i. was recorded in the rest 40. Sofar only 3 large series have been published with 7, 42, and 12 cases reported, respectively, all the
rest of publications being represented by single case reports,
except 2.
Design. We present herein 3 new cases in support of this AV
of CM, 2 males and 1 female (age: 53, 67, and 71 yrs, respectively). The location of tumor in 2 was in the supratentorial (prechiasmal, left parietal) and in 1 in the infratentorial
(right cerebellar) compartments. All cases presented with
site-based neurological signs. All patients were surgically operated and tumors totally removed (size: 2.5, 4, and 7 cm
each).
Results. All tumors were histologically examined. Chordoidmyxoid pattern constituted > 60% of the entire tumor in 1
case and was pure in 2. No l.p.i. was seen. All cases were immunohistochemically studied (+ve for vimentina, EMA, S100-pr, and -ve for CK w.s., and GFAP; MIB-1 was 2-4%)
and diagnosed as CM. In the 2 pure cases chordoma and
metastatic mucinous carcinoma had to be excluded. No case
had signs of CD. No case recurred.
Conclusions. AV of CM is more frequent than the young-onset variant; both absence of histological l.p.i. and clinical
signs of CD are usual. The d.d. includes chordoma and mucinous carcinoma.
References
1
Kepes JJ, et al. Cancer 1988;62:391-406.
2
Couce ME, et al. Am J Surg Pathol 2000;24:899-905.
Distribuzione dell’mRNA del gene SEZ6 nella
corteccia fetale e nel cervello adulto postmortem
E. Reisoli, M. Ori, F. Becherini*, V. Nardini*, M. Castagna*, I. Nardi, M. Pasqualetti
Unità di Biologia Cellulare e dello Sviluppo, Dipartimento di
Biologia, Università di Pisa; * Anatomia Patologica III, Dipartimento di Chirurgia, Università di Pisa
Introduzione. Numerosi fattori genetici sono coinvolti nel
controllo dei meccanismi che regolano lo sviluppo ed il funzionamento della corteccia cerebrale. È noto che mutazioni a
carico di alcuni di questi geni, provocano malformazioni corticali che sono alla base di gravi patologie quali l’epilessia.
Nel corso di uno screening differenziale volto ad identificare
geni correlati a stato epilettico è stato isolato il gene SEZ6 di
topo 1. Pur non essendo noto il ruolo funzionale di SEZ6, la
presenza della sua espressione nel sistema nervoso centrale
durante l’embriogenesi del topo, suggerisce un suo potenziale coinvolgimento nei meccanismi che regolano lo sviluppo
del cervello. Nel presente lavoro abbiamo studiato l’espressione genica di SEZ6 in tessuti cerebrali umani fetali e adulti.
Metodi. Un frammento di cDNA del gene SEZ6 umano è stato ottenuto mediante RT-PCR ed utilizzato per la preparazione di sonde antisenso in esperimenti di ibridazione in situ su
sezioni ottenute da campioni autoptici di encefalo sia fetale
(28 e 39 settimane di gestazione) che adulto. Le sonde ad
RNA sono state marcate sia con 35S che con digossigenina
(Dig).
Risultati. I risultati hanno mostrato che l’mRNA di SEZ6 è
presente con un profilo di espressione dinamico durante lo
sviluppo dell’encefalo e specifico per le diverse aree analizzate. A 28 settimane di gestazione, nella corteccia in via di
sviluppo, SEZ6 mostra un’espressione diffusa in tutta la piastra corticale ed in una sottopopolazione di cellule nella zona
intermedia. A 39 settimane di gestazione, il livello di espressione di SEZ6 diminuisce in maniera significativa restringendosi agli strati corticali più profondi. Nell’adulto, SEZ6 si
esprime nelle regioni corticali analizzate con un profilo analogo a quello riscontrato a 39 settimane. Nell’encefalo adulto l’analisi è stata estesa alla regione dell’ippocampo ed ha
mostrato la presenza di SEZ6 nel giro dentato, nel campo
CA1 e CA3 del corno di Ammone e nel subiculum.
Conclusioni. I dati ottenuti costituiscono il primo studio di
espressione genica del gene SEZ6 nell’uomo, sia durante lo
sviluppo fetale che nell’adulto. Questi dati, rappresentano
una base di partenza importante per studi futuri volti a chiarire sia il suo ruolo funzionale durante lo sviluppo del cervello, sia il potenziale coinvolgimento in stati patologici come l’epilessia.
Bibliografia
1
Shimizu-Nishikawa K, et al. Brain Res Mol Brain Res 1995;28:20110.
POSTERS
193
“Lymphoplasmacyte-rich” meningioma.
Descrizione di un caso e revisione della
letteratura
Microglia impairment in the central nervous
system of DAP12 knock-out mice reflects a
role for DAP12 in microglia survival
L. Riccioni, R. Donati*, M. Sintini**, S. Cerasoli
P.L. Poliani, I.R. Turnbull*, W. Vermi, M. Colonna*, F.
Facchetti
U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena; * U.O. Neurochirurgia, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena; ** Dipartimento di Radiologia Medica Diagnostica ed Interventistica, Presidio Ospedaliero “Rimini Santarcangelo”
Introduzione. Il meningioma ricco in linfociti e plasmacellule (c.d. “lymphoplasmacyte-rich”) (LPRM) è una variante
istologica di meningioma, di grado I secondo la classificazione dell’O.M.S., in cui la componente cellulare meningoteliale neoplastica è mascherata da un infiltrato infiammatorio
massivo costituito da plasmacellule, follicoli linfoidi e sparsi
istiociti. Descriviamo un caso di LPRM, con revisione della
letteratura pertinente.
Caso clinico. Donna di 46 anni, alla quale una risonanza magnetica cervicale, eseguita in seguito al perdurare di brachialgia destra, aveva riscontrato una lesione localizzata all’altezza dei metameri vertebrali C5 e C6 che apparentemente interessava lo spazio epidurale, con parziale estensione nel
canale neurale omolaterale. L’intervento neurochirurgico con
laminectomia C4 parziale, C5 e C6, evidenziava uno spazio
peridurale integro ed asportava in modo apparentemente radicale una lesione ad origine durale “en plaque” di cm 1,5 di
asse maggiore. La paziente dopo 6 mesi dall’intervento appare libera da malattia.
Risultati. All’esame istologico la neoplasia risulta costituita
da una proliferazione di cellule meningoteliali, positive all’indagine immunoistochimica per antigene epiteliale di
membrana (EMA) e vimentina, disposte in nidi vorticoidi e
dispersi in un contesto infiammatorio costituito in prevalenza da plasmacellule mature policlonali e piccoli linfociti con
immunofenotipo B e T. I reperti morfologici ed immunoistochimici hanno suggerito la diagnosi di LPRM.
Conclusioni. Il LPRM è una rara variante di meningioma,
del quale a tutt’oggi sono stati descritti 20 casi in letteratura,
con insorgenza preferenziale tra la II e la IV decade, talora in
associazione ad ipergammaglobulinemia ed anemia 1. Tra i
casi descritti, uno insorto in età pediatrica, mostrava caratteristiche di invasività locale ed atipia. Il LPRM deve essere distinto da processi linfoproliferativi con ricca componente
plasmacellulare e da lesioni infiammatorie non neoplastiche,
quali il granuloma plasmacellulare e la pachimeningite idiopatica infiammatoria 2, che si possono accompagnare ad iperplasia meningoteliale reattiva e che richiedono un differente
approccio terapeutico. La valutazione della clonalità dell’infiltrato linfo-plasmacellulare e l’entità e la morfologia della
componente meningoteliale, suggeriscono il corretto inquadramento diagnostico della lesione.
Bibliografia
1
Bruno MC, Ginguene C, Santangelo M, Panagiotopoulos K, Piscopo
GA, Tortora F, et al. Lymphoplasmacyte rich meningioma. A case report and review of the literature. J Neurosurg Sci 2004;48:117-24.
2
Hirunwiwatkul P, Trobe JD, Blaivas M. Lymphoplasmacyte-rich meningioma mimicking idiopathic hypertrophic pachymeningitis. J Neurol-Ophtalmol 2007;27:91-4.
Department of Pathology, University of Brescia, Italy; * Department of Pathology and Immunology, Washington University School of Medicine, St. Louis, MO, USA
Introduction. DAP12 is a signaling adaptor protein that associates with a family of receptors expressed on the surface
of leukocytes including the TREM family of receptors expressed on granulocytes and macrophages. Genetic mutations of human DAP12 gene result in a rare syndrome with
no obvious immune defects but characterized by bone cysts
and presenile dementia, the polycystic lipomembranous osteodysplasia with sclerosing leukoencephalopathy (PLOSL),
so called Nasu-Hakola disease. Since DAP12 is expressed in
cells of myeloid origin, it is suggested that DAP12 may regulate the function of osteoclasts and microglial cells, which
share a myeloid origin and are critical for bone re-modelling
and brain function, respectively. Similarly to PLOSL patients, DAP12 defient mice have defects in both central nervous system (CNS) and bone, two tissues invested with resident cells of the mononuclear phagocyte lineage: osteoclasts
and microglia. We have previously shown that macrophages
from DAP12-/- mice undergo rapid apoptosis and in bonemarrow chimera experiments DAP12-/- cells less efficiently
repopulated both bone-marrow and peripheral tissues. To better investigate this issue we studied the microglia morphology and distribution in the CNS of DAP12-/-, Trem2-/-,
DAP10,12-/- and DAP10,12,FcER-/- mice.
Methods. Brains and spinal cords from both knock-out and
wild type mice at different age (newborns, 10-12 and 21
months old) have been collected and processed for paraffin
embedding. Serial sections from all the CNS of the animals
have been submitted to neuropathological examination and
immunostained for different microglal markers (F4/80, Iba1, BS-I isolectin B4).
Results. Neuropathological analysis of the knock out mice
didn’t show major alterations with the exclusion of focal areas of hypomyelination, mild gliosis and calcifications in the
oldest mice. Microglia have been found to be widespread expressed throughout all the CNS of the control mice with a
prevalence in some regions (basal ganglia, cerebellum, hippocampus, fimbria-fornix). In contrast, an age dependent microglia impairment have been revealed in all the DAP12, the
double DAP10/12 and the triple DAP10/12/FcER knock out
mice with a dramatic loss in the older mice. Noteworthy, the
Trem2 knock out mice didn’t show any microglial alterations. Interestingly the residual microglial cells showed a
dystrophic morphology with loss of bundles and degenerating appearance (beading, fragmentation, nuclear condensation).
Conclusions. These data suggest a new role for the DAP12
protein in the survival of microglial cells. This is particularly relevant in the CNS, where replenishment of microglia is
limited by capacity of bone-marrow derived monocytes to
cross the blood brain barrier and defective microglial cell
function might be contribute to the etiopathognesis of PLOS.
POSTERS
194
Immunophenotipical characterization of
targeted dendritic cell vacciantion to
glioblastoma derived cancer stem cell
*
Cav-1 expression is correlated with
microvessel density in human meningiomas
V. Barresi, S. Cerasoli*, G. Barresi, G. Tuccari
*
P.L. Poliani, S. Pellegatta , M. Ravanini, G. Finocchiaro ,
F. Facchetti
Department of Pathology, University of Brescia, Italy; * Department of Experimental Neuro-Oncology, National Neurological Istitute “C. Besta”, Milan, Italy
Introduction. A novel intriguing scenario in tumor biology
implies that only a subgroup of cells is endowed with properties that are necessary to perpetuate tumor growth. These
cells would recapitulate the role of progenitor stem cells during development and the neoplastic phenotype would then be
the result of aberrant organogenesis. The presence of cancer
stem-like cells (CSC) has been proposed in leukemias, breast
cancer, brain tumors and, more recently, in other neoplasms.
Only CSC were able to grow indefinitely in vivo and invariably reproduce the human parental tumor when injected in
immunodeficient mice. An important consequence of the
CSC model for tumor growth would be that only the targeting of the highly malignant CSC tumor subsets would be able
to eradicate the tumor.
Methods. To tests this hypothesis we first developed a brain
tumor model based on CSC paradigm. We isolated under specific culture conditions CSC from murine GL261 glioblastoma (GBM) cell line, expressing high levels of stem cell
markers, growing as neurospheres, and we stereotactically
inoculated these cells into the brain of syngenic mice. This
animal model have been then used to establish a novel immunotherapeutic protocol using dendritic cells (DC) loaded
with GBM neurospheres containing CSC (DC-NS) or total
murine glioblastoma (GBM) lysates (DC-GBM). Statistical
studies on survival and histopathological and immunophenotipical evaluation have been performed.
Results. Glioblastoma derived neurospheres with CSC features showed robust tumor formation in vivo and a more aggressive infiltrating behaviour, with lower survival compared
to controls, injected with the parental GL261 glioblastoma
(GBM) cell line. MRI and histology confirmed the data.
Strikingly, dendritic cells pulsed to neurospheres (DC-NS)
protected mice against tumors from both the highly aggressive GBM derived from CSC and the classical model. Dendritic cells pulsed to the total lysate (DC-GBM), on the contrary, only afforded a partial protection. Histopathological
analysis showed that DC-NS vaccination was associated with
robust tumor infiltration by CD8+ and CD4+ T lymphocytes
and signs of tumor rejection.
Conclusions. These findings suggest that DC targeting of
CSC provides a higher level of protection against GBM, even
in the presence of an highly aggressive model, a finding with
potential implications for the design of future clinical trials
based on DC vaccination.
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina,
Italy; * U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena, Italy
Introduction. Caveolin-1 (Cav-1) is a 22 KDa protein, mainly expressed in the endothelium, smooth muscle cells, in
adipocytes and in fibroblasts. It exerts an essential but dual
role in the regulation of cell proliferation and functions as either a pro-tumorigenic or a tumour suppressor factor in human malignancies. Recently, Cav-1 immuno-expression in
neoplastic cells has been significantly correlated with tumour
microvessels density (MVD) in renal cell carcinoma and in
mucoepidermoid carcinoma of the salivary glands. Since we
previously demonstrated Cav-1 potential pro-tumorigenic
and negative prognostic role in human meningiomas, the aim
of the present study was to analyze Cav-1 expression in a series of meningiomas and to correlate it with MVD measured
by the specific marker for neo-angiogenesis CD105.
Methods. 62 cases of meningiomas, classified according to
WHO 2000, were submitted to the immunohistochemical
analysis for CD105 and for Cav-1. CD105 stained vessels
were counted (400X) in the three most vascularized areas and
the mean value of three counts was recorded as the MVD of
the section. For each case, a Cav-1 ID score was also generated by multiplying the value of the area of staining positivity (ASP: 0 = < 10%, 1 = 11-25%, 2 = 26-50%, 3 = 51-75%,
4 = > 75%) and that of staining intensity (SI: weak = 1, moderate = 2 and strong = 3). Chi-squared and Mann-Whitney
tests were used to assess correlations between clinico-pathological parameters and Cav-1 ID scores or MVD counts. The
correlation between MVD and Cav-1 ID scores was tested by
using Mann-Whitney and Spermann correlation tests. Kaplan
Meier method was applied to evaluate the prognostic significance of Cav-1 expression, MVD and other clinico-pathological parameters on overall and recurrence-free survival.
Results. A significantly higher MVD was encountered in
cases displaying a higher Cav-1 ID score (p = 0.0001). Furthermore, a significant positive correlation emerged between
Cav-1 ID scores and MVD counts (r = 0.390; p = 0.0023).
Higher MVD counts and higher Cav-1 ID scores were significantly associated with a higher histological grade and Ki67 LI and with a shorter overall and recurrence-free survival
to meningiomas.
Conclusions. The correlation between a higher Cav-1 expression in the neoplastic cells and tumour MVD may indicate the role of the former as a regulator of neo-angiogenesis
in meningiomas. This might be the mechanism underlying
Cav-1 behaviour as a negative prognostic factor in meningiomas.
POSTERS
Adenomi ipofisari recidivi valore prognostico
del Mib-1 e della p53
C.F. Gheri, A.M. Buccoliero, F. Garbini, E. Zappulla, F.
Castiglione, D. Moncini, F. Ammannati*, P. Mennonna*,
G.L. Taddei
Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università
di Firenze; * Unità Operativa di Neurochirurgia, AOU Careggi, Firenze
I tumori primitivi dell’ipofisi rappresentano il 6-10% di tutti
i tumori intracranici sintomatici. Nella pressoché totalità dei
casi si tratta di adenomi. I carcinomi sono infatti un’entità
estremamente rara.
Gli adenomi ipofisari vengono distinti in tipici ed atipici in
relazione al tipo di crescita espansiva o invasiva, all’indice di
proliferazione cellulare (MIB-1) inferiore o superiore al 3%
ed alla assenza o presenza della sovraespressione immunoistochimica della proteina p53. La combinazione di questi caratteri è stata infatti associata con una tendenza significativamente maggiore all’invasività ed alle recidive.
Scopo della nostra ricerca è stato valutare il valore predittivo
del Mib-1 e della p53 negli adenomi ipofisari in relazione alle recidive.
Di 5.080 casi neurochirurgici oncologici giunti alla nostra osservazione nel periodo gennaio 1995-giugno 2006, 371 (7%)
erano adenomi ipofisari, 13 (3%) dei quali recidivi.
L’indice di proliferazione Ki-67 e l’espressione della p53 valutati nella lesione primitiva dei 13 casi recidivati sono stati
confrontati con un campione di 100 adenomi ipofisari consecutivi non recidivati. Da questo confronto emerge una differenza statisticamente significativa sia nell’espressione di p53
che dell’indice di proliferazione cellulare degli adenomi recidivati rispetto ai controlli.
In base alla nostra esperienza p53 e Mib-1 si candidano pertanto quali possibili fattori prognostici predittivi di un più alto rischio di recidiva negli adenomi ipofisari.
Multidrug resistance P-glycoprotein
expression in human fetal brain
S. Fattori, F. Becherini, V. Nardini*, M. Cianfriglia**, M.
Castagna
Pathological Anatomy III, Department of Surgery, University
of Pisa, Italy; * Pathological Anatomy III, A.O.U.P., Pisa;
Italy ** Department of Drug Research and Evaluation, Istituto Superiore di Sanità, Rome, Italy
Introduction. Multidrug resistance 1 gene (MDR1), encoding for P-glycoprotein (P-gp) is a transmembrane ATP dependent protein associated with multidrug resistance in cancer cells and it is also phisiologically expressed in several organs, such as adrenal, intestine, respiratory epithelium, placenta and brain.
The finding of Pgp expression in a variety of normal tissues
with diverse physiological functions suggests that the role of
Pgp may not be limited to excretion of xenobiotics. Hence
Pgp may play an important role as a protective tissue-blood
barrier in several organs and conditions including the brain
cells of the fetus.
Methods. In this study we investigated P-gp expression in
human brain tissues at different developmental stages of fetal life (between the 13 and 39 weeks of gestation), by im-
195
munohistochemical technique. In particular we used a purified form of the monoclonal antibody MM4.17, that has been
shown to react with unique specificity and affinity with the
external domain of MDR1-P-gp.
Results. Immunodetection of P-gp was observed not only in
endothelial cells of brain capillary, but also in brain cells. The
more interesting results were found into the meningeal,
choroid plexus and in the neuronal cells of ponto-mesencephalic nuclei.
Conclusions. These findings confirm that MDR1-P-gp may
play an important role in the endothelial cells of the brain
pumping out xenobiotics from endothelial cells into the lumen of capillaries for the protection of the brain parenchyma
and protecting fetal brain against toxic agents or maternal
metabolic products during the intrauterine development. Furthermore P-gp could have an hypothetical role in important
physiologic process taking place in early developmental
stages of fetus life.
Finally, understanding the presence of this protein and the
mechanisms of it’s functions both in the placenta and in the
brain fetal cells could be essential for optimization of pharmacotherapy during pregnancy.
Epilepsy surgery: unusual association of
meningioangiomatosis with DNET
F. Becherini, A. Iannelli*, C. Marini**, T.S. Jacques***, B.
Harding***, M. Castagna***
Department of Surgery, Anatomical Pathology Unit III, University of Pisa, Italy; * Neuroscience Department, Neurosurgery Unit, University of Pisa, Italy; ** Child Neurology Unit,
Pediatric Hospital “A. Meyer” University of Florence, Italy;
***
Department of Histopathology, Great Ormond Street Hospital NHS Trust, London UK
Meningioangiomatosis (MA) is a rare lesion involving the
cortex and the overlying leptomeninges, resulting from a proliferation of superficial cortical vessels and perivascular
spindle cells. While most case are sporadic, the association of
MA with neurofibromatosis type 2 (NF2) is well recognised.
Cases usually present with seizures or headaches. MA has
been observed in association with focal brain lesions such as
meningiomas, schwannomas, low-grade gliomas and vascular malformations. We describe a mixed lesion comprising of
MA and a Dysembryoplastic Neuroepithelial Tumour
(DNET). A 4 year-old male with no family history of NF2
presented with a single, secondarily generalized, complex
partial seizure. EEG recordings showed an excess of slow
and sharply contoured activity in the left centro-parieto-occipital region and bursts of sub-clinical intermittent rhythmic
activity lasting about 20 seconds. An MRI of the brain
showed two distinct lesions in the mesial-temporal and temporo-opercolum-subinsularis regions, characterized by an increased Apparent Diffusion Coefficient (ADC), hyperintensity in long-TR images and hypointensity in T1-weigheted images. The remaining part of the lesion involving the cortex
looked slightly hyperintense and coexisted with a pseudopachygyric aspect with loss of interdigitations between white
matter and the overlying circumvolutions. The child underwent to temporal lobectomy, with sparing of the hippocampus. The resection consisted of firm temporal lobe with discoloured cortex and gelatinous, greyish sub-cortical areas.
Microscopy revealed two distinct pathological findings. Cor-
POSTERS
196
tical architecture was disarranged due to proliferation of thinwalled blood vessels, surrounded by cuffs of spindle cells,
sometimes organized in areas with a rhythmic palisading pattern. These features were typical of MA of “predominantly
cellular type”. The second pathology consisted of nodules of
small, round “oligodendrocyte-like” cells set against a loose
myxoid stroma which showed areas of pseudocyst formation.
Scattered residual neurones were found, but the “specific
glio-neuronal element” was not seen. Morphological and immunophenotypical features were suggestive of a DNET.
To our knowledge this association has never been described
and represents an interesting combination of two different
diseases with uncertain histogenesis.
L’espressione di caveolina-1 correla con
grado e sopravvivenza di ependimomi spinali
e intracranici: presupposti per la definizione
di un nuovo fattore prognostico in NeuroOncologia
R. Senetta, L. Chiusa, R. Lupo, C. Miracco*, E. Armando,
G. Bussolati, P. Cassoni
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana,
Università di Torino; * Dipartimento di Patologia Umana e
Oncologia, Sezione di Anatomia Patologica, Università di
Siena
Introduzione. Gli ependimomi rappresentano un sottogruppo di neoplasie gliali costituenti circa il 3-5% di tutte le neoplasie intracraniche. Sebbene numerosi studi abbiano tentato
di identificare con criteri clinici, istologici, immunoistochimici e molecolari dei parametri con valore prognostico, i risultati ad oggi presenti in letteratura sono discordanti. La caveolina-1 (cav-1) è stata recentemente descritta quale marker
associato a tumori gliali (di origine astrocitaria) a maggiore
aggressività biologica 1 in accordo con la recente evidenza
che uno shift mesenchimale delle cellule gliali possa caratterizzare un fenotipo più maligno 2. Scopo di questo lavoro è
valutare l’espressione di cav-1 in una casistica di tumori di
origine ependimale e correlarla con sopravvivenza e altri
markers immunofenotipici.
Metodi. Ventinove casi di ependimoma intracranici e spinali, operati tra il dicembre 2001 e il dicembre 2006, sono stati
studiati per valutare l’espressione di cav-1 e di correlarla con
parametri istologici (grado sec. WHO, ed. 2003), immunofenotipici (Ki67, p53 ed EGFR) e clinici (OS e DFS).
Risultati. Tra i 29 ependimomi studiati, 7 erano di grado I,
13 di grado II e 9 di grado III. La percentuale di espressione
di cav-1 nelle cellule tumorali correlava significativamente
con il grado (I vs. II: p = 0,007; I vs. III: p = 0,0001; II vs. III:
p = 0,0001), a differenza di Ki67 [I vs. III (p = 0,002) altri
n.s.] e di EGFR [II vs. III (p = 0,0002) e I vs. III (p = 0,001)
I vs. II: n.s.]. L’espressione di p53 non ha presentato una correlazione con il grado tumorale. L’analisi univariata ha evidenziato una associazione significativa del grado tumorale e
dell’espressione di p53, Ki67, EGFR e cav-1 (p = 0,0008)
con l’OS: tuttavia, in analisi multivariata, la percentuale di
espressione di cav-1 > 40% è risultata essere la sola variabile indipendente correlata con l’OS (p = 0,0001).
Conclusioni. La cav-1 è il marcatore immunoistochimico
che meglio correla con il grado tumorale degli ependimomi
ed il solo marker che in analisi multivariata presenti una significativa associazione indipendente con la sopravvivenza
del paziente. Nell’insieme, questi risultati offrono le premesse per un utilizzo di cav-1 come fattore prognostico nella diagnostica dei tumori di origine ependimale.
Bibliografia
1
Cassoni P, et al. Am J Surg Pathol 2007;31:760-9.
2
Phillips HS, et al. Cancer Cell 2006;9:157-73.
PATHOLOGICA 2007;99:197-202
Patologia dei tessuti molli
Neurofibroma lipomatoso: descrizione di un
raro caso
M.P. Cocca, C. Martella, R. Ricco, A. Cimmino
Dipartimento di Anatomia Patologica, Azienda Policlinico,
Università di Bari
Introduzione. Il neurofibroma cutaneo presenta alcune varianti che riflettono la sua modalità di crescita. Di recente,
nell’ambito delle forme localizzate cutanee, è stata descritta
una nuova entità definita come Neurofibroma Lipomatoso
(NL).
Il primo caso di NL è stato documentato da Shimoyama e dai
suoi collaboratori nel Marzo 2002, seguito da Val-Bernal
qualche mese più tardi. Pochi casi, circa una decina, sono stati riportati in letteratura.
Presentiamo il caso di una giovane donna di 20 anni con un
sospetto clinico di morbo di Recklinghausen, diffuse macchie
di color caffelatte sul corpo e portatrice di neoformazione lipomatosa della guancia destra.
Metodi. Il materiale bioptico, che consisteva in numerosi
frammenti irregolari giallastri, è stato fissato in formalina
tamponata al 10%, processato come di routine e incluso in
paraffina.
Le sezioni ottenute sono state colorate con Ematossilina/Eosina. ed utilizzate per le indagini di immunoistochimica
(IIC). Parte del materiale incluso in paraffina è stato poi avviato alle indagini di Microscopia Elettronica.
Risultati. L’esame istologico ha rivelato una proliferazione
neoplastica costituita prevalentemente da elementi fusati nelle aree neurofibromatose, intimamente frammisti a cellule
adipose mature regolarmente disperse, presenti nell’intero
campione. Le indagini IIC sono risultate positive per l’S-100,
anche nella componente adiposa ed il CD34 nella componente vascolare; focale positività anche per i Neurofilamenti.
Negativa, invece è risultata la ricerca dell’EMA.
Conclusioni. Localizzato più frequentemente nel distretto testa-collo, il NL è una neoplasia di recente individuazione, an-
cora poco descritta, la cui esistenza deve essere però presa in
considerazione quando il neurofibroma si presenti in sede
sottocutanea.
La peculiarità di questa neoplasia è data dal fatto che le cellule adipose intimamente frammiste ai fasci di cellule fusate,
più tipicamente neurofibromatose, sono parte integrante del
tumore, non già tessuto adiposo infiltrato dallo stesso.
Questa neoplasia entra in diagnosi differenziale con l’amartoma cutaneo neurolipomatoso, il lipoma e le sue varianti, il
meningioma cutaneo, il nevo neurale in sostituzione adiposa.
L’ipotesi istogenetica più accreditata per questo tumore è da
riferire ad un processo di metaplasia o di differenziazione
adiposa aberrante a partenza da cellule multipotenti migrate
dalla cresta neurale.
Bibliografia
1
Shimoyama T, et al. Solitary neurofibroma of the oral mucosa: a previously undescribed variant of neurofibroma. J Oral Sci 2002;44:5963.
2
Val-Bernal JF, et al. Cutaneous lipomatous neurofibroma. Am J Dermatopathol 2002;24:246-50.
Istiocitoma fibroso angiomatoide:
descrizione di un caso ed inquadramento
nosografico
A. Martorana, G. Pompei, G. Spano, D. Cabibi
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo,
Palermo
Introduzione. L’Istiocitoma fibroso Angiomatoide (AFH) è
un raro tumore dei tessuti molli che si osserva soprattutto nei
bambini e nei giovani adulti. Enzinger fu il primo a descrivere questa entità come una variante del fibroistiocitoma
“maligno” ma, in considerazione delle caratteristiche cliniche, della prognosi e della sua espressione immunofenotipica, oggi si considera l’AFH come istotipo tumorale a sé stan-
Tab. I. Anticorpi utilizzati e principali applicazioni.
Anticorpo
Casa produttrice
Smascheramento
Incubazione
Applicazioni
CD31
Novocastra
30 min. t.a.
Cellule endoteliali normali
CD34
Novocastra
tampone citrato a pH 6
per 30 minuti
tris-EDTA 0,1M
per 30 min. a pH9
30 min. t.a.
CD68
Novocastra
30 min. t.a.
Cellule endoteliali normali
e neoplastiche; cellule
staminali dendritiche della cute
Macrofagi e piastrine attivate
KI67
Dako
30 minuti t.a.
Indicatore della proliferazione cellulare
S100
Novocastra
30 min. t.a.
Vimentina
Dako
30 min. t.a.
Melanociti, cellule mioepiteliali,
gliali e di Schwann
Cellule di natura mesenchimal
Desmina
Dako
30 min. t.a.
Cellule muscolari liscie e striate
tampone citrato a pH 6
per 30 minuti
tris-EDTA 0,1M
per 30 min. a pH9
tris-EDTA 0,1M
per 30 min. a pH9
tris-EDTA 0,1M
per 30 min. a pH9e
tris-EDTA 0,1M
per 30 min. a pH9
198
te e con grado di malignità intermedio 1. Numerosi autori
hanno concentrato la loro attenzione sulla possibile istogenesi di tale neoplasia, ma ad oggi l’argomento è ancora dibattuto. Il nostro caso si pone a sostegno dell’ipotesi istogenetica
formulata da Silverman sulla possibile natura istiocitaria della neoplasia, basata sulla positività della lesione al CD34 inteso come marcatore di primitive cellule dendritiche simil-fibroblastiche, che persistono nel mesenchima adulto 2. Un uomo di 30 anni presentava sul braccio destro una neoformazione nodulare asintomatica, mobile sui piani sottostanti,
centralmente rilevata e di colorito bianco madreperlaceo, con
una pigmentazione periferica disomogenea. Macroscopicamente descritta come ben delimitata e multilobata, ha rivelato, in sezione, spazi cistici di aspetto irregolare e contenenti
sangue. Istologicamente la lesione era costituita da una popolazione monomorfa di cellule istiocito-simili alcune delle
quali con lievi atipie e con basso indice mitotico e da fenditure emorragiche bordate da cellule tumorali appiattite. In periferia era riconoscibile un infiltrato linfocitario ed una sottile pseudocapsula. L’integrazione delle caratteristiche macroscopiche ed istologiche, ha orientato la diagnosi verso la variante angiomatoide dell’istiocitoma fibroso (AFH).
Metodi. Abbiamo testato diversi marcatori immunoistochimici: CD34, CD31, CD68, S100, Ki67, vimentina e desmina
(Tab. I).
Risultati. È stata osservata una zonale positività per il CD34
e per il CD68 ed una focale positività per il Ki67 e per l’S100.
Il CD31 e la desmina erano negativi, mentre la vimentina diffusamente positiva.
Conclusioni. Il nostro studio conferma l’ipotesi istogenetica
formulata da Silverman, mostrando una zonale positività per
il CD34 oltre alla spiccata positività per il CD68 e per la vimentina, come contributo all’inquadramento nosografico
della neoplasia.
Bibliografia
1
Enzinger FM. Cancer 1979;44:2147-57.
2
Silverman JS, et al. Pathol Res Pract 1997;193:51-8.
Perineurioma extraneurale sincrono renale
ed extrarenale: neoplasia infrequente e
peculiare
F. Di Nuovo, M.L. Fibbi*, M. Tura**, P. Uboldi, M. Spinelli
POSTERS
rioma sincrono, bicentrico localizzato alla pelvi renale e alla
capsula di Gerota, occorso in un uomo di 43 anni che, a seguito di dolori addominali esegue un’ecografia che evidenzia
la presenza di due masse solide coinvolgenti il polo superiore e l’ilo del rene di destra; viene pertanto sottoposto a nefrectomia radicale.
Risultati. Macroscopicamente il rene, del peso di g 497, evidenziava una massa tondeggiante a margini indefiniti, di consistenza fibro-elastica, di cm 9,5 di diametro massimo, comprimente i calici. Al taglio si osservava colorito biancastro
con frammiste aree giallastre di aspetto mixoidi, aspetto fascicolato e consistenza molle elastica. Al polo superiore, nella capsula adiposa, si osservava un’ulteriore neoformazione,
priva di rapporti di continuità con la precedente, ben circoscritta, parzialmente mixoide, di colorito bianco-giallastro e
di cm 8,5 di asse maggiore.
Microscopicamente il quadro morfologico, delle due neoformazioni, era sovrapponibile ed appariva costituito prevalentemente da stroma lasso in cui erano inglobate cellule fusate,
sottili, monomorfe, variamente intrecciate ed organizzate tra
loro, con nucleo rotondo talora ovalariforme, privo di atipie.
Tali elementi cellulari sono risultati immunoreattivi per
EMA, CD34, Vimentina e SMA, mentre erano negativi per
pS100, Desmina, GFAP e NFP. Si è inoltre osservata immunoreattività per Mib1 nel 15% circa della popolazione cellulare. Sulla base degli aspetti morfologici e del profilo immunofenotipico è stata posta diagnosi di perineurioma extraneurale benigno, bicentrico.
Conclusioni. L’osservazione di questo caso offre lo spunto
per sottolineare che la diagnosi differenziale delle neoplasie
mesenchimali a cellule fusate, deve prendere in considerazione un pannello di indagini immunoistochimiche che include anche l’antigene epiteliale di membrana, in quanto la
sua positività avvalora la diagnosi di perineurioma consentendo al tempo stesso il corretto riconoscimento ed inquadramento diagnostico di queste insolite neoplasie, spesso misdiagnosticate.
Bibliografia
1
Kahn DG, Dukett T, Bhuta M. Perineurioma of the kidney: report of
a case with histologic, immunohistochemical and ultrastructural studies. Arch Pathol Lab Med 1993;117:654-7.
2
Hornic JL, Fletcher CD. Soft tissue perineurioma: clinicopathologic
analysis of 81 cases including those with atypical features. Am J Surg
Pathol 2005;29:845-58.
Dipartimento di Patologia A.O. “G. Salvini”; Servizio di
Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale “S. Corona”,
Garbagnate Milanese, Milano; Servizio di Anatomia Patologica, * Divisione di Urologia; ** IRCS, Policlinico di Monza
Malignità clinica e fattori prognostici dei
tumori stromali del tratto gastroenterico
Introduzione. Il Perineurioma è una neoplasia benigna delle
guaine dei nervi periferici, rara, descritta per la prima volta
nel 1978 da Lazarus e Trombetta. In accordo con la sede di
insorgenza se ne riconoscono due principali tipi, intraneurale
ed extraneurale. Colpisce principalmente gli adulti sebbene
sia stato osservato anche nell’età infantile. Sedi preferenziali
di insorgenza sono i tessuti molli superficiali degli arti superiori ed inferiori, del collo e del tronco, mentre il retroperitoneo e il rene sono raramente interessati. La caratteristica peculiare che contraddistingue e differenzia le cellule perineuriali dalle cellule di Schwann è l’immunofenotipo: infatti esse perdono l’immunoreattività per pS100, mentre mostrano
immunoreattività per EMA. Riportiamo un caso di perineu-
Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia
Patologica, Università dell’Insubria ed Ospedale di Circolo,
Varese; * Servizio di Biometria ed Epidemiologia clinica, Direzione scientifica, Fondazione IRCCS, Policlinico “San
Matteo”, Pavia; ** Dipartimento di Scienze Chirurgiche,
Università dell’Insubria, Varese
V. Bertolini, A.M. Chiaravalli, C. Klersy*, C. Placidi, S.
Marchet, L. Boni**, C. Capella
Introduzione. I Tumori Stromali Gastrointestinali (GIST)
sono neoplasie dell’apparato digerente c-Kit-positive. Nel
2002 Fletcher et al. hanno proposto una classificazione basata sul diametro tumorale e sull’indice mitotico (MI) che permette di suddividere le neoplasie in categorie di rischio di
malignità. Scopo del presente studio è stato: 1) valutare l’in-
POSTERS
199
Fattore
HR
Classe di rischio elevato
X1
13,01
Sede omentale/colorettale
X2
5,13
Necrosi
X3
2,36
Ki67 > 2,70
X4
1,99
Età
X5
0,96
PI = 2,6 · X1 + 1,6 · X2 + 0,7 · X3 + 0,9 · X4-0,04 · X5; Model p < 0,001
cidenza di malignità clinica in una casistica non selezionata
di tumori; 2) valutare il valore prognostico della classificazione proposta e di una serie di altri parametri.
Metodi. Da 169 tumori mesenchimali diagnosticati presso il
Servizio di Anatomia Patologica dell’Ospedale di Circolo di
Varese dal 1973 al 2004 sono stati selezionati su base morfologica e immunoistochimica 118 GIST. La significatività statistica dei potenziali fattori prognostici indagati (sesso, età del
paziente, sede, diametro, MI, aspetto citologico, atipie nucleari, necrosi, infiltrato linfocitario, infiltrazione della mucosa
adiacente, immunoreattività per CD34, actina, desmina, proteina S100, Ki67 e p53) è stata valutata con il logrank test o
con il modello di Cox. La probabilità cumulativa di evoluzione maligna è stata calcolata con il metodo di Kaplan Meier.
Risultati. Dei 114 pazienti con follow-up 15 (13%) sono
morti per progressione di malattia, mentre 63 (55%) pazienti
sono ancora vivi.
Diciotto casi (16%) con comportamento clinico maligno (recidive: 8 casi, metastasi a distanza: 11) appartenevano alle
categorie a rischio elevato (15 casi) ed intermedio (3 casi).
L’incidenza di malignità era più elevata nei GIST omentali/mesenterici (4/7 casi) e colorettali (4/7 casi) rispetto a
quelli delle altre sedi (stomaco: 5/67, piccolo intestino: 4/37).
I casi maligni presentavano: elevati diametro (mediana: 7,5
cm), MI (13/50 HPF) e Ki67 (11,8%); necrosi estesa e marcate atipie nucleari.
Analisi multivariata della sopravvivenza libera da malattia
considerando le sole variabili significative all’analisi univariata.
Conclusioni. Un indice predittivo di prognosi (PI) che tenga
conto della categoria di rischio, della sede tumorale, dell’età
del paziente, della presenza di necrosi e del valore di Ki67
permette di identificare meglio i pazienti che necessitano di
un monitoraggio più frequente.
Solitary fibrous tumor: a high-grade, small
cell sarcoma mimic in fine needle cell block
material
P. Collini, M. Barisella, S. Stacchiotti*, A. Gronchi**, P.G.
Casali*, S. Pilotti
Anatomic Pathology C Unit; * Sarcoma Unit, Cancer Medicine Department; ** Musculo-Skeletal Surgery Unit, IRCCS
Fondazione Istituto Nazionale Tumori, Milano, Italy
Introduction. Solitary fibrous tumor (SFT) is an uncommon
tumor. Morphologically, the diagnosis is easy for typical, lowgrade SFT, but well-established criteria of malignancy are still
lacking. Extrapleural site of origin, hypercellularity, at least focally moderate to marked cytologic atypia, mitotic index above 4/10HPF, tumor necrosis, and/or infiltrative margins are re-
95% CI
p value
2,68-63,21
1,68-15,69
0,79-6,99
0,51-7,69
0,92-0,99
0,001
0,004
0,122
0,320
0,028
ported to be associated with a higher risk of relapse and a malignant behaviour. Abrupt transition from benign to high-grade
morphology is reported to occur in rare cases, and related to
“dedifferentiation” (WHO, 2002). We report on two cases of
SFT progressing to a metastatic high-grade sarcoma.
Case reports. Patient 1: A 45 years old woman was diagnosed
a peritoneal SFT. She underwent surgery plus adjuvant chemotherapy. Fifteen years after, bone, peritoneal and (cytologically proven) liver metastases occurred. She received 8 cycles
of chemotherapy and responded. Patient 2: A 64 years old man
was diagnosed a peritoneal SFT. He was treated with preoperative chemio-radiotherapy. He had a local response to radiotherapy. Though he developed liver metastases confirmed
by fine needle aspiration cytology (FNAC). In both cases, the
primary tumor featured a typical benign/low-grade SFT, with
bland spindle and epithelioid cells, irrelevant mitotic index and
absence of necrosis. In one case the cellularity was very scarce, with a marked deposition of collagenized stroma. Both cases showed a strong expression of vimentin, CD34, bcl2 protein, and CD99. The morphology of liver metastases was suggestive of a small round cell sarcoma, resembling a pPNET in
one case and a poorly differentiated synovial sarcoma in the
other. In both cases, the immunophenotype was superimposable to that of the primitive tumor, and a diagnosis of metastatic, high-grade SFT was made.
Conclusions. In two patients with SFT, at the time of relapse
the typical benign/low-grade aspect seen on the primary specimen converted into a high-grade morphology resembling a
small round cell tumor (though maintaining the original immunophenotypical profile). This confirms that SFT can metastasize in the lack of early pathologic criteria of malignancy. These
neoplasms seem to have the capability to dedifferentiate over
time, even to the extent of giving rise to a high-grade, small
round cell sarcoma. The anamnestic information about the previous SFT was of paramount value for a right diagnosis.
Prognostic value of FNCLCC grading, mitotic
index, necrosis, and type in synovial sarcoma
of soft tissue: study on 86 cases treated at a
single institution
M. Barisella, P. Collini, A. Pellegrinelli, C. Mussi**, M.
Fiore**, P. Dileo*, S. Stacchiotti*, A. Gronchi**, P. Casali*,
S. Pilotti
Anatomic Pathology C Unit; * Medical Oncology Unit;
**
Muscolo-Skeletal Surgery Unit, IRCCS Fondazione
Istituto Nazionale Tumori, Milano, Italy
Introduction. Synovial sarcoma (SS) is a malignant mesenchymal tumor accounting for roughly 15% of soft tissue
POSTERS
200
sarcomas. SSs are considered as high-grade sarcomas. The
prognosis is reported to be dependent on grading (G). Also
SS-type [monophasic (M), biphasic (B), and poorly differentiated (PD)] is reported to have a prognostic significance, and
the PD type would confer a ominous outcome. Our aim was
to test the prognostic value of FNCLCC grading and type in
a series of 86 SSs treated at Istituto Nazionale dei Tumori
(INT, Milan).
Methods. Clincal records and histologic features of 86 adult
patients with localized SS, who underwent surgery at INT
over 25 years were retrospectively reviewed. Patients pre-operatively treated with CT/RT were excluded. Two separate
Cox models were fitted to study the prognostic effect of FNCLCC grading vs. the combination of type, necrosis and mitotic index on event-free (EFS) or cause-specific survival
(CSS). Model discriminating ability was quantified by Harrell c statistic.
Results. The median follow-up was 85 months. 46 (53%)
tumors were G2 and 40 (47%) were G3 FNCLCC. There
were 42 (49%) M, 32 (37%) B, and 12 (14%) PD. Mitotic
index was 0-9/10 HPF in 29 (34%) cases, 10-19/10 HPF in
32 (37%) cases, and ≥ 20/10 HPF in 25 (29%) cases. Necrosis was absent in 52 (60%) cases. PD were more frequently
G3 (92% vs. 34% B, 43% M), and showed more frequently
mitotic index of ≥ 20 mitoses/10 HPF (75% vs. 21% B, M)
while absence of necrosis was found in 33% vs. 59% in B
and 69% in M. Lung metastases were more frequently
found in PD (75% vs. 38% in B, 48% in M). Global EFS
and CSS were respectively 39% (confidence interval: 2950%) and 63% (51-73%) at 5 years. At multivariate analysis, G3 vs. G2 showed a HR of 3.38 for EFS and of 5.18 for
CSS (p < 0.001). Higher mitotic index (p = 0.012 and
0.016), and presence of necrosis (p = 0.007 and 0.010) resulted as well significant for both EFS and CSS. SS type
showed no significant HR for either EFS or CSS. FNCLCC
grade was found to be of prognostic value for both EFS and
CSS (c = 0.71 and 0.75, respectively), as well as the combination of type, mitotic index and necrosis (c = 0.70 and
0.73, respectively).
Conclusion. Our study confirms the prognostic value of FNCLCC grading system in SS. PD are found to have more frequently high mitotic index and necrosis, with also higher incidence of distant metastases, but at multivariate analysis
CSS is not significantly more ominous in this SS type.
Emangioendotelioma maligno epitelioide
della tiroide. Presentazione di un caso
C. Martella, G. Renzulli, M.P. Cocca, R. Ricco
Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari,
Introduzione. L’emangioendotelioma maligno o angiosarcoma della tiroide è una neoplasia primitiva con differenziazione endoteliale. Costituisce il 2-4% dei tumori maligni della
tiroide. Più frequente ma non esclusivo delle zone montane,
si manifesta prevalentemente in pazienti di sesso femminile,
età media 70 anni, con sintomatologia dolorosa del collo e tumefazione a rapida crescita. La prognosi è inferiore a sei mesi, indipendentemente dal trattamento.
Presentiamo il caso di una donna di 64 anni, affetta da gozzo
nodulare plongeant da 3 anni. Per un rapido accrescimento
della ghiandola e per difficoltà respiratorie la paziente viene
sottoposta ad ecografia tiroide che rileva nodulo del lobo si-
nistro, diametro cm 7, parzialmente colliquato. L’esame citologico su FNAB risulta inadeguato per la presenza di abbondante materiale necrotico emorragico inglobante rarissime
cellule in regressione. La paziente viene sottoposta a tiroidectomia totale dopo 3 mesi.
Metodi. L’esame macroscopico della tiroide evidenzia nodulo del lobo sinistro, diametro cm 9, in parte solido di colorito grigiastro, in parte necrotico-emorragico. Il materiale è
stato fissato in formalina tamponata 10%, incluso in paraffina e le sezioni ottenute colorate con Ematossilina-Eosina.
Sono state effettuate indagini immunoistochimiche.
Risultati. L’esame istologico ha evidenziato una neoplasia
maligna scarsamente differenziata con estesa necrosi ed
emorragia, fibrosi ed infiltrato flogistico intra- e peri-tumorale. La neoplasia risulta costituita da cellule voluminose, poligonali (epitelioidi), talora fusate, con nucleo pleomorfo, vescicoloso, nucleolato e ampio citoplasma eosinofilo. Numerose figure mitotiche, permeazione endovasale e perineurale,
infiltrazione e superamento della capsula tiroidea. Il pattern
di crescita è prevalentemente solido, focalmente si apprezzano spazi vascolari anastomizzati, delimitati da cellule neoplastiche.
Tenuto conto dell’esordio clinico, dell’aspetto macroscopico
e dei caratteri istologici la diagnosi differenziale comprende:
il carcinoma anaplastico hemangiopericytic-like, l’emangioendotelioma maligno epitelioide, il carcinoma midollare
variante oncocitica, il leiomiosarcoma, il linfoma non
Hodgkin a grandi cellule B e, tra le neoplasie secondarie, soprattutto il melanoma.
Immunofenotipo degli elementi neoplastici: CD 31 (+++),
CD 34 (+), CK AE-1/AE-3 (+).
Conclusioni. Emangioendotelioma maligno epitelioide della
tiroide. L’exitus è avvenuto 5 mesi dopo l’intervento.
Cisti del tail-gut
M. Palumbo, A. Colagrande, C. Traversi, A. Cimmino, R.
Ricco
Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari,
Introduzione. L’amartoma retrorettale cistico (RCH), o cisti
del tail-gut, è una rara lesione congenita che insorge più tipicamente tra il retto e il sacro ed origina da residui della porzione caudale dell’intestino che si obliterano precocemente
nello sviluppo embrionale. La lesione è più frequente in donne adulte, ma può insorgere anche in bambini e neonati e,
meno spesso, nell’uomo. È caratterizzata dalla presenza di cisti con differenti tipi di epitelio talora a secrezione mucinosa.
Noi descriviamo un caso di amartoma cistico rettale insorto
in un soggetto adulto di sesso maschile.
Metodi. Paziente maschio di 62 anni presenta a 10 cm dal
margine anale formazione solida ovoidale a margini regolari
e policiclici che all’immagine TAC si presenta davanti al sacro e si sviluppa nella pelvi dietro il sigma. All’atto chirurgico si rileva fuoriuscita di materiale liquido denso, lattescente. Alla nostra osservazione perviene un frammento di parete
cistica laminare fibro-adiposa, diametri cm 5,5 x 3,5, pluriconcamerata, che microscopicamente risulta rivestita da epitelio colonnare pseudostratificato ciliato, con interposte rare
goblet-cells.
Risultati. La diagnosi di cisti del tail-gut non presenta particolari difficoltà. Sono presenti cisti rivestite da epitelio cuboidale o colonnare. In alcuni casi è stato evidenziato epite-
POSTERS
lio ciliato, squamoso o transizionale. Il lume contiene variabile quantità di muco. Nella parete cistica non si rileva tonaca muscolare né rivestimento peritoneale. Nelle donne rappresenta un riscontro occasionale in corso di visite ginecologiche, mentre nei soggetti di sesso maschile spesso coesistono fistole perianali o ascessi perianali. La sede presacrale impone alcune considerazioni di diagnosi differenziale con il teratoma cistico maturo, la cisti dermoide, le cisti delle ghiandole dell’area perianale e quelle enterogene, il meningocele
sacrale anteriore, le cisti pilonidali, la fistola ano-rettale e gli
ascessi rettali ricorrenti. Queste sono considerate cisti acquisite da inclusione in quanto si apprezzano in pazienti con ricorrenti infiammazioni o traumi anali.
Conclusioni. In letteratura sono stati descritti pochi casi di
amartoma cistico insorti prevalentemente in soggetti giovani
di sesso femminile. La segnalazione di un caso insorto in un
soggetto adulto di sesso maschile rappresenta un evento eccezionale.
Sarcoma sinoviale bifasico: descrizione di un
caso in età pediatrica
M.P. Cocca, R. Rossi, C. Martella, L. Resat, R. Ricco, A.
Cimmino
Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari
Introduzione. Circa l’8% dei tumori maligni che insorgono
in età pediatrica sono sarcomi dei tessuti molli. Il sarcoma sinoviale (SS), più frequente nei pazienti giovani-adulti, ne costituisce l’8-10%. La maggior parte dei casi di SS insorge in
prossimità delle grandi articolazioni degli arti, soprattutto inferiori, e solo il 9% interessa il distretto testa-collo. Il primo
caso di SS originatosi in tale distretto fu descritto da Jernstrom nel 1954. Da allora circa 100 casi sono stati riportati in
letteratura.
Presentiamo il caso di una bambina di 8 anni con una neoformazione del collo friabile, necrotica, giallastra, estesa al pavimento orale e allo spazio parafaringeo sinistro.
Metodi. Dal materiale bioptico fissato in formalina tamponata 10%, processato e incluso in paraffina sono state allestite sezioni colorate come di routine ed utilizzate anche per le
indagini di immunoistochimica (IIC). Parte del materiale incluso è stato avviato alle indagini di microscopia elettronica
(ME) e a quelle di RT-PCR per la ricerca della tipica traslocazione t(X;18) e del relativo prodotto di trascrizione.
Risultati. L’esame istologico ha rivelato una proliferazione
neoplastica a pattern bifasico costituita da una commistione
di cellule epiteliomorfe e fusate. Le indagini IIC sono risultate positive per le CK e l’EMA nella componente epiteliale
e, in entrambe le componenti, per Vimentina, bcl-2 e CD99.
Le indagini citogenetiche, condotte presso altra sede, hanno
dimostrato presenza del trascritto SYT-SSX1 originato dalla
traslocazione t(X;18).
La ME ha evidenziato la natura bifasica della lesione, caratterizzata da una diversa elettrondensità del citoplasma. La
presenza di apparati giunzionali ed espansioni citoplasmatiche a microvilli, nonché l’interposizione di mastociti delineano le caratteristiche ultrastrutturali di questa neoplasia.
Conclusioni. Il SS è una neoplasia poco frequente nei pazienti pediatrici, rara nel distretto testa-collo, ma che va considerata in caso di neoplasia dei tessuti molli. La MO ci
orienta nella diagnosi, anche se per questa neoplasia non esistono quadri patognomonici. L’apporto delle indagini di IIC
e di ME è importante ma non dirimente.
201
Il SS è l’unico tumore dei tessuti molli per cui in un’alta percentuale dei casi (> 90%) è possibile riscontrare un’aberrazione cromosomica caratteristica. L’indagine citogenetica tesa alla ricerca di tale alterazione, rappresenta una metodica
ad elevata sensibilità e specificità nella diagnosi di tale neoplasia.
Modificazioni mixoidi ed aree di
dedifferenziazione nei liposarcomi ben
differenziati
A. Ambrosini-Spaltro, G. Tallini
Dipartimento di Scienze Oncologiche, Sezione di Anatomia
Patologica, Università di Bologna, Ospedale “Bellaria”,
Bologna
Introduzione. Il liposarcoma ben differenziato e la forma più
comune dei liposarcomi e può comprendere focali modificazioni mixoidi ed aree di dedifferenziazione. Scopo del presente studio è valutare la distribuzione di tali aspetti morfologici e le loro reciproche relazioni.
Metodi. Dall’archivio del dipartimento di Anatomia Patologica dell’Ospedale Bellaria di Bologna sono stati raccolti 56
liposarcomi ben differenziati e dedifferenziati. Tutti i casi sono stati rivisti con valutazione quantitativa mediante percentuale dei seguenti parametri: matrice mixoide, rete capillare a
pareti sottili (tipica del liposarcoma mixoide), rete capillare a
pareti spesse (tipica del mixofibrosarcoma mixoide). Inoltre
sono stati studiati la presenza e la distribuzione delle aree non
lipogeniche con valutazione quantitativa mediante percentuale: aree di sclerosi, di dedifferenziazione a basso grado e
di dedifferenziazione ad alto grado. Correlazioni fra i vari
gruppi sono state analizzate mediante il coefficiente di Spearman (r).
Risultati. I tumori analizzati erano composti da: 44 liposarcomi ben differenziati (40 lipoma-like, 4 sclerosanti), 5 liposarcomi con dedifferenziazione a basso grado, 1 liposarcoma
con dedifferenziazione ad alto grado, 3 liposarcomi con dedifferenziazione a basso e ad alto grado, 3 liposarcomi misti.
Le recidive sono state riscontrate in 4 casi. La matrice mixoide è stata osservata in 12 casi, in 8 dei quali associata alla rete capillare con pareti sottili caratteristica del liposarcoma
mixoide.
Aree non lipogeniche erano presenti in 31 casi con la seguente distribuzione: aree sclerosanti in 29 casi, aree di dedifferenziazione a basso grado 11 casi, aree di dedifferenziazione ad alto grado in 6 casi. Nei casi con aree dedifferenziate la quantità di matrice mixoide è correlata sia con l’estensione della dedifferenziazione a basso grado (r = 0,733, p <
0,01) che con quella della dedifferenziazione ad alto grado (r
= 0,702, p < 0,01).
Conclusioni. I liposarcomi ben differenziati mostrano un
ampio spettro di modificazioni morfologiche, con modificazioni mixoidi ed aree di dedifferenziazione. Le modificazioni mixoidi associate alla presenza di una rete capillare a pareti sottili possono configurare aree morfologicamente indistinguibili dal liposarcoma mixoide. La quantità
delle modificazioni mixoidi è statisticamente correlata alla
entità delle aree di dedifferenziazione sia a basso che ad alto grado.
POSTERS
202
Superficial adult fibrosarcoma arising in
dermatofibrosarcoma protuberans. Report of
a case
S. Squillaci, A. De Zio*, M. Moroni**, R. Marchione, C.
Spairani, F. Tallarigo***, H. Hashimoto****
Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale di Vallecamonica, Esine, Italia; * Servizio di Dermatologia, ASL Vallecamonica-Sebino; ** Servizio di Anatomia Patologica, AUSL 5
“Spezzino”, La Spezia; *** Servizio di Anatomia Patologica,
Ospedale “S. Giovanni di Dio”, Crotone; **** Department of
Pathology and Oncology, University of Occupational and
Environmental Health, Kitakyushu, Japan
Introduction. Fibrosarcoma is defined as a malignant soft
tissue tumour composed of spindled, collagen-producing
cells exhibiting varying degrees of fibroblastic differentiation. Fibrosarcomas are divided by patient age into adult and
congenital/infantile types. The former group accounts for 1 to
3% of adult sarcomas and predominantly arises within intra
or inter-muscular fibrous tissues; rare examples are superficial and originate from the dermis or subcutis.
Clinical history. A 49-year-old man presented with a painless mass on the subcutis of back that had been present for
more than 10 years. Its recent rapid enlargement was noted.
Physical examination revealed a solitary, firm, nodular mass.
The lesion was shelled out and on pathological examination
a positive margin was observed. A further excision with clear
margins was performed and the patient showed no evidence
of recurrence 12 months post-operatively.
Results. Macroscopically, the tumour appeared oval, welllimited, firm, homogeneous grey-whitish, with maximum diameter of 3 cm.
Microscopic examination revealed a highly cellular neoplastic process with a storiform and focally herringbone pattern.
The tumour was composed of uniform, spindle-shaped cells
with moderately atypical, elongated nuclei, ill-defined cytoplasm and frequent mitoses (> 10 per ten high power fields,
x400). Such elements were strongly positive for vimentin
and CD34, someone had a myofibroblastic immunophenotype, showed by positivity for αSMA. The neoplastic cells
were negative for CK, EMA, S-100 and desmin. The SYTSSX translocation was absent. RT-PCR and sequence analyses of tumour showed COL1A1-PDGFB fusion transcripts.
Exon 2 of platelet-derived growth factor-β gene (PDGFB)
was fused to exon 32 of the collagen type 1A1 gene
(COL1A1). Dermatofibrosarcoma protuberans (DFSP) was
histologically demonstrated in re-excision near the scar of
previous surgery.
Conclusion. Superficial adult fibrosarcoma is a malignant fibroblastic neoplasm, with clinico-pathological distinctive
features. The differential diagnosis includes other spindlecell sarcomas, such as monophasic synovial sarcoma and malignant peripheral nerve sheath tumour as well as sarcomatoid carcinoma. The chimeric gene, COL1A1-PDGFB, has
been proposed to play an important role in the histogenesis of
DFSP and continues to act as a growth factor during progression of DFSP to fibrosarcoma. It could become helpful in refining our ability to diagnose these lesions 1.
References
1
Sheng W-Q, et al. J Pathol 2001;194:88-94.
PATHOLOGICA 2007;99:203-204
Patologia dei trapianti
Tissue engineering: autologous full-thickness
skin substitute for healing chronic wounds
A. Bellomi, G. Calabrese, A. Cassisa, F. Colpani, R. Fante, L. Gaetti, G. Granchelli, S. Negri
Anatomia Patologica, Ospedale “C. Poma”, Mantova, Italy
Introduction. Chronic wounds, inclouding venous and arteriosclerotic leg ulcers, diabetic foot ulcers, decubitus and
trauma induced wounds, represent a major problem in our society. These wounds occur with high incidence and exist for
prolonged periods of time and therefore have a great socioeconomic impact. The problem increases as the average age of
the population increases and therefore new therapies in
wound healing are continously being sought.
The aim of this study is to develop an autologous, full-thickness skin substitute and to evaluate its efficiency and applicability in closing long-standing ulcers that have proven nonresponsive to the currently available wound-healing therapies (topical therapy, antibiotic treatment, surgical debridment, external compression).
Method. We included 20 patients with long-standing ulcers
of which 13 venous and arteriosclerotic (65%), 3 diabetic
(15%), 3 trauma-induced and 1 burn wounds (5%). Age of
patients varies from 57 to 91 (average 75). The lesions were
present since at least two years.
A single punch biopsy (diameter 0.6 cm) or a surgical biopsy
(1.5 x 1 cm) obtained from the patient’s upper leg were required. After 3-4 weeks we obtaneid three autologous products on collagen support: fibroblasts, fibroblasts and keratinocytes and keratinocytes.
Sheets of keratinocytes present basal melanocytes; between
keratinocytes and fibroblasts we observe basement membrane.
Depending on ulcers depth and dimensions our patients underwent multiple applications (at least two).
All procedures were performed with the Ethics Committee
approval and patient consent.
Results. The success rate in culturing biopsies was 100%.
The skin substitute visibly resembled an autograft.
Ten of the 13 (77%) chronic venous ulcers (size 6-300 cmq)
healed between 8 and 48 weeks.
One of the 3 (33%) diabetic ulcers (size 3-28 cmq) healed
within 12 weeks.
Three (100%) trauma induced ulcers (size 4-6 cmq) healed
between 6 and 12 weeks.
One (100%) burn ulcer (size 12 cmq) healed within 4 weeks.
Skin substitutes were very well tollerated and pain relief was
immediate after application.
Conclusion. The application of this noval skin sobstitute
provides a promising new therapy for healing chronic
wounds resistant to conventional therapies.
It is also necessary to point out the importance of suitable cyto-histological and immunohistochemical studies for evaluating the correct cell morphology and phenotype.
References
Negri S, et al. Tissue engineering: chondrocyte culture on type1 collagen
support. Cytohistological and immunohistochemical study. J Tissue
Eng Regen Med 2007;1:158-9.
IL-6 dependent clusterin – Ku-Bax
interactions: apoptosis inhibition and tumor
progression. new in situ and serological
marker
S. Pucci, P. Mazzarelli, F. Sesti, E. Bonanno, L.G. Spagnoli
Department of Biopathology, University “Tor Vergata”, Rome,
Italy
Introduzione. Several experimental data have shown a
strong correlation between the presence of the different isoforms of clusterin and tumoral progression. The disappearance of the proapoptotic form and the overexpression of the
cytoplasmic isoform marks the transition from normal cell to
neoplastic phenotype. Pro-inflammatory cytokines such as
TGFβ and IL-6 influence the transcription of this protein.
TGFβ influences directly clusterin promoter inducing the activation of the transcription factor AP1. The action of the IL6 on the clusterin gene transcript has not been clarified at
molecular level yet. Several experimental evidences underline an increased production of IL-6 and TGFβ in tumor progression. It has been observed that the levels of circulating
IL-6 increases in relationship to tumoral mass.
Methods and results. We have focused our attention on defined pathways that underlie the promotion, initiation and
progression of colon cancer. In particular we examined the
relationship among IL6, clusterin isoforms expression pattern shift, Ku and Bax interactions in human colon tumorigenesis. Besides the acquisition of aggressiveness in colon carcinoma we observed that the overexpression of the secreted
form (sCLU) and disappearance of the pro apoptotic clusterin
isoform, strongly correlates to the inhibition of apoptosis and
the loss of DNA repair activity of the complex Ku70/80.
Moreover we observed an increase in the level of this protein
in the serum and in stools of colon cancer patients as compared to the control suggesting a strong realease of sclusterin
in the cripta lumen. Preliminary results obtained by ELISA
confirmed that patients affected by colon cancer have a
strong increase of clusterin in blood and in stools and this
level correlated with the IL-6 level suggesting a possible twin
set of new non invasive diagnostic markers.
Conclusions. Hence, in colon cancer biopsies we found the
loss of Ku80 and Ku70 protein translocated from the nucleus
to the cytoplasm where it sterically inhibits cell death induction. In fact Ku70 is found deeply bound to the over-expressed Bax inhibiting the apoptosis. Moreover cytoplasmic
These interactions in colon tumorigenesis are partially driven by IL-6 that influence the Clu-Ku-Bax interaction. These
data may provide valuable information on cancer progression
and apoptosis induction in colon carcinoma and could suggest new strategies in the development of therapeutics that
control apoptosis-related diseases.
204
Microangiopatia trombotica intestinale da
ciclosporina a in un paziente
epatotrapiantato: il primo caso riportato
F. Sanguedolce*, M.G. Fiore, R. Rossi, A. Marzullo, D. Piscitelli
Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Bari; *
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia
Patologica, Università di Foggia
Introduzione. La ciclosporina A (CSA) è un agente immunosoppressore comunemente utilizzato nel post-trapianto
d’organo, principalmente allo scopo di prevenire reazioni di
rigetto. Il trattamento con ciclosporina è spesso limitato da
gravi effetti collaterali (nefrotossicità, ipertensione severa),
legati ad un meccanismo di danno vascolare che morfologicamente si manifesta come microangiopatia trombotica (thrombotic microangiopathy, TMA).
Metodi. Un paziente di 58 anni è stato sottoposto a trapianto
di fegato per cirrosi epatica HBV e alcool-correlata, ed in seguito trattato con CSA. Tredici mesi dopo il trapianto, il paziente ha iniziato a lamentare episodi di coliche addominali
incoercibili, e due mesi dopo è stato sottoposto ad un intervento di resezione ileale per sub-occlusione intestinale.
Risultati. L’esame istologico ha evidenziato una vasculopatia trombotica necrotizzante caratterizzata da diffuse alterazioni strutturali a carico delle arteriole sottomucose della parete ileale (ispessimento miointimale, fibrosi, iperplasia miofibroblastica con necrosi focale della media, flogosi prevalentemente granulocitaria e trombi fibrinosi). Le indagini ultrastrutturali hanno rivelato la presenza, nel citoplasma delle
cellule endoteliali, di mitocondri giganti notevolmente dismorfici, con matrice densa, cristae ridotte e atipiche ed inclusioni osmiofile. L’analisi immunoistochimica con anticorpo policlonale anti-VEGF ha evidenziato una diffusa iperespressione citoplasmatica endoteliale.
Conclusioni. Presentiamo qui un caso di lesione vascolare
subacuta del tenue intestino con i caratteri della TMA in soggetto epatotrapiantato trattato con CSA. Le caratteristiche
morfologiche ed ultrastrutturali ed i dati clinico-anamnestici
del paziente depongono per un’etiopatogenesi iatrogena della patologia, legata al trattamento immunosoppressivo. L’iperespressione di VEGF è stata recentemente associata a precoce insorgenza di fibrosi interstiziale e ridotta sopravvivenza nei soggetti nefrotrapiantati.
POSTERS
La microangiopatia da CSA a sede intestinale non è stata mai
riportata in letteratura, pertanto l’insorgenza di una enteropatia da danno vascolare trombotico necrotizzante deve essere
considerato un possibile, se pur raro, grave effetto collaterale da trattamento immunosoppressivo. Inoltre, questo caso
rappresenta un esempio della necessità di correlare costantemente i dati morfologici con quelli clinico-anamnestici e,
quando possibile, integrarli con le preziose informazioni
morfopatogenetiche fornite dalla microscopia elettronica.
Incidenza della patologia tumorale nei
donatori multiorgano con anamnesi negativa
per neoplasia. L’esperienza fiorentina
E. Zappulla, A.M. Buccoliero, F. Garbini, F. Castiglione,
C.F. Gheri, D. Moncini, V. Vezzosi, M.R. Raspollini, A.
Palomba, G.L. Taddei
Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università
di Firenze
Il trapianto di organi rappresenta l’unica possibile terapia risolutiva in numerose condizioni patologiche. Esso non è tuttavia scevro da rischi sia chirurgici che non chirurgici. Gli organi trapiantati possono infatti rappresentare un vettore di diverse patologie, tra cui quella tumorale.
Con lo scopo di valutare la frequenza della patologia neoplastica nei donatori multiorgano con anamnesi negativa per
cancro è stata riesaminata l’intera casistica istopatologica
della Sezione di Istopatologia dei Trapianti del Dipartimento
di Patologia Umana e Oncologia di Firenze.
Sono emerse 3 diverse situazioni in cui il patologo formulava la diagnosi istologica di neoplasia: donatore con sospetto
neoplastico alle indagini clinico-strumentali; donatore con
lesione sospetta rilevata dal chirurgo espiantatore; tumori misconosciuti diagnosticati unicamente attraverso l’esame istopatologico dell’intero organo non trapiantato perché giudicato funzionalmente non idoneo.
La valutazione dell’idoneità alla donazione è un processo
complesso e multidisciplinare in cui il patologo gioca un ruolo importante in particolare per quel che riguarda il rischio
oncologico prima, durante e dopo il trapianto.
PATHOLOGICA 2007;99:205-213
Patologia del sistema emolinfopoietico
Nodal inflammatory pseudotumour caused
by luetic infection
P. Incardona, F. Facchetti*, M. Ponzoni**, P. Chiodera***
2° Servizio Anatomia Patologica, Sp. Civili, Brescia, Italy;
*
1° Servizio Anatomia Patologica, Spedali Civili, Brescia,
**
Italy;
Unità di Anatomia Patologica, Istituto Scientifico “S. Raffaele”, Milano, Italy; *** Servizio di Anatomia
Patologica, Casa di Cura “S. Anna”, Brescia, Italy
Introduction. Inflammatory pseudotumour of lymph nodes
(IPT-LN) represents an unusual cause of lymphadenitis. The
aetiology of IPT-LN is unknown; it has been postulated that
it represents an hyperimmune reaction to different agents.
Since IPT-like changes in extranodal sites can be associated
with Treponema pallidum (TP) infection, we evaluated the
occurrence of TP in a series of 17 nodal and extranodal IPT.
Methods. We retrieved 8 cases of IPT-LN and 9 cases of extranodal IPT (4 spleen, one each for lung, orbit, gut, skin and
liver); all cases have been analyzed for the presence of TP using the Warthin-Starry (WS) silver method and an indirect
immunohistochemical (ihc) techniques, applying a monoclonal antibody recognizing TP (Biocare Medical, Concord,
CA, USA), upon oven heat antigen retrieval in EDTA buffer
(pH 9.0).
Results. Nodal IPT revealed the classical features consisting
of capsular thickening and inflammation (6/8 cases), proliferation of spindle and endothelial cells, admixed with numerous plasma cells and variable amounts of neutrophils and
macrophages. Vascular changes of small venules or large
muscular veins were recognized in 5/8 cases. The IPT areas
dissecting the nodal parenchyma were confluent and diffuse
in 2 cases, focal and sometimes (3 cases) limited to small intranodal nodules in the remaining cases. Unaffected
parenchyma showed lymphoid hyperplasia in 7/8 cases, that
was extremely marked in 5. Microgranulomas were identified in two cases. The WS and ihc stains revealed numerous
spirillar bacteria in 4/8 cases of IPT-LN but in none of IPTextranodal. Interestingly, the single distinctive morphological change constantly associated with TP+ cases was represented by an extremely pronounced follicular hyperplasia
(FH). TP were identified in the inflamed capsule, within the
IPT areas with a predilection for endothelial cells, and in areas of monocytoid B cell hyperplasia. However, no single TP
was found within the germinal centers. TP were more easily
detected on immunostained compared to silver stained sections, allowing the identification of even single bacteria.
Conclusions. This study shows that a significant number of
cases of nodal IPT are caused by TP infection. A spirochetal
aetiology should be suspected in all IPT-LN associated with
pronounced FH, independently from the extent of nodal involvement by IPT. Since immunohistochemistry has several
advantages compared to WS stain, it should be adopted as the
primary stain for TP detection.
Cord blood cell-transplanted mice as a model
for Epstein-Barr virus infection of the human
immune system. A morphological,
immunophenotypical and molecular study
M. Cocco, C. Bellan, R. Tussiwand*, E. Traggiai*, S. Lazzi, S. Mannucci, L. Bronz**, N. Palummo, P. Tosi, A. Lanzavecchia*, M.G. Manz*, L. Leoncini
Department of Human Pathology and Oncology, Division of
Pathological Anatomy, University of Siena, Italy; * Institute
for Research in Biomedicine, Bellinzona, Switzerland;
**
Ospedale “San Giovanni”, Bellinzona, Switzerland
Introduction. Epstein-Barr virus (EBV) infects naïve B
cells, driving them to differentiate into resting memory B
cells via the germinal center reaction 1. This has been inferred
from parallels with the biology of normal B cells and never
been proved experimentally. Recently a human adaptive immune system in cord blood cell-transplanted mice has been
demonstrated. We here used this model to better define the
strategy of EBV infection of lymphoid B cells in vivo.
Materials and methods. Reconstitution of a functional immune system in Rag2-/-γc-/- mice has been previously described 2. Bone marrow, spleen, thymus and lymph nodes
were collected from seven EBV infected mice one month after EBV infection for immunohistochemical and in situ hybridization analysis on consecutive paraffin-embedded tissue
sections. Molecular analysis of VH gene rearrangement has
been performed on single cells obtained by Laser Capture
Microdissection. A semi-nested PCR amplification of VH
genes was performed by means of the following primers: 5’TGG RTC CGM CAG SCY YCN GG-3’ for FRIIA, 5’-TGA
GGA GAC GGT GAC C-3’ for LJH and 5’-GTG ACC AGG
GTN CCT TGG CCC CAG-3’ for VLJH. PCR products were
subsequently sequenced for comparison with germ line sequences from the ImMunoGeneTics information system®
(http://imgt.cines.fr) database.
Results. Among the seven cases analyzed, three were characterized by follicular hyperplasia with a few germinal center while the others showed a nodular and diffuse lymphoid
proliferation of lymphoid cells with areas of necrosis and no
evidence of germinal centers in the lymphnodes as well as in
the white pulp of the spleen. These findings were consistent
with immunohistochemistry and in situ hybridization analyses, demonstrating different expressions of latent genes in
EBV-infected B-cells besides varied distributions of CD4 +
and CD8+ T cells in the two groups. Intraclonal diversity was
detected in cases characterized by nodular and diffuse proliferation, among B cells carrying somatically mutated VH
genes, suggesting an ongoing hypermutation process without
evidence of germinal center reaction.
Conclusion. The here presented data gives evidence of different strategies of EBV infection in B cells in vivo, probably
corresponding to different conditions of EBV infections in
humans.
References
1
Thorley-Lawson DA, et al. N Engl J Med 2004;350:1328-37.
2
Traggiai E, et al. Science 2004;304:104-7.
206
POSTERS
Linfomi cutanei primitivi del gruppo
cooperatore marchigiano dal 1990 al 2006:
studio clinico-patologico e analisi della
sopravvivenza di 259 casi
T-cell large granular lymphocyte leukemia:
clinico-pathological analysis of 5 cases
G. Goteri, S. Rupoli*, D. Stramazzotti, A. Tassetti*, S. Pulini*, A. Stronati*, S. Mulattieri, P. Picardi*, A. Cellini **,
S. Serresi***, M.G. Tucci***, P. Leoni*, G. Fabris
Anatomia Patologica ed * Ematologia, A.S.O. Maggiore della Carità ed Università “A. Avogadro” del Piemonte orientale, Novara, ** Fondazione IRCCS, Policlinico “S. Matteo”, Pavia, Italia
Anatomia Patologica, * Clinica Ematologica, ** Clinica Dermatologica, Ospedali Riuniti di Ancona, Università Politecnica delle Marche, Ancona; *** U.O. Dermatologica INRCA/IRCSS, Ancona
Introduzione. La class. WHO/EORTC del 2005 1 per i linfomi cutanei primitivi (LCP) ha ridefinito i criteri diagnostici
per ciascuna entità, riportando i dati di frequenza e sopravvivenza relativa dei Registri Olandese ed Austriaco. Lo scopo
del nostro studio è stato confrontare la casistica di LCP raccolta dal 1990 al 2006 dal Gruppo Cooperatore Marchigiano
presso la Clinica Ematologica dell’Università Politecnica
delle Marche, con i dati della class. WHO/EORTC.
Metodi. 259 pazienti sono stati trattati e seguiti dal 1990 al
2006 dal nostro gruppo. I dati clinici all’esordio e nel followup sono stati raccolti in un data-base. I preparati istopatologici sono stati rivalutati secondo i criteri della class.
WHO/EORTC presso l’Anatomia Patologica della stessa
Università. Le curve di sopravvivenza globale (OS) e libera
da evento maggiore/minore (MEFS/mEFS) sono state calcolate con il metodo di Kaplan-Meyer.
Risultati. La casistica comprendeva 170 M e 89 F (età mediana, 62 anni) e relativamente alla diagnosi, 191 Micosi
Fungoidi (MF); 10 S. di Sézary (SS); 7 Papulosi Linfomatoidi (LyP); 8 l. cutanei T non-MF/non-CD30+ (CTCL rari: 5 l.
T periferici, 1 l. γ/δ, 1 neoplasia ematodermica
CD4+/CD56+, 1 l. linfoblastico T); 25 l. B centro-follicolari;
14 l. B marginali; 3 l. B a grandi cellule della gamba; 1 l.
linfoblastico B. La risposta globale alla terapia è stata del
100% nelle LyP, 93% nei l. B (88% RC), 92% nelle MF (81%
RC), 50% nei l. T rari (38% RC) e nelle SS (20% RC). Un
evento minore si è verificato nel 30% delle MF, nel 16% dei
l. B e nel 14% delle LyP, con una mEFS di 71 mesi. Un evento maggiore si è verificato nel 75% dei l. T rari (MEFS mediana, 6 mesi), nel 30% delle SS, nel 14% dei l. B e nel 7%
delle MF (MEFS mediana, 18 mesi nei pazienti con
noduli/tumori di MF). All’ultimo follow-up 35 pazienti
(13%) sono morti per malattia (OS mediana globale, 156 mesi; 10 mesi nei l. T rari, 135 nella SS, 115 nei l. B). I pazienti con LyP e MF hanno avuto una migliore OS (rispettivamente, 100% e 83% erano vivi a 140 mesi).
Conclusioni. Il nostro studio conferma la validità clinica della class. WHO/EORTC che individua gruppi di pazienti con
differente comportamento clinico. La nostra frequenza di sottotipi di LCP è apparsa diversa da quella dei Registri Olandese e Austriaco per uno scarso numero di l. anaplastici e l.
B, verosimilmente per le modalità di selezione della casistica avvenuta in ambito ematologico.
Bibliografia
1
Willemze R, et al. Blood 2005;105:3768-85.
A. Ramponi, E. Boveri**, S. Franceschetti*, G. Valente, G.
Gaidano*
Introduction. T cell large granular lymphocyte leukemia (TLGL) is a rare disease, with indolent clinical course, may be
associated with autoimmune conditions (rheumatoid arthritis), hematological disorders (myelodisplastic syndromes,
aplastic anemia) or neoplasias (hairy cell leukemia, myeloma). Diagnosis can be made on marrow aspirate and peripheral blood by cytological, immunophenotypical and molecular findings (assessment of T cell receptor/TCR rearrangement). However, symptoms and signs can overlap with other
low grade lymphomas; for this reason bone marrow biopsy
(BMB) may be performed.
Purpose of the study: to describe the clinico-pathologic findings in 5 cases of T-cell LGL.
Patients and methods. 5 patients (M: F = 2:3; mean age: 66
years, range 51-82) presented cytopenia (particularly, neutropenia), lymphocytosis (5/5) and hepatosplenomegaly
(1/5); in all cases, the clinical picture had been relatively unchanged for more than 1 year before BMB (range 1-5 years);
one patient showed thymic hyperplasia without myasthenia.
Paraffin embedded BMBs were used for morphological and
immunophenotypical studies; flow cytometry and molecular
assessment of the TCR rearrangement were performed on peripheral and/or marrow blood.
Results. In all cases, there were an interstitial/sinusal lymphoid population(about 20%) of medium-sized cells, with
clear cytoplasm. By immunostains, cells had a T (CD2+,
CD3+, CD5+, CD7+, CD20-) activated cytotoxic phenotype
(CD8+, CD4-, CD57+, CD56-, TIA1+/-, granzyme B+/-, perforin+/-); they were TCR alpha-beta+, gamma-delta- by flow
cytometry and carried a monoclonal TCR rearrangement by
molecular analysis. All the case showed reduced leuco-erythroblastic ratio; in one case, mild diffuse fibrosis (1+).
Conclusion. T-cell LGL is a rare diagnosis in pathologist’s
practice; its distinction from other lymphoproliferative diseases both of B (hairy cell leukemia, splenic marginal zone
lymphoma) and T cell origin (hepatosplenic T cell lymphoma) is of significant importance, as these other entities
carry a worse prognosis and require specific and/or more aggressive therapy. In our cases, the final diagnosis could be
reached only by combining different techniques, thus underlining the need of a multidisciplinary approach.
Linfoma plasmoblastico cutaneo associato a
terapia immunosoppressiva post-trapianto
M. Contini, P. Cossu Rocca, F. Pili, A. Mura, A. Manca, L.
Bosincu, G. Massarelli
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Università di
Sassari
Introduzione. Il linfoma plasmoblastico (PBL) è una rara
variante di linfoma diffuso a grandi cellule così denominata
per la morfologia blastoide e per l’immunofenotipo plasma-
POSTERS
cellulare. Tale entità viene classificata dalla WHO nell’ambito dei disordini linfoproliferativi associati a immunodeficienza, ma limitatamente alle forme insorte nel cavo orale di pazienti HIV. Recentemente, tuttavia, sono state descritte alcune forme di PBL insorte in sede extra-orale e/o in pazienti
HIV-negativi. Il PBL si associa, nella maggioranza dei casi,
ad infezione da EBV e/o HHV8 e presenta un decorso clinico aggressivo, con rapido interessamento nodale ed extranodale e ridotta sopravvivenza.
Riportiamo un caso di linfoma plasmoblastico cutaneo primitivo, recidivante ed autolimitantesi, correlato ad uno stato
di depressione immune iatrogena.
Metodi. Un uomo di 69 anni, in terapia immunosoppressiva
per trapianto cardiaco, manifesta la comparsa nella gamba sinistra di lesioni cutanee nodulari, multiple e recidivanti, in
gran parte regredite spontaneamente. Viene escissa una prima
lesione e, dopo qualche mese, altri due distinti noduli di nuova comparsa.
Risultati. I campioni cutanei mostrano lesioni nodulari solide, biancastre, rispettivamente di 10, 6 e 4 mm. Nei tre casi
si evidenzia una proliferazione dermica circoscritta di elementi atipici a citoplasma basofilo, nucleo eccentrico ed evidente nucleolo centrale eosinofilo. Frequenti mitosi atipiche
e corpi apoptotici. L’immunoistochimica mostra positività
per IgG, catene leggere lambda, CD31 e focale per EMA; negatività per IgM, IgA, catene leggere kappa, CD45, markers
B e T, CD138, e HHV8. L’ibridazione in situ per EBV-encoded RNA (EBER) mostra positività in più del 90% delle cellule neoplastiche.
Discussione. Presentiamo un caso di PBL cutaneo correlato
ad immunodepressione iatrogena, non inquadrabile nella attuale classificazione WHO che limita il PBL alla sede d’insorgenza orale ed all’associazione con HIV.
La positività per EBER può essere d’ausilio nella diagnostica differenziale del PBL extra-orale rispetto ad altre forme di
neoplasie plasmacellulari a morfologia plasmoblastica.
Il decorso clinico favorevole del nostro paziente e la regressione spontanea delle lesioni, indurrebbe a considerare il
PBL primitivo cutaneo come una neoplasia “opportunistica”
la cui storia naturale appare legata all’assetto immune del paziente.
Il riconoscimento di questa entità può ampliare lo spettro dei
disordini linfoproliferativi post-trapianto.
MALT linfoma della tiroide. Presentazione di
un caso
R. Scamarcio, M. Casiello, G. Napoli, G. Renzulli, R.
Ricco
Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari
Introduzione. Il linfoma primitivo della tiroide è una neoplasia rara con l’immunofenotipo delle cellule linfoidi B. Il
sottotipo più comune (70% dei linfomi tiroidei) è il linfoma
non Hodgkin diffuso a grandi cellule B (DLBCL) che rappresenta il 5% di tutti i tumori maligni della tiroide e il 3-7%
di tutti i linfomi extranodali. Ha decorso clinico aggressivo.
Sottotipo meno comune (6-27% dei linfomi tiroidei) è il
linfoma non Hodgkin mucosa associato (MALT) con decorso clinico indolente. Si presentano più comunemente nelle
donne con tiroidite di Hashimoto. Il linfoma primitivo della
tiroide non necessita di terapia chirurgica.
207
Materiali. Paziente di 70 anni affetta da gozzo multinodulare tossico in trattamento con Tiamazolo da 7 anni. Per l’insorgenza di difficoltà nella deglutizione e respiratoria si sottopone ad intervento chirurgico. Tiroide di 250 g, asimmetrica, aspetto multinodulare. Al taglio aspetto variegato per l’alternarsi di aree rossastre e aree colloido-cistiche.
Risultati. Tiroide a struttura nodulare macrofollicolare e colloido-cistica con massivo infiltrato flogistico linfoplasmacellulare aggregato in centri germinativi, diffusa atrofia parenchimale e fibrosi. Nel lobo sinistro ampia area di infiltrazione diffusa di elementi linfoidi di piccole dimensioni, con lesioni linfoepiteliali. Le indagini immunoistochimiche rivelano l’immunofenotipo B (positivi CD79a e Bcl2) con restrizione per le catene leggere delle immunoglobuline (positivi
CD138 e catene K).
Diagnosi. Linfoma non Hodgkin diffuso a cellule B tipo
MALT in tiroidite di Hashimoto.
Conclusioni. Il linfoma primitivo della tiroide insorge su tiroidite autoimmune e necessita di 20-30 anni per svilupparsi
dopo l’inizio di una tiroidite linfocitica cronica. Un rapido ingrandimento della ghiandola associato a dispnea, difficoltà
nel deglutire e disfonia è la caratteristica presentazione di un
linfoma alla tiroide. Clinicamente sovrapponibile al carcinoma anaplastico.
La diagnosi citologica di linfoma non Hodgkin a grandi cellule B può essere sospettata in presenza di grandi cellule a
morfologia linfoide, mancanza di coesione cellulare e presenza di lesioni linfoepiteliali. Di contro la diagnosi citologica di linfoma MALT è difficile a causa della costante presenza della tiroidite di Hashimoto. Le caratteristiche distintive
possono essere l’abbondanza di cellule linfoidi e l’alta proporzione di cellule intermedie tipo centrocita nel MALT
linfoma quando paragonato alla tiroidite di Hashimoto.
Sarcoma a cellule di Langerhans della
parotide: descrizione di un caso con studio
immunoistochimico ed ultrastrutturale
J. Nunnari, P. Graziano, L. Manente, E. Silvestri, MC.
Macciomei, D. Danieli*, R. Pisa, D. Remotti
U.O.C. di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “San
Camillo-Forlanini”, Roma; * U.O.C. di Anatomia Patologica, ASL 6, Vicenza
Introduzione. Le proliferazioni a cellule di Langerhans costituiscono uno spettro di malattie che comprende lesioni
reattive, neoplasie benigne localizzate e neoplasie sistemiche, in passato definite come Istiocitosi o granulomatosi. I
sarcomi a cellule di Langerhans (LCS) sono estremamente
rari; casi di LCS sono stati riportati in letteratura in diversi
organi (linfonodi, fegato, cute, milza, polmone e osso), mentre non è mai stata descritta una localizzazione parotidea di
LCS.
Descrizione del caso. Uomo di 44 anni, asintomatico, con rapida insorgenza di una tumefazione della parotide destra, non
dolente, interpretata come neoplasia primitiva ed asportata
chirurgicamente. Macroscopicamente la neoformazione, del
diametro massimo di 4,5 cm, mostrava margini maldefiniti,
estendendosi ai tessuti molli periparotidei. Istologicamente la
ghiandola ed i tessuti molli erano massivamente infiltrati da
una proliferazione ipercellulare, monomorfa, con ampie aree
di necrosi, composta da cellule grandi, con profonde incisure
della membrana nucleare, nuclei a cromatina dispersa con
POSTERS
208
Cytogenetic
MALT1 rearrangement
negative
Primary site of
involvement
Stomach
Histological
Diagnosis
1 EMZL
Clinical data/
Follow-up
Hp+/Alive with
disease/9 months fu
1 FL
1 DLBL in
EMZL
1 DLBL
MALT1 rearrangement
positive
Stomach
1 EMZL
1 EMZL
Trisomy 18 positive
Stomach
1 EMZL
1 EMZL
T(14;18) (IgH;bcl2)
positive
t(11;14)(CCND1;IgH)
positive
Duodenum
FL grade 3b
Small intestine
+ lymphadenopathy
Rectal
1 MCL
1 MCL
Gastric
Tonsillar
1 MCL
1 MCL
piccoli nucleoli basofili periferici, citoplasma chiaro a limiti
indistinti. L’indice mitotico era elevato (30-40 mitosi/10
HPF). Focalmente erano presenti numerosi granulociti eosinofili. Le cellule neoplastiche hanno mostrato intensa positività per CD1a, S100 e Vimentina e negatività per CD68R,
TCL1, MPx, CD45, CD34, CD21, markers di linea B e T e
citocheratine. L’indice di proliferazione (% di cellule neoplastiche Ki67+) è risultato del 50-60% circa. Gli studi ultrastrutturali hanno dimostrato la presenza intracitoplasmatica
dei granuli di Birbeck. La stadiazione completa è risultata negativa ed il paziente è stato sottoposto alla sola radioterapia
locale; a quattro mesi dalla fine della terapia è in remissione
completa.
Conclusioni. Il caso da noi presentato è, a nostra conoscenza, il primo caso descritto di LCS a localizzazione parotidea;
il suo comportamento clinico è significativamente migliore
rispetto ai rari casi di LCS riportati in letteratura, i quali mostrano un andamento clinico decisamente più aggressivo, con
localizzazioni multiple e bassa sopravvivenza.
Hp-/surgical treatment
/Alive in CR/38
months fu
Alive in CR/surgical
treatment/ / 28 months
fu Hp+/Alive with
disease/6 months fu
Hp+/Stage IV at
diagnosis/Alive in
CR/56 months fu
Hp+/Diffuse lesion
/Surgical treatment/
Lost to fu
Hp+/Alive with
disease/4 months fu
Hp+/Alive with
disease/4 months fu
Primary localization/
Alive/3 months fu
Alive/gastric relapse,
now in CR/33 months fu
Stage IV at diagnosis/
Leukemic/Death after
6 months
Lost to fu
Death of infectious
complications after 4 years
The CXCL13 chemokine (BCA-1) is retained by
follicular dendritic cell sarcoma neoplastic
cells and attracts intratumoral CXCR5expressing lymphocytes
W. Vermi, M. Ponzoni, M.G. Uguccioni**, D. Bosisio***,
C. Doglioni*, F. Facchetti
Anatomia Patologica, Spedali Civili di Brescia; * Anatomia
Patologica, Istituto “San Raffaele”; ** Istituto per la Ricerca
in Biomedicina, Bellinzona; *** Dipartimento di Patologia
Generale, Università di Brescia
Introduction. CXCL13 is a chemokine produced in the germinal centre of B-follicles, crucial in the lymphoid organ development. CXCL13 operates attracting B- and T-lymphocytes that express CXCR5. Follicular dendritic cells (FDC) have been historically retained the main cellular source of CXCL13. Recently, genome wide approaches have suggested
follicular CD4 T helper-cells (THF) as additional CXCL13producers. Of note, the putative neoplastic counterpart of
THF (i.e. CD4+ tumor T-cells in Angioimmunoblastic T-cell
Lymphoma) retain the capability of producing CXCL13. Data on the expression of CXCL13 by FDC sarcoma (FDCsar)
cells are not available. Since FDCsar contains a dense
lymphocytic infiltrate in the form of “sprinkling” or with the
extreme “inflammatory pseudotumor-like” features, we te-
POSTERS
sted the hypothesis whether FDC tumor cells sustain this recruitment via CXCL13.
Methods. Nine case of FDCsar (5 nodal and 4 extranodal) and
a cohort of epithelial and stromal neoplasms potentially mimicking FDCsar (63 cases) were selected from two independent institutions. Formalin-fixed, paraffin-embedded tissue
sections were tested for the expression of CXCL13 (clone
79018, R&D) and CXCR5 (clone 51505, R&D) by immunohistochemistry. mRNA expression of CXCL13 and CXCR5 was quantitated by qRT-PCR and localized by in situ
hybridization techniques.
Results. On histology, FDCsar tumor cells showed a classical
spindle or epithelioid shape and formed fascicles exhibiting
storiform and whorl pattern. A confirmatory phenotype was
obtained using a panel of widely recognized FDC markers
(CD21, CD23, CD35, CAN.42, EGF-R, Clusterin, Podoplanin); in two cases electron microscopy demonstrated desmosomes. Intratumoral lymphocytes were commonly found and
represented by variable mixture of CD20+ B-cell and CD3+ Tlymphocytes. The FDCsar neoplastic cells consistently and
strongly expressed the CXCL13 at protein and mRNA level.
In the large majority of FDCsar mimickers, no reactivity for
CXCL13 was observed. Abundant expression of CXCR5 was
observed in the peritumoral and intratumoral lymphoid populations.
Conclusions. CXCL13 can be considered an additional tool
in the diagnosis of FDCsar with high level of sensitivity and
specificity. FDC sarcoma cells retain, as their normal counterpart, the expression of CXCL13 mRNA and protein. This
molecule is likely to be functional in these tumors, as indicated by the recruitment of intratumoral lymphocytes expressing CXCR5.
Linfoma T/NK: due localizzazioni extranodali
L. Roncoroni, P.R. Billo, B. Di Marco, D. Novero*, A. Assi
U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Civile, Legnano (MI);
*
U.O.A.D.U. Anatomia Patologica 2, Azienda Ospedaliera
“S. Giovanni Battista”, Torino
Introduzione. Il linfoma T/NK extranodale “nasal type” è
una malattia rara nei paesi occidentali.
Presso il nostro ospedale si sono presentate all’osservazione
clinica, in tempi diversi, due pazienti con localizzazioni extranodali di tale malattia.
Paziente di sesso femminile di 46 anni (A), da alcuni mesi in
cura per rinite allergica, che presentava alla rinoscopia
neoformazione occupante le cavità nasali.
Paziente di sesso femminile di 29 anni (B), da alcuni mesi insorgenza di nodulo cutaneo braccio destro curato con terapia
antibiotica e steroidea, si presenta in pronto soccorso per
otalgia, fotofobia, vertigini e nausea. Durante il ricovero
comparsa di noduli multipli agli arti inferiori e superiori e paralisi del VII nervo cranico destro.
Metodi. Pervengono alla nostra osservazione: frammenti
multipli della neoformazione nasale della paziente A e losanga di cute e sottocute della paziente B.
I campioni istologici pervengono immersi in formalina in appositi contenitori, vengono descritti, sezionati e processati
secondo le metodiche routinarie, e successivamente allestiti i
preparati istologici.
Valutate le sezioni in ematossilina-eosina si richiedono le
reazioni immunoistochimiche necessarie per la tipizzazione
delle lesioni: CD3, CD20, CD4, CD8, CD56, MIB-1, CD5,
209
TA1, TdT. In altri centri è stata eseguita la ricerca di EpsteinBarr virus mediante metodica molecolare.
Risultati. I preparati istologici della paziente A hanno mostrato un infiltrato linfoide costituito prevalentemente da
linfociti T di medie dimensioni ed ampio citoplasma, infiltranti le pareti vascolari causandone la necrosi. Tale popolazione neoplastica risultava immunoreattiva al CD3, CD4,
CD56; EBV non valutabile.
I preparati istologici della paziente B presentavano un infiltrato linfoide T più marcato in sede dermica profonda e sottocutanea costituito da cellule monomorfe di medie dimensioni, immunoreattive al CD3, TIA1; EBV positivo.
Discussione. Il riscontro nell’arco di alcuni mesi di due localizzazioni extranodali della stessa rara patologia linfoproliferativa ci ha motivato a rivedere la letteratura e l’incidenza
di questo linfoma nella popolazione.
Bibliografia
Willemze R, et al. Blood 2005;105:3768-85.
Pagano L, et al. Ann Oncol 2006;17:794-800.
Pathology & Genetics Tumours of Haematopoietic and Lymphoid Tissues (WHO, 2001).
Linfoma non Hodgkin primitivo dell’ovaio:
riscontro occasionale
F. Di Nuovo, P. Uboldi, M. Spinelli
Dipartimento di Patologia A.O. “G. Salvini”, Servizio di
Anatomia e Istologia Patologica, Ospedale “S. Corona”,
Garbagnate Milanese, Milano
Introduzione. I linfomi non Hodgkin primitivi dell’ovaio sono estremamente rari, mentre la localizzazione ovarica, frequentemente bilaterale, in corso di linfoma sistemico è più
frequente e rappresenta l’evento tardivo di una malattia linfonodale disseminata. Riportiamo un caso la cui diagnosi, del
tutto incidentale, è stata effettuata a seguito di isteroannessiectomia totale, bilaterale.
Materiali. Donna di 57 anni, con familiarità materna per
linfoma, viene sottoposta ad intervento chirurgico per asportazione di leiomiomi multipli del corpo uterino. L’esame macroscopico del campione operatorio evidenziava in corrispondenza dell’ovaio destro una formazione ovalare grigiastra, a margini netti, di 1,2 cm di diametro massimo. Indenne
appariva l’ovaio di sinistra.
Risultati. Microscopicamente la neoformazione ovarica era
costituita da una proliferazione di cellule per lo più disposte
in filiere, variamente orientate, di dimensioni medio-grandi,
con citoplasma discretamente rappresentato, basofilo al
Giemsa. I nuclei erano ipercromici con cromatina azzollata,
nucleoli evidenti, occasionalmente multipli e addossati alla
membrana nucleare. Si osservavano, inoltre, focolai di necrosi, indice mitotico pari a 4 mitosi per 2 mm, e indice di
proliferazione (Mib1) elevato. La neoformazione appariva
priva di capsula, ma ben circoscritta e delimitata dal parenchima circostante, tuttavia, a forte ingrandimento, alcuni elementi cellulari sfioccavano delicatamente nel restante parenchima ovarico. La popolazione cellulare testata immunoistochimicamente era positiva per LCA e CD20, mentre non ha
mostrato immunoreattività per i seguenti marcatori linfoidi:
CD3, CD5, CD10, CD23, CD34, Bcl2, MPO, MT1. Negativi
sono risultati tutti i marcatori immunoistochimici epiteliali e
germinali. Sulla base dei dati clinico-strumentali, morfologici ed immunoistochimici è stata formulata diagnosi, secondo
POSTERS
210
WHO 2000, di linfoma non Hodgkin a grandi cellule, a fenotipo B, a primitività ovarica. La paziente è stata stadiata e
non mostrava evidenza di linfoma in altre sedi. A tutt’oggi a
distanza di 4 anni e 6 mesi la paziente è libera da malattia ed
è in buono stato di salute.
Conclusioni. L’osservazione di questo caso ci ha consentito
di rivalutare i dati della recente letteratura. Il linfoma primitivo dell’ovaio è una malattia rara, la cui evenienza è stata
anche messa in discussione da alcuni autori. L’istotipo a
grandi cellule B è quello che più frequentemente ricorre nella scarna letteratura pubblicata. Applicando i criteri stringenti di Fox e Langley la nostra diagnosi è stata avvalorata da
una serie di dati tra cui: malattia clinicamente confinata nell’ovaio senza alcuna altra dimostrazione strumentale di ulteriori lesioni concomitanti, sangue periferico e midollo osseo
indenni, assenza di ulteriori localizzazioni almeno numerosi
mesi dopo la scoperta della lesione ovarica. Sebbene infrequente, il linfoma deve essere preso in considerazione nella
diagnosi differenziale delle neoplasie ovariche anche in considerazione della buona prognosi.
Bibliografia
1
Ambulkar I, Nair R. Primary ovarian lymphoma: report of cases and
review of literature. Leuk Lymphoma 2003;44:825-7.
An integrated morphophenotypical and
cytogenetic diagnostic approach to
gastrointestinal and oropharyngeal
lymphomas
M. Marino, G. Chichierchia, D. Assisi*, M. Diodoro, S.
Sentinelli, M.L. Dessanti**, R. Lapenta*, P. Canalini, A.
Papadantonakis, R. Martucci, R. Perrone-Donnorso, F. Pisani**
Department of Pathology; * Gastrointestinal Endoscopy Unit,
**
Hematology, “Regina Elena” Cancer Institute, Rome, Italy
Introduction. Small B cell gastrointestinal and oropharyngeal lymphomas constitute a diagnostic tool.
Methods. We apply an integrated morphophenotypical and
cytogenetic approach in diagnostic practice, with an extended antibody panel including the anti-Cyclin D1 mc antibody
from rabbit (clone SP4) as well as the marker of proliferative
activity MIB1. In addition lymphomas are routinely investigated by FISH analysis for MALT1 rearrangement [LSI
MALT1 (18q21) Break Apart Rearrangement Probe] and/or
for t(11;14) (CCND1; IgH) as a screening approach for recurrent chromosomal translocations, or to exclude the possibility of a mantle cell lymphoma localization. Lymphoma
cases are staged by endoscopic ultrasonography. Treatment
in initial stages is based on Helicobacter Pylori eradication
therapy.
Results. The Table reports our preliminary data concerning
13 cases examined among our series of gastrointestinal and
oropharyngeal lymphomas.
Conclusions. From our data it appears that an integrated immunohistochemical and cytogenetic characterization of GI
and oropharingeal lymphomas is needed in order to exclude
a MCL. 2/4 MCL showed a gastric localization in the course
of disease. Lymphomatous polyposis (LP) was not the typical presentation of MCL in our series. The natural history of
distinct cytogenetic subgroups in our series of gastric B cell
lymphomas is actually under investigation, as some cases
have short follow-up. A DLBL evolution was seen in the
MALT1 rearrangement negative group.
Linfoma splenico a “cellule della zona
marginale”: studio dell’espressione di TCL1 e
t-bet
M.G. Zorzi, M. Lestani, F. Menestrina*, S. Pedron*, P. Piccoli*, L. Montagna*, M. Chilosi*
U.O.C. di Anatomia Patologica, ULSS5 “Ovest-Vicentino”; *
Dipartimento di Patologia, Università di Verona
Introduzione. La diagnosi istologica del linfoma splenico “a
cellule della zona marginale” (SMZL) presenta alcune criticità che la rendono poco riproducibile: la diagnosi viene frequentemente formulata su biopsia ossea, con infiltrati neoplastici minimi e non sempre viene eseguita la splenectomia;
mancano marcatori citogenetici specifici; il quadro morfologico ed il profilo immunofenotipico si sovrappongono a quelli di altri linfomi B CD5-negativi.
Metodi. Abbiamo studiato l’espressione di TCL1 e t-bet in
40 casi di SMZL, diagnosticati su pezzo operatorio (milza:
21/40) o su biopsia osteo-midollare (19/40), applicando i criteri clinici, morfologici ed immunofenotipici descritti nella
classificazione WHO. Le biopsie osteo-midollari sono state
decalcificate in soluzione tamponata acida EDTA per 3 ore ed
incluse in paraffina. Le sezioni deparaffinizzate sono state
sottoposte ad “antigen retrieval” ad alte temperature in “buffer” citrato (pH 8; 30 min). La reazione positiva per TCL1
(clone 27D6/20, diluizione 1:500; MBL, Naka-ku Nagoya,
Japan) e t-bet (clone 4B10, diluizione 1:200; Santa Cruz Biotechnology, CA, USA) è stata rivelata con metodo polimerico a due “step” (Super sensitive IHC detection system, Biogenex, San Ramon, CA, USA), utilizzando un coloratore automatico (GenoMx i6000, Biogenex).
Risultati. TCL1 è risultato negativo in tutti i casi di SMZL.
T-bet è risultato positivo (positività nucleare) in 17/40 casi
(42%), con espressione variabile per intensità, in relazione al
tipo di preparato studiato e alle caratteristiche dell’infiltrato
neoplastico (interstiziale, nodulare, diffuso). T-bet ha rivelato una buona sensibilità nell’identificare le cellule neoplastiche in parte dei casi di localizzazione osteo-midollare di tipo
“intrasinusoidale”, anche di minima entità. Più della metà dei
casi sono risultati T-bet negativi.
Conclusioni. I linfociti della “zona marginale” esprimono un
fenotipo specifico, caratterizzato dall’espressione di marcatori B-associati, dalla negatività per TCL1 e dall’espressione
variabile di T-bet. Questo fenotipo è conservato dal clone
neoplastico e può essere utilizzato per diagnosticare il linfoma anche in presenza di un infiltrato osteo-midollare minimo.
Bibliografia
Narducci MG, et al. Cancer Res 2000;60:2095-3100.
Dorfman DM, et al. Am J Clin Pathol 2004;122:292-7.
POSTERS
211
TCL1 and CD11c expression in hairy-cell
leukemia and their diagnostic role on bone
marrow biopsies in the differential diagnosis
with splenic marginal zone lymphoma
L’espressione immunoistochimica di VEGF
correla con la densità microvascolare (DMV)
nelle malattie mieloproliferative croniche Phnegative (Ph-MPC)
M. Lestani, M.G. Zorzi, F. Menestrina*, L. Montagna*, S.
Pedron*, P. Piccoli*, M. Chilosi*
E. De Camilli, U. Gianelli, C. Vener*, P.R. Rafaniello, F.
Savi, L. Boiocchi, R. Calori*, A. Iurlo, F. Radaelli*, G.
Lambertenghi Deliliers*, S. Bosari, G. Coggi
Service of Pathology, ULSS 5 “Ovest-Vicentino”;
ment of Pathology, University of Verona, Italy
*
Depart-
Background. According to WHO classification, hairy cell
leukaemias (HCL) always express CD22, CD103 and CD11c;
it is also typically positive for CD25, TRAP, DBA.44 and
FMC7. On fixed tissues, however, no routinely available single-marker is specific for HCL, since CD11c, CD22 and even
TRAP and DBA. 44 can be present in other malignancies,
such as splenic marginal zone lymphoma (SMZL), that may
morphologically and clinically mimic HCL. Annexin A1
(ANXA1) immunocytochemical detection has demonstrated
to be highly sensitive and specific for HCL cells on peripheral blood and on formalin fixed tissues, but its expression in
myeloid cells can create difficulty in staining interpretation 1.
TCL1 (T-cell leukemia 1 gene) is an oncogene involved in
chromosome rearrangements in mature T-cell leukemia. In
B-cell lymphomas, evaluated by immunohistochemistry,
TCL1 expression has been documentated in B-cell neoplasms of pre-GC and GC origin, but not in marginal zone
lymphoma and myeloma, and its reactivity pattern in HCL is
currently not described 2. We investigated TCL1 and CD11c
immunoreactivity in 10 cases of HCL (formalin-fixed paraffin-embedded bone marrow biopsies), comparing the results
of TCL1 immunostaining in 10 cases of SMZL, in order to
evaluate its possible role in the differential diagnosis of the
two entities.
Methods. Immunohistochemistry was performed using high
temperature antigen retrieval in citrate buffer (pH 8) for 30
min on deparaffinized sections. Monoclonal antibodies
recognising TCL1 (clone 27D6/20, dilution 1:500; MBL, Naka-ku Nagoya, Japan) and to CD11c (clone 5D11, dilution
1:50; Novocastra Laboratories, Newcastle, United Kingdom)
were used with a polymeric labelling two-step method (Super
sensitivet IHC detection system, Biogenex, San Ramon, CA,
USA) in an automated staining system (GenoMx i6000, Biogenex).
Results. All investigated HCL cases were CD11c and TCL1
positive (10/10). Hairy cells showed a moderate, focally intense membrane staining for CD11c. 9 cases showed moderate or intense nuclear/cytoplasmic staining for TCL1; in 1
TCL1 was detected (weak staining) only on a variable fraction of neoplastic cells. No SMZL stained with TCL1 (0/10).
Conclusion. Both TCL1 and CD11c show a high sensitivity
for HCL cells on formalin-fixed paraffin-embedded bone
marrow biopsies. TCL1 negativity in SMZL may be useful in
the differential diagnosis.
References
1
Falini B, et al. Lancet 2004;363:1869-70.
2
Narducci MG, et al. Cancer Res 2000;60:2095-3100.
II Cattedra di Anatomia Patologica, DMCO, Università di
Milano, A.O. “San Paolo” e Fondazione IRCCS Ospedale
Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; * Ematologia I e II, Università di Milano, Fondazione
IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano
Introduzione. I meccanismi biologici che regolano l’angiogenesi non sono stati analizzati in maniera approfondita nelle Ph-MPC. La quasi totalità degli studi ha messo in evidenza un incremento della DMV nelle Ph-MPC ed in particolare
nella mielofibrosi idiopatica cronica (CIMF). In queste malattie non è chiaro il ruolo del VEGF, principale fattore proangiogenetico e i dati in letteratura sono discordanti. Questo
studio ha lo scopo di valutare la densità microvascolare
(DMV) e l’espressione immunoistochimica di VEGF nelle
biopsie osteomidollari (BOM) di pazienti affetti da Ph-MPC.
Metodi. La popolazione esaminata comprende 98 pazienti
(60 M e 38 F; M/F = 1,6/1; età media: 61 aa., range: 18-85
aa.) di cui 29 con Trombocitemia Essenziale (TE), 30 con Policitemia Vera (20 in fase policitemica e 10 in fase mielofibrotica) e 39 con CIMF (11 CIMF-0, 11 CIMF-1, 7 CIMF-2,
10 CIMF-3). I casi controllo (CC) sono rappresentati da 20
BOM di stadiazione, prive di alterazioni istologiche.
La DMV è stata valutata mediante anticorpo anti-CD34, utilizzando due differenti metodiche: il metodo “hot-spots” e il
metodo “semi-quantitativo”.
L’espressione immunoistochimica di VEGF è stata valutata
come VEGF index, definito come la cellularità midollare
moltiplicata per la frazione di cellule VEGF-positive, ed
espresso come numero compreso tra 0 ed 1 (VEGF(i) = % della cellularità midollare x % cellule VEGF positive/104).
Risultati. La valutazione della DMV-HS ha rivelato differenze statisticamente significative fra i gruppi CC (7,5 ± 3,6),
TE (10,1 ± 4,5), PV (20,7 ± 10,2) e CIMF (25,6 ± 6,3) (p <
0,0001), risultando superiore nei pazienti con PV e CIMF, rispetto ai CC e TE (p < 0,05). I risultati ottenuti con la metodica semi-quantitativa sono sovrapponibili (p < 0,001).
Il VEGF (i) ha mostrato livelli di espressione differenti fra i
gruppi CC (0,08 ± 0,009), TE (0,12 ± 0,05), PV (0,28 ± 0,20)
e CIMF (0,29 ± 0,15) (p < 0,001), con valori più elevati nei
pazienti con CIMF e PV rispetto ai CC e TE (p < 0,05).
Una correlazione diretta tra DMV e VEGF(i) è stata identificata nelle Ph-MPC (r: 0,67; p value < 0,001) e singolarmente
nella PV (r: 0,79; p value < 0,001) e nella CIMF (r: 0,40; p
value = 0,013).
Conclusioni. Nelle Ph-MPC l’incremento della DMV, inteso
come indicatore dell’angiogenesi, correla direttamente con i
livelli di VEGF.
212
Fase pre-policitemica “early” della policitemia
vera (E-PV) con trombocitosi e diagnosi
differenziale con la trombocitemia essenziale
A. Moro, U. Gianelli, A. Iurlo*, C Vener*, E. Fermo*, L.
Boiocchi, P. Bianchi*, F. Radaelli*, G. Lambertenghi Deliliers*, A. Zanella*, S. Bosari, G. Coggi
II Cattedra di Anatomia Patologica, DMCO, Università di
Milano, A.O. “San Paolo” e Fondazione IRCCS Ospedale
Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano, Italia; * Divisione di Ematologia I e II, Fondazione
IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano
Introduzione. Nella Policitemia Vera (PV) sono note due fasi clinico-patologiche chiaramente distinte: la fase policitemia e la mielofibrosi post-policitemica.
In passato sono stati descritti casi di Trombocitemia essenziale (TE) associati ad eritrocitosi e casi di PV che esordivano con una elevata piastrinosi, tale da mimare clinicamente
una TE. Recentemente è stato ipotizzato che la PV possa essere preceduta da un fase precoce di malattia (e-PV), in cui
l’incremento della massa eritrocitaria sia inferiore ai valori
richiesti per la diagnosi di PV secondo il PVSG o la classificazione WHO.
Materiali e metodi. In questo studio abbiamo esaminato le
caratteristiche cliniche, morfologiche e molecolari di 17 pazienti con e-PV e li abbiamo comparati a quelle di due gruppi di controllo, 19 casi di PV e da 13 casi di TE, allo scopo
di identificare i principali criteri diagnostico-differenziali.
Risultati. I pazienti con e-PV hanno mostrato valori di Hb
(15,5 g/dl), Hct (45,9%) e LAP (114 IU/L) significativamente superiori ai pazienti con ET (Hb: 13,8 g/dl; Hct 41%; 77
IU/L) ed inferiori ai pazienti con PV (Hb: 16,9 g/dl; Hct:
51,8%; 156 IU/L) (LSD Bonferroni p < 0,05). Splenomegalia (p = 0,004) ed epatomegalia (p = 0,03) sono risultate più
frequenti nella e-PV e nella PV in confronto alla TE. Morfologicamente, nel confronto quantitativo con la TE, la e-PV ha
mostrato un significativo incremento della cellularità midollare (p < 0,001), dovuto ad incremento dell’eritropoiesi (p <
0,001), delle forme eritroidi immature (p < 0,001), della granulopoiesi (p = 0,004) e delle forme mieloidi immature (p =
0,001). Inoltre, nella e-PV i megacariociti sono caratterizzati
da un maggiore polimorfismo (p < 0,001), con difetti di maturazione (p < 0,001), e incremento delle forme a nucleo iperlobato (p = 0,02), vescicoloso (p < 0,001) e “nudo” (p =
0,01). Al contrario, non abbiamo riscontrato differenze significative confrontando e-PV e PV.
Mutazioni di JAK2V617F erano presenti nel 100% (17/17) casi
di e-PV, nel 95% (18/19) delle PV nel 54% (7/13) delle TE e
(p = 0,0007).
Conclusioni. I risultati confermano l’esistenza della e-PV
come entità clinico-patologica distinta, con caratteristiche
cliniche, morfologiche e molecolari più “vicine” alla PV che
alla TE. Sulla base di questi dati è possibile ipotizzare un algoritmo diagnostico per la diagnosi differenziale tra queste
entità.
POSTERS
Surface antigen mosaic of dendritic
lymphoplasmacytoid lymphoma: a key for
interpreting the heterogeneous tissue
localization of neoplastic cells
R. Franco, A. De Renzo**, A. De Chiara, G. Ferrara*, G.
Liguori, L. Del Vecchio***, G. Corazzelli****, G. Pettinato****, G. Botti
S.C. Anatomia Patologica, Istituto dei Tumori “Fondazione
G. Pascale”, Napoli; * S.C. Anatomia Patologica, Azienda
Ospedaliera “Rummo” di Benevento; ** U.O. Ematologia,
Università “Federico II”, Napoli; *** Servizio di Citofluorimetria, CEINGE, Napoli; **** Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università “Federico II”, Napoli; ***** S.C. Ematologia, Istituto dei Tumori “Fondazione G.
Pascale”, Napoli, Italy
During the last years an unusual form of leukemia/lymphoma
whose cells expressed HLA-DR, CD4, CD56 and CD123
(IL3R) was described. Surface antigen mosaic and functional properties of these cells were similar to a fraction of normal dendritic cells, the DC2 or lymphoplasmacytoid subset.
This type of neoplasia perfectly overlapped to CD4+ CD56+
lymphoma previously named in WHO classification as “blastic NK” lymphoma. The clinical behavior of this disease generally implies skin involvement with a rapidly aggressive
outcome and possible picture of acute leukemia. Immunophenotypic information is incomplete and no study
deals with the correlation between surface antigen expression
and clinical behavior. One of the points debated is if this disease has to be considered a bone marrow disorder with subsequent peripheral tissue involvement or a peripheral tissue
disease with possible leukemic evolution. Rare cases with
exclusive bone marrow involvement seem to sustain the first
hypothesis, while cases with dendritic lymphoplasmacytoid
neoplasia (DLPN), initial skin involvement and expression of
cutaneous lymphocyte-associated antigen (CLA) lead to consider this disease a primarily cutis-restricted neoplasia.
Chemokines and their own receptors are widely demonstrated to be effective co-regulator of metastasis development in
solid tumors. Among these, CXCR4 (CD184) and its ligand
CXCL12/SDF1 seem to drive metastasis in many cases.
CD26/DPPIV seems to counterbalance CD184 due to its enzymatic activity on CXCL12, hampering the binding between the two structures.
In this study we characterized 10 cases of DLPN by using
an extended panel of MoAbs, flow cytometry and immunohistochemistry. Six cases were studied by flow cytometry
and 5 by immunohistochemistry. The aims were: (i) to define the exact immunophenotype of this rare neoplasia; (ii)
to assess the real incidence of these cases; (iii) to attempt a
sub-classification of these cases on the basis of antigen expression. The panel utilized for flow cytometry characterization was the following: CD2, CD3, CD4, CD5, CD7,
CD8, CD10, CD11a, CD11b. CD11c, CD13, CD14, CD15,
CD16, CD19, CD20, CD22, CD23, CD24, CD25, CD26,
CD29, CD33, CD34, CD36, CD37, CD38, CD40, CD41a,
CD42b, CD43, CD44, CD45, CD56, CD57, CD58, CD61,
CD69, CD71, CD80, CD86, CD103, CD184. Flow cytometry characterization performed on bone marrow aspirates in
5 cases with heavy bone marrow involvement consistently
evidenced the following immunophenotype: HLA-DR+,
CD4+, CD56+, CD36+, CD103+. CD2, TdT and CD33
were expressed by 2 patients while CD7 was displayed by
POSTERS
one single case. One case with massive involvement of
bone marrow and no cutaneous infiltration clearly showed
CD26. All cases were initially referred to our institution as
acute myeloblastic leukemia (AML). The exact incidence of
these cases as compared to all cases of AML studied was
5/2,185 cases.
Immunohistochemistry was performed on cutaneous biopsies
in 5 patients. In all patients expression of CD4, CD56,
CD123, TCL1 was observed. Variable expression of CD68
and CD43 was also detected. In one case more than 50% of
cells expressed TdT. CXCR4 (CD184) was observed in all
213
cases, while convincing expression of CD26 was never detected. One cutaneous fragment was studied by flow cytometry also, confirming the CXCR4+ CD26- pattern.
In conclusion immunophenotypic features of this rare disease
seem to be consistent as regards HLA-DR, CD4, CD56,
CD36 and CD103. The expression of CXCR4 and CD26 appear to be associated with tissue distribution of the disease,
with CXCR4+ CD26- pattern corresponding to cases characterized by initial cutaneous involvement and metastatic potential, CD26 expression being restricted to bone marrow
disease unable to infiltrate peripheral tissues.
PATHOLOGICA 2007;99:214-224
Patologia dell’apparato digerente
Telangiectatic focal nodular hyperplasia
(FNH) of the liver currently classified as
hepatocellular adenoma (HCA) variant with
ductular differentiation? A problem area and
report of a paradigmatic case
M. Bisceglia, A. Gatta*, A. Tomezzoli**, M. Donataccio***
Departments of Pathology and * Pediatrics, IRCCS “Casa
Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo;
Departments of ** Pathology and *** Surgery, Ospedale Civile Maggiore di Verona, Italy
Introduction. FNH and HCA are benign liver tumors. In
1999 two categories of FNH were defined: the classical type
(~ 80%), with or without gross central scar, histologically
showing architectural nodular distortion, malformed arterial
vessels, and bile ductular reaction, and the non-classical type,
lacking nodular architecture or malformed vessels, but always presenting bile ductules, the hallmark of the lesion 1.
FNH was further subdivided into the telangiectatic FNH
(TFNH) (~ 15%), the mixed hyperplastic and adenomatous
FNH (1-2%), and the FNH with cytologic atypia (2-3%). In
2004 molecular studies displayed that TFNH is closer to
HCA than to FNH and the term of telangiectatic HCA (HCATFNHtype) was suggested 2. This latter datum was soon corroborated by others 3 4, and TFNH is now included in the
monoclonal spectrum of HCA as a separate entity (HCA variant), due to the peculiar morphology and the absence of
known gene mutation. This year 2007 new diagnostic criteria
came out in regard to HCA, and 4 variants have been delineated in addition to the classical. Variant-3 (with or without
inflammatory infiltrates) is TFNH (“progressive FNH”), and
may contain ck7+ bile ductules (adenoma with duct differentiation). The other variants of HCA have incorporated the rest
of non-classical FNH, and FNH is now represented by the
classical or solid form only. Still, the diagnosis (dx) of TFNH
remains problematic and overlaps FNH.
Case report. Young Italian girl had a twisted pedunculated
liver mass, which was surgically resected in emergency in
1999 at the age of 17. No “pill”, no Fanconi anemia, no
glycogen storage disease, no familial adenomatous polyposis, no diabetes mellitus was recorded. At histology, based on
the presence of a seeming central scar, dystrophic vessels,
and patchy ductular proliferation, the lesion was diagnosed
as FNH. Peliotic, hemorrhagic and acute necrotic changes
were ascribed to the torsion. At surgery another 3 cm liver
mass located on the dome was noted but left alone till the end
of 2006, by which time had grown to 7 cm. While planning
the second surgical intervention, many slides of the 1st lesion
were sent in consultation to 7 specialized liver centers, and
diverse dx came out, ranging from FNH to HCA-TFNH type
to classical HCA (w.d. HCC also considered; concern expressed for the 2nd). The 2nd tumor was resected: no central
scar was seen, the lesion was ill-delimited with some zonation of clear ballooned hepatocytes with steatosis arranged
around thin-walled venules, alternated with smaller
eosinophilic cells disposed along arterial branches; bile ducts
and ductules were noted; multiple minute hyperplastic nodular foci of clear/steatotic hepatocytes were also seen in the
adjacent host liver. Slides were sent to 5 of the previous cen-
ters: the dx received from 3 were classic HCA, HCA with
ck7+ biliary ductules, and adenomatous hyperplasia (exclusive of HCA due to the presence of ductules), repsectively;
no answer from 2. With the previous history available, 2 of
those who answered also suggested the dx of adenomatosis.
Finally, on request 2 more pathologists reviewed the entire
case and the dx were adenomatosis with different types of
HCA (TFNH type and stetatotic-type), and multiple HCA
with duct differentiation (progressive FNH type), respectively. Of interest one of these interpreted the “central scar” of
the first tumor 5 as the result of socalled congestive hepatopathy.
Results. Malignancy was excluded based on morphology
(absence of atypia, intact reticulin framework, and regular
disposition of 1-2 thick-layered trabeculae) and immunostainings (Glypican3 was negative, CD34 showed minimal sinusoidal staining, MIB1 labeled very occasional nuclei).
Conclusions. Given the absence of any significant clinical
context, the final diagnosis was spontaneous multiple adenomas (adenomatosis). The clinical management is difficult but
requires regular follow-up: removal of larger tumors at risk
of bleeding is recommended.
References
1
Nguyen BN, et al. Am J Sur Pathol 1999;23:1441-54.
2
Paradis V, et al. Gastroenterology 2004;126:1323-9.
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Bioulac-Sage P, et al. Gastroenterology 2005;128:1211-8.
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Zucman-Rossi J, et al. Hepatology 2006;43:515-24.
5
Bioulac-Sage, et al. J Hepatol 2007;46:521-7.
Fatal venous systemic air embolism following
endoscopic retrograde
cholangiopacreatography (ERCP). A case
report
M. Bisceglia, A. Simeone*, R. Forlano**, A. Andriulli**, A.
Pilotto***
Departments of Pathology, * Radiology, ** Gastroenterology
and Gastrointestinal Endoscopy, and *** Geriatrics, IRCCS
“Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni
Rotondo, Italy
Introduction. Air embolism (AE) is a rare complication of
gastrointestinal (GI) endoscopy, resulting from penetration of
gas into the portal veins. Risk factors associated with air embolism in this setting include situations where the mucosa is
damaged or where high pressures are generated in the GI
tract. Thus this complication can be seen in the context of
various pathologies, including acute mesenteric ischemia,
chronic inflammatory GI diseases, GI infections, acute gastric dilatation, caustic ingestion, superior mesenteric artery
syndrome with duodenal dilatation, ileus, blunt abdominal
trauma, duodeno-caval fistulas, and invasive diagnostic procedures, such as double-contrast barium enema, endoscopic
sphincterotomy (ES), and ERCP. The likely mechanism by
which ES and ERCP cause AE is intramural dissection of insufflated air into the portal venous system via venous duodenal radicles which are inadvertently injured or transected. AE
is an ominous sign and may be fatal (mortality rate of 75%),
but may also be reversible or cured by surgery depending on
POSTERS
the underlying causes. The first case of fatal AE due to ES
was described in 1988 1, and the first fatal case of systemic
AE due to ERCP was reported in 1997 2. So far less than 10
cases of AE after ERCP have been reported. An additional
case is described herein.
Case report. We report on an unfortunate 78-year-old male
who developed systemic venous AE during ERCP. This patient, who many years previously had undergone both gastroduodenal resection for duodenal ulcer and cholecystectomy
for gallstones, was admitted for recurrent ascending cholangitis secondary to stones. While undergoing ES and two ERCP procedures for the removal of bile duct stones, he was also diagnosed with CLL. After 3 months, he underwent a 3 rd
operative ERCP for recurrent stones, during which he suffered a cardiopulmonary arrest. CT scan demonstrated abundant air in the pulmonary artery, right heart and tributary
veins of both superior and inferior vena cava. Cerebral venous AE was also found. Autopsy was performed.
Results. Pulmonary artery and right heart AE were confirmed. The liver was taken out en-bloc and investigated with
both anterograde portography and retrograde suprahepatic
venography via 3 suprahepatic veins. Bench radiographs revealed reflux of the contrast medium into the biliary tree,
providing evidence for the presence of small veno-biliary fistulas at both the portal and systemic radicle level. On sectioning the liver surface was punctuated by many parenchymal micro-abscesses containing impacted biliary sand and
minute stones, which were histologically confirmed.
Conclusions. The air was thought to have entered the portal
venous system via intrahepatic radicles of both the suprahepatic and portal veins, which might have undergone perforation on the background of chronic ischemic damage secondary to prolonged impaction and infection of the involved
ducts. Air insufflation during cholangioscopy created the gradient pressure that resulted in portal gas and AE.
References
1
Simmons TC. Am J Gastroenterol 1988;83:326-8.
2
Kennedy C, et al. Gastrointest Endoscop 1997;45:187-8.
HER2/neu overexpression is potentially
involved in midgut carcinoids development
C. Azzoni, L. Bottarelli, N. Campanini, C. Lagrasta, E.
Tamburini, S. Pizzi, T. D’Adda, G. Rindi, C. Bordi
Department of Pathology and Laboratory Medicine, Section
of Pathological Anatomy, Parma University, Italy
Introduction. HER-2/neu oncogene overexpression and/or
gene amplification has been documented in several human
malignancies, frequently correlates with increased tumor aggressiveness, and can be used as a basis of treatment with
trastuzumab. Among neuroendocrine neoplasms of the gastrointestinal tract, the carcinoids of midgut show peculiar
features of malignancy with frequent liver metastases at the
time of diagnosis. Despite recent advances in the diagnosis,
localization, and treatment of these tumors, no etiologic factors have been proven to be associated with them, little is
known about the molecular determinants of their growth, and
no useful prognostic factors have been identified by molecular studies.
Methods. We investigated HER-2/neu abnormalities in 24
primary midgut ileal carcinoids including 7 metastatic tissues
and in 38 endocrine carcinomas from other regions of the
215
gastroenteropancreatic (GEP) tract using immunohistochemistry and fluorescent in situ hybridization (FISH).
Results. In primary ileal carcinoids the percentage of immunoreactive tumor cells was 100% in 20 cases (84%), ranging from 70 to 80% in the remaining 4 cases (16%). According the breast scoring system based on the patterns of membranous staining 5 cases (21%) showed score 3+; 16 cases
(67%) score 2+ and 3 cases (13%) score 1+. In two cases increased values were observed in metastasic as compared to
primary tissues with regard to the percentage of immunoreactive cells and the breast scoring. FISH analysis has revealed chromosomal polysomy in 7 cases of midgut carcinoid (35%) all showing immunohistochemic al score 3+. No
gene amplification was found in all immunoreactive tumors.
The majority of 38 endocrine tumors from other GEP regions
were consistently unreactive for HER-2/neu, with the exception of 6 (16%) cases showing a weak immunoreactivity and
with a high significant statistical difference (p < 0.000000) as
compared with midgut carcinoids.
Conclusions. These results show that HER-2/neu overexpression may be involved) in the carcinogenetic process of
malignant ileal carcinoids. Further study are needed to evaluate if patients exhibiting HER-2/neu overexpression might
constitute potential candidates for adjuvant therapy based on
the use of humanized monoclonal antibodies.
Cisti linfoepiteliale del pancreas con
differenziazione sebacea
M. Casiello, G. Napoli, R. Scamarcio, G. Renzulli, R.
Ricco
Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari
Introduzione. Le cisti linfoepiteliali rappresentano una rara
variante delle cisti pancreatiche, morfologicamente simili alle cisti derivanti dai residui della tasca branchiale.
Metodi. Uomo di 64 anni con ittero ostruttivo e pregressa
pancreatite acuta. Sottoposto ad indagini strumentali (TC ed
ecografia) si apprezza, in corrispondenza del corpo-coda del
pancreas, processo espansivo a densità fluida, diametri 6 x 5
cm. Eseguito esame citologico su agoaspirato con esito non
diagnostico per la presenza esclusivamente di materiale necrotico. Al tavolo operatorio la neoformazione pancreatica risultò una formazione cistica a contenuto poltaceo. Effettuato
esame intraoperatorio di un frammento della parete della cisti la diagnosi risultò negativa (frammento fibroconnettivale
parzialmente rivestito da elementi cellulari coartati. Assenza
di cellule maligne). Il paziente fu sottoposto ad intervento di
pancreasectomia parziale (corpo-coda) e splenectomia.
Risultati. L’esame macroscopico evidenziò formazione cistica multiloculata del pancreas, diametro 4 cm, contenenti materiale poltaceo. All’esame microscopico le cisti apparivano
rivestite da epitelio pavimentoso composto cheratinizzante,
con focale differenziazione sebacea, e con stroma linfoide
spesso aggregato in centri germinativi.
Conclusioni. Le cisti linfoepiteliali pancreatiche probabilmente si sviluppano a partire da dotti pancreatici protrudenti
in linfonodi o da milza accessoria intrapancreatica. In tal caso si potrebbero correlare anatomicamente e patogeneticamente alle cisti linfoepiteliali derivate da residui della tasca
branchiale della testa, del collo e del mediastino.
POSTERS
216
Descrizione di un caso di carcinosi meningea
isolata in un paziente affetto da
adenocarcinoma pancreatico
V. Arena, G. Monego*, E. Arena, E. Stigliano, F. De Giorgio**, P. Bertoglio, A. Capelli
Istituto di Anatomia Patologica; * Istituto di Anatomia Umana; ** Istituto di Medicina Legale
Introduzione. La carcinomatosi meningea ad origine da neoplasie del tratto gastroenterico è clinicamente infrequente e
stando ad in letteratura esistono solo due casi di carcinomatosi meningea secondaria ad adenocarcinoma pancreatico
(1979 e 2001) 1 2. In entrambi, però non si trovano mai descritti i caratteri istopatologici della neoplasia né vi è cenno
alla morfologia degli elementi osservati a livello meningeo.
Metodi. Descriviamo di seguito un caso di carcinomatosi
meningea da adenocarcinoma del pancreas in un paziente di
59 anni che giungeva all’osservazione clinica per una recente storia di perdita di peso e senso di stanchezza, associato ad
iniziali parestesie agli arti. Durante il ricovero il paziente vedeva un rapido peggioramento delle condizioni cliniche con
un aggravamento dello status neurologico fino al coma. Un
esame del liquor mostrava la presenza di elementi ad anello
con castone, ma la negatività della TAC total body non ha
consentito di poter fornire una diagnosi di primitività in vita.
Il paziente decedeva dopo un mese di ricovero in rianimazione per una sovrapposta infezione polmonare da Candida e veniva richiesto un riscontro diagnostico. L’esame macroscopico non fu dirimente, si apprezzò soltanto un pancreas di consistenza diffusamente aumentata, con un aspetto compatto a
livello della testa, ma non vi era comunque l’evidenza franca
di una lesione ben definibile in tale sede. Vennero pertanto
effettuati multipli prelievi randomizzati. Istologicamente il
quadro è apparso quello di un adenocarcinoma ben differenziato, con pattern di crescita tubulo-acinare con immagini di
franca invasione perineurale. Focalmente si potevano osservare isolate mitosi atipiche. L’esame dell’encefalo ha poi
confermato la carcinosi fenotipicamente compatibile con l’origine pancreatica (Muc1, CK 19, CEA).
Risultati e conclusioni. Il caso da noi presentato rappresenta il terzo in letteratura di carcinosi meningea isolata da carcinoma del pancreas ed il primo con la definizione dell’istotipo. Seppure tali casi rappresentino episodi isolati e decisamente molto rari, riteniamo che la loro segnalazione abbia un
ruolo importante per la loro esatta caratterizzazione nosologica.
Bibliografia
1. Fisher MA, et al. South Med J 1979;72:930-2.
2. Ferreira Filho AF, et al. Amm Oncol 2001;12:1757-9.
Metaplasia ossea in adenocarcinoma del
colon destro. Case report
M. Bonucci, E.D. Rossi, E. Restini*, B. Santoro*, M.
Buonvino*
Servizio Anatomia Patologica, Casa di Cura “San Feliciano”, Roma; * Dipartimento Chirurgia Generale, Mininvasiva
e Robotica, Città di Bari Hospital
Introduzione. L’ossificazione eterotopica nel tratto gastrointestinale è un evento raro. Nella maggior parte dei casi la me-
taplasia ossea è associata a neoplasia ed il retto che è il più
comune sito di ossificazione.
Metodi. Viene riportato il caso di una donna di 76 anni con
neoformazione del colon destro conglobante le anse ileali.
Risultati. L’esame istologico metteva in evidenza un adenocarcinoma mucinoso scarsamente differenziato con presenza
di spicole ossee ben differenziate indovate nell’abbondante
muco. Era presente diffusa infiltrazione neoplastica nel tessuto adiposo pericolico con interessamento ab estrinseco della parete ileale fino alla mucosa, con metastatizzazione linfonodale.
Conclusioni. L’ossificazione eterotopica nell’adenocarcinoma del tratto gastrointestinale è rara. La localizzazione nel
colon destro è la meno frequente. La presentazione clinica è
simile alle neoplasie senza metaplasia ossea. La conoscenza
di questo evento è importante per non diagnosticare un carcinosarcoma. L’esatto meccanismo patogenetico della ossificazione non è ben conosciuto. Lo stravaso di mucina potrebbe
avere un ruolo di stimolo metaplastico sui fibroblasti. La prognosi di questi pazienti è peggiore: ampia diffusione alla scoperta e frequente metastatizzazione. Nel nostro caso la paziente oltre ad avere metastasi linfonodali presentava una diffusione massiva nel peritoneo.
I tumori cistici sierosi del pancreas: un
approccio multidisciplinare
A.L. Tosi, L. Maccio, S. Lega, E. Montinari, G.N. Martinelli
UU.OO. Anatomia Patologica, Ospedale “Sant’Orsola”,
Bologna
Introduzione. I tumori cistici sierosi del pancreas sono prevalentemente neoplasie benigne e rari sono i casi con potenziale maligno. Sono frequenti soprattutto in donne di età
compresa tra i 62-65 anni, hanno una presentazione per lo più
asintomatica e se ne differenziano tre varianti: microcistico
(70%), oligocistico (25%) e solido (5%). Scopo del nostro lavoro è sottolineare come un approccio multidisciplinare permetta di discriminare tra le neoplasie che necessitano di un
approccio chirurgico, e quelle invece da monitorare clinicamente.
Metodi. Sono stati esaminati retrospettivamente i caratteri
anatomo-clinici e di diagnostica per immagini di 26 pazienti
con tumore cistico sieroso pancreatico, dal gennaio 1990 al
dicembre 2006 assunti presso la nostra UU.OO. ed in particolare: 1) clinica: asintomaticità vs. sintomaticità (alterazione della silhouette addominale, dolore addominale cronico,
dispepsia); 2) esami radiologici (US e TC) che valutano la localizzazione, le dimensioni della lesione, il numero delle cisti (> 6 nel microcistico), il loro diametro (< 20 mm nel microcistico, > 20 mm nell’oligocistico), la presenza di setti e
calcificazioni centrali; 3) valutazione patologica: macroscopica e microscopica, che individua la presenza di cellule cuboidali, ricche di glicogeno intracitoplasmatico, con nuclei
piccoli e rotondi, abbondante cromatina ipercromica e setti di
tessuto connettivo acellulato. È stato infine valutato l’andamento clinico fra i casi operati vs. i casi non operati.
Risultati. In funzione della sede i tumori si trovavano, nel
54% a livello corpo-coda, nel 46% a livello della testa; il diametro massimo era di 5,6 mm. Il 77% dei pazienti è stato sottoposto a chirurgia ed in questo gruppo il diametro medio
della lesione era di 6,7 mm. Durante il follow-up non si è
POSTERS
avuta evoluzione maligna o un significativo aumento delle
dimensioni delle lesioni né sui casi trattati chirurgicamente,
né sui casi non trattati chirurgicamente, ma monitorati con
US e TC.
Conclusioni. La nostra esperienza multidisciplinare dei tumori cistici sierosi del pancreas, mettendo in correlazione i
dati clinici, radiologici, anatomo-patologici, il follow-up e
associandoli ad una ridotta capacità di crescita volumetrica e
una quasi assente potenzialità maligna, suggerisce che, nei
casi di pazienti asintomatici, con distintivi caratteri di diagnosi per immagini e che non presentino alterazioni della
funzione pancreatica, risulti avere successo l’approccio di
sorveglianza clinico/radiologica.
Caratterizzazione dei recettori per la
somatostatina (SSTR2A) nei tumori
neuroendocrini dell’apparato digerente
S. Lega, E. Montinari, A.L. Tosi, L. Maccio, G.N. Martinelli
UU.OO. Anatomia Patologica, Ospedale “Sant’Orsola”,
Bologna
Introduzione. I tumori neuroendocrini gastro-entero-pancreatici (TNE-GEP) sono neoplasie sporadiche ed eterogenee
che originano dalle cellule del sistema neuroendocrino. La
somatostatina ed i suoi recettori (SSTR) rappresentano un
importante “pathway” molecolare in quanto altamente
espressi nelle cellule neuroendocrine e anche nella maggior
parte dei TNE-GEP, in particolare gli SSTR2A sono maggiormente rappresentati 1. Scopo del nostro studio è valutare
e comparare l’espressione IIC di SSTR-2A in una serie di
TNE-GEP al fine di caratterizzarne: la distribuzione in funzione della sede, l’espressione correlandola con il dato anatomoclinico funzionale ed immunofenotipico al fine di poter
trasferire i risultati nella pratica clinica come markers di terapia target.
Metodi. A tale scopo 50 casi non selezionati di TNE-GEP osservati, presso l’UO Anatomia Patologica nel periodo 20022006, sono stati esaminati; di tutti si è valutata l’espressione
IIC sia citoplasmatica che di membrana dei recettori SSTR2A mediante l’utilizzo di un anticorpo policlonale da coniglio
anti-SSTR2A diluito 1:12.000 (Biotrend GmbH, Im Technologiezentrum Koln, Germania).
Risultati. La maggior parte dei TNE da noi esaminati (47 casi su 50 casi) ha mostrato una positività di membrana con
score variabile (1+ vs. 3+), mentre una minoranza (20 casi su
50 casi) una positività citoplasmatica con score variabile (1+
vs. +/-).
Conclusioni. In conclusione, il nostro studio conferma la fattibilità di una valutazione IIC dei SSTR2A nei TNE-GEP in
materiale d’archivio come valida alternativa di facile esecuzione rispetto a tecniche più complesse. Una reattività di
membrana e/o citoplasmatica è indicativa di tumori positivi
anche se lo score di espressione per la selezione di un paziente eleggibile per una terapia target deve essere meglio
stabilita su più ampie casistiche. L’implementazione routinaria della caratterizzazione IIC di SSTR2A necessita tuttavia
di più accurati metodi di standardizzazione.
Bibliografia
1
Reubi JC. Peptide Receptors as Molecular Targets for Cancer Diagnosis and Therapy. Endocrine Rev 2003;24:389-427.
217
Occlusione intestinale da endometriosi del
sigma con coinvolgimento linfonodale, in età
avanzata
L. Ventura, M. De Vito
U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila
Introduzione. L’endometriosi colpisce principalmente donne in età fertile, localizzandosi usualmente agli organi pelvici. Il coinvolgimento di organi extrapelvici è meno frequente, mentre l’estensione della malattia ai linfonodi regionali risulta estremamente rara 1 2.
Presentiamo un caso di endometriosi del sigma con coinvolgimento linfonodale, in una paziente anziana affetta da occlusione intestinale.
Metodi. Una donna di 74 anni giungeva presso il nostro presidio ospedaliero presentando un quadro di addome acuto da
occlusione intestinale. Veniva quindi sottoposta in urgenza ad
intervento chirurgico di resezione del sigma.
Il campione operatorio era fissato in formalina, campionato e
processato per ottenere colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche.
Risultati. L’esame macroscopico mostrava una stenosi viscerale della lunghezza di 2,5 cm con presenza di formazioni
microcistiche nello spessore della parete e dilatazione del
tratto viscerale a monte.
A livello istologico era possibile osservare ghiandole endometriali atrofiche con scarso stroma estese dalla sottomucosa
alla sottosierosa, con ipertrofia della muscolare propria. Focolai endometriosici erano presenti nella corticale sottocapsulare in uno degli undici linfonodi periviscerali esaminati.
Conclusioni. Tra le diverse sedi addominali il rettosigma costituisce la localizzazione più frequente dell’endometriosi 1.
In letteratura, la presenza di coinvolgimento linfonodale è
stata descritta in 4 casi di endometriosi del retto-sigma 1 2,
ipotizzando un meccanismo di trasporto del tessuto endometriale attraverso i vasi linfatici 1.
L’endometriosi del grosso intestino deve essere distinta dall’adenocarcinoma, specialmente in caso di lesioni polipoidi
ed estese ai linfonodi. Nel caso in esame, i criteri istoarchitetturali, l’assenza di attività proliferativa e le alterazioni
atrofiche osservate nei focolai endometriosici hanno consentito di escludere la malignità anche in presenza di estensione
linfonodale.
L’ipertrofia della muscolare propria e la distribuzione circonferenziale dei focolai endometriosici possono aver causato lo
sviluppo del quadro ostruttivo.
Bibliografia
1
Insabato L, et al. Path Res Pract 1996;192:957-61.
2
Lorente Poyatos R, et al. Gastroenterol Hepatol 2003;26:23-5.
Valutazione dell’espressione del fattore di
trascrizione SOX9 nei carcinomi gastrici
E. Pilozzi, L. Santoro, E. Duranti, M.C. Giustiniani, A.
Stoppacciaro, L. Ruco
Istopatologia, Ospedale “Sant’Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza”
Introduzione. SOX9 è un fattore di trascrizione che fa parte
di una famiglia genica (SRY-like HMG box genes) che com-
POSTERS
218
prende circa 20 geni con un ruolo chiave in processi di sviluppo e differenziazione embrionale. Recentemente è stata riportata l’espressione di SOX9 nelle cellule epiteliali intestinali delle cripte che rappresentano il compartimento staminale e proliferativo. È stato dimostrato che l’espressione di
SOX9 in queste cellule è dipendente dal pathway Wnt-βcatenina-TCF4. È stato inoltre dimostrato che in linee cellulari di
carcinoma del colon l’iper-espressione di SOX9 reprime l’espressione di CDX2. Il carcinoma gastrico nella maggior parte dei casi si sviluppa nel contesto di una gastrite cronica
atrofica con metaplasia intestinale. Lo scopo del nostro lavoro era quello di valutare l’espressione di SOX9 nella metaplasia intestinale gastrica e nei carcinomi gastrici ed il rapporto con l’attivazione del pathway Wnt-β-catenina-TCF4.
Metodi. Abbiamo valutato tramite immunoistochimica l’espressione di SOX9, β-catenina e CDX2 in 21 casi di carcinomi gastrici (21 M, 10F; 39-86 anni) di cui 15 di tipo intestinale e 6 di tipo diffuso sec. Lauren.
Risultati. SOX9 era espresso nelle ghiandole intestinali metaplastiche con la stessa distribuzione delle ghiandole intestinali normali. In 12/21 carcinomi gastrici abbiamo osservato
una positività nucleare di SOX9 > 60% delle cellule neoplastiche ed indipendentemente dall’istotipo. Nella maggior parte dei casi la positività di SOX9 era confinata alla periferia
dei nidi neoplastici e agli emboli. CDX2 era espresso in circa il 70% dei carcinomi gastrici in una percentuale variabile
di cellule. In 5/21 casi abbiamo osservato una dissociazione
tra l’espressione di CDX2 e quella di SOX9 nelle diverse
aree della neoplasia. L’espressione nucleare di β-catenina era
presente in 7/21 (30%) casi. Non abbiamo osservato una relazione tra l’espressione di SOX9 e quella di β-catenina nucleare.
Conclusioni. Il nostro è il primo lavoro che dimostra che il
fattore di trascrizione SOX9 è espresso nelle ghiandole intestinali metaplastiche dello stomaco e nei carcinomi gastrici.
Contrariamente a quanto osservato nel carcinoma del colon,
i nostri dati mostrano che nel carcinoma gastrico non c’è una
diretta correlazione tra l’espressione nucleare di β-catenina e
quella di SOX9, suggerendo un diverso meccanismo di controllo dell’espressione di questo gene.
Un caso di melanoma maligno a sede anale
A. Labate, M. Mamo, D. Cuppari, M. Sterrantino, P. Napoli
S.C. Anatomia Patologica, Azienda Ospedale “Piemonte”,
Messina
Introduzione. Il melanoma anale è una neoplasia rara, costituendo lo 0,4-0,8% di tutte le lesioni maligne; l’1-3% di tutti i tumori in sede ano-rettale e lo 0,5-1% di tutti i melanomi.
La massima incidenza si rileva tra la VI e VII decade di vita
e colpisce entrambi i sessi con uguale frequenza presentando
una maggiore incidenza nella razza bianca.
Case report. Riportiamo un caso di melanoma anale in un
soggetto di sesso maschile di 69 anni sottoposto a colonscopia per frequenti rettorragie e per l’evidenza all’esame ispettivo di una tumefazione mal delimitabile a circa 3 cm dalla
rima anale. L’esame endoscopico ha messo in evidenza una
lesione esofitica, apparentemente infiltrante di colorito bruno, microulcerata, che è stata bioptizzata. I frammenti della
lesione pervengono alla nostra attenzione per la valutazione
istologica e immunoistochimica. Ci sono successivamente
pervenuti linfonodi inguinali e liquido di versamento.
Materiali e metodi. Il materiale pervenuto è stato processato come di routine e la lesione anale è stata valutata in microscopia ottica ed in immunoistochimica (HMB45, Ckpan,
e CD20).
Risultati. Microscopia ottica: i vari frammenti di mucosa del
canale anale presentano a ridosso della giunzione dermo-epidermica una neoformazione ad alta densità cellulare costituta da elementi poligonali di medie dimensioni, coesivi, con
nuclei voluminosi con nucleoli prominenti e ampi citoplasmi
con fine granulia. La lesione appare sepimentata da fini fasci
fibrosi. Immunoistochimica: la neoformazione risulta intensamente positiva per HMB45 e negativa per Ckpan e CD20.
L’esame citologico effettuato sul versamento metteva in evidenza un fondo intensamente ematico-granulocitario con presenza di rare cellule epiteliomorfe senza aspetti atipici; l’esame dei linfonodi inguinali non ha messo in evidenza ripetizioni metastatiche.
Conclusioni. I melanomi anali sono particolarmente rari, generalmente danno metastasi ai linfonodi loco-regionali e costituiscono una importante causa di mortalità per la loro prognosi rapidamente infausta. La sopravvivenza media è intorno ai 25-28 mesi con una percentuale globale del 10% a 5 anni. La lesione giunta alla nostra osservazione è stata tipizzata in base alle caratteristiche morfologiche e immunoistochimiche come melanoma maligno del canale anale. Nel caso
giunto alla nostra osservazione, il paziente è stato successivamente sottoposto a colectomia sec. Miles e decedeva a 18
mesi dalla diagnosi.
Bibliografia
Ben-Izkako et al. Histopathology 2002;41:519-25.
Espressione di EGFR e timidilato sintetasi nel
carcinoma rettale: correlazioni anatomocliniche e significato prognostico
R. Del Sordo, A. Cavaliere, M. Lupattelli*, G. Bellezza, R.
Colella, F. Cartaginese, C. Aristei*, L. Draghini*, A. Sidoni
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Università di Perugia; * Radioterapia Oncologica, Azienda Ospedaliera, Perugia
Introduzione. Il recettore del fattore di crescita epidermico
(EGFR) e la timidilato sintetasi (TS) sono stati ampiamente
studiati nel carcinoma colon-rettale ai fini prognostici e predittivi. L’EGFR è espresso ad alti livelli nel 25-77% dei carcinomi del colon-retto associandosi ad una prognosi sfavorevole 1 e a radioresistenza. La TS, enzima coinvolto nella sintesi del DNA, è intensamente espressa nel 30-70% dei carcinomi colon-rettali e, sebbene riconosciuta come fattore prognostico indipendente 2, resta da definire il suo ruolo predittivo di sensibilità ad antimetaboliti quali il 5-fluorouracile.
Lo scopo di questo studio è quello di valutare il significato
prognostico dell’espressione di EGFR e della TS in una casistica di carcinomi del retto trattati con chirurgia radicale e
con chemio-radioterapia adiuvante.
Metodi. Sono stati reclutati 120 pazienti con adenocarcinoma
del retto in stadio II-III sottoposti a chirurgia radicale e successiva chemio-radioterapia adiuvante. Il follow-up medio è
stato di 103 mesi (range 6-196 mesi). L’espressione di EGFR e
della TS è stata determinata con metodica immunoistochimica
valutando semiquantitativamente la percentuale di cellule positive e l’intensità dell’immunomarcatura. Il livello di espressione è stato correlato con i principali parametri anatomo-cli-
POSTERS
nici: sesso, età, grado di differenziazione, stadio, sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia.
Risultati. L’espressione di EGFR e di TS è risultata alta rispettivamente nel 31% e nel 61% dei casi. Nel 15% dei casi
si è osservata una coespressione di EGFR e TS ad alti livelli.
Non sono state dimostrate correlazioni statisticamente significative tra livello di espressione di EGFR e sesso, età, grado
di differenziazione, stadio, sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia.
I tumori in stadio più avanzato, hanno mostrato livelli di TS
tendenzialmente più elevati.
La coespressione di EGFR e TS sembra associarsi a neoplasie più aggressive.
Conclusioni. I risultati ottenuti mostrano che il diverso livello di espressione di EGFR, quando valutato singolarmente,
non correla significativamente con i vari parametri anatomoclinici da noi considerati. La sua coespressione con la TS
sembrerebbe invece influenzare la prognosi del carcinoma
rettale. La contraddittorietà dei dati riportati in letteratura è
probabilmente legata ai diversi sistemi di valutazione utilizzati per interpretare l’espressione immunoistochimica, pertanto è auspicabile analizzare questi biomarcatori su casistiche più ampie utilizzando sistemi standardizzati e facilmente
riproducibili.
Bibliografia
1
Kopp R, et al. Dis Colon Rectum 2003;46:1931-9.
2
Edler, et al. J Clin Oncol 2002;20:1721-8.
219
scita del tumore (p = 0,0064). Nell’analisi univariata la perdita di CBX7 correlava con ridotta sopravvivenza (p =
0,0056). Nell’analisi FISH, 128 casi (12,3%) sono risultati
“anormali” (polisomici o amplificati). Nell’analisi univariata, i casi polisomici e/o amplificati hanno mostrato una sopravvivenza più lunga (p = 0,0090). Nell’analisi multivariata
insieme a pT e pN, i risultati erano al limite della significatività (p = 0,0543). Restringendo l’analisi solo ai tumori di tipo MSS, la presenza di amplificazione correlava con migliore sopravvivenza, sia nell’analisi univariata (p = 0,0017) che
nella multivariata (p = 0,0094; RR 0,145). La RT-PCR ha
mostrato riduzione dell’espressione di CBX7 in CRC rispetto al colon normale con un rapporto da -2,1 a -13,0 (media 4,8).
Conclusioni. La riduzione dell’espressione di CBX7 è probabilmente legata alla prognosi. Alterazioni genomiche (amplificazione e/o polisomia) sono almeno in parte coinvolti
nell’iperespressione della proteina, un meccanismo la cui importanza è stata già dimostrata in altri tipi tumorali 3. La reintegrazione dell’attività di CBX7 potrebbe essere una strategia
terapeutica in sottogruppi di CRC.
Bibliografia
1
Gil J, et al. DNA Cell Biol 2005;24:117-25.
2
Tornillo L, et al. Am J Clin Pathol 2007;127:114-23.
3
Holst F, et al. Nat Genet 2007;39:655-60.
hENT1 protein expression in ampullary
adenocarcinoma
CBX7 nel carcinoma del colon-retto: un
possibile marker prognostico?
M. Guerriero*, L. Terracciano** ***, V. Carafa***, A. Lugli***, D. Baumhoer***, P.L. Pallante****, S. Sacchetti****, A.
Ferraro****, A. Fusco****, L. Tornillo***
*
U.O.C. Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche “Giovanni Paolo II”, Campobasso; ** Dipartimento di Scienze della Salute, Università del
Molise, Campobasso; *** Istituto di Patologia, Università di
Basilea, Svizzera; **** Dipartimento di Patologia Cellulare e
Molecolare “Luigi Califano”, Università ‘Federico II”, Napoli
Introduzione. Due “pathways” molecolari sono stati identificati nella genesi del carcinoma del colon-retto (CRC). Il
primo (MSS) è caratterizzato dall’inattivazione di geni soppressori (APC, p53), il secondo (MSI) dall’inattivazione (genetica o epigenetica) delle proteine che controllano la riparazione del DNA. Le proteine Polycomb sono importanti per il
controllo del destino cellulare e dell’apoptosi. CBX7 è parte
del “Polycomb repressive complex 1” che riveste probabilmente un ruolo importante nella genesi di vari tipi tumorali 1.
Scopi. Abbiamo studiato l’espressione di CBX7 in CRC con
lo scopo di identificare il suo possibile ruolo nella genesi di
CRC e evidenziarne il possibile significato prognostico.
Metodi. Abbiamo effettuato l’analisi immunoistochimica e
FISH per CBX7 su un “tissue microarray” (TMA) 2 costitutito da 1406 CRCs. I risultati dell’immunoistochimica sono
stati successivamente confermati da RT-PCR semiquantitativa e “real time”.
Risultati. Nell’analisi immunoistochimica, il CBX7 è risultato espresso in 84,8% dei casi. La perdita dell’espressione
correlava con la categoria pT (p = 0,0013) e con il tipo di cre-
G. Perrone, D. Santini*, G. Tonini*, S. Morini**, C. Rabitti
Anatomia Patologica, * Oncologia Medica, ** Anatomia
Umana, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di
Roma, Italia
Introduction. Gemcitabine is a reasonable alternative to best
supportive care in the treatment of biliary tract cancers and it
has assumed increasing importance in the therapy of ampullary carcinomas. Efficient cellular uptake of gemcitabine
requires the presence of plasma membrane nucleoside transporter (NT) proteins 1. hENT1 is an ubiquitous nucleoside
transporter protein and is the major means by which gemcitabine enters human cells 2.
Materials and methods. 41 ampullary carcinomas were
classified according to TNM system and morphological histotypes. H-ENT1 was evaluated by immunohistochemistry.
Staining was graded as absent (0), positive but less intense
than internal control tissue (lymphocytes) (1+), positive like
internal control tissue (2+), positive, more intense than internal control tissue (3+). The samples with regions of varying
staining intensities of hENT1 were scored and the percentages of each staining intensity were recorded. Finally, tumours with an intensity staining of 2+ and 3+ in ≥ 50% of the
tumour cells were considered as high expression of hENT1.
Results. A positive statistical correlation was found between
T and N factor (p = 0.001). Morphologically, we found
49.3% intestinal-type carcinomas, 34.1% pancreaticobiliarytype carcinomas and 17.1% “unusual type” carcinomas.
63.4% ampullary carcinomas showed high hENT1 expression. 85% intestinal, 50% pancreaticobiliary and 28.6% unusual type carcinomas were positive for ENT-1. A statistical
difference was found between intestinal vs. pancreaticobiliary type (p = 0.03) and between intestinal vs. unusual types
POSTERS
220
(p = 0.006) in terms of h-ENT1 expression. No difference
was found between pancreaticobiliary and unusual types (p =
0.36).
Conclusions. Our findings demonstrated that a portion of
ampullary adenocarcinomas showed high expression of
hENT-1 protein suggesting that it should have a high probability to respond to gemcitabine-based chemotherapy. An elevated percentage of intestinal type showed a high hENT-1
expression providing the rational for clinical studies aimed to
examine the efficacy of gemcitabina for the treatment of this
type of ampullary carcinoma. Furthermore, the significant
statistical difference found in terms of hENT-1 expression
between pancreaticobiliary vs. intestinal type suggests that
these two histotypes of ampullary carcinomas have different
molecular biological characteristics and supports the concept
of histogenetically different types of ampullary carcinomas.
Metastasi di carcinoma mammario in GIST
gastrico ad alto rischio con pleomorfismo
cellulare
A. De Chiara, G. Botti, R. Franco, S.N. Losito, E. Fontanella, V. De Rosa*, V.R. Iaffaioli**, P. Marone***, R. Palaia****, A.P. Dei Tos*****
S.C. Anatomia Patologica, * S.C. Radiodiagnostica, ** S.C.
Oncologia Medica B, *** S.C. Diagnostica e Terapia Endoscopica, **** S.C. Chirurgia Oncologica C, I.N.T. Napoli,
*****
S.C. Anatomia Patologica USSL 9 Treviso
References
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2
Mackey JR, et al. Cancer Res 1998;58:4349-57.
Reliability and reproducibility of edmondson
grading of hepatocellular carcinoma on
paired core biopsy and surgical resection
specimens
M. Leutner, M. Pirisi*, L. Carsana, C. Smirne*, C. Avellini**, L. Sala*, R. Boldorini
Anatomia Patologica e * Epatologia Ospedale di Novara;
Anatomia Patologica, Polo Sanitario Udinese
and 35.0%, respectively for pathologist #1 and #2. The numbers of agreements expected by chance were 47.0% (K =
0.057) and 29.5% (K = 0.078), respectively. Collapsing ES as
above did not improve the strength of agreement.
Conclusions. ES grading is underestimated in core biopsy
specimens when compared to grading in surgical specimens;
moreover, inter-rater disagreement is substantial.
**
Background. Hepatocellular carcinoma (HCC) is routinely
graded by the Edmondson scoring system (ES), described, in
the 1950s, on autopsy specimens. We aimed to verify the reliability of ES in core biopsy specimens and the reproducibility of its estimate between different pathologists.
Methods. Paired biopsy and surgical specimens obtained
from 40 HCC patients were retrieved by pathology records
in two hospitals. The single inclusion criterion was the
availability of both a core biopsy specimen, obtained at
least three months before surgical resection of the tumour,
and a paired surgical specimen, evaluated by two experienced pathologists. Inter- and intra-rater agreement of ES
was measured by kappa statistics and defined as poor (K ≤
0.00), slight (K 0.01-0.20), fair (K 0.21-0.40), moderate (K
0.41-0.60), substantial (K 0.61-0.80) and almost perfect (K
≥ 0.81).
Results. Both pathologists scored significantly lower ES
grades in the biopsy than in the surgical specimens (p <
0.001). In the evaluation of biopsies, the number of observed
agreements between pathologists was 32.5%, in comparison
to 31.1% expected by chance alone (K = 0.021). Collapsing
ES into only two categories (low-grade, ES I-II; and highgrade, ES III-IV), the number of observed agreements raised
to 82.5%, in comparison to 78.5% expected by chance (K =
0.186). The number of observed agreements between pathologists on surgical specimens was 52.5%, in comparison to
40.7% expected by chance (K = 0.199). Collapsing ES into
the two categories above, the number of observed agreements
was 62.5%. The number of agreements expected by chance
alone was 48.3% (K = 0.275). The number of observed
agreements by the same pathologist, when grading similarly
biopsy and corresponding surgical specimens, were 50.0%
Introduzione. In letteratura, sono stati riportati casi di GIST
“sincroni” ad altri tumori (insorti nello stesso organo o in organi differenti) ma mai associati a metastasi di “tumor to tumor”.
Metodi. La nostra paziente è stata operata per CDI mammella dx pT2G2N1biii nel 1997. Nel febbraio scorso, in seguito
all’aumento dei markers tumorali e ad approfonditi accertamenti strumentali, si è evidenziata una massa a partenza dalla grande curva gastrica.
Risultati. L’esame istologico mostrava una neoplasia in gran
parte a cellule fusate e solo focali epitelioidi; era però significativo il numero di cellule francamente pleomorfe e multinucleate. Mitosi 8 /50HPF; assente la necrosi. Tutte le cellule, anche quelle pleomorfe, risultavano intensamente positive
a CD117 e CD34, negative a CD31, actina, desmina, S100,
HMB45 e CK coerenti con la diagnosi di GIST (ad alto rischio: dimensioni cm 5,2 x 3,5 x 4). In una delle inclusioni,
indovati nel contesto della neoplasia suddescritta, si osservavano piccoli sparsi gettoni di cellule epitelioidi monomorfe
negative a CD117, CD34 e ai markers endocrini ma positive
a CK ad ampio spettro, CK7, GCDFP15, estrogeni e progesterone coerenti con metastasi da carcinoma mammario di
cui al dato anamnestico.
Conclusioni. Questo caso appare del tutto peculiare per due
aspetti. Il primo è che si tratta di un GIST con evidenti atipie
citologiche: è ben noto, infatti, che i GIST, anche quando presentino un comportamento clinico aggressivo, sono caratterizzati nella stragrande maggioranza dei casi da caratteristiche citologiche blande ed i casi con atipie citologiche sono
una netta minoranza. L’altro è che nel contesto del GIST (tumore già di per sé raro) sono presenti gettoni metastatici da
Ca della mammella. È ben documentata l’insorgenza sincrona di un GIST e di altre neoplasie in organi differenti o anche
nello stesso organo, in modo particolare nello stomaco (soprattutto adenocarcinomi e linfomi, contigui o distanti tra loro). In un unico caso di tumore da collisione i due pattern
istologici apparivano persino frammisti tra loro. Più in generale, è sicuramente eccezionale l’evenienza di metastasi di
“tumor-in-tumor” cioè di un tumore di un determinato organo metastatico in un altro tumore di un organo differente dal
primo; i casi riportati in letteratura sono quasi sempre singoli e veramente occasionali sono quelli che coinvolgono il carcinoma della mammella.
POSTERS
La nostra diagnosi finale è stata di metastasi da carcinoma
mammario in GIST ad alto rischio con evidenti atipie citologiche. Al meglio delle nostre conoscenze, questo è la prima
metastasi di “tumor-in-tumor” coinvolgente un GIST.
Expression of adhesion molecules in
colorectal cancer may identify prognostic
subgroups of tumors: a tissue microarray
study
M. Guerriero*, A. Lugli**, D. Baumhoer**, I. Zlobec**, F.
Feroce***, U. Guumnthert****, L.M. Terracciano** *****, L.
Tornillo**
*
U.O.C. Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche “Giovanni Paolo II”, Campobasso; ** Istituto di Patologia, Università di Basilea, Basilea,
Svizzera; *** Istituto di Anatomia Patologica, II Università di
Napoli; **** Department of Clinical and Biological Research,
University of Basel, Switzerland, ***** Dipartimento di Scienze della Salute, Università del Molise, Campobasso, Italia
Background. Adhesion molecules constitute complex molecular networks. In the normal, they are implicated in normal
growth, differentiation, motility. In cancer, they play a role in
neoplastic proliferation, invasivity, metastasis. A role for some adhesion molecules in the genesis of colorectal cancer
(CRC) has been already shown, but a comprehensive analysis of their expression is up to now lacking.
Aims. We have studied the expression of adhesion molecules
(CD44 isoforms, TGF-beta, TGF-beta-receptor, e-cadherin)
in CRC, in order to: 1) identify their relationship with clinicopathologic characteristics (grade, stage, prognosis); 2) find
out possible relationship between the different markers; 3)
identify combination of markers with prognostic and biological meaning.
Methods. 1,406 cases of resected colorectal cancer were
used to build a tissue microarray (TMA). Immunohistochemical analysis was performed for isoforms v5, and v9 of
CD44, e-cadherin, TGF-beta receptor.
Results. Interpretable cases were between 1187 and 1326.
A significant relationship was found between CD44v5 and
presence of peritumoral lymphocytes (p = 0.0002), growth
limited to bowel wall (p = 0.0259) and invasive margins (p
= 0.0005); CD44v9 and pT (p = 0.0036), pN (p < 0.0001),
presence of vascular invasion (p = 0.0350); in the survival
analysis CD44v5 positivity was significant (p = 0.0280).
Moreover, a combination of CD44v5 and v9 was significantly related to prognosis (p = 0.0368). E-cadherin expression was related to CD44v9 (p = 0.0001). TGFBRI was related to prognosis in the multivariate analysis (p = 0.0349,
RR = 1.20).
Conclusions. Adhesion molecules are important in the genesis of CRC. They are strictly related together and therefore
they could be useful to identify prognostic subsets of tumors.
Moreover, the study of signaling pathways as a network
could give a better insight in the biology of CRC.
221
Studio prospettico sul significato della ploidia
del DNA, determinata con citometria a flusso,
nel carcinoma del colon-retto
chirurgicamente trattato
P. Migliora, A. Santagostino*, C. Saggia**, M.C. Pavanelli, M. Dacorsi, G. Angeli
Anatomia Patologica, Ospedale “S. Andrea”, Vercelli; *
Ematologia, Ospedale “S. Andrea”, Vercelli; ** Dipartimento
di Medicina Specialistica ASL 11, Vercelli
Introduzione. Il valore prognostico della determinazione del
contenuto di DNA tumorale nei carcinomi colon-rettali non è
ancora completamente chiarito. Numerosi studi sono stati
pubblicati ma la maggior parte sono retrospettivi e basati su
materiale fissato in formalina e incluso in paraffina, con le limitazioni tecniche conseguenti. Un importante studio prospettico 1 effettuato su campioni criopreservati ha invece dimostrato che la ploidia del DNA è un fattore prognostico indipendente in grado di influenzare la disease free survival
(DFS) e la overall survival (OS). Tali risultati sono stati confermati da un recente lavoro della Mayo Clinic 2. Lo scopo
del nostro lavoro è valutare in uno studio prospettico l’impatto della ploidia del DNA tumorale sulla risposta alla terapia, sulla OS, sulla disesase specific survival (DSS) e sulla
DFS.
Materiali e metodi. Dal settembre 2002 al febbraio 2005 sono stati arruolati 67 pazienti operati per carcinoma del colonretto; per ognuno di loro sono stati congelati 3 campioni di
tessuto tumorale e uno di mucosa sana. In una seconda fase,
dopo opportuno trattamento di disgregazione, sono state effettuate la marcatura con ioduro di propizio, la lettura e l’analisi con citofluorimetro FACSCalibur utilizzando i programmi Cell Quest e ModFitLT. I carcinomi con singolo picco G0/G1 sono stati considerati diploidi, mentre quelli con
due o più picchi aneuploidi e su questi è stato calcolato il
DNA index. I 67 pazienti sono stati tutti successivamente seguiti e il follow-up mediano è di 30 mesi.
Risultati. Sono stati analizzati 280 campioni. È stata evidenziata un’aneuploidia nel 66% dei carcinomi con presenza di
contenuto di DNA eterogeneo nel 27% dei casi. Si è stabilita
una correlazione significativa tra aneuploidia, stadio di malattia (p = 0,01), numero di linfonodi positivi (p = 0,005) e
valori di marcatori tumorali (p = 0,04). La probabilità di progressione è più elevata nei casi a DNA aneuploide (p = 0,05),
al contrario la DFS e la OS sono superiori nei casi a DNA diploide (p = 0,02) e (p = 0,03). Tutti i casi di decesso correlati alla neoplasia si sono registrati nel gruppo a contenuto
aneuploide.
Conclusioni. I risultati ottenuti, anche se preliminari, sembrano quindi confermare l’importanza della determinazione
della ploidia del DNA delle cellule del carcinoma del colonretto al fine di stabilirne la prognosi ed eventualmente la scelta terapeutica.
Bibliografia
1
Lanza, et al. Cancer 1998;82:49-53.
2
Garrity, et al. JCO 2004;22:1572-82.
POSTERS
222
Alterazione di WNT/pathway nel carcinoma
epatocellulare associato a cirrosi HCV+ e
correlazione con l’espressione di survivin
Microvessels density is correlated with 5lipoxygenase expression in human sporadic
colorectal cancer
F. Sanguedolce, S. De Maria*, M. Cartenì*, G. Pannone, A.
Santoro, E. Antonucci, R. Franco**, G. Botti**, P. Bufo
V. Barresi, E. Vitarelli, G. Tuccari, G. Barresi
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia
Patologica, Università di Foggia; * Dipartimento di Biochimica, II Università di Napoli; ** Istituto di Anatomia Patologica, Fondazione “G. Pascale”, Istituto dei Tumori di
Napoli
Introduzione. Il carcinoma epatocellulare (HCC), una delle
patologie maligne inevitabilmente fatali più diffuse nel mondo, è spesso strettamente correlato, sul piano patogenetico,
ad una pregressa cirrosi da HCV. Recenti studi hanno riscontrato nel 19-41% di HCC mutazioni del gene CTNNB1 (betacatenin), che è uno dei geni chiave della WNT pathway, a sua
volta ampiamente coinvolta nelle tappe della cancerogenesi
staminale. Le mutazioni dei geni di tale pathway (beta-catenin, axin, APC) si manifestano sotto forma di delocalizzazioni citoplasmatico-nucleari della proteina corrispondente con
attivazione a catena di una serie di molecole decisive per la
progressione neoplastica, tra cui survivin.
Scopo del presente lavoro è la valutazione dell’espressione
genica di beta-catenin e survivin in HCC insorto su cirrosi
HCV+.
Materiali e metodi. Sono stati esaminati 28 prelievi di HCCe di fegato cirrotico adiacente alla neoplasia provenienti da
18 pazienti. In tutti i casi il carcinoma epatocellulare è insorto su fegato con pregressa cirrosi macronodulare. Sono state
effettuate effettuata indagini immunoistochimiche mediante
tecnica LSAB-HRP (linked streptavidin-biotin horseradish
peroxidase) utilizzando anticorpi specifici anti-survivin (policlonale, Novus Biological) e beta-catenin (monoclonale,
Transduction Lab) su una parte dei campioni fissati in formalina ed inclusi in paraffina, ed analisi molecolare mediante metodica standard di RT-PCR per la valutazione dell’espressione dei suddetti geni su campioni congelati.
Risultati. La metodica integrata di RT-PCR e IIC ha dimostrato incremento di survivin in tutti i casi di HCC e nelle cirrosi macronodulari associate. Il gene CTNNB1 è risultato
iperespresso sia in HCC sia nella cirrosi in sede peritumorale mediante RT-PCR; inoltre il suo prodotto proteico beta-catenin è risultato, mediante IIC, delocalizzato nel citoplasma,
con assenza della normale colorazione di membrana, in circa
il 40% dei casi sia di cirrosi che di HCC.
Conclusioni. Il nostro studio dimostra che l’alterata regolazione della WNT pathway, che si concretizza nella delocalizzazione intracellulare di beta-catenin e nell’attivazione di geni oncopromotori a valle, gioca un ruolo chiave nella cancerogenesi epatica da HCV; documenta inoltre che, nell’evoluzione del processo morboso, già allo stadio di cirrosi macronodulare si realizzano quelle alterazioni del profilo dell’espressione genica tipiche del carcinoma che ne consegue.
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina,
Italia
Introduction. Recent in vitro studies have suggested the role
of 5-lipoxygenase (5-LO) in regulating colorectal cancer
neo-angiogenesis. Specifically, it has been hypothesized that
neo-angiogenesis is mediated by 5-LO expression in colorectal cancer. Neo-angiogenesis is quantitatively measured by
microvessel density (MVD) in tissues. Herein, we investigated the correlations between 5-LO expression and tumour
MVD in human sporadic colorectal adenocarcinomas in order to analyze the eventual differences in the angiogenic process among cases differing as to 5-LO expression amount.
The specific marker for neo-angiogenesis CD105 was used to
quantify MVD in our study. CD105 is a 180 KDa glycoprotein which is predominantly expressed by cycling endothelial
cells of regenerating, inflamed or neoplastic tissues. It was
demonstrated to be a specific powerful marker for neo-vascularization in many tumours, including colon cancer. Indeed
it is highly expressed by the activated endothelial cells of
peri- and intra-tumour vessels involved in tumour neo-angiogenesis, whereas a negative/weak expression is evidenced in
vascular endothelium of normal tissues.
Methods. Forty-five formalin fixed, paraffin embedded, surgical cases of colorectal adenocarcinoma were submitted to
the immunohistochemical analysis for 5-LO and CD105. For
the CD105 epitope retrieval, the specimens were pre-treated
with proteinase K, whereas 5-LO antigen was unmasked by
microwave oven pre-treatment. Sections were successively
incubated at 4 °C overnight with the primary monoclonal antibodies against CD105 and 5-LO. The relationship between
5-LO expression and MVD was tested by using the MannWhitney and Spearman correlation tests.
Results. 5-LO highly expressing tumours displayed a significantly higher MVD, in comparison to 5-LO lowly expressing carcinomas. A statistically significant correlation between 5-LO expression and MVD counts was also achieved
through the Spearman correlation test.
Conclusions. Our study suggests the existence of a relationship between 5-LO expression amount and the extent of tumour neo-angiogenesis in colorectal cancer. Since CD105 is
specifically expressed and limited to the newly formed blood
vessels in tumours, therapies which combine 5-LO specific
inhibitors and vaccines targeting CD105 might be useful in
reducing the blood supply and consequently, the growth and
progression, of colon cancer.
Sindrome di Cronkhite-Canada: descrizione di
due casi
F. Pedica, A. Alberani*, G. Formica*, G. Spinucci**, R. Zoni**, P. Baccarini
U.O. di Anatomia e Istologia Patologica, * U.O. di Gastroenterologia, ** U.O. di Medicina Interna, Ospedale “Bellaria”, AUSL Bologna
La Sindrome di Cronkhite-Canada (SCC) è una malattia rara,
ad eziologia ignota, descritta per la prima volta nel 1955 1, e
POSTERS
caratterizzata da poliposi gastrointestinale generalizzata, alopecia, iperpigmentazione cutanea e onicodistrofia. Sebbene
le lesioni gastrointestinali siano polipi non neoplastici, la
SCC è una malattia a decorso imprevedibile, talora fatale,
che può associarsi al carcinoma colorettale.
Caso 1. Uomo di 67 anni, ricoverato in gennaio u.s. per diarrea acquosa presente da circa 8 mesi, severo calo ponderale e
onicodistrofia. Nella storia familiare una sorella era deceduta
per cancro del colon. Gli esami ematochimici evidenziavano
anemia, ipoproteinemia, deficit idroelettrolitico, con indici di
flogosi nella norma. L’esofagogastroduodenoscopia (EGDS)
evidenziava nello stomaco e nel duodeno multiple formazioni
polipoidi. La colonscopia mostrava la presenza di polipi e aree
iperemiche a livello di colon, retto e ileo terminale.
Caso 2. Donna di 63 anni, ricoverata in aprile u.s. per sindrome diarroica. Dal settembre 2006, la paziente manifestava un aumento nella frequenza delle evacuazioni (4-5/die, fino a 20), con rilevante calo ponderale. In seguito, erano insorte anche alopecia, iperpigmentazione cutanea e onicodistrofia. L’anamnesi remota rilevava asma bronchiale e poliallergopatia. Era presente anemia, ipoproteinemia nel contesto
di un severo malassorbimento, valori elevati di IgE e alterazioni idroelettrolitiche, con ipocalcemia sintomatica.
L’EGDS evidenziava numerose formazioni polipoidi a stomaco, duodeno e digiuno, alternate a zone di mucosa atrofica, con aspetti endoscopici sovrapponibili al caso 1; la pancolonscopia confermava l’interessamento di tutto il grosso
intestino.
All’istologia, le biopsie gastriche e duodeno-digiunali di entrambi i pazienti erano caratterizzate da marcato edema della
lamina propria, dilatazione cistica delle ghiandole con associati aspetti iperplastico-rigenerativi. Nell’ileo e nel colon
erano presenti lesioni polipoidi sessili con marcato edema ed
infiltrato flogistico acuto e cronico. Le ghiandole mostravano marcata distorsione architetturale ed ectasia cistica. Nel
caso 2, era presente un adenoma colico con displasia di basso grado.
La SCC è una malattia poco conosciuta in cui la collaborazione tra clinico e patologo è assolutamente necessaria per
formulare la diagnosi corretta.
Bibliografia
1
Cronkhite LW, et al. N Engl J Med 1955;252:1011-5.
Giant Brunner’s gland adenoma
A. Eccher, M. Brunelli, S. Gobbo, S. Pecori, P. Capelli, C.
Cannizzaro, M. Falconi*, P. Pederzoli*, G. Angelini**, G.
Martignoni, F. Menestrina
Dipartimento di Patologia, Anatomia Patologica, Università
di Verona; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università
di Verona; ** Dipartimento di Chirurgia e Gastroenterologia,
Università di Verona, Italia
Introduction. Brunner’s gland adenoma are rare duodenal
tumors occurring in middle age that present either with gastrointestinal hemorrhage, anemia, obstructive symptoms or
as an incidental finding. Most of the lesions are pedunculated, less than 1 cm in diameter accounting for about 7% of all
endoscopically removed duodenal polyps 1. The most common location of the lesion is the posterior wall of the duodenum near the junction of its first and second portions. Endoscopic polypectomy is the treatment of choice 2. Carcinoma-
223
tous degeneration from Brunner’s gland adenoma has been
rarely described.
Methods. We describe the clinico-pathological findings of a
giant brunner’s gland adenoma.
Results. a 34-year-old man presented with an history of abdominal pain which was generally located in the epigastrium,
sharp in character, and sometimes with gastrointestinal
bleeding with melena. An esophago-gastroduodenoscopy
showed the presence of a reddish pedunculated polyp, 9 cm.
As maximum diameter, prolapsing between the bulb and the
second part of the duodenum. The polyp was too large for an
endoscopic removal; in addition because of the large size the
lesion was suspected to be malignant. A surgical treatment
approach through a longitudinal duodenotomy represented
the most reliable approach. Macroscopically, the cut surface
of the lesion showed grayish color and was predominantly
composed of normal Brunner’s glands with small, oval,
basally-oriented nuclei and abundant periodic acid-schiffpositive, apical, mucinous cytoplasm. The hyperplastic adenomatous glands formed lobules which were surrounded by
thin bundles of fibromuscular and connective tissue. No dysplastic epithelium was found. Surgical excision was uncomplicated and the long term outcome was favourable. At a follow-up of 24 months the patient stays well free of disease.
Conclusions. We report a giant (9 cm) Brunner’s gland adenoma which mimicked a malignancy of the duodenal-pancreatic area. To avoid “over-treatment” involving a
cephalopancreatectomy, this benign lesion have to be considered in the differential diagnosis.
References
1. Levine JA, et al. Am J Gastroenterol 1995;90:290-4.
2. Iusco D, et al. JOP 2005;6:348-53.
Espressione della citocheratina 7 come
marker precoce di danno da reflusso nella
mucosa colonnare dell’esofago in assenza di
metaplasia intestinale
D. Cabibi, M. Cacciatore, E. Fiorentino, G. Pantuso, M.
Campione, F. Latteri, F. Aragona
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo
Introduzione. L’esofago di Barrett (EB) è stato definito come la presenza di mucosa colonnare all’endoscopia e di metaplasia intestinale (MI) all’istologia. In assenza di MI, condizione che definiamo “Columnar Lining Oesophagus”
(CLO), il management dei pazienti non è ben definito e talvolta questa condizione è considerata frutto di un errore di
campionamento. Nel presente studio ci siamo proposti di
chiarire se esistono delle analogie immunoistochimiche tra
EB e CLO che possano suggerire un significato patogenetico
comune e abbiamo effettuato un follow-up dei pazienti con
CLO per verificarne il significato prognostico.
Materiali. Sono stati esaminate le biopsie effettuate 1 cm sopra la giunzione gastro-esofagea (GGE) ed 1 cm sotto la
GCE di 128 casi consecutivi di pazienti negativi per Helicobacter Pylori (HP) con sintomi da reflusso gastro-esofageo
associati alla presenza endoscopica di mucosa colonnare in
esofago. Sono stati individuati due gruppi di pazienti, uno
rappresentato da 106 casi di Esofago di Barrett (EB) e l’altro
da 22 casi di CLO. Come controllo sono stati considerati dei
campioni prelevati 1 cm al di sotto della GGE di 20 pazienti
224
negativi per HP, privi di sintomi da reflusso e di mucosa colonnare in esofago all’endoscopia. Su tutti i campioni è stato
effettuato l’esame immunoistochimico con Citocheratina
(CK) 7, CK 20, CDX2 e p53.
Risultati. I campioni al di sopra della GGE dei gruppi EB e
CLO mostravano una notevole somiglianza per quanto concerne la positività di CK7 e p53 mentre i controlli erano sempre negativi. In alcuni casi di CLO, la CK7 era presente soltanto nelle cellule basali della componente ghiandolare. Nelle CLO è stata evidenziata la presenza di p53 e displasia lieve in 7 di 22 (32%) biopsie alla prima osservazione ed in 8 di
22 (36%) biopsie effettuate dopo 2 anni di follow-up.
Conclusioni. L’espressione di CK7, sia nel EB che nel CLO,
ma assente nei controlli, potrebbe essere una espressione immunofenotipica aberrante verosimilmente correlata alla reale
natura patologica, legata al reflusso della CLO. La precoce
espressione di CK7 nelle cellule basali dell’epitelio ghiandolare, suggerisce che queste probabilmente sono più suscettibili ai cambiamenti immunofenotipici indotti dal reflusso a
causa della loro multipotenzialità. La presenza di p53 e displasia lieve in alcuni casi di CLO sia alla prima osservazione che nel follow-up suggerisce infine che la CLO può rappresentare uno stadio precoce del processo “multi-step” che
porta all’EB.
Adult celiac disease: correlation among
serology, clinical data and histological
subtipes
P. Ceriolo*, P. Cognein, E. Giannini**, G. Pesce**, M. Bagnasco**, V. Savarino**, R. Fiocca*, M.C. Parodi, P. Ceppa*
Department of Histopathology, * Gastroenterology and ** Digestive Endoscopy Unit, Department of Internal Medicine,
“San Martino” University Hospital, Genova, Italy
Background and aim. Epidemiological studies showed that
celiac disease (CD) is more common than previously believed (0.5-1% prevalence). Various histopathological patterns have been associated with CD. Villous atrophy (VA) of
the small bowel mucosa combined with an increased number
of intraepithelial lymphocytes (IEL) represents the most
widely accepted diagnostic pattern. Conversely, the clinical
meaning of an increased number of IEL without VA has not
yet been fully elucidated. Aim of the present study was to
evaluate the correlations among histology, serology and clinical features in patients with non-atrophic changes.
Methods. We retrospectively reviewed a continuous series of
125 cases with either atrophic or non-atrophic lesions (79 females and 46 males, mean age 40 yrs); histological lesions
were classified according to Marsh mod. Oberhuber (M 1-2
= non-atrophic lesions; M 3 = atrophic lesions). Only cases
with available anti-endomysial and/or anti-transglutaminase
antibody tests were included. We also reviewed the corresponding clinical data and recorded the prominent symptoms.
Results. Atrophic lesions were found in 83 cases (66%),
whilst non-atrophic changes were observed in 42 (34%). Positive serology was found in 78 out of 83 atrophic cases (94%)
and in 11/42 (26%) non-atrophic cases (p < 0.0001). Among
the 5 serology-negative atrophic cases, one was affected by
immunodeficiency and 4 showed only mild atrophy. Typical
CD clinical features, i.e. malabsorption, diarrhoea and weight
POSTERS
loss were more frequent in atrophic (23%, 27%* and 15%, respectively) than in non-atrophic cases (12%, 13%* and 7%,
respectively) (*p < 0.05). On the other hand, the prevalence of
malabsorption (27%), diarrhoea (36%) and weight loss (18%)
in non-atrophic patients with positive serology was similar to
the percentages in atrophic cases. In contrast, non-specific
symptoms (i.e. dyspepsia, vomiting, epigastric pain) more frequently affected non-atrophic patients than atrophic ones
(47% vs. 17%; p < 0.0003).
Conclusions. Our data confirm the high prevalence of positive serology in VA. In contrast more than 70% of non-VA
patients show negative serology and non specific symptoms.
Although the clinical meaning of non atrophic lesions remains uncertain, they could represent the earliest presentation of CD: patients with such lesions and negative serology
should be followed up.
Reduced expression of synaptophysin in the
dilated ileum of an adult patient with
primitive lymphangiectasia
P. Braidotti*, S. Ferrero*, G. Basilisco**, V. Fabbris*, G.
Iasi*, G. Coggi*
* **
Università degli Studi di Milano, Fondazione Ospedale
Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Milano,
Italia; * Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria,
e A.O. San Paolo; ** Dipartimento di Scienze Mediche, Unità
di Gastroenterologia, Padiglione Granelli
A 48 years old man suffering for diarrhea, abdominal distention, lower extremities edema and body weight loss, underwent surgical 25 cm ileal resection with latero-lateral anastomosis. The surgical specimen was characterized by ileal dilatation (maximum circumference 17 cm) and increased
bowel wall thickness (14 mm). Histologic sections revealed
thinning of longitudinal smooth muscle layer together with
marked lymphangiectasia which caused distortion of the
bowel wall. Intestinal lymphangiectasia is a rare disease
characterized by dilatation of intestinal lymphatics and abnormalities in the lymphatic circulation with consequent protein loss in intestinal lumen. In order to investigate the putative causes of the segmental small bowel dilatation in absence of obstruction, the integrity and the distribution of interstitial cells of Cajal and intramural neural structures were
evaluated with ultrastructural and immunohistochemical
studies. Histologic sections from the case under study and
control normal ileum were incubated with anti c-kit, S100,
PGP 9.5, BCL2, NSE, Neurofilaments, and Synaptophysin
antibodies.
Morphologic light and electron microscopy studies revealed
the presence of normal interstitial cells of Cajal, neuronal
structures and nerve endings. Interstitial cells of Cajal were
intensely immunostained with anti c-kit antibody; neuronal
structures and nerve endings were strongly immunoreactive
with anti S100, PGP 9.5, BCL2, NSE and Neurofilaments antibodies, both in the case and control samples. In the case under study, synaptophysin antibody weakly stained neuronal
structures and was unreactive on nerve endings but strongly
immunoreactive on neuro endocrine cells in mucosa glands
providing internal controls. Therefore the altered expression
of synaptophysin in the submucosa suggests that abnormalities in neurotransmission may play a role in the still unclear
pathophysiology of gut dilatation in absence of obstruction.
PATHOLOGICA 2007;99:225-229
Patologia dell’apparato respiratorio
Mesotelioma maligno della pleura (MMP):
analisi di fattori prognostici
Mesotelioma papillare (ben differenziato) in
situ
G. Serio, A. Scattone, M. Musti*, A. Marzullo, R. Nenna,
D. Cavone*, M. Loizzi**, L. Pollice, A. Pennella***
G. Caprara, C. Ligorio, S. Damiani
Dipartimento di Anatomia Patologica, Università, Bari; * Dipartimento di Medicina Interna e Pubblica, Università, Bari;
**
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università, Bari;
***
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università, Foggia
Il MMP è un tumore aggressivo, resistente alle terapie in uso
e la sua sopravvivenza è di circa 6-18 mesi. Solo pazienti con
MMP epiteliale in stadio I-N0, mostrano più lunga sopravvivenza e possono beneficiare di trattamenti multimodali come
chirurgia demolitiva combinata a chemio- e/o radioterapia.
Pertanto, si rende necessario identificare fattori prognostici
predittivi di sopravvivenza e di risposta alla terapia. Allo scopo, abbiamo studiato il significato prognostico di alcune variabili clinico-patologiche e biologiche nel MMP.
Metodi. Sono stati selezionati 122 pazienti con MMP che
avevano ricevuto solo una biopsia toracoscopica e successiva chemioterapia palliativa. Tutti i casi erano inseriti nel Registro Regionale Mesotelioma (COR Puglia-DPR 366/96).
Lo stadio clinico è stato ottenuto dalla rivalutazione delle immagini TAC e di RMN. Indice Mitotico (IM), grado nucleare, necrosi, flogosi, desmoplasia ed espressione immunoistochimica di MIB-1 e p27 sono stati valutati e i risultati sottoposti ad analisi statistica univariata e multivariata (Cox regression model).
Risultati. Abbiamo osservato 83 (68%) mesoteliomi epitelioidi, 28 (23%) bifasici e 11 (9%) sarcomatoidi; 73,8% erano maschi e 26,2% femmine. L’età media al tempo della diagnosi era 66,6 anni (range: 23-90) ed il tempo medio di sopravvivenza 12,5 ± 11,5 mesi (range 1-72). 81 pazienti erano
in stadio I (sopravv. media 17 mesi), 27 in stadio II (sopravv.
media 4 mesi) e 14 in stadio III (sopravv. media 4 mesi). Le
differenze erano significative (p = 0,0001). Pazienti con mesotelioma epiteliale presentavano una più lunga sopravvivenza [p = 0,005; 95% (CI), 11,3 a 16,7 mesi]. 30 casi avevano
grado nucleare 2 e 92 grado 3 con sopravvivenza più lunga
nei tumori grado 2 (p = 0,006). L’IM presentava score 1 (1-5
mitosi) in 55 casi, score 2 (6-10 mitosi) in 46 e score 3 (> 10
mitosi) in 21. Nei tumori con mitosi < 5 la sopravvivenza media era 20,9 ± 1,6 mesi e le differenze erano altamente significative (p = 0,0001). Una correlazione significativa è stata
osservata nell’espressione dei due marcatori MIB-1 e p27
con il tempo di sopravvivenza (rs = -0,216; p = 0,01). Un’alta espressione di p27 (> 50%) e una bassa espressione di
MIB-1 (< 25%) erano significativamente correlate ad una più
lunga sopravvivenza (> 12 mesi). All’analisi multivariata IM,
stadio e p27 sono risultati parametri prognostici indipendenti predittivi di sopravvivenza.
Conclusioni. Indice mitotico, p27 e stadio clinico rappresentano validi indicatori prognostici nel MMP.
Anatomia Patologica, Università di Bologna, Ospedale
“Bellaria”, Bologna
Il mesotelioma in situ è un’entità piuttosto controversa, al
punto che secondo alcuni Autori, è giustificato parlare di lesione in situ solo se accanto a questa è identificabile un franco mesotelioma invasivo 1. Nel caso che riportiamo, la paziente, una donna di 68 anni, senza storia di esposizione all’asbesto, si è presentata con versamento pleurico monolaterale recidivante e resistente a qualsiasi trattamento medico,
anti-infiammatorio e chemioterapico. Poiché, nell’arco di un
anno, il quadro clinico non veniva risolto da alcuna terapia e
anche a in seguito a ripetuti esami citologici sul liquido del
versamento, con esito in diagnosi di malignità, la paziente
veniva inviata al tavolo operatorio, nonostante un quadro
TAC negativo e una diagnosi istologica di iperplasia mesoteliale condotta su materiale bioptico ottenuto in corso di toracoscopia. La paziente venne sottoposta a pleuropneumonectomia più asportazione di aree ispessite della pleura parietale. All’esame macroscopico la pleura viscerale e i frammenti
di pleura parietale mostravano solo focali ispessimenti di lieve entità. Dopo accurato campionamento l’esame istologico
dimostrò la presenza di una proliferazione di elementi mesoteliali con atipie nucleari evidenti, organizzati in papille talora complesse e anastomizzate, ma in assenza di invasione del
tessuto connettivale sub-pleurico. All’indagine immunoistochimica le cellule che rivestivano le papille sono risultate positive con anticorpi anti-calretinina, anti-citocheratina 7 e anti-D2-40, mentre la desmina ha colorato solo il mesotelio
normale residuo. Infine le colorazioni con anticorpi anti-laminina e anti-collagene IV hanno confermato la presenza di
una membrana basale intatta e continua al di sotto delle cellule mesoteliali. A sei anni dalla iniziale diagnosi la paziente
è libera da malattia. Tale caso pone l’attenzione sul riconoscimento e la valutazione del mesotelioma in situ. In realtà,
sembra che si possano riconoscere due diversi tipi di mesotelioma maligno: a) il mesotelioma maligno diffuso convenzionale, che ne rappresenta la forma più comune e che consiste di una neoplasia aggressiva, estesamente invasiva, in cui
solo occasionalmente si osservano focolai “in situ”, peraltro
privi di significato clinico e b) una variante rara, il mesotelioma papillare ben differenziato, inizialmente descritto nel
peritoneo di giovani donne. Questa variante è considerato un
tumore “borderline” a basso potenziale di malignità in cui,
per definizione, l’invasione è minima o assente (mesotelioma
in situ) 2. Il caso da noi riportato rientra in questo secondo tipo di mesotelioma maligno. Riconoscere il mesotelioma papillare ben differenziato in situ/con invasione minima sembra
essere di cruciale importanza, dato che alcuni pazienti hanno
sopravvivenze di oltre 10 anni, anche in assenza di trattamenti chirurgici radicali 2.
Bibliografia
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Henderson DW, et al. AM J Clin Pathol 1998;110:397-404.
2
Galateau-Sallè F, et al. Am J Surg Pathol 2004;28:534-40.
POSTERS
226
Carcinoma polmonare non a piccole cellule:
sequenziamento diretto della regione D-Loop
del DNA mitocondriale nella distinzione tra
doppio primitivo e metastasi intrapolmonare
S. Damiani, L. Morandi, G. Caprara, M. Boaron*, A. Cancellieri**, C. Ligorio, K. Kawamukai*, A. Pession, G. Tallini
Anatomia Patologica Ospedale “Bellaria”, Università di
Bologna; * Chirurgia Toracica AUSL Città di Bologna; **
Anatomia Patologica Ospedale Maggiore, Bologna
Dal quattro al dieci percento dei pazienti con diagnosi di carcinoma polmonare non a piccole cellule (CPNPC) presentano una doppia localizzazione o sviluppano una seconda lesione successiva alla prima diagnosi. In questi pazienti, la distinzione tra una metastasi dal primo tumore e un secondo
primitivo è di vitale importanza nella valutazione prognostica, nonché nelle successive decisioni terapeutiche. Attualmente i criteri in uso sono ancora quelli suggeriti da Martini
e Melamed 1 negli anni ’70, e cioè principalmente l’istotipo,
la sede del secondo tumore (stesso lobo o lobi differenti) e,
per i tumori metacroni, il tempo di latenza tra il primo e il secondo tumore. Nel tentativo di trovare un parametro più oggettivo dei suddetti, utile alla classificazione dei pazienti con
doppio tumore polmonare, abbiamo studiato una serie di 20
pazienti sottoposti a intervento chirurgico per doppio CPNPC
sincrono o metacrono. Ogni caso è stato stadiato e classificato come istotipo tumorale seguendo le indicazione della
WHO e i pazienti sono stati quindi classificati come doppio
primitivo o tumore metastatico secondo i criteri di Martini e
Melamed 1. Da blocchi in paraffina selezionati per ogni tumore, mediante microdissezione laser-assistita delle cellule
tumorali, è poi stato estratto e sequenziato il DNA mitocondriale (mtDNA) per valutare la distanza genetica tra i due tumori 2. Per ogni caso sono stati utilizzati come controllo tessuto polmonare normale dello stesso lobo del tumore studiato e tessuto linfonodale reattivo. Nella nostra serie, dal confronto del pattern di mutazioni del mtDNA è emerso che nel
72% dei casi i due tumori non erano geneticamente correlate
tra loro e pertanto da considerarsi come neoplasie primitive
indipendenti. Nel restante 28% dei casi il sequenziamento del
mtDNA ha mostrato un identico pattern di mutazioni nei due
tumori, interpretabili, pertanto, come l’uno metastasi dell’altro. Confrontando poi i risultati dell’analisi molecolare con la
classificazione secondo i criteri di Martini e Melamed 1, il
30% dei pazienti passava dalla categoria M1 (secondo tumore = metastasi) a quella del secondo primitivo. I nostri risultati indicano che l’analisi molecolare mediante sequenziamento del mtDNA fornisce un parametro utile e più oggettivo dei classici criteri clinicopatologici alla valutazione dei
pazienti portatori di doppio tumore polmonare.
Bibliografia
1
Martini N, Melamed MR. J Thorac Cardiovasc Surg 1975;70:606-12.
2
Morandi L, et al. Lung Cancer 2007;56:35-42.
Significato prognostico dell’espressione
immunoistochimica di insulin like growth
factor receptor 1 (IGFR-1) ed epidermal
growth factor receptor (EGFR) nei carcinomi
non a piccole cellule del polmone (NSCLC)
G. Bellezza, V. Ludovini*, A. Sidoni, L. Pistola*, F. Bianconi**, M.G. Mameli, C. Cioccoloni, R. Del Sordo, R. Colella, F. Cartaginese, I. Ferri, F.R. Tofanetti*, A. Flacco*,
L. Di Carlo***, A. Semeraro***, G. Daddi***, L. Crino*, A.
Cavaliere
Sezione di Anatomia Patologica, Dipartimento di Medicina
Sperimentale e Scienze Biochimiche, Università di Perugia;
*
S.C. di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Perugia; ** Dipartimento di Ingegneria Elettronica e dell’Informazione, Università di Perugia; *** S.C. di Chirurgia Toracica, Università di Perugia
Introduzione. Insulin like growth factor receptor 1 (IGFR-1)
è implicato nei meccanismi di crescita, proliferazione e sopravvivenza delle cellule tumorali attraverso l’interazione
con i suoi ligandi Insulin like growth factor 1 (IGF-1) e 2
(IGF-2). Epidermal growth factor receptor (EGFR) svolge
un ruolo chiave nella proliferazione e sopravvivenza cellulare e la sua espressione risulta elevata in numerose neoplasie
maligne. Il significato prognostico di IGFR-1 e EGFR deve
essere ancora definito soprattutto nei NSCLC in stadio non
avanzato. Nel nostro studio abbiamo analizzato l’espressione
immunoistochimica di IGFR-1 e EGFR in una casistica di
NSCLC trattati con chirurgia per valutarne la correlazione
con i principali parametri anatomo-clinici, la possibile interazione e il significato prognostico.
Materiali e metodi. L’espressione immunoistochimica di
EGFR e di IGFR-1 è stata valutata in 130 casi consecutivi di
NSCLC. La valutazione dei risultati è stata fatta con analisi
semiquantitativa considerando come cut-off il 10% delle cellule positive 1.
Risultati. L’età media dei pazienti studiati è stata di 66 anni
(mediana 66; range 40-84), 111 maschi e 19 femmine. 81 pazienti erano in stadio I, 21 in stadio II, 26 in stadio III. Per
quanto riguarda il tipo istologico, 64 erano carcinomi squamocellulari, 40 adenocarcinomi, 7 bronchioloalveolari, 13
carcinomi a grandi cellule e 6 misti. IGFR-1 è risultato
espresso nel 36% dei NSCLC e si correlava con il parametro
pT (p = 0,044) ma non con gli altri parametri anatomo-clinici considerati. L’espressione di EGFR si è osservata nel 56%
dei casi, più spesso nei carcinomi squamocellulari (p =
0,017). All’analisi multivariata, la co-espressione di IGFR-1
e EGFR è risultato un fattore prognostico sfavorevole per la
sopravvivenza libera da malattia (p = 0,0056).
Conclusioni. Nei pazienti con NSCLC in stadio I-IIIa trattati con chirurgia la co-espressione di IGFR-1 ed EGFR rappresenta un fattore prognostico indipendente per la sopravvivenza libera da malattia. La possibile interazione tra EGFR e
IGFR-1 apre nuove prospettive in termini di risposta ad agenti chemioterapici come gli inibitori delle tirosin-kinasi.
Bibliografia
1
Selvaggi G, et al. Ann Oncol 2004;15:28-32.
POSTERS
Il gene EGFR: fattore discriminante nella
stadiazione dell’adenocarcinoma polmonare
multiplo?
P. Graziano, R. Gasbarra, D. Remotti, E. Silvestri, J. Nunnari, L. Manente, M.C. Macciomei, R. Pisa, A. Leone
Dipartimento dei Servizi, U.O.C. Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale “C. Forlanini”, Roma
Introduzione. La stadiazione clinico-patologica è il fattore
di maggior rilievo prognostico nell’inquadramento terapeutico dei pazienti affetti da carcinoma polmonare. In tali pazienti, il riscontro di più tumori a medesimo istotipo, fa emergere la necessità di appurare se si tratti di una metastasi o di
una localizzazione sincrona/metacrona. Nell’ambito di uno
studio mirato all’identificazione di mutazioni dell’EGFR, in
pazienti, afferenti alla nostra istituzione, affetti da adenocarcinoma polmonare, abbiamo osservato 11 casi con duplici localizzazioni intra- od inter-lobari e conseguente stadiazione
patologica rispettivamente pT4 o pM1.
Nel tentativo di ottenere informazioni volte a discriminare tra
lesione metastatica o localizzazione sincrona/metacrona, tutti i campioni bioptici sono stati analizzati mediante studio
morfologico e biomolecolare.
Metodi. Le 22 lesioni neoplastiche osservate sono state distinte in base al grading ed al loro pattern citoarchitetturale.
È stato inoltre eseguito lo studio del gene EGFR sia mediante sequenziamento diretto degli esoni 19 e 21 che mediante
metodica FISH per la valutazione dell’eventuale presenza di
amplificazione.
Risultati. In nove casi su undici, entrambe le lesioni neoplastiche di ciascun paziente mostravano il medesimo grading
patologico, suggerendo l’ipotesi di una loro possibile origine
clonale. Al contrario, il profilo molecolare del gene EGFR,
ha permesso di identificare discordanze in quattro degli undici pazienti studiati, con riscontro di microdelezione nell’esone 19 in solo una delle due lesioni analizzate.
La valutazione dell’EGFR mediante metodica FISH si è rivelata informativa in nove pazienti su undici. In sette casi
l’amplificazione del gene era assente in entrambe le lesioni,
mentre era presente solo in uno dei due adenocarcinomi nei
due casi restanti.
Conclusioni. Il nostro studio rileva la presenza di pattern
molecolari difformi nell’ambito di un sottogruppo di adenocarcinomi polmonari multipli.
L’integrazione delle informazioni morfofenotipiche e molecolari potrebbero quindi rappresentare un valido ausilio nella discriminazione tra eventi metastatici e lesioni sincrone/metacrone, consentendo una più accurata stadiazione clinico-patologica e prospettando differenti scenari terapeutici.
Carcinoma a cellule aciniche della cavità
nasale
M. Zaccaria, R. Rossi, M.L. Fiorella*, N. Quaranta*, M.
Palumbo, D. Piscitelli, L. Resta
Dipartimento di Anatomia Patologica, Policlinico di Bari; *
Dipartimento di Oftalmologia e Otorinolaringoiatria, Policlinico di Bari
Introduzione. Il carcinoma a cellule aciniche rappresenta
circa l’1% di tutti i tumori delle ghiandole salivari, nelle
ghiandole salivari minori è raro e solo 11 casi di carcinoma a
227
cellule aciniche della cavità nasale sono stati descritti nella
letteratura Inglese. Si descrivono diversi pattern architetturali e diversi tipi cellulari che possono essere presenti anche nel
carcinoma a cellule aciniche del tratto sinusale. Descriviamo
un caso pervenuto alla nostra osservazione.
Materiali e metodi. Donna di 44 anni con ostruzione nasale
per una massa polipoide asportata chirurgicamente. Il materiale chirurgico è stato fissato in formalina 10% e incluso in
paraffina. Le sezioni di 5 µm sono state colorate con Ematossilina-Eosina, PAS e PAS/diastasi, Ematossilina fosfotungstica ed effettuate le reazioni di IIC per citocheraine
pool, CAM 5.2, alfa 1-antichimotripsina, GFAP, alfa 1-AT e
proteina S-100.
Risultati. Istologicamente la lesione era costituita da cellule
rotonde o poligonali con abbondante citoplasma finemente
granulare e nuclei rotondi, uniformi eccentricamente localizzati. Il pattern di crescita era trabecolare, solido e prevalentemente microfollicolare.
PAS dopo diastasi era completamente negativa, la colorazione con Ematossilina fosfotungstica è risultata debolmente positiva e le reazioni di IIC sono risultate positive per citocheraine pool e CAM 5.2, alfa 1-antichimotripsina, GFAP e negative per alfa 1-AT e proteina S-100.
Conclusioni. Il carcinoma a cellule aciniche è più frequente
tra la 5°-6° decade di vita anche se può insorgere in tutte le età
compresi i bambini senza alcuna differenza di sesso. Tipicamente risulta positivo al PAS dopo digestione con diastasi anche se sono noti casi negativi. La diagnosi differenziale include il cistoadenocarcinoma, il carcinoma mucoepidermoide, le
metastasi di carcinoma tiroideo, oncocitoma, l’adenocarcinoma a cellule chiare, le metastasi di carcinoma renale a cellule
chiare e il PLGA. La diagnosi si basa sulla valutazione delle
caratteristiche citologiche delle cellule. Pas e α-amilasi sono di
poco aiuto. La microscopia elettronica è riservata ai casi in cui
la diagnosi al microscopio ottico è dubbia.
Leioyosarcoma of larynx. Report of a case
M. Bonucci, E.D. Rossi, G.L. Corsetti*, E. Torri*
Servizio Anatomia Patologica, Casa di Cura “San Feliciano”, Roma; * U.O. Ororinolaringoiatria, Casa di Cura “San
Feliciano”, Roma, Italia
Introduction. Leiomyosarcoma of the larynx is a very rare
tumor and sometimes misleading diagnosis. Histological
evaluation of this smooth muscle tumor is difficult and immunoistochemistry (IIC) is esential for a correct diagnosis.
Material and metods. An unusual case of a 57-year-old man
with a 1.1 cm white nodular lesion of the rigth larynx was examinated.
Results. The istological speciment done with an interval of 3
months showed a stromal myxoid proliferation of spindle
cells with enlarged pleomorphic nuclei and and some bimultinuclear cells present in the backgraund focal necrosis,
ephitelial ulceration and atypical rigenerative hyperplasia.
The IIC resulted focal positive for S100 and Actine and negative for Cytocheratin, LCA, CD34, CD30. The final diagnosis supported by IIC was leiomyosarcoma well differenziated
with focal pleomorphism.
Conclusion. Leiomyosarcoma of the larynx is an extremely
rare malignant smooth muscle tumor with poor world-wide
literature. The diagnosis was done supported by ICC and optimal management and follow-up is still debated.
POSTERS
228
A rare ocular cyst infection by trichinella
spiralis
M. Bonucci, E.D. Rossi, G. Pannarale*, L. Pannarale*, C.
Pannarale*
Servizio Anatomia Patologica, Casa di Cura “San Feliciano”, Roma; * U.O. Oculistica, Città di Bari Hospital, Italia
Introduction. Ocular parassitary infectionis a rare evenience. In specific the presence of Trichinella Spiralis with
predilection of muscle tissue of eye-socket is evaluated for
the first time.
Material and metods. A 71-year old man patient with an
eye-socket rigth cyst underwent biopsy.
Results. The lesion was a grey nodular cyst about 0.6 cm.
The microscopic examination showed a fragment of granulation tissue with some oval struttures underlying by a cuticle
wall and larvae and parasites inside. A final diagnosis of
Trichinella Spiralis was done based on the exclusion of the
ather common parasitis.
Conclusion. Eye-socket Trichinella Spiralis is an extremely
rare localization. Especially in presence of muscolar tissue
associated with a parasite, the Trichinella Spiralis showed be
considered of a possible infective desease for the trophism
with muscles.
Studio multicentrico di un caso di melanoma
nasale con metastasi metacrona nel laringe
A. Altavilla, R. Rossi, G. Caruso*
D.A.P. (Dipartimento di Anatomia Patologica), Università di
Bari, Policlinico; * U.O. di Anatomia Patologica “E. Franco”, D.A.P. (Dipartimento di Anatomia Patologica), Università di Bari, Policlinico
Introduzione. Il melanoma della regione nasale presenta
un’incidenza dell’8% di tutti i melanomi maligni della testa e
del collo e meno dell’1% di tutti i melanomi. Le metastasi laringee sono rare, in venti anni 11 casi. La neoplasia, nel setto nasale, originerebbe dagli scarsi melanociti presenti nella
sottomucosa scheneideriana. Presentiamo un caso di melanoma nasale con metastasi laringea metacrona.
Metodi. Una donna di 61 anni, riferiva all’osservazione clinica comparsa graduale da circa due mesi di ostruzione nasale bilaterale associata a rinorrea mucosa, per presenza nella
fossa nasale destra di neoformazione polipoide di aspetto traslucido. I campioni prelevati sono stati fissati in formalina
neutra tamponata al 10%, processati ed inclusi in paraffina;
da sezioni di 3 µ di spessore sono state allestite colorazioni
istochimiche ed immunoistochimiche. Alcuni frammenti sono stati sparaffinati in xylene e sottoposti ad ulteriore processazione per l’esame ultrastrutturale.
Risultati. All’esame microscopico la neoplasia risultava costituita da piccole cellule basofile, fusate e rare epitelioidi di
taglia media con rapporto nucleo/citoplasma a favore del nucleo, a contorno irregolare, con mitosi atipiche e nucleoli evidenti. Tali elementi cellulari apparivano organizzati in teche
e in fasci intrecciati o dispersi. Presente necrosi e pigmento
brunastro. Le reazioni immunoistochimiche risultavano positive per HMB-45 e S-100, negative per Ck-pool. L’esame ultrastrutturale ha rivelato la presenza di premelanosomi, melanosomi e assenza di granuli neurosecretori.
Diagnosi finale. Melanoma melanotico a piccole cellule e a
cellule fusate della fossa nasale. La paziente si sottopone a
radioterapia e dopo sei mesi presenta neoformazione alla corda vocale destra, diagnosticata istologicamente come localizzazione secondaria laringea di melanoma del naso.
Conclusioni. Il melanoma nasale è una neoplasia maligna
abbastanza rara e biologicamente molto aggressiva e non facilmente eradicabile. Tale neoplasia è inoltre difficilmente
diagnosticabile sia per l’aspecificità clinica sia per i problemi di diagnosi differenziale con altre neoplasie a morfologia
simile. Pertanto è necessario effettuare uno studio multicentrico per un trattamento terapeutico opportuno, con una maggiore attenzione all’immunoterapia, confrontando i risultati
ottenuti e verificandoli costantemente, onde evitare il rischio
molto alto di recidive e metastasi a distanza.
Adenocarcinoma “intestinal-type”
dell’etmoide
M. De Vito, M.L. Brancone, T. Ventura, K. Di Silvestre,
L. Ventura*
Istituto Veneri, Laboratorio di Analisi Citoistopatologiche,
Tortoreto (TE); * U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila
Introduzione. Gli adenocarcinomi di tipo intestinale (ITAC)
della cavità nasale e dei seni paranasali sono neoplasie poco
comuni che insorgono sporadicamente o in seguito ad esposizione protratta a polveri di legno, nickel e talora a fumo. Si
tratta di neoplasie aggressive, con una mortalità superiore al
50% 1.
Metodi. Giungeva alla nostra osservazione un paziente di
sesso maschile, di 78 anni, di professione falegname, con sintomi da ostruzione nasale. Gli esami strumentali evidenziavano una neoformazione localizzata in sede etmoidale. Il
campione operatorio era costituito da una formazione polipoide dell’altezza di 4,5 cm. Il materiale chirurgico veniva
processato e tagliato in sezioni di 4 µm di spessore, colorate
in ematossilina-eosina e con metodo immunoistochimico.
Risultati. L’esame istologico evidenziava una lesione, composta da cellule cuboidali e colonnari, con nuclei pleomorfi
ed ipercromici, con prominenti nucleoli, che si organizzavano in strutture di tipo tubulo-papillare, del tutto indistinguibili dalle neoplasie del tratto gastroenterico. Tali cellule erano immunopositive per CK20 e CDX2, cromogranina e sinaptofisina; erano invece negative per CK7. Veniva posta
diagnosi di ITAC a localizzazione etmoidale.
Conclusioni. Le neoplasie della cavità nasale e dei seni paranasali rappresentano lo 0,4% di tutti i tumori. Il WHO definisce gli ITAC come neoformazioni ghiandolari maligne
che non mostrano caratteristiche istologiche proprie dei carcinomi delle ghiandole salivari. Le sedi più frequenti sono il
seno mascellare e quello etmoidale 1. Si tratta di tumori che
probabilmente originano da fenomeni di metaplasia intestinale indotta da polveri del legno, di pelle e da altri agenti sconosciuti 2. La diagnosi differenziale va posta con gli adenocarcinomi sinonasali di basso grado, con quelli primitivi del
nasofaringe e con quelli metastatici. Gli studi immunoistochimici hanno evidenziato che gli ITAC sono costantemente
positivi per la CK20 e che spesso coesprimono anche la CK7.
Una piccola, ma significativa quota di adenocarcinomi, tra
cui il nostro caso, esprimono un immunofenotipo
CK20+/CK7-, che suggerisce una lenta trasformazione del-
POSTERS
l’epitelio respiratorio in quello di tipo intestinale 2. In conclusione, la valutazione immunoistochimica di CK7, CK20,
CDX2, cromogranina e sinaptofisina, nonché gli esami strumentali, possono essere d’ausilio nella diagnostica differenziale tra ITAC, adenocarcinomi transizionali e neoplasie gastroenteriche metastatiche in sede etmoidale.
229
Bibliografia
1
Abecasis J, et al. Histopathology 2004;45:254-9.
2
Kennedy MT, et al. J Clin Pathol 2004;57:932-7.
PATHOLOGICA 2007;99:230-252
Patologia dell’apparato uro-genitale
Introduction. To verify the prognostic significance of high
grade prostatic intraepithelial neoplasia (HGPIN) in 61 patients who underwent repeat biopsies with a mean follow-up
of 32 months.
Methods. In October 2006 we selected retrospectively 61 patients (mean age 63.4 ± 7.2, range 49-75) with HGPIN diagnosis, PSA values greater than 4 ng/mL, in the absence of
clinical (digital rectal examination) or ultrasonographic parameters indicative of prostatic cancer (CaP), who underwent, between January 2002 and December 2005, rebiopsies
after 3-12, 13-24, 25-36 and 37-48 months from HGPIN diagnosis. After each rebiopsy, three diagnoses were made: benign prostatic hyperplasia (BPH), HGPIN and CaP. Prognostic significance of PSA values and of monofocal/plurifocal
HGPIN patterns ratios at biopsy were also assessed.
Results. After a total of four rebiopsies, diagnosis of HGPIN
was confirmed in 52/61 (85.2%), 45/60 (75.0%), 42/52
(80.7%) and 39/49 (79.6%) patients respectively while CaP
diagnosis was detected in 12/61 patients (19.6%). Most of the
CaP diagnoses were reported after the second biopsy with
stage pT2 and Gleason sum ≤ 7. Significant differences in
PSA values and mono/plurifocal rates were not reported in
the three groups of patients at biopsy and no value could be
assigned to these parameters in terms of prediction of the
subsequent diagnosis of persistent HGPIN, BPH or CaP.
Conclusions. The risk for cancer following the diagnosis of
HGPIN (19.6%) is not higher than the risk reported following a benign diagnosis. PSA values and HGPIN focality at
biopsy do not enhance cancer predictivity. Rebiopsy could be
performed every 12 months from initial diagnosis.
Metodi. Sono stati indagati 200 casi di TMC, osservati dal
1997 al 2006. I casi sono stati sottoposti a revisione istologica con registrazione dei tessuti presenti; su base morfologica
sono stati selezionati 56 casi per lo studio immunoistochimico, impiegando anticorpi contro: Cromogranina A, PRL, GH,
ACTH, α-hCG, β-FSH, β-LH, β-TSH, tireoglobulina, serotonina, PP e glicentina.
Risultati. I TMC rappresentavano circa il 25% di tutti i tumori ovarici osservati nel periodo corrispondente. L’età media di
presentazione era 37 anni (range: 8-87) con localizzazione
ovarica destra nel 52%, sinistra nel 40% e bilaterale nel 6% dei
casi. I TMC avevano dimensioni medie di cm 5,9 (range 1-25
cm). L’analisi morfologica ha evidenziato tessuti presenti: 1)
nella quasi totalità dei casi (cute e annessi); 2) con elevata frequenza (tessuto adiposo, neuroglia e mucosa respiratoria); 3)
occasionalmente (osso, cartilagine, denti, plessi corioidei, retina, nervi, ghiandole salivari, tiroide, mucosa intestinale e muscolo liscio); 4) raramente (muscolatura striata, mucosa gastrica, adenoipofisi e tessuto linfatico). In 2 casi (1%) è stato diagnosticato un carcinoma spinocellulare insorto su TMC. Nel
6% dei TMC è stato osservato un quadro di struma ovarii, nel
cui ambito è stato possibile documentare uno spettro di lesioni: iperplasia nodulare (12 casi), carcinoma papillare (1 caso)
e carcinoide strumale (5 casi, di cui 4 a struttura trabecolare,
PP e glicentina+ e un caso a nidi solidi, con cellule cromogranina e serotonina+). Nel 3% dei casi erano presenti nidi di cellule adenoipofisarie, a prevalente espressione di PRL e GH, localizzate nel contesto di tessuto tiroideo, compreso quello di
carcinoidi strumali o di struma ovarii, o in vicinanza di strutture respiratorie. Negli epiteli di tipo gastroenterico e respiratorio sono state evidenziate sparse cellule endocrine cromogranina e, talora, serotonina+.
Conclusioni. Lo studio ha delineato il profilo di un’ampia
casistica di TMC, tipizzando le varie componenti tessutali e
le neoplasie da esse insorte; ha individuato le lesioni tiroidee
associate agli struma ovarii e il fenotipo dei carcinoidi strumali e, infine, ha definito la frequenza e il fenotipo della
componente adenoipofisaria.
References
Bostwick DG, et al. Pathol Res Pract 1995;191:828-30.
Epstein JI, et al. J Urol 2006;175:820-34.
Neoplasie simultanee endometriali ed
ovariche: revisione casistica
Prognostic significance of high grade
prostatic intraepithelial neoplasia: risk of
prostatic cancer on repeat biopsies
L. Caliendo, E. Venturino, F. Gallo, S. Ardoino, A. Dellachà, C.E. Marino, A. Pastorino
Ospedale “S. Paolo”, ASL2 Savonese, Italia
P. Perego, F. Pagni, G. Cattoretti, M. Signorelli*
Aspetti clinico-patologici dei teratomi maturi
cistici dell’ovaio e caratterizzazione delle
componenti endocrine
D. Micello, E. Rigoli, N. Papanikolau, S. Marchet, S. La
Rosa, C. Riva, C. Capella
Dipartimento di Morfologia Umana, Unità di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria, Varese
Introduzione. Il teratoma cistico maturo (TCM) dell’ovaio è
composto da tessuti maturi ben differenziati derivanti dai tre
foglietti embrionali, con prevalenza di elementi ectodermici.
Lo studio si proponeva di definire il profilo di un’ampia casistica di TMC e di valutare la frequenza di componenti endocrine tiroidee, adenoipofisarie e associate a mucosa di tipo
gastroenterico e respiratorio.
Dipartimento di Patologia Clinica, U.O. di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica; * Dipartimento di Ostetricia
e Ginecologia, Divisione di Ginecologia Oncologica; Università di Milano, Bicocca, Azienda Ospedaliera “S. Gerardo”, Monza
Introduzione. In una revisione clinica delle nostre neoplasie
maligne ginecologiche l’associazione endometrio/ovaio è risultata nettamente prevalente (in accordo con i dati di letteratura dove c’è coesistenza nel 5-10% di tutti i casi) ma con
un 55% dei casi in stadi iniziali, dato questo in contrasto con
la letteratura. Di questo particolare gruppo è stata fatta una
revisione istopatologica.
Materiali. Sono state considerate 93 pazienti (dicembre 1981agosto 2005) con diagnosi simultanea di neoplasia ovaio/endometrio in stadio iniziale (IA-C ovaio/IA-IIB endometrio)
senza pregresse patologie neoplastiche note, età media 52 an-
POSTERS
Casi
Endometrio
Ovaio
231
%
Stadio
IA
IB
IC
IIA
IIB
IA
IB
IC
10
56
7
11
9
47
12
34
Casi
%
Grado
11
60
7
12
10
50,5
13
36,5
1
2
3
1
2
3
Concordanza istotipoEndometrioide/Endometrioide 72 casi
Sieroso/Sieroso 1 caso
Concordanza grado
G1/G1
17 casi 18%
60%
G2/G2 35 casi 39%
G3/G3
3 casi 3%
G2 in una sede36 casi 67%
ni (range 27-79), prima chirurgia o presso la nostra divisione
ginecologica (51 casi) o presso altre sedi (42 casi con nostra
revisione istopatologica) ed indicazione chirurgica prevalentemente per patologia neoplastica uterina (57 casi).
Risultati. I risultati sono riportati in tabella.
Discussione. La nostra revisione istopatologica ha dimostrato, in contrasto con la letteratura, alta incidenza di grado I-II
sia per le neoplasie endometriali ma soprattutto per quelle
ovariche (contro il 30% di neoplasie grado III in stadio I della letteratura 1) e prevalenza di istotipo endometrioide (77%
contro il 20% della letteratura).
La definizione istopatologica è stata indipendentemente validata con analisi molecolare per espressione genica.
La nostra associazione prevalente, prognosticamente favorevole (ovaio G1 stadio IA/endometrio G1 microinvasivo),
spiega anche l’ottima sopravvivenza a 5 anni (96% dei casi).
La distinzione tra neoplasie indipendenti sincrone o metastatiche ha importanza fondamentale perché il trattamento e soprattutto la prognosi sono completamente differenti nelle due
evenienze. Il dato istopatologico ha quindi una ricaduta clinica significativa e la corretta diagnosi, tenendo conto di tutte le ben note difficoltà connesse, ha un ruolo di primo piano
nel condizionare il percorso terapeutico successivo.
Bibliografia
1
Soliman PT, et al. Synchronous primary cancers of the endometrium
and ovary: a single institution review of 84 cases. Gynecol Oncol
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Malattia di Paget vulvare: dati istopatologici
a favore di un approccio conservativo
P. Perego, F. Bono, G. Cattoretti, A. Maneo*
Dipartimento di Patologia Clinica, U.O. di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica; * Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Divisione di Ginecologia Oncologica, Università di
Milano, Bicocca, Azienda Ospedaliera “S. Gerardo”, Monza
Introduzione. La malattia di Paget vulvare è una patologia
rara con caratteristiche particolari (estensione clinica della
Casi
%
Istotipo
38
43
12
41
46
13
Endometrioide
Sieroso
Indifferenziato
90
2
1
97
2
1
25
63
5
27
68,5
5,5
Endometrioide
Cellule chiare
Mucinoso
Sieroso
Misto
73
2
5
9
4
78
2
5,5
10
4,5
77%
lesione non sempre correttamente stimabile, plurifocalità,
tendenza alla recidiva) che non rendono il trattamento elettivo (quello chirurgico) una sicurezza terapeutica. La chirurgia
demolitiva non è garanzia di radicalità (alta incidenza di margini interessati, presenza di cellule di Paget a distanza dalla
lesione clinica) e la negatività dei margini chirurgici non è
predittiva dell’evoluzione successiva. L’andamento variabile
della lesione (possibilità di recidiva indipendentemente dallo
stato dei margini e viceversa non recidiva in casi di margini
interessati) ha determinato una rivalutazione del tipo di approccio (da radicale a conservativo).
Metodi. Sono stati valutati 35 casi di malattia di Paget presenti nella nostra casistica nell’arco di tempo dal dicembre 1981
ad oggi, con 5 casi a prima diagnosi in altri centri (nostra revisione istopatologica a concordanza totale) e successivo trattamento presso la nostra divisione di ginecologia e 30 casi con
intero iter presso il nostro centro. In questo arco di tempo la
chirurgia attuata si è evoluta da radicale (vulvectomia con linfadenectomia) a conservativa (prima vulvectomia semplice
verso skin vulvectomy e poi tumorectomia) ed in rapporto a
ciò, nei casi con un follow-up adeguato, sono stati correlati
margini chirurgici, recidive e stato della paziente.
Risultati. Nel follow-up considerato, ad eccezione di 2 pazienti decedute per altre patologie e comunque non con malattia vulvare in atto, tutte le altre pazienti sono vive (sopravvivenza massima 11 anni) spesso con recidiva (da un minimo
di 1 ad un massimo di 4 recidive ma con un’incidenza delle
recidive comunque sovrapponibile a quelle di casistiche a
prevalente approccio radicale).
In questo gruppo l’istotipo della lesione, lo stato dei margini
chirurgici, la comparsa di recidive, la presenza di metastasi
linfonodali (2 casi) o di altre neoplasie (3 casi di neoplasia
mammaria, 1 casi di carcinoma endometriale e 2 casi di carcinoma vulvare) sincrone o metacrone non hanno condizionato la sopravvivenza.
Discussione. La nostra revisione ha confermato i vantaggi di
una scelta conservativa e per le minori sequele post-chirurgiche ma soprattutto, tenendo conto dei ripetuti interventi richiesti dalle recidive e condizionanti non tanto la prognosi
quanto la qualità di vita, proprio per un miglioramento della
qualità di vita stessa.
232
Struma ovarico maligno: descrizione di un
caso
A. Colasante, B. Zappacosta, M. Piccolomini, S. Magnasco, E. Dell’Osa, U. Tatasciore, D. Angelucci
Istituto di Anatomia Patologica, Ospedale Clinicizzato “SS.
Annunziata”, Chieti
Introduzione. Il teratoma maturo ovarico costituisce il 2744% di tutte le neoplasie ovariche. Tessuto tiroideo benigno
è osservato nel 5-15% dei teratomi maturi; la trasformazione
maligna dello stesso rappresenta lo 0,01% dei casi. Descriviamo un caso di teratoma maturo associato a struma e neoplasia follicolare.
Metodi. Donna di 24 anni sottoposta a laparoscopia per
asportazione di formazione cistica a carico dell’ovaio sinistro. Macroscopicamente si presentava come una neoformazione cistica semisolida delle dimensioni di cm 2,8 x 2 x 2,3
a pareti ispessite e focalmente calcifiche. All’esame istologico si trattava di un teratoma maturo dell’ovaio con struma
follicolare tiroideo con focali aspetti solidi ed a pattern di
crescita infiltrativo. Sono state effettuate indagini di morfologia molecolare con immunoistochimica.
Risultati. Lo studio istologico della neoformazione mostrava
un teratoma maturo ovarico pluritissutale con una componente tiroidea qualitativamente e quantitativamente predominante. Focalmente, il tessuto tiroideo (TTF1 e tireoglobulina
positivi) si presentava solido, a pattern di crescita infiltrativo
dei tessuti fibromuscolari adiacenti (AML e DESMINA positivi). La neoformazione mostrava architettura follicolare e
solida con lievi atipie citologiche, senza le caratteristiche alterazioni nucleari del carcinoma papillare. I margini del tessuto tiroideo erano irregolari, non delimitati da una capsula.
La proliferazione follicolare in alcuni punti era perivascolare, senza peraltro mostrare aspetti embolici.
Conclusioni. I criteri morfologici utilizzati per valutare la malignità dello struma ovarico dovrebbero essere gli stessi utilizzati per la ghiandola tiroide. Tuttavia, trattandosi di struma ovarico, è da definire il cut-off tra lo struma proliferativo ed il carcinoma follicolare ben differenziato. Nel nostro caso, pur non
essendo presente una franca invasione vascolare, si osservava
una diffusa infiltrazione dei tessuti fibromuscolari.
Non è chiaro, dai dati della letteratura, se questa è assimilabile ad una “invasione capsulare” o se rappresenti un normale pattern di crescita teratomatoso. Dato che sono stati riportati struma follicolari “benigni” che in seguito hanno metastatizzato, vale la pena di enfatizzare criteri non usuali. Nel
nostro caso, l’invasione destruente strutture fibromuscolari
depone per carcinoma piuttosto che per struma.
The prostate-associated lymphoid tissue
(PALT) is linked to the expression of
chemokines CXCL13 and CCL21
E. Di Carlo* **, S. Magnasco* **, T. D’Antuono* **, C. Sorrentino* **
*
Department of Oncology and Neurosciences, Anatomic
Pathology Section, “G. d’Annunzio” University, Chieti,
Italy; ** Ce.S.I. Aging Research Center, “G. d’Annunzio”
University Foundation, Chieti, Italy
Introduction. The genitourinary tract is regarded as part of
the mucosal immune system, however, the structural and
POSTERS
functional aspects of the prostate-associated lymphoid tissue
(PALT) have never been extensively explored.
Methods. We here describe the architectural, immunological
and functional aspects of lymphoid tissue in the human
prostate investigated by means of immunohistological, confocal and ultrastructural analyses.
Results. PALT consists of two main components:
1. intraepithelial leukocytes, namely CD3+ T cells with prevalent CD8+ and CD45RA-CD45RO+ phenotype (some expressing the early activation marker CD69) followed by
CD94+ NK cells, CD11c+ dendritic cells (DCs) (some expressing the co-stimulatory molecule CD86) and a few B
lymphocytes;
2. lymphoid aggregates, frequently below the epithelia, arranged in B cell follicles, endowed with a central ICAM-1+
VCAM-1+ CD21+ follicular DC network expressing
BLC/CXCL13, and parafollicular T cell areas crossed by
PNAd+ HEV-like vessels showing SLC/CCL21 expression.
Parafollicular areas were formed of prevalent CD4+ T lymphocytes, both CD45RA+ naïve and CD45RO+ memory,
and intermingled with CD11c+ DCs. Germinal-centre-containing follicles are few and their parafollicular areas are
scantily infiltrated by Foxp3+ CD69- highly suppressive
regulatory T cells. Most lymphoid follicles lack a distinct
germinal centre and their parafollicular area harbour numerous Foxp3+ CD69- cells.
Conclusions. Comparative analyses with the tonsils show
that PALT displays immunomorphological features required
for the onset of cellular and humoral immune responses,
while its T regulatory cells appear to function as suppressorregulators of T and B cell responses.
Ruolo della citologia anale nella diagnosi
delle lesioni pre-neoplastiche HPV correlate
in soggetti omosessuali maschi HIV positivi:
confronto tra strisci citologici e biopsie
chirurgiche
A. Ferri, F. Pagano, E. Omodeo Zorini, C.M. Antonacci,
L. Vago, M. Nebuloni
U.O. Anatomia Patologica, Dipartimento Scienze Cliniche
“L. Sacco”, Milano
Introduzione. Negli ultimi anni l’incidenza di lesioni displastiche e neoplastiche anali è in continuo aumento tra i pazienti omosessuali maschi HIV positivi. Come succede per la
patologia cervicale, anche per le lesioni anali è ormai dimostrato un nesso eziologico tra HPV e lesioni displastiche, che
rappresentano un precursore del carcinoma squamoso invasivo. La citologia anale potrebbe dunque essere un valido strumento di screening nella diagnostica delle lesioni HPV correlate.
Lo scopo di questo studio è la valutazione della sensibilità
dello striscio citologico come strumento diagnostico nelle lesioni anali da HPV, mediante il confronto con i risultati ottenuti da biopsie chirurgiche.
Metodi. Lo studio si basa sul confronto dei preparati citologici e biopsie chirurgiche provenienti dagli stessi pazienti.
Sono stati selezionati 56 omosessuali maschi HIV positivi,
per 138 campioni cito/istologici appaiati. Sono stati considerati due intervalli di tempo tra l’esecuzione dei prelievi citologici ed istologici di ciascun paziente: T1 (intervallo di 1
mese) e T2 (intervallo compreso tra 1 e 6 mesi). Il materiale
POSTERS
citologico è stato raccolto mediante spazzolamento e i campiono bioptici sono stati prelevati in anoscopia. I campioni
citologici sono stati valutati secondo il Sistema Bethesda e i
preparati istologici in accordo con i criteri morfologici di displasia. È stato quindi eseguito un confronto tra le due serie
di dati.
Risultati. Centotredici coppie di esami cito/istologici sono
stati effettuati ad un intervallo di tempo T1 e 25 a T2. Ventinove strisci citologici hanno ricevuto una diagnosi di HSIL,
102 di LSIL e 7 di negatività per displasia. Novantotto appaiamenti sono risultati concordanti (98/138; 67%). Le diagnosi citologiche di LSIL hanno ottenuto la più alta percentuale di concordanza rispetto all’istologia: 82% a T1 e 80% a
T2. Il tasso più elevato di discordanza è stato riscontrato per
le diagnosi di HSIL: 74% a T1 e 100% a T2. Il 95% dei casi
di HSIL discordanti a T1 ed il 50% a T2 corrispondevano a
diagnosi di displasia a basso grado, i restanti erano negativi
per displasia.
Conclusioni. Nel nostro studio l’accordo tra citologia ed
istologia anale appare elevato solo nei casi di lesione citologica a basso grado, indipendentemente dall’intervallo temporale. Al contrario, la concordanza è scarsa per le lesioni citologiche ad alto grado, ove la diagnosi citologica appare sovrastimata rispetto a quella istologica.
Carcinosarcoma vulvare: case report
P. Parente, F. Castri, I. Pennacchia, A. Coli, G. Bigotti, F.
Federico, G. Massi
Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione. I tumori della vulva rappresentano il 3% dei
tumori dell’apparato genitale femminile. L’istotipo più frequente è quello a cellule squamose (90-92%); altre varianti
sono il carcinoma verrucoso, carcinoma adenosquamoso,
carcinoma a cellule basali e carcinoma metaplasico o sarcomatoide. Sono descritte inoltre forme miste o carcinosarcomi composte da doppia componente epiteliale e mesenchimale. Tali forme insorgono generalmente in sede extravulvare; in letteratura sono descritti due casi a insorgenza genitale.
Case report. Descriviamo il caso di una donna di 74 anni
giunta all’attenzione del clinico per una lesione polipoide
della vulva. All’esame macroscopico la lesione si presentava
vegetante, peduncolata, del diametro di 4,5 cm, al taglio solida, di colore biancastro ed omogenea. Istologicamente la lesione mostrava una doppia componente maligna, epiteliale e
mesenchimale; la prima rappresentata da carcinoma squamoso infiltrante ben differenziato con aspetti verrucosi; la seconda di aspetto sarcomatoso ad alto grado con le caratteristiche del fibroistiocitoma maligno. La superficie era estesamente ulcerata. Le indagini immunoistochimiche hanno confermato la compresenza dei due istotipi: la componente epiteliale positiva per le citocheratine, la componente mesenchimale per Vimentina ed S-100. Dei 13 linfonodi asportati uno
mostrava metastasi da carcinoma squamoso.
Discussione. La diagnosi delle lesioni miste rappresenta un
problema diagnostico a causa della rarità di tali neoplasie e
della incompleta conoscenza della loro istogenesi. Si pone
inoltre la diagnosi differenziale con altre neoplasie. Un carcinoma squamoso altamente indifferenziato può assumere un
aspetto sarcomatoso e può evocare una reazione stromale
233
pseudosarcomatosa. Nel nostro caso abbiamo escluso una
diagnosi di carcinoma pseudosarcomatoso in quanto l’aspetto istologico mostrava una doppia componente chiaramente
demarcata, non sovrapposta. Tale reperto era confermato dalle indagini immunoistochimiche. È stata esclusa anche diagnosi di tumore misto Mulleriano, la cui localizzazione tipica è a livello del corpo dell’utero con possibile estensione all’area vulvo-vaginale. I dati clinico-strumentali escludevano
una localizzazione secondaria, istologicamente la componente carcinomatosa del tumore mulleriano è solitamente ben
differenziata e le componenti epiteliale e mesenchimale sono
sovrapposte.
Conclusioni. Descriviamo il terzo caso in letteratura di carcinosarcoma vulvare.
Tumore prostatico stromale a incerto
potenziale (STUMP): case report
I. Pennacchia, F. Castri, P. Parente, F. Federico, A. Coli,
G. Bigotti, G. Massi
Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italia
Introduzione. I tumori prostatici stromali ad incerto potenziale maligno (STUMP) sono lesioni senza evidenza di malignità; originano come i sarcomi stromali dallo stroma specializzato ormonosensibile della prostata. A differenza di
questi, la loro natura neoplastica è controversa e ciò è ascrivibile alla loro rarità e alla mancanza di un follow-up a lungo termine. Sono stati identificati quattro distinti patterns di
STUMP: il più comune (atipia degenerativa) è costituito da
uno stroma con cellule atipiche associate a ghiandole benigne; il secondo da uno stroma moderatamente ipercellulato
senza atipie e ricorda l’iperplasia prostatica benigna; il terzo
mostra una proliferazione stromale spesso mixoide dalla citologia blanda senza figure mitotiche; una crescita di tipo filloide individua il quarto.
Case report. Descriviamo il caso di un paziente di 68 anni,
sottoposto ad intervento di prostatectomia nel febbraio 2004,
con recidiva, sette mesi dopo, di tessuto simil-cicatriziale. A
settembre e dicembre 2006 si sono verificate due ulteriori recidive.
Metodi. Tutto il materiale è stato incluso e sezionato a molteplici livelli, colorato in ematossilina eosina e testato per indagini immunoistochimiche per SMA, S-100, GFAP.
Risultati. L’esame istologico del primo intervento mostrava
un’iperplasia fibroadenomiomatosa con flogosi interstiziale
focalmente ascessualizzata. La recidiva invece era costituita
da tessuto angiofibromatoso con aspetti che ricordavano una
forma mesenchimale reattiva. Istologicamente la lesione era
caratterizzata da una proliferazione di cellule tipiche, fusate,
regolarmente distribuite, di aspetto monomorfo, in abbondante stroma mixoide, focalmente positive per SMA, diffusamente positive per desmina; S-100 e GFAP risultavano negative. Il caso è stato interpretato come neoplasia mixoide a
cellule fusate non classificata.
Conclusioni. Descriviamo un caso di STUMP che pone
un’importante diagnosi differenziale con l’iperplasia fibromioadenomatosa e con una forma reattiva post-chirurgica. La
prima viene esclusa per il comportamento clinico, per la presenza di proliferazione vascolare atipica, lo stroma mixoide e
l’assenza di ghiandole. L’altra viene esclusa per l’assenza
della componente infiammatoria stromale.
POSTERS
234
Nuovi ausili nella diagnostica dei sex-cord
stromal tumors gonadici
R. Boldrini, R. Devito, P. Francalanci, F. Diomedi Camassei, F. Callea
Servizio di Anatomia Patologica Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, IRCCS Roma, Italia
Introduzione. I “sex-cord stromal tumors” (SCST) configurano un gruppo di rare neoplasie gonadiche ad origine dagli
elementi dei cordoni sessuali o dallo stroma gonadico.
Questi tumori presentano una ampia variabilità di aspetti
istologici e possono simulare altre neoplasie, gonadiche e
non, quali le neoplasie della linea germinale, il tumore desmoplastico a piccole cellule, il carcinoma endometrioide
dell’ovaio.
Alcuni Autori hanno segnalato che l’anticorpo A 103 (Melan
A), marcatore della linea melanocitaria, colora una elevata
percentuale di SCST.
Metodi. Sezioni in paraffina di 10 casi di SCST ottenuti dagli archivi del Servizio di Anatomia Patologica dell’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” più un linfoma del testicolo ed
un caso di tumore desmoplastico a piccole cellule sono stati
sottoposti a marcatura immunoistochimica con anticorpo monoclonale per inibina alpha ed anticorpo monoclonale Melan
A.
Risultati. Tutti i casi di SCST hanno evidenziato con Melan
A una caratteristica marcatura citoplasmatica granulare di intensità variabile, da lieve a marcata, compresi casi negativi
con inibina.
In accordo con la letteratura l’intensità della marcatura è risultata inversamente proporzionale al grado di differenziazione del tumore, mentre diversamente da quanto segnalato,
la colorazione è risultata per lo più diffusa piuttosto che focale. Sia il linfoma testicolare che il tumore desmoplastico
sono risultati negativi.
Discussione. L’anticorpo A 103 riconosce un antigene (Melan A) espresso nei melanociti e nella maggior parte delle lesioni melanocitarie.
Più di recente si è constatato che l’A 103 marca le cellule che
sintetizzano ormoni steroidei ed i relativi tumori quali i tumori adrenocorticali e i SCST gonadici.
La marcatura con A 103 si è rivelata un valido ausilio diagnostico per i SCST, con particolare riguardo nei casi scarsamente differenziati ed inibina negativi che presentano problemi di diagnosi differenziale con altre neoplasie.
Tumore mesonefrico del tratto genitale
femminile
R. De Cecio, C. Mignogna, A. Di Spiezio Sardo*, D. Mandato*, P. Giampaolino*, J. Falleti, G. De Rosa
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali Sezione di Anatomia Patologica e Citopatologia, Università
“Federico II” di Napoli; * Dipartimento di Ginecologia ed
Ostetricia e Fisiopatologia della Riproduzione, Università
“Federico II” di Napoli
Introduzione. L’Adenocarcinoma mesonefrico del tratto genitale femminile è un tumore maligno di origine Wolfiana,
molto raro, ancor di più se consideriamo la localizzazione vaginale.
In letteratura sono presenti solo due casi ben documentati, allo stato attuale è una lesione poco conosciuta sia per quel che
riguarda la presentazione clinica, sia per le caratteristiche patologiche, i protocolli terapeutici e l’evoluzione prognostica.
Trattiamo un caso relativo ad una donna caucasica di 58 anni, sottoposta 5 anni prima ad isteroannessiectomia totale bilaterale per fibromiomatosi, attualmente veniva ricoverata
per la presenza di una massa, irregolarmente polipoide, occupante la loggia uterina e annessiale destra fino alla base
delle grandi labbra, con associata sintomatologia di peso perineale e prurito vulvare.
Metodi e risultati. Macroscopicamente la massa misurava
14 x 10 cm, in sezione era di aspetto variegato. L’esteso campionamento ha mostrato una neoplasia maligna epiteliale con
prevalente pattern principale di tipo tubulare e pattern secondario di tipo solido. Erano presenti aree di necrosi, focali immagini di invasione vascolare, l’attività mitotica, valutata su
10 campi a forte ingrandimento era di circa 10 mitosi X HPF.
La neoplasia era positiva allo studio immunoistochimico per
CK pan, CK 5-6, Vimentina, CD10; localmente positiva per
EMA e Calretinina; negativa per CEA, E-R, P-R e Ca 125.
Sulla base dei dati morfologici ed immunofenotipici era posta diagnosi di adenocarcinoma mesonefrico.
Conclusioni. L’adenocarcinoma mesonefrico è un tumore
maligno che origina da residui mesonefrici, nel nostro caso
localizzati a livello della parete laterale della vagina. Questo
sembra essere il terzo di due casi già riportati in letteratura di
adenocarcinoma mesonefrico della vagina, attualmente la paziente è libera da malattia ad un anno di follow-up.
Iperplasia endometriale/EIN: valutazione
morfologica ed imunofenotipica
A. Canesso, G. Altavilla, G. Busatto, L. Poletto
U.O.A. Istologia ed Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera ULSS 15 “Alta Padovana”, Cittadella (PD), Italia
Introduzione. La distinzione delle lesioni precancerose dell’endometrio in iperplasia e neoplasia intraepiteliale endometriale (EIN) 1 2, si è rivelata maggiormente riproducibile rispetto alla classificazione WHO 1994.
I criteri che la definiscono sono:
– VPS (volume percentuale dello stroma) < 55%;
– dimensioni > 1 mm;
– demarcazione citologica;
– esclusione dei mimickers;
– esclusione del carcinoma.
Metodi. L’espressione di p53, p27, c-erb-B2, PTEN, MSH2,
MLH1, FHIT, recettore per estrogeni e progesterone e l’indice di proliferazione (MIB-1) sono stati valutati, con tecnica
immunoistochimica, su un campione di 64 casi (25 iperplasie, 19 EIN, 20 adenocarcinomi endometrioidi) precedentemente diagnosticati con la classificazione WHO 1994 e rivisti con i criteri classificativi del sistema iperplasia/EIN.
Il confronto è stato fatto nei seguenti gruppi:
– iperpalsia-adenocarcinoma;
– EIN-adenocarcinoma;
– iperplasia-EIN.
L’analisi statistica è stata eseguita utilizzando il test χ2 con
correzione di Yates (p < 0,005).
Risultati. La tabella seguente riassume i risultati ottenuti. I
valori significativi sono evidenziati in grassetto.
POSTERS
REC estrogeni
REC progesterone
MIB-1
C-ERBB2
P53
P27
MLH1
MSH2
PTEN
FHIT
235
P iper/
adenoca
P iper/
EIN
P EIN/
adenoca
0,00006
0,003
0,77
0,303
0,973
0,06
0,00006
0,00002
0,0017
0,004
0,219
0,413
0,008
0,116
0,796
0,792
0,81
0,409
0,04
0,06
0,016
0,103
0,025
0,979
0,899
0,07
0,0005
0,0002
0,415
0,445
Conclusioni. MLH1 ed MSH2 possono essere utilizzati come marcatori di lesione iperplastica benigna e di lesione neoplastica intraepiteliale analogamente a PTEN.
MLH1 ed MSH2 possono essere utilizzati, in aiuto alla
morfologia, nella distinzione tra EIN ed adenocarcinoma ben
differenziato nei casi con morfologia dubbia.
Si riconfermano il ruolo di PTEN e dello stato di espressione
dei recettori per gli estrogeni ed il progesterone nel processo
di tumorigenesi dell’adenocarcinoma endometrioide.
In questo studio è stata eseguita la prima valutazione dell’espressione del gene FHIT nelle iperplasie e nell’adenocarcinoma valutati con la classificazione iperplasia/EIN; la significatività ottenuta nel confronto tra iperplasia ed adenocarcinoma conferma il suo possibile coinvolgimento nel processo
di carcinogenesi endometriale ed offre lo spunto per approfondire il ruolo di tale oncosoppressore nella mucosa dell’endometrio.
Bibliografia
1
Baak JP, et al. Cancer 2005;103:2304-12.
2
Hecht LJ, et al. Mod Pathol 2005;18:324-30.
Tumore angiomiofibroblastoma-like degli
annessi testicolari: caso clinico-patologico
M. Muscarà, S. Valentini, C. Martinengo*, S. Cristina
S.C. Anatomia Patologica, ASL 13 Novara, Ospedale di Borgomanero; * S.C. Urologia, ASL 13 Novara, Ospedale di Borgomanero
Introduzione. Viene presentato un caso di neoplasia mesenchimale degli annessi testicolari con caratteri clinico-morfologici ed immunofenotipici affini all’angiomiofibroblastoma
vulvovaginale.
Metodi. Uomo di 52 anni sottoposto a chirurgia esplorativa
per massa scrotale indolente presente da 3 anni, circoscritta;
disomogenea all’esame US. All’esame macroscopico massa
di 5,5 cm di asse maggiore, ovalare, roseo-grigiastra, di consistenza elastica. Esame intraoperatorio: proliferazione di vasi e cellule fusate a stroma lasso senza caratteri di malignità.
Sezioni istologiche ottenute dopo fissazione in FNT ed inclusione sono state colorate con EE, Alcian Blu pH 2.2, PAS
e Gomori; indagini immunoistochimiche con anticorpi anti:
actina, desmina, CD34, S-100, vimentina, ER, PgR.
Risultati. Istologicamente si tratta di proliferazione, ben delimitata, a stroma fibro-mixoide e bassa cellularità, costituita
da cellule fusate, talora nastriformi, con nuclei allungati, prive di atipie, disposte attorno a piccoli vasi ectasici con parete ialina; assenti necrosi e mitosi. Tali elementi risultano immunoreattivi per vimentina, CD34 ed esprimono recettori per
estrogeno e progesterone. Il paziente, sottoposto a escissione
semplice della neoplasia, non presenta, a 6 mesi dall’intervento, recidive locali o metastasi.
Conclusioni. Il nostro quadro clinico-morfologico ed immunofenotipico è diagnostico di tumore “angiomiofibroblastoma-like” del tratto genitale maschile 1. Tale entità entra in
diagnosi differenziale con neoplasie circoscritte a cellule fusate quali l’emangiopericitoma, il lipoma a cellule fusate, il
mixofibrosarcoma e l’angiomixoma aggressivo. Dei 25 casi
riportati in letteratura, a nostra conoscenza, a localizzazione
scrotale o inguinale, uno solo ha presentato progressione locale. L’istogenesi proposta per questo rarissimo tumore è
quella di origine da una cellula totipotente perivascolare capace di differenziazione miofibroblastica ed adiposa.
Bibliografia
1
Laskin W, et al. Am J Surg Pathol 1998;22:6-16.
P53 e Glut-1 nei tumori della muscolatura
liscia uterina ad incerto potenziale maligno e
loro significato nella progressione
neoplastica
D. Cabibi, M. Cacciatore, A. Martorana, E. Barresi, F.
Aragona
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo
Introduzione. Le neoplasie uterine di origine muscolare
comprendono le forme benigne, i leiomiomi (L), le forme
maligne e i leiomiosarcomi (LS).
Alcuni casi, definibili come “ad incerto potenziale maligno”
sono considerate borderline (BL), non presentano i criteri minimi per la diagnosi di LS, e vengono definiti come “leiomioma atipico con basso rischio di recidiva”, o come “leiomioma con focali atipie ma per i quali l’esperienza è limitata” 1. Recentemente due markers immunoistochimici, P53 e
Glut-1, sono stati utilizzati nella diagnosi differenziale tra L
(negativi per entrambi i markers) e LS (spesso positivi per
entrambi) 2. L’origine del LS da un L pre-esistente è ritenuta
improbabile dalla maggior parte della letteratura corrente.
Scopo dello studio è quello di approfondire il profilo immunofenotipico delle forme BL con l’uso dei suddetti anticorpi,
per meglio definirne il significato istogenetico e valutarne un
eventuale ruolo nella progressione neoplastica.
Metodi. Lo studio è stato condotto su 9 casi con diagnosi
istologica di “leiomioma atipico con basso rischio di recidiva” e su 15 casi di “leiomioma con atipie focali per i quali
l’esperienza è limitata” 18 dei quali asportati con intervento
di miomectomia e 6 con isterectomia. Le sezioni con aree
maggiormente atipiche sono state sottoposte ad esame immunoistochimico con anticorpi p53 e Glut1.
Come controllo negativo sono stati usati 3 casi di L. Le aree
non atipiche delle neoplasie in studio fungevano da controllo
negativo interno. Come controllo positivo sono stati usati 3
casi di LS.
Un follow-up di due anni è stato effettuato per 12 pazienti.
Risultati. Tutti i casi esaminati mostravano focale positività
per entrambi i markers, nelle aree più atipiche. Le aree non
atipiche e i leiomiomi di controllo erano negativi.
POSTERS
236
I leiomiosarcomi mostravano positività diffusa per entrambi
i markers.
Il follow-up ha mostrato recidiva in due casi. Nessun caso ha
mostrato metastasi.
Conclusione. I BL da noi studiati presentavano focalmente
non solo caratteri istologici, ma anche immunofenotipici
maggiormente simili a quelli delle neoplasie maligne, almeno nelle aree con maggiori atipie. Queste osservazioni suggeriscono che tali neoplasie possano rappresentare una tappa
intermedia del processo multistep di progressione neoplastica, rendendo maggiormente probabile l’ipotesi dell’origine
del LS dal L.
La probabilità di recidive evidenziata nel follow-up conferma
la necessità di un corretto inquadramento al quale l’esame
immunoistochimico potrebbe apportare un valido contributo.
currence-free survival following radical prostatectomy. Further studies in larger cohorts of tissue are under way to confirm these observations.
Bibliografia
1
Bell SW, et al. Problematic uterine smooth muscle neoplasm. A clinico pathologic study of 213 cases. Am J Surg Pathol 1994;18:535-58.
2
Rao UN, et al. Comparative immunohistochemical and molecular
analysis of uterine and extrauterine leiomyosarcomas. Mod Pathol
1999;12:1001-9.
Introduzione. Nell’era della genomica funzionale risulta essenziale raggiungere un giusto equilibrio tra l’acquisizione di
tessuto ben conservato per analisi molecolari e il mantenimento della integrità istologica del tessuto. L’analisi di tessuti provenienti da 38 prostatectomie radicali consecutive ha
consentito di giungere ad individuare con precisione le aree
patologiche da campionare correlandole con i dati morfologici dell’esame patologico definitivo.
Metodi. Sono di seguito riassunte le procedure di campionamento riportate altrove in dettaglio consistenti nell’effettuare
il “whole mount sampling” con macrosezioni seriate di circa
5 mm perpendicolari all’uretra in direzione apice-base dopo
aver chinato i margini del campione. Focolai sospetti sono
prelevati tramite asportazione di frammenti di circa 1 x 1 x
0,2 cm e conservati a -80 °C.
Risultati. Si è eseguito il campionamento di 38 casi di prostatectomia radicale eseguendo 54 prelievi di neoplasia, 25 di
iperplasia, 3 di PIN. In 4 pazienti non è stato individuato il
focolaio tumorale. I focolai neoplastici variavano tra 0,1 e 10
mm di diametro interessando dal 20% al 100% del frammento asportato. In 34 pazienti (89%) è stato possibile ricostruire la presenza del tumore sulle macrosezioni allestite per preparati definitivi. Le indagini estrattive dell’Rna ottenuto dai
tessuti prelevati sono risultate soddisfacenti con l’ottenimento da 0,5 a 1 µg di Rna per mg di tessuto, avendo ottenuto da
20 a 60 mg di tessuto tumorale e da 20 a 180 mg iperplastico.
Conclusioni. a) rilevante è il vantaggio della procedura adottata rispetto a quelle di Walton e di Jhavar, che sono riusciti
ad acquisire materiale tumorale nell’83% e nel 66% dei casi
esaminati. In particolare sembra indubbia la potenzialità offerta da una osservazione diretta delle macrosezioni rispetto
a quella eseguita con agobiopsie eseguite con approccio a sestante dall’esterno per la quantità del tessuto prelevato 1 2; b)
si è sempre riusciti ad eseguire correttamente l’esame patologico definitivo ed, evitando prelievi che comprendano il margine in china, sì è sempre valutato il margine in modo adeguato; c) la conoscenza del referto istologico delle biopsie
eseguite prima dell’intervento è di aiuto nell’esame macroscopico; d) per preservare e conservare materiale per indagini molecolari il campione adeguato deve comprendere circa
1 cc di tessuto; e) il tempo di effettuazione dell’esame (20’30’) permette di preservare in modo idoneo il tessuto. per
metodiche di real time PCR o di microarrays.
TMPRSS2:ERG gene fusion expression and
prostate cancer progression
G. Nesi, L. Bonaccorsi*, M. Paglierani, L.R. Girardi, S.
Serni**, M. Carini**, E. Baldi*, G.I. Forti*, L. Luzzatto***
Department of Human Pathology and Oncology; * Department of Clinical Physiopathology, Unit of Andrology; ** Department of Critical Care Medicine and Surgery, Unit of
Urology, University of Florence, Italy; *** Istituto Toscano
Tumori, Florence, Italy
Introduction. Recent studies have reported functional fusion
of the TMPRSS2 and ERG genes with consequent ERG overexpression in a large proportion of prostate cancers. Some
data suggest that ERG expression is higher in less aggressive
prostate carcinomas while others show an association between TMPRSS2:ERG gene fusion and more aggressive disease.
Materials and methods. The TMPRSS2:ERG fusion status
was assessed in tumour samples from 84 patients undergoing
radical prostatectomy between 1998 and 2000. Sixty patients
(group A) had surgery alone, while 24 patients (group B) received androgen ablation therapy for 3 months before
surgery.
Results. The fusion of TMPRSS2 and ERG was demonstrated by reverse transcription polymerase chain reaction (PCR)
in 84% of patients in group A and in 54% of patients in group
B (p = 0.01). The levels of TMPRSS2:ERG and ERG, measured by real-time quantitative PCR, did not show significant
association with clinical and pathological characteristics of
the tumours, except for a negative correlation of ERG overexpression with Gleason score (R = 0.457; p = 0.0001), only
observed in group A. The lower proportion of patients harbouring TMPRSS2:ERG fusion in group B suggests that androgen ablation inhibits the expression of TMPRSS2:ERG,
underscoring the key role of androgen-mediated transcription
control of the gene fusion. Biochemical (PSA) recurrencefree survival was not significantly different in group A patients both with and without ERG overexpression.
Conclusions. In this specimen set, we observed that the presence of a TMPRSS2:ERG fusion did not correlate with re-
Correlazione dei dati istopatologici nel
campionamento di prostatectomia radicale
per la valutazione comparativa di dati
istopatologici e biomolecolari
M. Colecchia*, N. Zaffaroni**, M.G. Daidone**, A. Pellegrinelli, A. Carbone
S.C. Anatomia Patologica B; * S.C. Anatomia Patologica C;
**
S.C. Ricerca Traslazionale, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
Bibliografia
1
Walton TJ. Prostate 2005;64:382.
2
Jhavar SG. J Clin Pathol 2005;58:504.
POSTERS
Utilità diagnostica di CD13 e CD10 nelle
neoplasie a cellule renali
M. Brunelli, S. Gobbo, A. Eccher, A. Parisi, M. Gobbato,
D. Dalfior, M. Chilosi, F. Menestrina, G. Martignoni
Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia, Università
di Verona
Introduzione. L’utilità dell’espressione immunoistochimica
della neuropeptidasi di membrana CD10 nella diagnosi differenziale delle neoplasie a cellule renali è stata descritta. L’aminopeptidasi N/CD13 è stata riportata in alcune neoplasie
renali, tuttavia non vi è uno studio sistematico riguardo la sua
espressione nei diversi istotipi. Lo studio prende in considerazione un’ampia serie di neoplasie renali, di diverso istotipo, valutando l’immunoespressione di CD10 e CD13 e ne
compara l’utilità diagnostica.
Metodi. Abbiamo studiato 85 neoplasie a cellule renali, 38
carcinomi a cellule chiare, 16 papillari, 17 cromofobi e 14
oncocitomi, con indagine immunoistochimica per CD13
(Novocastra) e CD10 (Novocastra).
Risultati. Positività di membrana era presente in 31 dei 38
(81%) (19 con positività in > 50% delle cellule neoplastiche)
carcinomi a cellule chiare e in 11 dei 16 (68%) (9 in > 50%
delle cellule neoplastiche) carcinomi papillari mentre tutti i
carcinomi cromofobi e gli oncocitomi sono risultati negativi.
Positività al CD10 era presente in 36 dei 38 (94%) carcinomi
a cellule chiare e in 14 dei 16 (87%) carcinoma papillari. Il
CD10 era anche presente in 9 dei 17 (52%) carcinomi cromofobi e in 7 dei 14 (50%) oncocitomi.
Conclusioni. 1) il CD13 è immunoespresso in modo significativo nei carcinoma a cellule renali a cellule chiare e papillari; 2) il CD13 non è immunoespresso nei carcinoma cromofobi e negli oncocitomi, mentre il CD10 può essere presente sia nei carcinomi cromofobi che negli oncocitomi; 3)
suggeriamo di includere il CD13 nel pannello di anticorpi per
distinguere il carcinoma cellule chiare (prevalentemente
CD10+ e CD13+) dal carcinoma cromofobo (CD13 negativo
e CD10+/-).
237
mia Patologica, che prevedono prelievi della tuba e delle fimbrie con specifico report anche nei casi di routine 1.
Metodi. Abbiamo perciò studiato, a partire dal nostro data
base un campione di 200 casi consecutivi, provenienti dai
servizi di Ginecologia e Chirurgia Generale, esaminati nell’arco di circa un anno con un protocollo di report macro e
microscopico dettagliato per la tuba e le fimbrie, applicato in
routine sin dal 2005.
Risultati. La patologia principale riguardava l’utero in 109
casi (81 patologia benigna, 20 tumori maligni del corpo, e 8
CIS o ca invasivo cervice), gli annessi in 84 (54 patologia benigna, 6 tumori borderline, e 24 carcinomi primitivi) e in 7
tumori maligni extraginecologici. Complessivamente abbiamo riportato una localizzazione tubarica di tumore maligno
in 19/200 casi. Di questi 7/19 erano chiaramente metastasi: 3
da carcinoma ovarico e 4 da tumori extraginecologici. Degli
altri 12 uno è del tutto tipico: carcinoma esclusivamente tubarico, in paziente già trattata per ca mammario e BRCA2
positiva. Negli altri 11/12 coesisteva carcinoma ovarico. Per
ora altre due pazienti sono carrier di mutazioni BRCA ed altre due hanno una elevata probabilità a priori di mutazione
BRCA. Una di queste presentava carcinoma sieroso multifocale (tube, ovaie, endometrio, cervice e vagina). Altre due
erano già state operate per carcinoma mammario, ed una per
iperplasia duttale atipica.
Conclusioni. I nostri dati supportano le recenti raccomandazioni dei Direttori di Anatomia Patologica. Il dibattito sui criteri per definire la sede primitiva-ovarica vs. -tubarica si pone in metà delle pazienti con carcinoma “ovarico” e una associazione con carcinoma mammario/BRCAmut nel 30%. Peraltro in tumori extraginecologici, la coesistente localizzazione tubarica, potrebbe suggerire nuove considerazioni sul
meccanismo di diffusione, in particolare nei casi tipo c.d.
“tumore di Krukemberg”.
Bibliografia
1
Longacre TA, Oliva E, Soslow RA, Association of Directors of Anatomic and Surgical Pathology. Recommendations for the reporting of
fallopian tube neoplasms. Virchows Arch 2007;450:25-9.
Tumori della salpinge: non sono poi così rari.
Protocollo di prelievi nella routine
Cistoadenoma mucinoso dell’ovaio con
noduli murali di sarcoma
I. Padoan, S. Chiarelli, E. D’Andrea*, A.R. Parenti, V.
Ninfo
C. Manini, M. Abrate*, P.L. Montironi**, D. Stramignoni
Dipartimento di Scienze Medico Diagnostiche e Terapie Speciali, Anatomia Patologica I, Università di Padova, Azienda
Ospedaliera di Padova; * Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche, Università di Padova, Azienda Ospedaliera di Padova
Introduzione. Il carcinoma primitivo della tuba è considerato estremamente raro, anche se vi è una crescente evidenza
che, in portatrici di mutazioni BRCA, le fimbrie possono rappresentare la sede elettiva di insorgenza del tumore. In accordo con la Letteratura e il Blue Book del WHO, molti Servizi di Anatomia Patologica applicano già correntemente da
anni un protocollo di prelievi accurati delle fimbrie in casi di
BSO profilattica in portatrici di mutazioni BRCA. Anche nel
nostro Servizio questo ha consentito di evidenziare un microcarcinoma della fimbria in paziente con BRCA1 e ovaie
scleroatrofiche negative. Nel 2007 sono state pubblicate le
raccomandazioni della Associazione dei Direttori di Anato-
Anatomia Patologica, Ospedale “Santa Croce”, Moncalieri
(TO); * Anatomia Patologica, Ospedale Savigliano (CN);
**
Ostetricia e Ginecologia, Ospedale “Santa Croce”, Moncalieri (TO)
Introduzione. Riportiamo il caso di una donna di 52 anni
con lesione sarcomatosa in associazione a cistoadenoma mucinoso dell’ovaio. I tumori cistici mucinosi dell’ovaio, anche
quando benigni, possono contenere nel loro contesto noduli
murali che, in base alla loro morfologia, sono stati classificati come: noduli sarcoma-like, noduli di carcinoma anaplastico e di sarcoma. A fini prognostici è importante distinguere
queste entità e formulare una corretta diagnosi.
Metodi. La paziente giunge con addome acuto. Alla laparotomia esplorativa si rinviene massa ovarica cistica destra, lacerata, con emoperitoneo e disseminazione metastatica. Si
procede ad annessiectomia bilaterale ed omentectomia. I pezzi chirurgici vengono esaminati con colorazioni convenzionali ed immunoistochimiche.
POSTERS
238
Risultati. La lesione ovarica misura 9 cm di diametro, ha
pluriconcamerazioni ed area solida, aggettante nel lume. L’omento è ispessito, con aree emorragiche. All’esame istologico la parete della cisti risulta rivestita da epitelio cilindrico
muciparo monostratificato, privo di atipie. La superficie del
nodulo murale è in parte denudata, in parte rivestita da epitelio muciparo. Il nodulo è costituito da una popolazione di cellule pleomorfe, in parte fusate, in parte epitelioidi, con nuclei
bizzarri, nucleolati. Presenti numerose mitosi (30/10 HPF)
anche atipiche, aree di necrosi, emorragia ed invasione vascolare. L’ovaio controlaterale mostra invasione stromale da
parte della stessa componente cellulare, così come l’omento.
Nell’ovaio sinistro è presente anche tumore di Brenner benigno. Alle reazioni immunoistochimiche le cellule che compongono il nodulo murale e le disseminazioni metastatiche
sono diffusamente positive per vimentina, focalmente positive per actina e desmina, negative per citocheratina (MNF116,
AE1/AE3, 7 e 20), CEA, CA125, TTF1, WT1, c-KIT. Indice
di proliferazione Ki-67 (clone MIB-1): 90%. Si pone diagnosi di cistoadenoma mucinoso dell’ovaio con nodulo murale di
sarcoma con localizzazioni all’ovaio controlaterale e all’omento. La paziente decede per la neoplasia 10 giorni dopo
l’intervento.
Conclusioni. Lo studio della morfologia e degli indici di proliferazione cellulare permette di definire la natura maligna
della lesione in accordo con i dati clinici. L’immunofenotipo
consente di stabilire l’origine mesenchimale della neoplasia.
Validazione istologica delle immagini RM
pesate in diffusione nella identificazione
della neoplasia prostatica
G. Bovo, A. Abate*, P. Vigan**, G.R. Strada**, G. Cattoretti, S. Sironi*
U.O. di Anatomia Patologica; * Dipartimento di Diagnostica
per Immagini; ** U.O. di Urologia, A.O. “San Gerardo” di
Monza, Università “Bicocca”, Milano
Introduzione. Validazione istologica delle immagini di Risonanza Magnetica (RM) pesate in diffusione (DWI) nella
identificazione e stadiazione locoregionale della neoplasia
prostatica insorta in zona periferica.
Metodi. Sono stati valutati con studio RM (1,5 T) e sequenze DWI (0-700 b-value), 28 pazienti consecutivi (età media
65 anni, range 55-76) con PSA compreso tra 3,7 e 80 ng/ml
(valore medio 9,98 ng/ml) e biopsia positiva per adenocarcinoma prostatico. I pazienti sono stati quindi sottoposti a prostatectomia radicale. Tecnica di riferimento per la validazione delle immagini è stato l’esame istologico del pezzo operatorio con allestimento di macrosezioni seriate. Sia le macrosezioni che le ricostruzioni d’immagine sono state condotte
secondo i medesimi piani. Ogni sezione è stata suddivisa in 3
aree (anteriore, laterale e posteriore) per ciascun lobo e classificata in relazione alla posizione nella ghiandola (apicale,
medioghiandolare, basale) per un totale di 18 sottoaree. Si
sono confrontate le immagini DWI-T1-T2 con i preparati
istopatologici valutando sede, numero, dimensioni e livello
di invasione loco-regionale delle lesioni.
Risultati. Tutti i pazienti presentavano all’esame RM con sequenze DWI alterazioni di segnale compatibili con lesioni
neoplastiche a livello della porzione periferica della prostata.
In particolare sono state rilevate 54 lesioni nei 28 pazienti
corrispondenti a 110 sottoaree; dimensioni: 3-70 mm; 19 pa-
zienti (67,9%) con lesione multicentrica bilaterale e 9
(32,1%) monofocale. 24 pazienti presentavano malattia organo-confinata, 2 invasione della zona di transizione (1 con interessamento del collo vescicale), 2 pazienti interessamento
delle vescicole seminali. Si è evidenziata una buona corrispondenza tra le lesioni documentate alle macrosezioni istologiche e le aree di alterato segnale riconoscibili allo studio
RM DWI (sensibilità 94%; specificità: 93%), con differenze
prevalentemente riconducibili alle dimensioni dei focolai.
Conclusioni. Il confronto di macrosezioni istologiche di prostata con immagini di RM DWI convalida la buona accuratezza diagnostica del metodo di imaging nell’identificazione
e stadiazione locoregionale delle neoplasie prostatiche della
zona periferica, fornendo all’urologo un mezzo aggiuntivo
nella decisione terapeutica (chirurgia vs. radioterapia vs. HIFU e, in caso di chirurgia, nerve o bladder-sparing).
Neoplasie incidentali di prostata in
cistectomia radicale
G. Bovo, M. Casu*, G. Cattoretti, G.R. Strada*
U.O. di Anatomia Patologica, * U.O. di Urologia; A.O. “San
Gerardo” di Monza, Università “Bicocca”, Milano
Introduzione. Tecniche chirurgiche di cistectomia con risparmio parziale o totale della prostata per conservazione
della potenza sessuale sono in corso di definizione. Necessita il calcolo del rischio in questi pazienti in seguito alla validazione della presenza di neoplasia prostatica residua.
Metodi. Da novembre 1995 a giugno 2005 sono state esaminate con studio prospettico 204 cistectomie radicali condotte
per carcinoma uroteliale senza nota patologia prostatica associata. Ogni prostata è stata campionata secondo protocollo
standard in macrosezioni seriate di 4 mm di spessore e processata secondo metodiche di routine. L’indagine microscopica è stata eseguita da un patologo esperto in uropatologia.
Per ogni adenocarcinoma prostatico si è registrato il numero
di foci, la sede, il grado di differenziazione, il volume neoplastico, lo stadio, l’associazione con HGPIN.
Risultati. L’adenocarcinoma prostatico è stato riscontrato in
81 su 204 pazienti (39,7%). Focolai di HGPIN presenti in 101
casi (49,5%): 56 su 81 (69,1%) pazienti con cancro e 45 su
123 (36,5%) pazienti negativi. Età media: pazienti con cancro 70,7 ± 9 anni (range 42-86) e pazienti negativi 64,92 ± 10
anni (range 36-89) (p = ns). PSA pre-operatorio: 2,46 ± 2,17
ng/ml (range 0,19-6) pazienti non neoplastici; 1,90 ± 1,7
ng/ml (range 0,1-5,6) pazienti con adenocarcinoma (p = ns).
Indice di Gleason (GI): GI 4-5: 31 casi (39%); GI 6: 39 casi
(31%); GI 7: 6 casi (8%); GI 8-10: 3 casi (4%). Nel 55,7% dei
casi la lesione è unifocale, nel 44,3% plurifocale fino ad un
massimo di 12 foci; 100% di neoplasie in zona periferica,
20% di localizzazioni all’apice. Il volume medio calcolato su
56 neoplasie prostatiche è risultato di 0,89 ± 1,36 cc, range
0,03-7 cc; 58% volume inferiore a 0,5 cc. Distribuzione per
stadio: pT2a 59%, pT2b 5%, pT2c 24%, pT3a 8%, pT3b 1%,
pT4 3%; in 2 casi margini di resezione chirurgici positivi all’apice; presenza di 2 casi con micrometastasi a 1 linfonodo;
non documentate metastasi a distanza.
Discussione. Dai nostri dati emerge la necessità di un campionamento estensivo della prostata in corso di cistectomia
per una corretta stadiazione di neoplasia incidentale.
Risulta inoltre chiaro che solo l’escissione completa della
prostata permette di evitare la permanenza di cancro prosta-
POSTERS
tico in sede; tuttavia in casi selezionati (potenza sessuale dimostrata) si può accettare un intervento conservativo solo dopo attuazione di tutte le tecniche atte ad escludere una neoplasia prostatica in atto.
La perdita del 9p è un fattore prognostico nei
pazienti affetti da carcinoma a cellule chiare
del rene
A. Eccher*, M. Brunelli*, S. Gobbo*, P. Cossu-Rocca**, V.
Ficarra***, F. Zattoni* ****, F. Bonetti*, F. Menestrina*, G.
Martignoni*
*
Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia, Università di Verona; ** Università di Sassari; *** Dipartimento di
Scienze Oncologiche e Chirurgiche, Università di Padova;
****
Clinica Urologia, Università di Verona
Introduzione. Sono stati recentemente descritti diversi modelli prognostici in casistiche di pazienti affetti da carcinoma
a cellule renali tra cui l’SSIGN (stage, size, grade, necrosis)
score. Tali modelli prendono in considerazione diversi parametri clinico-patologici, ma non anomalie cromosomiche. La
perdita del cromosoma 9p è stata descritta nella progressione
dei carcinomi a cellule chiare del rene. Abbiamo valutato il
valore prognostico del riscontro di tale perdita in un gruppo
di pazienti affetti da carcinoma a cellule chiare con diverso
SSIGN score e se tale informazione poteva essere ottenuta
valutando soltanto i minuti frammenti di carcinoma di un tissue array.
Metodi. 73 pazienti con diverso SSIGN score sono stati studiati con metodica di ibridazione in situ fluorescente (FISH).
Sono stati costruiti cinque tissue array includendo 3 core di
tessuto neoplastico e 2 di parenchima normale. L’analisi è
stata eseguita anche su 17 sezioni di carcinoma.
Risultati. La perdita del 9p è stata riscontrata in 13 casi
(18%); un singolo segnale fluorescente è stato osservato in
44-66% (media 54%) delle cellule neoplastiche nei tissue array, e in 39-69% (media 55%) di quelle su sezione di tessuto. La probabilità di sopravvivenza cancro-specifica a 5 anni
è risultata del 43% in quelli con perdita rispetto all’88% in
quelli con normale corredo cromosomico (p < 0,001). L’estensione locale (2002 TNM), lo stato linfonodale e la presenza di metastasi sono state variabili predittive di sopravvivenza cancro specifica all’analisi univariata. La perdita del
9p è risultata un valore prognostico indipendente anche all’analisi multivariata.
Conclusioni. 1) la perdita 9p ottenuta con analisi FISH è una
informazione prognostica aggiuntiva a quelle tradizionali incluse nel SSIGN score; 2) la valutazione del 9p su tissue array è sovrapponibile a quella riscontrata sull’intera sezione.
Utilità diagnostica della valutazione della
ploidia con citometria a flusso nella diagnosi
differenziale delle neoplasie a cellule renali
C. Parolini, A. Eccher, M. Brunelli, S. Gobbo, M. Chilosi,
F. Menestrina, G. Martignoni
Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia, Università
di Verona
Introduzione. Sebbene di recente siano stati descritti i caratteri genetici, morfologici e prognostici che identificano le
239
differenti neoplasie a cellule renali, non infrequentemente la
diagnosi differenziale istopatologica tra esse risulta difficoltosa in particolare quella tra carcinoma cromofobo e oncocitoma. Numerose tecniche sono state utilizzate a tal fine sia
utilizzando tessuto “fresco” che incluso in paraffina le più recenti delle quali hanno avuto quale obiettivo l’identificazione del differente assetto cromosomiale, numerico e/o qualitativo. Il contenuto di DNA tramite la valutazione della ploidia
è un parametro indiretto di aberrazioni genomiche. L’obiettivo di questo studio è la valutazione della ploidia delle più frequenti neoplasie a cellule renali al fine di evidenziarne una
potenziale applicazione diagnostica.
Metodi. Sono state studiate 44 neoplasie a cellule renali: 24
carcinomi a cellule chiare (dieci G1, sei G2, sette G3, un G4),
5 carcinomi papillari, 9 carcinomi cromofobi e 6 oncocitomi.
La citometria a flusso è stata eseguita su materiale fissato in
formalina ed incluso in paraffina in 39 casi ed in 5 casi su
materiale congelato. Sono stati considerati aneuploidi i tumori in cui il rapporto tra il contenuto di DNA del campione
e quello di riferimento (diploide) era diverso da uno.
Risultati. Tutte le neoplasie, ad accezione di un carcinoma
papillare hanno prodotto un istogramma del DNA interpretabile. La citometria a flusso ha evidenziato un pattern diploide in 19 dei 24 carcinomi a cellule chiare (79%). In 4 dei 7
G3 (57%) si rilevava aneuploidia (DNA index 1,7-1,9). In un
caso si rilevava diploidia con aumento della fase S. In 2 dei
4 carcinomi papillari era presente diploidia mentre nei due rimanenti aneuploidia, rispettivamente ipodiploidia e iperploidia. Sei degli 9 casi (67%) di carcinoma cromofobo presentavano aneuploidia (in 2 triploidia e in 4 iperploidia, DNA index 1,5-1-94). Tutti gli oncocitomi presentavano diploidia ed
in 3/6 un aumento della fase S e G2M.
Conclusioni. La valutazione della ploidia con citometria a
flusso è un utile ausilio nella diagnosi differenziale tra oncocitoma e carcinoma cromofobo poiché l’oncocitoma è costantemente diploide mentre il carcinoma cromofobo nella
maggior parte dei casi è risultato aneuploide.
Neoplasia vescicale a cellule chiare: caso con
insolito fenotipo
C. Bozzola, G. Marchioro*
Dipartimento di Scienze Mediche, Università del Piemonte
Orientale “Amedeo Avogadro”, Novara, Italia; ** Divisione
di Urologia, Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità”,
Novara, Italia
Introduzione. Le neoplasie della vescica sono per oltre il
90% costituite da carcinomi uroteliali con numerose varianti
istologiche di diversa valenza prognostica. Si riporta il caso
di un’inusuale neoplasia in un maschio di 63 anni, manifestatasi con episodi di macroematuria. L’esame cistoscopico
dimostrava formazioni polipoidi sessili, risultate all’esame
istologico di natura neoplastica con infiltrazione della tonaca
muscolare. In seguito al riscontro TAC di un ispessimento
diffuso della parete vescicale, fu eseguita cistectomia radicale con prostatectomia.
Materiali e metodi. I prelievi bioptici ed il materiale chirurgico sono stati sottoposti ad indagine istologica ed immunoistochimica (IIC) con anticorpi anti-panCK, CK7, 8, 19, 20,
S-100, HMB45, Vimentina, PSA, Synaptofisina, CD68.
Risultati. Alla biopsia era evidente la concomitante presenza di un carcinoma uroteliale papillare di alto grado e di una
POSTERS
240
proliferazione di cellule a citoplasma chiaro finemente vacuolizzato, disposte in nidi solidi nella muscolatura. All’esame del materiale chirurgico il carcinoma uroteliale tipico non
era più riscontrato (residuavano focolai di displasia dell’epitelio superficiale) e la proliferazione di cellule chiare risultava infiltrare estesamente la parete vescicale a tutto spessore,
senza coinvolgere la prostata che appariva iperplastica. Il caso si presta ad una articolata diagnostica differenziale, poiché
cellule chiare possono costituire neoplasie sia secondarie (in
particolare metastasi di carcinomi renali e prostatici), sia primitive epiteliali (carcinomi uroteliali a cellule chiare, “lipidrich”), ma anche di altra origine (paraganglioma, emangioendotelioma epitelioide). L’indagine IIC dimostrava un
fenotipo epiteliale associato all’insolita positività per vimentina, compatibile anche con l’origine renale, esclusa per il carattere diffuso a tutta la parete vescicale della neoplasia e all’assenza di neoplasie renali al momento dell’intervento e al
follow-up. Si concludeva per una neoplasia epiteliale primitiva.
Conclusioni. Il caso va considerato parte dell’esiguo gruppo
di carcinomi a cellule chiare della vescica, peraltro con quadri, sia istologici (aspetto microvacuolare simil-macrofagico
del citoplasma), sia immunoistochimici (vimentina+), che si
discostano da quanto riportato in letteratura, ponendo il problema di una possibile nuova variante.
Expression of maspin in papillary pTa/T1
bladder tumors
E. D’Alessandro, W. Battanello*, M. Repele*, S. Blandamura
Section of Pathological Anatomy, Department of MedicoDiagnostic Sciences and Special Therapies, University of
Padova; * Section of Urology, “Sant’Antonio” Hospital, Padova, Italy
Introduction. In the present study we have evaluated maspin
expression in bladder urothelial papillary tumors, and have
correlated the results with clinico-pathological parameters.
Materials and methods. We evaluated 111 urothelial tumors
from 66 patients: pathological examination of primary tumors disclosed 48 pTa and 18 pT1, with a grading distribution of 14 papillary urothelial tumors of low malignant potential (PUNLMP), 31 low-grade (LG) papillary urothelial
carcinomas and 21 high-grade (HG) papillary carcinomas.
Thirty-three patients with primary pTa papillary tumors
(68.7%) and 11 out of 18 with pT1 (61%%) had subsequent
relapses. For maspin immunoreactivity (IR), a double count
was performed: 1) percentage of positivity, and 2) pattern and
intensity of staining. Starting from the second type of evaluation, four reactivity patterns were identified and used for
statistical analysis. The following tests were used, where appropriate: Fisher’s exact test, Cramer’s correlation coefficient, and Kendall’s test for ordered categorical data. The following multi-parametric models were used when appropriate: Cox’s proportional hazards (HR) model for survival time
(time-to-event) outcomes on one or more predictors; logistic
regression model, expressed as odds ratio (OR) to predict
disease progression.
Results. Some papillary tumors did not express maspin at all
(pattern a; 12%), most papillary tumors showed maspin-positive IR in the basal, supra-basal, and sometimes intermediate layers, lacked staining of the superficial layer, or showed
Tab. I. Maspin pattern distribution related to histological grade.
Maspin pattern
HG
LG
PUNLMP
Total
pattern
pattern
pattern
pattern
Total
13
2
13
10
38
6
32
10
1
49
7
16
1
0
24
26
50
24
11
111
a
b
c
d
only weak (+/-) intensity (pattern b; 50%). Other cases
showed positive reactions throughout the epithelial layers,
with strong staining (pattern c; 27%), and others showed IR
at the margin of neoplastic clusters (pattern d; 10%) (Tab. I).
A statistical association was found between maspin pattern
and pT (Fisher’s exact test: p = 0.000, Cramer’s correlation
coefficient: 0.580), maspin pattern and histological grade
(Fisher’s exact test: p = 0.000, Cramer’s correlation coefficient: 0.585) and maspin pattern and nuclear staining (Fisher’s exact test: 0.018, Cramer’s correlation coefficient: 0.2).
With Cox’s regression model correlated to the time of first relapse, maspin was < 60% had an HR of 2.01 (p = 0.027; 95%
confidence interval [CI]: 0.810-3.701) and the logistic regression model gave the following result related to the progression of disease: maspin < 60%: OR = 8.61 (p = 0.01; CI:
1.501-4.701).
Conclusions. In papillary urothelial tumors, the distribution
pattern of maspin is associated with histological grade and
pathological stage, probably reflecting its different activities
in the neoplastic process.
Alterazioni citogenetiche nel mesotelioma
maligno primitivo e ricorrente della tunica
vaginale del testicolo (MMTVT): presentazione
di un caso
A. Scattone, M. Criscuolo*, M. Gentile**, E. D’Ambrosio***, A. Palombo***, A.L. Buonadonna**, G. Serio
Dipartimento di Anatomia Patologica, Università Bari;
*
Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “Perrino”,
Brindisi; ** Servizio di Genetica Medica, Ospedale “Di Venere”, Carbonara (BA); *** Servizio di Anatomia Patologica,
Ospedale “V. Fazzi”, Lecce
Il MMTVT è un tumore raro, altamente fatale, non asbestocorrelato, non indagato geneticamente. Recidiva locale e metastasi rappresentano i principali aspetti clinici di una malattia resistente ai comuni trattamenti terapeutici. Studi di citogenetica sono stati condotti su molti casi di mesotelioma maligno della pleura e del peritoneo al fine di identificare i meccanismi molecolari della tumorigenesi e della progressione
della malattia. In un caso di MMTVT occorso alla nostra attenzione, abbiamo ricercato con metodica CGH la presenza
di possibili alterazioni genetiche nel tumore primitivo e nella sua recidiva.
Metodi. Nell’agosto 2002 un uomo di 80 anni veniva ricoverato nel reparto di Urologia dell’Ospedale “V. Fazzi”, (Lecce) per una tumefazione dolente nello scroto destro. L’ecografia evidenziava idrocele con ispessimento della tunica vaginale; il testicolo appariva indenne. All’esplorazione chirurgica erano presenti micronoduli (2-3 mm) disseminati sulla
POSTERS
sierosa e si eseguiva una resezione parziale della stessa. L’istologia poneva diagnosi di mesotelioma maligno epitelioide
con pattern di crescita prevalentemente tubulo-papillare. Si
procedeva successivamente ad una orchiectomia monolaterale. Nessun trattamento chemio/radioterapico veniva effettuato. Nell’ottobre 2003 il paziente veniva sottoposto a nodulectomia per recidiva locale sulla tonaca vaginale residua. All’esame istologico la diagnosi era di mesotelioma bifasico.
Nel dicembre 2005 per la comparsa di una massa (13 cm) nei
tessuti molli scrotali veniva effettuata una emiscrotectomia
destra e la diagnosi istologica confermava la recidiva di mesotelioma. All’ultimo follow-up (nov. 2006) il paziente risultava vivo con malattia. All’anamnesi nessuna esposizione all’asbesto veniva rilevata. Su campione paraffinato è stata
condotta l’analisi CGH.
Risultati. Alterazioni cromosomiali sono state osservate: le
perdite erano più frequenti delle amplificazioni. Del 1p22.234.3, 4p12-q13.1, 6q23-26, 9q12-21.3, 22q12.2-ter nel tumore iniziale. Del 1p22.2-34.3, 5q35.2-35.3, 9q12-21.3, q33.333.4, 12q23.3-24.3, 15, 16p11.2-13.3, q12.1-24.3, 19p13.313.4, 20p13, 21q22.1-22.3, 22q11.2-13.3 nella recidiva.
Conclusioni. Alterazioni cromosomiali ricorrenti tipiche del
profilo genetico del mesotelioma sono state individuate. Un
maggiore accumulo di delezioni era presente nelle recidive,
evidenziando che un aumento dell’instabilità genetica può
essere responsabile della progressione della malattia.
Metastasi endometriali da neoplasia
extragenitale
P. Mercurio, D. Corti, F. De Trovato, A. Deiana, A. Gianatti, E. Pezzica
Struttura Complessa di Anatomia Patologica e Citologia
Diagnostica, Azienda Ospedaliera “Treviglio Caravaggio”,
Treviglio (BG)
Introduzione. La diagnosi di metastasi endometriali da neoplasia extragenitale è apparentemente ovvia ma può diventare problematica quando deve essere posta su biopsie endometriali eseguite perlopiù in isteroscopia per sanguinamento
uterino anomalo.
I problemi diagnostici sono legati principalmente alla scarsità del materiale e alla mancanza di dati anamnestici.
Dall’analisi della letteratura l’evento è raro. In ordine decrescente i tumori più frequenti sono il carcinoma della mammella, dello stomaco, del colon e del pancreas. Anche il melanoma può raramente metastatizzare all’endometrio.
Metodi. Riportiamo tre casi paradigmatici di metastasi endometriali da carcinoma lobulare della mammella (Caso 1, 9
anni dopo la diagnosi del primitivo); da carcinoma gastrico a
cellule ad anello con castone (Caso 2, 3 anni dopo la diagnosi del primitivo) e da melanoma cutaneo (Caso 3, 18 mesi dopo la diagnosi del primitivo). Tre pazienti rispettivamente di
67 aa (Caso 1), di 64 aa (Caso 2) e di 62 aa (Caso 3), che si
presentano all’ambulatorio di isteroscopia per perdite ematiche atipiche. All’isteroscopia canale cervicale regolare, endometrio atrofico, orifizi tubarici regolari, neoformazione
endometriale polipoide del fondo nel caso 2 e 3. Nessuna notizia anamnestica al momento dell’isteroscopia.
Risultati. L’aspetto morfologico fondamentale per riconoscere una neoplasia metastatica su biopsia endometriale nei
tre casi riportati è il pattern diffusamente infiltrante con rispetto delle ghiandole endometriali associato a permeazione
di spazi vascolari linfatici. Il riconoscimento dell’istotipo è
241
facile a forte ingrandimento per la morfologia tipica riconoscibile in E.E. ed è confermato dalle comuni indagini istochimiche ed immunoistochimiche. Considerando che spesso
non si hanno notizie anamnestiche è necessario prendere in
considerazione anche la possibilità di lesione metastatica
quando si osserva un endometrio apparentemente atrofico.
Quando le notizie cliniche confermano la neoplasia primitiva
extragenitale, di regola alle metastasi endometriali sono associate metastasi ovariche.
Conclusioni. Le metastasi endometriali da neoplasia extragenitale sono peculiarità di stadi avanzati e verosimilmente
sono sottostimate.
In letteratura sono riportati perlopiù casi di carcinoma della
mammella. Le segnalazioni di primitività gastrica sono sporadiche. Il carcinoma a cellule ad anello con castone può anche essere primitivo dell’endometrio come descritto da Robboy nel 1997.
A favore della primitività endometriale sono fondamentali i
dati clinici (assenza di tumore primitivo in altra sede e di malattia disseminata, assenza di interessamento ovarico, liquido
peritoneale negativo) e la presenza di adenocarcinoma endometrioide tipico associato alla componente ad anello con castone evidenziabile più facilmente su pezzo operatorio che su
materiale bioptico. Alterazioni benigne delle cellule stromali
endometriali che possono simulare un carcinoma metastatico
sono le cellule vacuolate deciduali e gli istiociti stromali vacuolati già descritti da Clement and Scully nel 1988 e da Jacques nel 1996.
Il traffico nucleo-citoplasma di PVHL e di HIF1alfa nella carcinogenesi del carcinoma
renale a cellule chiare
C. Di Cristofano, A. Minervini*, F. Lessi, M. Menicagli***,
G. Bertacca, P. Collecchi, R. Minervini**, M. Carini*, G.
Bevilacqua, A. Cavazzana
Dipartimento di Oncologia, Divisione di Anatomia Patologica e di Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Università di Pisa ed Azienda Ospedaliera Pisana, Pisa; * Dipartimento di Urologia, Università di Firenze, Ospedale di Careggi, Firenze; ** Dipartimento di Chirurgia, Divisione di
Urologia, Università di Pisa ed Ospedale Universitario di
Pisa; *** MGM, Istituto di Medicina e Genetica Molecolare,
Pisa
Introduzione. L’inattivazione del gene Von Hippel-Lindau
(VHL) è l’alterazione più frequente nel carcinoma renale a
cellule chiare (cRCC). Sono stati descritti due prodotti di
VHL: VHL30 e VHL19 come risultato di un inizio alternativo della trascrizione. VHL30 è associata alla stabilità del citoscheletro; VHL19 è una ligasi che promuove la degradazione del fattore indotto dall’ipossia-1alfa (HIF1α).
HIF1 è composto da una subunità α e ß. HIF1ß è un recettore di traslocazione nucleare aril-carbonilico (ARNT) ed è costitutivamente espresso; l’espressione di HIF1α è regolata
dai livelli di O2.
Con livelli normali di O2 HIF1α dopo idrossilazione del dominio di degradazione ossigeno-dipendente (ODD) è ubiquitinilato nel nucleo da VHL ed esportato nel citoplasma per la
degradazione proteosomica.
In ipossia l’interazione VHL/HIF1α è abrogata e HIF1α si
complessa con l’ARNT ed attiva nel nucleo geni bersaglio.
Lo studio analizza l’inattivazione di VHL, un polimorfismo
(SNP) di OOD nel cRCC, correlando le alterazioni geniche,
POSTERS
242
le espressioni proteiche e la localizzazione cellulare con la
prognosi.
Materiali e metodi. È stato effettuato uno studio IIC su microarrays tissutali di 136 cRCC intracapsulari (8 aa di follow-up) utilizzando due anticorpi (Ab) antiVHL (cloni Ig32
ed Ig33), che riconoscevano entrambe le proteine o solo
VHL30, ed uno antiHIF1α.
Sono state indagate le mutazioni e lo stato di metilazione del
promotore di VHL, il SNP del codone 582 di HIF1α e lo
squilibrio allelico (LOH) del locus 3p25. I risultati sono stati
correlati con la sopravvivenza tumore-specifica (TSS).
Risultati. La maggioranza dei casi presentava una positività
citoplasmatica per tutti gli Ab utilizzati, associata ad una localizzazione nucleare nel caso di HIF1α. I casi VHL negativi erano associati ad un’alta espressione di HIF1α. La negatività di VHL e la positività nucleare di HIF1α erano correlate ad una minore TSS (p = 0,007; p = 0,005).
Le mutazioni di VHL erano presenti nel 51% dei casi. LOH
e metilazione erano presenti nel 38% ed 11% dei casi. Pazienti con mutazioni frameshift avevano un minore TSS.
L’87% dei casi VHL negativi presentavano mutazioni. Il SNP
era associato alla sola localizzazione citoplasmatica di HIF1α.
Conclusioni. Le alterazioni di VHL ed HIF1α influenzano
l’espressione e la localizzazione cellulare dei loro prodotti.
Tale espressione è coinvolta nella progressione tumorale. Il
traffico nucleo-citoplasma di VHL ed HIF1α svolge un ruolo nella carcinogenesi dei cRCC.
Subepithelial haematoma of the renal pelvis
(Antopol-Goldman lesion)
A. Eccher, M. Brunelli, A. Polara*, M. Amenta*, S. Gobbo, M. Pea, F. Bonetti, G. Grosso*, F. Menestrina, G. Martignoni
Dipartimento di Patologia, Anatomia Patologica, Università
di Verona; * U.O. Urologia, Clinica Pederzoli, Peschiera del
Garda, Verona, Italia
Introduction. Subepithelial haematoma of the renal pelvis
(Antopol-Goldman lesion) 1 is a rare lesion of the kidney that
may clinically mimic renal cell or pelvic neoplasm. Haematuria, flank pain and filling defect in the renal pelvis are the
most consistent recurring clinical and radiological findings.
It has been suggested that analgesic abuse may be a significant factor because it results in prominent renal vascular proliferation 2.
Methods. We describe the clinico-pathological findings of a
well-demarcated mass-forming subepithelial haematoma of
the renal pelvis simulating a renal cell neoplasm.
Results. A 76-year-old man presented with flank pain and
haematuria. Computerized tomography revealed an hypodense lesion of 6 cm compressing the renal pelvis. A renal
cell neoplasm was suspected. The patient underwent
nephroureterectomy. Macroscopically, a well-demarcated
mass of six centimeter as maximum diameter, with a darkbrown color appearance, immediately adjacent to the pelvicaliceal system, was present. Microscopically, the lesion was
composed by a mixture of haemorragic and fibrinoid material with feature of an organizing haematoma. The renal cortex
did not reveal any histopathological abnormalities. The
pelvic mucosa was hyperaemic but no atypia was revealed
along the urothelium. History was not significant for trauma,
oral anticoagulative treatment or analgesic abuse. Interest-
ingly, a diffuse deposition of amyloid in renal and extrarenal
small and medium vessels was appreciated and verified by a
positive Congo Red staining with typical birefringence under
polarized light. Because of the misleading view of this organizing haematoma at computerized tomography, the lesion
was diagnosed as renal cell neoplasm however the pathological pathological findings were conclusive for subepithelial
haematoma of the renal pelvis (Antopol Goldman lesion).
Conclusions. Subepithelial haematoma of the renal pelvis
(Antopol Goldman lesion) is a rare benign lesion. The preoperative diagnosis is difficult because it may simulate a renal cell or pelvic neoplasm. This case interestingly showed a
diffuse deposition of amyloid in the renal and extrarenal
small and medium vessels. We recommend that subepithelial
haematoma of the renal pelvis should be kept in mind by both
radiologist and pathologist, if a localized lesion is suspected
in the kidney especially with an history of analgesic abuse or
a systemic amyloidosis.
References
1
Antopol W, Goldman L. Urol Cutan Rev 1948;52:189.
2
Demirkan NC, et al. Histopathology 1999;35:282-3.
Markers of DNA-replication licensing systems
in cervical dysplasia
S. Rossi, M. Pedriali*, I. Nenci*
Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Medicina di Laboratorio, Anatomia Istologia e Citologia Patologica, Az.
Ospedaliera Universitaria di Ferrara; * Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Università di Ferrara,
Italia
Introduction. We evaluate if ProExC (MCM2, TOP2A)
could be a clinically significant marker of squamous dysplasia and of its progression and regression and useful for
adressing the treatment. We compare ProExC-expression
with Ki-67 and p16.
Materials and methods. 71 cases from patients with diagnosis of CIN1, CIN2 and CIN3. The samples included one or
more degrees of squamous dysplasia. Referring to the highest degree of dysplasia, we studied 17 CIN1, 24 CIN2 and 30
CIN3. Sections of 3-4 microns from archival tissue blocks
were submitted to immunohistochemical reaction for ProExC
(MCM2, TOP2A; TriPath Inc), p16INK4a (16P04;Cell Marque) and Ki-67 (MIB-1; Dako) with Ventana Benchmark XT
and to hybridization in situ for HR-HPV (INFORM HPV I
HR Probe). Cells labelled by ProExC and Ki-67 display a
brown nuclear staining with ultraViewDAB (Ventana) and by
p16INK4a a brown nuclear and cytoplasmic staining. Specimens positive for HR-HPV show blue nuclei or small blue
dots over nuclei. Quantitative assessment of ProExC and Ki67 staining with the Ventana Image Analysis System (VIAS)
and semi-quantitative (negative ≤ 1%; sporadic 2-5%; focal
6-25%; diffuse > 25%) evaluation of p16 were performed.
Results. ProExC: CIN1 showed lower ProExC expression
(19%) compared with CIN2 (58,5%) and CIN3 (82,5%) (p <
0.001). ProExC values of all CIN, reported on the histograms, showed a bimodal distribution with two peaks respectively around 20% and 70%, with a huge drop around
30% positive cells. CIN categories were differently represented within each area of the graph: CIN1 were concentrated in the former area with ProExC lower than 30% and CIN2
and 3 in the latter one with ProExC higher than 30%, CIN2
POSTERS
243
prevalently in the first half and CIN3 in the second half of the
same peak. MIB-1: Ki-67 also showed a lower median value
in CIN1 than in CIN2 and CIN3. The distribution of Ki-67
values was continuous with a concentration of CIN1 in a defined area of the graph but with an overlapping of higher degree of dysplasia. P16: CIN1 showed a lower p16 expression
(17.64%) than CIN2 and CIN3 (100%) (p = 0.000). The staining was diffuse in 83.33% of CIN2 and in 100% of CIN3 and
present in the lower two thirds in CIN2 and also in the higher third to full thickness in CIN3.
Conclusions. ProExC and p16 may be able to discriminate
better between lesions with low and high risk of progression
to carcinoma than MIB-1.
Acknowledgments. Mrs. R. Parolini, and Dr. C. Zampini,
TSLB, for technical assistance.
Ruolo prognostico di osteopontina e BSP nel
carcinoma a cellule renali
*
E. Bollito, C. Terrone , V. Tavaglione, L. Righi, P. Ceppi,
L. Chiusa***, A. Volpe**, M. Volante, F. Porpiglia**, M. Papotti
S.C.D.U. Anatomia Patologica e * Urologia, Ospedale “San
Luigi Gonzaga” e Università di Torino, Orbassano (TO); **
S.C.D.U. Urologia, Ospedale Maggiore “La Carità” e Università del Piemonte Orientale, Novara; *** S.C.D.U. Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore “San Giovanni Battista”, Torino
Introduzione. Nel seminoma di tipo classico aspetti periferici di crescita intertubulare possono essere identificati e non
presentano difficoltà interpretative. L’esclusiva crescita interstiziale del seminoma è invece assai rara 1 e può causare
difficoltà diagnostiche particolarmente insidiose all’esame
intra-operatorio (EI), anche perché si osserva usualmente in
lesioni piccole (da distinguere da lesioni benigne suscettibili
di chirurgia conservativa), spesso di difficile interpretazione
in assenza di orientamento clinico preciso.
Metodi. Riportiamo il caso di un 40enne con orchialgia da
circa 2 mesi, già sottoposto in altra sede a visite ed ecografia
non dirimenti. Nel corso del ricovero presso il nostro Ospedale il Paziente venne nuovamente sottoposto a test diagnostici documentando reperto palpatorio dubbio, evidenza ecografica di area isoecogena sospetta, ma non certa per neoplasia, marcatori sierologici in limiti. Fu eseguito intervento
esplorativo con EI su un frammento ocraceo di 12 mm, consistenza aumentata e colorito indistinguibile dal parenchima
testicolare normale.
Risultati. All’EI si riscontrò un infiltrato cellulare interstiziale, con scarsa fibrosi tra tubuli seminiferi con spermiogenesi conservata sino a nemaspermi. Le ipotesi differenziali
furono quelle di flogosi ed iperplasia di cellule di Leydig tra
le lesioni benigne, e di linfoma o seminoma tra le neoplasie
maligne (si favorì un giudizio di malignità all’EI). L’esame
istologico ed il profilo immunoistochimico (CD117+/PLAP+)
confermarono il sospetto di seminoma a crescita interstiziale;
campi di atrofia e neoplasia in situ furono osservati nel parenchima extra-lesionale.
Conclusioni. La rara eventualità della esclusiva crescita interstiziale del seminoma (in assenza di nodo o massa tumorale) deve essere considerata nella valutazione di EI di lesioni testicolari piccole, dubbie all’ecografia e con sierologia
negativa. In tali forme, architettura tubulare e spermatogenesi possono essere conservate. Caratteri nucleari e valutazione
comparativa con i linfociti associati agevolano la distinzione
da forme infiammatorie e linfomatose. Inoltre i caratteri di
aggregazione cellulare e morfologia dei citoplasmi (più ampli e vescicolosi, meno eosinofili) e dei nuclei (atipici con
nucleoli evidenti) ed eventuali cariocinesi consentono la distinzione da lesioni di cellule di Leydig.
Bibliografia
1
Henley JD, et al. Am J Surg Pathol 2004;28:1163-8.
L’immunoistochimica nella diagnosi
differenziale tra oncocitoma e carcinoma a
cellule renali cromofobe: esperienza
dell’Anatomia Patologica di Savona
A. Dellachà, E. Venturino, M. Benvenuto, S. Ardoino, L.
Caliendo, C. Marino, A. Pastorino
Anatomia Patologica, Ospedale “S. Paolo”, ASL2 Savona
Introduzione. La distinzione tra carcinoma a cellule renali
cromofobe (CRCC) ed oncocitoma renale (RO) risulta talvolta difficoltosa, se basata unicamente sul dato morfologico, utilizzando colorazioni di routine quali ematossilina-eosina E1.
La colorazione al ferro colloidale di Hale (80% positiva nel
CRCC e 60% negativa nel RO) risulta tecnicamente impegnativa e spesso di difficile interpretazione.
Dai dati della letteratura 1 emerge l’utilità dell’immunoistochimica nella diagnostica differenziale delle neoplasie renali; in particolare nel CRCC viene segnalata positività all’EMA (100%) alla CK7 (73%), alla CK8 (53%) e negatività alla CK20 e CK5/6 (100%); nel RO positività all’EMA (75%),
alla CK7 (10%), alla CK8 (100%), e negatività alla CK20 e
CK5/6 (100%).
Entrambe le neoplasie risultano vimentina negative; inoltre
CD10 è espresso nel 72% del CRCC e nel 58% del RO 1.
L’indice di proliferazione tumorale (MIB-1) risulta sia nel
CRCC che nel RO < 2%.
Metodi. Abbiamo preso in considerazione tredici casi di RO
e due casi di CRCC esaminati nel nostro ospedale nel periodo
2000-2007 ed abbiamo valutato l’espressione di vimentina,
CD10, di alcune citocheratine (CK7-CK20-CK8-CK5/6CK34BetaE12) e l’indice di proliferazione tumorale (MIB-1).
Risultati. Entrambi i CRCC sono risultati CK7+, CK20-,
CK5/6-, CK34Beta E12-, vimentina-, CD10-; solo un caso è
risultato CK8+; in entrambe le neoplasie l’indice di proliferazione tumorale (MIB-1) è risultato < 2%.
Tutti gli oncocitomi sono risultati CK7-, vimentina-, CK8+ e
l’indice di proliferazione (MIB-1) < 2%; 2/13 sono risultati
focalmente positivi per CK20 e per CK34BetaE12 e solo
1/13 focalmente positivo per CK5/6; 10/13 casi CD10+.
Conclusioni. Nella nostra esperienza abbiamo constatato come la diagnostica differenziale tra CRCC e RO possa essere
facilitata dal supporto di colorazioni immunoistochimiche di
comune utilizzo; in particolare nei casi di dubbia interpretazione morfologica un pannello con vicentina-, citocheratina7+ e CD10- è di supporto alla diagnosi di CRCC. Un pannello con vimentina- citocheratina7- CD10+ è indicativo di
oncocitoma.
Bibliografia
1
Skinnider BF, et al Am J Surg Pathol 2005;29:747-54.
POSTERS
244
Quick (3 hours) histologic diagnosis on
prostate biopsies
Performance del test FISH nel monitoraggio
del carcinoma uroteliale
M. Freschi, L. Nava*, P. Rigatti*, G. Guazzoni*, C. Doglioni
R. Bandelloni, S. Casazza, L. Turbino, A. Pastorino, M.
Dezzana, G. Capponi*, M. Maffezzini*
Department of Pathology, Scientific Institute “San Raffaele”
H, Milano; * “San Raffaele Turro” Urology
S.C. Anatomia Patologica;
“Galliera”, Genova
Introduction. Aim of this study was to prospectively evaluate the efficacy and reproducibility of quickly processing
prostate core needle biopsies with RHS1®, an automated microwave-vacuum processor.
Methods. From July 2004 to June 2007 a total of 914 consecutive prostate biopsies were performed for Pca detection in
men with PSA levels between 2.5 and 14 ng/ml. The biopsies
(mean core number 20, range 12-25) were stretched between
two sponges in tissue cassettes, fixed in formalin, processed
with RHS1® (xylene-free), embedded in paraffin, cut at 3 µ
and then stained with H.E. Processing time, as well as time
to final histological report, detection rate and percentage of
further evaluations required were recorded; furthermore those results were prospectively compared with those registered
in a concomitant series of 813 prostate biopsies performed in
a similar series of patients, with the same sample technique,
in the same period, but processed with the traditional method.
Pathological evaluations were performed by a single pathologist.
Results. The overall detection rate for both groups (RHS1®
vs. traditionally processed biopsies) was similar for both
group, 40% of Pca vs. 39.5%, 20% of HGPIN vs. 18.6%, 2%
of ASAP vs. 3%. A comparable quality evaluation of histologic slides was given for both groups. No differences in core
lengths were recorded in the two groups. The automatic processing time was 75 minutes vs. 14 hours, whereas the time
to the definitive diagnosis was 190 minutes (range 145-260)
vs. 24 hours. A quick diagnosis was performed in 887/914 pts
(96%). In 37 pts additional immunohistochemical evaluations (p63, racemase, HMWCK) were successively performed, singly or with double stain, without any modification of
routinely used methods.
Conclusions. This experience confirms the validity of new
automated microwave-vacuum device to process in a short time prostate biopsies. RHS1®, as other rapid processing tools
now available, resulted at least as effective as the traditional
processing method and could guarantee a new time effective
standard to spare time, costs and stress for the patients. Being
a xylene-free method, handling of the specimens is simplified and safer. RHS1® allows a better quality of service with
a one-day diagnosis.
Introduzione. Il carcinoma vescicale uroteliale (CU) è caratterizzato da percentuali di ricorrenza e di progressione pari,
rispettivamente, al 70% e a circa il 15%. L’uretro/cistoscopia
e la citologia urinaria su urine spontanee rappresentano gli
strumenti “standard” per la diagnosi e il monitoraggio della
neoplasia.
L’impiego della indagine FISH, eseguita su campioni di urine, ha permesso di migliorare sensibilità e specificità nella
diagnosi di CU, l’esame FISH inoltre, rispetto alla citologia,
fornisce utili informazioni prognostiche per meglio quantificare il rischio di ricorrenza e di progressione della malattia.
Lo scopo del nostro studio è valutare se l’esame FISH permette di categorizzare i pazienti affetti da CU in relazione al
rischio di ricorrenza e progressione della malattia.
Metodi. Dal maggio 2003 al dicembre 2006 sono state eseguite indagini FISH (UroVysion Vysis) per la ricerca di aneuploidie a carico dei cromosomi 3, 7 e 17 e della perdita omozigotica del locus 9p21, su 164 pazienti affetti da CU (età
media 67,1 aa), 127 maschi (77,4%) e 37 femmine (22,6%).
I pazienti sono stati seguiti con follow-up trimestrale comprendente uretro/cistoscopia e citologia urinaria, per i primi 2
aa e semestrale successivamente, associati a Rx urografia annuale.
I pazienti sono stati suddivisi in 3 categorie in base ai risultati FISH: FISH negativa, FISH positiva a “basso rischio” e
FISH positiva ad “alto rischio” 1. Sono state valutate per ciascuna categoria la ricorrenza e la progressione della malattia.
Risultati. I risultati sono riportati in Tabella I.
FISH negativa: pattern cromosomico disomico.
FISH “basso rischio”: perdita omozigotica 9p21 solo o associato ad aberrazioni cromosomiche singole in meno del 10%
delle cellule esaminate.
FISH “alto rischio”: perdita omozigotica 9p21 associate ad
aberrazioni cromosomiche multiple in oltre 10% delle cellule
esaminate.
Conclusioni. Lo studio dimostra come la positività alla FISH
sia predittiva di ricorrenza e progressione del CU.
*
S.C. Urologia; E.O. Ospedali
Bibliografia
1
Bollmann M, et al. BJU Int 2005;95:1219-25.
Tab. I. Percentuali di ricorrenza e progressione del CU in relazione alla categoria FISH.
FISH negativa
FISH “basso rischio”
FISH “alto rischio”
Follow-up negativo
Ricorrenza
Progressione
Totale
41 (60,3%)
19 (44,2%)
16 (30,2%)
24 (35,3%)
20 (46,5%)
25 (47,2%)
3 (4,4%)
4 (9,3%)
12 (22,6%)
68
43
53
POSTERS
Metastasi isolata al funicolo spermatico in
paziente con pregresso carcinoma gastrico
L. Ventura, M. De Vito
U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila
Introduzione. Le neoplasie secondarie del funicolo spermatico e dell’area paratesticolare sono rare 1, originano solitamente da sedi primitive addomino-pelviche ed appaiono caratterizzate da prognosi infausta 1 2.
Descriviamo un caso di metastasi isolata al funicolo spermatico in un paziente precedentemente gastrectomizzato per
carcinoma.
Metodi. Un uomo di 60 anni, avendo notato la comparsa di
un nodulo inguinale destro, ecograficamente ipoecogeno, del
diametro di 22 x 14 mm, veniva sottoposto a TC total body
che confermava il reperto senza mostrare ulteriori alterazioni.
L’anamnesi patologica evidenziava poliomielite all’età di 16
mesi, nefrectomia sinistra per litiasi a stampo a 27 anni e, due
anni prima dell’attuale ricovero, gastrectomia totale per adenocarcinoma poco differenziato, di tipo intestinale secondo
Laurèn, pT2N1MX, seguita da radio-chemioterapia postoperatoria.
Risultati. L’exeresi del nodulo inguinale e la diagnosi intraoperatoria di adenocarcinoma venivano seguite da orchifunicolectomia destra. L’esame istologico definitivo mostrava infiltrazione del funicolo da adenocarcinoma poco differenziato, con invasione dei vasi venosi e linfatici, in assenza
di coinvolgimento del testicolo e dell’epididimo.
Il paziente è stato quindi sottoposto ad ulteriori cicli di chemioterapia e 19 mesi dopo (46 mesi dalla gastrectomia) risulta libero da malattia.
Conclusioni. Le neoplasie primitive del funicolo spermatico
sono relativamente poco frequenti e nella massima parte dei
casi di origine mesenchimale. L’evenienza di metastasi funicolari costituisce evento estremamente raro, con sedi di origine solitamente rappresentate da prostata, rene, colon, stomaco e pancreas 1 2. Nelle casistiche giapponesi il carcinoma
gastrico costituisce la primitività più frequente 1.
La peculiarità del caso in esame risiede, oltre che nell’evenienza di metastasi al funicolo come unica localizzazione in
corso di ripresa della malattia neoplastica, anche nella più
lunga sopravvivenza rispetto alla media riferita in letteratura
(9 mesi dalla diagnosi) 1.
Bibliografia
1
Ota T, et al. Jpn J Clin Oncol 2000;30:239-40.
2
Pozzobon D, et al. Chir Ital 2001;53:729-32.
Micropoliposi dell’endometrio come marker
di endometrite cronica
L. Resta, E. Cicinelli*, R. Rossi, M. Palumbo, G. Serio
Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Bari;
*
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Università di Bari
Introduzione. L’endometrite cronica risulta una malattia di
difficile inquadramento sia dal punto di vista clinico (scarsità
e aspecificità dei sintomi) sia dal punto istopatologico (assoluta mancanza di criteri diagnostici univoci). I tradizionali criteri istopatologici di diagnosi includono: la presenza di infiltrato
245
plasmacellulare, una trasformazione “spindle-cell” delle cellule stromali, asincronia di maturazione glandulo-stromale. L’utilizzazione estensiva della tecnica di isteroscopia con distensione fluida della cavità ci ha consentito di osservare un particolare aspetto di vegetazioni micropolipodi della mucosa endometriale strettamente associato alla condizione di endometrite cronica: accuratezza diagnostica del 93% 1.
Metodi. Una revisione della casistica sviluppata su 2.190 pazienti, ha dimostrato in 438 casi segni isteroscopici di edema
e micropoliposi. In queste pazienti, lo studio microbiologico
ha dimostrato in 320 casi (73,1%) la presenza di almeno un
agente microbico nel prelievo endometriale. Su tutte è stata
eseguita una biopsia endometriale per lo studio istopatologico.
Risultati. La presenza di endometrite di vario grado era osservabile in 388 donne (88,6%). Un aspetto istologico non
descritto in precedenza è rappresentato dalla presenza di piccole estroflessioni polipoidi (< 2 mm), corrispondenti a quelle descritte in isteroscopia, costituite da un’ansa capillare e
da cellule infiammatorie, come verificato con l’indagine immunoistochimica. In casi più rari i micropolipi corrispondevano a rigonfiamenti edematosi superficiali della mucosa o a
essudato sieromucoso su aree di erosione superficiale della
mucosa. La corrispondenza tra il quadro isteroscopico e quello istologico è molto verosimile, anche se l’evidenza istologica delle lesioni avviene nel 48%, poiché, essendo i micropolipi molto piccoli, non sempre sono evidenziabili sul preparato: infatti la lesione scompare spesso nelle sezioni successive dello stesso incluso.
Conclusioni. La presenza di micropolipi può rappresentare
un utile segno di flogosi endometriale non solo per l’isteroscopista, ma anche per il patologo, in un campo della patologia endometriale in cui la diagnosi risulta difficile e sostanzialmente sottostimata, specie nelle condizioni di sanguinamento anomalo o di infertilità da causa sconosciuta.
Bibliografia
1
Cicinelli E, et al. J Minim Invasive Gynecol 2005;12:514-8.
Intratesticular serous cystoadenoma of
borderline malignancy. A case report
N. Scibetta, L. Marasà
ARNAS “Civico, Di Cristina, Ascoli”, Palermo; Servizio di
Anatomia Patologica, Italia
Introduction. Testicular and paratesticular tumors of the
common epithelial ovarian type are rare.
The most frequent histological type is the serous. We present
an example of this group of tumors that may be classified as
mullerian serous papillary cistoadenoma of borderline malignancy (SBT).
Methods. A 50 years-old man presented with a painless right
testicular swelling of 24 months duration. Testicular sonography revealed a large, cystic mass. Laboratory tests were unremarkable. A right orchiectomy was performed. 6 months
after surgery, there was no evidence of tumor recurrence or
metastases. The specimens were fixed in 10% buffered formalin and paraffin embedded.
Sections were stained with H&E, PAS. Immunostaining was
performed with primary antibodies to CEA, Leu M1, B 72.3,
S100 protein, PLAP, CA-125, CK7, CK20, vimentin, estrogen and progesterone receptors, calretinin.
POSTERS
246
Results. The surgical specimen had a size of 11 x 8.5 x 4.5,
and presented a intratesticular, unilocular cyst measuring 8
cm in diameter, containing a dens fluid.
The cyst was separated from surrounding parenchyma by a
thin fibrous capsule; the internal lining of the cyst was
smooth with areas of granular gray tissue.
Microscopically the tumor showed papillary structures of
variable size, lined by columnar serous-type epithelium, exhibiting discontinous tufting, with moderate cell pleomorphism. Mitoses were rare. The adjacent seminiferous tubules
showed focal atrophic changes; the epididymis, rete testis
and spermatic cord appeared unremarkable. Immunohistochemically the tumor cells were positive for CK7, CEA,
EMA, CA 125, Leu M1, estrogen and progesterone receptors.
Conclusions. Both the gross and microscopic features and
the immunophenotype of our case were identical to those of
ovarian SBTs.
Mullerian tumours of the testis may originate either from
remnants of mullerian epithelium within the testicular tissue
itself (“primary tumors”), or from mullerian epithelium
which develops from the mesothelium of the tunica vaginalis
testis by metaplasia (“secondary tumors”).
In our opinion, it cannot be determined definitely whether the
tumor belongs to the group of primary or secondary mullerian tumors.
Our patient like the others reported in the literature had unilateral testicular SBT, without extragonadal spread. All of
them had a favorable outcome after orchiectomy.
The small number of patients does not permit unequivocal
conclusions, but these tumors have a good prognosis.
Transitional cell carcinoma of the
endometrium. A case report
N. Scibetta, L. Marasà
ARNAS “Civico, Di Cristina, Ascoli”, Palermo; Servizio di
Anatomia Patologica, Italia
Introduction. Transitional cell carcinoma (TCC) are rare
neoplasm in the femal genital tract.
They are most common in the ovary, with isolated cases described in the fallopian tube, broad ligament, cervix and endometrium.
TCC of the endometrium has been noted predominantly in
postmenopausal women, some having the same risk factors
and presentation as patients with endometrial carcinoma.
Recently the presence of HPV type 16 has been detected in a
proportion of primary TCC of the cervix and endometrium.
This support the hypotesis that these rare neoplasm, in at
least a proportion, are similar, with regard to risk factor, to
squamous cell carcinoma of the cervix and suggest that HPV
may play an etiologic role.
Methods. A diabetic, hypertensive, liparous 67 years-old
woman, with uterine bleeding, has been subjected to endometrial curettage and subsequent total abdominal hysterectomy with bilateral salpingo-oophorectomy.
The specimens were fixed in 10% buffered formalin, and
paraffin embedded.
Sections were stained with H&E.
Immunohystochemical staining for cytokeratins 7 and 20 was
performed.
The TCC was graded according to the four-tier grading system for transitional cell neopasm of the urinary bladder
adopted by the World Health Organization.
Results. The endometrial cavity was filled with a friable,
polypoid mass.
It penetrated deep in the outer one-half of the myometrium,
with cervical involvement and also showed vascular invasion.
Grossly and microscopically the adnexae were normal.
Microscopically a tumor showed papillary structures with
thin fibrovascular cores covered by several layers of urothelial-type transitional epithelium.
The papillary component was admixed with more poorly differentiated areas ranged from spaces lined by transitional
epithelium to nests of poorly differentiated transitional
epithelium infiltrating the stroma.
Nuclear grooves were not formed.
No foci of squamous differentiation or areas of koilocytosis
were found.
A endometrioid component (5%), was admixed.
The immunohystochemical profile (CK7 positive and CK20
negative) was consistent with the mullerian epithelium.
Conclusions. TCC of the endometrium is a rare, distinct
subtype of endometrial carcinoma with morphologic features
of urothelial differentiation, but ritention of mullerian immunoprofile.
The histogenesis of TCC of the endometrium is uncertain,
and in the absence of benign transitional metaplasia, it is more likely that the endometrial lesions developed through neometaplasia from other neoplastic cell types rather than developing from initially benign metaplastic transitional cell
epithelium.
In this case report the finding that TCC is admixed with endometrioid component and the immunoprofile of mullerian
epithelium support this mechanism, suggesting that the tumor arises through neometaplasia from mullerian epithelium.
Studio immunoistochimico sulla
differenziazione neuroendocrina di 100
adenocarcinomi di prostata provenienti da
RRP
S. Trabucco, A. Altavilla*, G. Caruso*
U.O. di Anatomia Patologica, D.A.P. (Dipartimento di Anatomia Patologica), Policlinico, Bari; * U.O. di Anatomia Patologica, DAP (Dipartimento di Anatomia Patologica), Policlinico Università di Bari
Introduzione. La presenza di singole cellule neuroendocrine
(CN) nelle ghiandole prostatiche dell’adulto è riconosciuta
sia in senso morfologico/immunoistochimico sia in senso
funzionale per l’interazione con la componente ghiandolare
esocrina. Inoltre le CN regolano la risposta agli androgeni ed
identificano una quota di adenocarcinomi prostatici a differenziazione neuroendocrina non compresi nelle neoplasie
neuroendocrine in senso stretto come carcinoidi e carcinomi
a piccole cellule.
Materiali e metodi. Sono stati studiati 100 casi di adenocarcinomi della prostata dal 1/01/2005 al 31/12/2005 ed è stata indagata l’espressione immunoistochimica della Cromogranina A
in adenocarcinomi moderatamente e scarsamente differenziati.
I campioni sono stati fissati in formalina neutra tamponata al
10%, processati ed inclusi in paraffina; da sezioni di 2-3 µ sono state allestite colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche.
Ciascun caso è stato interpretato per immunoreattività con
score-semiquantitativo da 1-3 per intensità di colorazione e
POSTERS
247
per percentuale di cellule positive. L’intensità della colorazione varia da 1 (positività citoplasmatica debole e finemente granulare) a 3 (positività citoplasmatica intensa con granuli grossolani).
La percentuale di cellule positive è distribuita nei gruppi: 1
(≤ 25%), 2 (25-50%) e 3 (50-100%).
Risultati. Risultati ottenuti per percentuali di cellule positive: gruppo 1 (5,8% di casi); gruppo 2 (11,5%) e gruppo 3
(17%) per un totale del 35% di casi a differenziazione neuroendocrina. Risultati ottenuti per intensità di colorazione:
gruppo 1 (33% dei casi); gruppo 2 (35%) e gruppo 3 (32%).
Conclusioni. L’espressione della cromogranina identifica: aadenocarcinomi misti a doppia componente androgena-responsiva e neuroendocrina; b- adenocarcinomi acinari a totale differenziazione neuroendocrina. L’identificazione della
componente neuroendocrina non rilevabile alla osservazione
morfologica impone una sistematica ricerca immunoistochimica della stessa; la sua presenza si correla ad aspetti clinicoterapeutici importanti: 1) la valutazione sierica della cromogranina insieme al PSA nel follow-up post-operatorio e nei
pazienti non operabili; 2) il trattamento terapeutico con omologhi della somatostatina da associare o meno ad ormonosoppressione in caso di ripresa di malattia oppure nei pazienti non
operabili con elevati valori sierici di cromogranina.
Endometriosi intestinale profonda: nuove
osservazioni sul coinvolgimento e sulle
lesioni dei plessi nervosi
M. Mora, L.H. Abbamonte*, R. Ricca, S. Ferrero*, V. Remorgida*, E. Fulcheri
Anatomia e Istologia Patologica (DI.C.M.I.), Università di
Genova; * Clinica Ostetrica e Ginecologica, Università di
Genova
Introduzione. La localizzazione intestinale è presente nel
15-37% delle donne con endometriosi ed è definita profonda
(EIP) quando si sviluppa nella parete oltre i 5 mm; la presentazione clinica è variabile ma simile a quella delle IBD.
Caratteristiche dell’EIP sono: multifocalità, reazione fibrosclerotica (con deformazione e stenosi), localizzazione topografica alla radice del meso, lungo i plessi extramurali (neurotropismo dell’endometriosi) e i fasci vascolari. Da alcuni
anni si ricerca una più precisa definizione degli aspetti
morfofunzionali dell’EIP da correlare con le anomalie della
peristalsi e della funzionalità dell’intestino.
Metodi. Negli anni 1999-2007 sono stati diagnosticati 81 casi di EIP (55 resezioni segmentarie, 26 nodulectomie) (range
Clinic-pathological correlations of
microsatellite instable (MSI+) endometrial
carcinoma
S. Cesari, B. Dal Bello, P. Alberizzi, D. Ballarini, G.
D’Ambrosio, S. Tateo*, E.M. Silini**
Servizio di Anatomia Patologica, IRCCS Fondazione Policlinico “San Matteo”, Pavia, Italia; * Clinica Ostetrica e Ginecologica, IRCCS Fondazione Policlinico “San Matteo”, Pavia, Italia; ** Dipartimento Patologia e Medicina di Laboratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Parma, Italia
Introduction. Microsatellite instability (MSI) occurs in 17 to
23% of non-familial endometrial adenocarcinomas (ECs)
usually as a consequence of hMLH1 gene silencing by promoter methylation. The clinic-pathological correlations of
MSI+ colonic and gastric tumors are well established, whereas these remain poorly defined in ECs.
Distribuzione della
EIP nella parete intestinale (%)
Coinvolgimento dei
plessi nervosi (%)
N.
casi
Nessuno Extramurale Auerbach
(stadio 0) (stadio 1)
(stadio 2)
Yantiss R.K.
et al. (2001)
Anaf V.
et al. (2004)
Mora M.
et al. (2007)
di età 22-54). Le pazienti, studiate con Multislice TC-water
enteroclysis (MSCTe), sono state trattate secondo un protocollo chirurgico validato. In 8 casi era coinvolto l’ileo, in 4 il
cieco, in 1 l’appendice, in 21 il sigma, in 36 il sigma-retto e
in 16 il retto (5 pazienti presentavano lesioni in sedi multiple). Si sono effettuate campionature sulla lesione a tutto
spessore e a 3 cm da essa in senso prossimale e distale. Una
IIC di routine per la proteina S-100 ha facilitato la visualizzazione dei plessi e delle strutture gangliari e delle caratteristiche morfologiche di essi.
Risultati. Le lesioni sono risultate estese alla sola sierosa o
al tessuto periviscerale (4,9%), fino alla tonaca muscolare
(54,4%), fino alla sottomucosa (34,6%) e fino alla mucosa
(6,1%). L’interessamento dei plessi nervosi è risultato negativo nel 2,5%, positivo nei restanti coinvolgendo il plesso extramurale nel 19,7%, raggiungendo l’Auerbach nel 49,4% e
raggiungendo il Meissner nel 28,4%. Il danno ai plessi nervosi ad opera della EIP (distorsione, coartazione, frammentazione e interruzione dei fascicoli) è responsabile del danno
progressivo delle strutture preposte alla motilità. È anche evidente una ipertrofia e iperplasia dei plessi e dei gangli a monte delle lesioni, cui si associa l’ectasia del lume intestinale.
Conclusioni. L’EIP è stata riclassificata in: stadio 0 coinvolgimento della sierosa e di nessun plesso; stadio I del plesso
extramurale; stadio II del plesso di Auerbach; stadio III del
plesso di Meissner. La valutazione dei danni ai plessi si aggiunge e completa le classiche valutazioni stadianti (ulcerazione della mucosa, stenosi e distorsione del lume e sindrome aderenziale associata alla malattia) attualmente in uso.
Meissner
(stadio 3)
Margini + (%)
Sottosierosa Muscolare Sottomucosa Mucosa
44
—
—
—
—
73
89
66
30
31
—
—
—
—
100
100
68
26
9,7
81
2,5
19,7
49,4
28,4
4,9
54,4
34,6
6,1
5
POSTERS
248
Methods. Base of the study were 156 ECs, clinical stage I,
from a single tertiary academic institution, observed over the
years 1991-2001, with a mean follow-up time of 74 months.
All slides were reviewed for the study. ECs were classified
according to WHO based on morphology and immunophenotype when required and were staged according to FIGO. Progesterone receptor, p53 and hMLH1 expression was evaluated by immuno-histochemistry in all tumors. MSI was assessed on DNA extracted from FFPE micro-dissected tissue
using the two mononucleotide repeats, Bat25 and Bat26.
Main pathological variables and survival were compared between groups by the chi-square test; statistical significance
was for p < 0.05.
Results. Thirty-one tumors (20%) were MSI+. Loss of antihMLH1 staining was highly predictive of MSI+ phenotype
(PPE 93%, NPV 95%, sensitivity 84%, specificity 98%).
MSI+ phenotype was significantly correlated with endometrioid histotype (p < 0.01), high grade (p < 0.001), tumor necrosis (p < 0.05), expansive growth pattern (p < 0.02)
and prominent lymphocyte infiltration (p < 0.001). No effect
was observed for age at diagnosis, pathological stage, depth
of myometrial infiltration, desmoplastic reaction, lymphovascular invasion and lymphnode metastasis, progesterone
receptor and p53 expression. Mortality and recurrence rates
at 5 yrs were 25,8% and 32,2% for MSI+ tumors compared
to 11.2% and 19,1% for MSI-, respectively (p = non significant).
Conclusions. MSI+ phenotype is specific of endometrioid
histotype and identifies a subset of tumors with specific
pathological features and poor prognosis. Anti-hMLH1 staining accurately predicts MSI status. Appropriate histological
classification is fundamental to highlight clinic-pathological
correlates in tumor genetics.
Seminoma del testicolo a crescita
interstiziale: presentazione di un caso e
analisi dei criteri di diagnosi differenziale
all’esame intra-operatorio
E. Bollito*, I. Morra**, M. Volante*, V. Marci*, F. Porpiglia**, R.M. Scarpa**, M. Papotti*
*
S.C.D.U. Anatomia Patologica e ** Urologia, Ospedale
“San Luigi Gonzaga” e Università di Torino, Orbassano
(TO)
Introduzione. Nel seminoma di tipo classico aspetti periferici di crescita intertubulare possono essere identificati e non
presentano difficoltà interpretative. L’esclusiva crescita interstiziale del seminoma è invece assai rara 1 e può causare
difficoltà diagnostiche insidiose particolarmente all’esame
intra-operatorio (EI), anche perché si osserva usualmente in
lesioni piccole (da distinguere da lesioni benigne suscettibili
di chirurgia conservativa), spesso di difficile interpretazione
in assenza di orientamento clinico preciso.
Metodi. Riportiamo il caso di un 40enne con orchialgia da
circa 2 mesi, già sottoposto in altra sede a visite ed ecografia
non dirimenti. Nel corso del ricovero presso il nostro Ospedale il paziente venne nuovamente sottoposto a test diagnostici documentando reperto palpatorio dubbio, evidenza ecografica di area isoecogena sospetta, ma non diagnostica per
neoplasia, marcatori sierologici in limiti. Fu eseguito intervento esplorativo con EI su un frammento ocraceo di 12 mm,
consistenza aumentata e colorito indistinguibile dal parenchima testicolare normale.
Risultati. All’EI si riscontrò un infiltrato cellulare interstiziale, con scarsa fibrosi tra tubuli seminiferi con spermiogenesi conservata sino a nemaspermi. Le ipotesi differenziali
furono quelle di flogosi ed iperplasia di cellule di Leydig tra
le lesioni benigne, e di linfoma o seminoma tra le neoplasie
maligne (si favorì un giudizio di malignità all’EI). Esame
istologico e profilo immunoistochimico (CD117+/PLAP+)
confermarono il sospetto di seminoma a crescita interstiziale;
campi di atrofia e IGNU furono osservati nel parenchima extra-lesionale.
Conclusioni. La rara eventualità della esclusiva crescita interstiziale del seminoma (in assenza di nodo o massa tumorale) deve essere considerata nella valutazione di EI di lesioni testicolari piccole, dubbie all’ecografia e con sierologia
negativa. In tali forme, architettura tubulare e spermatogenesi possono essere conservate. Caratteri nucleari e valutazione
comparativa con i linfociti associati agevolano la distinzione
da forme infiammatorie e linfomatose. Inoltre i caratteri di
aggregazione cellulare e la morfologia dei citoplasmi (più
ampli e vescicolosi, meno eosinofili), dei nuclei (atipici con
nucleoli evidenti) ed eventuali cariocinesi consentono la distinzione da lesioni di cellule di Leydig.
Bibliografia
1
Henley JD, et al. Am J Surg Pathol 2004;28:1163-8.
Carcinoma spinocellulare della cervice
uterina con estesa differenziazione sebacea
e trichilemmale: descrizione di un caso e
revisione della letteratura
C. Rizzardi, T. Perin*, M. Schneider, T. Salviato*, M. Melato, V. Canzonieri*
DIA di Anatomia Patologica e Medicina Legale, Università
di Trieste; * CRO Aviano, Istituto Nazionale Tumori, IRCCS
La differenziazione annessiale dermica nel carcinoma spinocellulare della cervice uterina può essere caratterizzata dal riscontro istologico, nel tumore, di ghiandole sebacee, elementi trichilemmali e ghiandole eccrine. A livello dell’apparato
genitale femminile, sono stati descritti casi sporadici di carcinoma sebaceo in forma pura nella vulva, nell’ovaio e nella
cervice uterina. Sia nella cervice uterina normale che nei polipi cervicali possono, occasionalmente, ritrovarsi ghiandole
sebacee ectopiche o metaplasiche e follicoli piliferi.
Presentiamo il secondo caso noto di carcinoma spinocellulare della cervice uterina con differenziazione annessiale dermica (sebacea e trichilemmale) unitamente ad una revisione
della letteratura sull’argomento, con particolare riguardo all’istogenesi, alla diagnosi differenziale immunoistochimica,
e alla risposta patologica alla chemioradioterapia neoadiuvante.
Si tratta di donna di 60 anni, obesa, con iniziale spotting vaginale. Una biopsia della cervice dimostrava un carcinoma
spinocellulare focalmente cheratinizzante, infiltrante, con
differenziazione sebacea talora microcistica. Era presente positività per CKAE1/AE3 e CK5 sia nella componente spinocellulare che sebacea. Negativi gli altri marcatori testati
(CK7, recettori per gli estrogeni, recettori per il progesterone, recettori per gli androgeni, c-erb-B2).
Dopo chemioradioterapia, all’intervento chirurgico di isteroannessiectomia bilaterale atipica senza linfoadenectomia,
si è dimostrato un carcinoma spinocellulare con presenza di
differenziazione sebacea e trichilemmale (annessiale dermi-
POSTERS
249
ca) e focali aspetti basaloidi, stadiato ypT2bNx, angioinvasivo, con modesta risposta obiettiva patologica alla terapia
neoadiuvante.
Per quanto riguarda le diverse teorie istogenetiche, nel nostro
caso sembra sostenibile quella della metaplasia ectodermica,
derivante dalla stessa proliferazione neoplastica, in quanto
dovuta ad elementi neoplastici spinocellulari meno differenziati che conservano potenzialità di differenziare in annessi
dermici; quando tale differenziazione è totale si possono realizzare le forme pure di carcinoma sebaceo.
Studi ulteriori sarebbero necessari per confermare una possibile maggior resistenza di questi tumori alla chemioradioterapia preoperatoria rispetto all’istotipo usuale.
Urotensin II receptor: a new diagnostic
marker and therapeutic target in human
prostate adenocarcinoma
Angiomiofibroblastoma del cordone
spermatico (case report)
Experimental Pharmacology, 1 Pathology and 2 Urology Unit
INT Fondazione “G. Pascale”, Naples, Italy; 3 ISS, Rome; 4
Department of Experimental and Clinical Medicine, University of Catanzaro; 5 Department of Pharmaceutical and Toxicological Chemistry, University “Federico II” of Naples; 6
Pathology Unit, “A. Cardarelli” Hospital, Naples; 7 Institute
of Pathology, University of Basel, Switzerland
A. Remo, V. Rucco, M.G. Zorzi, M. Lestani
U.O.C. di Anatomia ed Istologia Patologica, ULSS 5, Arzignano (VI)
Introduzione. L’angiomiofibroblastoma (AMFB) è una neoplasia miofibroblastica di rara osservazione, tipica del sesso
femminile e del tessuto sottocutaneo della regione pelvicoperineale; nonostante presenti aspetti istologici tali da giustificare una diagnosi differenziale con forme più aggressive,
quali la fascite proliferativa e l’angiomixoma aggressivo,
l’AMFB ha un comportamento benigno e caratteri istologici
ed immunofenotipici relativamente specifici. Descriviamo un
caso di AMFB identificato in un maschio, nel funicolo spermatico.
Metodi. Nel corso di un intervento di ernioplastica inguinale
presso l’UOC di urologia, a cui è sottoposto un maschio di 73
anni, viene casualmente riscontrata una neoformazione del
funicolo spermatico di destra, che è asportata con intenti di
radicalità. La lesione, marcata in periferia con china, è ridotta ed inclusa in toto. Dall’incluso più rappresentativo si ottengono sezioni seriate, studiate con immunoistochimica secondo protocolli di routine.
Risultati. La neoformazione misura cm 3 x 2,5 x 2, è sacciforme, peduncolata, parzialmente delimitata da cercine di
muscolo scheletrico, non capsulata. La superficie di taglio è
brunastra e di consistenza gelatinosa. Istologicamente si presenta riccamente vascolarizzata (vasi ben formati e capillari)
e ricca di adipociti; nel contesto di una matrice mixoide sono
presenti elementi dispersi, di aspetto eterogeneo (cellule ovalari, fusate, frequentemente multinucleate), con atipie nucleari di grado lieve ma senza figure mitotiche, apoptosi o
franca necrosi. Le cellule coesprimono vimentina, desmina,
actina MLS, CD34 e – parzialmente – RE ed RPg.
Conclusioni. Il caso presenta caratteri clinici e morfologici
tali da giustificare diverse DD (funicolite proliferativa; angiomixoma aggressivo; liposarcoma mixoide). La presenza
di aspetti “amartomatosi” (vasi ben formati; adipociti in lobuli) e la costante ed intensa espressione di desmina (fenotipo “miofibroblastico”) costituiscono gli elementi più utili alla definizione del processo. L’ernia inguinale è, nel maschio,
un raro fattore di rischio per la funicolite proliferativa. Il caso che presentiamo, pur ricordando in parte le “fasciti”, soddisfa i criteri per una diagnosi di AMFB, lesione benigna che
non richiede un intervento chirurgico aggressivo.
A nostra conoscenza questa è la seconda descrizione di un
AMFB del funicolo, registrata in letteratura 1.
Bibliografia
1
Siddiqui MT, Kovarik P, Chejfec G. Angiomyofibroblastoma of the
spermatic cord. Br J Urol 1997;79:475-6.
R. Franco, M. Caraglia1, S.R. Addeo1, G. Meo1, M. Marra1, S. Losito, A. Grimaldi, S. Striano2, A. Molinari3, G.
Arancia3, A. Belfiore4, P. Grieco5, L. Tornillo6, A. La Mura6, L. Terracciano7, A. Budillon1, G. Botti1
Urotensin II (U-II) is a potent vasoconstrictor peptide and its
receptor (UTR) was correlated with human cortico-adrenal
carcinomas proliferation. We studied expression of UTR in
a Multitumor array, containing more than 5000 tumors from
all body district and relative normal tissue of origin. UTR
was expressed in different tumors, as in a subset of prostatic
cancer. So that we have evaluated the expression and functional role of UTR on human prostate adenocarcinoma (AC)
both in vivo and in vitro. We have used the androgen-dependent LnCaP and the androgen-independent PC3 and
DU145 cells. UTR mRNAs were expressed at high levels
only on LnCaP cells. The expression of UTR protein resembled that one of mRNAs. We have evaluated the effects of
UII and an antagonist of UTR urantide on the proliferation
of LnCaP cells. Urantide induced a 30% inhibition of LnCaP
cell proliferation at 10-100 nM after 72 h of treatment while
UII caused antiproliferative effects only at micromolar concentrations. No effect was recorded on both PC3 and DU145
cells. The addition of 10 nM androgen-like compound
R1881 for 72 h induced growth stimulation in LnCaP cells
that was abolished by both 2 µM UII and 10 nM Urantide.
The two agents even caused a 20% reduction of cell growth
as compared to untreated cells. We have also evaluated the
effects of R1881 on cell cycle and a 50% increase of S-phase was recorded. This effect was again completely antagonized by both U-II and Urantide. In the same experimental
conditions, urantide induced also a significant decrease of
cell invasiveness. We have also evaluated the expression of
UTR in vivo in 200 prostate tissue samples. UTR was always
expressed at intermediate intensity in hyperplastic tissues
and at high intensity in well-differentiated carcinoma (Gleason 2-3). The expression was low in Gleason score 4 and absent in Gleason score 5. The statistical analysis showed a significant correlation with both total and principal Gleason
score (p < 0.05) and is related to shorter OAS. Moreover we
developed a DAB staining of link between UTR and byotinilated antagonist in LnCAP and in a series of frozen section
of AC. The linkage was inhibited by excess of not-byotinilated ligand. These data suggest that UTR can be considered
both an additional therapeutic target and a diagnostic marker
in differentiated prostate AC.
POSTERS
250
Tissue microarray analysis reveals significant
correlation between NeuroD1 and
chromogranin a expression in human
prostate cancer
R. Franco1, M. Cantile2, L. Cindolo3, L. Zlobec, L. Forte1,
L. Tornillo4, E. Fontanella1, L. Schips5, L. Terracciano4, L.
Bubendorf4, G. Botti1, C. Cillo2 4
1
Surgical Pathology, National Cancer Institute “G. Pascale”, Naples, Italy; 2 Department of Clinical and Experimental Medicine, “Federico II” University Medical School, Naples, Italy; 3 Urology Unit, “G. Rummo” Hospital, Benevento, Italy; 4 Institute of Pathology, University of Basel, Switzerland, 5 Urology Unit, Vasto Hospital (CH), Italy
Background. Understanding the mechanisms through which
prostate cancer acquires neuroendocrine differentiation is
diagnostically and therapeutically relevant. Tissue microarrays (TMA) are powerful tools to analyze the clinical significance of new molecular markers in human cancers. Here,
we have tested neuro-endocrine related markers on a prostate TMA containing 1,152 different specimens.
Methods. The specimens were derived from patients treated
for clinically localized prostate cancer by radical prostatectomy or transurethral resection (TURP) for BPH. Expression
of NeuroD1, Chromogranin A and androgen receptor was
analyzed by immunohistochemistry. Survival analysis by Kaplan-Meier curves and univariate and multivariate analysis
were performed in order to assess the role and the impact of
each marker on prognosis.
Results. Staining for NeuroD1, ChrA and Androgen Receptor were positive in 42%, 34% and 69% of the available cases, respectively. As far as the overall survival is concerned,
there were 168 deaths and 488 patients who were alive/censored. For disease-specific survival only 22 deaths were recorded. A significant correlation between NeuroD1 and chromogranin A expression was recorded (Spearman correlation
coefficient, r = 0.26 (p-value < 0.001), furthermore the chromogranin A expression increases as NeuroD1 expression increases (p-value < 0.001). Prognostic analyses reveal that none of the markers appear to be associated with either overall
survival or disease-specific survival.
Conclusions. ChrA, Androgen receptor and NeuroD1 were
evaluated on a large TMA of prostate cancer for the first time. Our results show that these markers are strongly associated but their expression does not correlate with overall or
disease-specific survival, suggesting a possible use as diagnostic markers.
L’espressione delle proteine HMGA1 e HMGA2
rappresenta un valido marcatore diagnostico
nei tumori testicolari
R. Franco*, F. Esposito**, G. Liguori*, G. Botti*, A. Fusco**, P. Chieffi** ***
hooks”. Le proteine HMGA non hanno attività trascrizionale
intrinseca ma, modellando l’architettura della cromatina, regolano l’assemblaggio di fattori trascrizionali. La famiglia
HMGA è composta di quattro proteine HMGA1a, HMGA1b,
HMGA1c e HMGA2. Le prime tre proteine sono codificate
dallo stesso gene attraverso “splicing” alternativi. Le proteine HMGA sono altamente espresse durante l’embriogenesi
ed in diverse neoplasie maligne. Precedenti studi del nostro
gruppo hanno dimostrato che l’isoforma HMGA1 è espressa
nell’epitelio germinativo principalmente in cellule mitotiche
(spermatogoni e spermatociti primari), mentre l’isoforma
HMGA2 in cellule meiotiche (spermatociti e spermatidi) 1 2.
Scopo della ricerca. Scopo della ricerca è stato quello di studiare l’espressione delle isoforme HMGA1 e HMGA2 in 70
tumori testicolari di differente istiotipo (30 seminomi, 15 teratomi, 15 carcinomi embrionali e 10 tumori testicolari a cellule miste con una prevalente componente di tumore del sacco vitellino).
Per tali studi sono state utilizzate tecniche immunoistochimiche per la localizzazione delle isoforme ed analisi di “Western blot” e RT-PCR.
Risultati. L’isoforma HMGA1 è espressa in tutti i seminomi
e carcinomi embrionali analizzati ma non nei teratomi e nei
carcinomi del sacco vitellino, mentre l’isoforma HMGA2 è
espressa nei carcinomi embrionali e nei tumori del sacco vitellino e non nei seminomi e teratomi.
Conclusioni. Tali osservazioni indicano che nei tumori testicolari le isoforme HMGA1 e HMGA2 sono differentemente
espresse in funzione della differente origine istiogenetica;
inoltre, il differente profilo di espressione delle due isoforme
può essere utilizzato come precoce marcatore molecolare
diagnostico soprattutto in alcuni casi di difficile diagnosi differenziale.
Bibliografia
1
Chieffi P, Battista S, Barchi M, Di Agostino S, Pierantoni GM, Fedele M, et al. HMGA1 and HMGA2 protein expression in mouse spermatogenesis. Oncogene 2002;21:3644-50.
2
Di Agostino S, Fedele M, Chieffi P, Fusco A, Rossi P, Geremia R, et
al. Phosphorylation of high mobility group protein A2 by Nek kinase
during the first meiotic division in mouse spermatocytes. Mol Biol
Cell 2004;15:1224-32.
Carcinoma vescicale: classificazione WHO
2004 ed implicazioni terapeutiche
G. Gazzano, L. Carmignani**, P. Acquati*, F. Rocco*, M.
Maggioni, S. Bosari
II Cattedra di Anatomia Patologica, Università di Milano,
Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, A.O.
“San Paolo”, Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico,
“Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; * I Cattedra di Urologia, Università di Milano, Fondazione IRCCS Ospedale
Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; ** Unità Operativa di Urologia, IRCCS Policlinico “San
Donato”
*
Istituto Nazionale dei Tumori “Fondazione G. Pascale”,
Napoli; ** Dipartimento di Biologia e Patologia, Università
“Federico II” di Napoli; *** Dipartimento di Medicina Sperimentale, II Università di Napoli
Introduzione. Le proteine HMGA (High Mobility Group A)
sono proteine nucleari non istoniche che legano il DNA in regioni ricche di A-T attraverso tre domini basici chiamati “AT-
Introduzione. Le Linee Guida AUA e EAU sul trattamento
del carcinoma vescicale fanno riferimento alla classificazione WHO 1973, prevedendo la cistectomia radicale solo per le
forme multicentriche e multirecidivanti G3 in particolare dopo un trattamento chemio o immunocavitario. Nella classificazione WHO 2004 il gruppo dei carcinoma ad alto grado
prevede oltre ai G3 anche parte dei G2. Obiettivo del nostro
POSTERS
lavoro è stato la valutazione della ricaduta clinica nell’utilizzo di questa classificazione.
Materiali e metodi. Sono stati riclassificati, secondo la
WHO 1973, 100 casi di resezione vescicale transuretrale
(TUR), precedentemente definiti secondo i parametri della
WHO 2004. Essi erano così distribuiti: 47 carcinomi di alto
grado, 46 carcinomi di basso grado, 5 neoplasie papillari uroteliali a basso potenziale di malignità (PUNLMP) e 2 carcinomi in situ. In accordo con le Linee Guida EAU, abbiamo
proposto l’indicazione a cistectomia radicale in 18 pazienti
pT1 di alto grado non responsivi a BCG (recidiva a 3 e 6 mesi). In tutti i 100 pazienti si è risaliti alla storia clinica valutando se le lesioni fossero monocentriche o multicentriche, se
di prima osservazione o recidive e se avessero eseguito preliminarmente terapie endocavitarie.
Risultati. La riclassificazione secondo la WHO 1973 ha dato esito a 51 (46%) casi G1, 22 (22%) casi G2, 25 (25%) casi G3 e 2 CIS (5%). La rilettura effettuata sui 18 pazienti sottoposti alla cistectomia ha evidenziato 13 G3 (72%) e 8 G2
(38%). La valutazione della corrispondenza tra le due classificazioni usate ha evidenziato 5 G1 nel gruppo PUNLMP; nei
carcinomi a basso grado erano compresi 26 G1 e 20 G1-G2,
nei carcinomi ad alto grado erano presenti i 22 G2 e i 25 G3.
Conclusioni. Nei pazienti pT1 ad alto grado di malignità con
patologia recidivante e/o multicentrica è stata data indicazione a cistectomia. Una parte importante di questi pazienti sec.
la WHO 1973 è risultato G2 e per essi non ci sarebbe stata
l’indicazione alla cistectomia. Con la classificazione WHO
2004 i G2 vengono considerati per la maggior parte di alto
grado e quindi trattati come i G3.
Le classificazioni attualmente in uso non sono supportate da
precise Linee Guida di riferimento e riducono le possibilità di
utilizzare trattamenti conservativi.
Familial complete androgen insensitivity
syndrome (Morris syndrome or testicular
feminization syndrome) in two sisters
M. Bisceglia, I. Carosi, V. Attino
Department of Pathology, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo, Italy
Introduction. Androgen insensitivity syndrome (AIS) is a
form of male pseudohermaphroditism (46,XY karyotype), inherited according to an X-linked recessive mode of transmission (OMIM # 300068). AIS is usually the result of an endorgan resistance to androgens, caused by an abnormality of
the androgen receptors due to abnormal genes (Chr.Xq1112), with patients clinically exhibiting female phenotype
with a genotypic and gonadic male sex. Serum testosterone
level is normal. The sexual organs are deficiently developed
with absence of both Wolffian and Mullerian derivatives.
Obliteration of the labioscrotal folds and lower vagina does
not occur. Prostate is absent. Breast development at puberty
does occur because of unbalanced estrogen effect. Testes are
retained and pubic and axillary hair is absent. AIS may be
sporadic as well as familial. The diagnosis is usually suspected at puberty because of amenorrhea. The testes are at
risk of tumors development, usually after puberty. A case of
familial and complete AIS in 2 “sisters” is described herein.
Case report. Two phenotypically female siblings of 15 and
13 years respectively, with an established diagnosis of AIS,
underwent preventive bilateral orchiectomy. At pathology the
251
Tab. I. Male pseudohermaphroditism.
Diseases with incomplete virilization:
• Gonadotropin-Leydig cell abnormalities
• Testicular regression
• Testicular steroid enzyme deficiencies
cholesterol desmolase
3-beta-hydroxysteroid dehydrogenase
17-beta hydroxysteroid dehydrogenase
17-alpha hydroxylase
• 5-alpha reductase-deficiency;
• Testicular feminization or androgen insensitivity
syndrome and variants
(Reifenstein syndrome, Infertile male syndrome)
• Pseudovaginal perineoscrotal hypospadia
Persistent mullerian duct syndrome with normal virilization
testes (normally for age sized), exhibited several hamartomatous parenchymal nodules, composed of seminiferous
tubules, filled with immature Sertoli cells and devoid of germ
cells. Numerous Leydig cells were seen. A smooth muscle
pseudoleiomyomatous body, located at the upper pole of each
testis, was noted and best interpreted as a portion of a rudimentary uterus. No epidydimis was identified. No vas deferens was found.
Results. The clinicopathological features were distinctive
of AIS, of the “complete” and “familial” type. AIS must be
differentiated from other forms of male pseudohermaphroditism (Tab. I), mainly 17-beta hydroxysteroid
dehydrogenase type 3 deficiency-gene on chr.9q22 2, with
affected patients also having normal 46,XY karyotype, male
gonads, and phenotypically female external genitalia, due
to the impaired transformation of androstenedione into
testosterone. The pathological clue for the correct diagnosis
is the presence of Wolffian derivatives in this latter condition, since the prostate and the Mullerian derivatives are also absent here.
Conclusions. AIS must be differentiated from other types of
male pseudohermafroditism, and bilateral orchiectomy is
strongly advised immediately before puberty.
References
1
Rutgers JL, Scully RE. Int J Gynecol Pathol 1991;10:126-45.
2
Boehmer AL, et al. J Clin Endocrinol Metab 1999;84:4713-21.
Tuberous sclerosis complex with polycystic
kidney disease of adult type? The
TSC2/ADPKD1 contiguous gene syndrome
M. Bisceglia, I. Carosi, S. Fusilli, A. Simeone*
Department of Pathology and * Radiology, IRCCS “Casa
Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo
Introduction. Tuberous sclerosis complex (TSC) and autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) have
sometimes been seen in association, the molecular basis of
this being the proximity of the TSC2 and PKD1 genes in a
tail-to-tail orientation on the same chromosome (16p13.3) 1.
TSC2/ADPKD1 contiguous gene syndrome represents the
POSTERS
252
result of large deletions involving these two genes, of which
so far around twenty cases have been described. We present
here a (likely) new case of this complex genetic disorder, in
a patient with a total lack of any family history.
Case report. A 20-year old unmarried young woman with
mental retardation and facial angiofibromas was investigated for arterial hypertension and multiple episodes of urinary tract infection. Brain cortical tubers and intraventricular subependymal nodules were discovered on MRI of the
brain, which confirmed the clinically suspected diagnosis of
TSC. Abdominal MRI discovered severe cystic and solid
structural parenchymal renal lesions, mostly in the right
kidney, for which the patient underwent right nephrectomy
(kidney size: 20 x 12 x 12 cm; weight: 1100 g). At histology
most of the cysts regardless of size were lined by non-descript flat or cuboidal single layered epithelium, typical for
ADPKD, while a small proportion of the smallest ones (less
than 1 cm in size) were lined by tall granular and eosinophilic epithelium, which is typical for TSC classic renal
cystic pattern 1. The solid tumors were mainly composed of
myoid cells, coexpressing both smooth muscle and melanocytic immunomarkers, and diagnosed as either angiomyolipoma or lymphangioleiomyoma, the latter when
monotypic and showing a distinctive “pericytoma” pattern.
Minute nodular myolipomatous proliferations were also observed in extrarenal locations (adipose renal capsule and hilar renal lymph nodes).
Results. The diagnosis of TSC in this patient was firmly established based both on the presence of 4 major and 2 minor
positive features, according to the new diagnostic criteria.
The diagnosis of ADPKD was based on the presence of numerous large roundish renal cysts lined by a nondescript tubular epithelium.
Conclusions. Due to the absence of any family history for
TSC or ADPKD, this case was diagnosed as sporadic
TSC2/ADPKD1 contiguous gene syndrome, with de novo
deletion involving both the TSC2 and PKD1 genes. Sofar
only one sporadic such case has been observed 2. Permission
to perform molecular analysis was refused by the patient’s
parents.
References
1
Martignoni G, et al. Am J Surg Pathol 2002;26:198-205.
2
Longa L, et al. Nephrol Dial Transplant 1997;12:1900-7.
Medullary sponge kidney associated with
multivessel fibromuscular dysplasia: report
of a case with renovascular hypertension
M. Bisceglia, L. Dimitri, F. Florio*, C. Galliani**
Department of Pathology and * Radiology, IRCCS “Casa
Sollievo della Sofferenza” Hospital, San Giovanni Rotondo
(FG), Italy; ** Department of Pathology, Cook Children’s Hospital, Fort Worth, Texas, USA
Introduction. Medullary sponge kidney (MSK) is a nongenetically transmitted disease, usually asymptomatic, characterized by dilatation of the collecting ducts of Bellini with
defective urinary acidification and concentration 1. MSK typically affects all papillae in both kidneys, but may be segmental, involve one or more renal papillae, one or both kidneys. The incidence is between 1 case per 5,000 and 20,000
in the general population. Dilatation of the collecting ducts is
present at birth, but the disease is not discovered until complications have supervened. MSK is commonly radiographically detected in adulthood, even if pediatric cases are also
on record. The main clinical symptom is given by renal lithiasis. Most MSK are sporadic. Important associations of MSK
include mainly overgrowth syndromes, but other malformative disorders are also on record 1, one of the rarest but important of the latter being arterial fibromuscular dysplasia
(FMD). FMD is one of the most common causes of curable
arterial hypertension that accounts for 1-2% of all cases of
hypertension and for < 10% of cases of renovascular hypertension 2.
Design. An adult female patient affected by renovascular hypertension due to bilateral renal arterial FMD with left renal
aneurysm and ipsilateral small kidney is described herein.
The patient was treated with nephrectomy (kidney: weight 52
g – expected 115-155 g; size: 6 x 4 x 3 cm – expected 11 x 5
x 3.0 cm). The diagnosis of MSK was unsuspected.
Results. At histology the renal artery, the basis for the clinical manifestations, exhibited narrowing of the lumen, thickening and disorderly layout of fibromuscular tunica media,
and slight prominence of adventitial elastic tissue. The renal
parenchyma showed the most salient, but mostly uncomplicated microscopic findings in the renal medulla, represented
by tortuous, cylindrically dilated collecting ducts converging
in the papillae. By polarizing microscopy, scattered debris of
calcium complexes were seen in the lumens of the corrugated ducts and incrusted in the interstitium. There was patchy
chronic calyceal and interstitial inflammation associated with
mild tubulointerstitial sclerosis. The cortex was unremarkable, except for focal prominence of the juxtaglomerular apparatuses.
Conclusions. Based on all these findings a final diagnosis of
MSK associated with multivessel FMD was rendered. The
patient, twelve months after the nephrectomy, is normotensive, taking beta-adrenergic blocker.
References
1
Gambaro G, et al. Kidney International 2006;69:663-70.
2
Vuong PN, et al. Vasa 2004;33:13-8.
PATHOLOGICA 2007;99:253-254
Patologia delle sierose
Lo studio anatomo-patologico del
mesotelioma maligno (MM) spontaneo in
animali domestici: sua possibile utilità in
riferimento al monitoraggio ambientale per
la tutela della salute umana in aree inquinate
da amianto
N. Mariani, P. Re, P. Barbieri, P.G. Betta
S.O.C. Anatomia Patologica. Azienda Sanitaria Ospedaliera
“SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo”, Alessandria
A 15 anni dal bando dell’uso industriale dell’amianto, si osservano ancora aree geografiche ad elevata incidenza di MM
da esposizione ambientale alla fibra. In questi contesti territoriali sarebbe attualmente necessario acquisire dati sul rischio oncogeno da amianto con riferimento ad esposizioni
cronologicamente più vicine di quelle tradizionali di tipo occupazionale, causa di MM nell’uomo con tempi di induzione-latenza di 20-40 anni. A questo scopo è stato suggerito lo
studio del MM spontaneo in animali domestici e da compagnia, in particolare nel cane: il MM rappresenterebbe un’indicazione di contaminazione ambientale, in particolare dell’ambiente di casa, da parte dell’amianto. Su queste premesse è stato condotto uno studio anatomo-patologico propedeutico alla realizzazione di una ricerca metodologicamente
strutturata con reclutamento di un numero, congruo ai fini
dell’elaborazione statistica, di piccoli animali domestici in
un’area ad elevata incidenza di MM, quale è il distretto di
Casale M.to. L’obiettivo era definire con esame autoptico le
caratteristiche macro- e microscopiche del MM spontaneo in
una limitata serie di piccoli animali domestici, quali cani (n
= 8) e gatti (n = 2), che, vissuti nella città di Casale M.to, avevano in vita evidenziato una patologia pleuro-polmonare di
sospetta natura mesoteliomatosa sulla base dei dati clinicoradiologico-laboratoristici. I quadri macroscopico (noduli
multipli, crescita per continuità con invasione dei tessuti submesoteliali e metastasi ai linfonodi loco-regionali, ma molto
raramente con disseminazione sistemica per via ematogena)
e microscopico (pattern epitelioide più frequente o bifasico,
corpi ferruginosi nel tessuto polmonare), la immunoreattività
(coespressione di cheratina e vimentina) hanno suggerito una
stretta somiglianza morfo-biologica tra la forma spontanea
animale e quella umana di MM. Grazie al minor tempo di induzione-latenza dell’ordine di 8-9 anni lo studio del MM
spontaneo negli animali domestici può rappresentare un modello comparativo nelle indagini di salute ambientale. Più in
generale lo studio della patologia veterinaria in campo ambientale, anche se probabilmente non fornisce dati da utilizzare come l’unico fattore determinante nella valutazione del
rischio per la salute umana da inquinanti ambientali, può essere però utile quale supporto di ulteriore evidenza biologica
nel monitoraggio di programmi di bonifica ambientale.
Aspetti clinico-patologici ed
immunoistochimici dei mesoteliomi maligni
pleurici: studio di 70 casi
F. Franzi, C. Facco, S. Marchet, A. Imperatori*, N. Rotolo*, C. Capella, F. Sessa
Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia
Patologica e * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università dell’Insubria, Varese
Introduzione. Il mesotelioma maligno (MM) pleurico è una
neoplasia infrequente, che talora può presentare una notevole complessità diagnostica. Diversi marcatori immunoistochimici sono stati studiati per facilitarne la diagnosi. Scopo
del nostro lavoro è stato di valutare il profilo clinico-patologico e l’immunofenotipo di una casistica di MM pleurici e di
verificare l’utilità diagnostica dell’osteopontina (OPN) e della mesotelina.
Metodi. La casistica era composta da 70 MM osservati consecutivamente presso il Servizio di Anatomia Patologica dell’ospedale di Varese dal 2000 al 2006. Tutti i casi dopo revisione istologica sono stati immunocolorati, secondo il metodo standard avidina-biotina perossidasi, con anticorpi diretti
contro: OPN, mesotelina, calretinina, CKAE1/AE3 e CEA.
L’immunoreattività è stata valutata secondo l’intensità e la
distribuzione da 0 a 3+.
Risultati. La casistica risultava composta da 56 maschi
(80%) e 14 femmine (20%) con un’età media di 68 anni (intervallo tra 37-88 anni). Dei 70 MM, 50 casi (71%) mostravano aspetti istologici epitelioidi, 8 casi (11%) sarcomatoidi
(di cui 2 desmoplastici) e 12 casi (18%) quadri morfologici
di tipo bifasico.
L’espressione di OPN è stata osservata in 65 (93%) mesoteliomi il 51% dei quali (33/65) mostrava una debole positività,
il 35% (23/65) una moderata positività e il 14% (9/65) una
forte positività. L’OPN era positiva nel 96% (48/50) dei MM
epitelioidi, nel 75% (6/8) dei MM sarcomatoidi e nel 92%
(11/12) dei MM bifasici. La mesotelina era espressa in 45
(64%) mesoteliomi, di cui il 36% (16/45) mostrava una debole positività, il 36% (16/45) una moderata positività e il
28% (13/45) una forte positività. La mesotelina era positiva
in 37/50 (74%) mesoteliomi epitelioidi, in 0/8 sarcomatoidi e
in 8/12 (67%) bifasici. Nei MM bifasici la positività è stata
osservata solo nella componente epitelioide. Nel 97%
(60/62) dei casi i MM mostravano positività per calretinina e
nel 96% (52/54) espressione di CKAE1/AE3, mentre tutti i
casi erano CEA-negativi.
Conclusioni. Lo studio ha confermato che il MM prevale nel
sesso maschile, più frequentemente ha aspetti epitelioidi e
che calretinina e CKAE1/AE3 sono i marcatori più sensibili
di questa neoplasia. L’espressione elevata di OPN in tutti gli
istotipi di MM, la suggerisce come marcatore di trasformazione maligna delle cellule mesoteliali. La positività per la
mesotelina, limitata alla componente epitelioide, la indica
come marcatore dei MM epitelioidi.
POSTERS
254
Metastasi cerebrale di mesotelioma maligno
(MM) prima manifestazione di malattia.
Presentazione di un caso
Alterazioni dell’espressione di geni
dell’apoptosi nel mesotelioma maligno
pleurico
G. Serio, R. Rossi*, A. Scattone, A. Marzullo, D. Piscitelli*, A. Cimmino, A.M. Leo**, L. Resta*
M. Falleni, E. Fasoli, V. Vaira, S. Bosari, L. Santambrogio*, A. Catania**, S. Romagnoli, G. Coggi
Dipartimento di Anatomia Patologica, Università, Bari; * Dipartimento di Anatomia Patologica, Sezione di Microscopia
Elettronica, Università, Bari; ** Dipartimento di Medicina
Interna e Pubblica, Università, Bari
Università di Milano, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e
Odontoiatria, e A.O. “San Paolo”, Fondazione Ospedale
Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; * Università di Milano e Dipartimento di Chirurgia Toracica, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico,
“Mangiagalli e Regina Elena”, Milano; ** Università di Milano, Centro di Ricerca Preclinica, Padiglione “Granelli” e
Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli e Regina Elena”, Milano
Il MM è un tumore aggressivo usualmente asbesto-correlato.
L’aggressività locale piuttosto che la diffusione metastatica a
distanza caratterizzano la neoplasia e l’osservazione di metastasi è in genere un tipico riscontro post-mortem. La cavità
intracranica e l’encefalo sono raramente sede di metastasi e
ad oggi, solo pochi casi sono stati riportati. Presentiamo un
caso di metastasi cerebrale di mesotelioma insorto in una
donna asintomatica senza storia anamnestica di esposizione
all’asbesto.
Metodi. Maggio 2005: donna di anni 72 ricoverata nell’U.O.
di Neurochirurgia per la comparsa di emiparesi sinistra. La
TAC e la RMN encefalica evidenziavano una neoformazione
rotondeggiante intrassiale, vascolarizzata, del diametro 3 cm,
clivabile chirurgicamente. All’esame macroscopico venivano
esaminati tre frammenti biancastri del diametro compreso tra
1.2 e 2,8 cm. L’esame istologico poneva diagnosi di metastasi cerebrale di carcinoma scarsamente differenziato con
aspetti necrotici a tipo “comedonecrosi” compatibile con origine mammaria. Le indagini immunoistochimiche risultavano positive per CK-pool. Negative per estrogeno e progesterone recettore. Le successive indagini Eco e Mammografiche
risultavano negative. La TAC total-body evidenziava ispessimento pleurico basale sinistro. La paziente veniva comunque
sottoposta ad un ciclo di chemioterapia per carcinoma occulto della mammella.
Giugno 2006: la paziente si ricoverava in Chirurgia Toracica
per l’improvvisa comparsa di dolore toracico associato a
massivo versamento pleurico sinistro. La toracoscopia evidenziava ispessimento pleurico diffuso con micronoduli
pleuropolmonari (diam. max cm 0,8). Istologicamente si osservava una neoplasia epiteliomorfa scarsamente differenziata con componente fusocellulare. Le reazioni immunoistochimiche erano positive per CK 5/6, vimentina, focalmente per
calretinina, HBME-1 e WT-1. Negative per TTF-1, CEA,
Estrogeno, Progesterone. Il quadro immunofenotipico era
compatibile per mesotelioma. Pertanto, si procedeva a revisione diagnostica ultrastrutturale su campione recuperato da
paraffina di entrambe le lesioni che dimostrava markers ultrastrutturali indicativi di una differenziazione mesoteliale
della neoplasia.
Conclusione. La microscopia elettronica rappresenta l’indagine diagnostica decisiva soprattutto quando il dato immunoistochimico e gli elementi radiologico-clinici non sono indicativi della sede primitiva del tumore.
Introduzione. Il mesotelioma maligno (MM) è una neoplasia a crescente incidenza e prognosi infausta, caratterizzata
da spiccata resistenza alle attuali terapie oncologiche. Si ritiene che difetti di espressione di geni coinvolti nell’apoptosi e nei meccanismi della sua regolazione siano critici per la
sensibilità delle cellule neoplastiche alla terapia. Alterazioni
di geni appartenenti alle famiglie IAP (Survivin, XIAP, IAP2) e Bcl-2 (come Bcl-xL e MCl-1), regolatrici del processo,
sono stati evidenziati in precedenti studi. La down-regolazione mediante oligonucleotidi antisenso di alcuni dei geni iperespressi è risultata efficace nell’indurre apoptosi nelle cellule di MM, suggerendo che approfondite valutazioni di questa
pathway potrebbero essere utili per futuri approcci terapeutici. Nel presente studio è stata valutata con tecnica “Microfluidic card” l’espressione di 88 geni dell’apoptosi.
Materiali e metodi. Sono stati valutati campioni a fresco di
44 MM, dei quali 26 con noto follow-up, due linee cellulari
di mesotelioma (MSTO-211H e NCI-H2452), una linea cellulare di mesotelio immortalizzato (Met5a), 4 linee primarie
e come controparte non neoplastica 8 pleure normali. L’RNA
è stato retrotrascritto e caricato su “Microfluidic Cards” contenente primers e sonde per 88 geni relativi all’apoptosi e 8
geni housekeeping. Le card sono state analizzate mediante
ABI Prism 7900HT Sequence Detection System. Sono stati
considerati differenzialmente espressi i geni con entrambe le
seguenti condizioni: a) rapporto di espressione in tessuti tumorali e normali > 2 (fold change-FC > 2) o minore di 0,5
(FC < 0,5); b) p value al T test < 0,01.
Risultati. Venti geni sono risultati differenzialmente espressi, 4 down-regolati e 16 up-regolati. Difetti di espressione sono stati evidenziati sia nei geni della via di attivazione recettoriale dell’apoptosi, in particolare recettori e ligandi della
famiglia TNF, proteine adattatrici citoplasmatiche, che nella
via di attivazione mitocondriale, con alterata espressione di
geni delle famiglie Iap e Bcl-2. Sono inoltre stati evidenziati
difetti di espressione delle caspasi iniziatrici ed effettrici, come le caspasi 3, 8 e 10. Venti geni risultano inoltre differenzialmente espressi nei MM epitelioidi rispetti ai MM non epitelioidi (p < 0,05). Sei geni differenzialmente espressi sono
significativamente correlati alla prognosi dei pazienti.
Conclusioni. L’analisi ha evidenziato alterazioni nella via
estrinseca, in quella intrinseca e nella via effettrice comune.
Il profilo di espressione genica relativo all’apoptosi è inoltre
in parte correlabile con le caratteristiche clinico-patologiche
e la sopravvivenza dei pazienti affetti da MM.
PATHOLOGICA 2007;99:255
Patologia iatrogena
Correlation between pathologic tumor
response and radiologic tumor response to
preoperative chemo-radiation therapy in 40
cases of localized high-grade soft tissue
sarcoma
P. Collini, M. Barisella, A. Messina*, C. Morosi*, A. Gronchi**, P.G. Casali***, S. Stacchiotti***, S. Pilotti
Anatomic Pathology C Unit, * Radiology Unit, ** Musculoskeletal Surgery Unit, *** Sarcoma Unit, Cancer Medicine
Department, IRCCS Fondazione Istituto Nazionale Tumori,
Milan, Italy
Introduction. Tumor response to treatment is not always dimensional (RECIST criteria), but can be a “tissue” response,
as already seen in GISTs. To improve the assessment of ‘tumor responsé, we tried a) to correlate radiological and pathological patterns of tumor response to concurrent preoperative
chemotherapy and radiation therapy in localized high-grade
soft tissue sarcomas (STS) and b) to validate these new radiologic, non-dimensional “tissue response” criteria through
the comparison with the pathological response.
Methods. Between April 2002 and September 2006, 40 consecutive patients with localized high-grade STS of extremities
or superficial trunk received 3 cycles of neoadjuvant Epirubicin + Ifosfamide and concomitant radiotherapy, followed by
surgery, within a prospective Italian Sarcoma Group (ISG) tri-
al. MRIs were taken before the neoadjuvant treatment and before surgery. Radiologically, changes in tumor size and tissue
characteristics, along with contrast enhancement variations
were recorded. Histotype and FNCLCC grade were assessed
on pretreatment biopsies. The post-treatment surgical specimens were oriented with the surgeon and sampled with a mapping of the lesion (about a sample per cm). Histologically, we
evaluated the percentage of residual tumor (tentatively scored
as 0%, < 50%, > 50%) and the quality and quantity of posttreatment changes (necrosis, hemorrhage, cysts, fibrohistiocytic reaction, and sclerohyalinosis). Eventually, we compared the histologic results with the radiologic assessment.
Results. We recorded a stable, larger or slightly diminished
dimension in 22 cases (55%), in which there were no radiologic tissue changes. At histology, these cases showed a
residual viable tumour more than 50%. They were considered
“non-responders” both for radiology and pathology. Other 18
cases (45%) showed a stable or larger diameter, and would be
considered “non- responders” by RECIST criteria. Though,
there were radiographic signs of tissue changes and histologically the residual tumour was less than 50%. Actually, these
cases were considered as “responders”.
Conclusions. Through dimensional RECIST criteria, we
were able to appreciate only a proportion of responsive patients. In order to predict the actual pathologic tumor response, some kind of assessment of “tissue responses” on
MRI may usefully integrate the dimensional data.
PATHOLOGICA 2007;99:256-265
Patologia mammaria
A lipid-rich basal-type breast carcinoma: case
report
S. Russo, F.M. Maiello, D. Coppola, P. Vinaccia, F. Baldassarre, A. Siciliano, G. Pisani, G. Teta, G. Battista
Ospedale dei Pellegrini, Napoli
We report a case of a breast carcinoma that is morphologically and histochemically looking-like a “lipid-rich” carcinoma but from a immunohistochemical point of view we could
call it a “basal-type” carcinoma. The tumour occurred in a female patient of 73 years and presented as a 2 cm mass of the
right breast showing a short clinical history. The patient submitted a FNAB and a mastectomy with lymphadenectomy.
The lesion did not present axillary lymph node metastases.
The tumour presented with cytological and histological features of an invasive lipid-rich breast carcinoma. Since it was
a triple negative we performed an immunostaining for c-kit,
EGFR and molecular high weight cytokeratins that resulted
diffusely and intensely positive. We interpret this reactivity
as a basal-type phenotype. Since recent literature suggests
the existence of two distinct groups of breast neoplasia, luminal and basal, with different behaviour and therapy responsiveness, the relevance of this case would lye in its clinical and therapeutic implications.
tati da esili bande collagene, con accrescimento espansivo
nel tessuto adiposo. L’immunofenotipo è risultato: vimentina+, actina+, desmina+, CD34+, CD99+, S100-, HMB45-.
Conclusioni. I caratteri morfologici ed immunofenotipici
delle lesioni corrispondono al miofibroblastoma. La peculiarità clinica del caso è data dalla rarità, dalla bifocalità della
lesione e dal fatto che è insorta 13 anni dopo analoga neoplasia controlaterale. La diagnosi differenziale si pone con le
lesioni a cellule fusate a comportamento biologico aggressivo (fibromatosi e tumori maligni a cellule fusate). Meno significativa la diagnosi differenziale con tumori benigni a cellule fusate, per le ragioni suddette; l’immunoistochimica e la
conoscenza dei dati radiologici sono cruciali quando si valuti materiale agobioptico o agoaspirativo.
Bibliografia
Magro G, et al. Virch Arch 2002;440:249-60.
Fattane H, et al. WHO 2003:91-2.
Lesioni fibroepiteliali e papillari della
mammella: confronto tra preparati citologici
convenzionali ed in strato sottile
L. Chiapparini, C. Scacchi, C. Casadio
Unità di Citologia Diagnostica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano, Italia
Miofibroblastoma di mammella maschile:
descrizione di un caso
S. Ardoino, L. Caliendo, A. Dellachà, C.E. Marino, A. Pastorino, E. Venturino
Ospedale “S. Paolo”, ASL2 Savonese
Introduzione. Il miofibroblastoma è un raro tumore benigno
a cellule fusate dello stroma mammario, radiologicamente
solido circoscritto, omogeneo e privo di calcificazioni. È
considerato derivare da miofibroblasti per caratteri immunofenotipici ed ultrastrutturali; peraltro criteri clinici, macromicroscopici, immunofenotipici e citogenetici lo assimilano
ad altre neoplasie (lipoma a cellule fusate, tumore fibroso solitario), per cui è stato proposto il termine comprensivo di
“tumore a cellule fusate benigno” che raggruppi lesioni che
derivano da una presunta cellula staminale comune CD34+.
Metodi. Uomo di 80 anni con 2 noduli della mammella sinistra comparsi dopo 13 anni dall’asportazione di miofibroblastoma della mammella destra; l’agobiopsia ecoguidata ha dimostrato neoplasie a cellule fusate analoghe a quella precedentemente esaminata in altro ospedale. Il materiale operatorio era costituito da tessuto mammario di 7,5 x 6 x 1,8 cm,
con cute di 4 x 0,6 cm e 2 noduli biancastri tondeggianti circoscritti di 1,5 x 1 cm e 0,9 x 0,8 cm, distanti tra loro 2 cm.
Il campione è stato fissato in formalina neutra tamponata, incluso in paraffina ed esaminato su sezioni di 5 µ, colorate con
EE; sono state allestite colorazioni immunoistochimiche: vimentina, actina, desmina, CD34, CD99, S100, HMB45.
Risultati. La microscopia ha dimostrato 2 neoplasie analoghe, parzialmente circoscritte da sottile capsula fibrosa, costituite da cellule fusate ad ampio citoplasma debolmente eosinofilo, nucleo chiaro, monomorfo, disposte in fasci, delimi-
Introduzione. Lo strumento ThinPrep 2000 (CYTYC) permette di recuperare quantità minime di materiale biologico
con cui allestire preparati citologici in strato sottile adeguati
e con cellularità ben rappresentata e ben distribuita. Nel nostro istituto abbiamo applicato questa metodica a parte del
materiale ottenuto da agoaspirati mammarii.
Col presente lavoro ci proponiamo di mettere a confronto i
quadri citologici di lesioni fibroepiteliali e papillari negli strisci convenzionali (STR) e nei corrispondenti ThinPrep (TP).
Metodi. Dal 1 gennaio al 31 dicembre 2006 sono stati eseguiti nel nostro istituto 2431 agoaspirati mammarii, in 429
dei quali è stato allestito almeno un TP. Per 23 di questi, l’esame istologico successivo ha confermato la presenza di una
lesione fibroepiteliale o papillare benigna. Gli agoaspirati sono stati eseguiti da un anatomopatologo, con ago 22 Gauge,
in 2 casi sotto guida ecografica. Per ognuno sono stati strisciati due vetri (uno asciugato all’aria e colorato con May
Grunwald Giemsa ed uno fissato in alcool 95% e colorato
con Ematossilina/Eosina), il restate materiale è stato introdotto in 2 ml di soluzione Cytolyt (CYTYC Italia s.r.l) e la
sospensione così ottenuta è stata utilizzata per allestire un TP
poi colorato con colorazione di Papanicolaou.
Risultati. Sono stati rivalutati i preparati citologici di 23 casi con diagnosi istologiche così distribuite: 16 fibroadenomi
(69,6%), 1 tumore fillode benigno (4,4%) e 6 lesioni papillari (26%). La revisione è stata mirata a definire i criteri morfologici che distinguono i quadri citologici delle diverse lesioni e come questi siano rappresentati nei preparati in strato
sottile rispetto agli strisci convenzionali. Quando la ricchezza del materiale ci ha permesso di allestire un secondo TP,
questo è stato utilizzato per evidenziare l’immunoespressione di p63 da parte dei nuclei “nudi”.
POSTERS
Conclusioni. Nei preparati in strato sottile alcuni criteri
morfologici (quali, per esempio, l’ipercromasia, la presenza
di nucleoli prominenti e di irregolarità nucleari, o la composizione del fondo) sono diversamente rappresentati rispetto a
gli strisci convenzionali, ma il quadro citologico rappresentativo di lesioni fibroepiteliali e papillari è comunque riconoscibile. L’allestimento di preparati citologici con il metodo
ThinPrep permette di recuperare materiale utile per eseguire
indagini immunoistochimiche di conferma diagnostica.
Topoisomerase II alpha expression in invasive
ductal carcinoma of the breast with fibrotic
focus
L. Memeo, R. Giuffrida*, S. Scarpulla*, M. Gulisano*, V.
Canzonieri**
Department of Experimental Oncology, Mediterannean Institute of Pathology, Viagrande (CT), Italy; * Fondazione IOM,
Viagrande (CT), Italy; ** Department of Pathology, Aviano
Cancer Center, IRCCS, Aviano, Italy
Invasive ductal carcinoma (IDC) with fibrotic focus (FF) is a
rare, recently described subtype of IDC with aggressive characteristics and significantly poorer survival course in shortand long-term survival periods. FF is composed of a mixture
of fibroblasts and various amounts of collagen fibers, and
they occupy almost the entire center of the IDC. IDCs with
FF exhibit significantly greater tumor angiogenesis and higher tumor cell proliferative activity and the presence of FF is
an independent prognostic parameter for IDC patients. IDCs
with FF are characterized by higher frequencies of HER2
protein expression, abnormal nuclear accumulation of p53
and aneuploidy than those without FF. In addition, the former
show significantly higher proliferation activity than the latter.
These findings indicate that the presence of FF in IDCs is an
important histological parameter for predicting the outcome
of patients with IDC of the breast.
Recent clinical trials have suggested that patients whose
breast tumors overexpress HER2 may derive particular benefit from anthracycline-containing chemotherapy compared
to that without anthracycline. It has been proposed that the
HER2 gene amplification reported in these tumors might
mask an underlying TOP2A gene amplification that occurs
frequently and concurrently with HER2 amplification probably due to the close genomic position on chromosome 17.
Topoisomerase II alpha, encoded by TOP2A, is a direct
molecular target of anthracycline drug action and is potentially useful as a predictive marker of response to anthracycline therapy for breast cancer.
Therefore we studied Topoisomerase II alpha expression by
immunohistochemistry in five cases of IDC with FF selected
from the pathology files of our institution.
Patient’s age ranged from 43 to 71 (mean, 60 years); all cases showed an high proliferation index (Ki-67 > 20%) while 4
of 5 demonstrated HER-2 overexpression, in line with the
previous findings about IDC with FF and 3 of 5 were positive
for both ER and PR.
We found that Topoisomerase II alpha was overexpressed in
all the 5 cases studied, and if this data will be confirmed by
larger cohorts of patients, it would suggest that patient with
IDC with FF would benefit from an anthracycline-containing
chemotherapy.
257
Akt-1 e Notch-2 identificano due distinte
popolazioni di carcinoma invasivo della
mammella
M. Cacciatore, C. Tripodo, D. Cabibi, A.M. Florena, V.
Franco
Dipartimento di Patologia Umana, Università di Palermo
Introduzione. Il carcinoma della mammella rappresenta la
neoplasia maligna più frequente nel sesso femminile. Alcune
caratteristiche biologiche e fenotipiche, quali l’espressione di
recettori ormonali, si sono rivelate utili non solo per una migliore definizione della neoplasia, ma anche come fattori prognostici e terapeutici. Scopo dello studio è quello di esaminare se oltre alle associazioni di fattori note, esistono altre caratteristiche molecolari in grado di correlare con il potenziale aggressivo e la prognosi. Tra queste, sono state prese in
considerazione Akt-1 e Notch-2, fattori chiave nella trasduzione del segnale in senso differenziativo, proliferativo ed
apoptotico.
Metodi. L’espressione immunoistochimica dei recettori
estrogenici e progestinici, Ki-67, HER2, Akt-1, e Notch-2 è
stata valutata in 98 casi di carcinoma invasivo della mammella utilizzando la tecnica del Tissue Micro Array. Per l’analisi dei dati è stato considerato un set di 11 variabili categoriche (istotipo, stato linfonodale, recettori ormonali), ordinali (grado istologico, HER2, Akt-1 e Notch-2) e continue
(età, MIB-1, dimensioni del tumore). L’analisi delle associazioni tra coppie di variabili è stata effettuata mediante test χ2
(α = 0,05; IC 95%).
Risultati. L’analisi ha consentito di evidenziare alcune associazioni significative tra caratteristiche istologiche e/o immunofenotipiche dei casi presi in esame (Tab. I). L’espressione di Akt-1 si associava positivamente a quella del recettore estrogenico, ed inversamente al grado, all’espressione di
HER2 ed al coinvolgimento linfonodale. L’espressione di
Notch-2 è stata associata all’espressione di HER2.
Conclusioni. I risultati dello studio consentono di porre in rilievo la presenza di un gruppo di carcinomi invasivi della
mammella caratterizzati da un miglior grado di differenziazione, espressione di recettori estrogenici ed assenza di metastasi linfonodale e che mostrano espressione di Akt-1. Ac-
Tab. I.
Variabile 1
ER
ER
PR
Grade
ER
HER-2
HER-2
Akt-1
Akt-1
Akt-1
Akt-1
Notch-2
Variabile 2
Segno
α
PR
Grado
Grado
MIB-1
HER-2
Grado
MIB-1
ER
Grado
HER-2
LN
HER-2
+
+
+
+
+
+
0,002
0,02
0,03
0,008
0,02
0,005
0,01
0,02
0,04
0,03
0,02
0,004
ER, recettore per estrogeni; PR, recettore per progesterone; LN, stato linfonodale; Associazione diretta: +; Associazione inversa: -
POSTERS
258
canto a questo viene delineato un gruppo di casi con intensa
positività per Notch-2 associata a iper-espressione di HER2.
Sebbene lo studio non consenta allo stato attuale di evidenziare il meccanismo che sottende tali associazioni, è possibile comunque ipotizzare il ruolo di questi fattori nella progressione del tumore della mammella e nella prognosi. La
migliore conoscenza del meccanismo d’azione di Notch-2 ed
Akt-1, potrebbe suggerire un ruolo di queste molecole come
nuovi target terapeutici nei casi resistenti alla terapia convenzionale.
Analysis of breast cancer series from Central
Sudan and Northern Italy show similar
prognostic markers
K.D. Awadelkarim* ** ***, C. Arizzi**, E.O.M. Elamin*,
H.M.A. Hamad*, P. De Blasio*****, S.O. Mekki*, I. Biunno****, N.E. Elwali*, R. Mariani-Costantini***, M.C. Barberis**
*
Department of Molecular Biology, Institute of Nuclear Medicine, Molecular Biology & Oncology (INMO), University
of Gezira, Wad Medani, Sudan; ** Department of Pathology
and Laboratory Medicine, Policlinico MultiMedica, Milan,
Italy; *** Unit of Molecular Pathology and Genomics, Center
for Sciences on the Ageing (CeSI), “G. d’Annunzio” University Foundation, and Section of Molecular Pathology, Department of Oncology and Neurosciences, University “G.
d’Annunzio”, Chieti, Italy; **** Institute for Biomedical Tecnologies (CNR), Milan, Italy; ***** Integrated Systems Engineering srl, Milano, Italy
Background. In patients of Black African ethnicity breast
cancer (BC) is reportedly characterized by aggressive, poorly differentiated phenotype(s). To highlight possible differences between BC in indigenous sub-Saharan African and
European patients, we compared two BC case series, from
Central Sudan (Khartoum) and Northern Italy (Milan), for
clinical-pathological characteristics, ER, PgR and Her-2/neu
statuses, and BC subtypes.
Methods. After careful antigen retrieval, respectively 114
and 138 consecutive formalin-fixed/paraffin-embedded (FFPE) BC cases from the Radiation and Istope Center (Khartoum) and from MultiMedica (Milan) were screened by immunohistochemistry (IHC) for ER, PgR, Her-2/neu and
basal-phenotype markers (CK5/6, CK17).
Results. Compared to the Italian patients, the Sudanese patients were younger (p < 0.0001), and their tumors were larger (p < 0.0001), more advanced in stage (p < 0.00001), higher in grade (p < 0.00001) and more frequently positive for
nodal metastases (p < 0.00001). ER expression varied between the two series (p < 0.0008), but no significant differences were found for PgR (p < 0.32), combined hormone receptors (p < 0.12), Her-2/neu (p < 0.5) and BC subtypes (p =
0.08).
Conclusions. The differences between the Sudanese and the
Italian BC series reflected stage at diagnosis rather than intrinsic biological characteristics. This may have relevant implications for BC prevention and treatment in Africa.
Espressione delle citocheratine basali nei
carcinomi mammari pT1b: studio clinicopatologico
R. Colella, A. Sidoni, M.G. Mameli, G. Bellezza, R. Del
Sordo, F. Cartaginese, M. Toraldo, G. Bartoli, F. Piselli, S.
Gori***, F. Cucciarelli*, R. Vitali**, A. Cavaliere
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, * S.C. di Radioterapia Oncologica, ** Dipartimento di Igiene, Università di
Perugia; *** S.C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di
Perugia
Introduzione. I carcinomi mammari con espressione delle
citocheratine di tipo basale sono in genere associati con una
sopravvivenza peggiore, ma i dati riguardanti il loro comportamento biologico sono ancora oggetto di discussione 1. Da
un indagine bibliografica non sono emersi studi riguardanti
neoplasie di piccole dimensioni. Per tale ragione abbiamo
esaminato una serie consecutiva di carcinomi pT1b allo scopo di individuare le neoplasie a fenotipo basale (FB) e valutarne il comportamento clinico.
Metodi. Sono stati studiati 105 casi consecutivi di carcinoma
mammario di diametro compreso tra 5 e 10 mm osservati
presso il nostro Istituto nel triennio 1997-1999. In tutti i casi
è stato valutato il diametro, i parametri morfologici e biopatologici (ER, PgR, AR, Mib-1, c-ErbB-2) e l’espressione delle citocheratine (CK) 5/6, 14, 8 e 18. Tutti i parametri sono
stati correlati con il follow-up.
Risultati. Tutte le neoplasie sono state osservate in pazienti
di sesso femminile (età mediana 61 anni; follow-up mediano
94,5 mesi). Le CK basali erano espresse in 7 dei 105 casi
(6,7%). Le neoplasie a FB sono risultate G2 in 2 casi e G3 in
5 casi, mentre nel gruppo di carcinomi “non basali” i casi G1,
G2 e G3 sono risultati rispettivamente 32, 56 e 10 (p =
0,003). La valutazione dei linfonodi ascellari (93 casi) ha evidenziato metastasi in 17 casi (18,3%); di questi, 3 appartenevano al gruppo con FB (p = 0,06). Nei carcinomi a FB si è
osservato, inoltre, una maggiore frequenza di casi negativi
per ER, PgR, AR e c-ErbB-2 ed una elevata attività proliferativa (dati statisticamente significativi) con 5 casi triplo negativi (p = 0,000). Sono stati osservati 3 casi di recidiva locale e 4 casi di metastasi viscerali o scheletriche nessuno dei
quali apparteneva al gruppo con FB. Infine, non si sono osservate differenze statisticamente significative nella sopravvivenza globale ed in quella libera da malattia.
Conclusioni. I dati del presente studio sono in contrasto con
la maggior parte dei dati della letteratura che indicano una
prognosi peggiore per i carcinomi a FB. I nostri risultati riguardanti carcinomi pT1b non hanno messo in evidenza un
decorso clinico peggiore nelle neoplasie con FB nonostante
che in questo gruppo sia stato evidenziato un maggior numero di casi con parametri morfologici e biopatologici sfavorevoli.
Bibliografia
1
Rakha EA, et al. Eur J Cancer 2006;42:3149-56.
POSTERS
Lesioni a cellule colonnari della mammella
associate calcificazioni: correlazioni radioistologiche
R. Senetta, P. Campanino*, G. Mariscotti*, A. Sapino
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana;
*
Dipartimento di Radiodiagnostica, Università di Torino
Introduzione. Il rinnovato interesse, in questi ultimi anni,
per le Lesioni a Cellule Colonnari (LCC) della mammella nasce principalmente dall’incremento di diagnosi in prelievi
pre-operatori eseguiti con Core Biopsy o Stereotactic Vacuum
Assisted Core Biopsy (VACB) per calcificazioni mammografiche. In letteratura i dati relativi all’incidenza di LCC, alle
caratteristiche del quadro radiologico correlato e al significato clinico in studi di follow-up (FU) sono carenti.
Metodi. 392 prelievi con VACB eseguiti su calcificazioni radiografiche da gennaio 2004 a giugno 2006 sono stati rivisti.
È stata valutata: i) la frequenza di diagnosi istologica di LCC,
ii) la correlazione tra morfologia delle calcificazioni e rischio
radiologico (R) con la categoria diagnostica (B) delle LCC e
iii) il FU clinico o chirurgico.
Risultati. LCC sono state diagnosticate in 156/392 (39,7%)
di VACB e nell’84% di questi, le calcificazioni riscontrate radiologicamente, erano istologicamente localizzate in LCC.
Le calcificazioni radiologiche correlate a LCC erano di tipo
amorfo/indistinto (42,9%) e granulare (25%). Frequentemente le calcificazioni erano distribuite in cluster, soprattutto in
sede supero-esterna destra. Su 80 casi diagnosticati come B2,
75 sono stati inviati a FU clinico e 5 casi a biopsia escissionale con riconferma di LCC senza atipie. Dei 43 casi di LCC
con atipia (B3), in 14 non è stato riconfermato il quadro atipico all’esame su biopsia chirurgica, mentre in 1 caso su 10
di LCC associate a Neoplasie Lobulari Intraepiteliali o Iperplasia Duttale Atipica era associato un Carcinoma Duttale in
situ (CDIS) all’esame su pezzo chirurgico. Tutti i casi di LCC
associati a CDIS (B5a) sono stati riconfermati al definitivo
tranne uno diagnosticato come LIN.
Conclusioni. I nostri dati suggeriscono che: i) le LCC rappresentano la causa di circa il 40% di VACB eseguite per il
riscontro di calcificazioni mammografiche di basso sospetto
radiologico, ii) l’escissione chirurgica di LCC atipiche, non
associate ad altra patologia, diagnosticate su VACB, non è
necessaria, vista la completa assenza di lesioni più aggressive all’esame istologico definitivo.
Integrazione del Nottingham Prognostic
Index con i fenotipi biologici per una migliore
definizione prognostica delle pazienti affette
da carcinoma della mammella
M. Pedriali, P. Querzoli, R. Rinaldi, C. Frasson, I. Nenci
Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica del
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Università di Ferrara
Introduzione. La storia clinica dei carcinomi mammari infiltranti è determinata da fattori morfologici e biologici. Il pT,
il pN ed il G hanno dimostrato avere un ruolo molto importante nella valutazione prognostica. Il Nottingham Prognostic
Index (NPI) integra in un unico dato sintetico queste informazioni fornendo al clinico un potente strumento per stratificare la prognosi in tre classi di rischio. Gli studi su l’espres-
259
sione genica hanno permesso di identificare tre profili biologici (basale, HER-2+/ER- e luminale) ad andamento prognostico differente. Un’analisi combinata 1 dei dati presentati da
Nielsen 2 e Livasy 3 ha permesso di individuare con ottima approssimazione questi fenotipi biologici basandosi sull’espressione di un pannel di marcatori (ER, PR, HER-2) oggi
indispensabili nella routine diagnostica del carcinoma della
mammella.
Metodi. Lo studio è stato condotto su 702 pazienti (pz) affette da carcinoma mammario infiltrante incidente negli anni
1989-1993 diagnosticato presso la Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica del Dipartimento di Medicina
Sperimentale e Diagnostica dell’Università di Ferrara di cui
era disponibile la caratterizzazione clinico-patologica (età ≤
70 anni: 557 pz; 527 duttali, 109 lobulari, 66 speciali; pT: ≤
2 cm: 450 pz). Sono stati raccolti i dati di follow-up (media:
93 mesi, mediana: 101 mesi; range: 8-158 mesi), allestiti 31
tissue micro arrays (TMA) su cui è stata effettuata la valutazione del G e dei parametri biologici (ER, PR, HER2) la cui
integrazione ha permesso di identificare 118 casi con fenotipo basale o HER-2+ (ER-/PR-/HER-2- o HER-2+) e 549 casi a fenotipo luminale (ER+ e/o PR+).
Risultati. Il 40,9% dei pz aveva un NPI ≤ 3.4 (buona prognosi), il 15% aveva NPI > 5,4 (alto rischio), il 44,1% dei pz
aveva una prognosi intermedia (3,4 < NPI ≤ 5,4) Su questi ultimi si sono identificati 62 carcinomi a fenotipo basale/HER2+ con andamento clinico sovrapponibile al gruppo ad alto
NPI e 52 pazienti a fenotipo luminale, di età > 70 aa, con andamento clinico non statisticamente differente da quello del
gruppo a basso NPI.
Conclusioni. L’integrazione dei parametri morfologici con i
profili biologici identificati dalla biologia molecolare può
permettere una migliore stratificazione prognostica delle pazienti affette da carcinoma mammario infiltrante. Nella nostra casistica questa integrazione ha permesso di ricategorizzare la prognosi del 37% delle pazienti a NPI intermedio.
Bibliografia
1
Carey A, et al. Clin Cancer Res 2007;13:2329-34.
2
Nielsen T, et al. Clin Cancer Res 2004;10:5367-74.
3
Livasy CA, et al. Mod Pathol 2006;19:264-71.
Valutazione dello stato del gene HER-2 nel
carcinoma della mammella: protocolli della
metodica FISH a confronto
E. Bonanno, A. Colantoni, A. Costantini, C. Fortunato, A.
Marinucci, L.G. Spagnoli
Università “Tor Vergata” di Roma
Introduzione. Un passaggio cruciale nell’esecuzione della
metodica FISH riguarda i pre-trattamenti necessari per consentire il legame della sonda con il DNA target. Scopo del
presente studio è stato quello di mettere a punto una metodica di pre-trattamento standard che consentisse di migliorare
la penetrazione della sonda nei tessuti inclusi in paraffina,
senza determinare alterazioni morfologiche tali da impedire
una corretta valutazione dell’espressione del gene.
Materiali e metodi. Sono state valutate 40 neoplasie della
mammella (20 incluse in tissue microarray) con diversa
espressione della proteina C-erb-B2. Sono state utilizzate due
diverse sonde (Pathvysion, Vysis; HER2 DAKO) e vari protocolli di pre-trattamento: enzimatico, come suggerito dalle
case di produzione delle sonde; pre-trattamento con il forno
POSTERS
260
a microonde in tampone citrato a pH 6 e tampone EDTA a pH
8. Le condizioni di ibridazione ed i lavaggi di stringenza sono stati eseguiti rispettando le indicazioni delle case di produzione delle sonde.
Risultati. Le 40 neoplasie presentavano una espressione variabile della proteina Cerb-B2 10 delle quali score 0, 7 score
1; 15 score 2; 8 score 3 (score Herceptest Dako). La valutazione con le sonde Pathvysion Vysis ed HER2DAKO, seguendo le procedure di pre-trattamento suggerite dalle case
di produzione hanno dato risultati comparabili dimostrando
l’assenza di amplificazione negli score 0, 1 e nell’86,7% degli score 2 (13 casi non amplificati, 2 casi amplificati) una
marcata amplificazione genica con clusters negli score 3+. Il
pre-trattamento nel forno a microonde in citrato pH6, pur fornendo dei risultati pressoché comparabili, produceva in alcuni casi (10 su 40) artefatti nucleari che rendevano difficoltosa la lettura. Il pre-trattamento nel forno a microonde in EDTA pH8 forniva risultati concordi con quelli eseguiti secondo
le istruzioni del produttore della sonda. Inoltre la conservazione dell’architettura del tessuto e l’assenza di artefatti nucleari facilitavano l’osservazione sia diretta che le riprese fotografiche per la conta automatica degli spot.
Conclusioni. Il pre-trattamento con il calore in EDTA, da noi
messo a punto, ha rappresentato un buon compromesso tra
permeabilizzazione e conservazione della morfologia nucleare. Va sottolineato che il pre-trattamento a microonde ha consentito di applicare a diverse neoplasie lo stesso protocollo
con risultati equiparabili a quelli ottenuti variando i tempi di
digestione enzimatica.
Correlazioni tra flat atypia e patologia
benigna e maligna della mammella
S. Battista, E. Bonanno, D. Liotti, D. Postorivo, L.G. Spagnoli
Università “Tor Vergata”, Roma
Introduzione. Il termine “flat atypia” si riferisce a lesioni
delle unità duttale-terminolobulare in cui acini variabilmente
dilatati sono rivestiti da uno o più strati di cellule epiteliali
colonnari con atipia citologica di basso grado. Secondo Azzopardi era una forma DCIS (clinging carcinoma). Oggi la
WHO l’ha classificata come una lesione proliferativa intraduttale, DIN1a, che comprende: alterazioni delle cellule colonnari con atipia (acini rivestiti da uno o due strati di cellule colonnari epiteliali con vacuoli citoplasmatici apicali, calcificazioni luminali o psammoma bodies); iperplasia delle
cellule colonnari con atipia (acini rivestiti da più di due strati di cellule epiteliali colonnari che possono formare protrusioni o micropapille con aspetto hobnail). L’atipia è di basso
grado con nuclei rotondi od ovali non regolarmente orientati
perpendicolarmente alla membrana basale, con aumentato
rapporto nucleo/citoplasma e nucleoli prominenti. L’obiettivo del nostro studio è di correlare tali lesioni al DCIS e al
Carcinoma Duttale Infiltrante per migliorare le strategie terapeutiche di pazienti, abbiamo valutato reperti chirurgici di
nodulectomia, quadrantectomia e mastectomia radicale la
possibile relazione.
Metodi. Abbiamo esaminato un totale di 337 casi, in reperti
chirurgici di nodulectomia, quadrantectomia e mastectomia
radicale, inclusi in paraffina e colorati con ematossilina-eosina, di patologia mammaria suddivisa in benigna (fibroadenoma, mastopatia fibrosocistica, iperplasia e papillomatosi intraduttale, adenosi, altre patologie) rispettivamente corri-
spondente a 180 casi e maligna corrispondente a 157 casi di
carcinoma duttale e lobulare infiltrante (DCI, LCI) di carcinoma duttale e lobulare in situ (DCIS, LCIS).
Risultati. Dei 180 casi di patologia benigna, solo 33 erano
associati alla “flat atypia” ed erano mastopatia fibrosocistica
(18,3%). Tra i 157 casi di patologia maligna, 115 erano DCI,
di cui 27 con “flat atypia”; 42 erano DCIS di cui 6 con “flat
atypia” (21%).
Conclusioni. Dal nostro studio la “flat atypia” risulta essere
correlata al carcinoma in situ ed infiltrante, piuttosto che alla patologia benigna, peraltro rappresentata da una maggioranza di casi di mastopatia fibrosocistica. Questo dato risulterebbe importante nel management agobioptico delle pazienti per non incorrere nel overtrattamento e nella sottostadiazione.
Bibliografia
1
Schnitt SJ. Breast Cancer Res 2003;5:263-8.
2
Schnitt SJ, et al. Modern Pathol 2006;19:172-9.
Amyloid beta protein precursor and vascular
endothelial growth factor expression in
breast carcinoma correlates with
angiogenesis and prognosis
L. Marasà, R. Passantino, S. Marasà
U.O. Anatomia Patologica, P.O. “M. Ascoli”, Palermo, Italia
Introduction. Angiogenesis is essential for tumour growth
and important in tumour metastasis and prognosis. The amyloid beta protein precursor (APP), cleaved by β-secretase and
γ-secretase to produce β-amyloid, is highly expressed in the
endothelium of neoforming vessels suggesting that it might
play a role during angiogenesis. So far APP expression has
been correlated with high vascularity and malignant progression of human astrocytic tumours and, recently, oral squamous cell carcinoma. Vascular endothelial growth factor
(VEGF) stimulates endothelial proliferation in vitro and angiogenesis in vivo. VEGF expression has been correlated
with high vascularity in tumours, including breast carcinoma.
Methods. This study investigated APP and VEGF expression
in invasive lobular (n = 10) and invasive ductal breast carcinoma (n = 20). APP and VEGF expression was studied with
immunohistochemistry using monoclonal antibodies on fivemicron thick sections obtained from formalin-fixed, paraffinembedded tissue blocks. The sections were also stained with
antibodies against factor VIII, CD31 and CD34. APP and
VEGF staining was evaluated by combining both percentage
of positive tumour cells and staining intensity. Angiogenesis
was moreover estimated as Microscopic Angiogenesis Grading System (MAGS) index and Microvessel Density (MVD).
Results. Immunohistochemistry demonstrated that APP was
detectable mainly in tumour and endothelial cells. There was
more expression of VEGF in invasive ductal than in invasive
lobular carcinoma. APP and VEGF expression correlated
with a poor prognosis.
Conclusions. This is the first study that has investigated the
role of APP in angiogenesis in breast cancer suggesting a
probable participation of APP and the possibility to use the
inhibitors of the β- and γ-secretases such as new classes of
anti-angiogenic and anti-tumoral drugs. Our preliminary results have confirmed the role of VEGF in angiogenesis in
breast cancer and the different expression of VEGF in invasive ductal and lobular carcinoma suggesting that other fac-
POSTERS
261
tors may play a more important role in the angiogenesis of
the latter.
CAV-1 protein expression in lobular breast
neoplasia progression
References
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Nakagawa T, et al. Anticancer Res 1999;19:2963-8.
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Ko SY, et al. Int J Cancer 2004;111:727-32.
M. Zagami, G. Perrone, G. Lescarini, V. Altomare*, S.
Morini**, C. Rabitti
Neuroendocrine small cell carcinoma of the
breast: a report of two cases with
immunohistochemical features
Introduction. CAV-1 is the principal structural component
of caveolae domains, which represent a subcompartment of
the plasma membrane. Several lines of evidence suggest that
caveolin-1 functions as a suppressor of cell transformation 1.
A recent report showed that expression of caveolin-1 was
down-regulated in breast ductal carcinoma cells compared
with the normal breast epithelial cells 2. To data, no information exists on neoplastic lobular breast pathology. In the present study CAV-1 expression was studied in normal lobular
epithelial cells, LIN lesion and in lobular invasive cancer.
Materials and methods. 69 specimens of lobular neoplasm
(35 LIN, 34 invasive cancers) were examined for CAV-1 expression by immunohistochemistry. CAV-1 was evaluated as
percentage of positively stained cells in a total of at least
1000 tumour cells. Staining for CAV-1 was considered positive if > 10% of cells were stained.
Results. Immunohistochemical analysis revealed strong fine
granular expression of caveolin-1 concentrated at the surface
membrane and a diffuse cytoplasmic staining pattern in the
normal lobular epithelial cells and surrounding endothelial
cells (used as internal positive control) in all 69 cases. A
strong significant difference (p < 0,0001) was found in terms
of CAV-1 expression between LIN [28/35 (80%)] and invasive lesions [11/34 (32,3%)]. If CAV-1 expression was considered within different LIN grades, no significant difference
was found between LIN1 and LIN2 while a significant difference was found between LIN1 and LIN3 (p = 0,02) and
between LIN2 and LIN3 (p = 0,038). Moreover no significant difference was found between LIN3 and invasive lesions. Furthermore, a negative significant correlation was
found between CAV-1 expression and lobular neoplasia grading.
Conclusions. The higher percentage of CAV-1 positive LIN
lesions compared with invasive lobular cancer and the significant negative correlation between CAV-1 expression and
lobular neoplasia grading are further evidence of the possible
role of CAV-1 in the development of human lobular breast
cancer. Furthermore, our results show that CAV-1 expression
is similar in LIN3 lesions and in invasive lobular carcinoma.
A provocative possible explanation of the latter data is that
LIN3, rather than LIN1 and LIN2 lesions, is a precursor lesion of invasive lobular carcinoma rather than a simple risk
factor.
G. Perrone, M. Zagami, S. Morini*, G. Gullotta, V. Altomare**, C. Rabitti
Anatomia Patologica, * Anatomia Umana, ** Unità di Senologia, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, Roma, Italia
Introduction. Small cell carcinoma, although most commonly
encountered in the lung, can occur in many extrapulmonary
sites, including the salivary glands, upper respiratory mucosa,
intestinal tract, pancreas, urinary tract, and other organs. Small
cell neuroendocrine carcinoma (SCNC) a of the breast is a rare
tumour with less than 30 cases reported in the literature.
Case 1. A 96 year old woman presented with a mass in her
right breast. Radiological and clinical examination failed to reveal tumour elsewhere in the body. She had a breast cancer excision, which was diagnosed as SCNC. The size of the tumour
was 3,5 cm. Axillary clearance was not performed. Immunohistochemical study showed positivity for NSE and MNF116
cytokeratin (dot-like pattern) while negative for chromogranin,
synaptophysin, oestrogen receptor, progesterone receptor, p53,
HER2. Ki-67 was positive in > 40% of cancer cells.
Case 2. A 42 year old woman presented with a mass in her
left breast. Radiological and clinical examination failed to reveal tumour elsewhere in the body. She had a simple lumpectomy with axillary dissection. Microscopically, a 3.5 cm SCNC with focal squamous differentiation and foci of in situ
ductal component with 26 negative lymph nodes was diagnosed. In the neuroendocrine small cell component, immunohistochemical study showed positivity for NSE, chromogranin, synaptophysin, MNF116 cytokeratin (dot-like pattern), while negative for HMW-CK. On the other hand, the
squamous component resulted negative for NSE, chromogranin and synaptophysin while positive for MNF116 cytokeratin and HMW-CK. Furthermore, oestrogen receptor, progesterone receptor, HER2 were negative. Ki-67 and P53 were
respectively positive in 98% and 50% of cancer cells.
Conclusion. SCNC is a rare tumour of the breast. The distinction is particularly important in view of the perceived
more aggressive behaviour 1. The diagnosis of SCNC in the
breast can usually be supported by detecting immunohistochemical evidence of neuroendocrine differentiation, however one of our cases of small cell mammary carcinoma did not
display consistent immunoreactivity for neuroendocrine
markers beyond strong and diffuse staining with NSE. Heterogeneous immunoreactivity for neuroendocrine markers is
a well-documented observation in small cell carcinomas at
other sites 2. Demonstrating a neuroendocrine immunoprofile
is supportive but not essential in rendering a diagnosis of
mammary small cell carcinoma.
References
1
Samli B. Arch Pathol Lab Med 2000;124:296-8.
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Guinee DG. Am J Clin Pathol 1994;102:406-14.
Anatomia Patologica, * Unità di Senologia, ** Anatomia
Umana, Università Campus Bio-Medico di Roma, Italia
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Park SS, et al. Histopathology 2005;47:625-30.
POSTERS
262
Correlazioni pre- e post-operatorie nella
diagnostica dei tumori mammari
M.G. Cattani
Anatomia Patologica, Azienda USL Bologna, Ospedale Maggiore
Introduzione. Sono stati studiati 232 carcinomi mammari diagnosticati pre-operatoriamente e successivamente operati presso l’Ospedale Maggiore di Bologna nel periodo gennaio 2000dicembre 2004. Requisiti per l’inclusione nello studio sono stati: diagnosi preoperatoria cito o istologica effettuata presso il
nostro ospedale, neoplasie T1 trattate con intervento conservativo associato alla tecnica del linfonodo sentinella, inclusione
delle pz in un follow-up aziendale. Scopo dello studio è stato
quello di valutare in una casistica omogenea l’accuratezza delle metodiche diagnostiche recentemente adottate in patologia
mammaria con particolare attenzione alle diverse tecniche istologiche di diagnosi preoperatoria e alla metodica del linfonodo
sentinella. A tale scopo sono stati esaminati una serie di parametri tra cui: 1) correlazione tra dimensioni della lesione all’imaging e all’intervento; 2) presenza e caratteristiche degli esiti
macro e microscopici della biopsia preoperatoria sul pezzo chirurgico; 3) correlazione tra diagnosi preoperatoria e diagnosi
definitiva con valutazione di percentuale di sottostima della lesione, di riproducibilità di istotipo e di grading; 4) numero di
linfonodi sentinella individuati, incidenza di metastasi, di micrometastasi e di cellule tumorali isolate; 5) percentuale di ripresa locale di malattia nel periodo di follow-up.
Risultati e conclusioni. I risultati ottenuti hanno confermato
l’elevata affidabilità diagnostica delle tecniche pre-operatorie,
l’utilità di adottare strumenti diagnostici diversi secondo le caratteristiche di imaging della lesione, l’elevata affidabilità della tecnica del linfonodo sentinella che nel 83% dei casi è risultato essere l’unico linfonodo interessato dalla malattia.
Materiali e metodi. Nel nostro Istituto sono stati studiati 15
casi consecutivi di CLD (0,3% di tutti i carcinomi invasivi della mammella) osservati nel periodo compreso tra il 1989 ed il
2007. Sono stati valutati i parametri morfologici, biopatologici
(ER, PR, Mib-1, c-ErbB-2) e clinici. Tutti i dati sono stati confrontati con un gruppo di 71 carcinomi lobulari infiltranti (CLI)
convenzionali (44 casi pT1 e 27 casi pT2). I parametri morfologici e biopatologici sono stati correlati con il follow-up.
Risultati. Tutti i casi sono stati osservarti in pazienti di sesso
femminile di età compresa tra 38 e 89 anni. Età media dei CLD
60,4 anni (mediana 59,0); età media dei CLI (pT1 + pT2) 65,4
anni (mediana 67,0). Il follow-up medio è stato di 53,6 mesi
(mediana 48,2). I principali dati riguardanti il profilo biopatologico e le metastasi sono riportati nella Tabella I. I CLD sono
risultati più frequentemente negativi per ER rispetto ai CLI
pT1 (p = 0,002) e pT2 (p = 0,03) ed hanno mostrato un maggior numero di casi con metastasi linfonodali rispetto al gruppo dei CLI pT1 (p = 0,05) ma non rispetto ai CLI pT2. Non si
sono osservate variazioni statisticamente significative per ciò
che concerne PR, Mib-1, c-ErbB-2, sopravvivenza libera da
malattia (SLM) e sopravvivenza globale (SG).
Conclusioni. I dati del presente studio non mostrano un andamento clinico peggiore dei CLD in termini di SLM e SG
rispetto ai CLI. È stato documentato un più alto numero di
casi con metastasi linfonodali rispetto ai CLI pT1, ma non rispetto ai pT2, anche se la presenza delle metastasi non ha influito sulla SLM e sulla SG. In conclusione i nostri dati non
consentono di delineare una categoria prognostica separata
dei CLD 1 pur riconoscendone la peculiare difficoltà nell’identificazione clinico-strumentale.
Bibliografia
1
Tot T. Virchows Arch 2003;443:718-24.
La diagnostica del carcinoma della mammella
nella provincia di Granma a Cuba. Il progetto
dei Patologi oltre Frontiera
Carcinoma lobulare diffuso: profilo
biopatologico e significato prognostico
F. Cartaginese, A. Sidoni, M.G. Mameli, G. Bellezza, M.
Giansanti, R. Del Sordo, R. Colella, M. Toraldo, L. Di
Terlizzi, M. Sagramola, M.G. Cacace, M. Spinelli, A. Cavaliere
Istituto di Anatomia e Istologia Patologica, Università di Perugia
Introduzione. Il carcinoma lobulare di tipo diffuso (CLD) è
una neoplasia mammaria che cresce senza formare una massa tumorale distinta. Per la sua rarità, i dati riguardanti questa neoplasia sono scarsi; abbiamo pertanto esaminato una
serie consecutiva di CLD per studiarne il profilo biopatologico ed il comportamento clinico.
D. Fenocchio, R. Tumino*, P. Giovenali, F. Serrat
Gomez**, V. Stracca Pansa***, L. Viberti****
U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “Silvestrini”, Perugia;
*
Registro Tumori e Anatomia Patologica, Dip. Oncologia,
A.O. “Civile M.P. Arezzo”, Ragusa; ** Ospedale “Carlos
Manuel de Cespedes Bajamo”, Cuba; *** U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Civile “SS Giovanni e Paolo”, Venezia;
****
U.O. Anatomia Patologica Ospedale “EvangelicoValdese”, ASL1 Torino
Introduzione. La ONG Patologi oltre Frontiera gestisce dal
2004 a Cuba, nella Provincia di Granma, un progetto con il
supporto del PDHL (Programa del Las Naciones Unidas Para el Desarrollo), il comune di Foligno e di Venezia e l’O-
Tab. I. Profilo biopatologico e metastasi nei CLD e CLI.
ER+
CLD
CLI pT1
CLI pT2
PR+
Mib-1
elevato
N
%
N
%
N
%
10
43
25
66,7
97,7
92,6
12
35
22
80,0
79,5
81,5
2
11
7
13,3
25,6
28,0
Metastasi
linfonodali
N
%
8
9
17
53,3
22,0
65,4
Metastasi
sistemiche
N
%
2
2
3
13,3
4,5
11,1
POSTERS
263
spedale di Perugia. La cooperazione riguarda due ambiti di
patologia femminile: il carcinoma della mammella e della
cervice uterina (prima e seconda causa di mortalità femminile a Cuba). Per il carcinoma della mammella i risultati sperati erano di aumentare le diagnosi in stadio T1 N0 M0, la creazione di un registro tumori organo specifico della mammella
e la diminuzione della mortalità. Il programma nazionale di
diagnostica del carcinoma della mammella comincia a Cuba
nel 1991, nella regione del Granma nel 1992 e si basa sull’autopalpazione, l’ecografia delle donne sintomatiche e il
prelievo citologico con agoaspirazione. Il mammografo in
dotazione alla provincia non è funzionante.
Metodi. Il progetto italiano, basato sullo scambio di specialisti, è cominciato nel 2004: sono stati inviati computer, microscopi, un ecografo e, allo scopo di istruire un registro tumori organo specifico della mammella, è stato installato un
sistema informatico di raccolta dati SQTM. La provincia di
Granma comprende 297.832 donne e il programma prevede
lo screening con ecografia di 2.000 donne con ecografia e citoaspirazione.
Risultati. Le valutazioni a due anni sull’utilità della diagnostica integrata ecografia/citologia nel carcinoma della mammella sono riportate in Tabella I.
Tab. I. Carcinoma della mammella.
Provincia Granma
2004
2005
2006
T1-2
T3-4
Ca. con T non definito
31,9%
21,1%
47,0%
46,9%
12,2%
40,9%
70,2%
5,4%
24,4%
Il miglioramento delle tecniche di prelievo e di colorazione
ha ridotto gli inadeguati citologici dal 18,8% nel 2004 al
6,2% nel 2006 e i falsi negativi dal 2,1% al 1,8%
Conclusioni. Allo stato attuale nella provincia di Granma
non esiste la possibilità di utilizzare un mammografo, da qui
la necessità di implementare la diagnostica ultrasonografica e
citoaspirativa.
La formazione del patologo e del radiologo può considerarsi
buona. Sono attualmente regolarmente registrati tutti i casi
citologici e istologi di tumori della mammella. Il laboratorio
di Anatomia Patologica è però in condizioni inaccettabili: il
successivo sviluppo del progetto dovrebbe prevedere di potenziare la strumentazione minima, continuare la formazione,
inserire la tecnica del linfonodo sentinella con blu di toluidina e la determinazione dei fattori prognostici e dei recettori
ormonali.
Cystic papillary adenomyoepithelioma of the
breast. A case report
A. Labate, G. Certo, P. Lo Verde, M. Mesiti
Casa di Cura “Cappellani SPA”, Messina, Italia
Introduction. Adenomyoepithelioma is a proliferative disorder of both epithelial and myoepithelial cells. This lesion
may be found in salivary glands, skin appendages and, very
rarely, in the mammary gland. Cystic papillary adenomyoepithelioma of the breast is a very rare tumor.
Case report. We report a case of this entity in a 37-year-old
woman The initial clinical finding was usually a nodular
mass in the breast and examination suggested the diagnosis
of a fibroadenoma.Ultrasound showed a cyst with an intracystic mass. The lesion was removed and sent to our observation. Histopathological examination and immunohistochemical analysis of the lesion was found to be a cystic papillary adenomyoepithelioma.
Materials e methods. Nodular lesions of 2.2 x 2.2 cm sent to
our observation. The specimens were fixed in 10% buffed
formalin, and paraffin embedded. Paraffin sections were
stained with hematoxilyn and eosin for histological evaluation. For immunohistochemical studies, section were incubated with anti estrogen and progesterone receptor, cHERB2, Ki 67 and secondly with desmin and SMA polyclonal antibody. Following incubation with avidin-biotin-peroxidase
and the reaction was detected with 3,3’-diaminobenzidine.
Results. The morphological grossly apparence produced a
circumscribed, firm tumor with nodularity and cysts. The
consistence not is strongly. Histopathological features describes a circumscribed lesions that showed ducts lined by inner epithelial and outer myoepithelial cells with papillary
pattern and solid areas made up of fasciculated spindle myoepithelial cells. Was associated adenosis. Relatively bland is
cytologic features. Immunohistochemical studies distinguished epithelial (CK+) from myoepithelial cells (SMAdesmine+). Hormone receptor studies showed estrogen and
progesterone positive (20-25%); cHER-B2(Neg) and Ki67
positive (5-10%).
Discussion. Adenomyoepithelioma was first described in
1970 and very few cases have so far been reviewed in the literature. This paper reports the clinical, histological and immunohistochemical characteristics of an adenomyoepithelioma in a 37 year old woman; the clinical feature suggested
a fibroadenoma. A more complete study of the excised tumor
tissue by immunohistochemical analysis proved that the correct diagnosis was cistyc papillary-adenomyoepithelioma.
Literature findings indicate that adenomyoepithelioma is a
benign this lesion is a benign or a low-grade malignant
whether the possibility of local recurrence, wide local excision is recommended.
References
Accurso A, et al. Tumori 1990;76:606-10.
Papaevangelou A, et al. Breast 2004;13:356-8.
Carcinoma lobulare mammario metastatico
ad un polipo endometriale
M. De Vito, L. Ventura*, T. Ventura, M.L. Brancone
Istituto Veneri, Laboratorio di Analisi Citoistopatologiche,
Tortoreto (TE); * U.O. di Anatomia Patologica, ASL 4, Ospedale “San Salvatore”, L’Aquila
Introduzione. Le metastasi di neoplasie extrapelviche in sede uterina sono rare. Le più frequenti sono rappresentate da
neoplasie mammarie (43%), coliche (17,5%) e gastriche
(11%) 1.
Metodi. Giungeva alla nostra osservazione una paziente di
sesso femminile, di 58 anni, con precedente diagnosi di carcinoma mammario posta in altra sede nel 1999, ed in terapia
264
con tamoxifene fino al 2005. La paziente presentava da qualche mese episodi di metrorragia. L’isteroscopia evidenziava
una lesione polipoide, peduncolata, delle dimensioni di 3 x 1
x 0,5 cm. Il materiale chirurgico veniva processato e tagliato
in sezioni di 4 µm di spessore, colorate in ematossilina-eosina e con metodo immunoistochimico.
Risultati. L’esame istologico evidenziava un polipo endometriale con ghiandole di dimensioni variabili immerse in un denso stroma fibrovascolare con condensazione perighiandolare.
Lo stroma mostrava foci multipli di cellule monomorfe, focalmente organizzate in filiere. I nuclei erano ipercromatici e talora localizzati in posizione eccentrica. L’endometrio adiacente era di tipo ipotrofico. Le cellule neoplastiche erano immunopositive per CK7 e recettori estrogeni (ER). La positività per
i recettori del progesterone (PR) era focale. L’indice di proliferazione era pari all’8%. Veniva posta diagnosi di carcinoma
lobulare mammario metastatico ad un polipo endometriale.
Conclusioni. Il tamoxifene, un farmaco utilizzato nel trattamento del carcinoma mammario, agisce sia come parziale
agonista degli ER che come antagonista. La prima caratteristica è quella prevalente sull’endometrio mentre le proprietà
antiestrogeniche lo rendono efficace nel trattamento delle
neoplasie mammarie.
Le metastasi da carcinoma mammario su polipo endometriale, associate a terapia con tamoxifene, sono state descritte raramente in letteratura 2. Il carcinoma lobulare è l’istotipo più
frequente essendone stati descritti 4 casi. In aggiunta sono
stati illustrati un caso di metastasi da carcinoma apocrino ed
uno da carcinoma duttale invasivo. Tutte le donne, inclusa
quella del nostro caso, si presentavano con sintomi costituiti
essenzialmente da metrorragia. Lo scopo di questo report è
quello di segnalare la possibilità di metastasi da carcinoma
mammario in donne con una pregressa diagnosi di neoplasia
che siano state sottoposte a terapia con tamoxifene. A tale fine risulta fondamentale la corretta interpretazione dell’esame
istologico del materiale proveniente da curettage e/o della
biopsia endometriale.
Bibliografia
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Al-Brahim N, et al. Ann Diag Pathol 2005;9:166-8.
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Alvarez C, et al. Obstet Gynecol 2003;102:1149-51.
Expression of endothelial protein c receptor
and thrombomodulin in human breast
cancer
S. Ferrero, M. Falleni, L. Caruso, G. Fontana*, L. Tagliavacca*, E.M. Faioni*, S. Bosari
Department of Medicine, Surgery and Dental Sciences, Division of Pathology, University of Milan, A.O. “S Paolo” and
Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico e “Regina Elena”, Milan, Italy; * Hematology and Thrombosis Unit, DMCO, Università di Milano and Ospedale “San Paolo”, Milano, Italy
Background. Endothelial protein C receptor (EPCR) plays a
critical role in augmenting protein C activation by thrombinthrombomodulin complex and it participates in the regulation
of inflammation and possibly cell growth. Though hemostasis is important for cancer growth and invasiveness, little information is available regarding the expression of the EPCR
in human cancer. This study aims to analyze the expression
of EPCR in human breast cancer and to compare it to the expression of other known markers of breast cancer, such as the
POSTERS
progesterone and estrogen receptors, Ki-67, and c-erb-b2, as
well as cancer stage. Thrombomodulin expression was analyzed as well.
Methods. Retrospective surgical specimens from 96 breast
cancer women were investigated for EPCR and Thrombomodulin both at protein and at transcriptional levels; EPCR
protein was also analyzed in breast cancer cells with confocal microscopy. Results were statistically compared with
known clinico-pathological characteristics of cases.
Results. EPCR immunoreactivity was found in 49/96 (51%)
breast cancer, one fifth of which with high intensity. EPCR
expression was prevalently detected in lower stage cancer
and it was inversely related to c-erb-B2 expression. EPCR
was not found in normal breast parenchyma far removed
from the malignancy except for the vessel endothelium,
while it was expressed by the epithelial cancer cells and the
myoepithelium, often with a polarized pattern. Thrombomodulin was detected in 17/96 (20%) breast cancers only,
and it was equally distributed between EPCR positive (10/49,
20%) and negative (7/47, 21%; p = 0.5955) tissues. None of
the analyzed clinical or immunochemical characteristics was
specifically associated with thrombomodulin positive vs.
thrombomodulin negative cancers.
Conclusions. These findings suggest that protein C may not
be always activated at the cancer cell surface since thrombomodulin is not invariably co-expressed with EPCR on the
breast cancer cell. This receptor may have an extra-hemostatic role in breast cancer and might represent a functional
state of cancer growth.
Malattia di Paget della mammella associata a
carcinoma lobulare pleomorfo: descrizione di
due casi
M. Bosco, R. Senetta, I. Castellano, L. Macrì, A. Sapino
Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana,
Università di Torino
Introduzione. La malattia di Paget della mammella (MPD) è
caratterizzata da una crescita intraepiteliale di cellule neoplastiche a livello dell’epidermide areolare e/o del capezzolo. La
maggior parte dei casi di MPD origina da carcinoma duttale
in situ o invasivo del sottostante tessuto mammario. Rari casi appaiono originare primariamente a livello dell’epidermide del capezzolo. In letteratura è descritto un solo caso di associazione di carcinoma lobulare in situ e MPD 1. Sono qui
descritti due casi di MPD insorto su carcinoma lobulare in situ o infiltrante pleomorfo della mammella.
Risultati. Caso 1. Si tratta di una donna di 48 anni con sovvertimento strutturale diffuso della mammella identificato
ecograficamente. La cute del capezzolo e dell’areola erano
indenni. È stata posta diagnosi istologica di carcinoma lobulare infiltrante pleomorfo (G3 pT1cm pN1a) associato a carcinoma lobulare in situ pleomorfo. I dotti galattofori erano
indenni. A livello della cute areolare era presente un’infiltrazione intraepidermica di cellule con moderata quantità di citoplasma amfofilo, nuclei pleomorfi, cromatina vescicolosa,
nucleoli prominenti.
Caso 2. Si tratta di una donna di 73 anni con nodo mammario palpabile sottoareolare. La cute del capezzolo mostrava
un’estesa reazione eczematoide. È stata posta diagnosi di carcinoma lobulare in pleomorfo multifocale e carcinoma duttale in situ di alto grado. Era presente un invasione pagetoide
del dotti galattofori e dell’epidermide del capezzolo da parte
POSTERS
di cellule con caratteristiche morfologiche e immunoistochimiche sovrapponibili a quelle della componente in situ lobulare pleomorfa.
Le cellule di Paget in entrambi i casi mostravano il seguente
assetto immunofenotipico: negatività per caderina E ed
HER2; positività per il recettore degli estrogeni e del progesterone, citocheratina 7 ed EMA.
Conclusioni. La diagnosi differenziale in questi due casi deve essere posta con un MPD da CDIS; tuttavia la morfologia
delle cellule di Paget, l’assenza di carcinoma duttale in situ e
invasivo (nel caso 1), la cancerizzazione dei dotti galattofori
da parte del carcinoma lobulare (nel caso 2), la negatività per
HER2 e caderina E e la positività per i recettori ormonali
supportano la diagnosi di MPD da carcinoma lobulare in situ. Viste le basse atipie citologiche le cellule di tipo lobulare
in MPD potrebbero essere confuse con le cellule di Toker che
risiedono normalmente in tale sede e che risultano CK7 e caderina E positive.
Bibliografia
1
Sahoo S, et al. Arch Pathol Lab Med 2002;126:90-2.
Miofibroblastoma della mammella:
descrizione di un caso
G. Ingravallo, A. Cimmino, A. Napoli, M.A. Bruno*, A.
Colagrande, C. Giardina
Dipartimento di Anatomia Patologica, Università-Policlinico di Bari; * Servizio di Anatomia Patologica, ASL Matera-4
Introduzione. Il miofibroblastoma (MFB) della mammella è
una neoplasia benigna dei tessuti molli, con maggiore incidenza nell’uomo anziano. Lesioni con morfologia e immunofenotipo simili al MFB mammario possono essere osservate anche
in sedi extramammarie, soprattutto nella regione inguinale.
Metodi. Uomo di 67 anni con nodulo mammario palpabile
del diametro di circa 1 cm, mobile osservato da alcuni mesi.
Non erano presenti alterazioni cutanee né linfoadenopatie regionali. Il paziente fu sottoposto ad agoaspirazione eco-giudata del nodulo.
Risultati. L’esame citologico si presentava ricco in cellule
prevalentemente di tipo fusato sia riunite in clusters che disperse, con frequenti dismorfie e dismetrie nucleari. Il giudizio conclusivo fu: positivo per malignità (C5). In base a ciò,
il paziente fu sottoposto a mastectomia.
Il tumore appariva come un nodulo ben circoscritto del diametro di 1,2 cm.
Esame istologico: la lesione circoscritta, non capsulata, era
costituita da cellule prevalentemente fusate disposte in fascetti con aspetti a palizzata suggestivi per un neurinoma. Le
cellule in prevalenza avevano nuclei allungati con cromatina
finemente dispersa e rari nucleoli. Tra queste erano, inoltre,
presenti cellule con nuclei grandi e con un elevato grado di
pleomorfismo. Si osservava una ricca componente vascolare
con diffusa fibrosi perivascolare. Assenti le figure mitotiche.
Nella lesione mancavano strutture ghiandolari mammarie.
Immunoistochimica: il tumore mostrava diffusa positività per
vimentina, CD99, bcl2 e recettori estrogenici, focale positività per actina muscolo liscio e CD34; risultava negativo per
citocheratine, EMA e proteina S-100. Viene posta diagnosi di
MFB mammario.
Conclusioni. Il MFB mammario appartiene al gruppo di neoplasie a cellule fusate costituite da una popolazione cellulare
Vimentina+/CD34+ al quale appartengono anche il fibroma,
265
il tumore stromale miogenico, il tumore fibroso solitario e il
lipoma a cellule fusate. In questo caso la presenza di atipie
cellulari, rilevate anche all’esame citologico, ha portato ad
“overtreatment” chirurgico della lesione.
L’aspetto istologico di questa ha posto problemi di d.d. in
primo luogo con il neurinoma, ed anche, con le altre neoplasie a cellule fusate. Questi, pur mostrando un vario grado di
eterogeneità morfologica e immunofenotipica, hanno un
comportamento biologico benigno. Essenziale è la d.d. dal
carcinoma a cellule fusate e dalla fibromatosi localmente aggressiva.
“Matrix-producing carcinoma” con necrosi
centrale: descrizione di un caso
A. Festa, P. Cossu Rocca, F. Pili, M. Contini, A. Mura, N.
Caragliu*, V. Marras, G. Massarelli
Istituto di Anatomia ed Istologia Patologica, Università di
Sassari; * Servizio di Radiologia, Ospedale Conti, Sassari
Introduzione. Il “matrix-producing” carcinoma (MPC) è
una rara variante di carcinoma metaplasico eterologo della
mammella caratterizzato da una transizione diretta tra la
componente carcinomatosa e la matrice cartilaginea/ossea,
senza una componente intermedia a cellule fusate od osteoclastica; inoltre, la componente carcinomatosa può esprimere un immunofenotipo mioepiteliale. La presenza di necrosi
centrale è già stata descritta da Wargotz et al. nel 1989 in
un’ampia serie di MPC. Recentemente, è stata individuata
una nuova entità, denominata “carcinoma duttale infiltrante
ad alto grado con ampia area centrale acellulata”, caratterizzata da un fenotipo basalioide-mioepiteliale e da necrosi centrale che occupa più del 30% della massa neoplastica. Tale
entità mostra pertanto forti similitudini con il MPC, per
quanto si differenzi in termini prognostici.
Metodi. Il caso è relativo ad una paziente di 68 anni sottoposta a mastectomia totale sinistra con linfadenectomia per la
presenza di due noduli palpabili, di 1 cm ed 1,5 cm, localizzati rispettivamente in sede subareolare e nel QII, mammograficamente radiopachi e a margini circoscritti, risultati positivi per malignità all’esame citologico.
Risultati. L’istologia mostra due neoformazioni nodulari,
circoscritte, caratterizzate da un’area periferica costituita da
una proliferazione solida di elementi atipici in continuità
con una componente condroide a stroma mixoide. L’area
centrale appare ampiamente necrotica. I linfonodi esaminati sono risultati negativi. Le analisi immunoistochimiche
hanno evidenziato diffusa positività negli elementi neoplastici per CK7, EMA, S100 e focale per e-cadherin, actina,
calponina, CD10, p63, CK5/6. Negativi i recettori ormonali
e Her2.
Conclusioni. Il nostro caso mostra morfologia ed immunofenotipo compatibili con un MPC e si caratterizza per l’inusuale presenza di due distinti foci neoplastici. La presenza di ampia necrosi centrale e l’espressione di markers mioepiteliali
sono peraltro caratteristici anche del carcinoma ad alto grado
con area centrale acellulata, che viene però associato ad una
prognosi infausta per l’elevata incidenza di metastasi cerebrali o polmonari. Nel nostro caso, a distanza di 3 anni dall’intervento, la paziente non ha mostrato ripresa di malattia.
È auspicabile la raccolta di una più ampia casistica di tali lesioni, in modo da definire ulteriori criteri morfologici ed immunofenotipici distintivi che ne consentano un corretto inquadramento clinico-patologico.
PATHOLOGICA 2007;99:266-271
Patologia molecolare
Statistical analysis of RT-PCR human
mammaglobin detection for diagnosis of
pleural effusion from breast cancer patients
Clinical significance of human mammaglobin
mrna expression in peripheral blood of
breast cancer patients by RT-PCR
N. Gorji, P. Ferro*, M.C. Franceschini, B. Bacigalupo, P.
Dessanti, A. Giannico, M. Moroni, L. Pietra, M.P. Pistillo**, S. Roncella, F. Fedeli
N. Gorji, P. Ferro*, M.C. Franceschini, B. Bacigalupo, P.
Dessanti, E. Falco**, A. Giannico, D. Gianquinto**, M.
Moroni, L. Pietra, S. Roncella, F. Fedeli
U.O. di Anatomia ed Istologia Patologica, ASL 5, La Spezia; * Associazione Italiana Leucemie Linfoma e Mieloma,
Sezione “Francesca Lanzone”, La Spezia; ** Unità di Ricerca Traslazionale A, Istituto Nazionale Ricerca Cancro
(IST), Genova, Italia
U.O. di Anatomia ed Istologia Patologica, ASL 5 La Spezia;
*
Associazione Italiana Leucemie Linfoma e Mieloma, Sezione “Francesca Lanzone”, La Spezia; ** Dipartimento di Chirurgia ASL 5 La Spezia, Italia
Introduction. Detection of breast cancer (BC) cells in pleural effusions (PE) is usually achieved by routine cytomorphology. However, the diagnosis of PE by this methodology
shows scarce sensitivity thus requiring more sensitive and
specific techniques. Recently, polymerase chain reaction
(PCR) has been proposed to improve the diagnostic accuracy
of PE.
The aim of this study was to investigate the possible application of a nested RT-PCR for human mammaglobin (hMAM)
mRNA detection in the diagnostic evaluation of PE. Accurate
statistical analysis of the results obtained and a comparative
analysis with cytology was performed.
Methods. Twohundred and fifty PE samples including 32
from patients who had diagnosis of BC, 116 from patients
with other cancers and 102 from patients with benign diseases were subjected to nested RT-PCR for hMAM. Diagnostic performance of hMAM RT-PCR was based on binomial distribution while comparison between correlated proportions was assessed through MCNemar test. Two-tailed pvalue < 0.05 was considered as statistically significant.
Results. hMAM was found expressed in 76/250 (30.4%) total PE and in 23/28 (sensitivity of 82.1%) of the PE subgroup due to metastasis from BC. The specificity for hMAM
detection method was 75.7%, while accuracy (Ac), positive
predictive value (PPV) and negative predictive value (NPV)
were 76.4%, 30.3% and 97.1%, respectively. hMAM was also detected in 46/116 (39.6%) PE specimens from other types
of cancer and in 7/102 (6.8%) from benign diseases.
Comparative analysis of RT-PCR and cytology showed that
14 PE samples from metastatic BC (50%) were positive by
both PCR and cytology, 9 (32.1%) were positive only by
PCR and 5 (17.9%) were negative by both tests whereas no
cases were found of positive cytology with negative PCR.
RT-PCR increased sensitivity of BC effusion detection of
32.1% (McNemar test p-value = 0.004).
Conclusions. The RT-PCR methodology, developed for this
study, has provided a rapid, reproducible and cost-effective
hMAM analysis test for BC diagnosis of PE. Moreover, RTPCR for hMAM test was more sensitive but less specific than
cytomorphology. We conclude that this test may be useful in
adjunct to cytology for the routine screening of malignant BC
effusions.
Introduction. Breast cancer (BC) has been shown to shed tumor cells into the peripheral blood (PB) at the earliest stages
of primary tumor development. These malignant cells are potentially able to form metastasis so that their early detection
may have important therapeutic and prognostic implication.
Human mammaglobin (hMAM) has recently been recognized as a breast associated glycoprotein and proposed as a
marker for BC micrometastasis detection. However, hMAM
expression in PB has been investigated in a relatively small
number of patients and its correlation with others prognostic
marker is controversial and must be further evaluated.
The aim of our study was to assess the possible association
of hMAM mRNA expression in PB with the patient’s characteristics and the recognized prognostic parameters of BC.
Methods. Five ml of PB sample was drown in EDTA from
the following subjects: healthy volunteers, patients with benign breast pathology before surgery and BC patients before
treatment who underwent surgery.
Total RNA was extracted from peripheral mononuclear cells
separated by density gradient centrifugation and reverse transcribed into cDNA. RT-PCR amplifications were performed
with primers specific for hMAM mRNA. Fisher’s exact test
was used to evaluate the correlation between age of patients,
type and size of tumor, nodal stage, histologic grade, c-erbB2 expression, Ki67 labelling index, estrogen and progesterone receptors status.
Results. All samples from 66 healthy blood donors and 151
patients with benign breast disease were hMAM negative as
assessed by nested RT-PCR. In contrast, hMAM was detected in 16/137 (12%) of BC patients.
Statistical analysis demonstrated that the proportion of
hMAM positive specimens correlated with tumor size (Fisher’s exact test p-value < 0.0001), nodal stage (Fisher’s exact
test p-value < 0.003) and histological grade (Fisher’s exact
test p-value < 0.027). On the contrary, no association was
found with other parameters evaluated.
Conclusions. The results of our study show that the hMAM
RT-PCR assay has high specificity and low sensitivity for detection of BC cells in PB, as reported by other authors. However, the test is important because the positivity of hMAM
expression identifies a subset of patients under-going poor
prognosis. Other studies are needed to better understand the
clinical significance of this finding and define its application
in the management of BC patients.
POSTERS
Caratterizzazione del gene HER2 nel tumore
della mammella
A. Michelucci, P. Collecchi, S. Gelmini*, C. Orlando*, G.
Bevilacqua, A. Cavazzana
Dipartimento di Oncologia, Divisione di Anatomia Patologica e di Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Università di Pisa ed Azienda Ospedaliera Pisana, Pisa; * Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Università di Firenze ed
Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
Introduzione. Un’iperespressione del recettore di membrana
HER2 è documentata nel 25% dei tumori mammari ed è attribuibile nel 90% dei casi all’amplificazione del gene che
correla con una prognosi peggiore, ma permette di selezionare le pazienti da sottoporre a terapia con erceptina. Quest’ultimo farmaco è un anticorpo monoclonale diretto in modo
specifico contro il recettore. Determinare correttamente lo
stato di HER2 è quindi essenziale; i test comunemente utilizzati sono l’immunoistochimica per la proteina e l’ibridazione
in situ interfasica per il gene. In questo studio sono stati inoltre valutati i livelli di mRNA e sono stati correlati con i risultati ottenuti con le metodiche precedenti.
Metodi. HER2 è stato caratterizzato per i livelli di espressione trascrizionali e proteici, ma anche per il numero di copie
del gene in 100 tumori mammari sporadici consecutivi. I livelli di mRNA sono stati valutati con real-time RT-PCR ed i
livelli di proteina mediante IHC; il numero di copie del gene
è stato determinato con la FISH.
Risultati. Confrontando i livelli di mRNA e proteina di
HER2 è emerso che il gruppo 3+ ha un’espressione trascrizionale più elevata rispetto al gruppo 0-1+. Confrontando poi
i livelli di mRNA con il numero di copie del gene HER2 è
emersa la significativa associazione tra livelli trascrizionali e
amplificazione. È stata evidenziata una buona concordanza
tra i risultati ottenuti con IHC e FISH, ma il livello di espressione di mRNA correla meglio con lo stato di amplificazione
genica che con l’espressione proteica. Infatti, 2 dei 3 falsi negativi hanno valori di espressione molto superiori rispetto alla media di espressione del gruppo 2+ e i 2 casi falsi positivi
hanno valori di espressione molto inferiori rispetto alla media di espressione del gruppo 3+. I valori medi di espressione genica sono maggiori di un fattore 100 nel gruppo amplificato rispetto a quello non, ma la dispersione dei valori all’interno del gruppo amplificato è molto ampia per cui il
gruppo positivo, e quindi adatto alla terapia con Erceptina, è
eterogeneo per l’espressione genica.
Conclusioni. È stata evidenziata una buona concordanza tra
la tecnica IHC e le tecniche molecolari quali real-time PCR
e FISH; inoltre, i livelli trascrizionali di HER2 potrebbero
rappresentare un ideale complemento alle indagini di inquadramento prognostico-terapeutico, IHC e FISH, del carcinoma mammario, in considerazione dell’estrema variabilità dei
valori di mRNA nel gruppo amplificato.
267
Expression of lactoferrin MRNA in human
breast cancer cells selected by lasermicrodissection
G. Giuffrè, S. Penco*, A. Simone, V. Barresi, G. Tuccari
Department of Human Pathology, University of Messina,
Italy; * Department of Laboratory Medicine, Medical Genetics Unit, “Niguarda-Cà Granda” Hospital, Milan, Italy
Introduction. Lactoferrin (Lf), a 80 kDa basic glycoprotein,
is a member of the transferrin family of iron-binding proteins
which is coded by a gene present in the short arm of chromosome 3 (3p); transcription of the Lf gene leads to two
products, Lf and ∆-Lf mRNAs. Multiple functions have been
proposed for Lf, such as iron transport, storage and chelation,
regulation of cell growth, the host defense against bacterial
and viral infections, and modulation of the inflammatory response. The immunomodulatory activity of Lf seems to play
an antitumoral and antimetastatic role; in fact, an oral administration of bovine Lf to rodents significantly reduces tumorigenesis in different organs. Moreover a deregulation of
Lf expression has been documented in vivo and in vitro in
some tumours and the 3p21.3 region is one of the most frequently lost in various cancers, comprising that of breast. In
order to investigate Lf and ∆-Lf mRNAs expression exclusively in human breast cancer cells, we have performed a
study utilizing a laser-assisted tissue microdissection procedure that avoids cellular contamination due to tissue heterogeneity.
Methods. On cryostatic sections of 15 human breast cancers
obtained at surgery and post-fixed with ethanol we applied
laser-microdissection procedure using a Leica AS LMD system (Leica Microsystems, Germany). From each section
stained with Haematoxilin-Eosin, a variable number of neoplastic epithelial cells (from 300 to 600) has been harvested
in different PCR tubes. RNA extraction has been performed
by RNeasy Micro Kit (Qiagen); successively, using the 1st
Strand cDNA Synthesis Kit for RT-PCR (Roche Applied Science), RNA has been reverse transcribed into single-stranded
cDNA. Finally, cDNA has been amplified utilizing primer
pairs designed for the specific detection of target sequences
of human Lf, its alternative isoform ∆Lf as well as β-actin.
Results. All samples showed expression for β-actin. Sufficient cDNA for Lf amplification has been obtained starting
from 300 epithelial cells. Lf mRNA has been detected in
14/15 breast cancer samples, with an occasional ∆Lf expression in 2/15 cases.
Conclusions. The Lf expression by us documented in a selected cellular population of breast cancer suggests a maintained quite constant evidence of Lf, although the ∆Lf isoform appears to be downregulated. Finally, the laser microdissection may be considered a valid tool to perform a
precise Lf molecular analysis.
POSTERS
268
GCET1 expression in endemic Burkitt
lymphoma. Correlation with EBV status and
IGH mutation pattern
C. Bellan, S. Lazzi, M. Cocco, T. Amato, N. Palummo, G.
De Falco, E. Leucci, S. Mannucci, P. Tosi, M. Piris*, L.
Leoncini
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Siena, Italy; * Centro Nacional de Investigaciones Oncologicas (CNIO), Madrid, Spain
Introduction. GCET1 (centerin, serpin A9) is a gene induced in B cells by CD40-CD40L interaction and suspected
to play an important role in GC-B cell development 1. Previous studies have shown that expression of GCET1 is primarily restricted to GC B-cells (centroblasts and large centrocytes but not small centrocytes). The normal counterpart of
the neoplastic B cells in Burkitt lymphoma (BL) is still unclear. Basing on immunoglobulin gene rearrangement studies, some authors suggest an origin from germinal center B
cells and others from memory B cells 2. To better clarify the
cells of origin in BL we analysed GCET1 expression on 38
endemic BL, and we correlated its expression with EBV status and immunoglobulin gene mutation pattern of these cases.
Materials and methods. All cases were classified as eBLs according to WHO criterias. IHC for GCET1 expression and ISH
for EBERs were performed on consecutive sections according
to the manufacturers. Groups of 5-7 GCET1 positive cells were
taken through LCM. Following overnight digestion, the lysate
was directly used as a template in a semi-nested PCR amplification for VH gene rearrangements analysis. The PCR products
were subsequently cloned and sequenced in both directions.
Only sequences showing a perfect homology were chosen for
comparison with germline sequences from ImmunoGeneTiCs
database. VH genes were considered mutated if they differed
2% or more from the corresponding germ line sequence.
Results. We found that GCET1 expression was significantly
correlated with EBV status. In fact, of 31 EBV positive eBLs,
29 did not shown evidence of GCET1 expression, while 5 out
of seven EBV negative eBLs actively expressed the gene.
This finding was further supported by the analisys of VH
genes (Tab. I), which highlighted a A9- higher degree of mutation either between EBV+ and EBV- B cases.
Conclusions. All together these results again suggested that
EBV-positive and EBV-negative BL might originate from
distinct subsets of B cells, pointing to a particular role for the
germinal center reaction in the pathogenesis of these tumors.
The immunoglobulin gene mutation patterns of further single
Tab. I.
EBV-/A9+
EBV-/A9EBV+/A9+
EBV+/A9-
Range of
mutations
Average
mutation
frequency
(mean)
Antigen
selection
1-7
6-9
7-8
5-25
1.7
2.9
3.1
5.1
0/5
0/2
0/2
9/29
GC A9+ and A9- cells will be analysed and compared to that
of BL to confirm the results.
References
1
Frazer JK, et al. Eur J Immunol 2000;30:3039-48.
2
Bellan C, et al. Blood 2005;106:1031-6.
Correlazione nei tumori ovarici tra stato di
metilazione dei geni RASSF1A e BRCA1 e
grado di differenziazione
M. Carosi, G. Chichierchia, E. Vizza*, G. Cutillo*, A. Savarese**, A. Papatantonakis, A. Marsella***, L. Perracchio*, P. Visca, F. Marandino, R. Perrone Donnorso
S.C. Anatomia e Istologia Patologica, Istituto “Regina Elena”, Roma; * Ginecologia Oncologica, Istituto “Regina Elena”, Roma; ** Oncologia Medica A, Istituto “Regina Elena”,
Roma; *** Radiologia Istituto “Regina Elena”, Roma
Gli eventi molecolari responsabili della carcinogenesi nell’epitelio ovario non sono ancora tutti noti e nonostante i miglioramenti terapeutici e chirurgici la sopravvivenza al termine, per le pazienti soprattutto con malattia avanzata, resta
piuttosto deludente. Tutto ciò è dovuto principalmente alla
nostra poca abilità nello scoprire i tumori nei loro stati precoci e pertanto nuove strategie volte ad individuare nuovi
markers debbono essere trovate.
Infatti le neoplasie ovariche includono vari istotipi con caratteristiche isto-morfologiche differenti e pertanto di difficile valutazione prognostica. La metilazione del DNA risulta essere un importante regolatore della trascrizione genica
ed il suo ruolo nella carcinogenesi ha suscitato considerevole interesse negli ultimi anni nell’ambito dell’insorgenza
di molte neoplasie. Infatti l’ipermetilazione come modificazione epigenetica che reprime la trascrizione dei geni coinvolti nella soppressione del tumore è stato ampiamente studiato.
Lo scopo di questo studio è di valutare lo stato di metilazione del promotore dei geni RASSF1A e BRCA1 in vari tipi e
fasi di tumori epiteliali ovarici per valutare se sia possibile
individuare nuovi markers per i quali ideare nuovi farmaci
che possano interferire con gli eventi evolutivi della cellula
neoplastica, con una maggiore selettività del tumore ed al
tempo stesso una minore tossicità. Nel nostro studio sono stati analizzati 40 tumori epiteliali ovarici in un range che va dai
cistoadenomi benigni, tumori a basso potenziale di malignità
e carcinomi (10 cistoadenomi; 12 tumori a basso potenziale
di malignità e 18 carcinomi) usando il metodo della metilazione-specifica PCR.
In considerazione dei dati finora ottenuti si e potuto vedere
che il promotore del gene RASSF1A risulta metilato soprattutto nei tumori a basso potenziale di malignità e nei carcinomi; mentre il promotore del gene BRCA1 risulta essere
metilato prevalentemente nei carcinomi.
POSTERS
Carcinoma mammario: correlazione tra lo
stato recettoriale (ER-alfa negativi) e
metilazione del gene
M. Carosi, G. Chichierchia, A. Pennetti, M. Diodoro, R.
Covello, S. Sentinelli, P. Visca, F. Marandino, R. Perrone
Donnorso
S.C. Anatomia e Istologia Patologica, Istituto “Regina Elena”, Roma
Il tentativo di colpire la cellula tumorale attraverso l’utilizzo
di trattamenti ormonali e da considerarsi la più vecchia ma al
tempo stesso la più attuale.
La risposta alla terapia ormonale rappresenta un fattore determinante per il carcinoma della mammella ed è strettamente correlata con lo stato recettoriale delle cellule tumorali. Per
questo motivo le ricerche sono concentrate su quei meccanismi che regolano l’espressione di recettori ormonali presenti
nei tessuti sani e tumorali per poter ottenere elementi innovativi per quanto riguarda gli aspetti prognostici e terapeutici. Pazienti con carcinomi poco differenziati possono non
esprimere recettori ormonali e sono associati ad un andamento clinico peggiore. Inoltre si è visto che pazienti con recettori ormonali negativi sono meno sensibili alla terapia ormonale. Sebbene i meccanismi che possono causare la perdita di espressione dei recettori ormonali sono diversi, quali
mutazioni, polimorfismi, la causa predominante è la metilazione del promotore di alcuni geni tra cui alfa-ER.
Partendo da questo presupposto abbiamo preso in considerazione 20 pazienti con carcinomi mammari ER- negativi ed
abbiamo analizzato lo stato di metilazione del promotore del
gene ER-alfa. In base ai nostri risultati si e visto che circa il
70% delle pazienti risultava avere il promotore del gene metilato. Pertanto in base ai risultati ottenuti si può ipotizzare
che esiste una correlazione tra lo stato recettoriale e metilazione e questo ci potrebbe permettere di individuare un ulteriore markers per il quale disegnare un trattamento farmacologico alternativo e sicuramente più efficace.
Instabilità dei microsatelliti ed espressione
delle proteine del mismatch repair nel
carcinoma endometriale
R. Gafà, A. Gaban, I. Maestri, E. Grandi, L. Cavazzini, G.
Lanza
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di Anatomia Istologia e Citologia Patologica, Università di Ferrara
Introduzione. Il carcinoma endometriale (CE) è la neoplasia
con la più elevata frequenza di instabilità dei microsatelliti
(MSI), determinata da metilazione del promoter di MLH1
nelle forme sporadiche e da mutazioni dei geni MLH1,
MSH2 e MSH6 nelle forme ereditarie. Numerosi aspetti relativi alle caratteristiche clinico-patologiche ed alla diagnostica di questi tumori devono ancora essere definiti.
Metodi. Lo studio è stato condotto su una serie consecutiva
di 123 CE diagnosticati negli anni 2002-2004. L’analisi genetica della MSI è stata effettuata su DNA estratto da campioni tissutali fissati in formalina ed inclusi in paraffina con
metodica di PCR fluorescente, utilizzando i markers del panel di Bethesda (BAT26, BAT25, D2S123, D5S346,
D17S250) ed il BAT40. In alcuni casi sono stati utilizzati an-
269
che i markers NR21, NR22 ed NR24. I tumori con instabilità
in > 30% dei loci esaminati sono stati classificati come MSIH, quelli con instabilità in < 30% dei loci come MSI-L, e
quelli senza instabilità come MSS. È stata valutata inoltre la
espressione immunoistochimica delle proteine MLH1,
MSH2 ed MSH6.
Risultati. Del totale dei casi, 82 (66,7%) sono stati classificati come MSS, 4 (3,2%) come MSI-L e 37 (30,1%) come
MSI-H. Dei 114 casi risultati valutabili alla analisi immunocitochimica, 76 (66,7%) hanno evidenziato normale reattività
nucleare per tutte e tre le proteine (MMRP+), mentre 38
(33,3%) hanno presentato perdita di espressione di almeno
una delle proteine (MMRP-). In particolare, in 29 tumori è
stata osservata perdita di espressione di MLH1, in 4 perdita
combinata di espressione di MSH2 e di MSH6 ed in 5 perdita selettiva della espressione di MSH6. Nel complesso, è stata rilevata una buona concordanza dei risultati ottenuti con le
due metodiche (p < 0,001). Infatti, 74 dei 76 tumori MMRP+
sono risultati MSS, uno MSI-L ed uno MSI-H, mentre dei 38
carcinomi MMRP- 33 sono stati classificati come MSI-H, 3
come MSI-L e 2 come MSS. Non sono state riscontrate correlazioni significative tra espressione delle proteine del mismatch repair (MMR) o status MSI e parametri clinico-patologici, quali età, grado, istotipo e stadio.
Conclusioni. I risultati ottenuti indicano che deficit del
MMR è di frequente riscontro nel CE e che un numero significativo di CE sembra insorgere su base ereditaria per alterazioni dei geni MSH2 e MSH6. A differenza del colon-retto,
infine, i CE MSI-L presentano spesso perdita di espressione
delle proteine del MMR.
Up-regulation of the HIF-1 transcriptional
pathway in colorectal carcinomas
R. Cerutti, D. Furlan, N. Sahnane, I. Carnevali, S. Uccella, A.M. Chiaravalli, V. Bertolini, F. Bertoni*, I. Kwee*, C.
Capella
Department of Human Morphology, Section of Anatomic
Pathology, University of Insubria and Ospedale di Circolo,
Varese, Italy; * Lab Experimental Oncology, Oncology Institute of Southern Switzerland
Introduction. Hypoxia-inducible factor-1 (HIF-1) regulates
gene expression in critical pathways involved in tumor
growth and metastases.
Methods. The expression of HIF-1α and thirteen HIF-1 target genes regulating energy metabolism (AMF, CAIX), angiogenesis (VEGF, VEGFR1, VEGFR2), cell motility and
survival (HGF, MET, TGFα, EGFR, IGF2, MMP2, PLAUR,
NIX) was quantified by real time PCR in 78 formalin-fixed
and paraffin-embedded specimens of invasive colorectal carcinomas and in 10 samples of normal colorectal mucosa. The
aim of this study was to evaluate whether the expression levels of HIF-1α and/or HIF-1 target genes could be useful as
independent predictors of poor outcome for patients with colorectal carcinomas. A second purpose was to test the feasibility of a multi-marker real time PCR assay using archival
tissue blocks to stratify these patients in a low and a high risk
group. Tumor samples were selected in order to include three
groups of patients with different 5-year disease-free survival
rates: 18 colorectal carcinomas with microsatellite instability, 42 colorectal carcinomas without MSI and 18 poorly differentiated endocrine carcinomas (PDECs).
270
Results. A general up-regulation of HIF-1α and its target genes was observed in cancer compared with normal samples,
with mRNA expression increases by 2- to 1500-folds. High
levels of HIF-1α were significantly associated with poor histological grade (p < 0.05) and histological type of PDECs (p
< 0.001). A two-way unsupervised hierarchical clustering applied to the full expression data stratified all samples in two
main branches: cluster I including “normal-like” cancer samples and cluster II separating tumor samples with significantly higher expression levels of all genes examined. This second group comprised 16 out of 18 PDECs and the univariate analysis showed a significant decrease of overall survival
for patients of cluster II compared with patients of cluster I
(p < 0.04). The univariate analysis showed that poor overall
survival was significantly correlated with: poor histological
grade (p < 0.002), histological type of PDECs (p < 0.001),
advanced tumor stage (p < 0.001), presence of lymph node
metastases (p = 0.0017), and high expression levels of TGFα
(p < 0.001) and NIX (p < 0.01). The multivariate analysis
showed that advanced stage, presence of lymph node metastases and high levels of TGFα had an independent effect on
survival (p < 0.006; p < 0.01; p < 0.0006). Gene expression
data were used to calculate a predictive score of overall survival that stratified the patients in a low and a high risk group
(p < 0.0006).
Conclusions. These findings suggest an up-regulation of the
HIF-1 transcriptional pathway in colorectal carcinomas and
confirm in vivo its association with tumor growth and aggressiveness. A quantitative real time PCR assay can be used
as a sensitive diagnostic technology to measure mRNA from
archival tissue blocks.
Analisi dell’espressione e dello stato genico di
EGFR nel carcinoma colorettale: confronto
S. Crippa, V. Martin, A. Camponovo, M. Ghisletta, S.
Banfi, L. Lunghi-Etienne, L. Mazzucchelli, M. Frattini
Istituto Cantonale di Patologia, Locarno, Svizzera
Introduzione. Cetuximab è un nuovo farmaco nel trattamento del carcinoma colorettale metastatico (mCRC). I criteri per
la somministrazione del farmaco includono l’immunoreattività per EGFR, bersaglio molecolare di cetuximab, nel cancro primitivo. Tuttavia, il cancro primitivo potrebbe mostrare un profilo molecolare distinto da quello della rispettiva
metastasi. Scopo del presente lavoro è confrontare il grado di
espressione e lo stato genico di EGFR tra i cancri primitivi e
le rispettive metastasi.
Metodi. Abbiamo analizzato l’espressione proteica tramite il
kit PharmDx (Dako) e lo stato genico di EGFR tramite FISH
utilizzando le sonde LSI EGFR/CEP7 (Vysis) in 32 cancri
primitivi consecutivi e nelle rispettive metastasi (sincrone o
metacrone) di pazienti affetti da mCRC, operati dal 2004 al
2006. Un campione è definito amplificato per EGFR quando
l’amplificazione genica è stata osservata in almeno il 10%
delle cellule. La marcata polisomia è definita quando almeno
3 copie del cromosoma 7 sono osservate in più del 50% delle cellule. Per ogni campione sono state valutate almeno 100
cellule.
Risultati. A livello immunoistochimico abbiamo osservato
immunoreattività per EGFR in 31 casi (97%). L’espressione
della proteina non cambia confrontando il cancro primitivo
con la rispettiva metastasi. All’indagine FISH effettuata sui
cancri primitivi abbiamo osservato disomia in 11 casi (34%),
POSTERS
marcata polisomia in 13 casi (41%), amplificazione genica in
7 casi (22%) e perdita del cromosoma 7 in 1 caso (3%). Nel
confronto con le rispettive metastasi, 17 casi hanno mostrato
lo stesso pattern, mentre differenze sono state osservate in 15
pazienti. Di questi, 5 casi con polisomia o amplificazione nel
cancro primitivo hanno mostrato disomia o polisomia nelle
metastasi, probabilmente a causa della scarsa rappresentatività della biopsia; 10 casi con disomia del cromosoma 7 nel
cancro hanno mostrato polisomia o amplificazione di EGFR
nelle metastasi, indice di progressiva deregolazione genica.
Non c’è alcuna correlazione tra stato genico ed espressione
proteica di EGFR.
Conclusioni. I nostri dati indicano che l’indagine FISH limitata al cancro primitivo può sottostimare il numero di pazienti potenzialmente rispondenti al trattamento con cetuximab; pertanto è opportuno esaminare anche il campione metastatico nei pazienti il cui cancro primitivo mostra disomia
per il cromosoma 7.
Il-6 dependent clusterin-Ku-Bax interactions:
apoptosis inhibition and tumor progression.
New in situ and serological marker
S. Pucci, P. Mazzarelli, F. Sesti, E. Bonanno, L.G. Spagnoli
Department of Biopathology, University of Rome “Tor Vergata”, Italy
Introduction. Several experimental data have shown a
strong correlation between the presence of the different isoforms of clusterin and tumoral progression. The disappearance of the proapoptotic form and the overexpression of the
cytoplasmic isoform marks the transition from normal cell to
neoplastic phenotype. Pro-inflammatory cytokines such as
TGFβ and IL-6 influence the transcription of this protein.
TGFβ influences directly clusterin promoter inducing the activation of the transcription factor AP1. The action of the IL6 on the clusterin gene transcript has not been clarified at
molecular level yet. Several experimental evidences underline an increased production of IL-6 and TGFβ in tumor progression. It has been observed that the levels of circulating
IL-6 increases in relationship to tumoral mass.
Methods and results. We have focused our attention on defined pathways that underlie the promotion, initiation and
progression of colon cancer. In particular we examined the
relationship among IL6, clusterin isoforms expression pattern shift, Ku and Bax interactions in human colon tumorigenesis. Besides the acquisition of aggressiveness in colon carcinoma we observed that the overexpression of the secreted
form (sCLU) and disappearance of the pro apoptotic clusterin
isoform, strongly correlates to the inhibition of apoptosis and
the loss of DNA repair activity of the complex Ku70/80.
Moreover we observed an increase in the level of this protein
in the serum and in stools of colon cancer patients as compared to the control suggesting a strong realease of sclusterin
in the cripta lumen. Preliminary results obtained by ELISA
confirmed that patients affected by colon cancer have a
strong increase of clusterin in blood and in stools and this
level correlated with the IL-6 level suggesting a possible twin
set of new non invasive diagnostic markers.
Conclusions. Hence, in colon cancer biopsies we found the
loss of Ku80 and Ku70 protein translocated from the nucleus
to the cytoplasm where it sterically inhibits cell death induction. These interactions in colon tumorigenesis are partially
POSTERS
driven by IL-6 that influence the Clu-Ku-Bax interaction.
These data may provide valuable information on cancer progression and apoptosis induction in colon carcinoma and
could suggest new strategies in the development of therapeutics that control apoptosis-related diseases.
Carnitine palmitoyl transferase I in human
carcinomas: a novel role in histone
deacetylation?
P. Mazzarelli, S. Pucci, E. Bonanno, F. Sesti, M. Calvani*,
L.G. Spagnoli
Dipartimento di Biopatologia, Istituto di Anatomia Patologica, Università di Tor Vergata, Roma, Italia; * Dipartimento
Scientifico, Sigma Tau S.p.a. Pomezia, Italia
Introduction. Carnitine palmitoyl transferase I (CPT1) catalyzes the transport of long-chain fatty acids into mitochondria for β-oxidation. A link between CPT1 and apoptosis has
been suggested on the basis of several experimental data.
Nevertheless, results are contradictory about the effective
role of CPT1 in cell survival control and cancer development. Conversely, Fatty acid synthase (FAS) enzyme, required for the synthesis of fatty acids, is found over-expressed in tumours and inhibition of FAS triggers apoptosis
in human cancer cells.
Methods. We have studied the tumour-specific modulation
of CPT1 and FAS in human colorectal cancer (n = 11) and
271
breast carcinomas (n = 24) by immunohistochemistry on
tissue microarrays. We also performed in vitro experiments
using epithelial neoplastic (MCF-7, Caco-2, HepG2 cells)
and non neoplastic cell lines (MCF-12F), analyzing CPT1
expression by immunocytochemistry and western blot. In
the nuclear environment the protein would modulate the
levels of acetyl/acyl-CoA implicated in the regulation of
gene transcription. To clarify the role of nuclear CPT1,
neoplastic and control cells were treated with inhibitors of
histone deactylase (HDAC), butyrate and trichostatin A.
Then, CPT1 protein expression and the immunoprecipitation with histone deacetylase protein were evaluated in
treated cells.
Results. CPT1 was significantly decreased in the cytoplasm
of tumoural samples (p ≤ 0.04), whereas FAS was increased
(p ≤ 0.04). A striking CPT1 nuclear localization was evident
in tumours (p ≤ 0.04) and in neoplastic cells. Histone
deacetylase (HDAC) activity showed significantly higher
levels in nuclear extracts from neoplastic than from control
cells. HDAC1 and CPT1 proteins co-immunoprecipitated in
nuclear extracts from MCF-7 cells. Moreover, the treatment
with HDAC inhibitors significantly decreased nuclear expression of CPT1 and its bond to HDAC1. We also identified
the existence of CPT1A RNA transcript variant 2 in MCF-7,
beside to the classic isoform 1.
Conclusion. The peculiar localization of CPT1 in the nuclei
of human carcinomas and the disclosed functional link
between nuclear CPT1 and HDAC1 propose a new role of
CPT1 in the histonic acetylation level of tumours.
PATHOLOGICA 2007;99:272-276
Patologia orale
Flow cytometric analysis of dna ploidy using
oral scrapings of potentially malignant oral
lesions
Correlazioni tra citologia esfoliativa e
microistologia del cavo orale: analisi di una
nuova metodica di prelievo
A. Demurtas*, I. Rostan**, A. Marsico**, M. Pentenero, S.
Gandolfo, R. Navone**
A. Marsico, I. Rostan, P. Burlo**, M. Pentenero*, S. Gandolfo*, R. Navone
Department of Biomedical Sciences and Human Oncology;
Oral Medicine Section and * Pathology Section, University of
Turin, Italy; ** UOADU Pathology 2, ASO “S. Giovanni Battista”, Turin, Italy
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana
dell’Università di Torino, Sezione di Anatomia Patologica e
di * Medicina Orale, e ** S.C. Anatomia Patologica 1, ASO
“San Giovanni Battista”, Torino
Introduction. Survival rate for oral squamous carcinoma is
not only lower than that of the more common tumours but,
above all, has not improved over the last 25 years, as it is often diagnosed in advanced stages. Late diagnosis may depend on the diagnostic difficulty: indeed, the variability of
the histological diagnosis of dysplasia on oral squamous lesions is higher than in other sites. Moreover, the histo-cytological findings of oral dysplasia indicate no more that a lesion has an increased risk of malignant change, but this cannot used for confident prediction in any individual case, as
carcinoma can develop from lesions in which epithelial dysplasia has not been diagnosed in previous biopsies. DNA
content has been reported to be a reliable marker in oral oncology for both malignant and pre-malignant lesions, but intra-tumoral ploidy heterogeneity is high (12-45% in squamous cell carcinoma) suggesting that it is far from easy to
analyse correct DNA content on only one specimen. Therefore, we propose the application of a sampling technique that
uses a dermatological curette to collect cells representative of
the whole visible lesion. Our study included the comparison
of DNA ploidy results and cytological and histological
(scalpel biopsy) diagnosis in potentially malignant oral lesions (PML).
Material and methods. Scrapings and scalpel biopsies were
obtained from 211 patients with PML. Of these 151 samples
were considered adequate for flow cytometry. Samples were
conserved using both Thin Prep® vials for cytology and microhistology and saline for flow cytometry. Cytometric assessment was performed with the cytofluorimeter FACSCalibur (Becton Dickinson) and the Cycletest Plus DNA
Reagent Kit. A minimum of 20,000 events were acquired for
each sample; the DNA index (D.I.) was elaborated by ModFit-Software.
Results. Aneuploidy was found in 17/31 (54.8%) squamous
cell carcinoma, 0/6 (0%) verrucous carcinoma, and 34/114
(29.8%) premalignant lesions: 24/48 (50.0%) dysplastic and
10/66 (15.1%) non-dysplastic lesions. A significant difference in the aneuploidy rate was linked to the presence of dysplasia (p = 0.004), irrespective of its grade.
Conclusions. The cell material used for exfoliative cytology
of the oral cavity may be used for further studies. In particular, the DNA test may provide useful informations in the diagnosis of oral PML. Should aneuploidy be present in lesions
with no morphological evidence of dysplasia, it may be well
of prognostic value.
Introduzione. La sopravvivenza del carcinoma orale (38% a
5 anni in Italia) non è migliorata nell’ultimo ventennio e l’incidenza (> 500.000 nuovi casi/anno a livello mondiale) è in
aumento anche in Paesi industrializzati (UK, Francia). La
diagnosi tardiva può dipendere da difficoltà diagnostiche: in
particolare, è frequente che il prelievo isto-citopatologico
non sia rappresentativo della lesione. Poiché è noto che carcinomi possono svilupparsi da lesioni orali potenzialmente
maligne (PML) in cui precedenti biopsie non avevano mostrato evidenza morfologica di displasia, sarebbe importante
un “campionamento” che interessi tutte le zone sospette,
comprese quelle sinora considerate “a basso rischio”. Scopo
dello studio è l’analisi di un metodo di prelievo innovativo
che, oltre all’esame citologico in “strato sottile” ed all’analisi della ploidia del DNA, consente l’esame istologico sui microfrustoli “accidentali” ottenuti con questa metodica, campionando una superficie molto più ampia di quella ottenibile
con la sola biopsia chirurgica (“scalpel biopsy”).
Metodi. In 138 pazienti affetti da PML orali abbiamo eseguito un prelievo con una curette dermatologica (AcuDispo
Curette, Acuderm inc.). Il materiale è stato posto parte in
Thin Prep per l’esame citologico e microistologico, parte in
soluzione fisiologica per l’analisi del DNA. Ogni paziente è
stato inoltre sottoposto a biopsia chirurgica della lesione.
Risultati. In 3 casi il materiale per la microistologia non era
adeguato per un giudizio diagnostico. Nei restanti 135 casi la
diagnosi finale è stata di 73 casi positivi per displasia o carcinoma e 62 negativi. La più alta percentuale di casi positivi
(70/73) è stata fornita dalla microistologia, seguita dalla
“scalpel biopsy” (63/73) e dalla citologia (61/73).
Conclusioni. La curette, rispetto ad altre metodiche, non solo consente di ottenere una maggiore quantità di cellule degli
strati profondi utilizzabili per l’esame citologico e la ploidia
del DNA, ma permette di ottenere dei microfrustoli utilizzabili per l’esame istologico. Data la superficie più ampia di
prelievo e la possibilità di prelievi multipli, la sensibilità della metodica è superiore sia all’esame citologico che alla biopsia chirurgica tradizionale. La “microistologia” potrebbe
pertanto essere un efficiente test, da affiancare alla citologia
come esame di 1° livello, riservando alla “scalpel biopsy” il
ruolo di esame di 2° livello per i casi positivi o sospetti e per
i casi aneuploidi.
POSTERS
Studio clinicopatologico, immunoistochimico
e ultrastrutturale di 2 casi di carcinomi
mioepiteliali a cellule chiare delle ghiandole
salivari
N.S. Losito*, G. Botti*, F. Ionna**, G. Pasquinelli*** ****, M.
Bisceglia****
Dipartimenti di * Patologia Clinica e di ** Otorinolaringoiatria, Istituto Nazionale Tumori, Fondazione “G. Pascale”,
Napoli; *** Dipartimento di Patologia Clinica, Università di
Bologna, Policlinico “S. Orsola”, Bologna; **** Dipartimento di Patologia Clinica, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo
Introduzione. Cellule chiare (CC) risultano ben descritte
nella composizione di mioepiteliomi benigni e di quelli maligni, o carcinomi mioepiteliali (CM), delle ghiandole salivari, a volte come componente parziale, a volte come componente esclusiva o prevalente. Sono stati però finora pubblicati in letteratura in totale solo 13 casi appartenenti a questa seconda categoria, di cui 10 a carico della parotide, 1 della sottomandibolare, e 2 di ghiandole salivari minori (1: palato; 1:
seno mascellare) 1 2. Abbiamo osservato 2 casi di CM a CC
della ghiandola sottomandibolare (GS), entrambi analizzati
con indagini immunoistochimiche e ultrastrutturali.
Materiali, metodi, e risultati. Aspetti clinicopatologici. Caso 1. Donna di 67 anni, affetta da una tumefazione dura e fissa ai piani contigui in sede sottomandibolare sinistra, presente da molti anni e in rapido accrescimento da pochi mesi. Intervento di scialoadenectomia radicale: neoplasia solida di 10
cm, di colorito grigiastro in sezione. Caso 2. Donna di 64 anni, affetta da una tumefazione dura e fissa in sede sottomandibolare sinistra, comparsa da 6 mesi, diagnosticata come
mioepitelioma-NOS a cellule chiare su agobiopsia perorale,
preoperatoria. Intervento di scialoadenectomia radicale: neoplasia solida di 6 cm, di colorito giallastro in sezione.
Esame istologico. Le neoplasie, in entrambi i casi, sono risultate costituite di cellule di grossa taglia, di aspetto chiaro,
ricche di glicogeno (PAS+/PASD-), con pattern prevalente
cordonale e trabecolare nel 1° caso e lobulo-alveolare solido
nel 2°, infiltranti le parti molli adiacenti. Franche atipie, elevato indice mitotico (10 M:10 HPF), mitosi atipiche, e focolai di necrosi, in entrambe. Nel 1° caso, anche, sparsi focolai
di metaplasma squamosa, abbondante matrice mixoialina, ed
evidenza di un’area di un residuo tumore misto benigno; una
metastasi linfonodale.
Esame immunoistochimico. In entrambi i casi: positività per
vimentina, proteina S-100, calponina, alpha-SMA, p63, CKAE1/AE3, CK14, CK34Beta-E12; negatività per GFAP, Hcaldesmon, e desmina; negatività per CK7 e CK8.
Esame ultrastrutturale. In entrambi i casi, nelle cellule: glicogeno libero, filamenti intermedi di tipo vimentinico, e microfilamenti contrattili di actina; tra cellule adiacenti: desmosomi; all’esterno: lamina basale pluristratificata commista a proteoglicani.
Diagnosi differenziali considerate. Mioepitelioma benigno,
carcinoma monomorfo a CC, carcinoma epi-mioepiteliale,
carcinoma a CC ialinizzante, oncocitoma a CC, metastasi di
carcinoma renale a CC. Diagnosi finali. Sulla base della documentata differenziazione ibrida, epiteliale e mioide, nello
stesso citotipo, è stata posta diagnosi di carcinoma mioepiteliale, variante a CC, “ex tumore misto” il primo, “de novo” il
secondo.
Conclusioni e follow-up. Il CM a CC delle ghiandole salivari
è molto raro. I 2 casi qui presentati sono il 2° e 3° in assoluto
273
a sede nella GS, uno dei quali (caso 1) è il primo in assoluto
insorto su adenoma pleomorfo, ed entrambi sono i primi casi
studiati sul piano ultrastrutturale. Nel CM-CC il decorso è altamente aggressivo e la prognosi infausta. Nei nostri casi: recidiva locale dopo 3 anni nel 1° caso; rapida recidiva locale in
pochi mesi nel 2° caso con invasione di strutture vitali, scarsa
risposta alla radioterapia, exitus entro 16 mesi.
Bibliografia
1
Michal M, et al. Histopathology 1996;28:309-15.
2
Savera AT, et al. Am J Surg Pathol 2000;24:761-74.
Correlazione tra espressione di proteine
“chromosomal passenger” e parametri
clinico-prognostici nei pazienti affetti da
carcinoma squamoso del cavo orale
P. Bufo, F. Sanguedolce, A. Santoro, M.C. Pedicillo, L. Lo
Muzio*, C. Rubini**, G. Pannone
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia
Patologica, Università di Foggia; * Dipartimento di Scienze
Chirurgiche, Sezione di Patologia Orale, Università di Foggia; ** Istituto di Anatomia patologica, Università di Ancona
Introduzione. Le proteine “chromosomal passenger” (INCENP, chinasi Aurora-B e survivin) sono coinvolte nel corretto espletamento dell’evento mitotico, in quanto svolgono
ruoli integrati in un complesso macromolecolare che regola
la condensazione e la segregazione dei cromosomi, ed infine
la citochinesi.
Di queste, l’importanza della survivin nella cancerogenesi
umana è stata ormai acclarata da numerosi studi, mentre la
correlazione tra l’espressione delle altre proteine del gruppo
è molto meno nota. Recenti evidenze sperimentali suggeriscono un ruolo di Aurora B nella cancerogenesi del distretto
urogenitale maschile e della tiroide. Non esistono a tutt’oggi
dati circa l’espressione genica di Aurora B nel carcinoma
squamoso del cavo orale (OSCC).
Materiali e metodi. L’espressione della proteina Aurora B è
stata analizzata in 105 casi di OSCC mediante metodica standard immunoistochimica LSAB-HRP (linked streptavidinbiotin horseradish peroxidase), con anticorpo policlonale
(NB100-294, Novus Biologicals); di tutti i pazienti sono stati
raccolti i dati clinico-patologici e il follow-up a 5 anni.
L’espressione proteica delle proteina e della sua forma attiva
fosforilata è stata inoltre valutata mediante Western Blotting
su 6 linee cellulari di OSCC di differente grado istologico e
1 linea cellulare di cheratinociti normali.
Risultati. In tutti i casi esaminati la proteina era significativamente iperespressa se paragonata all’epitelio normale. La
valutazione statistica mediante analisi univariata ha dimostrato una correlazione significativa tra espressione di Aurora B e stadio clinico avanzato (p < 0,05). È stato inoltre rilevato un incremento dell’espressione proteica nei tumori meno differenziati, sebbene non statisticamente significativo. Il
Western Blotting ha dimostrato in tutte le linee di OSCC un
incremento statisticamente significativo di espressione di
Aurora e della sua forma attiva variabile dall’81 al 90% (p <
0,05).
Conclusioni. I nostri risultati dimostrano l’iperespressione
genica di Aurora B e la sua attivazione nel carcinoma squamoso del cavo orale.
Oltre ad un possibile ruolo prognostico della molecola, è ipotizzabile anche un potenziale impiego clinico delle proteine
POSTERS
274
“chromosomal passenger” come bersaglio terapeutico grazie
ai crescenti sviluppi della ricerca oncofarmacologica nel
campo degli inibitori chinasici.
Ameloblastic fibro-odontoma. A case report
N. Scibetta, L. Marasà
Servizio di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico, Di Cristina, Ascoli”, Palermo, Italia
Espressione di NIS in tessuti normali e
neoplastici delle ghiandole salivari
S. Lega, A. Farnedi, T. Ragazzini, K.J. Rhoden*, R. Cocchi**, G. Farneti***, C. Marchetti****, M.P. Foschini
Sezione di Anatomia Patologica ed Istocitopatologia, Università di Bologna, Ospedale “Bellaria”, Bologna; * U.O.
Genetica Medica, Dipartimento Medicina Interna, Cardioangiologia ed Epatologia, Università di Bologna; ** U.O.
di Chirurgia Maxillo-Facciale, Ospedale “Bellaria”, Bologna; *** U.O. di Otorinolaringoiatria, Ospedale di Budrio,
Bologna; **** Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche, Chirurgia Maxillo-Facciale Università di Bologna
Introduzione. La proteina “sodium/iodide symporter” (NIS)
è una glicoproteina di membrana che consente il trasporto di
Iodio (I-) all’interno della cellula. La sua espressione è nota
in tessuti tiroidei, normali e neoplastici. Recentemente si è
evidenziato che NIS è espressa anche in altri organi, tra i quali sono comprese le ghiandole salivari. Scopo del presente lavoro è di studiare l’espressione del NIS in tessuti normali e
neoplastici delle ghiandole salivari.
Materiali e metodi. Ventisette casi di neoplasie benigne e
maligne delle ghiandole salivari ed il relativo tessuto ghiandolare normale adiacente, sono stati selezionati dall’archivio
dell’Anatomia Patologica dell’Università di Bologna, all’Ospedale “Bellaria” (Bologna). I tessuti sono stati fissati in
formalina ed inclusi in paraffina. Da blocchetti selezionati si
sono ottenute sezioni per la colorazione immunoistochimica
con anticorpo anti NIS (hNIS Ab-1-Clone FP5A, NeoMarkers-LabVision Corporation, Fremont, Ca. diluzione
1:200).
Risultati. Tessuto normale: NIS è espresso in sede baso-laterale della membrana plasmatica delle cellule luminali dei
dotti striati, mentre è risultato negativa nelle cellule acinari.
Nel tessuto parotideo NIS è espresso da tutte le cellule dei
dotti striati, mentre nella ghiandola sottomandibolare e nelle
ghiandole salivari minori l’espressione è limitata dal 60
all’80% delle cellule.
Neoplasie: NIS è espresso nella porzione baso-laterale della
membrana plasmatica delle cellule che rivestono le cavità cistiche del tumore di Warthin (positività in 3/3 casi) e nel caso di oncocitoma (positività in 1/1 caso). Inoltre sono risultate positive rare cellule in un caso di adenoma pleomorfo (positività in 1/3 casi). Tra le neoplasie maligne solo il carcinoma mucoepidermoide ha evidenziato cellule positive (positività in 7/10 casi). La positività era localizzata alla membrana
plasmatica di cellule epidermoidi ed intermedie. Sono risultate negative tutte le restanti neoplasie maligne incluse nello
studio: carcinoma cinico (3 casi) carcinoma adenoideo-cistico (4 casi), carcinoma mioepiteliale (1 caso), carcinoma
squamoso (2 casi).
Conclusioni. Il presente studio conferma che nelle ghiandole salivari NIS è espressa nei dotti striati ed evidenzia
che l’espressione è maggiore nel tessuto parotideo rispetto
alle altre ghiandole salivari. NIS compare nelle neoplasie
che presentano differenziazione analoga ai dotti striati,
quali tumore di Warthin, oncocitoma e carcinoma mucoepidermoide.
Introduction. Ameloblastic fibrodontoma (AFO) is a rare
mixed epithelial-mesenchymal odontogenic neoplasm, in
which the mesenchymal compartment resembles the connective tissue of the dental papilla, while the epithelial component, composed of islands of cells with stellate reticulum, resembles early enamel organ developement, and with varyng
degrees of inductive change and dental hard tissue formation.
Clinically this neoplasm behaves as a slow-growing, well-encapsulated, benign lesion and it is frequently asyntomatic.
Methods. A 14 years-old boy displayed an asymptomatic
swelling in the left mascella. There was no history of local
trauma or infection. The initial panoramic radiograph revealed a well defined, radiolucent region which contained
several radiopaque bodies of varing sizes and shapes. The lesion was treated conservatly as a benign tumor by curettage.
The specimen was processed and paraffin embedded. Sections were stained with H&E, PAS.
Immunoistochemical staining was performed with antibodies
to cytokeratin AE1-AE3, vimentin.
An unerupted tooth was grossly present.
Results. Microscopically the tumor was composed of soft and
hard tissues. The soft tissue component was represented by an
immature connective tissue with stellate-shaped fibroblasts
reminiscent of the dental papilla; within this background there
were cords of cuboidal to columnar epithelial cells, reminiscent of the early stages of enamel organ development.
The hard tissue component consisted of dental hard structures, enamel, dentin, and cementum arranged haphazard.
The diagnosis of AFO was performed for the presence of
mineralized dental hard tissue products.
Conclusions. Many authors reported that AFO is not aggressive and can be treated adequately through a surgical curettage to the lesion. In the literature recurrences have been
rarely described, alone two cases of malignant transformation have been described. The innocuous behavior of these
tumors does not justify more aggressive management. In the
event of a recurrence, the resection may be more extensive
and includes a margin of normal bone.
We have reported a case of AFO treated conservatly by a excisional biopsy. 6 months after enucleation there was no sign
of recurrence, but further periodic examination are regarded
as necessary.
Loss of expression of TGF-beta1, TbetaRI,
TbetaRII and involucrin correlates with oral
squamous cell carcinoma grade and clinical
stage
L. Artese, A. Piattelli, G. Mincione*, G. Vianale*, M. Piccirilli, V. Perrotti, C. Rubini**, R. Muraro*
Department of Stomatology and Oral Science, * Department
of Oncology and Neurosciences, University “G. d’Annunzio”
of Chieti-Pescara, Chieti, Italy; ** Department of Pathology,
University of Ancona, Italy
Introduction. Aim of the study was to define and correlate
the expression levels of TGF-β1, TGF-β type I, type II re-
POSTERS
ceptors (TβRI, TβRII) and involucrin with the clinico-pathological characteristics of the oral squamous cell carcinomas.
Moreover, we investigated on two squamous carcinoma cell
lines the responsiveness to TGF-b1 treatment in relation to
the baseline expression patterns of TbRI and TbRII receptors.
Methods. Immunohistochemistry was performed from 22
oral carcinomas and their corresponding normal mucosae using antibodies against TGF-β1, TβRI, TβRII and involucrin.
TGF-β1, TβRI and TβRII expression levels were also evaluated by Western blot analysis using specific antibodies.
Results. TGF-β1, TGF-β receptors and involucrin were differentially expressed in neoplastic tissues as compared to the
surrounding apparently unaffected normal epithelia. The
TGF-β1 system and involucrin were expressed in normal epithelia of all patients. In contrast, in the neoplastic tissues a
loss of expression of TGF-β1, TGF-β1 receptors and involucrin was observed. The reduction of the expression was correlated with the clinical stage of disease, decreasing progressively from stage I to stage IV. In addition, a correlation between TGF-β1 system molecules/involucrin expressions and
grade of differentiation of the tumor was observed. In all cases, TGF-β1, TGF-β1 receptors and involucrin expressions
were significantly diminished in G3 and G2 tumors as compared to G1 lesions. Moreover, our results demonstrated a reduced and a lack of TbRI expression in the oral squamous
carcinoma cell lines Cal27 and FaDu respectively. In addition, a significant decrease of TbRII expression, as compared
to Cal27 cells, was shown in FaDu cell line. The decreased
expression of TbRII and the absence of TbRI, could account
for the resistance of FaDu cells to the growth-inhibiting effect of TGF-b1 in vitro treatments.
Conclusion. In OSCC, the loss of TGF-β1, TGF-β1 receptors and involucrin expression significantly correlated with
the grade of differentiation and with the clinical stage of the
tumor. Thus, the decrease of expression of the TGF-β1 system molecules, associated to advanced and more aggressive
tumors, suggests a functional role of these molecules in the
oral tumor progression. Moreover, results from in vitro studies suggest that alterations in TGF-b1 receptors expression
could represent one of the mechanisms that allow cells to
evade TGF-b1-induced growth arrest.
P16 expression in odontogenic tumors
L. Artese, A. Piattelli, C. Rubini*, V. Perrotti, G. Iezzi, M.
Piccirilli, F. Carinci**
Department of Stomatology and Oral Science, University
“G. d’Annunzio” of Chieti-Pescara, Chieti, Italy; * Department of Pathology, University of Ancona, Italy; ** Departemnt of D.M.C.C.C., Section of Maxillofacial Surgery, University of Ferrara, Italy
Introduction. The odontogenic tumors (OTs) are uncommon
lesions. The p16 gene was discovered as a multiple tumor
suppressor gene, which directly regulates the cell cycle and
inhibits cell division. The aim of the present study was to examine the expression of p16 in OTs with a low and a high risk
of recurrences, to clarify the possible role of this factor in the
invasiveness of these tumors.
Methods. The tissues of 36 OTs were evaluated: 2 calcifyng
cystic OTs, 2 odontogenic fibromas, 9 ameloblastomas-unicystic type, 4 ameloblastomas-extraosseous/peripheral type,
19 ameloblastomas-solid/multicystic type To evaluate the
p16 expression a mean percentage of positive cells was de-
275
termined, derived from the analysis of 100 cells in ten random areas at x 40 magnification. To better evaluate the relationship between p16 expression and prognosis, the tumors
were divided in 2 groups according to the clinical behavior.
A. OTs with low risk of recurrences (i.e. calcifyng cystic
OTs, odontogenic fibromas, ameloblastomas-unicystic type,
ameloblastomas-extraosseous/peripheral type); B. OTs with
high risk of recurrences (i.e. ameloblastomas-solid/multicystic type).
Results. P16 was expressed in all the OTs but the location of
the expression was different. Group A: the positivity was expressed at the level of the stellate reticulum cells in 15 cases
(88.23%), while these cells were negative in 2 case (11.76%).
Columnar/cuboidal peripheral cells were almost negative in
all cases. Group B: it was possible to observe a prevalent positivity of the stellate reticulum cells in 12 cases (85.71%),
while in 2 cases a prevalent negativity (14.28%) was present.
Columnar/cuboidal peripheral cells were positive in 6 cases
(42.85%), while were prevalently negative in 8 cases
(57.14%). Statistically difference was found in p16 expression of peripheral cells with an increase of the expression in
group A compared to group B (p < 0.05). Statistically significant difference was found in p16 positive expression of the
central cells of OTs with a decrease of the expression in
group A compared to group B (p < 0.05).
Conclusion. The study show a correlation between the p16
expression and biological behavior of OTs. The peripheral
portion of the tumors (i.e. the areas of tumor growth) shows
a statistically significant higher quantity of p16+ cells in the
group of tumors with a high risk of recurrences. p16 can be
considered an useful marker to predict the recurrence and aggressive behavior of OTs.
Sialolipoma della sottomandibolare: case
report
P. Parente, F. Castri, I. Pennacchia, G. Bigotti, F. Federico, A. Coli, G. Massi
Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione. Le neoplasie a componente adipocitaria delle
ghiandole salivari sono rare (0,5% circa) e sono rappresentate dal lipoma e dalle forme miste. Nel 2001 Nagao descrive
una nuova variante istologica denominata sialolipoma. Riportiamo il primo caso di sialolipoma a insorgenza nella
ghiandola sottomandibolare.
Case report. Una donna di 77 anni viene operata per l’asportazione di una neoformazione solida non dolente in zona
retromandibolare adiacente alla ghiandola salivare, ben capsulata e non infiltrante le strutture anatomiche circostanti.
Materiali e metodi. Il materiale è stato tutto incluso e sezionato e colorato in Ematossilina Eosina. All’esame macroscopico la neoplasia era compatta, capsulata e omogenea e giallastra al taglio, del diametro di 2 cm, adiacente ma non infiltrante la ghiandola salivare. Istologicamente la neoformazione era composta da una proliferazione di adipociti maturi tipici, privi di mitosi e necrosi, tra i quali erano rare strutture
ghiandolari con aspetti di differenziazione oncocitaria, circondata da una capsula fibrosa dalla quale partivano sottili
introflessioni conferenti alla neoplasia un aspetto settato.
Discussione. Le neoplasie con componente adipocitaria delle ghiandole salivari sono il lipoma e i tumori misti. Nagao
descrive un istotipo particolare caratterizzato dalla presenza
276
di rare strutture ghiandolari all’interno della proliferazione
adipocitaria, il sialolipoma, di cui sono stati descritti finora in
letteratura 12 casi, di cui uno congenito, ma tutti intraparotidei. Il nostro caso è il primo descritto di sialolipoma della
ghiandola sottomandibolare. La presenza della capsula fibrosa esclude, infatti, la lipomatosi e una diagnosi di involuzione ghiandolare; la presenza di rare strutture ghiandolari la
diagnosi di lipoma o adenolipoma, l’assenza di componente
mesenchimale (osso, cartilagine, tessuto fibroso o vasolare)
POSTERS
di tumore misto. Le caratteristiche oncocitarie della componente ghiandolare in assenza di infiltrato infiammatorio contrastano con l’ipotesi di una differenziazione in tal senso della quota epiteliale a seguito di una stimolazione flogistica,
come accade in altri organi, deponendo per un’insorgenza
“de novo”.
Conclusioni. Il caso descritto in questo report è il primo in
letteratura di sialolipoma ad insorgenza nella ghiandola sottomandibolare.
PATHOLOGICA 2007;99:277-278
Patologia ossea
Fibroma ossificante psammomatoide dello
sfenoide con estensione all’orbita ed alla
base del cranio
V. Arena, P. Andreotta*, F. De Giorgio**, G. Monego***, E.
Arena, A. Evangelista, A. Capelli
Istituto di Anatomia Patologica; * Istituto di Radiologia;
**
Istituto di Medicina Legale; *** Istituto di Anatomia Umana, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione. Il fibroma ossificante è una rara lesione fibroossea benigna. L’età media alla diagnosi è 31 anni con un
range che va da 3 a 63 anni ed una ratio maschi:femmine pari a 1:1.6. Si localizza tipicamente a livello delle ossa craniofaciali con una particolare predilezione per la mandibola nel
75-89% dei casi. Meno comunemente sono convolte l’orbita,
i seni paranasali o l’osso mascellare. Per evitare la recidiva è
raccomandata l’escissione totale.
Metodi. Riportiamo un caso di una fibroma ossificante dello
sfenoide con massiva estensione locale. Si tratta di una donna di 70 anni con una recente storia di algia cranio-faciale ed
edema periorbitale con episodi di epistassi e senso di ostruzione nasale. La signora non lamentava disturbi del gusto né
della visione. L’esame endoscopico delle cavità nasali mostrava deviazione del setto a destra e secchezza della mucosa. Una RM del cranio ha evidenziato una massa ovoidale
con caratteri espansivi-infiltrativi nei confronti dello sfenoide e del clivus, che occupava interamente il seno sfenoidale
e si estendeva anteriormente alle celle etmoidali posteriori,
alla porzione posteriore del setto nasale e dei turbinati superiore e medio sx infiltrando la parete mediale del seno mascellare. A sx infiltrava l’apice orbitario circondando il nervo
ottico sx e la grande ala dello sfenoide. La formazione si
estendeva poi in sede sellare e parasellare infiltrando il seno
cavernoso di destra. Le dimensioni totali della massa erano di
4,7 (AP) x 4,2 (LL) x 2,6 (CC). Il radiologo in prima istanza
suggeriva l’ipotesi di un carcinoma a partenza dal seno sfenoidale. Veniva così effettuata una biopsia che mostrava una
neoplasia relativamente monomorfa, con pattern di crescita
prevalentemente solido-nodulare con presenza di calcificazioni di aspetto irregolare che talora ricordavano i cementicoli. Vi erano altresì aree di aspetto mixoide e sporadici elementi gigantocellulari. Il quadro morfologico appariva coerente con un fibroma ossificante aggressivo psammomatoide.
Risultati e conclusioni. Riconoscere tale variante è fondamentale sia per la corretta caratterizzazione nosologica della
malattia sia perché si tratta di una lesione con potenziale aggressivo e con capacità invasive e distruttive locali. Ad un
anno dall’intervento di asportazione della massa, stante la
difficoltà di accesso chirurgico la lesione è ancora presente
con marcata estensione loco-regionale e riduzione dell’ampiezza della cisterna prepontina.
Descrizione di un caso di
emangioendotelioma maligno epitelioide
osseo complicato da infarto intestinale:
diffusione angiotropica mesenterica o
neoplasia multifocale?
V. Arena, P. Andreotta*, F. De Giorgio**, G. Monego***, E.
Arena, A. Capelli
Istituto di Anatomia Patologica; * Istituto di Radiologia;
**
Istituto di Medicina Legale; *** Istituto di Anatomia Umana, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Introduzione. L’emangioendotelioma (EHE) osseo è una
neoplasia relativamente poco osservata nella routine anatomo-patologica e solitamente la “prima” diagnosi che viene
formulata è quella di una metastasi da carcinoma, solitamente sostenuta da un quadro radiologico di multiple lesioni
osteolitiche.
Metodi. Descriviamo di seguito un caso giunto alla nostra
osservazione di un paziente di sesso maschile di 76 anni che
per l’insorgenza di una sintomatologia dolorosa ossea ingravescente si sottoponeva alle indagini del caso. Il quadro radiologico mostrava multiple lesioni osteolitiche diffuse a tutto lo scheletro con particolare concentrazione delle stesse a
livello degli arti superiori. La biopsia su una delle lesioni
omerali documentava una proliferazione di elementi cellulari di grossa-media taglia, talora binucleati, senza evidenza di
un pattern di crescita specifico. Tali elementi neoplastici permeavano la struttura ossea compresa nel prelievo. Le indagini immunoistochimiche mostravano una positività per pancitocheratine, Vimentina, parzialmente per CD68 ed una marcata immunoreattività per CD31. Sulla base delle evidenze
morfologiche-cliniche ed immunoistochimiche è stata posta
diagnosi di emangioendotelioma epitelioide maligno. A distanza di qualche giorno dal prelievo osseo il paziente veniva operato d’urgenza per un addome acuto e sottoposto ad intervento chirurgico di ileoresezione per infarto intestinale; a
livello delle diramazioni vascolari del viscere asportato si è
potuta documentare la presenza di multipli elementi neoplastici di natura emangioendoteliomatosa, senza però che la
morfologia potesse aiutare nell’esprimersi sulla primitività
vascolare intestinale o sulla natura metastatica di quanto osservato poiché si osservavano sia emboli neoplastici che proliferazioni a partenza dalla parete endoteliale.
Conclusioni. A differenza dei tumori ad insorgenza nei tessuti molli, l’esperienza clinica e prognostica della controparte ossea dell’EHE rimane ancora ad oggi limitata. Per le lesioni dei tessuti molli è riportato un 30% di metastatizzazione mentre sono molto scarsi i report di emangioendoteliomi
epitelioidi ossei in cui sia accertata la metastatizzazione. Il
caso da noi presentato appare sicuramente insolito per la presentazione clinica e pone un interrogativo difficilmente risolvibile se non si sia di fronte ad una neoplasia multifocale già
all’esordio.
POSTERS
278
Cranio-axial chordomas. A 15-year clinicopathological experience at the “Casa Sollievo
della Sofferenza” hospital
M. Bisceglia*, C. Clemente*, M. Vairo*, L. Di Candia*, G.
Giannatempo**, M. Bianco***, V.A. D’Angelo*** G. Pasquinelli* ****
Departments of * Pathology, ** Radiology, and *** Neurosurgery, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” Hospital, San
Giovanni Rotondo, Italy; **** Department of Clinical Pathology, Policlinico “S. Orsola” Hospital, Bologna, Italy
Introduction. Chordoma (CD) is a rare, slowly growing, malignant tumor with phenotypic epithelial features arising
from notochordal rests, and occurring in several anatomic locations. Axial skeleton involvement from the clivus to the tip
of coccyx is the standard, but even heterotopic CD are on
record (paraxial-lateral bone and soft tissue occurrence). CD
represents only 1% to 4% of all primary bone tumors 1. The
yearly estimated incidence is < 1 case per million individuals, and most large general hospitals see 1 case every 1-2
years. CD is a tumor of adults and the elderly (peak incidence: VI decade) and very rare under 20 years. Both sexes
are affected. The clinical presentation is diverse and related
to the tumor location. Histological variants have been described: i.e., atypical, anaplastic, spindle cell, and dedifferentiated (DD) – with 53 cases on record of the latter as either
primary or secondary to radiation 2.
Design. The clinicopathologic records of 24 total CDs seen
over the last 15 years, focusing on their histologies, were reviewed. All cases underwent imaging studies. The age ranged
from 9 years to 80 years (mean 47.5 years); 4 of them occurred under 30 years of age (1 case in the I and 3 in the III
decade). Male to female ratio was 11:13. All patients complained of diverse site-based symptomatology. The tumor location was cranial in 13 cases, vertebral in 6, and sacral in 4;
1 case was heterotopic (maxillary bone). All cases underwent
surgery or needle biopsy. 6 cases had multiple biopsy (preoperative; recurrence; regional metastasis). Tumor size
ranged from 2 (maxillary bone) to 15 cm (sacral). All cases
were histologically diagnosed and immunoistochemically assessed. 3 cases were examined by electron microscopy (EM).
1 case was left with uncertain diagnosis (sacral CD vs. h.g.
myxoid chondrosarcoma) and excluded from this review.
Results. At histology a classic pattern was seen in 19 cases.
Atypical or anaplastic features were seen in 4 cases. 1 case
with anaplastic features was mainly a primary DD-CD of the
T9 vertebra. Immunohistochemistry (vimentin, EMA, S-100
pr, CK w.s. + ty) was of support in all cases and decisive in
some. EM was of invaluab