B. Situazioni reali di godimento.
18 I beni. I beni sono le cose che possono formare oggetto di diritto (art. 810 c.c.).
Per cose non s’intendono solo le cose materiali, ma anche quelle immateriali.
Il termine cosa quindi è usato in via generale. I beni sono oggetti di situazioni soggettive e quindi
di un rapporto giuridico.
I beni si dividono in:
ƒ beni in commercio e fuori commercio, dove la differenza è che i beni fuori commercio
non si possono acquistare la proprietà, nemmeno per usucapione;
ƒ beni pubblici e privati (art. 822 c.c.), dove i beni pubblici hanno come titolare di diritto
lo Stato o un ente pubblico e appartengono al demanio pubblico; i beni sono
necessariamente demaniali, quando non possono che non appartenere allo Stato
(spiaggia), o accidentalmente demaniali, il bene diventa demaniale quando diventa di
proprietà dello Stato (strade e ferrovie);
ƒ beni immobili e mobili (812 c.c.), dove i beni immobili sono quei beni non trasportabili
perché naturalmente (un albero), o artificialmente (un edificio) sono incorporati al
suolo; o beni mobili sono la restante parte dei beni. Questa distinzione non sempre è
fattibile, perché alcuni beni mobili vengono iscritti nei registri come i beni immobili (art.
815 c.c.);
ƒ beni divisibili e indivisibili, dove la divisibilità è possibile solo quando le singole parti
divise conservino un valore economico proporzionato al bene intero;
ƒ beni fungibili e infungibili, dove esistono beni che possono essere sostituiti e altri dove
la quantità e la qualità è insostituibile;
ƒ beni generici e specifici, dove i beni generici appartengono ad un determinato genere e
quelli specifici sono considerati per la loro indivisibilità;
ƒ beni produttivi e improduttivi, dove la differenza sta nel fatto che i beni produttivi
producono direttamente o indirettamente un frutto. I frutti possono essere naturali o civili
(art. 820 c.c.): sono naturali quelli che derivano direttamente da un altro bene a
prescindere dall’eventuale opera dell’uomo (il melo comunque produrrà i suoi frutti, e
così gli animali i loro nati); sono civili i frutti che conseguono alla particolare
utilizzazione economica del bene e che coincidono con i redditi che si traggono dal
godimento del bene concesso ad altri (il canone di locazione di un appartamento o gli
interessi su una somma di denaro.
Mentre i frutti naturali si acquistano con la separazione dal bene che li produce, i frutti
civili si acquistano giorno per giorno in considerazione della durata del diritto (art. 821
c.c.);
ƒ beni consumabili e inconsumabili, i dove i beni consumabili si trasformano o si
estinguono (cibo) e i beni inconsumabili hanno un’utilità ripetibile anche se il bene si
deteriora (vestito).
Il bene può risultare anche dalla particolare connessione che può instaurarsi tra più cose: si
discorre, in queste ipotesi di combinazioni di cose che possono essere cose composte o
universalità di mobili.
Le universalità di mobili (art. 816 c.c.) sono costituite dalla relazione di più cose destinate alla
funzione unitaria, appartenenti allo stesso proprietario (biblioteca). La disciplina è diversa da
quella dei singoli beni; ad esempio il principio possesso vale titolo è applicabile ai singoli beni,
ma non alle universalità.
Le cose composte sono costitute dalla connessione di più cose che, nella destinazione
unitaria, perdono la loro funzione originaria per adempierne una diversa (automobile).
La cosa composta si distingue dall’universalità di mobili fondamentalmente perché
nell’universalità non vi è coesione fisica fra i vari elementi, infatti la cosa composta viene
considerata come un bene semplice.
Le pertinenze riguardano quei beni che hanno funzione durevole, di servizio o di ornamento, di
un altro bene; esse hanno carattere accessorio.
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19. La proprietà nel codice e nella Costituzione. La proprietà si pone come uno dei fenomeni
centrali per il suo stretto collegamento con quasi tutti gli istituti di diritto civile; si presenta come
il pilastro degli ordinamenti e, si è reputato, di poterla annoverare tra i diritti fondamentali ed
inviolabili dell’uomo. La proprietà, storicamente concepita in senso “statico” come fonte di
reddito e di godimento, si adegua al modello industriale della società moderna e s’inserisce nella
complessità dei rapporti economici. Da centro del sistema, la proprietà diviene soprattutto uno
degli strumenti mediante i quali si manifesta l’iniziativa economica.
La proprietà è il diritto pieno ed esclusivo di disporre delle cose, entro i limiti e con
l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento (art. 832 c.c.).
Il codice del 1865 prevede limiti negativi, quello del 1942, affianca a questi ultimi
comportamenti positivi. L’espressione “osservanza degli obblighi stabilita dall’ordinamento”
sottintende la realizzazione della funzione che la proprietà deve realizzare (utilità produttivistica)
alla quale non ci si può sottrarre. Emblematica è la possibilità di espropriare i beni che
interessano la produzione nazionale se il proprietario n’abbandona la conservazione, la
coltivazione o l’esercizio (art. 838 c.c.). Contrariamente a quanto traspariva nello Statuto
Albertino, la proprietà non è più un attributo della persona, ma ne diviene uno degli strumenti
mediante i quali si realizza la sua personalità (profilo dinamico previsto dalla Costituzione).
Nella Costituzione, la proprietà è garantita non tra i principi fondamentali (art. 1-12 cost.), né tra
i diritti di libertà (art. 13-28 cost.), ma tra i rapporti economici (art. 35-47 cost.). La proprietà è
riconosciuta esclusivamente come situazione garantita dall’ordinamento che ne determina i modi
di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla
accessibile a tutti (art. 42 cost.).
La funzione sociale assegnata alla proprietà permette di individuare la giustificazione
dell’attribuzione del diritto al soggetto e gli scopi da perseguire, sulla base dei principi di
solidarietà e di promozione della persona.
20. Poteri di godimento e di disposizione. Il potere di godimento è la facoltà di usare o no la
cosa, di deciderne le modalità d’uso, di trasformazione o addirittura la distruzione.
Il potere di disposizione è la possibilità di compiere atti giuridici o di scegliere la destinazione
economica del bene o di disporre materialmente della cosa o, inoltre, di scegliere il tempo di
utilizzazione e di godimento della stessa. Godimento e disponibilità sono pieni ed esclusivi; sono
pieni (pienezza), nel senso che della cosa o sulla cosa il proprietario può fare ciò che vuole; sono
esclusivi (esclusività) nel senso che è vietata qualsiasi intromissione altrui nelle scelte del
proprietario. La pienezza e l’esclusività incontrano dei limiti quando i beni non sono ad uso
strettamente personale.
21. Pluralità di statuti proprietari. Esistono moltissime tipologie di proprietà: case,
appartamento, ecc…. Quindi la proprietà si caratterizza per i profili più diversi e dalle differenti
caratterizzazioni. A ciò consegue una variegata disciplina, perché è impensabile applicare la
stessa disciplina per due tipologie ben diverse di proprietà.
22. I limiti e gli obblighi. Accanto alla proprietà ci sono logicamente dei limiti e degli obblighi
che si differenziano in vincoli pubblici, che riguardano la legislazione pubblicistica, e i vincoli
privati, che riguardano i conflitti tra proprietari. Ulteriori limiti e obblighi emergono dalla
legislazione speciale: si pensi, in particolare, alla materia edilizia ed urbanistica in genere, alla
legislazione in tema di locazione e alla legislazione sull’edificabilità dei suoli.
Oltre all’urbanistica, altro limite molto importante riguarda l’ambiente e soprattutto la sua difesa
dalla sua distruzione e dall’abusivismo. Collegate ai limiti ci sono le limitazioni delle proprietà
conseguenti all’esercizio dell’espropriazione, riconosciuto dalla pubblica amministrazione. Con
l’espropriazione si sottrae la proprietà ad un soggetto allo scopo di destinare il bene espropriato
ad una finalità di interesse generale. Presupposto importante affinché avvenga l’espropriazione è
la finalità per un interesse generale. All’espropriato andrà, come di logica, un indennizzo in
moneta o in lotti edificabili.
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23. Rapporti di vicinato. Il legislatore prevede una disciplina specifica per regolare i rapporti fra
proprietari vicini, tendente a contemperare il diritto al libero esercizio, con il diritto altrui a non
vedersi leso nella propria situazione di godimento.
I rapporti di vicinato sono disciplinati dall’ordinamento che vieta:
ƒ atti emulativi, ossia atti che presentano pregiudizi ad altri come la sopraelevazione di un
muro che toglie aria e luce al fondo vicino (art. 833 c.c.);
ƒ immissioni, ossia immissioni di fumo o calore, esalazioni, rumori e tutto ciò che va oltre
la tollerabilità (art. 834 c.c.).
Una specifica disciplina riguarda le distanze; essa si pone lo scopo di preservare il godimento
del diritto altrui; riguardo a ciò abbiamo la comunione forzosa del muro di confine (art. 874 ss
c.c.): il proprietario può richiedere la comunione del muro di un fondo contiguo e diventarne così
contitolare. Egli, comunque, pagherà un indennizzo per la metà del valore della terra su cui fonda
il muro e metà del valore del muro. Specifiche distanze, anche queste tendenti a garantire il
godimento del bene da parte del proprietario confinante, sono previste per i pozzi, per i fossi, per
i canali, per le fabbriche, per i depositi nocivi o pericolosi e per le piantagioni (art. 889 ss c.c.).
Quanto alle aperture di luce e vedute, queste sono sottoposte ad una disciplina che tende a
contemperare l’esigenza di godere nei propri ambienti di luce naturale e vedute panoramiche con
la necessità di garantire comunque la riservatezza del proprietario del fondo vicino.
La luce è l’apertura che senza possibilità di guardare sul fondo vicino consente l’entrata d’aria e
luce naturale; la veduta è l’apertura che consente di vedere sul fondo vicino [art.901, 903, 905
c.c.].
24. Proprietà fondiaria: edilizia e rurale. Per proprietà fondiaria, il codice considera la proprietà
edilizia (art. 869 ss c.c.), rurale (art. 846 ss c.c.) e i diritti sulle acque (art. 909 ss c.c.).
La proprietà fondiaria è, in linea di principio, illimitata in altezza e profondità.
L’illimitatezza trova il suo confine nell’interesse del proprietario; nel caso manchi tale interesse,
il diritto del proprietario non è più tutelato e non può opporsi all’attività dei terzi (art. 840 c.c.).
Egli ha diritto di chiudere il fondo in qualunque tempo e modo nei limiti stabiliti
dall’ordinamento (art. 841 c.c.). Egli non può impedire la caccia salvo che il passaggio dei
cacciatori comprometta il fondo (art. 842 c.c.).
La proprietà edilizia è limitata dall’urbanistica dei comuni, che definiscono zone edificabili e
non. Ai comuni si è riconosciuto il potere di classificare il territorio comunale in zone al fine di
destinare ciascuna di esse alla realizzazione di specifiche opere: edilizia residenziale, viabilità e
servizi pubblici in genere, verde pubblico, ecc….; gli strumenti utilizzati dai comuni per stabilire
i vincoli di zonizzazione sono i piani regolatori. Alcune lacune presenti nella legislazione
urbanistica sono state colmate definitivamente con la legge Bucalossi, dove si è sostituita la
precedente licenza con una concessione edilizia rilasciata dai comuni nei limiti della conformità
dell’opera agli strumenti di pianificazione urbanistica, e si è trasferito sul proprietario il costo del
contributo per le opere di urbanizzazione. Con questo sistema non si è voluto eliminare la facoltà
di costruire (ius aedificandi) dai poteri del proprietario, ma hanno il solo scopo di accertare la
ricorrenza delle condizioni previste dall’ordinamento per l’esercizio del diritto nei limiti nei quali
il sistema normativo ne riconosce l’esistenza.
Un particolare limite della normativa urbanistica è costituito dal rapporto tra superficie e
volumetria, perché ad ogni area corrisponde un preciso volume di quanto è possibile costruire.
Questo rapporto è stabilito soltanto in via potenziale dai piani regolatori; il consenso dei
proprietari si manifesta con il trasferimento di volumetria o di cubatura.
Diverso e grave problema, rimasto tuttora irrisolto, è quello della sperequazione
(disuguaglianza) che si crea fra i proprietari a seguito dell’adozione del piano regolatore; attesi i
diversi valori economici di mercato, non è indifferente se il proprio terreno è destinato a verde o
a zona residenziale.
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La proprietà rurale è quella dei terreni agricoli; da qui la sua denominazione di proprietà
terriera o, meglio, di proprietà agraria. Essa è limitata dalle trasformazioni dei terreni per il
miglioramento della produzione (art. 857 ss c.c.) e dai vincoli idrogeologici (art. 866 ss c.c.).
25. Modi di acquisto della proprietà a titolo originario. L’acquisto della proprietà può
avvenire sia mediante atti di natura negoziale (contratti) sia con semplici fatti naturali.
Contrariamente all’acquisto a titolo originario, che fa nascere il diritto pieno, l’acquisto a titolo
derivativo è retto dal principio per il quale chi trasferisce (dante causa) non può cedere un
diritto più ampio di quello del titolare. Il nuovo proprietario (avente causa) acquista un diritto
identico per contenuto a quello di cui era titolare il dante causa. I modi di acquisto della proprietà
sono indicati dall’art. 922 del c.c. e quelli a titolo originario sono (art. 923 ss. c.c.):
ƒ l’occupazione, materiale impossessamento della cosa, con la volontà di farla propria;
ƒ l’invenzione, ritrovamento di cose smarrite; il ritrovatore diventa possessore e ha
l’obbligo di portare la cosa smarrita al comune che si occuperà di rendere noto il
ritrovamento: se il proprietario reclama la cosa smarrita, al ritrovatore spetta un premio,
altrimenti, dopo un anno dal ritrovamento, il ritrovatore ne diventa titolare di diritto;
ƒ il tesoro, ritrovamento di una cosa seppellita o nascosta; il ritrovatore ne diventa
proprietario tranne nei casi in cui la cosa ritrovata sia di pubblico interesse (interesse
artistico). In questo caso, al ritrovatore e al proprietario del fondo, dove la cosa è stata
ritrovata, spetta un indennizzo;
ƒ l’accessione, può essere di tre tipi:
1. da cosa mobile a cosa immobile; es.: costruzione di opere su fondo altrui.
Il proprietario del fondo diventa proprietario dell’opera se è stata costruita a sua
insaputa e può chiedere la sua demolizione; se l’opera è stata costruita a
conoscenza del proprietario del fondo, quest’ultimo deve pagare un indennizzo al
costruttore e non può chiederne la demolizione;
2. da cosa immobile a cosa immobile; es.: l’alluvione e l’avulsione.
Con l’alluvione, il proprietario del fondo dove si sono depositati i detriti,
provenienti, in modo lento e progressivo da un altro fondo, diventa proprietario
anche dell’incremento.
Con l’avulsione, il proprietario del fondo, dove si sono depositati parti
considerevoli e riconoscibili di un altro fondo, diventa proprietario
dell’incremento pagando però un indennizzo al proprietario dell’altro fondo.
3. da cosa mobile a cosa mobile; es.: l’unione e la commistione.
Con l’unione di due beni, il proprietario del bene principale diventa proprietario
del secondario e lo stesso vale per la commistione dove però i beni sono
mescolati. In entrambi i casi, il portatore dell’interesse più grande deve
corrispondere un indennizzo all’altra parte.
Vi è anche l’accessione invertita; è il caso in cui il proprietario di un fondo contiguo ad
un altro, costruisce nel fondo contiguo in una parte non utilizzata, un’opera per il suo
interesse. Egli può chiedere di diventare proprietario della parte di fondo occupata entro
tre mesi dalla costruzione dell’opera, pagando, come indennizzo, il doppio del valore
della terra; l’altro proprietario può opporsi facendosi risarcire i danni.
ƒ La specificazione ha lo stesso principio dell’accessione invertita; è il caso dell’acquisto
della proprietà di una cosa creata con materiale altrui: Ad esempio uno scultore che,
utilizza il marmo di un’altra persona per creare la sua opera, deve pagare un indennizzo al
proprietario del marmo per diventarne proprietario; delle volte può accadere che il valore
della materia è maggiore di quello della manodopera, e in questi casi è il proprietario
della materia che deve pagare un indennizzo a colui che creato l’opera per diventarne
proprietario.
26. Superficie. Il diritto di superficie è l’acquisto della proprietà della costruzione esistente o il
diritto di edificare, fermo restando il separato diritto di proprietà sul suolo (art. 952 c.c.).
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Il diritto di superficie determina un particolare modello di proprietà, la cosiddetta proprietà
superficiaria; essa è caratterizzata dal fatto che non si estende più verticalmente, ma
orizzontalmente. Il contratto tra il proprietario del suolo e il superficiario sospende l’operatività
del principio d’accessione. Il diritto di costruzione e il diritto di edificare pur avendo com’effetto
lo stesso risultato, cioè l’acquisto della proprietà su un suolo altrui, configurano situazioni
diverse. Se la costruzione già esiste, ciò che si costituisce è un diritto di proprietà sull’opera. Se il
proprietario, invece, attribuisce la possibilità di costruire sul proprio suolo ad un terzo, questi
acquista prima il diritto di edificare e, una volta eseguita l’opera, la proprietà sull’edificio.
La differenza sta nel fatto che, quando si acquista il diritto di proprietà sulla costruzione,
l’acquisto sarebbe a titolo derivativo; mentre se si acquista il diritto ad edificare, la proprietà
sulla costruzione si costituirebbe a titolo originario. Se si è acquistato un diritto di proprietà, il
diritto è imprescrittibile; se si è acquistato un diritto di edificare, il diritto è sottoposto al regime
della prescrizione, con la conseguenza che, se non si edifica nel termine di 20 anni, il diritto si
prescrive (art. 954c.c.).
Il diritto si costituisce per contratto, testamento o usucapione e può essere previsto a tempo
determinato o indeterminato. Se è a tempo determinato, alla scadenza del termine, vale il
principio dell’accessione, cioè la costruzione accederà al suolo ed il proprietario di quest’ultimo
diverrà proprietario anche dell’opera costruita (art. 953 c.c.).
Il diritto di superficie si estingue per decorrenza del termine, per rinunzia del superficiario, per
riunificazione della figura del proprietario con quella del superficiario; non si estingue per il
perimento della costruzione [art. 954 c.c.].
27. Enfiteusi. L’enfiteusi è un diritto di godimento su cosa altrui; il proprietario di un suolo dà
in enfiteusi il suddetto diritto ad un terzo (enfiteuta), il quale esercita gli stessi diritti di
godimento del proprietario. Gli obblighi dell’enfiteuta sono: migliorare il fondo e pagare un
canone (art. 960 c.c.). All’enfiteuta sono riconosciuti tutti i diritti sul fondo e sulle accessioni
(art. 959 c.c.), quindi la posizione dell’enfiteuta si configura come dominio utile, quella del
proprietario come dominio diretto.
Oltre che su fondi rustici, l’enfiteusi può essere costituita anche su fondi urbani, dove è concessa
o su un fondo al quale accede un edificio o su un fondo concesso allo scopo di costruirvi un
edificio. Gli incrementi di valore che si determinano con l’enfiteusi urbana sono diversi da quelli
dell’enfiteusi rustica ed hanno diversa disciplina.
L’enfiteusi si può costituire per contratto, in forma scritta, per testamento o usucapione e può
essere a tempo determinato o perpetuo; se è stabilita a tempo determinato, non può avere una
durata inferiore ai 20 anni (art. 958 c.c.).
L’enfiteuta può modificare la destinazione del fondo (art. 959 c.c.); può disporre per testamento
del proprio diritto (art. 965 c.c.), ma non può cederlo in subenfiteusi (art. 968 c.c.).
L’estinzione si ha a seguito della scadenza del termine, rinunzia dell’enfiteuta, per perimento
totale del fondo ed espropriazione, si estingue anche quando l’enfiteuta non ha migliorato il
fondo o non ha pagato due annualità di canone (art. 972 c.c.). Il legislatore prevede due peculiari
modi di estinzione del diritto: l’affrancazione e la devoluzione.
Con l’affrancazione si attribuisce all’enfiteuta un diritto all’acquisto (a titolo derivativo) della
proprietà del fondo, pagando una somma di denaro che si ottiene moltiplicando per quindici
volte il valore del canone annuo (capitalizzazione del fondo).
La devoluzione è sostanzialmente un’azione di risoluzione, tendente a tutelare il proprietario di
fronte alle inadempienze degli obblighi dell’enfiteuta.
In virtù dell’estinzione, l’enfiteuta ha un diritto ad un rimborso, commisurato all’incremento di
valore apportato sulla base dei miglioramenti e delle addizioni fatte; resta il diritto di togliere le
addizioni fatte senza arrecare danno al fondo (art. 975 c.c.).
28. Diritti di godimento su cosa altrui. Accanto alla proprietà ci sono altre situazioni di
godimento su cosa altrui; tali situazioni si configurano quando si vantano dei diritti o verso il
proprietario o verso il bene. All’enfiteusi e alla superficie si aggiungono l’usufrutto, l’uso e
l’abitazione, le servitù.
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29. Segue. Usufrutto. L’usufrutto è il diritto di godere di un bene altrui e dei suoi frutti con
l’obbligo di conservare la destinazione economica del bene e di restituirlo alla scadenza (art. 978
ss c.c.). Il bene dato in godimento deve essere un bene fruttifero e non consumabile, però esiste
anche l’usufrutto dei beni consumabili (quasi usufrutto). I frutti sono acquistati
dall’usufruttuario secondo le regole generali (art. 984 c.c.).
Limite importante, cui è tenuto l’usufruttuario, è quello di non modificare l’indirizzo economico
del bene, pena il pagamento di sanzione; è tenuto al risarcimento del danno qualora alteri
l’originaria destinazione economica e può anche essere condannato al ripristino delle precedenti
condizioni. Quanto al godimento, l’usufrutto non può durare oltre la vita dell’usufruttuario; se è
costituito a favore di una persona giuridica, non può eccedere i trent’anni (art. 979 c.c.); esso non
trasmissibile mortis causa.
L’usufrutto congiunto riguarda un usufrutto costituito nei confronti di più persone che si
esaurisce o per scadenza del termine o per la morte dell’ultimo socio.
L’usufrutto successivo è il passaggio automatico dell’usufrutto da una persona ad un’altra per
l’ipotesi di morte di una di esse; è costituito a titolo oneroso ed è espressamente escluso riguardo
agli atti mortis causa.
L’usufrutto si costituisce per legge (genitori sui beni dei figli), volontariamente (per contratto o
testamento) e per usucapione. Il diritto è cedibile ma la cessione non può eccedere la durata
originaria (art. 980 c.c.).
L’obbligo dell’usufruttuario è quello di restituire alla scadenza il bene con l’osservanza della
diligenza del buon padre di famiglia. L’usufruttuario è tenuto alle spese di mantenimento del
bene dato in usufrutto ed i suoi diritti, oltre che sui frutti, si estendono ai miglioramenti e alle
addizioni, ma non al tesoro.
L’estinzione dell’usufrutto si ha per scadenza del termine, per rinunzia, per prescrizione
determinata dal non uso protratto per 20 anni, per consolidazione, per il perimento totale e non
quello parziale della cosa, per abuso dell’usufruttuario susseguente all’alienazione dei beni o al
loro deterioramento. Non si estingue invece se la cosa è espropriata e se perisce per colpa o dolo
di terzi.
30. Segue. Uso e abitazione. A differenza dell’usufrutto, l’uso e l’abitazione hanno limitata
misura della facoltà di godimento che si attribuisce sulla cosa. L’uso è diritto personalissimo, che
attribuisce al suo titolare il potere di servirsi della cosa e di raccoglierne gli eventuali frutti,
limitatamente ai bisogni della sua famiglia (art. 1021 c.c.). Quando l’uso ha per oggetto
un’abitazione, la situazione si qualifica diritto di abitazione (art. 1022 c.c.).
L’uso e l’abitazione si costituiscono per usucapione, volontariamente o per legge. Si estinguono
con la morte del titolare e non possono essere dati in locazione o formare oggetto di testamento.
31. Segue. Servitù. La servitù è un diritto reale di godimento che consiste nel peso imposto
sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (art. 1027 c.c.).
Da questa definizione si delineano il fondo servente, il quale ha delle limitazioni delle facoltà
gravate dal peso, e il fondo dominante, che dal peso ne ricava un’utilità.
Il compito del proprietario del fondo servente è di sopportare, di tenere un comportamento
negativo di non fare. Le spese per l’esercizio delle servitù sono a carico del fondo dominante,
salvo diversa disposizione (art. 1030 c.c.).
Affinché vi sia una situazione di servitù sono richiesti tali presupposti: che tra di due fondi
sussista una relazione di servizio e quindi anche di utilità e che vi siano due proprietari diversi
riferiti non però a due persone distinte, ma a due situazioni distinte, ad esempio, un proprietario
può essere titolare di uno dei due fondi e contitolare dell’altro fondo.
Le servitù si costituiscono per contratto o testamento; per le sole servitù apparenti sono previsti
l’usucapione e la destinazione del buon padre di famiglia, che consiste in un modo di acquisto a
titolo originario di due fondi ora divisi, ma primi uniti, dove sono state predisposte opere visibili
di servizio per un fondo in modo tale da manifestare appunto l’esistenza di una relazione di
servizio.
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Le servitù si distinguono:
ƒ apparenti, caratterizzate dall’esistenza di opere visibili e permanenti, destinate
all’esercizio della servitù; e non apparenti, dove manca un’opera visibile (es: servitù di
non edificare);
ƒ affermative (o positive), costituite a favore della situazione soggettiva dominante del
potere di svolgere un’attività nel fondo servente; e negative, ossia proibizione a carico
della situazione servente di compiere atti o comportamenti;
ƒ continue, che per il loro esercizio presuppongono una precedente opera; e discontinue,
prescindono da opere e l’esercizio coincide con il fatto stesso dell’uomo (es: servitù di
passaggio);
volontarie (art. 13504, 1058 c.c.), si costituiscono per volontà dei singoli (contratto o testamento)
o per legge; e coattive (art. 1031 c.c.), soddisfano una necessità del fondo dominante in base al
principio di un dovere di solidarietà per un pubblico interesse. Le servitù coattive sono costituite
per accordo tra i titolari o per sentenza o per atto amministrativo (es: espropriazione per pubblica
utilità).
Nell’esercizio delle servitù, al fondo dominante è richiesto di non aggravare oltre i limiti stabiliti
la situazione servente, e al fondo servente è richiesto di non ostacolare o diminuire l’esercizio del
fondo dominante.
La servitù si estingue per confusione (art. 1072 c.c.), decorrenza del termine, rinuncia (art. 13505
c.c.), abbandono del fondo servente (art. 1070 c.c.) e prescrizione determinata dal non uso
ventennale (art. 1073 c.c.).
Il decorso del termine per la prescrizione per le servitù continue avviene da quando non è più
possibile esercitare il diritto; nelle discontinue, il decorso del termine per la prescrizione scatta
dall’ultima volta che è stato esercitato il diritto (art. 1073² e ³).
32.Comunione. Quando la titolarità di una situazione di godimento è di più soggetti si parla di
comunione (art. 1100 c.c.). La disciplina della comunione è costruita sulla base della
comproprietà, alle situazioni di godimento su cosa altrui, e sulla base di valutazione di
compatibilità, alle altre situazioni patrimoniali.
La comunione può essere volontaria (se nasce dall’accordo dei soggetti), legale (o forzosa; se
nasce dalla legge) e incidentale (se nasce da un evento casuale; es: comunione fra più eredi).
Esistono tuttavia forme speciali di comunione come la comunione legale fra i coniugi. Nella
comunione, il godimento di uno dei titolari si deve misurare con quello dell‘altro, e cioè, non può
neanche modificare la destinazione della cosa comune (art. 1102 c.c.).
La comunione attribuisce ad ogni titolare una quota, sulla quale sono calcolati
proporzionalmente i vantaggi del godimento e gli svantaggi riguardanti le spese di godimento e
di mantenimento. Salvo diversa disposizione, le partecipazioni si presumono eguali fra i
contitolari (art. 1101 c.c.).
Inoltre, ciascun partecipante, se si tratta di cose divisibili, può chiedere lo scioglimento della
comunione, purché non sia forzosa o non si sia stabilito che la contitolarità debba rimanere per
un certo tempo (art. 1111 c.c.).
All’amministrazione concorrono tutti i partecipanti sulla base di deliberazioni prese
dall’assemblea, impugnabili entro 30 giorni. Per gli atti di ordinaria amministrazione, può essere
formato un regolamento e nominato un amministratore. La maggioranza è calcolata sulla
quantità di valore rappresentata dalle rispettive quote di partecipazione e non sul numero dei
partecipanti: per gli atti di ordinaria amministrazione, sono calcolate sulla base del valore delle
quote; per gli atti di straordinaria amministrazione, occorrono i due terzi del valore complessivo
della cosa comune. Si richiede l’unanimità dei consensi per gli atti di alienazione (vendita) o di
costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a 9 anni (art.
1105-1109 c.c.).
Per i beni divisibili, lo scioglimento può essere richiesto con l’accordo delle parti e la ripartizione
è fatta tenendo conto delle quote. Nel caso dei beni indivisibili, i titolari provvedono
all’alienazione e alla ripartizione del ricavato in base alle quote.
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33. Condominio negli edifici. Il condominio è un caso particolare di più diritti esclusivi; esso
riunisce da una parte la proprietà privata dell’appartamento, dall’altra la comunione forzosa
dell’edificio (art. 1117 c.c.). Ciò comporta quindi dei diritti sulle parti comuni, calcolati sul
valore della proprietà esclusiva, e dei doveri, che sono calcolati in base alla destinazione del
servizio; logicamente ci sono delle spese che sono ripartite o in quote o in base all’uso.
Le parti comuni sono indivisibili, salvo che la divisione possa farsi senza pregiudizio per gli altri.
Gli organi per l’amministrazione del condominio sono l’assemblea e l’amministratore (la nomina
di quest’ultimo è obbligatoria nei condomini con più di quattro partecipanti; art. 1129 c.c.).
L’assemblea si riunisce per deliberare sui fatti dell’edificio; essa delibera con principio
maggioritario ed è vincolante anche per i condomini assenti o dissenzienti. Le delibere sono
impugnabili entro 30 giorni. È possibile la formazione di un regolamento che disciplini l’uso
delle cose comuni, la ripartizione delle spese e l’amministrazione; il regolamento è obbligatorio
negli edifici con più di dieci proprietari esclusivi (art. 1135-1138 c.c.).
L’amministratore è l’organo esecutivo e, nei limiti dell’attribuzione e dei poteri conferitigli dal
regolamento, rappresenta i condomini sia in giudizio sia nei confronti dei terzi (art. 1130, 1131
c.c.).
Quando più edifici hanno tra loro in comunione una serie di opere staccate, ma destinate a
servizio di ciascuna di esse, si ha il supercondominio, formato da edifici e da parti comuni ad
essi: le strade di accesso, la centrale termica, i parcheggi, i prati, ecc….
34. Multiproprietà. La multiproprietà è il diritto con riferimento qualificante nel tempo; tale
diritto, esercitato su un bene comune, consiste in un godimento turnario, cioè limitatamente ad
un determinato periodo. La multiproprietà, pertanto, si caratterizza per l’esistenza di una
comunione e per il godimento esclusivo della cosa comune, esercitabile, per ognuno, in periodi
predeterminati.
Una funzione molto importante è ricoperta dal regolamento: esso, predisposto dal promotore e
accettato con gli atti di acquisto delle singole quote della multiproprietà, disciplina l’uso delle
parti e dei servizi comuni nonché la partecipazione alle relative spese.
Molto frequenti sono le multiproprietà alberghiere, dove si ha il diritto di godere a turno di
un’imprecisata unità abitativa, e quelle azionarie, dove il complesso immobiliare cede ai
multiproprietari una quota di azioni determinata sulla base dei periodi di godimento.
La multiproprietà è disciplinata dal legislatore, che tutela principalmente l’acquirente
attribuendogli il diritto di recesso o la nullità dei patti che dovessero pregiudicarne la posizione.
35. Azioni a difesa dei diritti di godimento. Le azioni a tutela delle situazioni di godimento
vanno distinte in: petitorie, concesse al solo proprietario; confessorie e di nunciazione,
esperibili anche dal titolare di un diritto di godimento su cosa altrui; possessorie, previste per il
possessore.
A difesa del suo diritto, il proprietario ha a disposizione:
ƒ l’azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), dove è presupposta la mancanza del possesso e
colui che si reputa proprietario richiede la restituzione a colui che la possiede. Il
proprietario deve dare prova dell’acquisto o a titolo originario, o a titolo derivativo; a
titolo derivativo, bisogna risalire, mediante i precedenti danti causa, all’acquisto a titolo
originario. Chi pretende di essere proprietario dovrebbe provare non soltanto di aver
acquistato il diritto da un precedente titolare, ma anche che il diritto di questo trova un
valido titolo in un precedente acquisto e così fino al primo originario proprietario
(probatio diabolica).
ƒ l’azione negatoria (art. 949 c.c.) spetta al proprietario contro chi pretende di avere diritti
reali di godimento sulla sua cosa, quando da questi si teme di subire un pregiudizio. Il
proprietario mira ad ottenere dal giudice non solo l’accertamento dell’inesistenza del
diritto altrui, ma anche l’ordine di far cessare le turbative e le molestie sulla sua proprietà.
Al proprietario basta dimostrare il proprio diritto di proprietà, mentre il convenuto ha
l’onere di provare l’esistenza del suo diritto che gli è stato negato dal proprietario.
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ƒ
l’azione di regolamento di confini (art. 950 c.c.), consiste nella demarcazione dei
confini tra due fondi, quando mancano limiti certi; la prova del confine può essere data in
qualsiasi modo e, in mancanza di prove, il giudice può procedere all’accertamento, anche
mediante l’esame delle mappe catastali.
ƒ l’azione di opposizione di termini (art.951 c.c.), presuppone la mancanza di segni per
individuare i confini; si richiede l’apposizione, a spese di entrambi i proprietari, dei segni
di confine.
Per i titolari di un diritto di godimento su cosa altrui ci sono:
ƒ l’azione confessoria (art. 1079 c.c.), dove si tende a far riconoscere non solo l’esistenza
del proprio diritto di godimento su cosa altrui contro chi ne contesti l’esercizio, ma si
mira ad ottenere dal giudice la cessazione degli atti impeditivi e delle turbative al diritto
stesso. In questo caso è l’attore (proprietario) che deve dimostrare l’esistenza della
situazione di godimento.
ƒ l’azione di nunciazione, che sono: la denunzia di nuova opera (art. 1171 c.c.) e il danno
temuto (art. 1172 c.c.); entrambe tendono all’eliminazione di un pericolo proveniente dal
fondo del vicino. La denunzia di nuova opera mira ad impedire i pericoli o le
limitazioni al potere di godimento che possono derivare dalla costruzione di nuove opere,
o da attività intraprese da altri sul fondo vicino. Il danno temuto tende a prevenire il
pericolo di un danno grave ed imminente al godimento del proprio diritto, da parte di una
qualsiasi cosa già esistente sul fondo del vicino (es: tetto pericolante).
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