POLITECNICO DI BARI DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA ELETTRICA E DELL’INFORMAZIONE Corso di Laurea Triennale in Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni TESI DI LAUREA in FONDAMENTI DI OPTOELETTRONICA INVESTIGAZIONE TEORICO-SPERIMENTALE DI UN SISTEMA OPTOELETTRONICO DI DISTRIBUZIONE DI CLOCK PER L’ESPERIMENTO TOTEM ALL’LHC DEL CERN Relatore: Chiar.mo Prof. Ing. Vittorio PASSARO Correlatori: Dott. Francesco S. CAFAGNA Dott. Emilio RADICIONI Laureando: Andrea GIANNINI ANNO ACCADEMICO 2014 - 2015 Sommario Introduzione ................................................................................................................................................ 2 Capitolo 1 ...................................................................................................................................................... 4 Large Hadron Collider ......................................................................................................................... 4 L’esperimento TOTEM ........................................................................................................................ 6 Sistema optoelettronico di distribuzione di clock ................................................................. 10 Capitolo 2 ................................................................................................................................................... 15 Sistemi di comunicazione ottici .................................................................................................... 15 Lightwave Systems ............................................................................................................................ 15 Limitazioni dovute all’attenuazione delle fibre ottiche ...................................................... 21 Dispersione in fibra ottica .............................................................................................................. 26 Capitolo 3 ................................................................................................................................................... 34 Sistemi Wavelength Division Multiplexing .............................................................................. 34 Analisi e caratterizzazione di alcuni componenti di un sistema DWDM ...................... 37 Sorgente laser ................................................................................................................................. 37 Isolatore ottico ............................................................................................................................... 42 Circolatore........................................................................................................................................ 45 Multiplexer a Demultiplexer ..................................................................................................... 49 Add-drop multiplexer .................................................................................................................. 52 Fiber Bragg Gratings .................................................................................................................... 55 Capitolo 4 ................................................................................................................................................... 57 Mach Zehnder modulator ............................................................................................................... 57 Analisi di alcune caratteristiche del Mach Zehnder modulator ....................................... 60 Conclusioni ................................................................................................................................................ 66 1 Introduzione Il continuo aumento dell’energia sprigionata dalle collisioni di protoni dell’LHC, la riduzione della distanza temporale tra i pacchetti di protoni che compongono i fasci che viaggiano nella beam pipe, insieme all’aumento nella popolazione di protoni per gruppo, pone nuovi quesiti sul futuro della ricerca nei vari campi della fisica, ma richiede anche nuovi apparati tecnologici all’avanguardia. Tra gli esperimenti di maggior importanza si inserisce il TOTEM Experiment, che ha come obiettivo la misura la sezione d’urto totale protone-protone alle energie dell’LHC, lo studio dello scattering elastico p-p e gli eventi diffrattivi. La Collaborazione ha approvato un aggiornamento dell’esperimento TOTEM, finalizzato ad una maggiore precisione nello studio dei processi così detti diffrattivi. Per ottenere gli obiettivi richiesti, è necessario conoscere il momento di arrivo di ogni traccia passante attraverso le Roman Pot. Per fare questo è necessario installare dei rivelatori in grado di fornire l’istante esatto del passaggio della particella, in modo da associarla ad un vertice di interazione ricostruito dall’esperimento CMS. Per far questo è necessario che il rivelatore abbia una risoluzione temporale di ∼50 ππ . Naturalmente, una tale precisione, da realizzarsi in rivelatori distanti oltre 200 π dalla sorgente, richiede una distribuzione del segnale di sincronizzazione (clock) in grado di garantire alti livelli di precisione e bassissimi valori di jitter temporale. Il presente lavoro di tesi è volto all’analisi teorico-sperimentale dei principali elementi del sistema optoelettronico di distribuzione di clock. Nel primo capitolo viene data una breve descrizione dell’LHC del CERN, introducendo i principali esperimenti previsti in ogni punto di interazione, tra cui si inserisce l’esperimento TOTEM. In seguito vengono descritti gli obiettivi dell’esperimento, insieme alla descrizione dei rivelatori necessari al conseguimento degli obiettivi proposti. Nella terza parte del capitolo, viene descritto il sistema di distribuzione di clock, con particolare riferimento alle unità che compongono il sistema. Il secondo capitolo tratta dei sistemi di comunicazione ottici, introducendo i principali tipi di architetture di sistema. In seguito vengono descritti i principali fattori di perdita di un sistema di trasmissione in fibra ottica. 2 Nel terzo capitolo vengono spiegate le principali caratteristiche di un sistema WDM. Vengono poi descritti e caratterizzati i principali componenti del sistema di distribuzione di clock per l’esperimento TOTEM. Il quarto capitolo riguarda l’analisi di alcune caratteristiche del modulatore ottico scelto per il sistema di clock, analizzando i problemi principali legati alla polarizzazione di tale dispositivo. In seguito viene proposta una possibile soluzione, sostenuta da prove sperimentali. 3 Capitolo 1 Large Hadron Collider Il Large Hadron Collider (LHC), è il più grande e il più potente acceleratore di particelle mai costruito. Si trova presso l’ European Organization for Nuclear Research (CERN), fondata nel 1954 al confine tra Francia e Svizzera, vicino alla città di Ginevra. I principali campi di ricerca, intrapresi al CERN, hanno come obiettivo principale la ricerca sperimentale nell’ambito della fisica delle particelle elementari, nonché lo studio delle forze fondamentali che compongono la materia e delle interazioni ad esse legate. L’LHC è situato in un tunnel di circa 26,3 ππ di circonferenza, posto a circa 100 π di profondità. È nato nel 1994 per sostituire il precedente Large Electron Positron (LEP) Collider, spento nel 2000. Il nuovo acceleratore è stato messo in funzione per la prima volta nel settembre del 2008. L’LHC è un acceleratore di particelle formato da due anelli, in cui viaggiano protoni o ioni pesanti. Per trasferire loro l’energia necessaria, le particelle passano attraverso una serie di acceleratori, che, ad ogni passaggio, aumentano la loro energia fino a raggiungere quella necessaria per essere iniettate nell’LHC per l’accelerazione finale. In particolare, le particelle passano prima attraverso il Linear Paricle Accelerator (LINAC), a cui segue il BOOSTER, il Proton Synchroton (PS) e il Super Proton Synchroton (SPS). In questo modo le particelle riescono ad essere accelerate fino ad energie di 450 GeV. Dal SPS quest’ultimo, due fasci di particelle vengono estratti ed iniettati negli anelli dell’LHC, per l’accelerazione finale che può portare le particelle ad una energia massima di 7 πππ. I fasci di particelle, così accelerati, vengono compressi in pacchetti e portati a collidere in quattro punti di interazione (interaction points, IP), in modo da sfruttare l’urto della interazione per raggiungere un massimo di 14 πππ di energia disponibile per collisione. All’energia massima di accelerazione, le particelle 4 raggiungono una velocità di circa 0,999999991π, ovvero circa tre metri al secondo più lenti della velocità della luce. In ogni punto di interazione, sono stati previsti degli esperimenti, tra questi i principali sono: ALICE ,ATLAS, CMS, LHCb, TOTEM ed LHCf. FIGURA 1 L’obiettivo principale dell’esperimento ATLAS (A Toroidal LHC Apparatus) e dell’esperimento CMS (Compact Muon Solenoid) è la ricerca del bosone di Higgs, particella teorizzata nel così detto Modello Standard. Questa particella è stata rivelata nel 2012, dai due esperimenti suddetti, , confermando le previsioni del modello. L’esperimento ALICE (A Large Ion Collider Experiment) è stato progettato per studiare lo stato della materia detto quark-gluon plasma, uno stato in cui si sarebbe dovuta trovare la materia nei primi istanti della nascita dell‘Universo. Con LHCb (Large Hadron Collider beauty) si vuole studiare nel dettaglio il decadimento di particelle contenenti quark bottom, alla ricerca di eventi rari che 5 spieghino il perché della asimmetria cosmologica tra materia e antimateria nell’Universo. Large Hadron Collider forward (LHCf) e TOTal cross section, Elastic scattering and diffraction dissociation Measurement (TOTEM) sono esperimenti dedicati specificatamente allo studio dei processi che si verificano nelle interazioni associate alla produzione della maggior parte delle particelle secondarie, nella ragione in avanti, la cosiddetta regione Forward. L’esperimento TOTEM L’obiettivo principale dell’esperimento TOTEM, è quello di rivelare le particelle che emergono, dall’interaction point, con piccoli angoli rispetto all’asse del fascio, al fine di misurare la sezione d’urto totale protone-protone alle energie dell’LHC, e di studiare lo scattering elastico p-p e gli eventi diffrattivi. Grazie all’utilizzo di tre tipi di rivelatori disposti simmetricamente rispetto all’interaction point, è possibile coprire intervalli di pseudo-rapidity ,non coperti da altri rivelatori, un fattore che dà informazioni sull’angolo che si forma tra la particella diffratta e il fascio di particelle principale. A seconda della posizione e delle accettanza geometrica dei tre tipi di rivelatori, ciascun detector è in grado di ricoprire un diverso intervallo di pseudo-rapidity. Inoltre sono previste delle campagne di prese dati assieme a CMS, in modo da ottenere la copertura di una regione di pesudo-rapidità, mai raggiunta in precedenza. TOTEM è stato progettato per sfruttare al meglio il focheggiamento dei magneti di LHC. In particolari condizioni dell’ottica magnetica e della intensità del fascio, l’accettanza dei rivelatori di TOTEM diventa massima, per determinate topologie di evento. Queste condizioni di fascio, vengono realizzate appositamente per TOTEM, in brevi periodi dell’anno, dedicando completamente la presa dati a questo esperimento. Si rende quindi necessario sfruttare al massimo i brevi periodi di presa dati concessi, rendendo il più efficiente e veloce possibile la presa dati dell’esperimento. 6 Come detto in precedenza, l’esperimento TOTEM utilizza tre tipi di rivelatori: due telescopi π1 e π2 posizionati rispettivamente a 9 π e a 13 π dal punto di interazione, e delle Roman Pots (RP). Queste sono state posizionate in un primo tempo a 147 π e 220 π dall’IP, ed in seguito ricollocate a 210m e 200m dall’IP. I telescopi sono rivelatori a gas utilizzati per rivelare particelle che subiscono fenomeni di interazione inelastica ad alti valori di pseudo-rapidity. Al contrario le Roman Pots, permettono di rivelare particelle che emergono con angoli molto piccoli rispetto alla direzione di propagazione del fascio principale, grazie all’utilizzo di rivelatori particolari, formati da piani di silicio disegnati in modo tale da presentare la massima superficie sensibile possibile, all’ avvicinarsi verso il fascio. FIGURA 2 Il telescopio π1 è formato da due bracci a forma conica; posizionati all’interno dell’esperimento CMS, a distanza di 9 π dall’IP. Ha un ruolo importante nel determinare il vertice del punto di interazione e nel produrre segnali di trigger utilizzati per discriminare le interazioni che hanno un vertice nel IP. Il detector è formato da Cathode Strip Chambers (CSC) di forma trapezoidale e di grandezza diversa. Gruppi di sei camere, formano una struttura ad anello intorno al fascio in un piano perpendicolare ad esso. Ciascun ramo del telescopio è formato da cinque di questi piani disposti in modo da mantenere la stessa distanza fra di loro, dove il più piccolo è quello più vicino all’interaction point. 7 FIGURA 3 Anche il tescopio π2è formato da due bracci posizionati a distanza di 13,5 π dal punto di interazione. Questi detector permettono lo studio di eventi diffrattivi, e sono rivelatori basati sulla tecnologia Triple-Gas Electron Multiplier (GEM). Le camere GEMs sono formate da fogli di polimeri spessi 50 µπ ricoperti di uno strato di 5 µπ di rame da entrambi i lati. È possibile praticare buchi di 70 µπ di diametro, distanziati tra loro di 140 µπ, in modo tale da ottenere elevati valori di campo elettrico in questi buchi e in modo da accelerare, al loro interno, gli elettroni rilasciati nel gas da radiazioni ionizzanti. Grazie a questo meccanismo di accelerazione, si riescono ad ottenere elevati valori di guadagno utilizzando tre fogli GEM a distanza di 2 ππ l’uno dall’altro. Le camere di π2 hanno forma semicircolare, con raggio interno posto verso il beam pipe. Un quarto del telescopio è formato da 10 camere GEM; un braccio di T2 è formato da 20 camere disposte in modo simmetrico rispetto al fascio, in modo da ottenere una completa copertura nell’angolo azimutale nella rivelazione delle particelle. 8 FIGURA 4 I Roman Pot sono dispositivi che permettono l’inserimento di rivelatori, nel tubo del fascio di LHC. I rivelatori sono disposti in una camera inserita nel vuoto secondario del fascio, un meccanismo motorizzato, permette di portare lentamente i rivelatori all’interno della camera, al fine di avvicinarli il più possibile al tubo di vuoto primaio in cui circola il fascio. Questo permette di rivelare particelle diffratte con angoli molto piccoli rispetto alla direzione del fascio. Grazie a questo meccanismo, è possibile riuscire ad avvicinare i rivelatori fino a 1 ππ di distanza dal fascio con una precisione di 10 µπ. Ciascun detector è formato da un piano di silicio spesso 300 µπ. Dieci piani di silicio formano un package, che viene inserito nella camera suddetta. La lettura della carica rilasciata dalle particelle ionizzanti, viene effettuata attraverso strisce depositate sul silicio; la geometria delle strisce e tale da minimizzare gli spazi morti nella zone più vicina al fascio. I 10 piani sono suddivisi in due gruppi da 5 orientati a ±45° rispetto al bordo più vicino al fascio. Questo permette di ricostruire la direzione della particella, sfruttando le informazioni delle due proiezioni spaziali.. Il movimento del package nelle Pot, avviene grazie ad un motore passo-passo che lo avvicina al fondo della Pot. Tre Roman Pot formano una unit. in cui, due Pot sono montate verticalmente rispetto al piano dell’acceleratore, mentre la terza è disposta orizzontalmente. Due unit a distanza di 5 π formano una station. Durante la prima fase di attività di LHC, un totale di 4 station sono state installate rispettivamente a ±147m e ±220m dal IP. In seguito le stazioni a ±147m sono state ricollocate ad una distanza di 9 ±210m e quattro nuove pot orizzontali, due per ogni lato, sono state installate tra la stazioni a ±220m. Sistema optoelettronico di distribuzione di clock Il sistema di distribuzione di clock scelto al fine di garantire alti livelli di precisione e bassissimi valori di jitter temporale, è un sistema di tipo Dense Wavelength Division Multiplexer (DWDM), forma di multiplazione a divisione di frequenza che verrà approfondita nel terzo capitolo di questa tesi. Il sistema richiede la distribuzione di due segnali di clock di riferimento inviati dalla counting room a dei ricevitori disposti simmetricamente rispetto all’interaction point, lungo l’LHC; a questi si aggiunge un terzo segnale che viaggia sulla stessa fibra ottica, necessario per correggere i ritardi introdotti dal sistema di trasmissione ottico. Si può suddividere il sistema in quattro unità principali: Transmission Unit, Distribution Unit, Measurement Unit e Receiving Unit. FIGURA 5 Nell’unità di trasmissione vengono generate due portanti ottiche da sorgenti laser DWDM alle lunghezze d’onda centrali del canale πΌππ32 e πΌππ34 , rispettivamente ππΆπ»32 = 1551,72 ππ e ππΆπ»34 = 1550,12 ππ . I segnali passano attraverso degli isolatori ottici, che proteggono la sorgente da eventuali riflessioni provenienti dai 10 dispositivi successivi. I segnali di riferimento modulano le portanti ottiche mediante un modulatore Mach Zehnder, che effettua una modulazione indiretta dei segnali in uscita dalle sorgenti DWDM. A seguire, i segnali ottici vengono multiplati in un’unica fibra ottica. Il segnale multiplato viene poi inviato all’unità di distribuzione. FIGURA 6 Dall’unità di trasmissione, per compensare l’attenuazione introdotta dal multiplexer ottico e dal seguente splitter dell’unità di distribuzione, è necessario un amplificatore ottico Erbium-Doped Fiber Amplifier (EDFA). In seguito il segnale viene splittato in quattro segnali multiplati da uno splitter ottico, che verranno trasmessi alle quattro unità riceventi. Al segnale multiplato, va però aggiunto il terzo segnale di controllo inviato dall’unità di misura. FIGURA 7 11 In questa unità, viene generato un segnale di riferimento che permette di quantificare e correggere i ritardi introdotti dal sistema in fibra ottica. Una sorgente laser DWDM genera il terzo segnale di lunghezza d’onda corrispondente a quella centrale del canale πΌππ36, ππΆπ»36 = 1548,51 ππ. Anche in questo caso, la portante ottica generata passa attraverso un isolatore ottico, e in seguito va in ingresso ad un modulatore ottico Mach Zehnder. Il segnale di controllo viene generato da un Network Analyzer e mandato a modulare la portante ottica. Quest’ultima viene inviata attraverso uno switch ottico, a ciascuna unità di ricezione e ad un riflettore, utilizzato per la calibrazione. Il segnale della portante di riferimento viene aggiunto ad ognuno dei quattro segnali multiplati in uscita dallo splitter ottico grazie all’utilizzo di Add-Drop multiplexer. Il segnale multiplato che ora trasporta l’informazione spettrale relativa alle tre portanti ottiche modulate, viene trasmesso alle unità di ricezione poste nel tunnel a 220 π e 210 π. Il segnale di ritorno dalle unità di ricezione passa attraverso lo switch ottico e poi va in ingresso alla porta 2 di un circolatore ottico che trasmette il segnale riflesso verso uno strumento di misura. Un network analizer confronta la fase del segnale riflesso ricevuto con il segnale di riferimento, in modo da ottenere informazioni sul ritardo che risente il segnale passando attraverso ciascun canale di distribuzione. FIGURA 8 Ciascun uscita degli add-drop multiplexer della measurement unit va in ingresso al Fiber Bragg Grating (FBG) in ognuna unità di ricezione. Il FBG non fa altro che riflettere la portante modulata dall’unità di misura. In ingresso al demultiplexer posto in cascata 12 al reticolo di Bragg, arriverà un segnale multiplato formato dalle portanti modulate corrispondenti alle lunghezze d’onda ππΆπ»32 e ππΆπ»34 . Il demultiplexer separa le lunghezze d’onda del segnale multiplato su due fibre distinte poste in uscita dal dispositivo. Infine i due segnali vengono demodulati da due fotorivelatori in ciascuna unità di ricezione. 13 14 Capitolo 2 Sistemi di comunicazione ottici Grazie alle caratteristiche di funzionamento delle fibre ottiche come mezzo di propagazione guidata di campi elettromagnetici, si riesce ad ottenere una condizione di trasferimento di potenza quasi perfetta tra ingresso e uscita di un sistema di comunicazione ottico. Si noti che grazie alla condizione di Total Internal Reflection (TIR) la potenza ottica incidente all’interfaccia core-cladding viene completamente riflessa lungo la linea, facendo in modo che i raggi incidenti con angolo maggiore dell’angolo critico rimangano intrappolati nel nucleo. Perciò le fibre ottiche si comportano da mezzo di trasmissione praticamente perfetto. Vedremo che a causa di meccanismi di perdita caratteristici di tali sistemi, si perde questa condizione ideale. Inoltre, un sistema di trasmissione in fibra è immune a interferenza elettromagnetica, è caratterizzato da bassissimi valori di Bit Error Rate (BER) e permette di ottenere velocità di trasmissione dell’informazione non ottenibili con un sistema in cavo coassiale. Questi ed altri vantaggi hanno portato alla nascita di sistemi di comunicazione ottici, di cui si parlerà nel seguente capitolo. Lightwave Systems Un Lightwave System è un sistema di comunicazione in fibra ottica, composto da un trasmettitore ottico, un canale di trasmissione in fibra ottica e un ricevitore ottico. È possibile suddividere questi sistemi di trasmissione in tre grandi categorie, a seconda del tipo di architettura: point-to-point links, distribution networks e local-area networks. 15 FIGURA 9 Il compito di un collegamento point-to-point è quello di trasportare informazioni, in forma di sequenza di bit, tra due sistemi in comunicazione, garantendo la massima accuratezza possibile. A seconda delle applicazioni, la lunghezza dei collegamenti può variare da meno di un chilometro a migliaia di chilometri. Ad esempio, spesso si sfrutta l’immunità da interferenze elettromagnetiche dei collegamenti per mettere in comunicazione più terminali non a grande distanza reciproca. In questi casi non sono di primaria importanza i bassi valori di perdita e la larga banda delle fibre ottiche. Al contrario, queste ultime due caratteristiche sono da tenere in conto in un sistema ottico per collegamenti transoceanici, dove un collegamento in fibra permette di ridurre i costi operativi. Se la lunghezza del collegamento supera di circa 20-100 ππ una certa distanza prefissata di progetto, che varia a seconda della lunghezza d’onda utilizzata, è necessario compensare le perdite in fibra affinché il segnale ricevuto sia rilevabile. Fino al 1990 si sono utilizzati dei rigeneratori optoelettronici che rivelano il segnale ottico ricevuto e lo convertono in una sequenza di bit che modula una sorgente ottica. Oggi si utilizzano maggiormente gli amplificatori ottici, che permettono di amplificare direttamente il segnale ottico evitando la conversione in segnale elettrico. Bisogna considerare che questi ultimi aggiungono rumore, peggiorando gli effetti di dispersione in fibra, perciò in alcuni casi è necessario ricorrere ad alcune tecniche di compensazione degli effetti dispersivi. I ripetitori optoelettronici, siccome rigenerano la sequenza di bit originaria, non causano complicazioni di questo tipo. Un parametro di merito di questi sistemi è il bit rate-distance product BL, dove L è la distanza tra i rigeneratori optoelettronici o tra gli amplificatori ottici. BL dipende dalla lunghezza d’onda operativa, siccome sia il fenomeno della dispersione in fibra ottica che il fenomeno dell’attenuazione introdotta dalle fibre dipendono da essa. 16 I sistemi point-to-point moderni che funzionano a grandi distanze, utilizzano entrambi i tipi di dispositivi considerando un rigeneratore optoelettronico dopo una serie di amplificatori ottici, in modo da compensare il rumore introdotto da questi ultimi. Quello che si vorrebbe ottenere è un sistema di trasmissione dotato di rigeneratori di segnale che funzionino nel dominio delle frequenze ottiche senza convertire il segnale ricevuto in un segnale elettrico di frequenza molto più bassa. Spesso si richiede ad un sistema di trasmissione in fibra ottica, che il segnale che trasporta informazione non venga trasmesso tra due sistemi in comunicazione, ma che venga distribuito verso più utenti; ad esempio questo accade nei sistemi di distribuzione di servizi telefonici e nella trasmissione multicanale della TV via cavo. In questo caso si parla di distribution networks, e le distanze sono in media minori di 50 ππ. FIGURA 10 Si parla di hub topology quando ciascun utente è connesso ad un nodo principale (hub) posto al centro del sistema di trasmissione. Come nel i sistemi point-to-point, bisogna tenere in conto sia dei fenomeni di dispersione, sia dei fenomeni di attenuazione, anche se in minor misura grazie alle distanze ridotte dei network di distribuzione. Il principale problema di un sistema di quest’ultima tipologia, è che il fuori servizio di una singola fibra può compromettere gran parte del sistema di trasmissione, perciò spesso si utilizzano dei sistemi point-to-point aggiuntivi per connettere insieme gli hub più importanti. 17 FIGURA 11 Si parla di bus topology, quando è una singola fibra ottica a trasportare il segnale multicanale attraverso l’area di servizio. Ciascun utente preleva una frazione del segnale trasmesso utilizzando degli accoppiatori. Grazie alla larga banda delle fibre rispetto alla banda di un cavo coassiale, si riescono a trasmettere contemporaneamente più di 100 canali su una stessa fibra ottica. Un inconveniente di questa tipologia è l’alto contributo di perdite di segnale che cresce esponenzialmente con il numero di collegamenti accoppiati. Infatti, se indichiamo con ππ la totale potenza trasmessa, πΆ il fattore di accoppiamento dell’accoppiatore, e δ un fattore che tiene conto delle perdite di inserzione, si ha: ππ ,1 = ππ πΆ ππ,1 = ππ (1 − πΆ)(1 − πΏ) ππ ,2 = ππ πΆ(1 − πΆ)(1 − πΏ), dove ππ,1 è la quantità di potenza trasmessa in fibra dopo la porta 1 e ππ ,2 è la potenza disponibile alla porta 2 (Figura 11). Di conseguenza la potenza disponibile alla porta π sarà: ππ ,π = ππ πΆ[(1 − πΏ)(1 − πΆ)]π−1 18 Trascurando gli effetti di dispersione, si potrebbero porre lungo la tratta degli amplificatori ottici al fine di incrementare la potenza del segnale che viaggia lungo la fibra in modo da rendere disponibile l’informazione ad un numero elevato di utenti. Spesso nasce la necessità di avere più utenti connessi contemporaneamente in un’area limitata, in modo da permettere a ciascuno di accedere alla rete in modo casuale e di trasmettere informazioni ad un qualsiasi altro utente connesso. In questo caso si parla di local-area networks (LANs). Siccome le distanze tra sistema in trasmissione e sistema in ricezione sono minori di 10 ππ, il fenomeno di perdita delle fibre ottiche non causa grossi problemi in questi sistemi di trasmissione, permettendo di sfruttare al meglio la larga banda caratteristica di un sistema di comunicazione in fibra. La sostanziale differenza tra una local-area network e una distribution network di topologia hub sta nel fatto che quest’ultimo tipo di architettura di sistema non permette un accesso casuale alla rete. Si utilizzano diverse topologie di sistema a seconda delle connessioni tra i diversi elementi che compongono la rete. È possibile anche con questo tipo di architettura di sistema, implementare una bus topology, un esempio sono le reti Ethernet. In quest’ultimo caso si preferisce far uso ancora di collegamenti in cavo coassiale, a causa degli eccessivi valori di perdita che nascono in corrispondenza di ogni collegamento e che limitano il numero di utenti connessi, come accade nella tipologia bus delle reti di distribuzione in fibra ottica. 19 FIGURA 12 Invece, nella ring topology ciascun nodo è connesso al nodo adiacente tramite un collegamento di tipo point-to-point fino a formare un anello. Ciascun nodo utilizza un trasmettitore e un ricevitore per comunicare in rete, e può funzionare da ripetitore. Lo scambio di informazioni avviene all’interno di un sistema di tipo token ring, nel quale un particolare tipo di messaggio all’interno dell’anello stabilisce quale dei nodi della rete può trasmettere informazioni e quale nodo può ricevere dati. Un esempio in fibra ottica è il Fiber Distributed Data Interface (FDDI) che permette di ottenere una velocità di trasmissione di 100 ππ/π , utilizzando fibre multimodali con sorgenti di trasmissione di tipo light-emitting diodes (LEDs) per connessioni all’interno di uno stesso edificio e fibre monomodali che utilizzano sorgenti laser per trasmettere informazioni tra edifici diversi; questo è dovuto al fatto che l’utilizzo di fibre multimodali permette la contemporanea presenza di più modi propagativi all’interno della fibra, sebbene limiti la distanza dei collegamenti e la banda utile, a causa del fenomeno della dispersione modale delle fibre ottiche. Per quanto riguarda la star topology, tutti i nodi della rete sono connessi ad un nodo centrale, chiamato star o hub, tramite collegamenti di tipo point-to-point. Se il nodo centrale è un dispositivo attivo, allora si parla di active-star network. In questo 20 caso i segnali ottici ricevuti vengono convertiti in segnali elettrici attraverso dei ricevitori ottici, e la distribuzione dei segnali avviene nel dominio elettrico. Al contrario, se il nodo centrale è un dispositivo passivo, la distribuzione avviene nel dominio ottico, utilizzando accoppiatori direzionali. In questo caso si parla di passivestar networks. Allo stesso modo della bus topology distribution network, anche in quest’ultimo caso il numero di utenti connessi limita la totale potenza trasmessa alla generica porta di uscita. Limitazioni dovute all’attenuazione delle fibre ottiche Le proprietà delle fibre ottiche dipendono dalla lunghezza d’onda dei modi propagativi che viaggiano all’interno della fibra stessa, perciò la lunghezza d’onda è un parametro di dimensionamento molto importante per un sistema di trasmissione ottico. Si consideri un trasmettitore ottico in grado di trasmettere in fibra una potenza media ππ . Dopo πΏ, lunghezza del mezzo trasmissivo posto lungo l’asse π§, si misura una potenza ricevuta ππ < ππ . Si può allora introdurre un parametro α di significato generale, che quantifica le perdite di potenza in fibra ottica, tale che: ππ = −αP ππ§ Considerando una sistema guidante lungo πΏ, si ottiene: ππ = ππ exp(−αL) Si può esprimere il coefficiente di attenuazione in ππ/ππ : α(dB/km) = − 10 ππ log10 ( ) L ππ Come si osserva dalla figura seguente, l’attenuazione in fibra dipende dalla lunghezza d’onda e presenta dei minimi locali che identificano le finestre di trasmissione 21 caratteristiche di un sistema di trasmissione ottico. I tre minimi locali in corrispondenza di 0,8 µπ, 1,33 µπ e 1,55 µπ individuano la prima, seconda e terza finestra. Al diminuire di π , le perdite aumentano molto, perciò non si utilizzano modi propagativi di lunghezza d’onda inferiore a 0,8 µπ. FIGURA 13 La prima finestra di attenuazione è stata quella usata per prima; l’energia dei fotoni corrispondenti a π = 0,8 µπ è sufficiente a ionizzare atomi di silicio, quindi rendono possibile il funzionamento di fotodiodi led al silicio. Per lunghezze d’onda maggiori non si possono più utilizzare dispositivi al silicio, per questo motivo si sono sviluppati semiconduttori di tipo ternario come l’arseniuro di gallio fosfato GaAsP che permette di creare LED nella seconda di finestra di attenuazione, a 1,33 µπ . I fattori di perdita in fibra si possono distinguere in due gruppi: perdite per assorbimento e perdite radiative. Per quanto riguarda le perdite per assorbimento, a loro volta si dividono in intrinseche e estrinseche. Le perdite intrinseche sono causate dall’interazione dell’onda che si propaga nel mezzo trasmissivo, con i componenti del vetro che costituiscono i materiali della fibra stessa. 22 Un esempio è lo spettro di assorbimento infrarosso della silice SiO2. Ciononostante, il contributo di quest’ultimo è trascurabile nelle finestre di lunghezze d’onda di interesse per un sistema di trasmissione ottico. Invece, le perdite estrinseche sono causate da impurezze presenti nel materiale come ioni dei metalli di transizione (ad esempio πΉπ 2+ , πΆπ’2+ , πΆπ 3+ , etc.) che causano perdite di assorbimento nell’intervallo di lunghezza d’onda comprese tra 0,6 µπ e 1,6 µπ. Un fattore di perdita notevole è dovuto allo ione ossidrile ππ» − . Si raggiungono fattori di perdita di 50 ππ΅/ππ con una concentrazione di 1 πππ , perciò nasce la necessità di ottenere delle fibre ultra-pure al fine di ridurre la concentrazione di impurezze. Oggi si riescono ad ottenere fibre ottiche che presentano una concentrazione di ππ» − minore di 1 πππ (una parte per miliardo). In Figura 13 si osservano i caratteristici picchi di assorbimento dovuti allo ione ossidrile, in corrispondenza di 1,24 µπ e 1,38 µπ. FIGURA 14 Come si osserva dalla figura precedente, si riesce a ridurre l’effetto delle perdite per assorbimento rendendo possibile la trasmissione ottica in una finestra più larga delle tre finestre di trasmissione caratteristiche di un sistema in fibra ottica. Questo rende possibile l’utilizzo di un sistema di trasmissione di tipo Wavelength Division Multiplexing (WDM), che verrà trattato in seguito. 23 Si parla di perdite radiative quando un segnale ottico in guida si accoppia con la radiazione presente nel cladding. Lo scattering di Rayleigh è il fenomeno di perdita radiativa predominante, ed è dovuto a inomogeneità di piccole dimensioni rispetto alla lunghezza d’onda trasmessa, presenti all’interno della fibra. Queste imperfezioni si formano in fase di fabbricazione e risultano in piccole fluttuazioni di densità. Ad alte temperature le molecole di silice si orientano in modo casuale e nel momento della realizzazione della fibra possono rimanere “congelate” causando inomogeneità nel mezzo trasmissivo. Le perdite dovute allo scattering di Rayleigh sono proporzionali a π−4 , quindi si riducono fortemente all’aumentare della lunghezza d’onda. Più precisamente si considera un parametro πΌπ che quantifica le perdite dovute a questo fenomeno, tale che: πΌπ = πΆ π4 con πΆ costante che dipende dal materiale utilizzato per la fabbricazione del core. Per una fibra ottica in silice si ha: π0 4 πΌ(π) = πΌ0 ( ) π dove πΌ0 = 1,7 ππ΅/ππ e π0 = 0,85 µπ Spesso si utilizzano particolari molecole droganti come il πΊππ2, π2 π5 per ottenere un preciso indice di rifrazione. Questo porta ad un aumento delle perdite di scattering, perciò fibre ottiche particolarmente drogate hanno solitamente alti livelli di perdite per scattering di Rayleigh. Si potrebbe pensare di utilizzare fibre che permettono la propagazione di modi di lunghezza d’onda π ≥ 2 µπ, ovvero di fibre che permettono la trasmissione nello 24 spettro infrarosso. Queste avrebbero delle perdite di scattering bassissime, inoltre particolari tipi di vetro (fluoride glasses) permetterebbero di ottenere bassi valori di assorbimento proprio nello spettro infrarosso. Questo permetterebbe di implementare sistemi di trasmissione in fibra ottica con un repeater spacings ≥ 1000 ππ . Ciononostante, a causa di problemi di fabbricazione di questo tipo di fibre a basso assorbimento, e a causa della difficile realizzazione di sorgenti e detectors adeguati, questi sistemi sono ancora di difficile implementazione. In realtà, oltre alle precedenti cause di perdita nelle fibre, ce ne sono altre dovute alle particolari imperfezioni delle guide. Ciò che accade è che le fibre ottiche non sono mai geometricamente perfette. Variazioni nel diametro e deformazioni locali possono introdurre altri fattori di perdita in fibra. Si parla in questo caso di scattering di Mie, e di solito, se il diametro della fibra non varia più del 1 %, le perdite sono inferiori a 0,03 ππ΅/ππ. Un altro fattore di perdita è sicuramente il raggio di curvature delle fibre ottiche. Più piccolo è il raggio di curvatura della fibra, più alte sono le perdite. In generale, a differenza di una guida d’onda metallica, dove si ha un campo confinato da pareti metalliche, nella guida d’onda dielettrica in fibra il campo non è confinato e si hanno perdita di potenza per irradiazione in corrispondenza di ogni discontinuità della guida. A causa della eccessiva curvatura, il segnale ottico tende a lasciare l’interno della fibra. Si parla di macro-curvature se le curvature sono visibile anche dall’occhio umano, e di micro-curvature se non lo sono. Le perdite dovute a curvature sono direttamente proporzionali a π −π /π π dove π è il raggio di curvatura della fibra e π π = π/(π12 − π22 ), con π raggio del core, π1 indice di rifrazione del core e π2 indice di rifrazione del cladding. Generalmente se in una fibra monomodale si ha π > 5 ππ, allora questo contributo di perdita risulta trascurabile. Una microcurvatura può causare fattori di perdita anche di 100 ππ΅/ππ . Oltre alle fibre, anche connettori e altri dispositivi possono introdurre perdite nel sistema. 25 Dispersione in fibra ottica Un altro fenomeno limitante per un sistema di trasmissione in fibra ottica è il fenomeno della dispersione. Applicando le equazioni di Maxwell, si ottiene che solo determinate soluzioni di queste permettono la propagazione di onde elettromagnetiche all’interno di un sistema in fibra ottica. È possibile considerare più modi propagativi che viaggiano contemporaneamente nel mezzo trasmissivo. A pari distanza percorsa in fibra, i modi si propagano con velocità diverse l’uno dall’altro. Il ritardo differenziale con cui i modi emergono dalla fibra dà luogo al fenomeno di dispersione modale. Questo comporta un allargamento nello spettro di trasmissione di un sistema in fibra ottica. Pur avendo un mezzo con bassissima attenuazione, la dispersione limita fortemente la trasmissione di segnale a velocità molto elevate. Si può minimizzare l’effetto della dispersione modale utilizzando delle fibre graded-index piuttosto che step-index. FIGURA 15 Come si osserva dalla figura precedente, si utilizzano fibre con drogaggio variabile in modo tale il raggio subisca un incurvamento meno brusco all’interfaccia core-cladding. I raggi che seguono i percorsi più lunghi sono quelli che passano per le regioni più estreme del nucleo, al contrario i raggi che seguono percorsi più corti sono quelli che si mantengono molto vicino all’asse della fibra. Siccome la velocità di propagazione dei raggi è inversamente proporzionale alla radice quadrata dell’indice di rifrazione in guida, grazie al profilo caratteristico di una fibra graded-index (immagine a destra in 26 Figura 15) i raggi che percorrono più strada viaggiano a velocità più alta rispetto ai raggi che viaggiano a velocità mediamente più basse. Una possibile soluzione è quella di considerare una fibra monomodale, in modo da eliminare completamente gli effetti della dispersione cromatica. Per fare questo bisogna ridurre il diametro del nucleo fino a meno di 10 µπ. Un problema che nasce in questo particolare tipo di fibre è legato all’efficienza di iniezione, ovvero al fatto che una quota parte della radiazione incidente verrà persa nel mantello. Un altro problema è legato alle giunture tra più fibre, in quanto è necessario allineare i nuclei delle fibre stesse. Un altro fenomeno dispersivo caratteristico di un sistema in fibra ottica, è la dispersione cromatica, dovuta al fatto che l’indice di rifrazione della radiazione in fibra varia con la lunghezza d’onda. Questo fa sì che le componenti in frequenza di un determinato segnale trasmesso si ricompongano in uscita dando luogo ad un segnale ricevuto diverso dal segnale trasmesso. FIGURA 16 27 Si consideri un sistema di riferimento cartesiano formato da una terna di assi destrorsa (π₯, π¦, π§) , due onde piane di ampiezza πΈ0 che viaggiano entrambe in direzione di propagazione π§, tali che: πΈ1 (π₯, π¦, π§, π‘) = πΈπ cos[(π − βπ)π‘ − (π − βπ)π§] πΈ2 (π₯, π¦, π§, π‘) = πΈπ cos[(π + βπ)π‘ − (π + βπ)π§] L’onda risultante dalla somma delle due onde piane è: πΈπππ = 2πΈ0 cos(ππ‘ − ππ§) cos(βππ‘ − βππ§) In caso di interferenza costruttiva, si avrebbe: βπ = βπ = 0 e quindi πΈπππ = 2πΈ0 cos(ππ‘ − ππ§) In questo caso le due onde si sommano in fase dando luogo ad un’onda di ampiezza doppia e velocità di fase: π£π = π π Nel caso più generico invece, il termine cos(βππ‘ − βππ§) modula l’onda che si avrebbe nel caso di interferenza costruttiva. Si definisce velocità di gruppo, la velocità dell’inviluppo della forma d’onda. La velocità dell’onda risultante si ottiene differenziando la seguente relazione: βππ‘ − βππ§ = πππ π‘ π£π = ππ§ βπ = ππ‘ βπ Il concetto di velocità di gruppo nasce dal fatto che la velocità con cui si propaga un segnale elettromagnetico nella realtà, è diversa dalla velocità di fase. Ciò è dovuto al 28 fatto che la velocità di fase è definita per campi periodici formati da treni d’onda di lunghezza infinita e di durata infinita. Invece nella realtà si ha sempre a che fare con “pacchetti d’onda”, ovvero di treni d’onda di durata e lunghezza finite, che possono essere visti come sovrapposizione di infinite onde monocromatiche di durata infinita aventi ampiezze e fasi opportune. Ciascuna componente monocromatica si propagherà con una velocità di fase diversa dalle altre. La forma d’onda risultante non sarà più un’onda puramente sinusoidale. La velocità di gruppo determina la velocità dell’informazione trasportata dal segnale trasmesso. Nei mezzi dispersivi la velocità di gruppo è minore della velocità di fase. Alcuni mezzi che non sono soggetti al fenomeno classico della dispersione possono avere una velocità di gruppo maggiore della velocità di fase. Nel vuoto le due velocità coincidono. Si consideri un mezzo trasmissivo che risenta dell’effetto della dispersione cromatica, in cui si propaga un’onda elettromagnetica a cui è associato un vettore d’onda di modulo: 2π π(π) π π = ππ0 = Considerando il differenziale totale di π si ottiene: ππ = 2π 2π 2ππ 2πππ ππ ππ − 2 πππ = ππ − π π π π π Dalla definizione di velocità di fase risulta: π£π = ππ π da cui: ππ = − π£π π π2 ππ ππ =− π π 29 L’ultima relazione fa vedere come per un ‘onda elettromagnetica, le variazioni relative in termini di frequenza sono uguali ed opposte alle variazioni relative della lunghezza d’onda. Sostituendo quest’ultima equazione nell’espressione del differenziale totale di π, si ottiene: ππ = π ππ ππ + π π π da cui: ππ π π ππ = − ππ π π ππ Se l’indice di rifrazione fosse indipendente dalla lunghezza d’onda operativa, si otterrebbe: π£π = ππ π = = π£π ππ π Nel caso più generico invece: π£π = ππ π π ππ = − ππ π π ππ Dalla prima equazione sul differenziale totale di π si ottiene: ππ 2π 2ππ ππ = − 2 ππ π π ππ si ha: π£π = π π−π ππ ππ = π ππΊ Dove: ππΊ = π − π ππ ππ ππΊ ha il significato di un indice di rifrazione detto indice di gruppo, che racchiude il significato della dispersione cromatica. L’indice di gruppo quantifica l’indice equivalente visto dall’onda elettromagnetica quando passa attraverso un materiale dispersivo. Nei materiali a dispersione normale si ha un indice di gruppo che decresce 30 all’aumentare della lunghezza d’onda. In questi casi per π crescenti l’onda si propagherà con una velocità sempre maggiore all’interno del mezzo dispersivo. ππΊ racchiude in sé il rallentamento della luce dovuto alla dispersione cromatica. Si consideri una sorgente policromatica caratterizzata da una larghezza spettrale βπ , supponiamo di inviare un impulso di luce temporale nel mezzo trasmissivo. Ciascuna componente spettrale risentirà di un indice di gruppo diverso, e quindi attraverserà la guida con velocità diverse in funzione della lunghezza d’onda. Questo causa un allargamento temporale dell’impulso, tale che: βπ βπ = ππ ππ dove π è il tempo che impiega l’impulso di luce di larghezza spettrale π per attraversare la fibra. Considerando un mezzo trasmissivo lungo πΏ, si ha: π = π(π) = πΏ πΏ πΏ ππ = ππΊ = [π − π ] π£π π π ππ Sostituendo nell’equazione precedente si ottiene: πΏ 2 π 2 π βπ βπ = − (π ) π ππ2 π βπ rappresenta l’allargamento temporale dello spettro del segnale trasmesso attraverso un mezzo dispersivo. Si definisce un fattore βπ 1 2 π2π π·= = − (π ) πΏβπ ππ ππ2 che quantifica l’effetto della dispersione cromatica, anche detta Group Velocity Dispersion (GVD). π· si misura in ππ /(ππ β ππ) e indica l’aumento della durata di un impulso caratterizzato da una larghezza spettrale βπ che ha percorso 1 ππ di fibra. 31 FIGURA 17 È interessante osservare che se si considerasse un mezzo lineare come il vetro siliceo, poiché le componenti del segnale si propagano nel mezzo con velocità di gruppo diverse, all’uscita della fibra esse si ricombineranno con ritardi diversi dando luogo ad una distorsione lineare di fase. Si osserva dalla figura precedente che in corrispondenza di π ≈ 1,3 µπ il coefficiente di dispersione π· è circa nullo. In realtà anche un segnale che ha uno spettro centrato alla lunghezza d’onda della portante π0 = πππ· = 1,3 µπ , è soggetto a dispersione cromatica. Infatti, siccome lo spettro del segnale ha un’estensione non nulla intorno a π0 , sarà presente anche in questo caso un piccolo grado di dispersione. Il coefficiente di dispersione può essere scomposto in due termini: π· = π·π + π·π π·π dipende dall’indice di rifrazione del core della fibra, mentre π·π dipende dalla geometria della fibra e da entrambi gli indici di rifrazione del core e del cladding. Variando la geometria della fibra, è possibile spostare πππ· da 1,33 µπ a 1,55 µπ riducendo il fattore π·π . Queste fibre sono dette fibre a dispersione traslata. In Figura 17 è possibile individuare due regioni a seconda che π· sia positivo o negativo. Si definiscono mezzi a dispersione normale, quei mezzi che hanno un coefficiente di dispersione π· < 0; in questo caso al crescere di π la velocità di propagazione dell’onda 32 aumenta. Al contrario, i mezzi caratterizzati da π· > 0, sono detti mezzi a dispersione anomala e al crescere di π la velocità di propagazione dell’onda diminuisce. Per ridurre gli effetti della dispersione cromatica è possibile ridurre il diametro del core della fibra e drogando la fibra con diossido di germanio o diossido di silicio in modo da spostare verso destra la curva di dispersione di materia e in modo da ridurre il diametro del core. Si potrebbe realizzare così una fibra che presenti bassi valori di dispersione cromatica in corrispondenza sia di π = 1300 ππ, che di 1550 ππ ( fibre dispersion flattened). Una fibra di questo tipo ha come svantaggi: l’elevato costo di fabbricazione, l’aumento dell’attenuazione causato dal drogaggio e la difficoltà nella giunzione tra più fibre causata dalla riduzione del core. Un altro termine dispersivo importante in un sistema in fibra ottica, è la dispersione di polarizzazione (PMD) che introduce un allargamento dell’impulso temporale di luce trasmesso. L’utilizzo di una fibra di tipo monomodale permette di trascurare l’effetto della dispersione modale, questo però non vieta la propagazione di due modi tra loro ortogonali, polarizzati linearmente. Questi modi, per una fibra a sezione circolare, sono degeneri, quindi hanno velocità di gruppo uguali fra loro. A causa di variazioni nel diametro del core della fibra e nella forma stessa della guida d’onda, c’è il rischio di perdere questa simmetria causando un differente valore nell’indice di rifrazione “visto” da ciascun modo, e quindi una differente velocità di propagazione tra i modi. Questo fenomeno rende la fibra un mezzo birifrangente. Si definisce un ritardo di gruppo differenziale (DGD) che quantifica gli effetti della dispersione di polarizzazione. La polarizzazione del campo elettrico associato ai due modi eccitati da un impulso di luce temporale, cambia durante la propagazione in fibra ottica. A differenza della dispersione cromatica, in questo caso il ritardo di propagazione non aumenta linearmente con la distanza percorsa nel mezzo, e si può dimensionare come una variabile aleatoria. L’allargamento dell’impulso causato dalla dispersione di polarizzazione è dato da: βπ = | πΏ πΏ − | = πΏ|π½1π₯ − π½1π₯ | = πΏ(βπ½) π£ππ₯ π£ππ¦ 33 Capitolo 3 Sistemi Wavelength Division Multiplexing Dalla teoria sui sistemi di trasmissione ottici, risulta che un sistema di comunicazione in fibra può sostenere una frequenza di cifra di oltre 10 ππ/π . In realtà questo non succede, poiché un tale sistema è limitato dagli effetti di dispersione, da effetti non lineari di perdita, e inoltre è soggetto alle limitazioni introdotte dagli elementi elettronici comunque presenti. Una possibile soluzione per sfruttare al meglio la capacità di un sistema in fibra, è quella di utilizzare un sistema multicanale. Si realizzano sistemi di multiplazione in fibra nel dominio del tempo e nel dominio della frequenza, per mezzo di Optical Time Division Multiplexing (OTDM) e di Wavelength Division Multiplexing (WDM). Un sistema di tipo WDM utilizza più di una portante ottica, modulata da un segnale elettrico che trasporta informazione. Tutte le portanti modulate vengono poi trasmesse sulla stessa fibra ottica. In ricezione il segnale ottico viene separato nei diversi canali, ciascuno dei quali può essere demodulato utilizzando un ricevitore ottico. Grazie al WDM si riesce a sfruttare al meglio la banda di un sistema di trasmissione in fibra ottica. L’idea alla base di tale sistema, è quella di trasmettere più canali separati da una certa distanza spettrale, nelle finestre di trasmissione corrispondenti ad un minimo di attenuazione in fibra. Ad esempio, riducendo il picco di assorbimento causato dalla presenza di ioni ossidrili ππ» − intrappolati nel reticolo vetroso si riescono ad ottenere capacità di oltre 30 ππ/π . Un semplice sistema WDM, ad esempio, è formato da due portanti ottiche rispettivamente di lunghezza d’onda 1550 ππ e 1300 ππ. Esistono due modi per modulare una sorgente ottica. Si parla di modulazione diretta se il segnale modulante è la corrente di iniezione del laser, di modulazione indiretta se la portante generata dalla sorgente laser viene modulata direttamente da un modulatore esterno. La modulazione diretta pone un limite massimo di 10 πΊπππ‘/π sul bit rate di trasmissione, poiché una variazione nella corrente di modulazione del laser causa una variazione nella frequenza del segnale in uscita dalla sorgente ottica, e quindi causa un allargamento nello spettro del segnale. In caso di modulazione 34 indiretta invece, si modula il segnale generato dalla sorgente ottica per mezzo di un modulatore esterno. A differenza del caso precedente, ora la sorgente lavora a corrente costante, dando luogo ad una potenza di uscita stabile e ad una riga spettrale più stretta. La modulazione indiretta permette quindi l’utilizzo di bit rate molto più alti in trasmissione fino a 40 πΊπππ‘/π . Ciononostante, a causa dei fenomeni di dispersione, anche in caso di modulazione esterna si utilizzano bit rate di 10 πΊπππ‘/π . Sfruttando quest’ultimo tipo di modulazione, è possibile implementare un sistema WDM, in modo da rendere la capacità del sistema circa pari ad π -volte quella del singolo canale, a pari bit rate di modulazione. Grazie alla modulazione indiretta si riescono ad ottenere distanze spettrali minori tra i canali multiplati, rispetto al caso di modulazione diretta. Nonostante i grossi vantaggi di un sistema WDM, solo recentemente hanno preso luogo sistemi di questo genere, a causa dell’elevato costo dovuto all’utilizzo di ripetitori optoelettronici nel caso di trasmissioni a grande distanza. Ad ogni stazione di ripetizione c’è bisogno di demultiplare il segnale ricevuto nei diversi canali, e far seguire a ciascuna sequenza di bit un altro trasmettitore ottico in ingresso allo stadio di multiplazione. Oggi si utilizzano amplificatori Erbium Doped Fiber Amplifier (EDFA), che permettono di amplificare contemporaneamente più lunghezze d’onda di segnale, evitando la demultiplazione del segnale ricevuto ad ogni stazione di ripetizione. Questo rende possibile l’implementazione di un sistema WDM per sistemi che richiedono grandi capacità di trasmissione di dati. FIGURA 18 La figura precedente rappresenta un esempio di sistema WDM. A ciascuna sorgente laser è associato un segnale ottico portante che può essere modulato fino a 10 πΊπππ‘/π . La minima distanza spettrale tra i canali è limitata dall’ interchannel crosstalk, ovvero 35 quel fenomeno di interferenza elettromagnetica che nasce nelle trasmissioni di più canali multiplati a causa del non perfetto isolamento tra i canali stessi. Quello che si vorrebbe ottenere da un sistema del genere, è un channel spacing più piccolo possibile, in modo da permettere la trasmissione di più canali simultaneamente. Si definisce un parametro caratteristico di un sistema WDM, detto spectral efficiency: ππ = π΅ βππβ con π΅ bit rate e βππβ distanza spettrale tra i segnali portanti, dove entrambi si sono considerati uguali per tutti i canali. ππ quantifica le prestazioni di un tale sistema di comunicazione. Le frequenze dei canali di un sistema WDM sono state standardizzate dall’International Telecomunication Union (ITU) considerando una distanza spettrale di 100 πΊπ»π§ tra i canali, nel range di frequenze comprese tra 186 ππ»π§ e 196 ππ»π§. Oggi si utilizzano distanze spettrali anche di 50 πΊπ»π§, con bit rate di 40 πΊπππ‘/π . A seconda della distanza tra le lunghezze d’onda dei segnali portanti, si distinguono sistemi Dense WDM e Coarse WDM. In un sistema DWDM le distanze spettrali tra le frequenze dei segnali portanti sono molto basse, in modo da riuscire ad ottenere il maggior numero di portanti possibile in un ristretto intervallo di lunghezze d’onda. Questo tipo di sistema rende possibile la trasmissione di 40 canali nella terza finestra di trasmissione, centrata a 1550 ππ . Riducendo la distanza tra le righe spettrali, si riesce a trasmettere fino a 160 canali contemporaneamente su una stessa fibra ottica. Ovviamente una tale densità di canali richiede dispositivi come filtri, multiplexer, add-drop multiplexer etc. in grado di separare al meglio le diverse lunghezze d’onda; inoltre c’è bisogno di un sistema di controllo in temperatura, dato che la lunghezza d’onda del segnale emesso da una sorgente laser varia di circa 0,08 ππ per grado centigrado. La selettività in frequenza dei componenti ottici che vengono utilizzati comporta un aumento del costo di un sistema DWDM, a causa della maggior difficoltà nei processi di fabbricazione di tali dispositivi. 36 Non sempre è richiesto un sistema di trasmissione per tratte a lunga distanza. In questo caso, un sistema DWDM potrebbe essere troppo costoso e non necessario. Ad esempio nel caso di Metropolitan Area Networks non sono richieste tali prestazioni, non necessitano di tratte di amplificazione del segnale multiplato, è quindi possibile implementare un sistema di tipo CWDM. L’idea alla base di un tale sistema, è quella di rendere la frequenza del segnale portante indipendente dalla frequenza delle portanti dei canali adiacenti. In questo caso non sono necessari sistemi di controllo della temperatura della sorgente laser, e neanche dispositivi ottici passivi a banda molto selettiva intorno alla frequenza centrale di canale. La distanza in termini di lunghezza d’onda tra i canali è di 20 ππ, nel range tra 1290 ππ e 1610 ππ. Si osservi che tale range comprende il picco di assorbimento dovuto allo ione ππ» − . Perciò in tali applicazioni, è preferibile utilizzare fibre a basso contenuto di ioni ossidrili. Analisi e caratterizzazione di alcuni componenti di un sistema DWDM In seguito verranno riportati alcuni cenni teorici sui dispositivi principali di un sistema DWDM, insieme alle caratterizzazioni effettuate per un sistema di distribuzione di clock per l’esperimento TOTEM all’LHC del CERN. Sorgente laser I segnali portanti in un sistema di tipo DWDM, sono generati da un particolare tipo di diodo laser: il Distributed Feedback laser (DFB). Un diodo laser non è altro che un semiconduttore a giunzione p-n alimentato da una corrente, in cui è possibile sostenere un meccanismo di emissione stimolata sopra una certa condizione di soglia. Affinché il diodo funzioni da laser, c’è bisogno della contemporanea presenza di un meccanismo di retroazione ottica e di inversione di popolazione. Per ottenere quest’ultima condizione, in una certa regione della giunzione, devono essere presenti 37 contemporaneamente elettroni in stato eccitato e lacune. Questo si ha nelle giunzioni fortemente drogate. FIGURA 19 Come si osserva dalle figure precedenti, in una giunzione fortemente drogata, con elevate concentrazioni di drogaggio di tipo π+ e π+ , il livello di Fermi cade sia in banda di conduzione, che in banda di valenza. Considerando π+ < π+ , si può supporre che il fenomeno dell’emissione stimolata sia prevalentemente dovuto agli elettroni. Condizionati dal campo elettrico esterno, si possono concentrare più elettroni in banda di conduzione di quelli che ci sarebbero all’equilibrio termodinamico. In questo modo si ottiene il fenomeno di inversione di popolazione, e quindi si ottiene un aumento della probabilità che avvengano ricombinazioni radiative. I fotoni prodotti possono essere assorbiti dagli elettroni in banda di valenza, oppure possono stimolare gli elettroni in banda di conduzione per produrre fotoni coerenti per emissione stimolata. La sorgente di un diodo laser è una sorgente elettronica, generalmente fornita da una corrente. 38 Per ottenere un laser si sottopongono a lucidatura due facce parallele del materiale della giunzione, in modo da ottenere una cavità Fabry-Perot, che permette l’accumulo della radiazione introducendo un meccanismo di risonanza nella struttura del diodo. Con un laser a semiconduttore si riescono a raggiungere valori di efficienza più elevati di un laser a gas. I diodi laser sono caratterizzati dall’avere una purezza spettrale maggiore di quella di un diodo LED e minore di quella di un laser a livelli discreti. La caratteristica potenza ottica in uscita del laser in funzione della corrente di pompaggio, dipende fortemente dalla temperatura. Infatti, un aumento della temperatura di lavoro causa uno spostamento della caratteristica del laser verso valori di soglia di corrente più elevati e pendenze più basse sopra soglia. Questo succede perché all’aumentare della temperatura, il moto di agitazione termica si oppone al flusso di elettroni che causa emissione stimolata, riducendo l’efficienza del laser. Per avere una sorgente robusta alle variazioni di temperatura, servirebbe un sistema di stabilizzazione in temperatura. Una variazione di quest’ultima potrebbe portare il laser ad emettere alla frequenza di un altro modo longitudinale, rispetto a quello desiderato. Sostituendo gli specchi che costituiscono gli estremi della cavità Fabry-Perot, con una corrugazione periodica di indice di rifrazione, si riescono ad ottenere sorgenti molto selettive in termini di frequenza di emissione. Laser a semiconduttore di questo genere sono detti laser a feedback distribuito DFB. FIGURA 20 39 La corrugazione periodica di periodo π¬ , divide due regioni ad indice di rifrazione diverso. Se il reticolo è disposto in direzione di propagazione dei fotoni, può fungere da specchio. Più precisamente, affinché due raggi riflessi dal reticolo a distanza π¬ si sommino in fase generando interferenza costruttiva, la differenza tra i cammini ottici percorsi deve essere un multiplo intero di lunghezza d’onda. Si ottiene, considerando i due raggi incidenti paralleli fra di loro: 2ππ¬ = ππ con π = 0,1,2, … Per π = 1, si ha la condizione di Bragg: 2ππ¬ = π Se vale la precedente relazione, allora il reticolo funge da specchio, e gli specchi caratteristici di una cavità Fabry-Perot non risultano essere necessari in tali tipi di sorgenti ottiche. Grazie alla condizione di Bragg, anche in presenza di più lunghezze d’onda, la scelta del reticolo selezione la π che sopravvive all’interno del materiale. Per quanto riguarda le condizioni di interferenza costruttiva per π > 1, queste comportano un efficienza minore rispetto alla condizione di Bragg. Più il reticolo è lungo, più la radiazione viene immagazzinata all’interno del materiale. Nel complesso il laser risulta più stabile in termini di lunghezza d’onda di emissione, potendo selezionare il modo longitudinale di emissione sfruttando la capacità filtrante a banda stretta di una sorgente DFB . In un laser di questo tipo, un cambiamento nella temperatura del dispositivo, causa una variazione nell’indice di rifrazione, dovuta ad espansione termica e alle variazioni del gap di banda proibita con la temperatura. Il cambiamento di indice di rifrazione genera una variazione nel periodo della corrugazione, e quindi fa cambiare la lunghezza d’onda di emissione del laser, che porta alla definizione di un Tunable Diode Laser (TDL). Laser a feedback distribuito sono molto utilizzati nei sistemi di comunicazione DWDM, dove c’è bisogno di una sorgente stabile in termini di lunghezza d’onda di emissione, e tunabile intorno alla frequenza del segnale a centro canale. 40 Potenza ottica in funzione della corrente di alimentazione di un laser DFB Di seguito viene riportata la caratteristica misurata al variare della corrente di pompaggio, di un laser DFB con π = 1550 ππ per diversi valori di temperatura: FIGURA 21 La Figura 21 conferma quanto detto in precedenza: un aumento della temperatura della sorgente laser comporta un aumento della corrente di soglia e una riduzione della pendenza della caratteristica sopra soglia, ovvero una riduzione dell’efficienza della sorgente. 41 Isolatore ottico Un isolatore ottico non è altro che l’equivalente ottico di un diodo. Permette la trasmissione di segnali ottici solo in una direzione e non nella direzione opposta. Un dispositivo del genere permette di proteggere le sorgenti WDM dalle riflessioni provenienti da altri dispositivi ottici o connettori, che possono interferire con l’oscillazione portante del laser. FIGURA 22 Dalla figura precedente si può dedurre facilmente il funzionamento di un tale dispositivo. La luce proveniente dalla guida ottica passa attraverso un polarizzatore, un rotatore di Faraday e infine un altro polarizzatore. Lo stesso vale per l’onda che si propaga in direzione opposta. Consideriamo prima il percorso in avanti dell’onda. Consideriamo in ingresso al primo polarizzatore, un’onda non polarizzata. Questa può essere scomposta in due onde polarizzate linearmente lungo due direzioni ortogonali, una delle due parallela all’asse ottico del polarizzatore. Quest’ultimo assorbe l’onda polarizzata in direzione ortogonale al suo asse ottico, mentre non modifica l’onda polarizzata linearmente lungo la direzione parallela a questo, proprietà nota come dicroismo. L’onda viene fatta passare attraverso un rotatore di Faraday che ruota la polarizzazione dell’onda in ingresso di 45°. In uscita dal rotatore di Faraday l’onda incontra un altro polarizzatore che ha asse ottico parallelo alla propria polarizzazione, e quindi passa inalterata. Al contrario, consideriamo il percorso dell’onda che si propaga in verso opposto. Si supponga ancora in ingresso al primo polarizzatore (quello a destra in Figura 22), 42 un’onda non polarizzata. In uscita da questo avremo un’onda polarizzata linearmente in direzione parallela all’asse ottico del polarizzatore. Il rotatore di Faraday è un dispositivo che ruota la polarizzazione dell’onda di un certo angolo, sempre nella stessa direzione, indipendentemente dal verso di propagazione dell’onda. All’uscita di quest’ultimo, si ottiene un’onda polarizzata linearmente in direzione ortogonale all’asse ottico del secondo polarizzatore. Questo fa sì che l’onda che torna indietro venga completamente assorbita dal polarizzatore di sinistra. Caratterizzazione di un isolatore ottico FIGURA 23 Per la caratterizzazione dell’isolatore ottico si è proceduto connettendo la sorgente WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Dalla potenza ottica misurata dal power meter sul ramo di monitor dell’accoppiatore si è ricavata la potenza ottica in ingresso all’isolatore sfruttando il coupling ratio dell’accoppiatore direzionale. Per il calcolo dell’insertion loss πΌπΏ si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta 1 dell’isolatore ottico. Dalla potenza in uscita alla porta 2 si è ricavato il fattore di insertion loss del dispositivo. FIGURA 24 43 Allo stesso modo si è connessa la sorgente WDM all’accoppiatore direzionale, poi si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta 2 dell’isolatore. Dalla potenza in uscita dalla porta 1 si è misurato il fattore di isolation πΌ del dispositivo. Per la misura del return loss π πΏ del dispositivo, dalla prima configurazione, si è misurata la potenza in uscita dal ramo isolato dell’accoppiatore (π6 in Figura 24), e tramite il fattore di accoppiamennto di quest’ultimo si è calcolata la potenza di backreflection del dispositivo. Di seguito vengono riportati i valori dei parametri dell’isolatore, caratterizzato alla lunghezza d’onda centrale dei canali πΌππ 32, πΌππ 34, πΌππ 36: Parametro πΌπΏ πΌ π πΏ Misura π2 π1 π4 −10πππ10 π3 π5 −10πππ10 π1 −10πππ10 ITU32 ππππ, ππ ππ ITU34 ππππ, ππ ππ ITU36 ππππ, ππ ππ 0,63 ππ΅ 0,66 ππ΅ 0,6 ππ΅ 50,51 ππ΅ 50,94 ππ΅ 48,15 ππ΅ 46,31 ππ΅ 40,48 ππ΅ 40,32 ππ΅ TABELLA 1 44 Circolatore FIGURA 25 Il principio di funzionamento di un circolatore è alquanto semplice. Facendo riferimento alla Figura 25, la potenza in ingresso alla porta 1 viene trasmessa alla porta 2, la potenza in ingresso alla porta 2 viene trasmessa alla porta 3 e la potenza in ingresso alla porta 3 non viene trasmessa né alla porta 1, né alla porta 2. La terza porta è isolata dalle altre 2. FIGURA 26 Consideriamo un’onda non polarizzata in ingresso al primo walk-off block, che è un blocco di materiale birifrangente. L’onda che si propaga all’interno del materiale, si può scomporre in due onde polarizzate linearmente lungo direzioni ortogonali fra di loro. L’onda che non cambia direzione di propagazione all’interno del mezzo birifrangente, rispetto all’onda incidente all’interfaccia tra aria e cristallo, è detta onda ordinaria. Questa vede il mezzo come se fosse isotropo. Al contrario, l’altra componente, detta onda straordinaria, viene deviata dal mezzo materiale a causa delle proprietà 45 anisotrope di quest’ultimo. In uscita dal primo wolk-off block si ottengono due onde polarizzate linearmente che viaggiano nella stessa direzione, con polarizzazioni fra loro ortogonali. Sia l’onda straordinaria che l’onda ordinaria passano attraverso un rotatore di Faraday, che ruota di 45° la polarizzazione di entrambe. Subito dopo attraversano un half-wave plate, anche questo un dispositivo ottico di materiale birifrangente, che ruota di ulteriori 45° lo stato di polarizzazione di entrambe. L’ultimo walk-off block ha effetto opposto al primo, e permette di ricombinare le due componenti in uscita verso la porta 2. In tutto gli stati di polarizzazione di entrambe le onde sono stati ruotati di 90°. FIGURA 27 Si consideri ora il percorso di un’onda non polarizzata in ingresso alla porta 2. Questa viene scomposta in due onde polarizzate linearmente lungo direzioni fra loro perpendicolari dal wolk-off block di destra (Figura 27). L’half-wave plate ruota la polarizzazione delle due onde in senso opposto rispetto al caso precedente, in quanto non fa altro che ritardare l’onda polarizzata linearmente in direzione parallela al proprio asse ottico rispetto all’onda polarizzata in direzione ortogonale, in modo da ottenere uno sfasamento in uscita corrispondente a mezza lunghezza d’onda. Questo corrisponde ad una rotazione dello stato di polarizzazione di un certo angolo, sempre nello stesso senso di rotazione rispetto alla direzione di propagazione dell’onda. Il rotatore di Faraday, invece, ruota di 45° la polarizzazione di entrambe in modo da farle tornare nelle stesse condizioni di polarizzazione delle onde in ingresso all’half-wave plate. L’ultimo walk-off block, separa ulteriormente le due onde che vengono ricombinate insieme per mezzo di un beam splitter. 46 Caratterizzazione di un circolatore ottico Per la caratterizzazione del circolatore ottico (Figura 25) si è proceduto connettendo la sorgente WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Dalla potenza ottica misurata dal power meter sul ramo di monitor dell’accoppiatore si è ricavata la potenza ottica in ingresso al circolatore, come è stato fatto in precedenza per l’isolatore ottico. Si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta 1 del circolatore ottico. Dalla potenza in uscita alla porta 2 e alla porta 3 si sono ricavati il fattore di insertion loss πΌπΏ(1 > 2) e il fattore di directivity π·(1 > 3) del dispositivo. In seguito si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta 2 del circolatore ottico. Dalla potenza in uscita alla porta 2 e alla porta 3 si sono ricavati i fattori di isolation πΌ(2 > 1) e il fattore di insertion loss πΌπΏ(2 > 3) del dispositivo. Allo stesso modo si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta 3 del circolatore ottico. Dalla potenza in uscita alla porta 1 e alla porta 2 si sono ricavati i fattori di directivity π·(3 > 1) e il fattore di isolation πΌ(3 > 2) del dispositivo. FIGURA 28 Per la misura del return loss π πΏ(1), π πΏ(2), π πΏ(3) del dispositivo sulle tre porte, si è proceduto come nella caratterizzazione dell’isolatore ottico considerando come ingresso al ramo di test dell’accoppiatore rispettivamente la prima, la seconda e la terza porta del circolatore. 47 Di seguito vengono riportati i valori dei parametri del circolatore, caratterizzato alla lunghezza d’onda centrale dei canali πΌππ 32, πΌππ 34, πΌππ 36: Parametro πΌπΏ(1 > 2) πΌπΏ(2 > 3) πΌ(2 > 1) πΌ(3 > 2) π·(1 > 3) π·(3 > 1) π πΏ(1) π πΏ(2) π πΏ(3) Misura π1>2 π1 π2>3 −10πππ10 π2 π2>1 −10πππ10 π2 π3>2 −10πππ10 π3 π1>3 −10πππ10 π1 π3>1 −10πππ10 π3 π1>1 −10πππ10 π1 π2>2 −10πππ10 π2 π3>3 −10πππ10 π3 −10πππ10 ITU32 ππππ, ππ ππ ITU34 ππππ, ππ ππ ITU36 ππππ, ππ ππ 0,71 ππ΅ 0,76 ππ΅ 0,77 ππ΅ 1,05 ππ΅ 0,95 ππ΅ 1,14 ππ΅ 58,08 ππ΅ ≥ 59,44 ππ΅ ≥ 59,59 ππ΅ 54,23 ππ΅ 58,71 ππ΅ 54,49 ππ΅ 55,23 ππ΅ 54,44 ππ΅ 58,59 ππ΅ ≥ 59,23 ππ΅ ≥ 59,44 ππ΅ ≥ 59,59 ππ΅ 41,44 ππ΅ ≥ 55,61 ππ΅ 53,91 ππ΅ ≥ 55,4 ππ΅ ≥ 55,61 ππ΅ 54,66 ππ΅ 53,44 ππ΅ ≥ 55,61 ππ΅ ≥ 55,91 ππ΅ 48 Multiplexer a Demultiplexer Multiplexer e demultiplexer sono elementi fondamentali in un sistema di trasmissione WDM. A seconda della struttura di tali elementi, i demultiplexer si possono suddividere in due grandi categorie: i Diffraction-based demultiplexer e gli interference-based deumultiplexer. In entrambe le tipologie, uno stesso dispositivo può essere utilizzato da multiplexer o da demultiplexer, a seconda della direzione di propagazione dell’onda incidente, per principio di invertibilità del cammino ottico. I diffraction-based demultiplexer sfruttano il fenomeno di diffrazione della luce da un reticolo di Bragg. FIGURA 29 Il segnale di ingresso multiplato viene focalizzato da una lente verso il reticolo, posto nel fuoco della lente stessa. Il compito del reticolo di diffrazione è quello di separare le diverse lunghezze d’onda del segnale multiplato, e focalizzare ciascuna portante in una fibra ottica. Per ottenere un dispositivo facilmente integrabile, conviene utilizzare delle lenti a gradiente di indice (Graded-index lens, GRIN), ovvero un particolare tipo di lenti fabbricate in modo da ottenere una variazione graduale dell’indice di rifrazione del materiale. Sostanzialmente la luce viene continuamente incurvata dal materiale finché 49 non viene focalizzata in un punto, come una lente convenzionale. Grazie alla condizione di Bragg è possibile ottenere un fenomeno di interferenza costruttiva tale che: π0 = 2ππππ π¬ con ππππ indice di rifrazione effettivo del modo guidato in fibra. Il reticolo rifletterà maggiormente la portante di lunghezza d’onda π0 , che verrà focalizzata nella fibra in uscita. È ovvio che per ottenere un demultiplexer c’è bisogno di creare più reticoli di Bragg all’interno del materiale, perché ciascun reticolo da solo è in grado di riflettere una sola lunghezza d’onda. Data l’elevata complessità nella fabbricazione di un tale dispositivo, si preferisce utilizzare dei reticoli di Bragg concavi inseriti direttamente nella fibra. Questi ultimi dispositivi permettono di multiplare e demultiplare fino a 120 canali contemporaneamente. Per quanto riguarda gli Interference-based demultiplexer, questi sfruttano dispositivi come filtri ottici e accoppiatori direzionali, selezionando la lunghezza d’onda riflessa mediante il fenomeno dell’interferenza ottica. L’analisi di questi ultimi esula dai fini di questa tesi. Caratterizzazione di un mutliplexer ottico Per la caratterizzazione del multiplexer ottico si è proceduto connettendo la sorgente WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Anche in questo caso, dalla potenza ottica misurata dal power meter sul ramo di monitor dell’accoppiatore si è ricavata la potenza ottica in ingresso al multiplexer mediante il coupling ratio dell’accoppiatore. Si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta πΆπ»32 del multiplexer. È stato valutato il coefficiente di trasmissione in potenza del multiplexer misurando la potenza in uscita dalla porta comune e variando la lunghezza d’onda del segnale generato dal laser di βπ = 0,1 ππ in un intervallo prefissato di lunghezze d’onda: 50 FIGURA 30 Si è ripetuto lo stesso procedimento connettendo il ramo di test dell’accoppiatore alla porta πΆπ»34 del multiplexer: FIGURA 31 Di seguito vengono riportati i grafici di trasmissione del multiplexer: FIGURA 32 Come si osserva dalla figura precedente, considerando la porta πΆπ»32 del multiplexer, si ottiene un massimo di trasmissione in corrispondenza della lunghezza d’onda 51 centrale del canale πΌππ32. Per quanto riguarda la porta πΆπ»34, si ottiene un massimo di trasmissione in corrispondenza della lunghezza d’onda centrale del canale πΌππ34. Add-drop multiplexer FIGURA 33 Un optical add-drop multiplexer (OADM), è un dispositivo ottico che permette di aggiungere o rimuovere uno o più canali di un sistema multiplato senza interferire con i canali restanti. Tale dispositivo utilizza contemporaneamente un multiplexer, un demultiplexer e uno o più switch ottici. Il segnale multiplato in ingresso al demultiplexer viene separato nei diversi canali. Uno o più switch ottici sono utilizzati per rimuovere, aggiungere o lasciar passare inalterati i canali demultiplati in ingresso al multiplexer, che ha il compito di ricombinarli insieme in un unico segnale multiplato. Il grosso vantaggio offerto da un OADM è la possibilità di amplificare ed equalizzare un singolo canale di un sistema WDM, grazie alla possibilità di controllare singolarmente ciascuno di essi. Se non è necessario controllare singolarmente tutti i canali di un segnale multiplato, ma si ha la necessità di demultiplare un singolo canale, si possono utilizzare 52 sistemi meno complessi che utilizzano add-drop filters in grado di estrarre un singolo canale senza alterare il segnale del sistema WDM. Caratterizzazione di un add-drop multiplexer Per l’analisi delle caratteristiche dell’ add-drop, si è connessa la sorgente WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Dalla potenza ottica misurata dal power meter sul ramo di monitor dell’accoppiatore si è ricavata la potenza ottica in ingresso al OADM. Si è collegato il ramo di test dell’accoppiatore alla porta di ingresso dell’add-drop. È stato valutato il coefficiente di trasmissione in potenza dalla porta di ingresso alla porta d’uscita misurando potenza della porta di uscita e variando la lunghezza d’onda del segnale generato dal laser ogni βπ = 0,1 ππ in un intervallo prefissato di lunghezze d’onda: FIGURA 34 Si è poi misurato il coefficiente di trasmissione in potenza dalla porta di uscita alla porta di π΄π·π· allo stesso modo del caso precedente, mandando segnale alla porta di uscita e misurando potenza alla porta di π΄π·π·: FIGURA 35 53 Di seguito vengono riportati i grafici di trasmissione dell’add-drop multiplexer: FIGURA 36 Come si osserva dalla figura precedente, in corrispondenza della lunghezza d’onda centrale del canale πΌππ36 si ha un minimo di trasmissione dalla porta di ingresso alla porta di uscita. Inoltre, per lo stesso valore di lunghezza d’onda, si ha un massimo di trasmissione dalla porta di uscita alla porta di π΄π·π· . Infatti, essendo l’add-drop multiplexer un dispositivo reciproco, la porta di π΄π·π· si comporta da π·π ππ se il segnale di ingresso è posto sulla porta di uscita. 54 Fiber Bragg Gratings FIGURA 37 Un reticolo di Bragg in fibra è una variazione periodica dell’indice di rifrazione del materiale di cui è composto il core. Questa si forma grazie all’utilizzo di radiazioni ultraviolette in grado di “scrivere” il reticolo all’interno di fibre fortemente drogate con particelle di alluminio. Grazie alla struttura periodica, le onde riflesse che incidono a distanza di una lunghezza d’onda di reticolo π¬ sul FBG, interferiscono costruttivamente. La lunghezza d’onda corrispondente è detta lunghezza d’onda di Bragg: ππ΅ = 2ππ¬ con π indice di rifrazione del core della fibra ottica. In Figura 37 si può osservare la potenza incidente sul reticolo, la potenza riflessa dal reticolo e la potenza trasmessa dal reticolo in funzione della lunghezza d’onda del segnale che viaggia nella guida d’onda. Il periodo del reticolo varia con la temperatura. Ovviamente questo comporta una variazione della lunghezza d’onda riflessa dal reticolo stesso. Questa caratteristica rende possibile l’utilizzo di tali dispositivi come sensori di temperatura. È inoltre possibile utilizzare contemporaneamente un circolatore e un FBG, come add-drop multiplexer. Il segnale multiplato va in ingresso alla porta 1 del circolatore, in uscita dalla porta 2 viene posto il reticolo di Bragg in fibra che lascia 55 passare inalterate le componenti spettrali del segnale multiplato, tranne quella corrispondente alla lunghezza d’onda di Bragg. Quest’ultima viene demultiplata dal reticolo che la riflette verso la porta 3. Caratterizzazione di un FBG Per la caratterizzazione del reticolo di Bragg in fibra, si è connessa la sorgente WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Il ramo di test dell’accoppiatore direzionale è stato collegato in ingresso alla porta 1 del circolatore. La porta 2 di quest’ultimo è stata collegata all’FBG, in modo da permettere la misura del coefficiente di trasmissione e di riflessione del dispositivo, e in modo da limitare le backreflections verso la sorgente DFB: FIGURA 38 È stato valutato il coefficiente di trasmissione in potenza del reticolo in funzione della lunghezza d’onda della sorgente laser, misurando la potenza ottica in uscita dall’FBG ogni βπ = 0,02 ππ in un intervallo prefissato di lunghezze d’onda e considerando il fattore di insertion loss πΌπΏ(1 > 2) introdotto dal circolatore. In seguito si è valutato il coefficiente di riflessione in potenza del reticolo valutando la potenza in uscita dalla porta 3 del circolatore, sempre tenendo in conto delle perdite introdotte dal circolatore, πΌπΏ(2 > 3). Di seguito vengono riportati i grafici corrispondenti al coefficiente di trasmissione e di riflessione in potenza: 56 FIGURA 39 In corrispondenza della lunghezza d’onda centrale del canale di trasmissione πΌππ36, si ottiene un minimo valore del coefficiente di trasmissione e un massimo valore del coefficiente di riflessione in potenza. Si osserva inoltre che per lunghezze d’onda corrispondenti ai canali adiacenti ππΆπ»35 = 1549,32 ππ e ππΆπ»37 = 1547,72 ππ il reticolo lascia passare la radiazione senza causare eccessive riflessioni, avendo un coefficiente di trasmissione in potenza maggiore di −0,7 ππ΅ e un coefficiente di riflessione minore di −20 ππ΅. Capitolo 4 Mach Zehnder modulator Per ottenere sistemi di comunicazione di tipo DWDM, si sono rese necessarie nuove tecniche di modulazione delle portanti ottiche, al fine di garantire una maggior purezza spettrale e una minor distanza in frequenza tra i canali di un sistema multiplato. Questo comporta l’utilizzo di tecniche di modulazione che non influenzino la sorgente, che non causino shift nella frequenza del segnale ottico. Il Mach Zehnder modulator è un modulatore ottico che permette di utilizzare tecniche di modulazione indiretta della sorgente laser in modo da ottenere tali prestazioni. 57 FIGURA 40 Il modulatore è formato da una guida d’onda seguita da una serie di due accoppiatori. La potenza trasmessa dalla radiazione in guida, viene divisa in parti uguali nei due rami del modulatore. In uscita il secondo accoppiatore ricombina i segnali dopo che hanno percorso lo stesso cammino geometrico. Grazie agli elettrodi disposti lungo uno dei due rami, è possibile creare una modulazione di fase nel segnale ottico che attraversa il braccio su cui sono applicati. Più precisamente, applicando una tensione agli elettrodi, si genera uno sfasamento direttamente proporzionale alla tensione applicata. Questo è dovuto all’effetto elettroottico di particolari materiali birifrangenti come il niobato di lito πΏππππ3 , per il quale si ha una variazione in forma e dimensioni dell’indicatrice ottica del mezzo in funzione del campo elettrico applicato al materiale stesso. L’effetto Pockels rappresenta la componente lineare dell’effetto elettroottico, l’effetto Kerr è la componente direttamente proporzionale al quadrato del campo elettrico applicato, spesso trascurabile rispetto all’effetto lineare. Considerando una tensione nulla ai capi degli elettrodi, il segnale viene diviso in due onde che non subiscono variazioni di fase nel passaggio attraverso il modulatore. In uscita si ottiene la somma di due segnali in fase fra di loro, e quindi si ha esattamente il segnale in ingresso al modulatore. Se invece si applica una tensione π ≠ 0 ai capi degli elettrodi, tale da ottenere uno sfasamento di π del segnale che passa attraverso il ramo superiore (Figura 40), si osserva un fenomeno di interferenza distruttiva tra i segnali in uscita dai due rami; tale valore di tensione è detto tensione di semionda ππ . Per valori di tensione π, tali che 0 < π < ππ si ottiene una modulazione di ampiezza del segnale portante. 58 FIGURA 41 Dalla figura precedente si osserva come l’uscita del dispositivo presenta una dipendenza sinusoidale dal campo applicato agli elettrodi, quindi, se il dispositivo viene polarizzato esattamente nel punto di massimo guadagno, considerando un piccolo segnale in ingresso al modulatore, si ottiene, in prima approssimazione, una variazione lineare dell’irradianza in uscita in funzione di πππππ . I punti di massimo e di minimo della precedente caratteristica corrispondono a punti di funzionamento non lineare del modulatore. 59 Analisi di alcune caratteristiche del Mach Zehnder modulator In teoria la caratteristica potenza ottica in uscita del modulatore, in funzione della tensione applicata al Mach Zehnder dovrebbe essere una funzione cosinusoidale, in quanto la potenza ottica del segnale in uscita è pari al modulo quadro della somma di due segnali sinusoidali sfasati fra di loro di un angolo direttamente proporzionale alla tensione applicata. Ovviamente tale caratteristica è fortemente non lineare. Nelle applicazioni lineari come nel caso della modulazione d’ampiezza di portanti ottiche, quello che si cerca di ottenere è un punto di lavoro stabile in corrispondenza del punto di massima linearità della caratteristica, ovvero nel punto di massima derivata (Figura 41). Una variazione nella posizione del punto di lavoro di tale dispositivo, può causare un funzionamento fortemente non lineare, con la comparsa di armoniche spurie nello spettro del segnale in uscita. Risulta sperimentalmente che la caratteristica πππ’π‘ − πππππ si sposta nel tempo, causando variazioni nella posizione del punto operativo. Questo può portare il dispositivo ad un funzionamento non lineare, nonostante inizialmente sia stato polarizzato esattamente nel punto di massima linearità. Questo fenomeno è dovuto ad alcune caratteristiche dei materiali di cui è composto il modulatore, come ad esempio il niobato di litio πΏππππ3 ; può essere causato da effetto piroelettrico, effetto fotorifrattivo e fenomeni fotoconduttivi che avvengono contemporaneamente nel πΏππππ3 . Sorge perciò la necessità di un circuito di controllo automatico del punto di lavoro in grado di garantire sempre un funzionamento lineare del dispositivo. Alcuni costruttori, infatti, permettono di rivelare la portante ottica con un fotodiodo installato nel case del dispositivo. In questo modo è possibile monitorare il segnale in uscita dal modulatore evitando l’utilizzo di un accoppiatore in uscita. Di seguito vengono riportate alcune caratteristiche misurate su un Mach Zehnder modulator. 60 FIGURA 42 Per la caratterizzazione del modulatore ottico, si è proceduto collegando la sorgente WDM ad un accoppiatore direzionale, utilizzato come strumento di misura. Per valutare la caratteristica, si è variata la tensione continua πππππ del dispositivo e si è misurata la potenza ottica in uscita dal modulatore. FIGURA 43 La figura precedente mostra la caratteristica πππ’π‘ − πππππ misurata a distanza di tempo, e conferma quanto detto in precedenza. In seguito si è valutata la corrente in uscita dal fotodiodo installato nel modulatore in funzione della tensione di polarizzazione. Inoltre si è mandato in ingresso alla porta π πΉ del modulatore, un piccolo segnale, tale da rientrare intervallo di dinamica lineare del Mach Zehnder. 61 FIGURA 44 Il grafico precedente mostra la caratteristica πππ’π‘ − πππππ , insieme alla corrente fotorivelata e al guadagno di piccolo segnale in funzione della tensione di polarizzazione. Si nota che la corrente del fotodiodo è in quadratura rispetto alla potenza ottica in uscita dal modulatore, aumenta al diminuire della potenza ottica in uscita dal Mach Zehnder. Si osservi che il grafico del guadagno di piccolo segnale rappresenta il modulo della derivata della caratteristica della potenza ottica in uscita dal modulatore, in quanto la tensione picco-picco di piccolo segnale misurata è sempre positiva. Inoltre, in corrispondenza dei massimi e dei minimi della potenza in uscita dal modulatore e della corrente in uscita dal fotodiodo, si ha un minimo valore di guadagno di piccolo segnale. In questi punti di lavoro si ha un funzionamento fortemente non lineare del modulatore. 62 FIGURA 45 Dalla Figura 45 è possibile osservare l’andamento della corrente fotorivelata in funzione della tensione di polarizzazione, per diversi valori di potenza ottica in ingresso. All’aumentare della potenza ottica, si ottengono valori di corrente in uscita dal fotodiodo, mediamente più elevati. FIGURA 46 In Figura 46, è riportato un grafico che confronta l’andamento del guadagno di piccolo segnale e il rapporto tra la potenza della seconda armonica e la potenza della prima armonica. Si osservi che in corrispondenza del massimo valore del guadagno di piccolo 63 segnale si ha una minima distorsione di non linearità introdotta dalla seconda armonica di segnale. FIGURA 47 La curva blu in Figura 47 mostra la caratteristica della corrente in uscita dal fotodiodo in funzione della tensione di polarizzazione, in seguito ad una leggera pressione esterna sul modulatore. Si osserva anche in questo caso, un evidente spostamento della caratteristica. Di seguito viene spiegato il funzionamento di un algoritmo che permette di ottenere un controllo automatico della tensione di polarizzazione del modulatore. L’obiettivo è rendere la tensione di polarizzazione stabile, in modo da avere un punto di lavoro fisso in corrispondenza del punto di massima linearità di funzionamento del Mach-Zehnder. L’idea alla base è stata quella di misurare l’uscita in corrente del fotodiodo del modulatore al variare della tensione di polarizzazione e di modificare la tensione di polarizzazione in modo da fissare il punto di lavoro in corrispondenza del massimo valore della derivata prima della caratteristica πΌππ· − πππππ . Per implementare tale sistema si è fatto uso di un kit di sviluppo ππππΆ (ππππππππππππ ππ¦π π‘ππ − ππ − πΆβππ) 5πΏπ di πΆπ¦ππππ π ; in generale lo schema di riferimento è il seguente. Si è impostata una tensione di polarizzazione iniziale. Successivamente si è misurata una stima della pendenza della caratteristica intorno al valore di tensione impostato 64 inizialmente, valutando l’incremento in corrente tra la corrente misurata nel punto di lavoro iniziale e la corrente misurata per valori di tensione di riferimento vicini, equidistanti intorno al valore di tensione di riferimento impostato in precedenza. In questo modo si ottiene il valore della derivata discreta destra e sinistra rispetto al punto di lavoro. Da un confronto tra i valori assoluti degli incrementi in corrente, è possibile scegliere come spostare il punto di lavoro verso il punto di massima derivata. Iterando i passaggi precedenti, scegliendo come tensione di polarizzazione iniziale l’ultimo valore della tensione di riferimento assunto in seguito allo spostamento verso il punto di derivata massima, l’algoritmo converge ad un preciso valore di tensione. FIGURA 48 La Figura 48 mostra l’andamento nel tempo della tensione di polarizzazione ottenuta con il metodo descritto in precedenza, su un intervallo di tempo di due ore. Raggiunto un valore di saturazione, il punto di lavoro subisce scostamenti non trascurabili, che potrebbero essere dovuti ad errori nel calcolo delle derivate discrete a destra e a sinistra del valore di tensione di riferimento. 65 Conclusioni Si sono analizzati i principali componenti di un sistema optoelettronico di distribuzione di clock per l’esperimento TOTEM all’LHC del CERN, confrontando i dati sperimentali con le caratteristiche teoriche di ciascun dispositivo. In particolare, si è posta l’attenzione sulle proprietà fondamentali del modulatore ottico utilizzato nel sistema di distribuzione. Si è reso evidente il problema della polarizzazione di tale dispositivo, mostrando la necessità di un sistema in grado di stabilizzare il punto di lavoro del modulatore, e implementando un possibile algoritmo di controllo automatico della tensione di polarizzazione. Ciononostante, servirebbe un sistema in grado di stabilizzare la tensione di riferimento senza perturbare eccessivamente il modulatore stesso. 66 Bibliografia [1] Agrawal G.P., Fiber-Optic Communication Systems, New York, Wiley-Interscience, 2002 [2] Chiaradia M.T., Guerriero L., Selvaggi G., Fisica II – Onde Elettromagnetiche, Bari, Adriatica Editrice, 2003 [3] Ghatak A., Thyagarajan K., Introduction to fiber optics, Cambridge University Press, 1998 [4]Hawkes J., Wilson J., Optoelectronics an introduction, Prentice Hall Europe, 1998 [5] Quinto M., Design Development and Characterization of 2ππ Level Trigger System for Very Forward Detector at LHC, Dipartimento Interateneo di Fisica “M. Merlin”, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, 2014 67