RECENSIONI - Prof. Umberto Regina

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RECENSIONI
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Teologia
B RUNO FORTE, Una teologia per la vita. Fedele al cielo e alla terra, a cura di
Marco Roncalli, La Scuola, Brescia 2011.
Alla già ampia produzione di Bruno Forte – comprendente gli otto volumi della
«Simbolica ecclesiale», i quattro volumi della «Dialogica», le molte pubblicazioni
della «Poetica della speranza» e, da quando è stato nominato arcivescovo di ChietiVasto, gli «Scritti Pastorali» – si aggiunge ora Una teologia per la vita, opera di
concezione nuova. Sul piano formale si presenta come una intervista-dialogo con
Marco Roncalli, autore di volumi sulla storia della Chiesa e di un’importante biografia di papa Giovanni XXIII, di cui è pronipote. Bruno Forte risponde dunque non
alle domande di un giornalista curioso, e nemmeno a quelle di un ateo o di un non
credente in cerca di luce, bensì di un cattolico interessato a farsi esplicitare, per
così dire, il segreto del fascino, e del conseguente successo in tutto il mondo, di un
teologo che scrive in dialogo costante con i vertici dell’attuale ricerca pressoché in
ogni campo, e che certo non risparmia difficoltà a chi si impegna a seguirlo.
In Una teologia per la vita il segreto viene alla luce nel modo più naturale: in
una sorta di autobiografia in cui al teologo-vescovo viene data l’occasione non
solo per «ripensare il suo cammino teologico e pastorale» (p. 225), ma soprattutto
per comunicare se stesso insieme alla Verità cui ha dedicato e dedica la sua vita.
Qui la teologia, «sapienza credente» e «fede pensata» (p. 34), fiorisce dalla vita
dello stesso teologo; qui la teologia viene fatta «cuore a cuore», secondo il bel motto
di H. Newman: cor ad cor loquitur. In esergo sta una domanda che tocca ogni credente che intenda onorare la fede con il pensiero: «Perché si fa teologia?» La risposta suona: «Per amore di Dio, per la Sua gloria. E poiché la gloria di Dio è
l’uomo vivente, ogni vera teologia è per la vita del mondo. Fedele al cielo, fedele
alla terra, la teologia vive di questa duplice, unica fedeltà...».
La prima domanda all’intervistato non poteva essere che sulla sua scelta di
entrare in seminario a diciotto anni: tutto dipese da un «incontro» dell'allora studente del liceo statale «Jacopo Sannazzaro» di Napoli con l’arcivescovo Corrado
Ursi, appena insediatosi: «Attraverso quel Testimone, Gesù mi aveva fatto capire
che c’era, che mi amava e che poteva riempire la mia vita completamente» (p. 11).
Erano gli anni immediatamente successivi al Concilio, anni di grande fermento e di
un certo spiazzamento della teologia tradizionale. Fu allora che Bruno Forte scoprì
nell’eucaristia, alla luce dell’opera Corpus Mysticum di H. de Lubac, «la strada
maestra per riconciliare istituzione e carisma, in quegli anni percepiti da molti
come in un contrasto insanabile fra loro. [...] Fu così che lavorai per la mia tesi di
dottorato in teologia all’ecclesiologia eucaristica del Vaticano II» (p. 26). Il teologo, divenuto vescovo, confida a Marco Roncalli di iniziare ogni giornata «con
almeno un’ora di adorazione davanti all’eucaristia, in ascolto della Parola di Dio»
(p. 87), dunque con un lungo incontro personale con la Persona di Gesù Cristo.
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Questo personalismo eucaristico è rivelativo anche del personalismo filosofico di
Bruno Forte, come si ricava dal libro.
Egli chiarisce che il concetto di persona è «invenzione cristiana» (p. 48), tutta
cristiana, tutta «trinitaria», dunque né greca né romana, come invece sostiene qualche filosofo (ad esempio, Roberto Esposito), che trae spunto dalla «romanità» del
concetto di persona per contestarne l’universalità. Il cristianesimo si è certo inculturato nella grande civiltà greco-romana, ma immettendo in questa valori che rendono improponibile una «teologia politica» alla Carl Schmitt, «per il quale fede e
potere si dividerebbero le sfide della storia: al potere l’esperienza, alla fede l’attesa
[...]. L’innesto della tradizione cristiana si afferma elaborando il concetto di “persona”, questo sì chiave di volta della concezione teologica della politica, somma in
sé di singolarità e relazione in tensione unitiva» (p. 45). Se si mette tra parentesi
Dio, allora non ha più senso nemmeno proporsi il «bene comune» come fine dell’agire politico, né vivere e soffrire per esso. Ma oggi «abbiamo più che mai bisogno in politica di uomini e di donne disposti a soffrire per la verità, pronti a non
cedere al compromesso morale, decisi nel rifiutare la menzogna e il vantaggio egoistico, testimoni di valori assoluti in prima persona» (p. 47); proprio per questo «c’è
bisogno di una teologia teologica che parli di Dio innanzitutto» (p. 144).
Bruno Forte, «in prima persona», dà il buon esempio di una siffatta teologia
anche con il suo assiduo intervenire in campo giornalistico («Jesus», «Famiglia Cristiana», «Mattino», «Il Sole-24 Ore», «Corriere della Sera»): «Come Chiesa dobbiamo essere liberi e coraggiosi, non identificarci con questa o quella posizione politica, facendo così vacillare la nostra credibilità» (p. 91). Di questo coraggio Forte
diede sofferta e limpida testimonianza quando, nel 1985, la sua relazione di apertura
al convegno di Loreto fu contestata «da una lettera di protesta, arrivata da Roma
senza firma». Gli veniva rimproverato il suo «no» al «collateralismo». Ma ecco che
qualche tempo dopo lo stesso Giovanni Paolo II esortò i cattolici a superare ogni collateralismo politico. Il cardinale Ratzinger gli manifestò più volte la sua fiducia,
come quando gli diede la presidenza del gruppo di lavoro per il documento Memoria e riconciliazione: «Ho conosciuto un magistero dal volto amico». Anche le accuse di hegelismo sono in definitiva diventate «una via» per farle cadere. Proprio il
paradossale «incontro nel tempo con l’Eterno-nel-tempo» – come si esprime Kierkegaard – è la condizione per incontrare con il pensiero Dio in quanto altro rispetto
allo stesso pensiero, dunque a prescindere da ogni mediazione ontoteologica che ne
accomodi ed intorbidi l'alterità: «Ecco il Dio di tenerezza calato nella storia, a dirci
anche che l’incontro con Lui è dentro il nostro impegno nella storia: che non consacra di eternità il presente, ma in un certo senso storicizza l’Eterno senza dissolverne
la trascendenza» (p. 44). Nella sua «Simbolica» c’era tutt’altro che hegelismo; c’era
una concezione della storia incentrata sulla libertà di Dio e dell’uomo, su un rapporto d’amore irriducibile a necessità; c’era «l’amore a Cristo e alla Chiesa» (p. 101).
Il libro tocca ambiti con cui la teologia deve spesso avere a che fare, anzitutto
la filosofia, che della teologia «ha bisogno», come questa di quella. Heidegger,
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quello dei postumi Beiträge – sottolinea Bruno Forte – ha avuto bisogno dell’«ultimo Dio», così come l’ultimo Schelling ha avuto bisogno di scrivere una Filosofia
della rivelazione. Non si trattò di cedimenti ma di risultati raggiunti al culmine del
loro impegno filosofico. Bruno Forte sa farne tesoro per la ricerca teologica: «Forse
l’atto più alto della ragione è proprio dare ragione di non poter dare ragione di tutto»
(p. 109). Quando la filosofia ha preteso di dare ragione di tutto, l’esito è stato
l’immanenza, e così essa ha finito per inventarsi la verità, a danno della verità.
Come nota Kierkegaard nelle Briciole filosofiche, «certamente potrebbe essere
opera dell’uomo l’invenzione poetica di considerarsi uguale a Dio o di considerare
Dio uguale a se stesso, ma non può essere invenzione poetica umana che Dio si inventi di essere uguale all’uomo». Il cristianesimo rende presente nel mondo l’irriducibile trascendenza di Dio. La «persona», «invenzione cristiana», ne è la potenziale testimonianza in ogni uomo.
Bruno Forte lo evidenzia in campo educativo. Il vero maestro è «un uomo di
ascolto profondo che non cerca in sé stesso, ma cerca nell’altro il Dio vivo, e l’altro in Dio, e così si apre alla luce» (p. 130). Per la promozione di educatori siffatti
Bruno Forte si è impegnato come presidente della «Commissione episcopale per la
dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi». Se le scuole cattoliche «non hanno
dato sempre i frutti sperati» dipende proprio dal fatto che «non si sono valorizzate
appieno occasioni di esperienze spirituali o figure di riferimento che fanno parte
della vita delle scuole cattoliche», figure, come quella di san Giovanni Bosco, che
sanno «fare innamorare della bellezza di Cristo» (pp. 136-137).
Bruno Forte ha percorso, si può dire, il mondo intero (Cina, India, Bangladesh, Thailandia, Filippine, Nord America e Sud America), affinché la sua teologia
si facesse ascolto dell’universale bisogno di senso e di trascendenza. Là dove il
cristianesimo, come nel Sud America, ha sperimentato posizioni al limite dell’ortodossia, Bruno Forte prende in considerazione quella «teologia della liberazione»
(il riferimento è agli ultimi scritti di G. Gutierrez) che può costituire un «forte stimolo alla teologia europea non solo a parlare con un linguaggio comprensibile, vicino alla gente, ma anche a sapere individuare delle priorità, dei gesti, delle tappe
significative in cui si possa esprimere l’identità cristiana» (p. 177). In questo «orizzonte geoteologico» la presenza salvifica di Cristo diviene visibile anche fuori dal
cristianesimo. Se, nel caso di Israele, al posto della tesi della «sostituzione» subentra quella dell’«unicità dell’alleanza», allora si dovrebbe convenire che «lo scisma
intervenuto storicamente fra Chiesa e Israele – causa non ultima di molte forme di
antisemitismo – non sarebbe conforme alla volontà divina...» (p. 185). E se, nel
caso dell’Islam, è impossibile l’intesa su contenuti dottrinali, si deve ciononostante
porre attenzione al valore che per il musulmano ha la comunità: «L’idea islamica
di “umma” [...] dice proprio che c’è un’appartenenza radicale, viscerale, inscindibile, del musulmano alla comunità [...] fino al punto di vanificare la coscienza e
l’originalità della persona [...] L’Islam in questo senso è una grande provocazione
[...]. Non bisogna discutere con i musulmani, ma amarli, confidando nella recipro-
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cità da suscitare» (pp. 191-192). Le altre grandi religioni orientali non lasciano alcun posto alla «persona», nemmeno a livello di comunità, eppure non le si dovrà
mai escludere; anche in esse sono «incluse» le «vie misteriose dello Spirito di Cristo». L’«inclusivismo» non è relativismo né implica proselitismo; tiene aperta alla
vita una porta che è stretta e angusta per tutti, ma per la quale tutti sono chiamati
ad entrare (cfr. Mt 7, 14); ed allora c’è posto per tutti quelli che accolgono l’invito.
Un giorno – racconta Bruno Forte – ebbe ad incontrare una folla di bambini
nella cattedrale di Chieti. Chiese loro dove abita Dio. «A Gerusalemme!», gridò un
«piccolo teologo». «È vero» – rispose l’arcivescovo – «quando Gesù, il suo unico
Figlio, si è fatto uomo per amor nostro [...]. Ora abita dovunque gli si apre la porta
del cuore». E Bruno Forte prosegue: «Ho dedicato le lettere pastorali dei miei
primi sette anni di ministero episcopale, per aiutare chiunque lo volesse ad aprire
la porta del cuore per accogliere nella fede il Dio che viene a noi nella Sua Parola e
nei sacramenti celebrati dalla Chiesa» (pp. 160-161). Sono proprio le «invenzioni»
del cristianesimo il segreto che Bruno Forte confida raccontando se stesso: bussa
alla porta del cuore del lettore, e così lo aiuta ad aprire anche quella della mente. Il
dono personale che questo libro fa, anche a un lettore non ancora credente, è la singolare possibilità di accorgersi che la sua vita è luogo teologico.
Umberto Regina
Letteratura antica
S USANNA E. FISCHER, Seneca als Theologe. Studien zum Verhältnis von Philosophie und Tragödiendichtung (Beiträge zur Altertumskunde, 259), de Gruyter,
Berlin-New York 2008, pp. 312.
Non si può certo negare che nel dibattito attuale siano presenti molteplici
studi dedicati alla figura di Seneca. Un pregio, sicuramente non trascurabile, di
questo testo è quindi la sua attualità, dal momento che esso si inserisce perfettamente nel contesto dell’odierno dibattito scientifico, che vede una ripresa dell’interesse nei confronti dell’autore latino anche dal punto di vista filosofico, cosa
comprovata dallo workshop riguardante Seneca filosofo e la filosofia stoica, organizzato dalla American University of Paris in cooperazione con la Geselleschaft
für Antike Philosophie nelle giornate del 16-17 maggio 2011.
In questo campo di ricerca, un comprensibile problema da anni stimola l’interesse di parecchi studiosi, ricoprendo un ruolo di primo piano, cioè la questione di
quale rapporto esista tra le tragedie di Seneca ed i suoi scritti filosofici. Tale questione nasce dalla constatazione, peraltro già evidenziata a partire dal V secolo, di
insopprimibili contraddizioni tra le idee espresse nei testi tragici senecani e gli
scritti più propriamente filosofici dell’autore.
Il libro – dissertazione dottorale presentata all’università di Monaco di Baviera nel semestre estivo del 2006 – si propone come obiettivo proprio di interve-
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