Campiello (Il) : Ermanno Wolf Ferrari

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La Fenice prima dell’Opera 2013-2014
3
2013-2014
3
Fondazione
Teatro La Fenice di Venezia
C
ermanno wolf-ferrari il campiello
il
Stagione 2013-2014
Lirica e Balletto
Ermanno Wolf-Ferrari
ampiello
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
TEATRO LA FENICE - pagina ufficiale
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FONDAZIONE
AMICI DELLA FENICE
STAGIONE 2013-2014
Incontro con l’opera
lunedì 18 novembre 2013 ore 18.00
GUIDO ZACCAGNINI e OLGA VISENTINI
L’africaine
martedì 14 gennaio 2014 ore 18.00
SANDRO CAPPELLETTO
La scala di seta
lunedì 20 gennaio 2014 ore 18.00
GIORGIO PESTELLI
La clemenza di Tito
martedì 25 febbraio 2014 ore 17.30
GIOVANNI GAVAZZENI
Il campiello
lunedì 24 marzo 2014 ore 18.00
GIORGIO PESTELLI
Elegy for Young Lovers
mercoledì 16 aprile 2014 ore 18.00
ALBERTO MATTIOLI
La bohème
Madama Butterfly
Tosca
lunedì 23 giugno 2014 ore 18.00
LUCA MOSCA
The Rake’s Progress
martedì 9 settembre 2014 ore 18.00
DANIELE SPINI
Il trovatore
mercoledì 8 ottobre 2014 ore 18.00
PAOLO COSSATO
Don Giovanni
venerdì 17 ottobre 2014 ore 18.00
Clavicembalo francese a due manuali copia dello
strumento di Goermans-Taskin, costruito attorno
alla metà del XVIII secolo (originale presso la Russell
Collection di Edimburgo).
Opera del M° cembalaro Luca Vismara di Seregno
(MI); ultimato nel gennaio 1998.
Le decorazioni, la laccatura a tampone e le
chinoiseries – che sono espressione di gusto
tipicamente settecentesco per l’esotismo
orientaleggiante, in auge soprattutto in ambito
francese – sono state eseguite dal laboratorio
dei fratelli Guido e Dario Tonoli di Meda (MI).
MARIO MESSINIS e PAOLO FURLANI
La porta della legge
Incontro con il balletto
lunedì 16 dicembre 2013 ore 18.00
SERGIO TROMBETTA
Onegin
Caratteristiche tecniche:
estensione fa1 - fa5,
trasposizione tonale da 415 Hz a 440 Hz,
dimensioni 247 × 93 × 28 cm.
Dono al Teatro La Fenice
degli Amici della Fenice, gennaio 1998.
e-mail: [email protected]
www.amicifenice.it
tutti gli incontri avranno luogo presso
il Teatro La Fenice - Sale Apollinee
CONSERVATORIO
BENEDETTO MARCELLO
DI VENEZIA
Incontri con la stagione sinfonica
Conferenze introduttive alla Stagione sinfonica 2013-2014
del Teatro La Fenice
mercoledì 6 novembre 2013
relatore Francesco Erle
giovedì 5 dicembre 2013
relatore Rossella Spinosa
mercoledì 11 dicembre 2013
relatore Davide Amodio
mercoledì 8 gennaio 2014
relatore Franco Rossi
mercoledì 29 gennaio 2014
relatore Massimo Contiero
mercoledì 5 febbraio 2014
relatore Giovanni Battista Rigon
mercoledì 5 marzo 2014
relatore Monica Bertagnin
mercoledì 12 marzo 2014
relatore Marco Peretti
mercoledì 19 marzo 2014
relatore Giovanni Mancuso
mercoledì 9 aprile 2014
relatore Luca Mosca
concerto diretto da Diego Matheuz (8 e 10 novembre)
musiche di Pärt, Cajkovskij e Stravinskij
concerto diretto da Sir John Eliot Gardiner (6 e 7 dicembre)
musiche di Berlioz e Verdi
concerto diretto da Stefano Montanari (18 e 19 dicembre)
musiche di Händel, Sammartini, Bach, Vivaldi, Scarlatti e Corelli
concerto diretto da Alessandro De Marchi (10 e 12 gennaio)
musiche di Sammarchi, Malipiero, Rota, Stravinskij e Respighi
concerto diretto da Diego Matheuz (31 gennaio e 2 febbraio)
musiche di Berio, Respighi, Webern e Schubert
concerto diretto da John Axelrod (7 e 8 febbraio)
musiche di Montalti, Bartók, Mahler e Sibelius
concerto diretto da Yuri Bashmet (12 marzo)
musiche di Sviridov, Šostakovic, Stravinskij, Liberovici e Takemitsu
concerto diretto da Jeffrey Tate (14 e 16 marzo)
musiche di Sibelius ed Elgar
concerto diretto da Claudio Marino Moretti (23 marzo)
musiche di Pärt
concerto diretto da Marco Angius (11 e 13 aprile)
musiche di Stravinskij, Mosca, Maderna e Petrassi
mercoledì 4 giugno 2014
relatore Michael Summers
concerto diretto da Diego Matheuz (6 e 7 giugno)
musiche di Lanza, Ravel, Carter, Falla e Stravinskij
mercoledì 11 giugno 2014
relatore Stefania Lucchetti
concerti diretti da Gaetano d’Espinosa (13 e 14 giugno)
e Claudio Marino Moretti (15 giugno)
musiche di Ravel, Carter, Berio, Cage, Feldman e Rihm
INGRESSO LIBERO
ore 17.30
Tutti gli incontri avranno luogo presso la sala n. 17 p.t.
del Conservatorio di Musica Benedetto Marcello di Venezia
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
Radio3 per la Fenice
Opere della Stagione lirica 2013-2014
trasmesse dal Teatro La Fenice o dal Teatro Malibran
sabato 23 novembre 2013 ore 18.00
diretta Radio3 e differita Euroradio
L’africaine
venerdì 24 gennaio 2014 ore 19.00
diretta Euroradio
La clemenza di Tito
giovedì 27 marzo 2014 ore 19.00
differita
Elegy for Young Lovers
Concerti della Stagione sinfonica 2013-2014
trasmessi in differita dal Teatro La Fenice o dal Teatro Malibran
Diego Matheuz (venerdì 8 novembre 2013)
Alessandro De Marchi (venerdì 10 gennaio 2014)
Diego Matheuz (venerdì 31 gennaio 2014)
John Axelrod (venerdì 7 febbraio 2014)
Claudio Marino Moretti (domenica 23 marzo 2014)
Diego Matheuz (venerdì 6 giugno 2014)
Gaetano d’Espinosa (venerdì 13 giugno 2014)
www.radio3.rai.it – per le frequenze: numero verde 800.111.555
ALBO
Stato Italiano
SOCI
SOCI
SOSTENITORI
BENEMERITI
DEI
FONDATORI
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Giorgio Orsoni
presidente
Giorgio Brunetti
vicepresidente
Marco Cappelletto
Fabio Cerchiai
Cristiano Chiarot
Achille Rosario Grasso
Mario Rigo
Luigino Rossi
Francesca Zaccariotto
Gianni Zonin
consiglieri
sovrintendente
Cristiano Chiarot
direttore artistico
Fortunato Ortombina
direttore principale
Diego Matheuz
COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI
Anna Maria Ustino, presidente
Annalisa Andreetta
Giampietro Brunello
Andreina Zelli, supplente
SOCIETÀ DI REVISIONE
PricewaterhouseCoopers S.p.A.
ALBO
SOCI ORDINARI
DEI
FONDATORI
Il campiello
commedia lirica in tre atti
libretto di Mario Ghisalberti
musica di
Ermanno Wolf-Ferrari
Teatro Malibran
venerdì 28 febbraio 2014 ore 19.00 turno A
domenica 2 marzo 2014 ore 15.30 turno C
mercoledì 5 marzo 2014 ore 19.00 turno E
venerdì 7 marzo 2014 ore 17.00 turno B
martedì 11 marzo 2014 ore 19.00 turno D
La Fenice prima dell’Opera 2013-2014 3
Ermanno Wolf-Ferrari (Venezia 1876-1948), Autoritratto (1898). Archivio storico del Teatro La Fenice. Figlio
del pittore August Wolf (1842-1915), Wolf-Ferrari praticò e studiò in gioventù la pittura a Roma e a Monaco.
Compose cinque opere su libretti derivati da commedie goldoniane: Le donne curiose (1903) di Luigi Sugana
(dalla stessa fonte Angelo Zanardini aveva tratto nel 1879 un libretto per Emilio Usiglio), I quatro rusteghi
(1906) di Giuseppe Pizzolato, Gli amanti sposi (1925) di Giovacchino Forzano (dal Ventaglio), La vedova scaltra (1931) e Il campiello (1936) di Mario Ghisalberti.
La Fenice prima dell’Opera 2013-2014 3
Sommario
5 La locandina
7 Un campiello immerso in una luce irreale…
di Michele Girardi
13 Carlo Vitali
Chi è «popolare»?
35 Federico Fornoni
Itinerari goldoniani nei libretti otto-novecenteschi
51 Il campiello: libretto e guida all’opera
a cura di Emanuele Bonomi
109 Il campiello in breve
a cura di Tarcisio Balbo
111 Argomento – Argument – Synopsis – Handlung
117 Emanuele Bonomi
Bibliografia
123 Dall’archivio storico del Teatro La Fenice
Wolf-Ferrari: una «calligrafia, manierata e superficiale come una cipria»
a cura di Franco Rossi
136 Biografie
Locandine per due riprese del Campiello al Teatro la Fenice di Venezia; a sinistra quella della prima veneziana del
1939.
il campiello
commedia lirica in tre atti
libretto di Mario Ghisalberti
dalla commedia omonima di Carlo Goldoni
musica di
Ermanno Wolf-Ferrari
prima rappresentazione assoluta: Milano, Teatro alla Scala, 11 febbraio 1936
editore proprietario Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano
personaggi e interpreti
Gasparina Roberta Canzian (28/2, 5, 11/3)
Claudia Pavone (2, 7/3)
Dona Cate Panciana Max René Cosotti
Luçieta Diana Mian (28/2, 5, 11/3)
Anna Viola (2, 7/3)
Dona Pasqua Polegana Nicola Pamio (28/2, 2/3)
Gregory Bonfatti (5, 7, 11/3)
Gnese Patrizia Cigna (28/2, 5, 11/3)
Carolina Lippo (2, 7/3)
Orsola Cristina Sogmaister (28/2, 5, 11/3)
Julija Samsonova Khayet (2, 7/3)
Zorzeto Giacomo Patti
Anzoleto Italo Proferisce
Il cavaliere Astolfi Maurizio Leoni
Fabrizio dei Ritorti Gabriele Bolletta
Stefano Romani
Paolo Trevisi
maestro concertatore e direttore
regia
movimenti coreografici
Claudio Ronda
Orchestra Regionale Filarmonia Veneta
Coro Li.Ve.
danzatori
Compagnia Fabula Saltica
allestimento del Teatro Sociale di Rovigo
progetto «I teatri del Veneto alla Fenice»
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LA LOCANDINA
Orchestra Regionale Filarmonia Veneta
violini Alessandro Simoncini , Lavinia Tassinari , Vicenzino Bonato , Mario Donnoli •, Dan Paun •,
Diana Bezhanova, Michaela Bilikovà, Maria Rosa Cannistraci, Martina Ciullo, Nadia Dal Belin Peruffo,
Cristina Zanolla, Giovanni Furlanetto, Suela Kazazi, Andrea Poli, Damiano Tognetti, Alessandra Vianello,
Monica Zampieri; viole Alessandro Dalla Libera , Luigi Mazzucato •, Francesca Bassan,
Francesca Verga; violoncelli Alberto Barbaro , Giancarlo Giacomin •, Paola Herbertson,
Valentina Migliozzi; contrabbassi Daniele Carnio , Alberto Giovannini •, Stefano Versolato;
arpa Alessia Luise; flauti Claudio Mario Montafia , Alessandra Nocera; ottavino Maddalena Sartor;
oboi Arrigo Pietrobon , Michela Manaigo; clarinetti Daniele Trincanato , Marco Piovesan;
fagotti Francesco Fontolan , Stefano Meloni; corni Massimo Capelli , Lorenzo Meneghetti ,
Alessandro Lando, Davide Trevisan; trombe Fabrizio Mezzari , Francesco Perrone ,
Mariano Morandini; tromboni Alessio Savio , Gabriele Pavani; trombone basso Fabio Rovere;
bassotuba Roberto Ronchetti; timpani Roberto Pasqualato ; percussioni Nicolò Vaiente, Marica Veronese
spalla, concertino, prime parti, • seconde parti
Coro Li.Ve.
soprani Simonetta Baldin, Maria Chieregato, Annalisa Alzanese, Mara Liepina, Silvana Benetti;
mezzosoprani Sandra Pacheco, Liliana Tami, Carlotta Nepoti; contralti Donatella Vigato, Lucia Stevanin,
Sara Magon; tenori Massimo Duo’, Luca Favaron, Marco Gaspari, Antonio Costa, Roberto Zacchini;
baritoni Paolo Dalla Pria, Stefano Lovato; bassi Carlo Bonarelli, Luigi Bianchini
Compagnia Fabula Saltica
Vito Alfarano, Melania Chionna, Ezio Domenico Ferraro, Federica Iacuzzi, Martin Angiuli,
Iunia Bricca, Valentina Soncin, Alessandro Di Marco
Staff del Teatro Sociale di Rovigo
direttore di palcoscenico Federico Bertolani
direttore tecnico
Roberto Lunari
maestri collaboratori Maria Cristina Ciravolo
Gerardo Felisatti
Sabina Baratella
Matteo Fasano
macchinisti / elettricisti Paolo Rando, Fabian Tartari,
Lorenzo Franco, Marco Aurelio Sagredin
capo attrezzista Samantha Pigozzo
capo sarta Mirella Magagnini
sarta Maria Magagnini
trucco e parrucco Donatella Zancanaro, Monica Salomoni,
Giovanna Almi, Riccardo De Agostini
maestro alle luci
capo macchinista
scene
costumi e calzature
parrucche
Scenografie Sormani-Cardaropoli Srl (Milano)
Milanese Maria Luigia (Oderzo)
Mario Audello (Torino)
Un campiello immerso in una luce irreale…
Con questo numero dedicato al Campiello, «La Fenice prima dell’Opera» fa un ulteriore passo in avanti nella bibliografia dedicata a Ermanno Wolf-Ferrari, dopo le due
uscite precedenti dedicate ai Quatro rusteghi (2005-2006, 3) e alla Vedova scaltra
(2007, 2). Tre titoli operistici importanti su altrettanti capolavori teatrali di Carlo Goldoni meritavano una specifica riflessione sul rapporto fra uno dei veneziani imprescindibili per la cultura di tutti i tempi e il teatro musicale seriore. Se ne occupa, nel secondo saggio di questo volume, Federico Fornoni, che traccia un itinerario denso
d’interesse: dalla Locandiera di Rutini e Artusi (Firenze, carnevale 1800) al Signor Goldoni di Melega e Mosca, nel quadro delle celebrazioni del tricentenario della nascita
(2007), passando per Malipiero e, naturalmente, per Wolf-Ferrari.
Nemo propheta in patria, dice il proverbio: e Venezia non fu prodiga di applausi per
il suo concittadino, anzi stroncò in maniera inoppugnabile Cenerentola, il suo debutto
teatrale (1900), e accolse solo una prima assoluta delle cinque opere tratte da Goldoni
(Gli amanti sposi nel 1925, dal Ventaglio).1 In compenso ne sfruttò, all’occorrenza, la
forte connotazione locale, come nota Giovanni Morelli, anche in questa circostanza
acuto osservatore della realtà storica lagunare:
Con il tirare delle prime aure del «rinascimento fascista», a partire dal ’22 […] si profilò un
piccolo tentativo di ripresa. Il Comitato cittadino era ancora una volta costituito più da classici «bei nomi» dell’aristocrazia lagunare […] che non da nuove personalità rappresentative
della nuova nazionalità; per pochi anni ancora, senza rinnovare alcunché, il nuovo organo di
gestione si adattò a riapplicare, più o meno pari pari, il solito modello della presentazione di
opere prese supinamente a prestito dal giro di una o più compagnie impresariali (appena appena guarnendo le stagioni di piccola routine con l’aggiunta, di fatto talora non poco impopolare in platea e in galleria, di qualche «novità», più precisamente, quasi sempre di qualche
opera di un compositore vivente e possibilmente genio in loco – Wolf-Ferrari, Cattozzo, Bianchini). Così che quando si trattò di solennizzare in Fenice, nel 1923, la prima visita veneziana
di Mussolini primo ministro, senza attingere ad alcuno dei peraltro molti bazar tematici della
1 Quando il Teatro riaprì nel 1938 Wolf-Ferrari si offese a morte perché la dirigenza non aveva preso in considerazione il suo Campiello, e protestò in maniera vibrante negli ambienti ministeriali romani, ma invano (cfr. lettera a Vardanega, 5 marzo 1938, in ADRIANO LUALDI, Tutti vivi, Milano, Dall’Oglio, 1955, p. 424). L’opera andò
in scena l’anno dopo (si veda in proposito la cronaca dall’Archivio storico di Franco Rossi), ma venne stroncata
sulla «Gazzetta di Venezia» (si legga un corposo estratto dell’articolo alle pp. 128-129).
8
MICHELE GIRARDI
rivoluzione mussoliniana, senza tentare espressioni persuasive degli appeals della razza nazionale, senza dimostrare la capacità di Venezia di saper fascistizzare la propria locale, altra chance non risulta praticabilmente offrirsi agli ospiti lagunari se non quella del cedimento alla tentazione di esibire e offrire al duce una consuetudinaria passione nazional-vernacola passatella,
condensatasi nel giro di non molti anni, sino a un certo grado di sublimità ampiamente recepita (in specie fuori d’Italia, nei teatri austriaci e bavaresi) nella più «riuscita» delle commedie
goldoniane di Wolf-Ferrari (I quatro rusteghi).2
Ma Ermanno Wolf, poi anche Ferrari (affiancò il cognome della madre a quello paterno nel 1895) di patrie ne aveva ben due, e la Germania lo ripagò abbondantemente,
fin dal suo primo lavoro goldoniano Le donne curiose, che esordì a Monaco di Baviera, tradotto in tedesco col titolo Die neugierigen Frauen, nel 1903. Della ricezione del
compositore, in particolare nella sua seconda patria, anche in relazione al concetto di
«popolare», si occupa nel saggio d’apertura Carlo Vitali, autore di un’importante ricerca storica originale che prende le mosse dalla ricezione di Goldoni negli anni delle
dittature.
Rimandiamo il lettore curioso alle pagine seguenti, che mettono in luce alcune valenze, sinora trascurate dalla critica, di quel folclore veneziano che infiora l’arte scenica di Wolf-Ferrari. Un’arte che i pennivendoli del tempo difendevano a spada tratta perché espressione «di uno stile che s’allaccia al più glorioso passato, ma rivissuto in una
interiorità profonda e riconoscibile al primo istante».3 Un’arte in grado di ispirare sentimenti superiori a ‘filosofi’ come il senese Giulio Cogni, fra i primi a esaltare la svolta
razzista del regime, dopo averla precorsa:
Or non è molto, diceva un ascoltatore a una prova del Campiello a Roma: «Quanta pace dà
questa musica!». «Quanta pace!» è l’espressione esatta. Il pubblico si allieta in essa come calamitato di desiderio, perché cerca sempre qualcosa che pasca interamente il suo animo e lo
porti via dalle cure del giorno. Quando le armonie non son buone e non sono pure, subentra
un fastidio interiore, come per cose che non stanno insieme. Quando la melodia musicale è soltanto una cosa piacevole, allora il godimento è grasso, e, nonostante la piacevolezza, nell’anima non c’è alcuna pace né armonia.4
Michele Girardi
2 GIOVANNI MORELLI, La musica, in Storia di Venezia. L’Ottocento e il Novecento, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2002, pp. 2129-2185: 2165-2166.
3 RAFFAELLO DE RENSIS, Ermanno Wolf-Ferrari: la sua vita d’artista, Milano, Treves, 1937, p. 100.
4 GIULIO COGNI, Ermanno Wolf-Ferrari uomo, introduzione biografica a ERMANNO WOLF-FERRARI, Considerazioni attuali sulla musica, Siena, Ticci, 1943, p. 11. Cogni scrisse un Saggio sull’amore come nuovo principio
d’immortalità (Torino, Bocca, 1932) in cui introdusse il pensiero biologico razzista nella cultura e nella scienza italiana. In questo quadro il riferimento a armonie «pure» mi sembra inquietante.
Il campiello al Teatro Sociale di Rovigo, febbraio 2014; regia di Paolo Trevisi. Foto Leonardo Battaglini. In scena,
sopra (I): Maurizio Leoni (il cavaliere Astolfi), Claudia Pavone (Gasparina); sotto (II): Anna Viola (Luçieta), Carolina Lippo (Gnese), Giacomo Patti (Zorzeto), Max René Cosotti (Dona Cate), Gregory Bonfatti (Dona Pasqua).
L’allestimento è riproposto al Teatro Malibran di Venezia nell’ambito del progetto «I teatri del Veneto alla Fenice».
Il campiello al Teatro Sociale di Rovigo, febbraio 2014; regia di Paolo Trevisi. Foto Leonardo Battaglini. In scena
(II): Claudia Pavone (Gasparina), Maurizio Leoni (il cavaliere Astolfi). L’allestimento è riproposto al Teatro Malibran di Venezia nell’ambito del progetto «I teatri del Veneto alla Fenice».
Il campiello al Teatro Sociale di Rovigo, febbraio 2014; regia di Paolo Trevisi. Foto Leonardo Battaglini. In scena
(III), sopra: Italo Proferisce (Anzoleto), Anna Viola (Luçieta); sotto: Italo Proferisce (Anzoleto), Giacomo Patti
(Zorzeto), Julija Samsonova (Orsola). L’allestimento è riproposto al Teatro Malibran di Venezia nell’ambito del
progetto «I teatri del Veneto alla Fenice».
Il campiello al Teatro Sociale di Rovigo, febbraio 2014; regia di Paolo Trevisi. Foto Leonardo Battaglini. In scena
(III), sopra: Italo Proferisce (Anzoleto), Anna Viola (Luçieta), Max René Cosotti (Dona Cate), Julija Samsonova
(Orsola), Maurizio Leoni (il cavaliere Astolfi), Giacomo Patti (Zorzeto), Gregory Bonfatti (Dona Pasqua), Carolina Lippo (Gnese); sotto: Gabriele Bolletta (Fabrizio dei Ritorti), Julija Samsonova (Orsola), Claudia Pavone (Gasparina), Anna Viola (Luçieta), Italo Proferisce (Anzoleto), Maurizio Leoni (il cavaliere Astolfi). L’allestimento è
riproposto al Teatro Malibran di Venezia nell'ambito del progetto «I teatri del Veneto alla Fenice».
Carlo Vitali
Chi è «popolare»?
L’azione di questa Commedia è semplicissima, l’intreccio è di poco impegno, e la peripezia non
è interessante; ma ad onta di tutto ciò, ella è stata fortunatissima sulle scene in Venezia non solo, ma con mia sorpresa in Milano fu così bene accolta, che si è replicata tre volte a richiesta
quasi comune. La mia maraviglia fu grande, perché ella è scritta coi termini più ricercati del
basso rango e colle frasi ordinarissime della plebe, e verte sopra i costumi di cotal gente, onde
non mi credeva che fuori delle nostre lagune potesse essere intesa, e così bene goduta. Ma vi è
una tal verità di costume, che quantunque travestito con termini particolari di questa Nazione, si conosce comunemente da tutti.
I versi di questa Commedia sono dissimili da tutti gli altri che si leggono ne’ miei tomi e che
corrono alla giornata. Questi non sono i soliti martelliani, ma versi liberi di sette e di undici
piedi, rimati e non rimati a piacere, secondo l’uso dei drammi che si chiamano musicali. Una
tal maniera di scrivere pare che non convenga all’uso delle Commedie, ma il linguaggio veneziano ha tali grazie in se stesso, che comparisce in qualunque metro, ed in questo precisamente mi riuscì assai bene.1
Quello che Goldoni si attribuisce con lucido orgoglio a proposito del Campiello (debutto: Venezia, Teatro di San Luca, 19 febbraio 1756, nella stagione di carnevale) è un
piccolo miracolo. Un successo improbabile ottenuto con l’innesto di due ingredienti eterogenei quali il massimo del naturalismo nel contenuto e il massimo dell’artificio nella
forma. Vien da domandarsi: come sarebbe stata l’ipotetica opera buffa che lui e il compatriota Galuppi – a quell’epoca in piena collaborazione – ne avrebbero potuto ricavare senza troppa fatica? Perché non lo fecero? Di più: bisognava per forza aspettare gli
anni trenta del Novecento per avere un Campiello in musica, quando la cronistoria
operistica annovera a decine i traghettamenti dall’una all’altra Musa, sia prima sia dopo la morte del drammaturgo veneziano che, non lo si scordi, fu anche librettista di lungo corso? Sull’argomento esiste una bibliografia secolare, almeno dal 1898 al 1984 e
oltre.2
1 L’Autore a chi legge, prefazione al Campiello in CARLO GOLDONI, Opere, a cura di Filippo Zamieri, Napoli, Ricciardi, pp. 457-538: 462 (edizione conforme alla princeps). La sottolineatura è mia.
2 CESARE MUSATTI, Drami [sic] musicali di Goldoni e d’altri tratti dalle sue commedie, «Ateneo Veneto», XXI,
1898; PAOLO GALLARATI, Musica e maschera: il libretto italiano del Settecento, Torino, EDT, 1984. Nell’intervallo
si colloca una congerie di contributi, ora generali ora strettamente monografici, firmata dai più illustri italianisti e
musicologi.
14
CARLO VITALI
Giambattista Piazzetta (disegnatore; 1682-1754) - Marco Alvise Pitteri (incisore; 1702-1786), ritratto di Carlo
Goldoni.
CHI È
«POPOLARE»?
15
Lo stesso Campiello di Wolf-Ferrari appare solo nel 1936 a conclusione di un personale revival goldoniano che si era iniziato nel 1903 con Le donne curiose per proseguire coi Quatro rusteghi (1906), Gli amanti sposi (1925, dal Ventaglio; soggetto già
musicato da Emilio Usiglio nel 1879) e La vedova scaltra (1931); anche di una Bona
mare rimasta allo stato di progetto si parla nella copiosa letteratura biografica.3 In teoria il 1936 sembrava il momento meno adatto per una simile operazione auto-epigonica, sostanzialmente estranea alla cifra corrosiva del pastiche neoclassico assunto a pretesto per parlare del presente, quale fu praticato ad esempio da Prokof’ev con la
Sinfonia classica, da Busoni con l’Arlecchino (1917), da Stravinskij più di una volta –
dal Pulcinella del 1920 fino a The Rake’s Progress del 1951.
Forse coglie nel segno il bolzanino Herbert Rosendorfer (1934-2012), intellettuale
di due culture come il nostro musicista, definendo Il campiello «la più veneziana di tutte le opere di Wolf-Ferrari» e «un Cantico dei Cantici (ein Hohelied) alla vecchia Venezia di Goldoni»;4 insomma una mimesi antiquaria di secondo grado destinata al successo in grazia della sua amabile innocuità in un’epoca di totalitarismi intenti a
preparare nuovi uragani di ferro e di sangue. O forse no, perché proprio in quegli anni il goldonismo stava tornando di moda quale arma impropria in quella che un tempo si chiamava la battaglia delle idee, e non solo – diremmo anzi: non prevalentemente – nel teatro di guerra italiano. Per chi si occupa di creazione scenica, la mimesi
comporta opportunità e rischi: il gradimento popolare, certo, ma anche un arruolamento d’ufficio cui non vale opporre l’obiezione di coscienza.
Intorno al 1930 la linea del fronte nella plurisecolare «guerra dei due Carli» era ancora ferma al 1797, quando la neonata Repubblica cisalpina, allentata la censura preventiva sulla stampa, consentì al ci-devant conte Gozzi di eruttare le sue esplicite quanto tardive accuse di sovversione politico-letteraria contro il citoyen Goldoni, morto
quattro anni prima in quella Parigi rivoluzionata dov’era emigrato sin dal 1765 al servizio di una corte assolutista.
In tale requisitoria il capo d’accusa più pesante è di natura politica:
3 Per i dettagli su vita e opere di Ermanno Wolf-Ferrari, oltre agli spogli della stampa periodica, ci siamo serviti delle seguenti monografie: ERNST LEOPOLD STAHL, Ermanno Wolf-Ferrari, Salzburg, Kiesel, 1936 (Festschrift
per il sessantesimo compleanno con appendice di contributi firmati da Paul Graener, Felix Weingartner, Siegmund
von Hausegger, Max Steinitzer e altri); RAFFAELLO DE RENSIS, Ermanno Wolf-Ferrari: la sua vita d’artista, Milano, Treves, 1937 (biografia autorizzata); ALEXANDRA CAROLA GRISSON, Ermanno Wolf-Ferrari. Autorisierte Lebensbeschreibung. Mit einem Anhang. Betrachtungen und Aphorismen von Ermanno Wolf Ferrari, Regensburg,
Bosse, 1941 (biografia autorizzata nella collana «Von deutscher Musik») e seconda edizione denazificata: Ermanno Wolf-Ferrari, Leipzig-Wien-Zürich, Amanthea, 1958; ERMANNO WOLF-FERRARI, Considerazioni attuali sulla
musica, Siena, Ticci, 1943; In memoria di Ermanno Wolf-Ferrari, Siena, Ticci, 1948 (nella collana «Quaderni dell’Accademia Chigiana»); WILHELM PFANNKUCH, Das Opernschaffen Ermanno Wolf-Ferraris, tesi di dottorato,
Christian-Albrechts-Universität zu Kiel, 1952; ADRIANO LUALDI, Tutti vivi, Milano, Dall’Oglio, 1955 (pp. 253-278
e 377-426); Ermanno Wolf-Ferrari, a cura di Peter Hamann, Tutzing, Schneider, 1986 (nella collana «Komponisten in Bayern»). Buona parte di queste fonti è anche consultabile in estratto e/o in facsimile sull’eccellente portale web di Laureto Rodoni: http://www.rodoni.ch/busoni/wolfbusoni/.
4 HERBERT ROSENDORFER, Ermanno Wolf Ferrari: Wanderer zwischen den Welten, «Opernwelt», 6, 2006, p.
54. Quando non diversamente specificato le traduzioni sono mie.
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CARLO VITALI
nelle sue produzioni sceniche egli aveva frequentemente addossati le truffe, le barerie, e il ridicolo a’ suoi personaggi nobili, e le azioni eroiche serie e generose a’ suoi personaggi della plebe […] con un pubblico mal esempio contrario all’ordine indispensabile della subordinazione.
Ma nemmeno era da sottovalutare l’attentato goldoniano al decoro letterario, concessagli però un’attenuante a denti stretti:
uno scrittore italiano (levatolo dal dialetto veneto del volgo nel quale era dottissimo) da porre nel catalogo de’ più goffi, bassi, e scorretti scrittori del nostro idioma.
L’eccezione dialettale, opinava il Gozzi, vale soprattutto per il blocco «delle Farse nazionali», costruite
ricopiando le baruffe di Chioggia, de’ Campielli, delle Massaje, ed altre simili bassezze popolari, le quali assolutamente nella loro trivialità niente letteraria, erano stati i migliori suoi guazzetti scenici, e d’una tempera d’avere vita più lunga in sul teatro degl’altri innesti suoi.
«Ricopiando le baruffe»; dunque con una scrittura di realismo servile e basso-mimetico, quasi da etnolinguista ante-litteram cui mancasse solo il magnetofono:
in vero egli aveva un’abilità indicibile d’innestare tutti i dialoghi in dialetto veneziano, che ricopiava con immensa fatica manuale nelle famiglie del basso popolo, nelle taverne, nelle biscaccie, a’ tragitti [traghetti], ne’ caffè, nelle casipole a pian terreno, e ne’ più nascosti vicoli di
Venezia.5
Cosa non pagheremmo oggi per possedere e pubblicare quei taccuini goldoniani?
Sono invece pubblicati, in edizione critica e non critica, i quaderni del carcere di Antonio Gramsci, dove leggiamo la seguente annotazione databile tra il novembre 1930 e il
gennaio 1932:
Goldoni. Perché il Goldoni è popolare anche oggi? Goldoni è quasi ’unico’ nella tradizione letteraria italiana. I suoi atteggiamenti ideologici: democratico prima di aver letto Rousseau e della Rivoluzione francese. Contenuto popolare delle sue commedie: lingua popolare nella sua
espressione, mordace critica dell’aristocrazia corrotta e imputridita.
Conflitto Goldoni-Carlo Gozzi. Gozzi reazionario. Le sue Fiabe, scritte per dimostrare che
il popolo accorre alle più insulse strampalerie, e che invece hanno successo: in verità anche le
Fiabe hanno un contenuto popolare, sono un aspetto della cultura popolare o folclore, in cui
il meraviglioso e l’inverosimile (presentato come tale in un mondo fiabesco) è parte integrante. (Fortuna delle Mille e una notte anche oggi, ecc.).6
Brillante rovesciamento dialettico: popolari l’uno e l’altro se guardati dal versante oggettivo della ricezione, e non dalle soggettive intenzioni dell’autore, progressive o reazionarie che fossero. Ma la voce di Gramsci era silenziata dalla dittatura fascista, idro5 CARLO GOZZI, Memorie inutili […] scritte da lui medesimo e pubblicate per umiltà. Parte prima, Venezia,
Palese, 1797, cap. XXXV, pp. 267, 280.
6 ANTONIO GRAMSCI, Quaderni del carcere, quad. 6, nota 153; databile fra novembre 1930 e gennaio 1932
secondo la proposta di Gianni Francioni. Nella prima edizione delle Opere curata da Felice Platone sta nel vol. 6:
Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1951, p. 71.
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vora della banalità e del consenso come tutte le dittature. I suoi messaggi in bottiglia
furono aperti solo nel secondo dopoguerra, sicché per fotografare lo stato della questione goldoniana negli anni trenta del Novecento – sia pure sotto l’angolo ristretto delle «farse nazionali» e del Campiello in particolare – ci converrà guardare altrove.
1. Goldoni nell’antro dei dittatori
Nell’URSS, volgendo ormai al termine la libertà di sperimentazione drammaturgica fiorita nel quindicennio post-rivoluzionario, la visione teorica ufficiale era quella espressa
da Aleksej Dzivelegov, dantista e traduttore di vari titoli goldoniani, tra cui Le baruffe
chiozzotte. Dzivelegov interpretava Goldoni come un antecedente storico per la linea
tattica del «blocco del popolo»: alleanza della borghesia illuminata e del proletariato
contro le aristocrazie decadenti.
Nelle commedie di Goldoni la borghesia italiana è una classe estremamente sana, sia
moralmente, sia intellettualmente, e dallo strato alto fino a quello basso. Goldoni
idealizza non solo il ricco mercante, ma anche l’artigiano, la locandiera, il negoziante, il gondoliere, i contadini, le loro donne e ragazze (caratteristica soprattutto
Bettina ne La putta onorata).7
Peraltro, nemmeno alle Fiabe del conte Gozzi, riconosciuto quale fiero partigiano dell’antico ordine sociale, si nega in assoluto la qualifica di «popolare», sebbene in una diversa e più modesta accezione:
In termini di concezione, le opere sceniche di Gozzi sono grottesche […]. Hanno però una sorta di verità artistica, del tutto priva di elementi naturalistici ma sufficientemente convincente
grazie al loro stretto contatto con l’autentica vita veneziana. Nei lavori di Gozzi c’è un’unità
creata da un elemento comico che proviene dalle vecchie maschere della Commedia dell’Arte.8
Tirando le somme: secondo Dživelegov, Goldoni entra stabilmente nel canone della
Weltliteratur come «Molière italiano» e portavoce di una borghesia nazionale ancora
progressista, mentre la fama del suo rivale, esclusivamente provinciale e legata a fattori irripetibili, si estinguerà con la fine della decadente Repubblica oligarchica. Tuttavia,
esaminando la loro fortuna teatrale recente, lo studioso sovietico doveva prendere atto di una prepotente rimonta del Gozzi anzitutto «a causa degli esperimenti teatrali in
Russia», e citava: «L’amore delle tre melarance (Mejerchol’d), La donna serpente
(Mcedelov), Turandot (Vachtangov)», nonché le opere di Casella e di Prokof’ev. L’elenco è imbarazzante non solo per le assenze eccellenti delle Turandot di Busoni e di Puc-
7 ALEKSEJ DZIVELEGOV, voce «Goldoni, Carlo», in Literaturnaja nciklopedija, II Moskva, Izdatel’stvo Kommunisticeskoj Akademii, 1929. Dzivelegov sviluppò ulteriormente le sue concezioni in chiave marxista col saggio
Karlo Gol’doni i ego komedij (C. G. e le sue commedie, 1933), accessibile in traduzione italiana su: «Rassegna sovietica», IV, 9, 1953, pp. 9-32, e infine nel volume postumo Ital’janskaja narodnaja komedija (La commedia popolare italiana), Moskva, Izdatel’stvo Akademii Nauk SSSR, 1954.
8 DZIVELEGOV, voce «Gozzi, Carlo», ivi, ibidem.
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cini – anteriori alla Donna serpente di Casella (1932) – ma anche per la sorte toccata
ad alcuni protagonisti di quella stagione sperimentale dopo la normalizzazione staliniana sotto la bandiera del realismo socialista, issata per l’appunto nel 1932-1934.
Sotto gli strali della burocrazia culturale cadde altresì la multiforme varietà degli allestimenti goldoniani originati nel quindicennio precedente: dall’avanguardismo acrobatico di Tairov (Il ventaglio, 1915) al calligrafismo di Chochlov (La vedova scaltra,
1927), passando per Karpov (La locandiera, 1921), Benois (Il servitore di due padroni, 1921), Solov’ëv (Le baruffe chiozzotte, 1924). Nemmeno l’anziano Stanislavskij,
maestro di Vachtangov e bersaglio di concentrici attacchi «da destra» e «da sinistra»,
sfuggì nel 1933 alle reprimende per il suo ennesimo rifacimento di una Locandiera che
datava al 1914. Troppa psicologia, troppo naturalismo e poca indignazione di classe,
si scrisse. Di un allestimento leningradese dei Rusteghi, pure datato al 1933, non sono
riuscito a trovare maggiori informazioni.9
Nello stesso annus horribilis, con la presa del potere da parte di Hitler, cominciava
anche in Germania una nuova fase della fortuna critica goldoniana. Dal 1° gennaio
1933 alla chiusura per ragioni belliche di tutti i teatri tedeschi, decretata da Goebbels
il 1° settembre 1944, i due commediografi stranieri più rappresentati furono sorprendentemente, con 147 allestimenti unici ciascuno, Goldoni e Oscar Wilde.10 Per il secondo è chiaro il movente propagandistico: deridere la vacuità e la degenerazione della nemica borghesia britannica, mentre per Goldoni – di solito rappresentato nelle
ingessate traduzioni moderne di Fritz Knöller – la chiave di ricezione si faceva più cauta man mano che la crescente convergenza strategica fra le dittature nazista e fascista
imponeva di silenziare le formulazioni più radicali della cosiddetta Rassenseelenkunde
(psicologia razziale). Ad esempio il «Berliner Tageblatt» del 14 febbraio 1934 metteva
in guardia contro gli scritti del medico militare e ricercatore indipendente Hermann
Gauch, il quale aveva definito l’uomo «non-nordico», l’italiano esplicitamente incluso,
come una via di mezzo fra l’uomo e la scimmia.11
Viceversa, l’accreditato breviario di teoria razziale redatto da Wolfgang Abel alla vigilia delle leggi di Norimberga si limitava a descrivere la «westische (mediterrane) Rasse», entro cui faceva ricadere la maggior parte degl’Italiani, come una sottospecie aria9 Si attribuisce in genere a Gor’kij la definizione del canone di «realismo socialista», contenuta nella sua relazione al primo Congresso pansovietico degli scrittori (Mosca 1934). Tuttavia il termine aveva già esordito il 23
maggio 1932 in un articolo della «Literaturnaja gazeta» firmato dal presidente del Comitato organizzativo dell’Unione degli scrittori sovietici: Ivan Gronskij detto «Fedulov», cui nel 1938 toccheranno 16 anni di confino per
aver permesso la pubblicazione di autori non in regola con quello stesso canone, quali Pasternak, Babel’, Olesa,
Mandel’stam, Pil’njak. Sul panorama teatrale sovietico nella transizione allo stalinismo si veda NIKOLAI A. GORCHAKOV, The Theater in Soviet Russia, New York, Columbia University Press, 1957.
10 WILLIAM GRANGE, Foreign-Language Comedy Production in the Third Reich, «Metamorphoses: A Journal
of Literary Translation», IX/1, primavera 2001, pp. 179-196.
11 HERMANN GAUCH, Neue Elemente der Rassenforschung, Leipzig, Klein-Verlag, 1933. Sulle censure sofferte in patria da questo ‘pensatore’ iper-razzista riferì con compiacimento la stampa americana (cfr. Innocents
Abroad, «The Cornell Daily Sun» del 23 marzo 1934, p. 6, e Reich Bans Book Calling Italian People Half Ape,
«The New York Times», 8 dicembre 1934, p. 8).
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na di seconda scelta. Quanto a prestanza fisica, «eine verkleinerte nordische Rasse»
(una razza nordica rimpicciolita); fra le sue qualità spirituali si elencavano: vivacità, instabilità di opinioni, vuote formule di cortesia, passionalità, loquacità, abbigliamento
multicolore, talento artistico più spontaneo che profondo, amore per il teatro e – va da
sé – «senso di verità e di onore più limitato rispetto all’uomo nordico».12
Così ad ogni nuovo allestimento goldoniano, barcamenandosi fra stereotipi turistici e delirio di superiorità etnica tenuto a freno dall’opportunità politica, ogni critico teatrale del Terzo Reich era tenuto a praticare una sorta di analisi del sangue su autore,
attori e regista. Si cercava di stabilire quanto di «autenticamente mediterraneo» e quanto di confacente allo «spirito tedesco» fosse presente di volta in volta. In un tentativo
di nobilitazione genetica post-mortem, si accostava Goldoni non più a Molière, come
d’uso prima del 1933, ma addirittura a Shakespeare, il presunto «emancipatore dello
spirito nordico». In obbedienza alle direttive di un Partito unico che proclamava «il
trionfo della volontà sulla ragione», sul drammaturgo veneziano presero a circolare volonterose ma poco razionali chimere come «nordicamente mediterraneo» o «Shakespeare nordicamente italianizzato».
Dai cieli della teoria alla pratica teatrale concreta, si rileva come i titoli goldoniani
di gran lunga più frequentati in quell’epoca fossero La locandiera, ribattezzata Mirandolina, e Il servitore di due padroni. Rispetto al secondo, l’approccio registico si polarizzava nel Truffaldino di due celebri mattatori: Rudolf Platte, in stile cabarettistico
post-weimariano con ritmi incalzanti, molta pantomima, gags a base di spaghetti volanti (Berlino 1936), contro Wilfried Seyferth (Berlino 1944), sospeso fra clownerie gioioso-ingenua e lunari malinconie alla Pierrot. In margine si segnala l’esistenza di una
libera trasposizione librettistica di Arthur Kusterer (1898-1967), un oscuro Kapellmeister indipendente che la musicò come opera in tre atti e riuscì a farla rappresentare nel
1936.13 Avremo modo di riparlarne brevemente più avanti. Per Mirandolina, due allestimenti esemplari lodati dalla stampa di regime furono quello folklorizzante del citato
traduttore-regista Fritz Knöller (Monaco 1940) e quello tardo-espressionista di Richard
Weichert (Berlino 1942), con musiche di scena italianizzanti appositamente composte
da Kurt Heuser.
E in Italia? A differenza dei suoi allievi d’oltralpe, l’inventore del brand totalitario si
affannava assai meno a sancire una linea ortodossa di pensiero estetico. Nell’Italia idealista del Regime si affrontano due letture goldoniane che spaccano trasversalmente i
campi crociano e gentiliano, coinvolgendo perfino critici di origine israelita. Sul fronte
ex-professo «fascista», concordando parzialmente con l’approccio di crociani come Attilio Momigliano ed Eugenio Levi, il gentiliano Edmondo Rho non si peritava di affermare in un saggetto del 1932:
12
7-18.
WOLFGANG ABEL, Die Rassen Europas und das Deutsche Volk, «Der Schulungsbrief», I/4, giugno 1934, pp.
13 ARTHUR KUSTERER, Diener zweier Herren. Oper in drei Akten (frei nach Goldoni), Karlsruhe, ediz. dell’Autore, 1935 (riduzione pianistica).
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Ed ecco finalmente il poeta al tribunale del gusto contemporaneo in un momento a lui propizio, quando cioè gli artisti del Novecento, peccatori contriti ma incorreggibili, incominciano a
sospirare dal loro tormentoso inferno il perduto Eden dell’armonico Settecento. […] Io stesso,
non giunto ancora alla concezione di un Goldoni risolvente tutta la vita in teatro, cercai in un
mio saggio di sviluppare il motivo del Momigliano, rivendicando al poeta un lirismo che si effonde in musica pura.14
E tuttavia, ancora quattro anni dopo e in un volume di più ampia lena saggistica, il Rho
faceva grandinare metafore musicali parlando di un «Goldoni sinfonista», corale, melodico, procedente per duetti, quartetti, concertati, canti a gola spiegata e simili. Significativo questo passaggio, particolarmente mirato a lavori come Le baruffe chiozzotte
e Il campiello:
Teatro di massa! Teatro collettivo, e, anche perciò, teatro d’oggi. Paiono simboleggiarne la legge le frequenti baruffe che, iniziate con vivace contrappunto psicologico, perdono via via di
asprezza nel gioco canoro, mutando la gragnuola delle ingiurie in lieto concertato; ma, con più
ascoso e sottile trapasso, in tutte le grandi commedie goldoniane le disarmonie si trasformano
in ebbre danze di mediterranea levità.15
Ma a tutti – al gentiliano rampante non meno che ai propri seguaci non ariani, silenziandi da lì a un anno mediante le leggi razziali mussoliniane – dava sulla voce nel 1937
Don Benedetto in persona con desolante boria professorale: il «realismo» in arte non
esiste come non esiste il «teatro puro» (tanto meno sotto le specie di teatro musicale o
di cinematografo, due forme d’arte per le quali il Croce nutriva stima assai tiepida). Per
lui il vero Goldoni restava quello rivelato dal De Sanctis: «un artista dall’ilare visione
degli affetti e difetti umani», un galantuomo «sollecito di onestà e di bontà […]. Alla
poesia, propriamente detta, non s’innalza». Ipse dixit, sicché tutte queste «scoperte
estetiche» alla moda erano pseudo-problemi messi in circolazione da giovani studiosi
modernisti inclini al paradosso brillante.16
2. Mozart mit uns! Ermanno Wolf-Ferrari dallo zenith al crepuscolo del Terzo
Reich
Da quanto finora esposto ci pare di poter ipotizzare che intorno al 1935 esistesse in Occidente uno Zeitgeist assai propizio ad un’interpretazione «di destra» – vale a dire formalistica, coreutica e paraoperistica – dell’eredità goldoniana. Nel 1932, parecchio
tempo dopo il debutto viennese del 1924, Il servitore di due padroni con regia di Max
Reinhardt e musiche di scena tratte da Mozart approdava con successo al Lirico di Milano. Singolare roll-back destinato a sollevare anche da noi una scia d’imitazioni: la più
14 EDMONDO RHO, Ritorno al Goldoni, «Leonardo. Rassegna bibliografica mensile», III, 10, ottobre 1932, pp.
433-436.
15 ID., La missione teatrale di Carlo Goldoni, Bari, Laterza, 1936, p. 17.
16 Benedetto Croce, recensione al volume precedente, «La Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia diretta da B.C.», 35, 1937, pp. 72-74.
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Ermanno Wolf-Ferrari in una fotografia degli anni trenta. Venezia, Archivio storico del Teatro La Fenice.
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cospicua sembra il dittico goldoniano allestito da Renato Simoni e Guido Salvini (già
assistente di Reinhardt) per la Biennale veneziana del 1936, con Le baruffe chiozzotte
in Campo San Cosmo alla Giudecca e Il ventaglio in Campo San Zaccaria.17
Resta da capire perché una simile ondata di ritorno non giovasse granché a rilanciare nell’establishment culturale italiano le fortune dei veneziani Malipiero e Wolf-Ferrari, che pure di benemerenze goldoniane ne avevano già parecchie in curriculum. Anzi, principalmente contro Malipiero (e Casella) si appuntò la poco edificante baruffa
scatenata dagli autoproclamati cani da guardia dell’arte nazionale al grido «la mia musica è più fascista della tua!».
In calce al Manifesto di musicisti italiani per la tradizione dell’arte romantica
dell’800, pubblicato simultaneamente il 17 dicembre 1932 su «Corriere della Sera»,
«La stampa» e «Il popolo d’Italia», al trio dei nobili firmatari Respighi, Pizzetti e Zandonai, già riconosciuti a livello internazionale, si aggiungeva una pattuglia di manganellatori armonici in cerca di medaglie come Giuseppe Mulè, Alceo Toni, Riccardo
Pick-Mangiagalli, Guido Guerrini, Gennaro Napoli e Guido Zuffellato. Rumorosamente assenti i nomi dei fascistissimi modernisti Ennio Porrino e Adriano Lualdi;
quest’ultimo devoto allievo di Wolf-Ferrari e presidente del Comitato esecutivo della
Biennale. E assente a tutti i livelli lo stesso Wolf-Ferrari, ormai considerato fuori giurisdizione in quanto residente da un decennio a Monaco di Baviera pur senza rinunciare al passaporto italiano né a frequenti scappate a sud delle Alpi. Nella zuffa entrarono in breve le firme più illustri della critica militante (Fedele d’Amico, Andrea Della
Corte, Franco Abbiati), nonché letterati di gran fama come Pirandello, Papini e Bontempelli, ma in ultima analisi si trattò di tempesta in un bicchier d’acqua che lasciò le
cose come stavano, visto che il Duce, pur avendo autorizzato la pubblicazione del Manifesto sul «Popolo d’Italia» di cui era direttore, liquidò la faccenda senza rilasciare patenti di monopolio artistico ad alcuno, fosse futurista, antichista o neoromantico.18
L’opera in musica non gli pareva affare di Stato nell’Italia fascista.
Diversamente andavano le cose in Germania. Lo rivela quel «caso Hindemith» malignamente travisato da Adorno in un necrologio alla rovescia,19 mentre un esame
spassionato della vicenda successiva al debutto negato di Mathis der Maler nel 19341935 condurrebbe a conclusioni diverse. A Hindemith non si perdonavano i trascorsi
nell’avanguardia espressionista, lo scandalo mistico-erotico della Sancta Susanna
(1921), la collaborazione coi comunisti Kurt Weill e Bertolt Brecht al radiodramma
Der Lindberghflug (Il volo di Lindbergh, 1929), per non parlare del suo matrimonio
17 Cfr. FERDINANDO PALMIERI, «Il ventaglio» inscenato da Simoni fra il cielo splendente e le pietre illustri, «Il
corriere della Sera», 15 luglio 1936.
18 Un’ampia analisi della vicenda è offerta da THOMAS SEBASTIAN VITZTHUM, «Nazionalismo e Internazionalismo». Ottorino Respighi, Alfredo Casella und Gian Francesco Malipiero und die kulturpolitischen Debatten zwischen 1912 und 1938 in Italien, tesi di dottorato, Università di Regensburg, Philosophische Fakultät, 2007.
19 THEODOR W. ADORNO, Ad vocem Hindemith: Eine Dokumentation, in Gesammelte Schriften, 17, Frankfurt/M, Suhrkamp, 1997, pp. 210-246.
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non ariano. Il Führer in persona, wagneriano e pudibondo com’era, lo aveva preso in
odio dopo aver assistito a una recita di Neues vom Tage (1929), dove una soprano in
calzamaglia rosa cantava le lodi dell’acqua crogiolandosi nella vasca da bagno. Il libretto del Mathis gettò olio sul fuoco: rievocare un falò di libri eretici nella Germania
di Lutero pareva un’ennesima provocazione appena un anno dopo gli analoghi roghi
delle SA naziste.
Furtwängler difese Hindemith a spada tratta in un articolo tecnico pubblicato il 25
novembre 1934 sulla «Deutsche Allgemeine Zeitung»; il dottrinario Rosenberg era per
il bando immediato, mentre il più pragmatico Goebbels, dopo averlo denunciato in
pubblico come «rumorista atonale», lo incoraggiava ad emendarsi scrivendo «buona
musica tedesca». Prevalse l’opzione di metterlo alla prova mandandolo in Turchia come consulente per l’occidentalizzazione musicale voluta da Atatürk, e da quel momento cominciò per Hindemith una strana doppia vita: reietto in patria, riverito e ben pagato all’estero. Ma quando nel 1936 un certo Lohmann, cantante bocciato ad
un’audizione, lo accusò di «ingaggiare per Ankara soprattutto musicisti non ariani», i
«saluti tedeschi» di cui il compositore guarniva i suoi rapporti ufficiali a Berlino non
bastarono più. Divieto di esecuzione per tutte le sue musiche, dimissioni forzose dalla
cattedra presso la Musikhochschule berlinese, preannunci di una sua inclusione nella
mostra «Musica degenerata» di Düsseldorf: ai primi del 1938 Hindemith è un uomo
distrutto, pronto per l’emigrazione definitiva prima in Svizzera e poi negli Stati Uniti.
Tanto poteva costare a un suddito del Reich l’errore nello scegliere il soggetto di
un’opera seria, per giunta dedicata a celebrare il trionfo dello «spirito tedesco» nella persona del grande pittore rinascimentale Mathias Grünewald facendo moderato uso della
dissonanza e ricorrendo a citazioni musicali dal corale luterano e dalla canzone popolare. Un errore evidenziato, troppo tardi per Hindemith, dalle Linee guida per il lavoro
musicale della Comunità culturale nazional-socialista, pubblicate a fine 1934 in forma
anonima (e quindi riferibili ad Alfred Rosenberg) sulla rivista berlinese «Die Musik»:
Per molte persone, l’opera come forma d’arte è un oggetto problematico. Lavori complessi come il Tristano di Wagner o le opere di Richard Strauss sono da evitare per i principianti. Un
accesso all’opera tedesca comprensibile per chiunque è offerto dall’opera popolare e giocosa
(Volks-und Spieloper), che noi intendiamo nel senso più ampio; quindi dal Franco cacciatore
di Weber, passando per tutta la produzione di Lortzing, per giungere ai Maestri cantori di Wagner quale vertice dell’opera popolare tedesca.20
20 Richtlinien für die Musikarbeit der NS-Kulturgemeinde, «Die Musik», XXVI/12, settembre 1934, pp. 933 e
sgg.: 936. La Nationalsozialistische Kulturgemeinde era nata il 4 giugno 1934 dalla fusione del Kampfbund für
deutsche Kultur (Lega di combattimento per la cultura tedesca, sorta per contrastare il «bolscevismo culturale»)
con l’associazione Deutsche Bühne (Scena tedesca). A partire dal 1936 Hitler la sottrasse al controllo di Alfred
Rosenberg per affidarla alla Reichskulturkammer, guidata dall’ormai onnipotente ministro per la propaganda Joseph Goebbels. La sua successiva incorporazione, il 12 giugno 1937, nell’organizzazione dopolavoristica Kraft
durch Freude (Forza attraverso la gioia) segnò anche in campo culturale il definitivo trapasso dal nazismo-movimento al nazismo-regime.
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Sorprende ma non troppo che dal caveat non si salvassero due opere di Strauss come Feuersnot (1901) e Der Rosenkavalier (1911); tuttavia, una volta accertato il fabbisogno di nuove opere che fossero tedesche, popolari e giocose «nel senso più ampio»,
ma soprattutto non problematiche, queste non tardarono a manifestarsi e, come si è visto a proposito del teatro di prosa, nulla ostava alla scelta di soggetti ricavati da un
Goldoni nordicizzato ad honorem. Il citato Diener zweier Herren (Servitore di due padroni), parole e musica di Arthur Kusterer pubblicate a sue spese nel 1935,21 debuttò
il 22 marzo 1936 al Nationaltheater di Mannheim. Si trattava di una partitura a pezzi
chiusi con arie, duetti, concertati, una suite di balletto e un coro finale, caratterizzata
dal predominio delle voci sull’accompagnamento orchestrale e condotta a ritmi serrati
da opera buffa. Una recensione dell’epoca la definisce «fortemente influenzata» da Richard Strauss e ne attesta il caldo successo di pubblico.22 Sull’onda del quale il Kusterer – già autore di tre opere rappresentate, fra cui un Casanova del 1921-1922 – poté
finalmente lasciare la natìa Karlsruhe e trasferirsi a Berlino, dove sino al 1945 insegnò
presso la Musikhochschule.
Quasi un precedente del Campiello, ma su scala minore e con alcune significative
differenze. Rispetto a Kusterer, Wolf-Ferrari era di ventidue anni più anziano, e dopo
l’insuccesso veneziano della Cenerentola (1900) aveva quasi invariabilmente scelto per
le prime assolute delle sue opere, incluse quelle goldoniane ad eccezione della Vedova
scaltra, importanti piazze teatrali tedesche come Monaco, Berlino e Dresda. Difficile
considerarlo un parvenu mosso da opportunismo politico; soprattutto a Monaco, dove la prima tedesca del Campiello andò in scena il 27 dicembre 1936 al Nationaltheater, la sede più prestigiosa fra i tre palcoscenici statali bavaresi, tagliando il traguardo
delle cento rappresentazioni wolf-ferrariane solo in quel circuito a far data dal 1903
con le Donne curiose. I cospicui diritti d’autore riscossi per lui da casa Ricordi e dalla
Weinberger di Lipsia lo mettevano al sicuro dal bisogno economico, consentendo a lui
e alla seconda moglie Wilhelmine Christine Funk un’esistenza appartata nell’agio di residenze suburbane presso Monaco: dal 1922 al 1931 nella foresta secolare di Ottobrunn, e in seguito alla «Villa Tusculum» di Planegg (discreta allusione agli otia ciceroniani).
Eppure anche in questo caso l’adesione al «canone Rosenberg» procurò al compositore un tardivo quanto rapido avanzamento di carriera accompagnato da una visibilità forse non del tutto gradita al suo carattere schivo. Sull’autorevole «Zeitschrift für
Musik» (d’ora in avanti: ZfM), il barometro della sua ascesa in quegli anni si può mo-
Cfr. nota 13, supra.
Apparsa nella «Zeitschrift für Musik», aprile 1936, p. 489. L’autorevole «rivista mensile per un rinnovamento spirituale della musica tedesca» usciva a Regensburg per i tipi dell’editore Bosse, che la gestì dal 1929 al
1955. Per la presente ricerca si sono spogliate in modo sistematico le annate 1936-1942, nonché tutto il pubblicato nel 1943-1944 sotto la testata «Musik im Kriege», frutto della fusione decisa dall’alto, sotto l’egida dell’Ufficio musica del Partito e del dopolavoro Kraft durch Freude, con «Die Musik» (Berlino), «Allgemeine Musikzeitung» (Lipsia) e «Neues Musikblatt» di Magonza.
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nitorare grazie a due numeri speciali dedicati rispettivamente al suo sessantesimo e sessantacinquesimo compleanno, nonché ad una miriade di recensioni dal vivo, annunci
di nuove esecuzioni e pubblicazioni, ritratti fotografici (sempre quei tre o quattro), noterelle biografiche e saggi di analisi musicale dove ricorre con insistenza il suo accostamento a Mozart. Dapprima in maniera criticamente argomentata, poi con affermazioni sempre più apodittiche e azzardate, come si vede da questa campionatura minima:
1936, nel quadro di un bilancio artistico ed umano dei suoi primi sessant’anni: «Nel primo entusiasmo per Le donne curiose e I quatro rusteghi – nel cui effervescente umorismo un pubblico
nauseato dagli epigoni wagneriani aveva salutato la gradita liberazione dalle catene del Musikdrama – si era addirittura designato Wolf-Ferrari quale “Mozart redivivus”. A dire il vero,
con ciò si era formulata una parola d’ordine non particolarmente felice, anzi pericolosa. […]
Un uomo che accetta con gioia l’arte e la vita, e la cui musica diviene tanto più aggraziata e
dolce quanto più seriamente egli filosofeggia. […] E anche se Ermanno Wolf-Ferrari non avesse trovato una nuova lingua musicale, al che sono chiamati soltanto i Grandissimi, si afferma
comunque come un vero Grande mediante il proprio dialetto musicale, dal quale può riconoscerlo chiunque non scarseggi di sensibilità per l’incanto e il valore della personalità».23
1939, in occasione di una ripresa monacense dei Rusteghi: «Dall’unilaterale applicazione al musicista dello slogan “Mozart redivivus” si difende con un dato di fatto artistico l’orecchio chiaroveggente, il quale vi coglie relazioni immediate con la musica popolare veneziana, con Cimarosa o con Rossini; mozartiana è peraltro in Wolf-Ferrari quella dominante e profonda
concezione della vita che ad ogni rigido imperativo del tipo “così dev’essere il mondo!” oppone una serena accettazione: “il mondo va così”. Nelle commedie musicali di Wolf-Ferrari non
troviamo né l’angelo né il demonio, ma nei singoli personaggi ben riconosciamo noi stessi, le
nostre virtù e debolezze».24
gennaio 1941, Erich Valentin nella laudatio introduttiva al Quaderno Wolf-Ferrari per il suo sessantacinquesimo compleanno, preceduta da un’indulgente (e del tutto apolitica) dichiarazione
del Maestro circa la propria concezione del comico, tutta soffusa di pietà per la condizione
umana. Valentin era segretario generale del Mozarteum appena nazificato e direttore del Zentralinstitut für Mozartforschung di Salisburgo, dunque abbastanza qualificato per esprimere
un parere ufficiale: «La crescita organica è il segno essenziale dell’arte di Wolf-Ferrari. Non diversamente che in Bach e in Mozart. Ciò presuppone quell’intransigenza della creazione e del
pensiero che rappresenta la sua più bella virtù. Un ulteriore dato si ricava da questo: l’amalgama dell’elemento tedesco con l’italiano – in maniera diversa e più feconda rispetto a Busoni
– è per così dire la replica, riassunta nella sua persona, di quel precedente storico che si era realizzato in Mozart».25
febbraio 1941, riquadro pubblicitario per la biografia di Alexandra Grisson (cfr. nota 3, supra):
«L’Autrice è un’ardente ed ispirata ammiratrice dell’arte di Wolf-Ferrari, un’arte che restituisce alla melodia il dominio incondizionato nel regno dei suoni; ma anche un’arte che solleva
23 WILHELM ZENTNER, Ermanno Wolf-Ferrari. Zu seinem 60. Geburtstag am 12. Januar 1936, ZfM, marzo
1936, pp. 265-274.
24 ID., Musik in München, ZfM, ottobre 1939, p. 1051.
25 ERICH VALENTIN, Erbe der Klassik. Gedanken zu Ermanno Wolf-Ferraris 65. Geburtstag, ZfM, gennaio
1941, pp. 10-12.
26
CARLO VITALI
Ettore Tito (1859-1941), Ritratto di Wolf-Ferrari (1940). La bella violinista allegoricamente ritratta in secondo
piano potrebbe essere Guila Bustabo (1916-2002), amore senile e musa ispiratrice del compositore, che per lei
scrisse il Concerto per violino e orchestra op. 26.
CHI È
«POPOLARE»?
27
Wolf-Ferrari al rango di Mozart dei nostri giorni».26 Nel corso dell’anno tutti gli scritti della
Grisson, compresa una prevista seconda edizione di questa biografia, furono vietati dal regime
causa le di lei inclinazioni cristiane e pacifiste.
novembre 1941, reportage non firmato sulla Giornata della Hausmusik tedesca a Salisburgo, celebrata il 18 di quel mese: «Il Landestheater riunisce il Mozart dei tempi antichi in Bastien und
Bastienne con il Mozart dei nostri giorni, Ermanno Wolf-Ferrari, nel Segreto di Susanna».27
dicembre 1941, ancora Erich Valentin in una conferenza commemorativa pronunciata alla casa
natale di Mozart nella stessa occasione: «Le opere italiane di Mozart produssero un effetto irradiante che abbraccia del pari l’arte tedesca e straniera – e non solo a teatro – fino a Berlioz
e Wagner; in un certo modo fino a Gounod e Verdi, e ai nostri giorni fino a Wolf-Ferrari».28
L’anfibia identità nazionale di Wolf-Ferrari viene rievocata ad nauseam quasi ogni
volta che il suo nome è menzionato nella ZfM e nella testata sua erede, «Musik im Kriege», sebbene con curiose oscillazioni che potremmo definire opportunistiche: di solito
è mezzo tedesco e mezzo italiano, ma anche maestro tedesco eseguito all’estero in compagnia di altri connazionali antichi e moderni, ovvero protagonista di «settimane italiane» allestite in Germania, o ancora tedesco fra tedeschi quando la rassegna cui partecipa è più fortemente connotata in senso nazionalistico, come i Reichsmusiktage.
Caratteristico è pure l’accostamento al «problematico» Busoni, anch’egli halbdeutsch
(mezzo tedesco), mentre il Nostro ottiene di regola le opposte qualifiche elogiative di
«non filosofico», «non problematico», «non sperimentale» e «puro musicista».
Nel frattempo si accumulavano sul suo capo le cortesie ufficiali provenienti dai sommi vertici. Nella primavera del 1939, su proposta del ministro degli esteri von Ribbentrop, il Führer in persona gli conferiva la Croce al merito dell’Ordine dell’Aquila tedesca (Verdienstkreuz des Ordens vom deutschen Adler), una decorazione da lui istituita
due anni prima per onorare «quei cittadini stranieri che avessero ben meritato dal
Reich tedesco»; non sappiamo di quale classe, ma certo inferiore a quelle di cui furono
insigniti Mussolini, Ciano e Starace. Nell’agosto seguiva la chiamata alla cattedra di
composizione presso il Konservatorium del Mozarteum di Salisburgo, che dopo l’annessione dell’Austria (marzo 1938) era stato ribattezzato Reichshochschule für Musik
Mozarteum. In una lettera del 25 agosto 1939, Wolf-Ferrari confidava alla sua ammiratrice e futura biografa Alexandra Grisson: «Mi è duro rinunciare alla mia completa
libertà; ma mi attraeva l’idea di agire sui giovani con l’insegnamento. Già insegno in
continuazione a me stesso, e se lo faccio ad alta voce insegnerò anche ai miei allievi».29
Nella piccola città del Festival, dove l’illustre docente era precettato a figurare fra i
Prominenten, lo attendevano pure compiti di rappresentanza e meno innocenti com-
ZfM, febbraio 1941, p. 76.
ZfM, novembre 1941, p. 733.
28 ERICH VALENTIN, Mozarts deutsche Aufgabe, ZfM, dicembre 1941, pp. 767-770.
29 Cfr. GRISSON, Ermanno Wolf-Ferrari cit., p. 105 dell’edizione 1941 e p. 79 dell’edizione
26
27
conda è pudicamente scomparsa la notizia della decorazione.
1958. Dalla se-
28
CARLO VITALI
Wolf Ferrari (il terzo da sinistra, sullo sfondo) insieme a Elly Ney, Ada Rainer, Franz Lorenz, Bernhard Rust, Friedrich Rainer. Foto scattata al Mozarteum di Salisburgo il 22 aprile 1941.
pagnie. Al suo sessantacinquesimo compleanno, che cadeva il 12 gennaio 1941, la
stampa locale offrì copertura pubblicando una laudatio del già citato Erich Valentin e
un personale telegramma d’auguri inviato da Goebbels.30 Per lui era anche allo studio
il conferimento della Goethe-Medaille per l’arte e la scienza, proposta che però non ebbe seguito.31
30 «Salzburger Landeszeitung», 11 gennaio 1941, p. 10, e 13 gennaio, p. 5; «Salzburger Volksblatt», 11 gennaio, p. 6.
31 Il motivo della mancata concessione non è chiaro. Dallo stato della pratica al febbraio 1941 risulta che le
indagini avevano sortito esito positivo quanto alle tre condizioni richieste: purezza razziale, risultati artistici (künstlerische Leistungen) e affidabilità politica (politische Zuverlässigkeit); cfr. Bundesarchiv di Berlino, Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda, R 55.18.1, olim VBS 6/R55-855 (Auszeichnungen für Künstler und
Wissenschaftler). In data 3 agosto 1933, Wolf-Ferrari era già stato riconosciuto «ariano ed esente da immissioni
di sangue giudaico e di colore» (arisch und frei von jüdischem und farbigem Bluteinschlag) dal Dr. Achim Gerke,
«esperto per la ricerca razziale presso il Ministero degli interni del Reich», ma con l’avvertenza che le istruzioni
ricevute non gli avevano permesso di estendere le ricerche all’Italia; cfr. JOSEPH WULF, Musik im Dritten Reich:
Eine Dokumentation, Frankfurt, Ullstein, 1983, pp. 51-52. Quei solerti burocrati temevano forse che a Venezia,
sede del più antico ghetto ebraico d’Europa, qualche goccia di sangue non ariano avesse potuto inquinare l’albero genealogico del compositore? Quale tragedia se il popolarissimo Halbdeutscher si fosse rivelato un Vierteljude
o un Achteljude (giudeo per un quarto o un ottavo) secondo la classificazione zoologica poi formalizzata dalle leggi di Norimberga!
CHI È
«POPOLARE»?
29
Nel 2010 fu posta un nuova tavola al monumento funebre di Elly Ney, a Tutzing, che ricorda il passato nazista
della pianista; sostituì la precedente, che la citava solo come cittadina onoraria di Tutzing.
Portava non troppo male i suoi anni: una foto di gruppo scattata il 22 aprile 1941,
in occasione del centenario di fondazione del Mozarteum,32 ce lo mostra sullo sfondo,
addossato al muro con espressione indecifrabile e alquanto diversa da quelle compiaciute degli altri protagonisti. Sono la sua collega nel corpo accademico Elly Ney (18821968), nota come «la pianista di Hitler» e titolare di alte cariche nelle organizzazioni
femminili del Partito; Franz Lorenz (1897-1957), borgomastro di Salisburgo dal 1938
al 1943, nel 1944 destituito e inviato sul fronte russo per accuse di malversazione; Bernhard Rust (1883-1945), ministro del Reich per la scienza, l’educazione e la cultura popolare, che Goebbels ebbe a definire «absoluten Hohlkopf» (totale zucca vuota). In primissimo piano, umile in tanta gloria, il criminale di guerra Friedrich Rainer
(1903-1947), Gauleiter e governatore del Reich per Salisburgo e la Carinzia, scampato ai processi di Norimberga ma impiccato a Lubiana dagli Jugoslavi; la sua graziosa
consorte Ada, qui ritratta in camicetta di pizzo traforata e gonna sotto il ginocchio, ne
ricevette l’annuncio solo ad esecuzione avvenuta.
32
Reichshochschule für Musik Mozarteum, Jahresbericht 1940-41, tavola fuori testo di fronte a p. 4.
30
CARLO VITALI
Wolf-Ferrari continuò a recarsi a Salisburgo per due giorni la settimana fino al 1943,
quando gli toccò dare le dimissioni adducendo motivi di salute; fu congedato il 9 aprile con ringraziamenti speciali per la sua «attività piena di abnegazione» e un concerto
di gala dedicato a sue composizioni.33 Ai motivi di salute si può credere senza difficoltà. Dall’8 novembre 1940 i bombardamenti alleati stavano devastando Monaco: fra i
300.000 senzatetto censiti alla fine della guerra si contarono anche i coniugi Wolf-Ferrari, costretti ad abbandonare nel 1942 la villa di Planegg per trasferirsi a MünchenBogenhausen, 13 Friedrich-Herschel-Strasse.
3. Tre tipi di renitenza
A metà gennaio 1944 il Maestro fa ancora in tempo a raccogliere le ovazioni del pubblico assiepato nella Tonhalle, dove il suo Concerto per violino op. 26 conosce la prima esecuzione mondiale sotto la bacchetta di Oswald Kabasta alla testa dei Münchner
Philharmoniker: quattro serate da tutto esaurito e trionfo dolcemente condiviso con
Guila Bustabo, la bella violinista americana di quarant’anni più giovane cui l’anno precedente il lavoro era stato dedicato sull’autografo «in segno di profonda gratitudine ed
ammirazione per la sua arte superba».34 A troncare l’idillio provvedono i bombardamenti a tappeto sempre più spietati. Abbandonata la metropoli bavarese invasa dalle
macerie, Ermanno e Frau Wilhelmine sfollano in un monolocale ad Alt-Aussee, un villaggio di quattromila anime fra i monti del Salzkammergut dove ogni tanto si arrampica in bicicletta a visitarli il figlio Federico, direttore d’orchestra a Salisburgo, portando in dono qualche patata.
Rifugio pericoloso oltre che scomodo, perché proprio in un’antica miniera di salgemma sopra al villaggio erano depositate a migliaia le opere d’arte saccheggiate in tutt’Europa per il progettato museo di Hitler a Linz, il leggendario «deposito Dora» che
sarebbe dovuto saltare in aria all’arrivo delle truppe americane.35 Tramontata la chimera di costituire nella regione una ridotta alpina per l’estrema resistenza all’invasore,
una variegata società indugiava ancora ad Alt-Aussee nel maggio 1945: gerarchi e industriali, ministri e diplomatici, collaborazionisti stranieri, scienziati, nobili e spie, attori e musicisti fra cui vari membri dei Wiener Symphoniker.
«Many lesser Nazis» ormai preoccupati solo di costruirsi alibi e benemerenze antinaziste; così almeno li descrive il rapporto del sergente Robert E. Matteson, agente speciale del Counter-Intelligence Corps, 80ª divisione di fanteria USA, che nel gruppo degli
artisti riconobbe «l’anziano compositore Wolf-Ferrari».36 Una preda non ambita:
Reichshochschule, serie cit., Jahresbericht 1942-1943, pp. 23-24.
«Marburger Zeitung», 17 gennaio 1944, p. 6; «Musik im Kriege», 11-12, febbraio-marzo 1944, p. 229.
35 HILDEGARD BRENNER, La politica culturale del nazismo, Bari, Laterza, 1965, pp. 292-294.
36 Nel 1960 il vivace rapporto fu de-secretato e pubblicato in forma anonima, col titolo The Last Days of
Ernst Kaltenbrunner, sulla rivista specializzata della CIA «Studies in Intelligence», IV/2, pp. A11-A29; dal 2007 è
consultabile anche sul web, tuttora senza indicazione d’autore, all’indirizzo https://www.cia.gov/library/center-for33
34
CHI È
«POPOLARE»?
31
L’addio a Venezia di Gasparina nel finale del Campiello, in un foglio d’album antecedente la prima dell’opera
(«Perché ti ga volesto ti» = l’hai voluto tu), datato «13 Ott. 1935 XIII», dedicato da Wolf-Ferrari all’allievo Adriano Lualdi che lo pubblicò in Tutti vivi (Milano, Dall’Oglio, 1955, p. 426).
32
CARLO VITALI
l’obiettivo principale della sua missione era infatti Ernst Kaltenbrunner, capo supremo
della Gestapo e dei servizi segreti riuniti, in seguito processato e impiccato a Norimberga. A Wolf-Ferrari il processo di de-nazificazione condotto dalle autorità d’occupazione
alleate non riservò nulla di tanto spiacevole; alla fine dell’anno si limitarono a dissuadere la Bayerische Staatsoper dall’allestire una ripresa del Segreto di Susanna, opera «del
tutto innocente in sé», ma la cui ricomparsa in cartellone era considerata «prematura»
in quanto firmata da un compositore «così vistosamente compromesso coi nazisti».37
Nell’estate seguente, come aveva già fatto durante la prima guerra mondiale, il Nostro riparò a Zurigo dove rimase ospite di amici fino all’aprile 1947, quando intraprese l’ultimo ritorno a Venezia. Al fedele Lualdi, che era andato a visitarlo nel settembre
di quell’anno, avrebbe confidato accomiatandolo: «Certo, xe una gran umiliazion viver in ’sto mondo». Affermazione di generale validità esistenziale, che tuttavia l’ex-allievo sembra attribuire ad un comprensibile stato di prostrazione del maestro in seguito agli ultimi avvenimenti.38
Un piccolo nazista pentito o un libero spirito d’artista violentato dalla dittatura
totalitaria? Da alcuni recenti contributi storiografici alla sociologia del nazismo39 emerge una triplice tipologia di renitenza al regime: Widerstand = opposizione politica aperta; Dissens = dissenso ideologico, ossia tentativo di salvaguardare una relativa autonomia in campo culturale, sociale o religioso (come si è visto, tale fu il caso della biografa
autorizzata Alexandra Grisson); Nonkonformität = comportamenti socialmente anomali, come l’assenza dalle manifestazioni e dai servizi ‘volontari’, oppure l’infrazione di
norme simboliche – ad esempio omettendo il saluto hitleriano. Non esistono prove che
Wolf-Ferrari abbia praticato la prima forma né la terza. Anzi: alla fine delle lettere in
tedesco indirizzate fra il 1939 e il 1941 a Clemens Krauss, Generalintendant e Generalmusikdirektor dell’Opera di Monaco,40 non manca mai il rituale «Heil Hitler», così come nei suoi carteggi italiani, e persino nelle foto autografate, compare regolarmente la doppia datazione nel formato era cristiana / era fascista.
Un vago indizio di renitenza del secondo tipo si potrebbe scorgere nel rifiuto a render pubblica l’auto-esegesi del proprio Triptychon op. 19, scelto nel 1939 per partecipare ai Reichsmusiktage di Düsseldorf. Mentre gli altri colleghi stilarono il compitino
richiesto, talora corredato da frammenti di pentagramma, lui solo dichiarò con candore venato d’ironia:
the-study-of-intelligence/kent-csi/vol4no2/html/v04i2a07p_0001.htm. Prima di morire nel 1994, Matteson rievocò in varie interviste la brillante operazione, per la quale era stato insignito della Silver Star.
37 Bayerisches Hauptstaatsarchiv di Monaco, Office of Military Government - Bavaria 10/48-15, 6870th District Information Services Control Command, rapporto settimanale del 12 dicembre 1945; cit. in TOBY THACKER,
Music After Hitler, 1945-1955, Aldershot, Ashgate, 2007, p. 46.
38 LUALDI, Tutti vivi cit., pp. 253-255.
39 Stato e società durante il Terzo Reich, a cura di Claudio Natoli, Milano, Angeli, 1993, passim.
40 Al momento in cui scrivo, sei di questi autografi (interessanti per il contenuto musicale, specie in relazione
ai Rusteghi) sono offerti in vendita da una libreria antiquaria americana al prezzo di 1.850 dollari. Vedi:
https://www.schubertiademusic.com, Winter-Spring 2012 Catalog, Lot 165.
CHI È
«POPOLARE»?
33
Enrico Gamba (1831-1883), Goldoni, studiando dal vero. Olio su tela. Torino, Galleria civica d’Arte moderna.
Devo dirvi che, ogniqualvolta mi si domanda di fare un’analisi di qualche mia composizione,
io ne rifuggo. Infatti questa contemplazione del proprio ombelico, questa auto-anatomia, è
qualcosa che mi ripugna umanamente in quanto artista. In primo luogo, l’analizzare un lavoro non aiuta per nulla a comprenderlo, poiché comprendere significa vedere la connessione, e
non i disiecta membra. In secondo: un lavoro che non si rendesse comprensibile di per sé e davvero avesse bisogno di una ‘introduzione’ per essere gustato, cioè compreso, sarebbe un fallimento. Io prodigo ogni sforzo per creare una musica quanto più possibile chiara, giacché secondo me la chiarezza è già qualcosa di prossimo alla musica. Come farei dunque a chiarire
ancor di più la chiarezza?41
Dopo le due semi-assoluzioni americane, una terza con formula piena – politica e
musicale insieme – gli giungerà postuma dal giornale fondato da Antonio Gramsci. In
occasione di un allestimento del Campiello all’Opera di Roma scriveva il critico Erasmo Valente, assai più convinto dalla partitura che non dall’esecuzione:
L’idea era buona: ricordare nel centenario della nascita (1876-1948) un musicista quale Ermanno Wolf-Ferrari, veneziano, invaghito di Goldoni, non contaminato dal fascismo. […] Di
Wolf-Ferrari si dà Il campiello (risale al 1936 e volge le spalle al trionfalismo imperiale dell’epoca) […]. L’orchestra è ridotta e, di volta in volta, dalle sue eleganti sonorità sembrano in-
41
ZfM,
maggio 1939, p. 492.
34
CARLO VITALI
contrarsi Strauss (la nostalgia del Cavaliere della rosa) e Verdi (il divertissement del Falstaff),
ma anche Mozart e Mahler (l’opera ha inizio con una presenza mahleriana). I riferimenti vogliono pur significare il clima tutt’altro che provinciale di questa musica.42
Una riabilitazione clamorosa rispetto alle recensioni tiepide, miste di lodi insultanti
ed esplicite riserve, che gli aveva riservato la critica italiana giusto quarant’anni prima.
Per tutti Andrea Della Corte, in un articolo-fotocopia pubblicato due volte sulla «Stampa» in occasione delle prime scaligera e torinese di quello stesso Campiello:
Imperturbabile nella conflagrazione musicale e operistica fra l’Otto e il Novecento, Ermanno
Wolf-Ferrari continua a sfogliare a uno a uno i tomi di Goldoni. […] Confrontato con Le donne curiose e con I quattro rusteghi, Il campiello contiene un po’ meno musica e musica meno
felice. Ne sono scarsi specialmente il secondo atto e il principio del terzo. Le musiche da ballo
e quelle corali son digressioni superflue. Nei concertati, dove si riassumerebbero e concentrerebbero le forze drammatiche, s’ode invece un cicaleccio molteplice e impersonale. Son perciò
da preferire i recitativi, le canzoni, le ariette, i duetti, nei quali donne e uomini, vecchi e giovani, modulano instancabili, nel giro di una giornata, i loro pettegolezzi, più che i sentimenti.
Mai forse le unità aristoteliche furono rispettate con altrettanta abbondanza di piacevoli ciacole.43
A spiegare la differenza di trattamento fra una dittatura e l’altra, gioverà forse ricordare che fin dal 27 novembre 1936 un decreto di Goebbels aveva formalizzato il
divieto, da tempo nell’aria, di esercitare la critica d’arte (Kunstkritik), da sostituirsi
con «l’esame o la descrizione» della medesima (Kunstbetrachtung oder Kunstbeschreibung).
42 ERASMO VALENTE, Nella musica di Wolf-Ferrari le voci di Venezia, «L’unità», 21 marzo 1976, p. 14. Di quale «presenza mahleriana» si sia accorto Valente non è dato di sapere dalla partitura dove si legge solamente un accordo di tredicesima per sovrapposizione di quinte (vedi Guida all’ascolto, p. 57).
43 «Il campiello» di Wolf-Ferrari alla Scala, «La stampa», 13 febbraio 1936, p. 3; cfr. ID., ivi, Novità al Carignano. «Il campiello» di Wolf-Ferrari, 22 febbraio 1937, p. 2. Quello di esaltare i precedenti di un autore onde
sminuirne i conseguenti sembra un procedimento retorico favorito dai critici di ogni tempo. Nel recensire la prima scaligera, non diversamente si esprimeva Aldo Belloni sul «Secolo» di Milano: «Il campiello […] è proprio ancora una delle esumazioni indirette che il Wolf-Ferrari ha tanto accarezzato. C’è sempre lo spirito dell’opera buffa prerossiniana goldoniamente trasfigurato con gli ormai abusati colori etnofonici del canzonismo popolare
veneziano. […] Non mancano nemmeno nel Campiello amabili aderenze della musica al quadretto veneziano, ma
com’erano più graziose di linee, più fresche di vernice, più ricche di specchi le sue altre operine lagunari!» (cito
dalla ristampa in volume: ALDO BELLONI, Dieci anni alla Scala, Milano, Tarantola, 1946, pp. 15-18).
Federico Fornoni
Itinerari goldoniani nei libretti otto-novecenteschi
I
Carlo Goldoni non nutriva fiducia nelle possibilità del teatro cantato. Le parole indirizzate al lettore poste in testa a uno dei suoi libretti, il dramma giocoso per musica De
gustibus non est disputandum, sono a tal proposito eloquenti:
Il dramma serio per musica, come tu saprai, è un genere di teatrale componimento di sua natura imperfetto, non potendosi osservare in esso veruna di quelle regole che sono alla tragedia
prescritte. Molto più imperfetto il dramma buffo esser dee perché, cercandosi dagli scrittori di
tai barzellette servire più alla musica che a sé medesimi e fondando o nel ridicolo o nello spettacolo la speranza della riuscita, non badano seriamente alla condotta, ai caratteri, all’intreccio, alla verità, come in una commedia buona dovrebbe farsi.1
Alla luce di queste considerazioni appare paradossale non solo il ruolo di primo piano
che il drammaturgo veneziano ebbe nella definizione delle caratteristiche dell’opera
buffa della seconda metà del Settecento, ma anche il fatto che le sue commedie e, in misura minore, i suoi lavori per il teatro musicale si rivelarono fonti inesauribili per i librettisti dei due secoli successivi.
La capacità dei soggetti goldoniani di fecondare le opere del primo decennio dell’Ottocento è notevole, come chiarisce il debutto, allo scoccare del nuovo secolo, di almeno tre lavori tratti dalla Locandiera: il dramma giocoso di Ferdinando Rutini e Giulio Artusi (Firenze, Teatro degli Infuocati, carnevale 1800), la farsa giocosa per musica
di Sebastiano Nasolini e dello stesso Artusi (Venezia, San Samuele, carnevale 1800), il
dramma giocoso per musica di Giovanni Simone Mayr e Gaetano Rossi (Vicenza, Teatro Berico, primavera 1800).2 Se il fenomeno si spiega con la vitalità della produzione
1 CARLO GOLDONI, L’autore a chi legge, in De gustibus non est disputandum, Venezia, Fenzo, 1754 (edizione
on-line: http://www.carlogoldoni.it/carlogoldoni/libretti/gustibus-0.jsp).
2 Nello stesso anno Artusi confezionò anche Lucrezia Romana in Costantinopoli, dall’omonimo dramma comico di Goldoni, musicata da Vittorio Trento e rappresentata al San Moisè nella stagione di carnevale. Sulla ricezione goldoniana nell’opera ottocentesca si leggano DAVID BRYANT, La fortune des comédies de Goldoni dans le
théâtre musical italien e JOHANNES STREICHER, Goldoni après Goldoni. De «Locandiera» en «Locandiera», entrambi in Musiques goldoniennes. Hommage à Jacques Joly, s.l., Outre-monts, 1995, pp. 45-50, 185-196. La questione dell’influenza linguistica di Goldoni su librettisti quali Giovanni Gherardini e Jacopo Ferretti è discussa in FABIO ROSSI, L’eredità linguistica lasciata da Goldoni al melodramma primottocentesco, in Rossini und das Libretto.
Tagungsband, a cura di Reto Müller e Albert Gier, Leipzig, Leipziger Universitätsverlag, 2010, pp. 139-157.
36
FEDERICO FORNONI
del commediografo, ancora florida a pochi anni dalla morte, oppure con l’affermazione di un genere tipicamente veneziano come la farsa, pronto a intercettare tematiche
ben note in città, forse più sorprendente risulta la sua continuità nel tempo. Certamente le presenze goldoniane appaiono viepiù marginali, ma ciò non impedisce a Giuseppe Palomba di stendere La gazzetta per Rossini nel 1816 rifacendosi al Matrimonio per
concorso – pure fonte di due recenti opere, che della commedia mantengono il titolo,
dovute a Giuseppe Farinelli e Giuseppe Foppa (Venezia, San Moisè, 1813) e a Giuseppe Mosca e Gaetano Rossi (Milano, Scala, 1814) –3 né a librettisti e operisti degli anni trenta, ormai volti con decisione verso soggetti provenienti da oltralpe, di continuare a guardare in direzione della laguna. Nel 1831 al Teatro Nuovo di Napoli va in scena
La vedova scaltra di Nicola Fornasini e Luigi Ricciuti,4 mentre nel 1838 è ancora La
locandiera a venire rappresentata al Teatro Carolino di Palermo con i versi di Giuseppe Sapio e la musica di Agostino Locasto, libretto rielaborato l’anno dopo da Andrea
Passaro per Salvatore Agnelli (Napoli, Teatro Nuovo). Persino Donizetti ammette di
aver consultato Goldoni per la sua opera del 1833 Torquato Tasso su libretto di Jacopo Ferretti,5 Ferretti che fu amico di un giovanissimo Francesco Maria Piave quando,
negli anni trenta, questi trascorse un lungo periodo a Roma. E Piave mise a punto il suo
primo libretto, Don Marzio, traendolo nel 1842 dalla Bottega del caffè, senza che il lavoro, musicato da Samuel Levi, trovasse la via della scena.6 Nel quarto decennio del secolo l’unica opera di soggetto goldoniano di vero successo fu Il ventaglio di Pietro Raimondi e Domenico Gilardoni (Napoli, Teatro Nuovo, 1831), talmente di successo che
il compositore ne scrisse il sequel, Palmetella maritata con la collaborazione del librettista Andrea Passaro (Napoli, Teatro del Fondo, 1837).
Il ricorso ad argomenti provenienti da testi di Goldoni non significa, però, che nel
primo Ottocento ne venisse preservato l’approccio drammaturgico. Dalla lettura dei libretti emerge con forza il pesante processo di adattamento alle esigenze derivanti dalle
convenzioni operistiche di quegli anni. Dato riscontrabile anche a un’osservazione superficiale. Per esempio nella Gazzetta di Rossini Don Pomponio, omologo di Pandolfo, si esprime in dialetto napoletano, rispondendo a un’usanza irrinunciabile nei teatri
minori della città – l’opera fu pensata per il Teatro dei Fiorentini – e regredendo dal
complesso personaggio che era al tradizionale ‘tipo’ buffo partenopeo (anche le due
opere di Raimondi vengono ambientate a Napoli, piazza per la quale furono composte). Eppure l’esperienza goldoniana emerge forse in un altro aspetto, indipendente dai
Cfr. La gazzetta, a cura di Marco Mauceri, Pesaro, Fondazione Rossini, 2003 («I libretti di Rossini», 10).
L’anno di rappresentazione, non indicato nel primo libretto a stampa ([Napoli], Tipografia comunale, s.d.),
è desunto dall’annotazione d’altra mano posta nella partitura autografa consultabile in Internet Culturale.
5 Lo annuncia in una lettera a Mayr il 27 maggio 1833: «Indovini cosa scrivo? Il Tasso! Lessi Goethe, Rosini, Goldoni, Duval, Serassi, Zuccala, e le ultime cose del Missirini» (GUIDO ZAVADINI, Donizetti. Vita – Musiche –
Epistolario, Bergamo, Istituto italiano d’arti grafiche, 1948, p. 309).
6 BRUNO CAGLI, «… Questo povero poeta esordiente». Piave a Roma, un carteggio con Ferretti, la genesi di
«Ernani», in «Ernani» ieri e oggi. Atti del congresso internazionale, «Verdi. Bollettino dell’Istituto di studi verdiani», 10, 1987, pp. 1-18.
3
4
ITINERARI GOLDONIANI NEI LIBRETTI OTTO-NOVECENTESCHI
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Scena tratta dalla Locandiera. Incisione realizzata per l’edizione completa delle opere di Carlo Goldoni di Antonio Zatta in Venezia, 1789-1795 (vol. IV).
soggetti scelti. È ben noto come il commediografo abbia contribuito a riformare il teatro attraverso la compresenza di maschere stereotipate e di figure dotate di un proprio
personale carattere, delineando al contempo un mondo sociale a sua volta precisamente tratteggiato e che può definirsi borghese (si pensi all’importanza del denaro nei suoi
lavori). Un processo di cui si ha riscontro anche nei libretti del commediografo e che va
di pari passo con una trasformazione formale che assegna sempre più rilievo ai momenti d’insieme collocati a fine atto (i cosiddetti concertati). In questi luoghi i compositori di maggior talento chiamati nella seconda metà del secolo diciottesimo a intonare i suoi versi erano riusciti a mettere a punto strategie in grado di garantire una stretta
aderenza fra musica e azione. Caso emblematico è La Cecchina musicata nel 1760 da
Piccinni il cui finale primo assurse allo status di modello e nella quale vengono introdotti personaggi di mezzo carattere che convogliano l’elemento patetico nell’opera buffa e che sono capaci di esprimere la propria condizione psicologica secondo i dettami
di una drammaturgia, appunto, borghese.7 Tutto ciò sta alla base del melodramma roTI,
7 Per una chiara e sintetica disamina di questi aspetti, oggetto di molti studi, rimandiamo a PAOLO GALLARAMusica e maschera. Il libretto italiano del Settecento, Torino, EDT, 1984, pp. 129-153.
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FEDERICO FORNONI
mantico italiano che porterà questi esiti alle estreme conseguenze non solo nel genere
comico (L’elisir d’amore di Donizetti) e in quello semiserio (La sonnambula di Bellini)
ma soprattutto in ambito serio.
II
Nei decenni centrali dell’Ottocento la presenza di Goldoni nei libretti diviene sporadica, benché il 1856 segni la grande affermazione di Tutti in maschera di Carlo Pedrotti
e Marco Marcelliano Marcello (Verona, Teatro Nuovo, dall’Impresario delle Smirne).8
È comunque necessario attendere l’ultimo quarto del secolo per assistere a una piccola
renaissance goldoniana nel teatro d’opera che appare significativa sotto il profilo quantitativo se non qualitativo.9 Tuttavia si registra a quest’altezza cronologica uno scarto
rispetto alla ricezione goldoniana della prima metà del secolo:
With Goldoni and Venetian settings comes a shift away from the sentimentalism that had pervaded opere buffe of the previous decades, toward a lighter approach to subject matter and
musical settings.10
Viene meno uno degli aspetti riformatori del drammaturgo veneziano, ossia il carattere lacrimoso, patetico, che lascia invece spazio a elementi più tipicamente giocosi. Altro principio che comincia a insinuarsi è il ricorso ai lavori originali non semplicemente in veste di fonti, ma come testi da intonare. Achille Graffigna per la sua Buona
figliuola riprende il libretto musicato a loro tempo da Duni e Piccinni, secondo una poetica del rifacimento che lo aveva già condotto a rimettere in musica Il barbiere di Siviglia nel 1879 e Il matrimonio segreto nel 1883; Gialdino Gialdini ricorre ai versi dell’intermezzo La pupilla per la sua opera del 1896; Tomaso Benvenuti va oltre quando
lavora direttamente sulla commedia in prosa Le baruffe chiozzotte, rinunciando alla
verseggiatura e agendo con tagli (molti) e aggiunte (poche).11
8 Cfr. MARCO EMANUELE, Teatro nel teatro e riscrittura del passato nell’opera comica italiana di metà Ottocento: «Don Bucefalo» (1847) di Antonio Cagnoni e «Tutti in maschera» (1856) di Carlo Pedrotti, Varzi - Godiasco Salice Terme, Guardamagna - Biblioteca civica, 1996.
9 Fra i titoli più significativi segnaliamo: I quattro rustici di Vincenzo Moscuzza, Firenze, R. Politeama Fiorentino, 1875; Le donne curiose di Emilio Usiglio (già autore, con Giuseppe Barilli, di una Locandiera nel 1861)
e Angelo Zanardini, Madrid, Teatro Real, 1879; Ersilia (da La vedova scaltra) di Cesare Pascucci e Raffaello Berninzone, Roma, Teatro Alhambra, 1882; I quattro rustici di Adolfa Gallori e Fortunato Pontecchi, Firenze, Istituto Piana, 1883; La buona figliuola di Achille Graffigna, Milano, Teatro dell’Accademia dei Filodrammatici,
1886; Le baruffe chiozzotte di Tomaso Benvenuti, Firenze, Teatro Pagliano, 1895; La pupilla di Gialdino Gialdini, Trieste, Società filarmonica-drammatica, 1896. Questo rinnovato interesse per Goldoni si insinua in un più generale rinnovato interesse nei confronti del secolo diciottesimo, da cui venivano prelevati di peso gli argomenti,
come nei casi della Grotta di Trofonio di Giuseppe Ercolani (1880) o delle opere a più mani La secchia rapita
(1872) e L’idolo cinese (1874).
10 FRANCESCO IZZO, Laughter between two revolutions. Opera buffa in Italy, 1831-1848, Rochester (NY) Suffolk, University of Rochester Press - Boydell & Brewer, 2013, p. 237.
11 Gli interventi di riduzione e adattamento dei testi di questi due ultimi lavori sono attribuiti a Enrico Golisciani. Cfr. ANNALISA SANDRI, …e Massenet disse, «Bravissimo!!»: Gialdino Gialdini e il suo tempo, Horgen, Pizzicato, 2001, p. 49; FRANCO BRUNI, «Golisciani, Enrico», in Dizionario biografico degli italiani, 57, Roma, Treccani, 2002 – anche online: http://www.treccani.it/enciclopedia/enrico-golisciani_(Dizionario-Biografico).
ITINERARI GOLDONIANI NEI LIBRETTI OTTO-NOVECENTESCHI
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Nel frattempo erano divenuti di gran moda, anche nell’opera seria, rimandi al Settecento galante, ricostruito sotto il profilo dell’ambientazione, ma altresì dal punto di
vista ritmico (ammicchi alle danze dell’epoca), melodico (ornamentazioni e abbellimenti), coloristico (archi in primo piano), formale (abbondanza di musica in scena,
con canzoni, madrigali, serenate). Si pensi a Manon Lescaut di Puccini, Andrea Chénier di Giordano, Adriana Lecouvreur di Cilea, giusto per citare titoli ancora in repertorio o che lo sono stati fino a qualche decennio fa. Sintomatico il caso di Pagliacci, ambientati «in Calabria presso Montalto […] fra il 1865 e il 1870», ma incentrati
su due elementi tipici di questa fase del melodramma italiano che rimandano esplicitamente a strategie settecentesche, molto sfruttate dallo stesso Goldoni: il teatro nel
teatro e il ricorso alla maschera.12 I protagonisti sono attori che portano in scena canovacci della commedia dell’arte, per cui ogni personaggio, unica eccezione Silvio, ha
il suo omologo nella maschera che interpreta durante la recita nella recita. L’atto secondo è basato quasi interamente sullo spettacolo che Canio e compagni offrono agli
abitanti di Montalto e gli eventi rappresentati ripercorrono quelli ‘reali’ vissuti nell’atto primo, fino alla tragica fusione di commedia e vita nell’epilogo. Il dramma scaturisce proprio dall’impossibilità di far convivere le emozioni dell’uomo con il ruolo
interpretato in scena. La ripresa al termine dell’opera della celeberrima melodia che
corrisponde alle parole «Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto!» suggella il lavoro
richiamandone il messaggio portante insito in quel verso dal significato contraddittorio che esprime tutto il dolore dell’uomo Canio. Non ci troviamo in presenza della
semplice perorazione enfatica conclusiva, bensì di una scelta che acquisisce valenza
drammatica. Si è già avuto modo di puntualizzare come uno degli snodi fondamentali del teatro di Goldoni consista nell’aver concepito personaggi caratterizzati, nei quali lo stesso pubblico aveva la possibilità di identificarsi. Tali personaggi agiscono a
fianco di maschere provenienti dalla tradizione della commedia dell’arte. Nel ‘Settecento’ ricreato in Leoncavallo questa coesistenza diviene inattuabile e le esigenze psicologiche del personaggio prorompono conducendo all’annientamento. In quest’ottica la lettura che il compositore napoletano offre del teatro del diciottesimo secolo è
ancora fortemente filtrata attraverso lo spirito romantico-borghese.
III
Sull’onda del doppio filone sviluppatosi nell’opera fin de siècle, da un lato la ripresa di
soggetti goldoniani, dall’altro la fortuna del settecentismo, ecco nei primi anni del No-
12 Leoncavallo pensò a sua volta di musicare un Don Marzio tratto dalla goldoniana Bottega del caffè, senza
poi realizzare il progetto. Se ne parla in un’intervista nella «Gazzetta di Torino» del 16-17 marzo 1896, cit. in DANIELE RUBBOLI, «Ridi Pagliaccio». Ruggero Leoncavallo: un musicista raccontato per la prima volta, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 1985, p. 90. Come accadde spesso nel caso di Leoncavallo, il progetto fu accarezzato per lungo
tempo. Per esempio ne tratta ancora un articolo del 20 gennaio 1901 nel «Los Angeles Daily Herald», p. 2.
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FEDERICO FORNONI
vecento un proliferare di opere che riprendono il teatro del commediografo veneziano.13 Un elenco privo di alcuna pretesa di completezza sarà utile per comprendere la
portata del fenomeno:14
– Don Marzio (dalla Bottega del caffè) di Giovanni Giannetti e Giuseppe Pagliara, Venezia,
Teatro Rossini, 1903;
– Un curioso accidente di Gaetano Coronaro e Virginia Tedeschi-Treves, Torino, Teatro Vittorio Emanuele, 1903;
– Le donne curiose di Ermanno Wolf-Ferrari e Luigi Sugana, Monaco, Residenztheater (in tedesco, Die neugierigen Frauen), 1903;
– Mirandolina (da La locandiera) di Antonio Lozzi e Ugo Fleres, Torino, Teatro Carignano,
1904;
– La locandiera di Carlo Cordara ed Ettore Dalla Porta, non rappresentata, 1905;15
– I quatro rusteghi di Ermanno Wolf-Ferrari e Giuseppe Pizzolato, Monaco, Hofoper (in tedesco, Die vier Grobiane), 1906;
– La pupilla di Giuseppe Mancini, Roma, Associazione della Stampa, 1908;16
– La vedova scaltra di Napoleone Zardo e Pietro Mazzoni, Bassano Veneto, Teatro Sociale,
1909.
La sola di queste opere ad aver conosciuto ampia fortuna (in parte prolungatasi fino ai
giorni nostri) sono I quatro rusteghi di Wolf-Ferrari. Nella commedia I rusteghi l’autore aveva architettato una sferzante satira sociale, come lui stesso dichiarò, sebbene in
toni attenuati, nei suoi Mémoires:
La morale de cette pièce n’est pas extrêmement nécessaire dans les temps où nous sommes; il
n’y a guère de ces adorateurs de l’ancienne simplicité [i rusteghi appunto]. Cependant il y a des
hommes qui jouent les difficiles dans leurs ménages, et font les aimables partout ailleurs.17
«La morale» era invece attualissima. Forse il rustego, descritto dallo stesso Goldoni nella premessa alla commedia come «un uomo aspro, zotico, nemico della civiltà, della
cultura del conversare», non era più diffuso, ma personaggi che assumevano compor13 Della ricezione di Goldoni nei libretti a cavallo fra Ottocento e Novecento si è diffusamente occupato
Johannes Streicher: Fantasmi goldoniani. Goldoni dopo Goldoni: metamorfosi librettistiche di commedie goldoniane tra Ottocento e Novecento, «Musica e dossier», VIII, 62, luglio-agosto 1993, pp. 50-58; Goldoni dopo Goldoni: Usiglio, Wolf-Ferrari e «Le donne curiose», in Musica e poesia. Celebrazioni in onore di Carlo Goldoni
(1707-1793), a cura di Galliano Ciliberti e Biancamaria Brumana, Perugia, Università di Perugia - Centro studi
musicali in Umbria, 1994, pp. 99-111; Goldoni après Goldoni cit.; Appunti sull’opera buffa tra «Falstaff» (1893)
e «Gianni Schicchi» (1918), in Tendenze della musica teatrale italiana all’inizio del Novecento. Atti del 4° Convegno internazionale «Ruggero Leoncavallo nel suo tempo», a cura di Lorenza Guiot e Jürgen Maehder, Milano,
Casa musicale Sonzogno, 2005, pp. 69-100.
14 Perfino Puccini, in cerca di un soggetto all’esordio del nuovo secolo, prese in considerazione Le baruffe
chiozzotte e La locandiera. Cfr. Carteggi pucciniani, a cura di Eugenio Gara, Milano, Ricordi, 1958, p. 199.
15 Il libretto venne pubblicato nel 1909.
16 Mancini, come già Gialdini, utilizzò il testo dell’intermezzo come base del libretto e intervenne egli stesso
per adattarlo. In uno dei libretti a stampa (Roma, Tipografia popolare, 1908) si legge infatti: «Arricchita di personaggi, con versi del medesimo autore Carlo Goldoni, per cura del maestro Giuseppe Mancini».
17 Citiamo da Mémoires de Goldoni, pour servir à l’histoire de sa vie, et à celle de son théâtre, Paris, Baudouin, 1822, vol. II, p. 89.
ITINERARI GOLDONIANI NEI LIBRETTI OTTO-NOVECENTESCHI
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Scena tratta dal Ventaglio. Incisione realizzata per l’edizione completa delle opere di Carlo Goldoni di Antonio
Zatta in Venezia, 1789-1795 (vol. IV).
tamenti ipocriti non mancavano; e la commedia dice a quale strato sociale perlopiù appartenessero: la piccola borghesia arricchita, certamente ben radicata e riconoscibile
nella Venezia dell’epoca.
Tutto ciò viene a mancare nell’opera di Wolf-Ferrari, nella quale la condotta dei
quattro burberi è semplicemente finalizzata a originare scene spassose in gran parte rette sull’opposizione fra sessi.18 Oltretutto Goldoni aveva tratteggiato personaggi variegati sia nel panorama maschile sia in quello femminile: «Si scorge dal titolo della commedia non essere un solo il protagonista, ma varii insieme, e in fatti sono eglino
quattro, tutti dello stesso carattere, ma con varie tinte delineati» si trova scritto nella
premessa, mentre per quanto riguarda le donne Margherita è «femme acariâtre, colère, entêtée», Marina è caratterizzata da «stupidité», Felice è «prévenante et adroite».19
Connotazioni che nel libretto risultano alquanto smorzate, delegando interamente l’ef18 Per un’analisi drammaturgica del lavoro di Wolf-Ferrari cfr. VIRGILIO BERNARDONI, «I quatro rusteghi» e il
comico nell’opera italiana d’inizio Novecento, in Ermanno Wolf-Ferrari, «I quatro rusteghi», «La Fenice prima
dell’Opera», 2005-2006, 3, pp. 11-21.
19 Mémoires de Goldoni cit., p. 89.
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FEDERICO FORNONI
ficacia scenica alla comicità generata dalle antiquate convinzioni dei mariti derise e accolte bonariamente dalle mogli.
Queste considerazioni possono essere estese all’atteggiamento tenuto dai vari compositori e librettisti dell’epoca che si confrontarono con la drammaturgia goldoniana.
In generale si registra un approccio che sottolinea gli elementi leggeri e farseschi del modello, evitando l’approfondimento degli aspetti più impegnati, compresa la tendenza a
veicolare un’immagine da cartolina di Venezia come appare evidente nella barcarola di
Marina che apre il quadro secondo dell’atto primo dei Quatro rusteghi. Impostazioni,
queste, condivise da buona parte della produzione comica di quegli anni. L’opera di
Lozzi e Fleres tratta dalla Locandiera fu tra quelle premiate nel 1902 al Concorso Cimarosa (l’intitolazione di un concorso per nuovi lavori al compositore napoletano è altro indice del rilievo della cultura musicale e teatrale del Settecento a inizio secolo), cui
partecipò con il titolo provvisorio ma emblematico Il nemico delle donne. Fra i lavori
segnalati ci fu un’altra opera di matrice settecentesca: L’abate di Walter Borg e Salvatore Di Giacomo. La commissione ne apprezzò la «forma assai vivace» e la
pittura di costume e di vita della fine del Settecento, non nuova, ma condotta con gusto e abilità […]; però, alla fine, tutto cade in modo alquanto volgare, né vi ha una soluzione razionale e soddisfacente, né dal punto di vista drammatico, né dal punto di vista di una bene intesa
interpretazione della vita del tempo.20
Né la voga settecentista (e goldoniana) si limitò alla sfera teatrale. Fra il 1901 e il
1905 Marco Enrico Bossi portò a termine gli Intermezzi goldoniani op. 127, una suite di sei danze per orchestra d’archi che occhieggiano a ritmi del diciottesimo secolo.
Non ci sono riferimenti diretti a Goldoni e neppure alla tradizione dell’intermezzo se
non nel titolo. Lo scrittore veneziano viene utilizzato a emblema della generale tendenza a rivisitare musicalmente la civiltà del Settecento. Ancora meno connotata è
l’ouverture Le baruffe chiozzotte op. 32 di Leone Sinigaglia eseguita nel 1907 da Arturo Toscanini, già primo interprete, due anni prima, di una selezione di tre brani della partitura di Bossi. Sinigaglia si dedica a un generico vivace descrittivismo che potrebbe rimandare al brulichio vitale della società veneziana (nel caso specifico
chioggiotta) raccontata da Goldoni.
IV
La città lagunare è motivo d’ispirazione ben più profondo di uno dei più originali
lavori novecenteschi derivati da precedenti goldoniani. Fra il 1920 e il 1922 Gian
Francesco Malipiero porta a compimento un trittico cui darà il titolo di Tre commedie goldoniane, che troverà la sua prima rappresentazione nel 1926 all’Hessisches
Landestheater di Darmstadt. In una nota stesa l’anno di completamento della partitura il compositore scrive che
20 «Cronache musicali e drammatiche», IV/3, 20 gennaio 1903, p. 2. Trascrizione in STREICHER, Appunti sull’opera buffa tra «Falstaff» (1893) e «Gianni Schicchi» (1918) cit., p. 79.
ITINERARI GOLDONIANI NEI LIBRETTI OTTO-NOVECENTESCHI
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La nostalgia per Venezia, dalla quale negli anni fra il 1920 e il 1922 ero forzatamente lontano, è stata la vera origine delle mie Tre commedie goldoniane […]. Nell’assieme, le Tre commedie goldoniane rappresentano il viaggio fra calli rii campi palazzi, e nelle lagune, di un musicista veneziano che si è lasciato condurre per mano da Carlo Goldoni.21
Dunque al veneziano Malipiero viene spontaneo, nel rendere omaggio alla propria
città, riferirsi al secolo diciottesimo e a Goldoni, insistendo su un’identificazione che
non è solo parte dell’immaginario collettivo, ma humus culturale per chi lì è nato. I tre
pannelli che compongono il polittico sono La bottega da caffè, Sior Todero brontolon
e Le baruffe chiozzotte, sui cui testi lavora lo stesso musicista, integrandoli con scritti
di altra provenienza.22 Il processo di adattamento librettistico è particolarmente interessante poiché quanto ne scaturisce è assai distante dalle fonti letterarie. Una distanza
riscontrabile anzitutto nel lavoro di sintesi estrema svolto da Malipiero che riduce a poche battute l’azione delle tre commedie, condensate al limite della comprensibilità. È
l’autore ad avvertire che «La bottega da caffè, Sior Todero brontolon, e Le baruffe
chiozzotte, sono tre fra le più note commedie goldoniane, e perciò la trasformazione
che qui hanno subito potrà sembrare quasi assurda se si crede ch’io abbia voluto fare
delle riduzioni a ‘libretto’ dei tre capolavori di Carlo Goldoni», e poco oltre: «Ne è risultato un’azione sintetica che non si deve però esaminare col microscopio».23 È inutile cercare motivazioni che determinino gli atti e i comportamenti dei personaggi, semplicemente perché non esistono, mancandovi lo spazio per presentarle. Di conseguenza
non si potrebbe nemmeno parlare di personaggi, privati quasi del tutto di connotazione e ridotti a monconi che si muovono in continuazione sul palcoscenico (i tre libretti
pullulano di indicazioni didascaliche di ordine mimico) senza sapere il perché e, in diversi casi, senza proferire parola, quasi fossero marionette in balia del compositore-manovratore. Il punto sta però nella scelta di applicare tale distorsione a figure in origine
sfaccettate e definite, quasi a porre in rilievo che dietro la maschera cui sono costrette
da Malipiero c’è una sostanza, sebbene non esplicitata. La finalità delle opere buffe di
derivazione goldoniana a cavallo fra Otto e Novecento, in primis quelle di Wolf-Ferrari, era di condurre lo spettatore alla risata, raggiunta attraverso la battuta e la condotta dei protagonisti. La maschera era trattata secondo principi strettamente comici. Ora
è invece l’umorismo a prevalere, venendo meno l’immediatezza della parola e degli atteggiamenti di chi è in scena. Il fruitore è perciò invitato a guardare oltre l’apparenza
sensibile e il messaggio acquisisce profondità.24 Lo evidenzia il modo in cui il compositore chiude le sue commedie musicali. Le ultime parole pronunciate nei tre libretti sono rispettivamente «Spia!», «miserabile» e «Ladre!». Il sipario cala in tutti i casi al21 Citiamo da GIAN FRANCESCO MALIPIERO, L’armonioso labirinto. Teatro da musica 1913-1970, a cura di
Marzio Pieri, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 133-134.
22 Cfr. FRANCESCO DEGRADA, Les «Tre commedie goldoniane» de Gian Francesco Malipiero, in Musiques goldoniennes cit., pp. 197-205.
23 MALIPIERO, L’armonioso labirinto cit., pp. 133-134.
24 Della dicotomia comico-umorismo si occupò proprio in quel giro d’anni nientemeno che Luigi Pirandello
nel saggio L’umorismo, steso nel 1908 e rivisto nel 1920.
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l’insegna dell’amarezza, ove peraltro i monologhi conclusivi di Don Marzio, Marcolina e Lucietta previsti da Goldoni sono sostituiti da didascalie che descrivono Don Marzio allontanarsi deriso e scioccato, Nicoletto trascinato via per un orecchio da Desiderio, Isidoro che ragiona sull’ennesima zuffa consumatasi in un campiello di Chioggia.
A differenza della fonte, viene negata ai protagonisti la possibilità di avere l’ultima parola su quanto accaduto. Non è loro consentito di levarsi la maschera per esprimere la
propria intimità e il proprio lato umano. Ciò determina una sensazione di inquietudine in chi ha assistito alla rappresentazione e lo costringe a riflettere.
Sulla base di altri esperimenti teatrali compiuti in precedenza, da Pantea a Orfeide,
Malipiero rinuncia a presentare affetti e azioni, principi fondanti della drammaturgia
musicale. La ricerca di nuove strade lo avvicina alle esperienze europee che pure guardavano a quanto il Settecento italiano offriva – la musica strumentale, la commedia dell’arte – nel tentativo di liberarsi dalla tradizione ottocentesca per muovere in direzione
antinaturalistica; ed è facile qui pensare a Stravinskij e al Pierrot lunaire di Schönberg.
Certo i risultati furono molto diversi l’uno dall’altro, ma l’esigenza di sperimentare fu
comune.25
V
L’operazione di Malipiero è insomma lontanissima da quella di Wolf-Ferrari, nonostante i medesimi orizzonti letterari, la comune origine veneziana e i debutti in Germania. E alquanto differente è la fortuna dei due autori: l’uno studiato dalla critica come
uno dei riferimenti del Novecento italiano però, tutto sommato, trascurato in sede esecutiva; l’altro capace di sopravvivere sulla scena teatrale fino ai nostri giorni, ma la cui
marginalità creativa è sottolineata dai commentatori più accorti.26 A dispetto del buon
numero di compositori confrontatisi con soggetti di Goldoni nel Novecento, è proprio
Wolf-Ferrari che viene comunemente associato allo scrittore. Forse per il favore di cui
gode presso il pubblico o forse perché a più riprese il musicista tornò sulla produzione
del suo concittadino. Dopo i due titoli citati ci furono tre altre occasioni di incontro:
Gli amanti sposi, dal Ventaglio, frutto di prolungati rimaneggiamenti da parte di diversi librettisti – Luigi Sugana, Giuseppe Pizzolato, Enrico Golisciani, Giovacchino Forzano (Venezia, Teatro La Fenice, 1925) –, La vedova scaltra (Roma, Teatro dell’Opera, 1931) e Il campiello (Milano, Teatro alla Scala, 1936), libretti di Mario Ghisalberti.
È dunque in pieno ventennio fascista che vengono allestiti i tre lavori di Wolf-Ferrari. Sebbene il fascismo, almeno inizialmente, non si schierasse nella disputa che ve25 In questo senso va letto anche il recupero degli autori del passato condotto da Malipiero e da altri compositori e musicologi della sua generazione che portarono alle stampe e promossero l’esecuzione di musiche di Palestrina e Paisiello, Monteverdi e Scarlatti, Cavalieri e Pergolesi. Sulla poetica teatrale di Malipiero e dei suoi colleghi italiani cfr. VIRGILIO BERNARDONI, La maschera e la favola nell’opera italiana del primo Novecento, Venezia,
Fondazione Levi, 1986.
26 Rimandiamo alle considerazioni contenute nella Bibliografia a cura di Daniele Carnini in Ermanno WolfFerrari, «La vedova scaltra», «La Fenice prima dell’Opera», 2007, 2, pp. 123-128.
ITINERARI GOLDONIANI NEI LIBRETTI OTTO-NOVECENTESCHI
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Scena tratta dalla Vedova scaltra. Incisione realizzata per l’edizione completa delle opere di Carlo Goldoni di Antonio Zatta in Venezia, 1789-1795 (vol. XIX).
deva contrapposti compositori aperti alle esperienze internazionali e accesi nazionalisti, sperimentatori e difensori della tradizione è pur vero che, sempre più, si andò favorendo le correnti conservatrici. Uno sguardo ai nomi degli operisti viventi più rappresentati negli enti autonomi dalla stagione 1935-1936 alla stagione 1942-1943 vede
in testa Mascagni, seguito da Giordano, Respighi e Zandonai, ossia compositori che
cavalcavano l’onda sentimental-passionale del melodramma tanto aborrito da Malipiero. Al quinto posto si collocano Cilea, pure esponente di quella tendenza, e WolfFerrari.27 Questi dati chiariscono come fossero le posizioni reazionarie e passatiste a
godere di maggior diffusione in quegli anni e, dunque, a convivere più facilmente con
il regime. Che il compositore italo-tedesco criticasse con asprezza qualsiasi novità in
fatto di scrittura musicale non è fatto celato né sorprendente. Più interessante appare il
suo tentativo di associare il recupero della tradizione artistica all’ordine garantito dallo stato fascista, l’una opposta al caos prospettato dalle avanguardie, l’altro nemico della confusione sociale:
27 I dati sono desunti da FIAMMA NICOLODI, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Fiesole, Discanto, 1984,
pp. 22-24.
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FEDERICO FORNONI
Abbiamo perduto la lingua musicale, da tutti intesa, nella quale ciascuno possa dire quello che
ha da dire, per essere inteso, non per non farsi capire creando una lingua a modo suo. Abbiamo perduto la grammatica musicale, confondendo la verità che la grammatica non è la poesia, coll’assurdo che basti essere sgrammaticati per essere poeti. Perciò si va a tentoni, pur gridando parole gonfie di vento. […] E perché ciò poté accadere in arte e non accadde anche nella
vita pratica? Anzi tutto bisogna riconoscere che accadde. Se non fosse venuto il Fascismo a far
rivivere il senso della disciplina, la Torre di Babele ci sarebbe stata anche nel campo politico e
pratico.28
Un punto di vista che sembra trovare punti di tangenza con quanto avrebbe espresso
Benito Mussolini dopo aver presenziato a una recita del Campiello:
In un palco, il Capo del Governo aveva assistito all’intero spettacolo, e alla fine volle compiacersi col Maestro. Gli disse, tra l’altro: «Questa sua musica tanto semplice deve essere molto
difficile a comporsi, è vero?». Nell’acuta osservazione del Duce si contiene una realtà estetica
che qualcuno non è capace ancora di riconoscere, per pregiudizio dottrinale o per errore di visione, e quindi di comprendere e godere un’arte di pura sorgente, spontanea come gli affetti
sani, deliziosa e arguta perché elementare e profonda, sapiente come la vera sapienza che non
ostenta e non ingombra.29
Ora, siccome la musica di Wolf-Ferrari non può certo essere definita «spontanea», né
«elementare», essendo costruita sul rifacimento e sull’attento calcolo,30 quella semplicità riscontrata da Mussolini può forse essere spiegata come facilità di ascolto, sensazione di chiarezza della quale l’orecchio impegnato a recepire partiture avanguardiste
viene privato.
Se questo può aiutare a decifrare la fortuna del musicista in età fascista, vale la pena sottolineare che neppure le sue scelte letterarie dovettero dispiacere al regime. Come opportunamente rilevato da Virgilio Bernardoni sono indicativi a tal riguardo i versi conclusivi della Vedova scaltra nei quali Ghisalberti instaura un nesso fra italianità e
Goldoni che certo doveva essere apprezzato dal potere politico.31 Dopotutto in una relazione parlamentare concernente il dibattito sulla abolizione delle compagnie teatrali
dialettali (in difesa dell’unica lingua nazionale) si legge:
ERMANNO WOLF-FERRARI, Considerazioni attuali sulla musica, Siena, Ticci, 1943, p. 58.
RAFFAELLO DE RENSIS, Ermanno Wolf-Ferrari: la sua vita d’artista, Milano, Treves, 1937, pp. 99-100.
30 Lo ha dimostrato in maniera convincente Giovanni Guanti in Donna di garbo sa soddisfar tutti, in Ermanno Wolf-Ferrari, «La vedova scaltra», «La Fenice prima dell’Opera» cit., pp. 25-34.
31 «Nel finale dell’opera, invece, si devia verso una celebrazione sentimentale dell’italianità che, alla data della sua andata in scena, il marzo 1931, risultava un’inequivocabile manifestazione di conformismo di regime. Alla
fine tutti inneggiano al vincitore della competizione [l’italiano Conte di Bosco Nero] («el xe compatriota, | la xe
una cossa granda: | e zà – | se sa – | al cuor no se comanda!») e al primo autore della commedia («l’amor de Goldoni | el xe una cossa granda: | e zà – | se sa – | al cuor no se comanda!») associandoli nel primato ideale dell’italianità come valore in sé, sotto le specie di razza e cultura. Da questo punto di vista si può dire che l’opera di WolfFerrari aggiorni in perfetto stile anni trenta l’equivalenza commedia uguale espressione teatrale di matrice
nazionalistica» (VIRGILIO BERNARDONI, «Mogli e … dei paesi tuoi». Wolf-Ferrari, Goldoni e il nazionalismo italiano stile anni trenta, ivi, pp. 13-24: 19-20).
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Poiché fra gli autori italiani ingiustamente dimenticati e che il Ministero ha voluto fossero riportati alla ribalta, vi era anche Carlo Goldoni, è stata particolarmente sostenuta dal Ministero la Compagnia del Teatro di Venezia, che non può però considerarsi un complesso dialettale, soprattutto per la qualità del suo repertorio, che va dalle opere immortali di Goldoni a
quelle di Giacinto Gallina.32
Lo scrittore era tenuto in particolare considerazione proprio per la capacità di rappresentare al meglio la cultura italiana (al di là del suo ricorso al dialetto) in virtù della
qualità della sua opera e in quanto autore di spicco di un genere teatrale, la commedia,
considerato tipicamente nostrano. Non appare perciò sorprendente che proprio Goldoni venisse scelto in occasione di eventi di particolare rilievo culturale e politico come
il debutto con La casa nova (in italiano) della compagnia stabile nazionale diretta da
Sergio Tofano voluta dal ministro Pavolini nell’ambito della riforma da cui nacque
l’Ente Teatrale Italiano, oppure come il progetto di una Mostra del teatro italiano inserita nella prevista Esposizione universale di Roma del 1942 che avrebbe dovuto portare in scena titoli emblematici della produzione nazionale, dal Medioevo all’attualità,
e nel cui programma compariva il nome di Goldoni (ma anche Goldoni e le sue sedici
commedie nuove di Paolo Ferrari, così come I quatro rusteghi oppure Le donne curiose di Wolf-Ferrari nella sezione lirica).33
L’interesse che ruotava intorno alla figura di Goldoni spinse altri compositori a cimentarsi con il suo teatro in questi anni. Anzi Mario Ghisalberti si era fatto una reputazione come adattatore per le scene musicali del commediografo veneziano e stese i libretti della Locandiera per Mario Persico (Roma, Teatro dell’Opera, 1941) e di Un
curioso accidente per Jacopo Napoli (pubblicato nel 1943, ma rappresentato solo nel
1950 al Teatro delle Novità di Bergamo). In una recensione dell’opera di Persico Alberto Savinio criticava la scelta dell’argomento perché
Le commedie di Goldoni sono quello che sono, ossia dei piccoli quadri di vita familiare e regionale, conchiusi nel loro tempo e nei loro costumi, inadatti a nostro parere a ricevere altro
abbellimento musicale, da quello che traggono dal suono e ritmo del loro dialogo vispo e saltellante.34
Eppure le considerazioni di Savinio sembrano calzare a pennello a libretti e partiture
più che alle fonti. La ricreazione del «suono e ritmo del loro dialogo vispo e saltellante» è stato oggetto di lavoro per Wolf-Ferrari, il quale non è andato molto più in là nell’interpretazione di Goldoni (al pari di Savinio), e il «piccolo quadro di vita familiare e
regionale» è semmai quello creato da Ghisalberti per Persico all’inizio dell’atto secondo, dove inventa una festa popolare fiorentina assente nella commedia.
32 Atti parlamentari, Camera, Legislatura XXIX, Sessione 1934-1937, Documenti, relazione Amicucci sullo
stato di previsione della spesa del Ministero della stampa e propaganda per il 1937-1938; si cita da EMANUELA
SCARPELLINI, Organizzazione teatrale e politica del teatro nell’Italia fascista, Firenze, La nuova Italia, 1989, pp.
206-207.
33 Ivi, pp. 309, 315, 317.
34 ALBERTO SAVINIO, Scatola sonora, Milano, Ricordi, 1955; rist.: Torino, Einaudi, 19882, p. 248.
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FEDERICO FORNONI
Scena tratta dal Campiello. Incisione realizzata per l’edizione completa delle opere di Carlo Goldoni di Antonio
Zatta in Venezia, 1789-1795 (vol. XXV).
VI
Nella seconda metà del secolo il sistema produttivo operistico è ormai basato per la
maggior parte su titoli di repertorio. Nonostante il progressivo diradamento di novità
è possibile individuare tracce significative di presenze goldoniane, addirittura riconducibili a personaggi apparentemente distanti dal mondo e dal pensiero del commediografo. Se non è sorprendente che il Teatro La Fenice affidi nel 1957 la messinscena dell’Impresario delle Smirne a Luchino Visconti, come Goldoni attento a confrontarsi con
la realtà e la società del proprio tempo, né che il regista chieda a Nino Rota di scriverne le musiche di scena,35 più curioso è che un compositore ceco come Bohuslav Martinu si rivolga alla Locandiera e che accomodi personalmente il libretto mantenendo la
lingua originale (nell’operazione venne affiancato da un amico italiano, Antonio Aniante).36 Il libretto della sua Mirandolina si configura come una riduzione della commedia,
L’allestimento venne realizzato in occasione del 250° anniversario della nascita di Goldoni.
La prima assoluta dell’opera al Teatro Smetana di Praga nel 1959, cinque anni dopo il completamento della partitura e pochi mesi prima della morte dell’autore, venne proposta in traduzione ceca.
35
36
ITINERARI GOLDONIANI NEI LIBRETTI OTTO-NOVECENTESCHI
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di cui vengono preservate la scrittura prosastica e le battute originali. C’è insomma una
stretta aderenza con l’opera letteraria, dipendente anche dal problema che Martinu non
scriveva nella propria lingua madre. Aderenza sulla quale il compositore decide comunque di insistere nella partitura poiché prevede la presenza di dialoghi parlati, avvicinando così il teatro di parola e quello musicale.
Altro compositore che, pur provenendo da un contesto culturale del tutto differente, ha trovato in Goldoni motivo di ispirazione e di riflessione è Michael Nyman. Nel
1976, agli esordi della sua attività creativa, compose le musiche di scena per una produzione del Campiello al National Theatre di Londra dietro richiesta del direttore musicale del teatro Harrison Birtwistle. Nyman arrangiò alcune canzoni dei gondolieri del
secolo diciottesimo per una band molto particolare che comprendeva strumenti medioevali e rinascimentali a fianco di strumenti più comuni. L’intento era di ricreare acusticamente il fracasso della vita di strada attraverso sonorità rumorose e di estrema
varietà timbrica. Il gruppo di musicisti non si sciolse al termine delle recite della commedia, ma continuò a lavorare con il nome di Campiello Band, nucleo originario della
Michael Nyman Band. Il repertorio dell’ensemble comprendeva una suite da concerto
tratta dalle musiche di scena, brani classici riorchestrati ricorrendo a strumenti inusuali, composizioni originali di Nyman come In re Don Giovanni, che si basa sull’elaborazione di alcune battute dell’opera di Mozart. Al centro degli interessi dell’orchestra e
del suo leader stava insomma l’idea di composizione concepita come elaborazione di
musiche preesistenti. Un interesse che Nyman avrebbe mantenuto in seguito e che si ritrova perfino nei lavori totalmente originali fondati sul concetto di variazione continua
di una cellula elementare. Forse non è casuale il fatto che alle origini di un’attività in
buona parte basata sulla citazione, l’imprestito, la parafrasi e la ricreazione37 ricorra
ancora una volta il nome di Goldoni. L’importanza di quell’esperienza, nata fortuitamente, è dimostrata da uno dei progetti più recenti di Nyman, Cine Opera (2010). Si
tratta di una serie di video girati dal musicista in diverse località del mondo nell’intento di fissare momenti di vita quotidiana e differenti modi di vivere, la cui proiezione
prevede accompagnamento musicale. Uno di essi è dedicato a Venezia e l’autore ha scelto di intitolarlo Il campiello in ricordo dei suoi esordi: «Goldoni, Il campiello, la musica veneziana sono aspetti fondamentali della mia vita da compositore, penso che senza quel progetto non sarei mai diventato un compositore».38
Sono di conio celebrativo le occasioni per i più recenti travasi librettistici del teatro
del veneziano. Il bicentenario della morte (1993) e il terzo centenario della nascita
(2007) hanno condotto alla realizzazione di alcuni progetti operistici: Se fosse l’amor
per gioco…, trittico di Michele De Marchi derivato da Amor contadino, L’amore artigiano e Amore in caricatura, dato in forma di concerto a Parigi e Strasburgo; La bague
37 Questi aspetti sono discussi in PWYLL AP SIÔN, The Music of Michael Nyman. Texts, Contexts and Intertexts, Aldershot, Ashgate, 2007.
38 Intervista rilasciata a «Menstyle.it», 10 maggio 2010 (http://www.michaelnyman.com/press/articles/show/
michael-nyman-e-il-suo-cine-opera).
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FEDERICO FORNONI
magique di Giovanna Marini e Valeria Tasca rappresentata nel 1998 all’Opéra di Nancy; Signor Goldoni di Luca Mosca e Gianluigi Melega, andato in scena alla Fenice nel
2007 – opera che non sfrutta alcun soggetto del commediografo, ma lo vede agire come personaggio.39 A questi va aggiunta La station thermale dai Bagni d’Abano, musica di Fabio Vacchi, libretto di Myriam Tanant. La ‘prima’ si è avuta nel 1993 all’Opéra di Lione, cui sono seguite riprese in altre piazze fra cui Milano, dove è apparsa nella
stagione scaligera 1994-1995.40 Costruita su principi metateatrali l’opera vede agire
personaggi del mondo musicale. In particolare due cantanti, Corallina e Violante, l’una
che nella stazione termale deve portare in scena un’opera settecentesca, la cui recita costituisce materia dell’atto terzo, e che si esprime secondo stilemi musicali dell’epoca con
esplicite citazioni di Galuppi, il più stretto collaboratore di Goldoni; l’altra, rimasta
senza voce e in cura nello stesso stabilimento, rappresentante della musica contemporanea. Ponendo al centro del discorso drammatico i due ambiti, il lavoro si configura
come una sorta di riflessione sul rapporto fra riscrittura musicale e creazione ex novo,
elemento costante di tutta la produzione derivante da argomenti goldoniani.
Dal quarto decennio del Settecento, quando Goldoni elaborò i primi intermezzi che
trovarono veste musicale, fino ai nostri anni il teatro del grande scrittore non ha mai
smesso di destare l’interesse del mondo operistico. La sua complessità ha consentito in
ogni epoca storica di trovare aspetti validi e adeguati alle mutanti esigenze drammatiche: dall’approccio psicologico-borghese ripreso dai romantici all’elemento prettamente giocoso che imperversò fra Otto e Novecento; dall’autorità che lo rese emblema della tradizione nazionale alla presenza della maschera simbolo delle avanguardie; dalla
collocazione cronologica che ne fece materia imprescindibile per la moda settecentista
all’idea di teatro al quadrato infinitamente declinata. Ripercorrere la ricezione goldoniana nei libretti significa perciò ripercorrere alcuni snodi fondamentali della storia dell’opera.
39 Sulla genesi di queste tre opere cfr. MICHELE DE MARCHI, Du «Triptyque de l’amour» à «Se fosse l’amor
per gioco…». Projet de spectacle musical, in Musiques goldoniennes cit., pp. 241-249; VALERIA TASCA, «La bague
magique». Projet d’opéra-comique sur un scénario de Goldoni, musique de Giovanna Marini, ivi, pp. 251-256;
Luca Mosca, «Signor Goldoni», «La Fenice prima dell’Opera», 2007, 5 (numero del periodico uscito in occasione della prima assoluta).
40 MYRIAM TANANT, De «I bagni di Abano» à «La station thermale», in Musiques goldoniennes cit., pp. 229232; La station thermale, Milano, Teatro alla Scala, 1995.
IL CAMPIELLO
Libretto di Mario Ghisalberti
Edizione a cura di Emanuele Bonomi,
con guida musicale all’opera
Il musicista con Mario Ghisalberti (a destra) a Portofino nel 1929, durante l’elaborazione del libretto della Vedova scaltra. Foto di Marguerite Ghisalberti. Ghisalberti scrisse per Wolf-Ferrari anche Il campiello, La dama
boba e, con Ludwig Andersen, Gli dei a Tebe (Der Kuckuck von Theben). Scrisse inoltre per Alfano Il dottor Antonio, per Montemezzi La notte di Zoraima, per Gavazzeni Paolo e Virginia, per Jacopo Napoli Il malato immaginario e Un curioso accidente.
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Il campiello, libretto e guida all’opera
a cura di Emanuele Bonomi
Questa è una di quelle commedie che soglio preparare per gli ultimi giorni di carnovale, sendo più atte in
tal tempo a divertire il popolo che corre affollatamente a teatro.1
Composto nella quiete appartata di una residenza romana di periferia, Il campiello di
Wolf-Ferrari debuttò l’11 febbraio 1936 sulle scene del Teatro alla Scala di Milano.
L’accoglienza fu schietta e calorosa, confermata nel decennio seguente dalle numerose
repliche di cui godette l’opera in Italia: Roma (alla presenza, pare, di Mussolini in persona),2 Torino, Venezia, Napoli e Parma. Morto l’autore, il lavoro uscì bruscamente dal
repertorio, come del resto buona parte della sua produzione operistica, pur continuando a beneficiare di una discreta diffusione a livello locale, vale a dire nella città natale,
e di sporadiche riprese in anni più recenti (Trieste, 1992; Londra, 1996; Bologna e Modena, 1998; Tokyo, 2001; Buenos Aires, 2006; Rovigo, 2008).
Fonte della presente edizione del Campiello è il libretto della première scaligera diretta dalla bacchetta virtuosa di Gino Marinuzzi,3 che in precedenza aveva tenuto a
battesimo anche La vedova scaltra a Roma nel 1931 in un quadro di rapporti pressoché idilliaci con il regime fascista.
Si è deciso di mantenere la disposizione metrica originale, che allinea a sinistra il testo in settenari e endecasillabi (più spezzoni di verso di tre o cinque sillabe derivati dai
tagli effettuati dal librettista Ghisalberti) direttamente tratto dalla fonte goldoniana,4 e
segnala con rientri le forme strofiche (sequenze di quinari, senari, settenari, ottonari,
decasillabi) aggiunte dal librettista (da noi impaginate con verso sporgente); rispetto al
1 L’Autore a chi legge, prefazione al Campiello in CARLO GOLDONI, Opere, a cura di Filippo Zamieri, Napoli, Ricciardi, pp. 457-538: 462. Per i raffronti fra libretto e fonte abbiamo tenuto presente questa edizione,
basata sulla princeps pubblicata da Pitteri a Venezia (1756).
2 RAFFAELLO DE RENSIS, Ermanno Wolf-Ferrari. La sua vita d’artista, Milano, Treves, 1937, pp. 99-100.
3 CARLO GOLDONI, Il campiello / commedia in cinque atti / riduzione in tre atti e adattamento / di / Mario
Ghisalberti / per la musica di / Ermanno Wolf-Ferrari, Milano, G. Ricordi & C., 1935, ch’è fonte della presente edizione.
4 «I versi di questa Commedia […] non sono i soliti martelliani, ma versi liberi di sette e di undici piedi, rimati e non rimati a piacere, secondo l’uso dei drammi che si chiamano musicali», in L’Autore a chi legge cit.,
p. 462.
54
EMANUELE BONOMI
libretto si sono però individuate, indentandole, alcune ulteriori forme strofiche non segnalate da Ghisalberti, anch’esse assenti nella fonte goldoniana, sono stati tacitamente
ricostituiti alcuni senari, settenari ed endecasillabi erratamente impaginati nel libretto
del 1935 e sono stati isolati alcuni spezzoni di verso erratamente riassorbiti in versi ipermetri di 9 o 14 sillabe.
I versi non intonati in partitura sono stati come sempre segnalati, insieme ad altre
varianti, in grassetto e color grigio nel testo e richiamati con esponenti in numero romano (quelli in numeri arabi si riferiscono alla guida all’opera).5 Per ortografia e accenti è stata mantenuta la «grafia fonetica moderna» utilizzata dai due autori in luogo
della «grafia settecentesca» goldoniana, come illustrato nell’Avvertenza all’opera, ma si
è scritto «perché» in luogo del «perchè» previsto da Ghisalberti e Wolf, e «sciafo»
«sciafazzo/a» in luogo di «s-ciafo», «s-ciafazzo/a»; sono infine stati corretti tacitamente i pochi refusi.
ATTO PRIMO
p. 57
ATTO SECONDO
p. 75
ATTO TERZO
p. 91
APPENDICI:
L’orchestra
Le voci
p. 105
p. 107
5 L’analisi dell’opera, e il raffronto con il libretto, è stata condotta sulla partitura d’orchestra: ERMANNO
WOLF-FERRARI, Il campiello, Milano, Ricordi, © MCMXXXV (stampa 1987). Nella guida all’opera ogni esempio musicale viene identificato mediante la cifra di chiamata con l’indicazione del numero di battute in apice che la precedono (a sinistra) oppure la seguono (a destra); le tonalità maggiori sono contrassegnate dall’iniziale maiuscola
(minuscola per le minori, e con l’aggiunta di eventuali alterazioni); la freccia indica modulazioni.
CARLO GOLDONI
IL CAMPIELLO
Commedia in cinque atti
riduzione in tre atti e adattamento di
Mario Ghisalberti
per la musica di Ermanno Wolf-Ferrari
Prima esecuzione
Milano, Teatro alla Scala, Ente Autonomo
Stagione dell’anno XIV
1935-36
Maestro concertatore e direttore d’orchestra: Gino Marinuzzi
Personaggi e attori
GASPARINA,
giovane caricata,
che parlando usa la lettera Z
in luogo della S
DONA CATE PANCIANA, vecia (*)
LUÇIETA, fia de dona Cate
DONA PASQUA POLEGANA, vecia (*)
GNESE, fia de dona Pasqua
ORSOLA, fritolera
ZORZETO, fio de Orsola
ANZOLETO, marzèr
Soprano
Tenore
Soprano
Tenore
Soprano
Mezzosoprano
Tenore
Basso
IL CAVALIERE ASTOLFI
Baritono
FABRIZIO DEI RITORTI, zio di Gasparina Basso
SANSUGA, cameriere di locanda
ORBI, che suonano
non parlano
GIOVANI, che ballano
FACCHINI
}
(*) Le parti delle vecchie Cate e Pasqua sono sostenute da uomini
La scena è a Venezia, nella metà del 1700.
[Mafalda Favero]
[Luigi Nardi]
[Iris Adami-Corradetti]
[Giuseppe Nessi]
[Margherita Carosio]
[Giulia Tess]
[Luigi Fort]
[Fernando Autori]
[Salvatore Baccaloni]
[Franco Zaccarini]
AVVERTENZA
Sebbene il presente libretto sia formato in gran parte dal testo originale goldoniano, per
ragioni evidenti di opportunità abbiamo creduto di non mantenere la grafia settecentesca, di difficile lettura per i non veneziani, bensì di adottare la grafia fonetica moderna,
perfettamente leggibile da tutti. Inoltre, per ottenere la massima esattezza di pronuncia,
abbiamo ritenuto utile servirci degli accenti acuto per le vocali accentate chiuse e grave per quelle aperte.
M[ario] G[hisalberti] - E[rmanno] W[olf] F[errari]
ATTO PRIMO
Scena fissa. Un campiello con varie case. A sinistra
in primo piano, quella di Gasparina con balcone a
poggiolo; più in fondo, quella di Luçieta con altana.
A destra in primo piano, la casa di Orsola con terrazza, e quella di Gnese con altanella, più in fondo.
Dietro, a destra e a sinistra, due callette. In mezzo,
nel fondo, una locanda con terrazzo lungo, coperto
da un pergolato. La luce muterà a grado a grado,
così da essere di prima mattina al principio dell’atto
primo, e di sera alla fine dell’opera.1
(Il campiello è vuoto. Poi I Gasparina appare sul poggiolo della sua casa. Ha in mano uno specchietto in
cui si guarda, mentre è intenta a darsi la cipria e a lisciarsi)
GASPARINA
Ancuo zé una zornada cuzzì bela,2
che me vorave andar a divertir;
ma zior barba ai zo libri nol ghe mola,
e zior barba co mi nol vol vegnir.
Malignazo quei zo libri,
zempre, zempre zto ztudiar!
Oh! ze almanco me vegnizze
l’ocazion de maridar!…
Quel zior che zé vegnudo in zta locanda,
quando che ’l pazza, zempre el me zaluda.
Ma no zo chi che ’l zia… Oh! vèlo qua
dazzeno in verità…
(Il cavaliere Astolfi vien passeggiando con qualche
affettazione da destra in fondo. Avvicinandosi alla
casa di Gasparina, saluta la fanciulla)
1 Lento, senza tempo – , Sol.
Il breve preludio orchestrale che apre Il campiello assolve una duplice funzione: incantevole pittura ambientale
da un lato, efficace anticipazione della ‘tinta’ malinconica e sentimentale dell’opera dall’altro. Incastonata tra due
fugaci scorci descrittivi è infatti un’esile melodia dei violini primi (Adagio in tempo) che si stacca pigramente dal
pastoso tessuto armonico e da cui traspare un senso di tenera, struggente nostalgia destinato a divenire, nelle diverse ricorrenze del motivo, cifra emblematica del lavoro:
ESEMPIO 1 (1)
Il progressivo diffondersi dei primi chiarori mattutini è suggerito nelle due battute iniziali dal quieto ‘destarsi’ degli archi, che vanno a comporre un accordo di tredicesima per quinte, quindi da una repentina esplosione degli
ottoni nel momento in cui lo sfolgorio del giorno illumina la scena (Alquanto più mosso, 3). Il crescendo luminoso, accompagnato dall’accelerazione agogica, viene ben individuato nelle didascalie aggiunte in partitura e
spartito.
I
«S’intravede il campiello, immerso in una luce crepuscolare irreale, fantastica. La scena si va rischiarando poco
a poco».
2 Poco più mosso – , Sol.
Organizzato secondo un incalzante susseguirsi di piccole oasi solistiche e vivaci sezioni dialogiche vivificate da
un idioma musicale assai duttile – chiaro modello è il declamato del Falstaff verdiano – che nella trasparenza dello stile riesce a cogliere ogni minima sfumatura espressiva, l’atto primo immette immediatamente lo spettatore
nel caleidoscopico microcosmo popolare che gravita intorno al campiello. Battibecchi e corteggiamenti, pettegolezzi e ammiccamenti costituiscono il rituale quotidiano di una comunità assai irrequieta che viene presentata attraverso l’intreccio di pittoreschi motivi orchestrali capaci di delineare all’istante la chiassosa varietà della ben
nutrita galleria di personaggi. Prima a comparire è la vanitosa Gasparina che, tutta intenta a truccarsi beandosi
allo specchio quasi novella Manon, lamenta la propria condizione di reclusa, dal momento che lo zio Fabrizio,
con cui vive, «a i zo libri nol ghe mola» [i suoi libri non li lascia], impedendole dunque di andar fuori casa, se-
58
GASPARINA
ERMANNO WOLF-FERRARI
(gli fa una riverenza)
(cammina un poco, poi torna a salu-
IL CAVALIERE
tarla)
GASPARINA
(replica una riverenza)
IL CAVALIERE (gira un poco, poi le fa un baciamano ri-
GASPARINA (corrisponde con un baciamano grazioso)
(s’incammina verso la locanda, poi torna indietro, mostrando di volerle parlare; poi si pente, le fa una riverenza, e torna verso la locanda. Sulla porta, si ferma, le fa un baciamano, ed entra)
IL CAVALIERE
dente)
segue nota 2
condo la rigida moralità che regna nel campiello: le giovani possono scendere in piazza solo se accompagnate.
Svolti su un insistente inciso guizzante dei violini cadenzato dal meccanico puntato delle viole,
ESEMPIO 2a (15)
i sospiri alquanto caricati della giovane, la cui estraneità all’ambiente circostante è grottescamente amplificata
dall’ostentato ‘difetto’ di pronuncia, tradiscono il suo desiderio di libertà, ma soprattutto l’impazienza per un
matrimonio che possa cambiarle la vita. Il momentaneo passaggio in scena del cavaliere Astolfi, attraente gentiluomo napoletano che alloggia nella locanda d’angolo, pare subito confermare le speranze del soprano. Nella deliziosa pantomima che segue i due si scambiano tenere effusioni reciproche in un buffo rituale fatto di cenni, moine e riverenze, replicato in orchestra da un dialogo spiritoso tra una frase assai garbata all’unisono di flauti,
fagotti, violini e celli, ritratto del tronfio ma galante «foresto», cui rispondono affettati interventi per terze degli
oboi ad abbozzare il carattere civettuolo della donna:
ESEMPIO 2b (18)
IL CAMPIELLO
–
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ATTO PRIMO
GASPARINA
(appare, agitata, impaziente, sull’altana della sua casa)3
Anzoleto, mio Anzoleto,
xe tre ore che te aspeto…
Ciò, baron, l’ora è passada
che ti crii «Aghi e cordoni»,
che ti passi per de qua.
Co ti crii «Aghi e cordoni»,
che ti passi per de qua,
no ti sa quel che mi sento…
quel che sento no ti sa,
co ti crii «Aghi e cordoni»,
che ti passi per de qua…
LUÇIETA
Oh! ghe dago in tel genio!
Ze vede che ’l zé coto!
Ma gogio dote?
Zior barba zé vegnù
da caza de colù. El va dizendo:
«Vorave, nezza, che ve maridezzi…»
Ma galo bezzi?…
Zior?… Ciámelo?… El zé elo. Tolé zuzo,
qua nol vol che ghe ztaga.
Come vorlo che fazza a maridarme?
Dazzeno che zon ztufa,
e ze ghe tendo a lu farò la mufa!
(Si ritira in casa)
segue nota 2
Ringalluzzita dall’incontro, il soprano confida nella dote che lo zio dovrà pur possedere per poterla maritare (tanto più con un conterraneo, dato che anche «zior barba» [il signor zio] ha origini partenopee) e rientra in casa
rinnovando le lamentele per il disinteresse del parente verso le sue aspirazioni sentimentali – la pungente invettiva è ricavata dalle battute che chiudono nella fonte una briosa scena dialogica (I.4) in cui la giovane, fingendo
con il gestore della locanda Sansuga un vago interesse per il nuovo arrivato, inizia a sondare il terreno. Con
l’espunzione del colorito episodio della «venturina», gioco simile al lotto che nella commedia goldoniana offriva un suggestivo squarcio corale di ritualità popolare, l’opera si concentra piuttosto su una gustosa rassegna debitamente animata della folla di individui che popolano la piazzetta, sfumando la descrizione dei rapporti sociali implicita nel linguaggio goldoniano – nel libretto non vi è alcuna traccia, ad esempio, della volgare
esclamazione con cui Gasparina ostenta da subito con tracotanza il proprio rango più elevato, «Zte zporche, che
zè qua | oh quanta invidia, che le gh’averà!» [’Ste sporche che sono qua | oh quanta invidia avranno!] (I.3) – e
rafforzando con risorse tematiche l’associazione della protagonista femminile con il morbido motivo appena udito nel preludio – sarà lei infatti a intonarlo ciclicamente un’ultima volta nel commovente addio a Venezia che
suggella tanto la partenza della coppia di «foresti» (Gasparina-Astolfi) quanto la ricomposizione di ogni tensione in un luogo eretto a metafora di un’umanità umile e genuina.
3 Annunciata da un’appassionata frase dell’orchestra che ricorda nel suo tono goffamente eccessivo e caricato
l’enfatica introduzione orchestrale alla straziante confessione della Santuzza mascagnana, di cui condivide anche
la corrusca tonalità di mi –, fa quindi la sua comparsa Luçieta in preda alla più viva impazienza, intonando
un’arietta su un motivo enunciato dai violini doppiati dai celli e poi ripreso e variato dal soprano:
60
ERMANNO WOLF-FERRARI
Ah! sti puti è pur baroni;
chi se fida ben no gà!
(Il Cavaliere appare sulla terrazza della locanda,
guardando verso la casa di Gasparina)4
LUÇIETA
Várdelo qua?
IL CAVALIERE
Várdelo qua?Mi pare e non mi pare…
LUÇIETA
Par che ’l me varda mi.
IL CAVALIERE (si cava il cappello e lo tiene a mezz’aria,
parendogli che sia e non sia Gasparina)
LUÇIETA (lo saluta)
Paron caro.
IL CAVALIERE (termina di salutarla, poi l’osserva con
l’occhialetto)
segue nota 3
ESEMPIO
3 (119)
Il fidanzato Anzoleto, che di mestiere fa il mercivendolo ambulante, non è ancora passato davanti al suo balcone e la donna si lagna perché di «puti» come lui non ci si può fidare – e il suo canto prende un languore erotico
dalle increspature cromatiche di chiara ascendenza ‘napoletana’ (seconde abbassate o eccedenti) che punteggiano la linea vocale.
4 Quando il Cavaliere si affaccia poco dopo dal terrazzo della locanda, ha infatti inizio un vivace siparietto svolto nuovamente sul motivo dell’es. 2a che principia come seguito della pantomima precedente – di fronte però alla perplessa e recalcitrante Luçieta il corteggiamento inscenato dal baritono, conscio ben presto che la preda non
è più Gasparina, assume ora i connotati di un passatempo fine a se stesso, dettato da una natura galante sempre
in moto – per risolversi in un gioco di travisamenti linguistici e gestuali che traduce la reciproca incomunicabilità dei due interlocutori.
IL CAMPIELLO
–
61
ATTO PRIMO
LUÇIETA
IL CAVALIERE
Paron caro.M’àlo visto cussì?
Non comprendo che dica…
(La saluta)
IL CAVALIERE
Vedo che non è quella.
Ma tanto e tanto non mi par men bella.
(La guarda ancora con l’occhialetto)
LUÇIETA
LUÇIETA
IL CAVALIERE
Se ’l seguita a vardar co sto bel sèsto,
adesso adesso mi ghe volto el çésto.
IL CAVALIERE (la saluta)
serva sua.Mi perdoni…
ANZOLETO (entra da destra in fondo, con le scatole da
merciaio, gridando ad uso di tal mestiere)
Aghi de fiandra! Spighete! Cordoni!…5
LUÇIETA
La reverizzo in furia;
maneghi de melon, scorzi de anguria!
Non comprendo che dica…Un’altra volta,
serva sua.
LUÇIETA
Anzoleto!
5 Largo molto-Adagio – , Do
.
Invece di sbrogliare una situazione al limite dell’imbarazzo, l’atteso ingresso di Anzoleto, arrivato nel campiello
per vendere la propria merce, scatena una violenta ‘baruffa’ che coinvolge ben cinque personaggi. Movente dell’azione è, ancora una volta, il contegno benevolmente amabile di Astolfi, che assai sensibile al fascino del gentil
sesso («Tante bellezze unite! Davver mi pare un sogno!…») si offre con affettata prodigalità di acquistare regali
per le due donne al balcone – a Luçieta si è nel frattempo aggiunta la timida e pudica Gnese –, eccitando un’intricata sequela di gelosie e ripicche. Nell’aderire al confuso garbuglio di schermaglie e battibecchi il discorso musicale si frantuma in una miriade di brevi incisi orchestrali (alcuni dei quali già uditi) che conferiscono alla narrazione un ritmo serrato, aderente al clima più concitato del contesto drammatico – il libretto segue fedelmente, pur
con minuscoli tagli, tutta la parte conclusiva dell’atto primo della fonte (I.6-12). Il motivo di Gnese, una languida
frase dei violoncelli rinforzata dagli interventi della celesta sui leggeri accordi ribattuti di archi e legni (Tranquillo
molto – , si),
ESEMPIO 4 (19)
62
ERMANNO WOLF-FERRARI
ANZOLETO (minacciandola)
Anzoleto!V’ò visto!
IL CAVALIERE
IL CAVALIERE
Dasseno?Sì, servitela,
che tutto io pagherò.
Signora, se comanda,
compri, che pago io.
GNESE
LUÇIETA
ANZOLETO
compri, che pago io.Grazie, patron.
(Ad Anzoleto)
Aspetème, che vegno su la porta.
(Scompare)
IL CAVALIERE
IL CAVALIERE
Quel giovine!
II
ANZOLETO
Quel giovine!Patron.
IL CAVALIERE
Quel giovine!Patron.Quel ch’ella vuole
datele. Pago io.
III
ANZOLETO
(Ah! sta cagna ’sassina m’à tradio!)
IV
GNESE (appare sull’altana della sua casa)
Oe, marzèr, vegnì qua.
(Anzoleto s’accosta)
IL CAVALIERE
Ecco un’altra beltà.
GNESE
Gaveu cordoni bei?
IL CAVALIERE
Datele quel che vuol. Pago per lei.
Vegnì de su, marzèr.
Vegnì de su, marzèr.Ben, vegnirò.
Tante bellezze unite!
Davver mi pare un sogno.V
Servitevi, ragazza.
GNESE
Me torò ’l mio bisogno.
(Scompare in casa)
(Luçieta è apparsa sulla porta della sua casa, in tempo per vedere Anzoleto entrare in quella di Gnese)
LUÇIETA (di casa)
Inveçe de aspetarme el va da Gnese?
IL CAVALIERE
Giovinetta cortese,
aspettate. Ora vien.
LUÇIETA
aspettate. Ora vien.Sior sì, l’aspeto.III
(Vòi parlar col foresto
a so marzo dispeto.)
(Si mette a passeggiare su e giù per la scena)
IL CAVALIERE
Com’è che vi chiamate?
GNESE
Dasseno?
segue nota 5
lascia trasparire la schietta impulsività della giovine, non aliena da battute di perfida sagacia (come quella che rivolgerà al Cavaliere prima di ritirarsi in casa dopo aver rifiutato l’offerta del nobile di pagare i suoi acquisti: «Le
pute veneziane | le gà pensieri onesti, | e no le tol la roba dai foresti!»). Il fulmineo scontro verbale tra Luçieta e
Anzoleto prima che lui entri dalla presunta rivale viene riverberato nel successivo dialogo fra la ragazza e il corteggiatore, continuamente punteggiato da clangori e ruvidezze sonore di stampo verista – si osservi in particolare il turbinoso ribollire cromatico dei violoncelli a denotare la stizzita ritorsione della donna, che più avanti sfoga la sua collera su isterici trilli derivati dalle garbate fioriture con cui poco prima la ‘rivale’ aveva fatto salire in
casa il merciaio, oppure i vigorosi interventi degli ottoni che colgono nelle repliche del merciaio il suo puntiglio
di onorabilità.
II
Aggiunta: «(brusco).
III
Aggiunta: «(da sé).
IV
«dall’altana»
V
Aggiunta: «(a Gnese).
IL CAMPIELLO
–
63
ATTO PRIMO
LUÇIETA
LUÇIETA
Luçieta, per servirla.III
(Farme sta azion a mi? No vòi sofrirla.)
(Passeggia sempre)
IL CAVALIERE
Oe, Luçieta?(Sì, sì, podé ciamarme…
Fina che no me sfogo,
no vago, se i me dà, via da sto liogo.)
CATE (uscendo di casa)
Cossa fastu qua in strada?
LUÇIETA (si getta nelle braccia della madre, piangendoVI)
Sto baron de marzèr…6
xe passà… l’ò ciamà…
Nol m’à gnanca aspetà…VII
CATE (commossa)
E ti pianzi per questo?
Siete fanciulla?
LUÇIETA
IL CAVALIERE
Luçieta?
LUÇIETA
Luçieta?Cossa vorla?
IL CAVALIERE
Siete sposa?
LUÇIETA
Siete sposa?Sior no.
LUÇIETA
Siete fanciulla?Çerto
che qualcossa sarò.
IL CAVALIERE
Voglio venir da basso.
LUÇIETA
Voglio venir da basso.Chi lo tien?
(Il Cavaliere si ritira in locanda)
(Vòi che ’l me senta, quel baron, co ’l vien.
Cossa xe sto impiantarme?)
CATE (fa capolino da una finestrella al pianterreno)
Oe, Luçieta?
(La sua testa scompare)
E ti pianzi per questo?Siora sì…
CATE
El vegnarà de boto.
IL CAVALIERE (dalla locanda)
El vegnarà de boto.Eccomi qui.
CATE (a Luçieta)
Chi èlo sto sior?
LUÇIETA (a Cate)
Chi èlo sto sior?Tasé.
IL CAVALIERE (a Luçieta)
Questa vecchia, chi è?
LUÇIETA
Questa vecchia, chi è?La xe mia mare.
VIII
CATE
Che ’l se meta i ociai, se nol ghe vede:
no son vecia, paron, come ’l me crede.
Aggiunta: «singhiozzando.
La ricomparsa del tema dell’arietta precedente (Meno mosso – , mi, cfr. es. 3) enfatizza il momento in cui
Luçieta, gemente, si getta disperata tra le braccia della madre Cate – con chiaro intento farsesco il personaggio
viene affidato a una voce maschile (come aveva fatto, ad esempio, Donizetti nelle Convenienze e inconvenienze
teatrali) – e conduce a due sbrigativi ‘terzetti’ di opposto carattere intramezzati dall’inflessibile apparizione sul
terrazzo di Gnese. Nel primo Astolfi, approfittando della temporanea assenza di Anzoleto, rinnova le sue profferte a Luçieta, facendo invece la conoscenza della bizzarra madre in un dialogo dai contorni surreali (Allegro
moderato – , Do) – basti citare l’esilarante battuta con cui la comare, mezza cieca e ormai sdentata, ammonisce il Cavaliere per averle dato della «vecchia»: «Che ’l se meta i ociai, se nol ghe vede» [Che si metta gli occhiali, se non ci vede] –, evidenziato dai sussulti secchi e staccati degli archi. Nel secondo il rientro in scena del
mercivendolo sfocia, al contrario, in un litigio furioso con la fidanzata confortata dalla madre, che funge da
energica stretta (Energico – , do) sviluppata con agogica incalzante sopra un roboante rinforzo orchestrale
d’impronta mascagnana.
VII
Aggiunta: «(Piange)».
VIII
Aggiunta: «(al Cavaliere)»
VI
6
64
ERMANNO WOLF-FERRARI
IL CAVALIERE
Compatitemi, cara.
Ah! vostra figlia è una bellezza rara.
CATE
Lo so anca mi. La xe una bela puta.
E po, vardè: la me somegia tuta!
GNESE (apparendo sull’altanella, al Cavaliere)
Paron, sala. M’ò tolto
roba per quatro lire.
IL CAVALIERE (con vivacità)
Anche per trenta!
(Mostra la borsa)
Anche per trenta!Io faccio ognor così!
CATE (a Anzoleto)
Zito! Vegnì co nu.
IX
ANZOLETO
In casa vostra no ghe vegno più!
(Parte furente)
IL CAVALIERE
Via, l’amante è partito.7
Prendete un anellino.
Tenetelo, che è bello.
LUÇIETA (bruscamente)
La reverizzo, e grazie de l’anelo.
(Entra in casa, senza prenderlo)
CATE
GNESE
La diga, sior foresto.
Ma me l’ò tolta, e l’ò pagada mi.
Le pute veneziane
le gà pensieri onesti,
e non le tol la roba dai foresti!
(Si ritira in casa)
IL CAVALIERE
III
IL CAVALIERE
La diga, sior foresto.Che volete?
CATE
La me lo daga a mi.
IL CAVALIERE
Questa non fa per me: troppo eroina.
(A Luçieta)
Via, fatevi servire.
La me lo daga a mi.Brava: prendete.
Datelo alla ragazza a nome mio.
Vecchia da ben, mi raccomando. Addio.
(Entra in locanda)
LUÇIETA
CATE
Via, fatevi servire.No vòi gnente.
(Investendo Anzoleto, che esce dalla casa di Gnese)
No me vegnir darente,
toco de desgrazià, baron, furbazzo!
ANZOLETO
A mi sto bel strapazzo?
A mi che gò rason de lamentarme?
LUÇIETA
Ti gà rason che qua non vòi sfogarme.
Ti me l’à da pagar.
ANZOLETO
III
Ih! no ghe dago gnente!
No vòi che la se instizza.
El sarà bon co me farò novizza!
(Sorride sorniona, incamminandosi, con un ritmico
dondolare delle anche, verso casa. Fermandosi presso la porta)
No son più una putela;
no go quel che gaveva
co gera zoveneta,
ma ghe n’ò più de quatro che me aspeta.
(Entra in casa)
Chi à da aver, à da dar.
IX
«mi. | ANZOLETO | Cagna! | LUÇIETA | Baron! [= furfante ] | CATE | Tasé! [= Tacete!] | ANZOLETO | ’Sassina | LUÇIETA | Baron! | CATE | Vegnì co mi! | ANZOLETO | In casa vostra no ghe vegno [= non vengo] più | (Parte, poi torna) | LUÇIETA | Ah, baron, baron, furbazzo! | CATE | Fia mia! | LUÇIETA | Can! | ANZOLETO (ricomparendo improv-
viso)».
7 Andante col canto-Lento-Lento assai – ,
.
Rimasto solo con Luçieta ora che «l’amante è partito», Astolfi può finalmente portare a termine la sua strategia
di conquista offrendo un anello alla giovane, che però questa rifiuta ancora scossa dal recente battibecco. A congedare amichevolmente il Cavaliere interviene allora la madre Cate che, dopo essersi fatta abilmente consegnare
il gioiello – la rapida sezione dialogica dei due è svolta su di un disadorno recitativo –, s’avvia barcollante verso
IL CAMPIELLO
–
65
ATTO PRIMO
(esce di casa con la scopa)
Vòi scoar sto campielo.8
El xe pien de scoasse.
Sempre ste frasconasse
le fa pezo dei fioi;
le magna i garaguoi,
le magna i biscoteli de Bologna,
e tuto le trà zo ch’è una vergogna.
Goi da scoar mi sola?
Lasso che tuti pensa a casa soa,
e no vòi per nissun fruar la scoa.
(Va scopando davanti alla sua porta)
PASQUA
(appare sul terrazzo della sua casa)
Oe, disé, Dona Pasqua?… Dona Pasqua?…
La xe sordeta, grama.
ORSOLA
PASQUA
La xe sordeta, grama.Chi me ciama?
ORSOLA
Zà che gavé la scoa, fème un servizio:
dène una netadina
qua davanti de nu.
PASQUA (continua a spazzare davanti a casa sua)
Quelo che fazzo mi, fèlo anca vu.
segue nota 7
casa al ritmo di un grazioso motivetto d’impronta popolaresca (Tranquillo – , Do), una sorta di giga in tempo
lento scandita dal tenue pizzicato di violini e celli a punta d’arco sul ticchettio di una tromba con sordina e del
triangolo, destinato a svolgere un ruolo centrale nell’atto seguente quale seducente metafora sonora del clima di
gaia spensieratezza che informa la fragorosa ritualità nel campiello:
ESEMPIO 5 (131)
8 Andante tranquillo – , la
.
Analogo grottesco della madre di Luçieta è lo strampalato personaggio di Dona Pasqua – anche lei interpretata
da un tenore e affetta da sordità e continui reflussi –, presentata in un gustoso siparietto dialogico con la dirimpettaia Orsola, «fritolera» per professione (venditrice cioè a buon mercato di cibi fritti, come frittelle, pesce e anche polenta), che apre in Goldoni l’atto secondo della commedia. Scortata da un ritmato tema accordale degli archi con sordina che spesso si espande in rapide folate di biscrome a suggerire icasticamente i colpi di scopa, la
vedova è intenta a ripulire la parte di campiello dinanzi casa dalle troppe «scoasse» gettate per terra, bofonchiando accuse contro lo scarso senso civico del vicinato. L’intromissione di Orsola che con impudenza le chiede di dare «una netadina [= pulitina] | qua davanti de nu [= noi]» scatena infatti la reazione stizzita della donna,
che però cambia subito atteggiamento quando la vicina loda le virtù della figlia Gnese, lasciandole intendere di
essere disposta al fidanzamento della ragazza con il proprio figlio Zorzeto. A riflettere il graduale cambio d’umore il motivo iniziale cede allora il posto a una soave melodia cantabile di oboi e violini I (Meno mosso, La) per
poi trasformarsi in un inciso frizzante di flauti e violini, contrappuntati da fagotti e viole (Allegro) che s’affaccia
più volte nell’ultima parte della conversazione e conclude trionfalmente la scena mentre Pasqua, oramai in piena estasi, si precipita in casa di Orsola per discutere della proposta con la segreta speranza di sistemare la figlia
per potersi risposare.
66
ERMANNO WOLF-FERRARI
ORSOLA
PASQUA
No ve faressi mal, cara madona.
Caspita! La xe un fior!N’è vero, fia?
(Spazza più forte)
PASQUA
(Vardè che zentildona!
La vol che se ghe fazza la massera.
Chi credela che sia, sta fritolera?)
ORSOLA
ORSOLA
PASQUA
Basta, basta cussì.
Quando la marideu?
Slongar la scoa un tantin,
xela una gran fatiga?
Quando la marideu?Grama! Magari…
Ma me capìu, fia mia? Fala danari.
PASQUA
ORSOLA
Cossa?
Qualchedun la torave senza gnente.
ORSOLA
PASQUA
Cossa?Me seu amiga?
Cossa?
PASQUA
ORSOLA
Sì ben.
Ma no vòi che ste frasche che sta qua
le me diga la serva
de la comunità.
ORSOLA
Via, via: gavé rason. Disé, fia mia,
dove xe vostra fia?
Vegnì de su da mi. Vòi che parlemo.
X
PASQUA
(Chi sa che co so fio no se giustemo?)
Vegno subito.XI Gnese?…
GNESE (apparendo sull’altanella)
Siora, m’aveu ciamà?
PASQUA
ORSOLA
Sì, fia mia. Vago qua
da sior’Orsola, sastu?
Tornarò da qua un poco.
(Fa dei segni d’intesa con Orsola)
La xe una puta che me piase assae.
GNESE
PASQUA
dove xe vostra fia?La xe de sora
che la laora.
PASQUA
Dasseno la xe bona.
(Spazza da Orsola)
ORSOLA
No, no ve incomodè…
(spazzando sempre da Orsola)
De quele non la xe, se me capì…
PASQUA
ORSOLA
Le xe una bona puta.
PASQUA
E per dir quel che xe, non la xe bruta.
ORSOLA
Caspita! La xe un fior!
Aggiunta: «(Cossa diseu, sorela? Magari! | (Da sé)».
Aggiunta: «(Chiama)».
XII
Aggiunta: «(Quasi al pubblico)»
X
XI
Sior’Orsola patrona.
ORSOLA
Sioria, fia mia.
(a Orsola)
Sioria, fia mia.Cosa diseu? che toco!
(Alzando gli occhi al cielo e così le mani aperteIII)
(Ah! poderla liogar!XII
Perché, per confessar el mio pensier,
vorave destrigarme,
perché dopo anca mi vòi maridarme.
Mi ghe sento pocheto,
ma grazie al çielo son ancora in ton,
e fora de una recia,
tuto el resto xe bon!)
PASQUA
IL CAMPIELLO
–
67
ATTO PRIMO
(Pasqua entra in casa di Orsola. Questa che frattanto ha conversato con Gnese, la quale le ha mostrato
dei «fiori da topé», che sta facendo, vedendo entrare Pasqua, saluta con un baciamano Gnese e si ritira anche lei)
GNESE
Voria, mi, sposarme,9
vorave, mi sì;
ma po, co ghe penso,
me fa un çerto senso,
el sangue se missia,
no so gnanca mi…
E po mi vorave
che tuti tasesse,
nissun lo savesse,
nissun ne vedesse…
no so gnanca mi.
Se el fusse Zorzeto?
Ma sì, benedeto,
ma sì, bocoleto,
mia stela, mia vita,
Zorzeto, mi sì!…
Ma po me vergogno,
no gh’è sto bisogno,
ma gnanca per sogno…
e po me vergogno,
no so gnanca mi…
LUÇIETA (apparendo sulla sua altana)
Siora Gnese garbata.10
GNESE
Cossa gaveu co mi?
9 Tranquillo – - - - , Fa.
Chiamata poco prima al balcone dalla madre, Gnese rimane sola ad attendere con agitazione l’esito dell’incontro, esprimendo in un’arietta dal sapore intimista le proprie aspettative matrimoniali. Tale parentesi sentimentale, assente nella fonte, fa emergere da un lato il carattere essenzialmente timido e ingenuo della giovane, ma traduce soprattutto quella patina di tenera nostalgia che permea da cima a fondo l’intera partitura – si osservi, ad
esempio, la squisita morbidezza della linea vocale che si muove quasi con ritrosia per piccoli intervalli nel registro centrale della tessitura (es. 6) o gli accorati interventi di viole e clarinetti posti in chiusura della prima strofa, poi rielaborati timbricamente. Nel suo configurarsi come ‘pezzo chiuso’ solistico all’interno di un tessuto musicale fondamentalmente durchkomponiert che privilegia l’ambientazione collettiva, il brano rappresenta inoltre
con suggestiva metafora stilistica la problematica interazione tra la dimensione privata dei sentimenti personali
e l’opprimente ambiente pettegolo del campiello, come è costretta ad ammettere con frustrazione lo stesso soprano: «E po mi vorave [= vorrei] | che tuti tasesse, | nissun lo savesse, | nissun ne vedesse».
ESEMPIO 6 (144)
10 Tranquillo – , Fa.
A confermare i timori della giovane ecco infatti succedersi un nuovo incidente che turba la quiete temporanea
della piazzetta, fomentando ripicche e maldicenze tra le due coppie di fidanzati. Pretesto del contendere è questa
volta la gelosa rivalsa di Luçieta che, ancora offesa per il presunto sgarbo subito dalla ‘rivale’, non esita a rinfacciarle le smancerie con Anzoleto. Un fiore di stoffa, donato da Gnese a Luçieta, dovrebbe servire ad appianare i contrasti, ma la repentina comparsa dei due uomini sfocia in una brusca progressione emotiva.
68
ERMANNO WOLF-FERRARI
LUÇIETA
ZORZETO
Cossa gaveu co mi?Siora spusseta,
lo savé che Anzoleto me vol ben,
e in casa vel tirè quando che ’l vien?
Mi a vegnir su la porta me vergogno.
Ve degnèvi una volta de ziogar
co mi a le bagatele.
GNESE (spazientita)
Eh via, che le xe cosse da putele…
No ghe lo dè quel fior?
LUÇIETA
ZORZETO
Lassème star quel puto.
No ghe lo dè quel fior?Subito, siora.
(Cossa mai gogio fato?)
GNESE
GNESE
Lassème star quel puto.Chi vel toca?
Mi no, cara Luçieta.
Vogio donarve un fior.
GNESE
LUÇIETA
LUÇIETA
Magari!
(Chiamando)
Magari!Oe, Zorzeto!
Gnese ve darà un fior, portèlo qua.
XIII
ZORZETO (che è uscito dalla casa di Orsola, a Gnese)
Volentiera, son qua. Vegno de suso?11
GNESE
Sior no. Calo el çestelo.
(Cala il cestino in cui ha messo un fiore)
ZORZETO (prendendo il fiore)
Sior no. Calo el çestelo.Ma co belo!
El somegia dasseno a chi l’à fato!
GNESE
Andè via, che sè mato!
LUÇIETA
Andè via, che sè mato!Ti lo sprezzi?
ZORZETO
No me volé più ben?
GNESE
(Cossa mai gogio fato?)Uh! mala grazia!
(Si ritira in casa)
Zorzi, Zorzi, ghe vedo da lontan:
culia la te vol ben.
ZORZETO
culia la te vol ben.Giusto! una volta…
LUÇIETA
Anzi, più adesso.
Co la gera putela,
no la pensava miga a çerte cosse.
Adesso la ghe pensa, e ’l se cognosse.
ZORZETO
Anca mi, se ò da dir la verità,12
ghe vòi ben in t’un modo
che mai più l’ò provà.
Co la vardo cussì…
mi me par de cascar;
co la vedo vegnir…
mi me par de morir…
Per ela mi no so cossa faria,
mi lasso che i me daga, che i me copa!…
No me volé più ben?Che putelezzi!
«apparso sulla porta della».
Andante largo – , Sol
L’ingresso di Zorzeto, preceduto dalla ricomparsa del motivo dell’es. 1 ora affidato alle sonorità diafane del flauto sul tremolo dei violini divisi, pare una ventata d’aria fresca: gentile e spensierato, il giovinetto coglie nel favore chiestogli da Gnese – portare il fiore a Luçieta – l’occasione per omaggiare l’amata di complimenti galanti,
12 Più largo – - - - , Sol
ma i modi assai controllati della ragazza lo spingono a rimpiangere le spensierate tenerezze infantili di un tempo
in un breve e commosso arioso (senza corrispettivo in Goldoni, ma suggerito dalla disposizione metrica adottata da Ghisalberti), nel quale il sincero e ancora ingenuo dolore dell’adolescente è reso dalla costante lievitazione
della voce nel registro acuto:
XIII
11
IL CAMPIELLO
–
69
ATTO PRIMO
Ma tratarme cussì…
Anca vu capirè…
sì, me par anca a mi…
(Si commuove)
perché proprio, Luçieta, no son uso!…
(Piange piano)
ANZOLETO (da sinistra in fondo, tagliandogli la strada)
Indrio, sior scartozzeto!
LUÇIETA
Cossa v’òi fato?
Povero pampalugo, vien de suso.
(Zorzeto s’avvia per entrare in casa di Luçieta)
ANZOLETO
LUÇIETA
Indrio, sior scartozzeto!Che strambazzo!
ZORZETO
Cossa v’òi fato?Indrio,
che ve dago un sciafazzo!
segue nota 12
ESEMPIO
7 ( 53)
1
Compatito da Luçieta, che ne riprende con intenerita ironia la frase finale, il tenore si avvia in casa della giovane per consegnarle il regalo, ma è intercettato da Anzoleto che lo aggredisce in malo modo. La lite tra maschi,
svolta sopra un ruvido recitativo infiammato dalle brutali accensioni dell’orchestra, coinvolge rapidamente fidanzate e madri in un buffo crescendo di ingiurie e improperi reciproci che culmina con l’arrivo in scena di Astolfi, incuriosito dal baccano circostante.
70
ERMANNO WOLF-FERRARI
XIV
ZORZETO
GNESE
Ghe portava sto fior. Dèghelo vu.
(Getta il fiore in terra)
LUÇIETA
ANZOLETO
A Luçieta sto fior?
Toco de desgrazià!
(Lo piglia per il collo)
ZORZETO
Siora mare! i me dà!
(dalla terrazza di casa sua)
Cossa te fai, fio mio?
ANZOLETO (lasciandolo)
Cossa te fai, fio mio?Sta santapepa
no vogio che ’l ghe parla co Luçieta!
ORSOLA
ZORZETO
Cossa m’importa a mi?
ORSOLA
Cossa m’importa a mi?Zà per culia
sempre se cria.
LUÇIETA
Brava! per quel pissoto!
Che no ghe sia de megio in sto paese?
Vardè che fusto! Ghe lo lasso a Gnese.
Cossa parlèu de mi?
Cossa parlèu de mi?Coss’è, patrona,
seu vegnia fora perché gh’è Anzoleto?
ORSOLA
Vardève vu, frascheta!
(dalla porta di casa sua)
Oe, no stè a strapazzar la mia Luçieta,
che no la xe de quele…
CATE
GNESE
Le altre, cara siora, cossa xele?
CATE
Tasi, che ti à bon taser.
GNESE
Oh! no son miga muta.
(dalla porta della casa di Orsola)
Cossa voressi dir de la mia puta?
PASQUA
CATE
Tasé, che la ghe sente.
IL CAVALIERE (venendo dalla locanda)
Sento gridar. Si può saper perché?13
Aggiunta: «(dalla sua altanella)».
Meno mosso – ,
Interpellato con veemenza da Anzoleto, il Cavaliere nega di avere alcuna pretesa su Luçieta, e sul grazioso motivo che ne aveva contraddistinto la sortita iniziale (cfr. es. 2b) rassicura i presenti sul suo contegno leale e rispettoso, prima di lanciarsi in un’arietta effervescente (Andante mosso-Sempre più presto – , Fa) nella quale invita tutti a godere delle gioie della vita nella spensierata cornice del carnevale. Un agile inciso di semicrome,
esemplificazione dell’innata propensione del personaggio all’intrattenimento garbato e discreto con il quale nella scena corrispondente della commedia (II.10) interveniva per smorzare ogni contrasto in nome dell’amore disinteressato per la pace, agisce da brioso ritornello vocale che, rinforzato in orchestra da frenetiche figurazioni
ritmiche staccate, si scioglie in un incontrollabile turbine sonoro sul quale Astolfi mima alcuni passi di danza,
contagiando presto gli astanti con la sua allegria:
ESEMPIO 8 (61)
XIV
13
E mentre il motivo appena udito percorre in sottofondo la lesta sezione dialogica che segue (Meno mosso) – segno che la preghiera del Cavaliere ha sortito l’effetto sperato –, la rissa generale può ben dirsi appianata: Anzoleto decide all’istante di sposare Luçieta, la cui improvvisa felicità si riflette nell’estatica cadenza in maggiore che
corona la ripresa del suo tema (cfr. es. 3); Dona Pasqua, dal canto suo, chiama a sé la figlia per rivelarle gli accordi matrimoniali presi con Orsola, congedandosi infine da Astolfi con un profondo, ma alquanto goffo inchino che palesa la sua infatuazione per il nobiluomo.
IL CAMPIELLO
–
71
ATTO PRIMO
ANZOLETO
ORSOLA
La diga, sior:
(Indicando Luçieta)
su quela puta galo pretension?
ZORZETO
IL CAVALIERE
Niente affatto.
Io per tutte le donne ho del rispetto.
Mi piace l’allegria
godo la compagnia,
e la pace è divina purchessia.
Perché crucciarsi,
donnine care?
La vita è un attimo:
lasciate andare.
Ci sono i crucci?
Ebben, si sa.
Il callo pesto?
E chi non l’ha?
Prendete in ridere,
la vita è facile.
Suvvia! godiamoci
il carneval!
(Accenna un balletto e tutti, man mano, l’assecondano)
Zorzi, vienstu de suso?
Zorzi, vienstu de suso?Siora sì.
Siora Gnese patrona.
(Entra in casa, mentre Orsola si ritira)
GNESE
Via, vegnìu, siora mare?… Siora mare?…
PASQUA
Vegno. T’ò da parlar.XVI
GNESE
Patron.
IL CAVALIERE
Patron.Ragazza, addio.
GNESE
Ghe fazzo un repeton.
(Si ritira in casa)
IL CAVALIERE (a Pasqua, che s’avvia verso casa)
Ditemi, un repeton
che vuol dire?
PASQUA (che non lo sente)
che vuol dire?Patron.
IL CAVALIERE
LUÇIETA
Ditemi, che vuol dire un repeton?
Gnese, quel fior me l’àstu donà ti?
PASQUA
GNESE
Mi l’ò donà, sior sì.
III
ANZOLETO
(Sarà, ma mi son stufo.
Zo, basta: o dentro o fora.
Me la sposo stasera in mia malora!)
CATE (che l’ha udito)
Tiò un baso!
(LoXV prende per mano e se lo tira in casa)
LUÇIETA
Tiò un baso!O Dio! L’anelo
stasera el me darà!
(Si ritira in casa)
Vuol dir un bel saludo.
Ghe lo fazzo anca mi. L’è tanto belo:
no vòi farghelo a altri: solo a elo.
(Gli fa un goffo inchino ed entra in casa)
IL CAVALIERE
Oh, son pur obbligato
a chi un sì bell’alloggio m’ha trovato.
Nol cambierei con un palazzo augusto.
Ci ho con gente simil tutto il mio gusto.
GASPARINA (esce di casa, con zendado)
Che ’l diga quel che ’l vol zto mio zior barba;14
lu coi libri el zavaria,
e mi vogio ciapar un poco d’aria.
«Bacia Anzoleto, lo».
Aggiunta: « IL CAVALIERE (a Gnese) | Riverisco.».
14 Andante mosso-Adagio-I Tempo – - , Sol
.
Senza soluzione di continuità il ritmato sostegno orchestrale che prima aveva scandito la spigliata scenetta danzante si converte rapidamente nel ripetitivo pizzicato delle viole su cui, come in apertura d’opera, fa la sua uscita in scena Gasparina, sempre accompagnata dai leggerissimi svolazzi dei violini (cfr. es. 2a). Annoiata a morte
XV
XVI
72
ERMANNO WOLF-FERRARI
Andarò da mia zantola
che zé poco lontana.
(S’incammina con grazia)
III
IL CAVALIERE
che zé poco lontana.(Ecco la giovine
che ho veduto da prima.)
III
GASPARINA
(Oh, vèlo qua, quel zior!)
IL CAVALIERE
(Oh, vèlo qua, quel zior!)(Mi par bellissima.)
(S’avvicina a Gasparina)
Servitore di lei.
GASPARINA
Servitore di lei.Zerva umilizzima.
IL CAVALIERE
(Che vezzoso parlar!)
III
GASPARINA
(Vogio in caza tornar.)
(S’accosta alla sua casa)
IL CAVALIERE
(Vogio in caza tornar.)Rigorosissima
meco siete così?
GASPARINA
meco siete così?Zerva umilizzima.
IL CAVALIERE
lo sono un cavaliere,
egli è ver, forestiere;
ma per le donne ho sentimenti onesti.
GASPARINA
(Oh! che i me piaze tanto zti forezti!)
IL CAVALIERE
Aggraditeli almen.
GASPARINA
Aggraditeli almen.Zerva umilizzima.
IL CAVALIERE
Lasciam le cerimonie. Favorite.
Siete zitella?
GASPARINA
Siete zitella?Non lo zo, dazzeno.
IL CAVALIERE
Nol sapete? Tal cosa io non comprendo.
GASPARINA
Zto nome de zitela io non l’intendo.
IL CAVALIERE
Fanciulla voglio dir.
segue nota 14
dall’apatia sociale dello zio, la giovane si è decisa ad andare a trovare la madrina che vive poco lontana, ma s’imbatte di nuovo nel Cavaliere, rimasto in piazzetta a meditare divertito sui modi affabili di «gente simil». L’esteso duetto che segue ricalca nei suoi contorni musicali il primo incontro dei due personaggi – l’elegante disegno
per terze degli oboi che percorre tutta la scena ad enfatizzare gli atteggiamenti grottescamente pretenziosi della
donna (es. 9) ricorda infatti da vicino un’analoga frase dei legni su cui Gasparina aveva tributato una lunga sequela di inchini rivolti al nobiluomo napoletano –, e procede come perseverato rituale di corteggiamento, complicato in modo esilarante dalle reciproche incomprensioni linguistiche degli interlocutori. Non mancano affettuosi ammiccamenti all’amato Falstaff di Verdi, come nel caso della ridicola espressione ossequiosa pronunciata
di continuo da Gasparina, «Zerva umilizzima», mutuata per via diretta dalla celebre «Reverenza!» di Mrs.
Quickly, e momenti di squisita verve comica – si osservi l’ampia frase cantabile da intonarsi con anima con cui
Astolfi loda la «dolcissima» pronuncia della giovane, o la spassosa pantomima quando il soprano mostra con
sommo autocompiacimento le diverse mode nelle andature femminili (Allegro). Potenziata da una graduale accelerazione agogica, la corte insistente del Cavaliere è infine premiata con la promessa di rivedersi all’ora del «diznare» (Andante mosso-Andante molto sostenuto), prima che un baciamano galante concluda una lunga conversazione giocata su schermaglie verbali e ironiche allusioni che la leggerezza dell’ordito musicale riesce a rendere
ancora più sottili.
ESEMPIO 9 (71)
IL CAMPIELLO
–
73
ATTO PRIMO
GASPARINA
GASPARINA
Fanciulla voglio dir.Non zo capirla.
Ze zon puta?
IL CAVALIERE
Zono un poco a bon’ora.
Ze zon puta?Così.
È ver, voi siete ancora giovanissima,
ma graziosa però.
GASPARINA
GASPARINA
IL CAVALIERE
Ze zon puta?Così.Per ubidirla.
ma graziosa però.Zerva umilizzima.
IL CAVALIERE
IL CAVALIERE
Troppo gentile. Avete i genitori?
Voi avete una grazia che innamora.
GASPARINA
GASPARINA
No l’intende, n’è vero,
tropo el noztro parlar?
IL CAVALIERE
IL CAVALIERE
tropo el noztro parlar?Così e così.
XVII
GASPARINA
Me zavarò zpiegar.
Mio padre zono morto,
e la mia genitrice ancora ezza.
M’intendela?
Zélo più ztà a Venezia?
Questa è la prima volta.
GASPARINA
Questa è la prima volta.El vedarà
ze ghe zé del buon guzto in zta çità.
IL CAVALIERE
Lo capisco da voi.
GASPARINA
M’intendela?Bravissima.
Voi parlate assai ben.
Lo capisco da voi.Non fo per dire,
ma pozzo comparire.
Me capizzela?
GASPARINA
IL CAVALIERE
IL CAVALIERE
Voi parlate assai ben.Zerva umilizzima.
IL CAVALIERE
Ma chi avete con voi?
GASPARINA
Ma chi avete con voi?Tengo, zignore,
un altro genitore.
IL CAVALIERE
Me capizzela?Sì, che vi capisco.
GASPARINA
Quando ch’io vogio zo parlar tozcana,
che no par che zia gnanca veneziana.
IL CAVALIERE
Avete una pronuncia ch’è dolcissima.
Voi parlate assai bene.
un altro genitore.Un altro padre?
GASPARINA
GASPARINA
Voi parlate assai bene.Obligatizzima.
Oh, zior no, cozza dizelo? Gò un barba.
IL CAVALIERE
Un barba?
GASPARINA
Un barba?Adezzo che ghe penza: un zio,
che zé quel che comanda e zta con io.
IL CAVALIERE
Ora capisco. Brava.
Ma questo zio non vi marita ancora?
XVII
Aggiunta: «(seria)».
IL CAVALIERE
E quell’aria!
GASPARINA
E quell’aria!La diga, m’àlo vizto
a caminar?
IL CAVALIERE
a caminar?Un poco.
Fatemi la finezza,
voi passeggiate che a vedervi io resto.
74
ERMANNO WOLF-FERRARI
GASPARINA
Védela, zior foresto:
una volta ze andava
cuzzì, cuzzì, cuzzì;
(Cammina con gravità)
adezzo ze va via
cuzzì, cuzzì, cuzzì.
(Cammina disinvolta)
IL CAVALIERE
Brava in ogni maniera.
GASPARINA
Vado da ziora zantola.
IL CAVALIERE
V’accompagno.
(rifiutando)
V’accompagno.Li zono obligatizzima.
Non vogio che il zignor venga con io,
perché ò paura del zior barba zio.
IL CAVALIERE (vivacemente)
Egli qui non vi vede e non sa nulla.
GASPARINA
GASPARINA
Una puta fanciulla
deve, ancor non veduta,
aricordarzi che è fanciulla e puta.
IL CAVALIERE
Non volete onorarmi?
GASPARINA
La prego dizpenzarmi.
XVIII
«Escono».
IL CAVALIERE
Ritornerete presto?
GASPARINA
Ritornerò a diznare.
M’intende?
IL CAVALIERE
M’intende?Sì, capisco:
ritornerete a pranzo.
GASPARINA
ritornerete a pranzo.Zì, a pranzare.
IL CAVALIERE
Non mi private della grazia vostra.
GASPARINA
Ella è padrone della grazia noztra.
IL CAVALIERE
Andate pur. Non vi trattengo più.
(s’inchina)
Zerva.
GASPARINA
IL CAVALIERE
Zerva.Madamigella.
(S’inchina)
GASPARINA
Zerva.Madamigella.Addio, monzù.
(Esce da destra, mentre il Cavaliere esce da sinistra.
Prima di uscire si voltano. Il Cavaliere le fa un
baciamano, al quale Gasparina risponde. Cala la telaXVIII)
ATTO SECONDO
FABRIZIO (uscendo sul poggiolo della sua casa, con un
libro in mano, inviperito)
Che è questo strepito,
questo strillar?
Donne del diavolo,
basta, per Dio!
(All’alzarsi della tela, sono in scena Cate, Pasqua,
Orsola, Luçieta, Gnese e Zorzeto, tutti intorno ad
un tavolino, chi in piedi, chi seduto, e litigano per
spartirsi alcuni mucchi di cruschello che troneggiano sul tavolino)15
CATE
TUTTI
FABRIZIO
I muci i vòi far mi!
I muci i vòi far mi!– I fazzo mi!16
– Sior no!
– Sior no!– Sior sì!
– Sior no!– Sior sì!– Sior no!
– Sior no!– Sior sì!– Sior no!– A monte!
– Sior no!– Sior sì!– Sior no!– A monte!– A monte!
Oh, oh! In campielo non se pol ziogar?
Vi mando via!
TUTTI
Çerto, seguro!
(Si mettono a ballare)
Volemo ziogar! Volemo star qua!
Volemo star qua! Volemo ziogar!
15 Intermezzo. Appassionato, con moto – , mi.
Terso quanto elegante nella scrittura orchestrale, il delizioso interludio che collega primo e secondo atto si segnala per l’inusitato sapore elegiaco dell’introduzione, interamente costruita sul motivo di Luçieta, che si stempera poco dopo nella ricomparsa del quieto cantabile dell’es. 1 (Meno mosso-Andante cantabile – , Mi), ora eseguito da violini primi e viole sul quieto accompagnamento dei violoncelli in pizzicato divisi in tre leggii in tempo
di barcarola. Sulla falsariga del celebre intermezzo dei Quatro rusteghi – di cui riprende oltretutto il ritmo dolcemente cullante ispirato al cadenzare della voga –, il brano si configura quale nuova pittura d’ambiente, il cui
bipolarismo tematico traspone sul piano musicale l’alternanza ininterrotta di liti e riappacificazioni che vivifica
la rumorosa quotidianità nel campiello.
16 Presto-Andante moderato-Più mosso-Presto – - - , Do
.
Nel concentrarsi sulla festosa cornice corale di danze e canti che fa da sfondo al memorabile pranzo offerto da
Astolfi e dalla quale soltanto occasionalmente riescono ad emergere i singoli personaggi, l’impostazione drammaturgica dell’atto secondo contrasta con la dimensione più ‘raccolta’ di quello precedente. Il chiassoso quadro
d’insieme posto in apertura – con gli abitanti della piazzetta che si preparano al «gioco della semola» –, riprende la corrispettiva scena goldoniana posta a metà dell’atto terzo (III.7) e ha lo scopo di introdurre finalmente il
burbero zio (il «barba») di Gasparina. Arroccato in un orgoglio da nobile e compiaciuto intellettuale che lo rende del tutto estraneo alla vita en plein air del campiello, Fabrizio è da subito mostrato nel suo opporsi alla caotica vitalità degli allegri e arguti vicini (che non mancano di deriderlo con urla e strilli sempre più potenti) con
agglomerati accordali dissonanti di fagotti coi corni ai quali si aggiungono i tromboni– due settime di terza specie seguite da una sesta eccedente tedesca – deliberatamente ‘stonati’ rispetto al fondale armonico circostante
d’impronta diatonica:
ESEMPIO 10 (188)
76
ERMANNO WOLF-FERRARI
FABRIZIO
CATE
O state zitte, o vi farò pentir!
Che è accaduto di male?Gnente afato.
Se ziogava a la sémola.
TUTTI
Volemo star qua! Volemo ziogar!
Volemo ziogar! Volemo star qua!
FABRIZIO
So io quel che farò!
(ridendo)
Oh! oh! oh! oh!
TUTTI
FABRIZIO
Ad un uomo d’onor così si fa?
TUTTI (ridendo)
Ah! ah! ah! ah!
IL CAVALIERE
Che diavolo di gioco!
Credea che andasse la contrada a fuoco.
LUÇIETA
Anzoleto, tre soldi!
ANZOLETO
Anzoleto, tre soldi!Sempre in strada!
Basta: la xe finia. Vardè.
(Le mostra l’anello)
LUÇIETA
FABRIZIO
Basta: la xe finia. Vardè.L’anelo!
Tacer non sanno! Chi le taglia a fette?
LE DONNE
TUTTI
Ah! ah! ah! ah!
FABRIZIO
Ma co belo, co belo!
(El sbìsega, el slùsega in fondo al cuor…18
O caro anelo, ti xe un amor…)
Che siate maledette!
(Scaraventa il libro sul tavolino e si ritira. Il cruschello si sparpaglia in istrada e tutti si buttano in
terra, gridando e ridendo, cercando i soldini mescolati col cruschello)
GNESE
TUTTI
GNESE
Ah!… I bezzi!… i bezzi!
(Il Cavaliere entra da sinistra e Anzoleto da destra)
IL CAVALIERE
Ma cos’è stato?
Che è accaduto di male?
17
E mi?
Quando?
ORSOLA
Quando?Co sarà tempo.
Ma quando?
ORSOLA
Ma quando?Co mio fio
sarà vostro mario…
Assai tranquillo-Allegro-Andante sostenuto, - ,
Incuriosito dal frastuono popolare che descrive con pronta battuta di spirito, «Credea che andasse la contrada a
fuoco!», il Cavaliere accorre, per contro, con il desiderio di spiare divertito le vicende dei residenti e unirsi al loro tripudio. L’occasione è presto offerta dall’entrata di Anzoleto che, dopo aver rimproverato la fidanzata di essere «sempre in strada», offre a Luçieta il suo anello di nozze,
18 Lo stesso movimento – , Sol
istante cristallizzato in un brevissimo quintetto femminile che coglie la contemplazione generale nei tenui intarsi
vocali per terze sopra un ordito orchestrale quasi impalpabile. Mentre poi Orsola rassicura Gnese che presto anche lei prenderà Zorzeto come marito – ma sull’attesa brontola tra sé la madre di lei, mal disposta a dover aspettare «ancora do ani» prima di potersi risposare! (Poco sostenuto-Energico I Tempo, più mosso – - , Fa) –, Astolfi viene sapientemente proposto da Luçieta quale perfetto testimone di matrimonio, date le disponibilità
finanziarie del nobiluomo. E di fronte alla proposta di Luçieta di ricorrere all’usanza veneziana del «garanghelo» (III.8 nella fonte, dove la spiegazione è più dettagliata: incontro conviviale tra amici con pagamento rateizzato del «disnar» a favore del solo in grado di anticipare l’intera spesa), in uno slancio di generosità disinteressata
il Cavaliere propone di pagare lui il pranzo alla locanda, tra volate degli archi e squilli trionfali degli ottoni intercalati alle entusiastiche ovazioni dei presenti.
17
IL CAMPIELLO
–
77
ATTO SECONDO
GNESE (si volta per vergogna, mentre Zorzeto gongo-
la)
sarà vostro mario…Oh! me vergogno…
IL CAVALIERE
Ed io, che faccio qui, negletto e solo?
ANZOLETO
Cossa gh’intrelo lu?
XIX
LUÇIETA
Cossa gh’intrelo lu?Oe, siora mare,
se Anzoleto el tolesse per compare?
ANZOLETO (che ha sentito)
Benon! che co le nozze xe finie
no gavarò el compare per i pie!
XIX
LUÇIETA
Diseghelo.
CATE
Diseghelo.L’è fata.
(S’apparta col Cavaliere)
III
PASQUA
(Tolé su: dona Cate
un de sti dì la se pol maridar,
e mi ancora do ani ò da spetar.)
(Gnese e Zorzeto, udendo, fanno facce deluse. Il Cavaliere, felice della proposta di Cate, s’incammina
verso Anzoleto e Luçieta)
IL CAVALIERE
Ma è un onor ch’io ricevo!
TUTTI
Ma è un onor ch’io ricevo!Bravo!
LUÇIETA
Ma è un onor ch’io ricevo!Bravo!Puti,
voleu che femo
un garanghelo?
IL CAVALIERE
un garanghelo?E che andate pensando?
E che state tra voi garanghellando?
Il compare son io,
e a tutti il desinar lo vo’ far io!
LUÇIETA
Bravo!
TUTTI
Bravo!Viva el compare!
(a Sansuga, che è frattanto apparso sulla soglia della locanda)
Bravo!Viva el compare!Cameriere!
LUÇIETA (interrompendo il Cavaliere che stava per ordinareXX)
Spetè. Comando mi.19
(A Sansuga)
Volemo i risi co la castradina,
e dei boni caponi e de la carne,
e un rosto de vedèlo e del salà,
e del vin dolçe e bon, e che la vaga,
e fè pulito che ’l compare paga.
IL CAVALIERE
ORSOLA
E mi farò le fritole.
LUÇIETA
E mi farò le fritole.Se sa.
ORSOLA
Ma sior compare me le pagarà.
TUTTI
E del pan tondo da poder tociar,
de la minestra da poder fragiar,
del figà de vedèlo,
una lengua salada,
quatro fete rostie de sopressada,
de le çervele tenare,
e del vin dolçe e bon, e che la vaga!
LUÇIETA
E fè pulito!
TUTTI
E fè pulito!Che ’l compare paga!
Aggiunta: «a Cate».
Aggiunta: «Al Cavaliere».
19 Allegro assai – , La.
Prima di cominciare a ordinare, Astolfi è però bloccato da Luçieta che, senza lasciarsi sfuggire la possibilità di
saziarsi a volontà, elenca al cameriere un menu quanto mai luculliano (nel quale profumano alcuni piatti tipici
della cucina veneziana), prontamente imitata dagli altri commensali in un gioioso settimino svolto su un ritmo
assai brillante di valzer viennese:
XIX
XX
78
ERMANNO WOLF-FERRARI
(Sansuga entra in locanda. Gasparina è frattanto entrata da destra e si ferma scandalizzata)
GASPARINA
L’inviterò io stesso.
IL CAVALIERE
Cozza zé zto zuzzuro?Oh! madamina.
20
Son novizza, disnemo in compagnia.
IL CAVALIERE
Favorite voi pure.
GASPARINA
Favorite voi pure.Oh, no dazzeno.
Ella za, zignor mio,
che ziamo dipendente da mio zio.
Cossa disela?Zente
grama! no le capizze gnente, gnente.
IL CAVALIERE
Cozza zé zto zuzzuro?
LUÇIETA
GASPARINA
GASPARINA
L’inviterò io stesso.Uì, monzù.
LUÇIETA
O cara!
CATE
O cara!O che te pustu!
GASPARINA
Done, dizé: no l’intendé el franzeze?
ORSOLA
LUÇIETA
Caspita, siora sì!
Cossa disela?
LUÇIETA
Oh! lo so dir: uì!
segue nota 19
ESEMPIO
11 (99)
Fulcro espressivo della scena (III.9) era in Goldoni il bizzarro personaggio di Sansuga, gelosissimo gestore della
locanda e censore scontroso delle rozze abitudini dei suoi concittadini, ma nell’opera il ruolo è muto, affidato a
un semplice mimo.
20 Due volte meno mosso – - ,
.
Rientrando dalla visita alla «zantola» (santola = madrina), giunge infine anche Gasparina, che però rifiuta sdegnata di mescolarsi col popolino, ostentando un’affettata spocchia aristocratica resa questa volta ridicola dal lessico ‘ricercato’ che la donna utilizza – «zio», termine appena imparato dal Cavaliere, e «monsù» da «monsieur».
La schermaglia verbale con le altre donne, iniziata in punta di fioretto con allusioni reciproche, si espande in una
nuova eco verdiana (che fa anche il verso all’analoga situazione nel duetto finale dell’atto primo) quando quest’ultime ‘riveriscono’ la protagonista imitando le sue maniere eccessivamente artificiose su una vellutata frase
strumentale degli oboi affine al motivo 2b (Moderato molto – Sol)
IL CAMPIELLO
–
79
ATTO SECONDO
XXI
GASPARINA
(La zenta, zior monzù:
la prego dezpenzarme,
perché mi con cuztie no vòi zbazzarme.)
IL CAVALIERE
Peccato!
(alle altre donne)
Peccato!(Oe, procuremo
che la vegna co nu, che ridaremo.)
XXII
TUTTE LE DONNE (a
Gasparina)
Ve femo reverenza,
madama Gasparina;
mo via, fène sta grazia;
vegnì a disnar co nu.
LUÇIETA
Ghe mancarave ’l sal,
nol saria carneval
senza de vu.
Ve femo reverenza,
no podemo star senza;
ve demo el cao de tola,
vegnì a disnar co nu.
XXIII
GASPARINA
Zerto, che ze vegnizze
quel pozto zaria mio,
ma no pozzo vegnir
zenza del zignor zio.
Vol dir barba, zavé?
(Sulla porta di casa appare Fabrizio e vi si ferma.
Gasparina si avvede di luiXXIV)
Eco el zior barba zio.21
segue nota 20
ESEMPIO
12 (106)
e termina con la replica ancor più caricata di Gasparina che, sulla medesima melodia, zittisce le interlocutrici con
un motto fulminante.
XXI
Aggiunta: «(a parte, al Cavaliere)».
XXII
«(tutte facendo dei grandi inchini a)».
XXIII
Aggiunta: «(con importanza)».
XXIV
Aggiunta: «Alle donne».
21 Più mosso –
.
La tensione raggiunge il suo culmine con la brusca riapparizione di Fabrizio. Infastidito dal comportamento capriccioso della nipote, il basso non pare curarsi del tono affabile di Astolfi e, dopo aver dileggiato il commiato
obbligato tra il Cavaliere e Gasparina – da un ennesimo richiamo del «Zerva umilizzima» il piacevole siparietto
è costruito intorno a una progressione ascendente in graduale ritardando scandita dai buffi interventi alternati
dei tre personaggi (Poco meno mosso) –, declina sgarbatamente l’invito a unirsi al pranzo.
80
(a Fabrizio)
Servitore divoto.
FABRIZIO (rispondendo sgarbatamente)
Servitore divoto.Padron mio.
(A Gasparina)
Cosa si fa qui in strada?
IL CAVALIERE
GASPARINA
Cosa si fa qui in strada?(Via, che ’l taza.
Me faralo nazar?)
FABRIZIO
Me faralo nazar?)Subito in casa.
IL CAVALIERE
Fate torto, signore,
alla nipote vostra ch’è onestissima.
FABRIZIO (a Gasparina)
Non vel fate più dir.
GASPARINA (al Cavaliere)
Non vel fate più dir.Zerva umilizzima.
FABRIZIO (impaziente)
Via…
GASPARINA
Via…La zcuzi.
IL CAVALIERE
Via…La zcuzi.Mi spiace.
GASPARINA
Via…La zcuzi.Mi spiace.Ghe zon zerva.
(caricatureggiandola)
Un po’ di più!…
FABRIZIO
IL CAVALIERE
Servo, madamigella.
GASPARINA
ERMANNO WOLF-FERRARI
FABRIZIO
(Ho capito.)
IL CAVALIERE
(Ho capito.)Signor…
FABRIZIO
(Ho capito.)Signor…Schiavo divoto.XXV
E voi, donne insolenti…
LE DONNE
Coss’è sto strapazzarne?
Coss’è sto desprezzarne?
Coss’è sta vilania?
Vardè! Sentì!
FABRIZIO
No. Vado via!
(Entra in casa. Tutti ridono)
IL CAVALIERE
Be’, la rivedo poi.
Andiamo intanto, e mangeremo noi!
(Entra in locanda)
TUTTI
A tola! a tola! Dài!… E che la vaga!22
Femo pulito, che ’l compare paga!
(S’avviano verso la locanda, prima di tutti Gnese,
che ha preso Orsola a braccetto)
ZORZETO (cercando prendere la mano di Gnese)
Gnese…
GNESE
Gnese…Sior no!
(Entra in locanda con Orsola. Anzoleto vorrebbe
prender per mano Luçieta, ma Cate glielo impedisce
prendendolo a braccetto. Così fa Pasqua con Zorzeto che vorrebbe seguire Gnese)
Servo, madamigella.Addio, monzù.
(Entra in casa)
Aggiunta: «(alle donne)».
Presto – - , Do
Con un certo distacco tocca allora ad Astolfi riportare l’allegria in piazza, proclamando l’inizio del banchetto e
aprendo la variopinta processione che fa il suo pomposo ingresso nella locanda sulle note del precedente settimino. Il libretto inventa un ordine tradizionale del corteo (che Goldoni non ha previsto: i suoi personaggi entrano in ordine sparso, e le battute hanno tutt’altro senso): dapprima Gnese a braccetto con Orsola (con gran dispiacere del promesso sposo, che vorrebbe tenere la mano della sua promessa), quindi le coppie madre-genero,
Cate-Anzoleto e Pasqua-Zorzeto, scortate dal leggero motivo di giga udito nell’atto primo (cfr. es. 5) a suggerire, tra l’altro, quanto l’ardore delle due vecie non sia affatto spento, infine Luçieta, la cui incontenibile gioia per
essere «novizza» trova espressione in una suadente melodia vocale raddoppiata da clarinetti e violini II sul tremolo di violini I, viole e violoncelli, che intona prima di entrare ballando nella locanda, e culminante in un brillante Do acuto:
XXV
22
IL CAMPIELLO
–
81
ATTO SECONDO
e PASQUAXXVII
Gnese…Sior no!Sior no!
La madona so mi.
(Dondolandosi golosamente)
Uh! ninarme anca mi
con un novizzo viçin cussì!XXVIII
(Entrano in locanda con Zorzeto ed Anzoleto)
XXVI
CATE
LUÇIETA
Anzoleto, Anzoleto!…
Ah! sento proprio che ’l mio cuor s’impizza:
aliegra magnarò che son novizza!
(Entra in locanda ballando, mentre sulla terrazza
appare Sansuga che, impaziente, fa degli atti di sollecitamento verso la calle di destra)
BALLETTO23
LA LENGUA SALMISTRADA
Entra da destra un cuoco che reca su un vassoio una
enorme lingua salmistrata ed è carico di prosciutti e
salami. Con lui vengono due ragazzi pure carichi di
salami. Dalla locanda escono gli sguatteri che vengono loro incontro e s’uniscono alla danzetta. Ballando entrano tutti in locanda. Anche Sansuga
scompare dalla terrazza.
EL VIN
Ora, sempre da destra, entra un facchino con una
gran damigiana. Con lui vengono due ragazzi carichi di bottiglie. Dalla locanda, gli sguatteri come
prima. Tutti entrano ballando nella locanda.
segue nota 22
ESEMPIO
13 (118)
Aggiunta: «(a Anzoleto)».
Aggiunta: «(a Zorzeto)».
XXVIII
Aggiunta: «(Piccolo grido di gioia)».
23 Balletto. Andante maestoso, pesante – , Do
.
Momento centrale non solo dell’atto, ma anche dell’intera opera, l’esteso divertissement che illustra l’estenuante
svolgersi del pasto offerto dal Cavaliere può essere letto quale espediente narrativo per rompere la monotonia
dell’ambientazione fissa, suggerendo una dimensione scenica al di fuori dello spazio angusto del campiello. Mentre infatti tutti i protagonisti si trovano all’interno della locanda di Sansuga, sul palco si avvicenda tutta una serie di figure d’estrazione popolare (camerieri, cuochi, sguatteri, servette, bambini) che danno vita a una curiosa
suite coreografica cadenzata dal passaggio sulla scena delle singole portate culinarie. Improntata alla consueta
trasparenza e levità nell’ordito, l’orchestra riprende per larghi tratti le movenze tipiche della danza viennese per
eccellenza – non a caso le due danze dal lirismo più espressivo ([n. 4.] «Le tose». In uno, tranquillo, , Do; [n.
7.] «La polenta». Sostenuto – Do) sono entrambe dei valzer imperniati sulle cellule tematiche degli ess. 5 e 13
–, ma non mancano gradevoli momenti farseschi, come la melodia goffamente sgraziata che eseguono alcuni
«pezzenti» ([n. 6.] «Serenata dei peociosi». Larghetto in uno-Presto – ). Alla fine la scena rimane vuota per qualche istante, e dopo tanto chiasso l’effetto è garantito.
XXVI
XXVII
82
LA TORTA E I ROSOLI
Sempre da destra, entra un cuoco con un’enorme
torta, accompagnato da bambini che portano frutta
e rosoli. Dalla locanda, gli sguatteri e i quattro ragazzi di prima, tutti con bicchieri colmi di vino in
mano. Assalto alla torta e ai rosoli. Il cuoco e i ragazzi si difendono. Sansuga appare ancora sulla terrazza ed impreca minacciando.
LE TOSE
Dalla locanda esce un gruppo di vispe servette, che
con buona grazia salvano torta e rosoli, facendo sì,
con moine, che tutti preferiscano danzare con loro
intorno alla torta piuttosto che cedere alla gola. Ballando, le servette riescono bel bello, a far entrare
tutti, docilissimi ormai, in locanda. Anche Sansuga
scompare dalla terrazza. Le servette, rimaste sole,
ballano festosamente, contente per la vittoria. Altre
servette escono dalla locanda e s’uniscono alla danza. Tutte le servette rientrano poi nella locanda.
ERMANNO WOLF-FERRARI
Danza generale, anche dei cuochi e sguatteri e bambini che sono usciti dalla locanda. Tutti si ritirano: i
pezzenti da destra e sinistra; tutti gli altri, anche Sansuga, in locanda.XXIX
(Il Cavaliere esce dalla locanda senza cappello e senza spada. Si fa vento col fazzoletto, ed è tutto acceso in viso e un po’ brillo)
IL CAVALIERE
Uff! Non ne posso più… Mi duole il capo.24
Che grida! che allegria!…
La testa ho calda, e vo’ che quel buffone
mi dia soddisfazione.
(Batte alla porta della casa di Fabrizio)
Oh! di casa!
(Gasparina esce sul poggiolo. Salutandola)
Oh! di casa!Signora.
GASPARINA
Ma cozza vorla? El vaga via in bon’ora.
I PEOCIOSI
IL CAVALIERE
Entrano cauti da destra e da sinistra dei pezzenti che
annusano bramosamente l’aria.
GASPARINA
SERENATA DEI PEOCIOSI
Adoperando i bastoni come fossero flauti fanno una
serenatina, dondolandosi, fingendo di suonare. Dalla locanda esce un primo gruppo di servette, facendo allegramente dei cenni, come a dire: «Ora vedrete!»
LA POLENTA
Sulla porta della locanda appare l’altro gruppo delle servette portando un enorme polentone fumante,
mentre riappare in alto Sansuga ridente. Acclamazioni. I pezzenti si dividono la polenta altercando.
Domando il signor zio.
Domando il signor zio.Oh! ze ’l zavezze!
Ma non pozzo parlar… Zon zfortunada…
(Mostra di ritirarsi, poi ritorna)
El m’à dito cuzzì…
IL CAVALIERE
El m’à dito cuzzì…Non v’esponete
per causa mia.
GASPARINA
per causa mia.Oh, vago via.
(Come sopra)
La zenta: vogio dir zta cozza zola:
zior, el m’à dito una bruta parola.
Aggiunta: «La scena rimane vuota».
Due volte meno mosso-Andante – - - ,
Eccitato dal vino e ancora rintontito dalla contagiosa spensieratezza del convito, Astolfi decide di affrontare Fabrizio per chiedergli conto del riprovevole comportamento di poco prima – l’indignato monologo del Cavaliere
apre in Goldoni l’atto quarto della commedia. S’imbatte però ancora una volta in Gasparina, con cui ha un nuovo duetto dialogico dominato dalla linea vocale frastagliata del soprano – la donna sta infatti decantando, in modo alquanto confuso, le proprie doti linguistiche e culturali, pur senza aver compreso affatto il significato dell’epiteto «ziocca» che lo zio le ha dato – e punteggiato in orchestra da continui cambiamenti nella scansione
metrica e agogica (A tempo vivace-Adagio molto-Assai vivace-Andante-Più presto). Nel dialogo mostra chiaramente la sua inadeguatezza. Ad esempio, scambia fischi per fiaschi quando Astolfi le chiede di non esporsi (alle
ire dello zio), e fa per ritirarsi in casa, subito dopo le sue zeta rendono indubbiamente equivoco il suo eloquio
per un forestiero, quando pronuncia «cozza» al posto di «cossa».
XXIX
24
IL CAMPIELLO
–
83
ATTO SECONDO
IL CAVALIERE
E che cosa vi ha detto?
GASPARINA
E che cosa vi ha detto?No vorave
che ’l me zentizze. Vago via.
(Come sopra)
IL CAVALIERE
che ’l me zentizze. Vago via.Sì, brava.
GASPARINA
Oe, la zenta. El m’à dito: ziete ziocca.
Cozza vol dir?
IL CAVALIERE
Cozza vol dir?Stolta vuol dire, allocca.
Ma andate via che non vi trovi qui.
GASPARINA
Oh! che caro zior barba! Aloca a mi?
I dirà che ’l zé mato!
Che ’l ghe ne trova un’altra
zovene in zto paeze
che capizza el tozcano e anca el franzeze.
Che ’l ghe ne trova un’altra co fa mi,
che ztaga note e dì coi libri in man
e che zapia i romanzi a menadeo.
Co zento una canzon, l’imparo zubito;
co vado a una comedia,
zubito che l’ò vizta,
zo giudicar ze la zé bona o trizta,
e quando la me par cativa a mi,
bizogna çerto che la zia cuzzì…
IL CAVALIERE
Signora, vostro zio…
GASPARINA
Signora, vostro zio…Non zon de quele
che tropo gabia piazzo a laorar;
ma me piaze ztudiar, e ze vien fora
zoto el relogio qualche bela iztoria,
zubito in verità la zo a memoria.
Aloca a mi?
Aloca a mi?
Zà de mi tuti no ghe n’à che dir!XXX
Ze a dir zte cozze el ze farà zentir,XXX
i dirà che ’l zé mato mio zior barba…
(Vede Fabrizio, che è uscito sulla porta di casa, e la
guarda, a braccia conserte, minaccioso)
Oh Dio! Zior barba! el me farà morir!
(Fugge in casa gesticolando)
FABRIZIO (al Cavaliere, sostenuto)
Signor.
IL CAVALIERE
Signor.Signore.25
FABRIZIO
D’insidiar le fanciulle onor sconsiglia.
IL CAVALIERE
lo non l’insulto;
e poi alla fin d’un bottegaio è figlia.
FABRIZIO (inghiotte)
È ver che mio fratello,
per ragion d’un duello
da Napoli fuggito
e in Venezia arrivato,
con femmina inegual s’è maritato.
Misero, fu costretto a far mestiere.
Povero nacque, è ver, ma cavaliere.
IL CAVALIERE
Siete napoletani? Anch’io lo sono:
il cavaliere Astolfi.
FABRIZIO (lo guarda fisso)
Lo so. E so purtroppo
che voi vi siete rovinato.
Aggiunta: «IL CAVALIERE | Attenta al barba! »
Maestoso-Poco meno mosso-Adagio – , .
L’esuberante ‘stretta’ del duetto, condita dalle espressioni di dileggio nei confronti del «zior barba», è però interrotta dalla repentina comparsa di Fabrizio, che provoca l’immediata fuga in casa della donna. Facendo valere i propri natali aristocratici, Astolfi continua nella sua tattica derisoria, ma quando l’irascibile intellettuale, ‘inghiottite’ le provocazioni con un icastico disegno orchestrale che si inabissa nel registro più grave, svela le origini
napoletane e nobiliari del fratello (padre di Gasparina) sopra un comico sillabato rapidissimo, il teso confronto
sfuma prontamente in una brillante conversazione in lingua «toscana» tra compaesani, dipanandosi attraverso
una serie di umoristiche agnizioni.
XXX
25
84
IL CAVALIERE
che voi vi siete rovinato.È vero.
FABRIZIO
Che pensate di far?
IL CAVALIERE
Che pensate di far?Malinconie!…
E che volete?
E che chiedete?
Pestarmi un callo
vi dà piacer?
(Con calma)
lo non ci godo
proprio per niente.
Spendere, spandere:26
questo è goder!
Ridere! Vivere!
E regalar!
Che tutti godano
intorno a me!…
Gli ultimi spiccioli?
E chi lo sa?
Chi se ne incarica?
Ah, ah, ah, ah!
Tira a campar!
Voi come vi chiamate?
FABRIZIO
Fabrizio dei Ritorti.
IL CAVALIERE
Fabrizio dei Ritorti.Oh, oh… aspettate…
Quel che s’è fatto ricco con il lotto?
ERMANNO WOLF-FERRARI
FABRIZIO
Ricco no.
IL CAVALIERE
Ricco no.Ma avrete soldi.
FABRIZIO
Soldi… Soldi! Ho una nipote
che ha bisogno della dote.
IL CAVALIERE
Quanto mai le destinate?
FABRIZIO
A seconda del marito:
meno o più, giusta il partito.
IL CAVALIERE
Lei lo sa?
FABRIZIO
Lei lo sa?Non ne sa nulla.
È innocente la fanciulla:
ho voluto esaminarla,
ora poi vo’ maritarla.
IL CAVALIERE
(La vezzosa sua nipote,27
ed un gruzzolo di dote!
Quasi quasi m’offrirei
per drizzar gli affari miei.)
III
FABRIZIO
(Quattro o cinque mila scudi,
e anche più se mi conviene,
volentieri sborserei
pur di maritarla bene.)
(Tutta la brigata appare in confusione sulla terrazza
della locanda, coi bicchieri in mano. Anzoleto ha un
boccale colmo di vino)
26 Andante mosso, con brio – , Sol
Il ‘duetto dei bassi’ prende quota nel bel mezzo di una strofa: se Fabrizio rivela di essere al corrente della bancarotta finanziaria del Cavaliere, rimproverandogli l’eccessiva inclinazione allo scialacquare il denaro, Astolfi ribadisce la propria morale epicurea riprendendo il gioioso motivo dell’es. 8 e identifica nello zio di Gasparina un
facoltoso napoletano prima ridotto sul lastrico poi tornato ricco grazie a una fortunata vincita al lotto. Allettati
dalla comune prospettiva di un futuro prospero – l’uno impaziente di liberarsi della futile nipote, l’altro desideroso di mettere le mani sulla dote cospicua disponibile per il matrimonio della giovane –,
27 A tempo più mosso, brillante – Mi
i compari si uniscono quindi in un elegante a due buffo, giocato su blandissime dissonanze fra le voci – peccato
veniale ben presto assorbito da lustre consonanze – e su sommessi ‘a parte’ della coppia virile. Nel libretto la
quartina «La vezzosa sua nipote» viene affiancata a «Quattro o cinque mila scudi» di Fabrizio, che è invece il
proseguimento del duetto; nell’a due, invece, il ‘barba’ riprende la quartina precedente («Non sa nulla la fanciulla»):
IL CAMPIELLO
–
85
ATTO SECONDO
XXXI
LUÇIETA
IL CAVALIERE
Sior compare, salute!
(Beve)
TUTTI
Sior compare, ghel femo!Evviva!
Sior compare, ghel femo!Evviva!Eviva!
IL CAVALIERE
Evviva!
LUÇIETA
XXXII
Evviva!Con licenza.Dove andate?
Zito, che vogio far
un bel brindese in rima:
«Co son in alegria, mi no me instizzo:28
a la salute del mio bel novizzo!»
FABRIZIO
TUTTI
Fuggo da queste donne indiavolate.
(Entra in casa)
ORSOLA
FABRIZIO
Evviva!Con licenza.
IL CAVALIERE
XXXII
LUÇIETA
Ma cossa falo che nol vien de su?
Eviva! Eviva!
Eviva! Eviva!Anca mi, presto, presto!
(Chiede da bere ad Anzoleto)
TUTTI
Sior compare, ghel femo!
segue nota 27
ESEMPIO
14 (1511)
Prima che i personaggi riescano a dichiararsi le reciproche intenzioni vengono però travolti dalla fragorosa irruzione in scena, sul ritmo ‘barcollante’ dell’es. 5, dell’allegra compagnia che nel clima eccitato di baldoria popolaresca predispone uno spiritoso brindisi generale «alla salute di chi paga» in forma responsoriale.
XXXI
Aggiunta: «(brindando)».
XXXII
Aggiunta: «(al Cavaliere)».
28 Allegro assai-Andante-Allegro-Andante sostenuto – - - - ,
Una tonante fanfara di tromba dà il via alla gaia cerimonia, nella quale ogni personaggio intona liberamente una
coppia di versi in rima, cui gli astanti rispondono con sguaiate acclamazioni di giubilo rinforzate da un vigoroso refrain orchestrale che funge da collante musicale dell’intera scena:
86
ERMANNO WOLF-FERRARI
ANZOLETO (butta via il fondo del bicchiere di Orsola,
e le versa da bere)
Via sto poco de resto!
ORSOLA
«Co sto goto de vin ch’è dolçe e bon,
fasso un brindese in rima al più mincion!»
(Tutti ridono)
IL CAVALIERE
Questo brindisi è mio: nessun mel leva!
ANZOLETO
Anca mi, sior compare.
«Un brindese ghe fasso
co sto vin che gò in man,
con pato che ’l me staga da lontan.»
PASQUA
No me dir vecia, razza maledeta!
«E se son vecia, no son el demonio:
a la salute del bel matrimonio!»
TUTTI
Eviva! Eviva!
CATE
Eviva! Eviva!Presto, presto, aXXXIII mi!
«Senza mario mi no posso star più:
a la salute della zoventù!»
TUTTI
Eviva! Eviva!
ZORZETO
TUTTI
Eviva! Eviva!Un brindese anca mi.
(Chiedendo da bere ad Anzoleto)
Via, me ne dèu?
«Sto vin xe megio assae de l’acqua riosa:
a la salute de la mia morosa!»
Eviva! Eviva!
TUTTI
IL CAVALIERE
«Vi rispondo ancor io, compare amico:
di star con voi non me n’importa un fico!»
PASQUA
Eviva! Eviva!Son qua mi, patroni.
Deme da bevar.
ANZOLETO
Deme da bevar.Tolé pur, vecéta.
(Le versa da bere)
Eviva! Eviva!
PASQUA
Eviva! Eviva!Via, Gnese, anca ti,
che ti xe cussì brava.
ORSOLA
che ti xe cussì brava.Fate onor.
(a Anzoleto)
Dème da bevar.
GNESE
segue nota 28
ESEMPIO
15 (1156)
Astolfi partecipa di buon grado allo spirito goliardico che pervade la situazione, anche se gli effetti del vino fanno presto degenerare la festa in nuovo litigio quando Gnese, per dispetto a Luçieta, brinda ad Anzoleto invece
che al fidanzato, costringendo il Cavaliere ad intervenire di persona nella locanda per sedare la gazzarra che ne
segue (Presto – , Do).
XXXIII
«anca».
IL CAMPIELLO
–
87
ATTO SECONDO
ANZOLETO
(apparendo sul poggiolo)
Ma cozza zé zto ztrepito?
Me par che zemo a caza de colù.
FABRIZIO (di casa, con cappello, mantello e bastone)
Per dispetto lo fan, non posso più!29
Vogio darghelo mi.Olà, deboto!
GASPARINA
ORSOLA
GASPARINA
Dème da bevar.Feghelo de cuor.
ZORZETO (leva il boccale ad Anzoleto)
Vogio darghelo mi.
ZORZETO
Vardè che sèsti!
Dove valo, zior barba?
FABRIZIO
LUÇIETA
Vardè che sèsti!Tasi là, pissoto!
Dove valo, zior barba?All’inferno,
a cercar una casa tranquilla.
GNESE
GASPARINA
«Co sto vin che xe puro e xe dolçeto,
mi bevo a la salute…»
FABRIZIO
Zì, dazzeno, zon ztufa anca mi.
mi bevo a la salute…»…de Zorzeto!
E il cavaliere Astolfi
protegge tal genia?
GNESE
GASPARINA
PASQUA
Lo cognozzelo, elo?
No, de sior Anzoleto.
FABRIZIO
ZORZETO
Vardè che sèsti!
LUÇIETA (a Gnese)
Vardè che sèsti!Senti sa, petazza,
te darò una sciafazza!
TUTTI
Oe, oe, patrona! sentì là! Tasé!
(Tutti altercano mentre rientrano in locanda man
mano)
XXXIV
IL CAVALIERE
Dai brindisi al gridar passati sono.
Da cavaliere or vado e li bastono!
(Entra in locanda)
(Scomparsi tutti nella locanda, lo schiamazzo però,
dentro, continua)
Lo cognozzelo, elo?Sì.
GASPARINA
Lo cognozzelo, elo?Sì.El me conta.
FABRIZIO
Proprio adesso?… Una casa, e la voglio
anche prima che scenda la sera.
(S’incammina per andarsene; si ferma cercando nelle tasche)
Oh… la mia tabacchiera…
GASPARINA
Zubito.
(Scompare in casa)
FABRIZIO
In questo loco
vivo nel foco.
Sempre fracasso,
Aggiunta: «ZORZETO (schiamazza protestando)».
Presto – - , do
Determinato una volta per tutte ad abbandonare i continui schiamazzi del campiello, Fabrizio è invece intenzionato a trovare una «casa tranquilla» dove potersi dedicare ai suoi passatempi letterari e in una sapida scenetta
con Gasparina rinnova il proprio congenito antagonismo all’assordante microcosmo sociale che lo circonda. Con
modi sbrigativi, comicamente rovesciati sul piano musicale dall’agogica sempre più rallentata, l’uomo elude dapprima le domande della nipote sulla reale identità di Astolfi senza poi perdere l’opportunità, quando la donna si
affanna premurosa per portargli la tabacchiera dimenticata in casa, per scagliare rabbiose invettive – amplificate dagli interventi insistenti del «soffione» («un istrumento che deve dare dei gran soffi come una locomotiva
quando sbuffa e di tal forza da superare tutta l’orchestra», spiega Wolf-Ferrari in partitura) – contro la mancanza
di rispetto dei vicini e le maniere troppo plebee della parente (Andante-Presto – - , ).
XXXIV
29
88
ERMANNO WOLF-FERRARI
e sempre chiasso.
E poi, cospetto,
dov’è il rispetto?
Meglio ch’io sloggi via presto di qua.
GASPARINA (di casa, con la tabacchiera)
Zon qua.
FABRIZIO
FABRIZIO
Fin che è con me,
non sto più bene:
vo’ maritarla
a chi vien viene.
(Esce da destra in fondo)
IL CAVALIERE (esce dalla locanda, col conto in mano)
Settanta lire, che bestialità!30
Ah! se Fabrizio
mi desse sua nipote!
Come mi servirebbe un po’ di dote!
(Cammina su e giù masticando e guardando il cielo)
Zon qua.Ma perché voi? Non c’è la serva?
È inutile: la madre v’ha allevata
vil, com’ell’era nata, e il padre vostro
s’è scordato egli pur del sangue nostro.
GASPARINA
Zior barba, zemio nobili?
FABRIZIO
Zior barba, zemio nobili?Partite!
GASPARINA
Me zento un no zo che de nobiltà.
Andate via di qua.
GASPARINA
Andate via di qua.Mo via, che ’l taza.
(Entra in casa)
FABRIZIO
Più presto-A tempo presto assai – , Do.
Composta la lite all’interno della locanda e saldato il salatissimo conto – nell’originale goldoniano al pagamento è dedicato uno spassosissimo intermezzo con il gestore Sansuga (IV.6) –, il Cavaliere si ripresenta in scena palesando la decisa volontà di chiedere la mano di Gasparina per ripianare con la dote generosa garantita dallo zio
le finanze personali ormai dissanguate. Quando però incontra la giovane dichiarandole apertamente, ma senza
particolare slancio romantico, il suo amore (Andante tranquillo-Allegro-I tempo – , Sol), la donna lo ricambia
con un malizioso inciso staccato già sentito in precedenza (cfr. nota 20) che rimarca l’atteggiamento altezzoso
con cui il soprano ostenta la nobiltà che il tutore le ha appena rivelato:
ESEMPIO 16 (172)
30
Disseminato lungo tutto il breve scorcio dialogico, tanto nella linea vocale di entrambi i personaggi quanto in
quella orchestrale, il motivo assurge a metafora musicale del prestigio sociale agognato e infine raggiunto da Gasparina, che tuttavia si traduce in pose sgraziate e meccaniche del tutto aliene al calore spontaneo del rapporto
umano. Di fronte alla freddezza della donna, che pare non curarsi affatto delle parole dello spasimante, ad Astolfi non resta altro che mescolarsi con «gusto pazzo» alla fiumana festosa che invade nuovamente la scena con canti e balli.
IL CAMPIELLO
–
89
ATTO SECONDO
GASPARINA
(ch’è apparsa sul poggiolo)
El cavalier Aztolfi?
IL CAVALIERE
IL CAVALIERE
GASPARINA
El cavalier Aztolfi?O mia signora,
di donarvi il mio cuor mi son prefisso.
Nobile siete, il so.
GASPARINA (molto sostenuta)
Nobile siete, il so.La riverizzo.
Che i me diga Luztrizzima zé poco.
(Si sente un grande strepito di zimbani e di voci in
locanda)
IL CAVALIERE
Lo zio m’ha confessato… che noi siamo…
poco più, poco men…
GASPARINA
poco più, poco men…Già lo zappiamo.
IL CAVALIERE
Egli vuol maritarvi.
GASPARINA
Egli vuol maritarvi.Cozì è.
IL CAVALIERE
Volesse il cielo che toccaste a me!
GASPARINA
Me la sogliono dare in qualche loco.
Cozza zé zto fracazzo?
IL CAVALIERE
Ecco la compagnia! Ci ho un gusto pazzo!
GASPARINA
Mi fanno zenzo. Reverizzo. Addio.
(Entra in casa)
(Dalla locanda irrompe tutta la brigata, schiamazzando e ridendo.31 Le donne agitano gli zimbani alla veneziana. Sono con loro gli orbi con istrumenti.
Dalle calli laterali irrompe, richiamata dal frastuono, altra gente. Mentre tutti, disposti in semicerchio,
cominciano a marcare la danza, Anzoleto balza in
mezzo alla scena con lo zimbano che ha strappato di
mano a Luçieta)
La diga: èlo Zelenza?
31 Presto-Due volte meno mosso – - , Sol.
Lo spensierato vaudeville corale con cui termina l’atto secondo suggella nel modo più emblematico la dimensione gaia e popolaresca di un ambiente quotidiano eletto a protagonista della vicenda, che coinvolge tutti i personaggi (esclusi coloro che non ne vogliono sapere di integrarsi, come Fabrizio e Gasparina) nei suoi molteplici riti collettivi. Introdotta da un furioso movimento di furlana, la danza ha inizio con i partecipanti che a coppie –
dapprima Anzoleto e Luçieta, quindi Gnese e Zorzeto, infine Cate e Pasqua con l’aggiunta del Cavaliere – eseguono a turno il proprio couplet seguito da uno spigliato ritornello corale, il cui motto «Sol, sol, sol, sol!» viene
intonato quattro volte di fila da ciascuno nel corso del suo intervento:
ESEMPIO 17 (5177)
Curiose dissonanze – mentre Astolfi balla con le due vecchie sono due orbi a suonare! – percorrono quindi il breve interludio strumentale posto dopo la canzonetta, prima che il ballo si scateni in un vortice sempre più frenetico chiuso da una stretta indiavolata (Furioso – Do). Il cimbano, agitato dalle donne, «se sona alla veneziana,
quel cosso tondo de carta bergamina colle campanelle, che se batte coi dei, e co la palma de la man» (GOLDONI,
Il frappatore, II.12)
90
ANZOLETO
Sol sol sol sol!
La mia sposa la fa gola,
la xe proprio da magnar.
Ma se gh’è chi vol tociar,
le xe bote da copar,
sol sol sol sol,
se ’l vol tociar!
LUÇIETA (balzandogli a fianco e levandogli lo zimbano)
Sol sol sol sol!
Le xe bote da copar;
ma quel tal che vol tociar
nol xe façile a trovar,
oilì, oilà!
(Fanno un giro di danza)
ZORZETO (balza in mezzo, togliendo lo zimbano a
Gnese)
Sol sol sol sol!
La mia puta xe inzucada,
la xe sempre indormenzada,
no la fa che pisolar.
Ma la vien quela zornada,
sol sol sol sol,
che la fazzo desmissiar!
GNESE (balzandogli a fianco e levandogli lo zimbano)
Sol sol sol sol!
Se ti me desmissiarà,
sta manina che xe qua,
Zorzi mio, te sgrafarà!
Oilì, oilà!
(Fanno un giro di danza)
TUTTI
Sol sol sol sol!
ERMANNO WOLF-FERRARI
(balzando avanti con lo zimbano)
Sol sol sol sol!
I me dise che son vecia,
e sì vecia non ghe son,
ma son vegnua cussì da le passion!
PASQUA (balzandole a fianco con lo zimbano)
Sti marii, gran desgraziai!
nol ghe basta el pan de casa,
nol ghe basta mai!
CATE
A DUE
E cussì se va a remengo,
se va zozo a tombolon,
sol sol sol sol!
IL CAVALIERE (balzando in mezzo alle due vecchie, con
gran brio)
Sol sol sol sol!
Ecco qui l’amante bello
che vi viene a consolar!
A che vale sospirar?
Già il marito non c’è più.
Presto presto, quattro salti:
ecco qui l’amante bello
che vi viene a consolar!
tutti
Sol sol sol sol!
Oilì! Oilà!xxxv
(Gli orbi suonano. Anzoleto balla con Luçieta, Zorzeto con Gnese, Orsola con Sansuga, e il Cavaliere
con le due vecchie. La danza è diventata sempre più
sfrenata. Alla fine, le vecchie non ne possono più, si
sentono male, e sono sostenute, mentre s’avviano
verso le loro case, Cate da Luçieta e Anzoleto, e Pasqua da Zorzeto e da Gnese. Il Cavaliere balla allora con Orsola, mentre cala la tela)
XXXV
Aggiunta: «TUTTI | Le vecie ga la bala! | E dài coi soni e i canti! | Se bala co la bala, | se bala tuti quanti! |
Sol, sol, sol, sol!».
ATTO TERZO
(Alcuni facchini stanno trasportando via da destra i
mobili della casa di Gasparina. Altri mobili e qualche cassa sono ammucchiati in istrada. Fabrizio sorveglia. Andirivieni di facchini che sgomberano la
scena. Gasparina guarda dal poggiolo, pensierosa)32
GASPARINA
E ze la caza non me piaze a mi?33
Zélo un palazzo? Tegniremio barca?
Almanco a un remo:
o che zemo, zior barba, o che no zemo.
FABRIZIO
Son pur sazio di voi, la mia figliuola.
(Ai facchini)
Andiam.
IL CAVALIERE (esce dalla locanda)
Andiam.Signor Fabrizio, una parola.
FABRIZIO
Che mi comanda?
IL CAVALIERE
Servitore di lei.
(Mostra salutare Fabrizio e saluta Gasparina)
FABRIZIO
Servitore di lei.La riverisco.
GASPARINA
Li zon zerva, zignore.
III
FABRIZIO
Li zon zerva, zignore.(Ora capisco!)
(A Gasparina)
Andate.
GASPARINA (al Cavaliere)
Zerva zua.
FABRIZIO
Zerva zua.Mia padrona.
IL CAVALIERE
Zerva zua.Mia padrona.A voi m’inchino.
(al Cavaliere)
Un’altra volta a me?
(S’avvede che il Cavaliere e Gasparina si salutano a
cenni)
Bravi! me ne consolo.
Subito andate via di quel poggiolo.
FABRIZIO
GASPARINA
(Ze me podezze maridar!)
(Si ritira in casa)
32 Ritornello. Con moto e leggero – , Mi.
Wolf-Ferrari chiama Ritornello l’introduzione orchestrale all’atto conclusivo, solo che non riprende una sola melodia bensì due. Sul diafano accompagnamento pizzicato degli archi, e incorniciato dall’ennesimo ritorno del motivo di giga dell’es. 5, si dispiega nuovamente nel secondo interludio il tema principale dell’opera (cfr. es. 1), cadenzato da un ritmo di danza dal carattere gioioso che diluisce l’esuberante affresco popolare appena narrato
nella pacata tranquillità di una fredda serata invernale. Impreziosita dai soffici incisi dei legni, delicate folate di
vento che percorrono una piazzetta divenuta d’un tratto silenziosa e deserta, la melodia è dapprima affidata ai
violini, che si muovono verso l’acuto, prima di confluire in una sezione in tempo più lento dal tono struggente
(Sostenuto-Meno sostenuto – - ), da cui fa capolino il grazioso motivo degli oboi che nel primo atto aveva punteggiato il duetto finale tra Astolfi e Gasparina (cfr. es. 9). Ritornello, quindi, in un senso molto lato del termine.
33 Andante con moto-Poco più mosso – - , do
.
Un grazioso preludio che ha i contorni di una ruvida marcia appesantita dai goffi interventi di tromboni e basso
tuba introduce il caotico trasloco in corso di Fabrizio e Gasparina. Sfiancato dai capricciosi assilli della nipote,
che si bea nell’illusione di trasferirsi in un palazzo signorile con riva da barca, l’uomo non riesce più a tollerarne la petulanza e intravede nelle reiterate profferte sentimentali di Astolfi, che intrattiene con la donna un disinvolto gioco di sguardi e cortesie, la sola possibilità per sbarazzarsi della giovane. Quando infatti il Cavaliere gli
chiede la mano di Gasparina su una timida variante in tonalità minore del motivo dell’es. 8, Fabrizio acconsente senza indugi a discutere della proposta, non prima però di essersi sincerato della capacità del pretendente di
riprendersi dalla bancarotta economica. Se nella commedia di Goldoni la risposta assai maliziosa di Astolfi,
«Quanto date di dote a Gasparina?» (V.3), era compensata dal solenne giuramento dell’uomo di impegnare «da
cavalier d’onore» tutti i suoi beni, l’opera enfatizza invece i palesi secondi fini del baritono, che non a caso replica con una versione mellifluamente dolce e cortese del motivo dell’es. 9. Fabrizio decide tuttavia di assecondare la richiesta e, mentre i due se ne vanno per esaminare i dettagli della questione, la nuova, briosa ricomparsa del motivo dell’es. 8 sancisce la completa vittoria dello spasimante.
92
ERMANNO WOLF-FERRARI
XXXII
FABRIZIO
FABRIZIO
(Ze me podezze maridar!)Parlate.
Ma dei patti farem!
IL CAVALIERE
IL CAVALIERE
Dirò, signor, sappiate
che mi ha ferito il cuor vostra nipote.
Ma dei patti farem!Ben, li facciamo.
(da sé)
(Sono fra il sì e il no.)
IL CAVALIERE (complimentoso)
(Sono fra il sì e il no.)Vi prego.
FABRIZIO
Piacevi Gasparina o la sua dote?
IL CAVALIERE
Desta il merito suo gli affetti miei.
(da sé)
(Quasi quasi davver gliela darei.)
(Appaiono l’una dopò l’altra, sulle rispettive terrazze, Gnese e Orsola ad osservare)
FABRIZIO
Ma ditemi, signore:
come rimedierete
dei disordini vostri alla rovina?
IL CAVALIERE
Quanto date di dote a Gasparina?
(inghiotte)
Basta, v’è da pensar.
FABRIZIO
IL CAVALIERE
Basta, v’è da pensar.Entriamo in casa.
FABRIZIO
FABRIZIO
(Sono fra il sì e il no.)Vi prego.Andiamo.
(Entrano in casa. Luçieta appare anch’essa sul suo
terrazzino)
LUÇIETA, ORSOLA
e GNESE
Bravi! Pulito!34
I l’à tirà drento.
L’è da l’amiga!
Eh via! Sior sì.
Per le mie tàtare,
sta Gasparina,
uh! che mozzina!
E el barba gh’èlo?
L’à menà elo,
Allegro – , Sol.
A commentare divertite la scena si affacciano all’istante Orsola, Gnese e Luçieta che danno vita a un mirabile
terzetto giocato su sonorità comicamente smorzate e scandito da uno spiritoso ritornello vocale da intonarsi sottovoce per non disturbare il tranquillo russare – illustrato in guizzante disegno di flauto e fagotto, poi sormontati dall’ottavino – delle due vecie, ancora rintontite da vino e balli sfrenati:
ESEMPIO 18 (5193)
34
Il vivace cicaleccio femminile, naturale trasposizione in musica dell’atmosfera pettegola che regola la vita nella
piazzetta, diventa inoltre opportunità per scambiarsi stuzzicanti novità riguardo i futuri matrimoni delle giovani
fidanzate e delinearne con immediatezza i caratteri: la baldanzosa Luçieta e la riservata Gnese, con le quali si mescola l’impicciona Orsola, sua futura suocera.
IL CAMPIELLO
–
93
ATTO TERZO
l’à menà elo!
Zito, che i dorme…
Pian… pian… pian…
ORSOLA (a Gnese)
Ciama to mare.
GNESE
Lassèla star.
LUÇIETA
Dormela ancora?
GNESE
ORSOLA
Da qua a do ani.
(A Gnese)
Vero?
GNESE (vergognosetta)
Vero?De cossa?
ORSOLA
Vègnistu rossa?
LUÇIETA
El xe un bon puto.
(a Luçieta)
Vegnì da mi:
ve conto tuto…
L’à butà fora.
ORSOLA e LUÇIETA
Ludro de vecia!
ORSOLA
TUTTE
TUTTE
Pian… pian… pian…
LUÇIETA
Anca mia mare
xe ben conzada:
oe, quatro volte
la xe cascada…
GNESE e ORSOLA
Salute!
LUÇIETA
Salute!Zito,
che la ronchiza.
ORSOLA
Dov’è Anzoleto?
LUÇIETA
In cao al foghèr.
ORSOLA
Quando te sposistu?
LUÇIETA
Stasera.
(Indicando Gnese)
Stasera.E ela?
Fin che i ronchiza…
pian… pian… pian…
(Luçieta e Orsola si ritirano.35 Dalla casa di Gasparina escono due facchini con una grossa cassa di
utensili di cucina, che fanno rumorosamente cadere
inciampando. Al rumore, s’affacciano per un momento sul poggiolo Gasparina, Fabrizio e il Cavaliere. Si ritirano subito. Mentre i facchini rimettono
nella cassa gli utensili, Luçieta esce di casa e va correndo da Orsola. Gnese rimane ad osservare i facchini che se ne vanno da destra)
GNESE
Fai massaria?
Proprio sì, i va via.
Mi quela caseta
la me piasaria,
se me marido…
Ma i xe do ani…
I xe do ani,
povara mi!
Cavalo, no morir,
che bel’erba à da vegnir.
35 Sostenuto e pesante –
.
Mentre Orsola, impaziente di svelare a Luçieta il proprio progetto nuziale per unire il figlio Zorzeto a Gnese, invita la prossima sposina in casa sua, il frastuono del trasloco proveniente dall’abitazione di Gasparina richiama
l’attenzione di Gnese che, in una malinconica arietta (Meno mosso – , Do) a dialogo col timbro esile e carezzevole dei flauti, esprime il sogno struggente di un intimo focolare domestico, disperandosi per la lunga attesa impostale prima delle nozze:
94
ERMANNO WOLF-FERRARI
ANZOLETO (esce dalla casa di Cate, stropicciandosi gli
occhi)
Oe, disé, siora Gnese: saveu gnente36
dove che sia Luçieta?
GNESE
dove che sia Luçieta?La xe andada
da sior’Orsola.
ANZOLETO
da sior’Orsola.Brava! La lo sa:
no vòi che la ghe vaga e la ghe va.
Vòi che la me la paga, sta petazza.
Co la vien, vogio darghe una sciafazza!
(S’avvia verso la casa di Cate)
Oe, dona Cate,
desmissiève!
(Batte forte alla porta di Cate)
CATE (di dentro)
desmissiève!Chi bate?
GNESE (da sé)
desmissiève!Chi bate?El ghe vol dar
avanti gnanca che la sia sposada:
cossa faralo co l’è maridada?
CATE (uscendo di casa)
Zenero, me ciamèu?
ANZOLETO
Vu dormì co fa un zoco, e vostra fia…
CATE
Oe, dove xela?
ANZOLETO
Oe, dove xela?La xe andada via.
segue nota 35
ESEMPIO
19 (196)
36 Antitetico all’ingenuo candore che lega Gnese a Zorzeto è il burrascoso rapporto tra Anzoleto e Luçieta. Furibondo alla notizia che la fidanzata è entrata in casa di Orsola, il sospettoso merciaio non esita infatti a meditare
vendetta e, dopo aver informato la suocera dell’offesa recatagli – circostanza che accende una prima dura schermaglia verbale tra Dona Cate e Gnese a proposito delle qualità fisiche di Zorzeto, «quel cosso scachio [= mingherlino], malfato e bruto» –, decide di appostarsi sotto casa del ‘rivale’. Violente e rapidissime accensioni orchestrali puntellano il severo declamato della scena, sintomi di una tensione latente destinata a crescere
pericolosamente, come conferma poco dopo il rientro di Luçieta, le cui parole rassicuranti pronunciate su un calmo fondale accordale degli archi nulla valgono ad evitare il brutale schiaffo dell’uomo. Spasimo e stupore della
giovane si materializzano in un lancinante inciso cromatico discendente affidato ai violini primi che emerge dolente dall’ipnotico ordito orchestrale sottostante e percorre l’animata sezione dialogica seguente,
IL CAMPIELLO
–
95
ATTO TERZO
XXXVI
CATE
CATE
Là, da la fritolera.
No vòi che la ghe vaga.
Mo parcossa me dastu?Sior strambazzo,37
a la mia puta se ghe dà un sciafazzo?
No ti è degno de averla.
No te la vogio dar.
CATE
ANZOLETO
Dove s’àla cazzà, sta scagazzera?
ANZOLETO
Oh! saressi geloso de so fio,
de quel cosso scachio, malfato e bruto?
GNESE
Oe, oe, sentì: no strapazzè quel puto!
(esce dalla casa di Orsola)
Seu desmissiai?
(Ad Anzoleto)
Seu desmissiai?Coss’è? Ti me fa el muso?
Xestu in colera, fio?
LUÇIETA
ANZOLETO
Xestu in colera, fio?Frasca. Tiò suso!
(Le dà uno schiaffo)
LUÇIETA (piangendo)
Mo parcossa me dastu?
No te la vogio dar.No me ne importa.
XXXVII
CATE (a
Luçieta)
Vien, vien, le mie raise,
che no ghe xe pericolo
che te manca mario!
(Piangendo)
ANZOLETO (a Luçieta)
Deme l’anelo indrio.
LUÇIETA (piangendo)
Deme l’anelo indrio.Questo po no.
XXXVI
CATE
Volé l’anelo indrio? Ve lo darò.
(Fa per levare l’anello a Luçieta)
LUÇIETA (piangendo)
Su via, lassème star, siora.
segue nota 36
ESEMPIO
20 (1203)
Aggiunta: «(a Anzoleto)».
Allegro agitato-Due volte meno mosso – ,
dove, con indovinato effetto straniante, viene anche impiegato per amplificare l’effetto del grottesco pianto in falsetto di Cate, che il tenore attacca dal Si3. Convinta di poter trovare un genero meno violento, la comare cerca
poi con la forza di levare alla figlia l’anello regalatole da Anzoleto, senza desistere neppure di fronte ai timidi segni di pacificazione che paiono riavvicinare la coppia di fidanzati.
XXXVII
«in falsetto, tanto piange; a».
XXXVI
37
96
ERMANNO WOLF-FERRARI
CATE
LUÇIETA
Su via, lassème star, siora.Furbazza,
damelo, quel anelo.
(Ah! parcossa me dàlo,
parcossa me falo cussì?…
Mi no ghe fazzo gnente,
mi mai no ghe dago impazzo,
per lu me desconizzo…
e lu el me dà cussì…
Ghe vogio tanto ben,
e lu el me dà cussì…)
ANZOLETO (a Cate)
Via, se sè dona,
cara siora madona,
compatime anca mi…
(A Luçieta)
compatime anca mi…T’ò dà, Luçieta,
perché te vogio ben…
LUÇIETA
damelo, quel anelo.No vel dago
gnanca se me copè.
CATE
El te trata cussì,
e ti ’l tioressi ancora?
LUÇIETA (piangendo)
El vogio, siora sì.38
CATE
Oh! ti meritaressi
che ’l te copasse.
ANZOLETO (singhiozzando)
che ’l te copasse.Senti,
t’ò dà perché te vogio ben…
LUÇIETA
t’ò dà perché te vogio ben…Nol sogio?
(scattando)
El xe un baron.
CATE
LUÇIETA
El xe un baron.No me ne importa: el vogio.
CATE
Toco de desgrazià!
GNESE
perché te vogio ben…(Mi nol toraveXXXVIII:
gavarave paura…)
(Cate si commuove,XXXIX Luçieta e Anzoleto, tergo a
tergo, con piccoli movimenti delle spalle tentano
qualche approccio, osando appena di voltare la testa
per guardarsi, ma subito pentendosene. Infine Luçieta ha preso la mano di Anzoleto, che gliela lascia)
LUÇIETA (volgendo la testa verso Anzoleto, sorridendo tra le lacrime)
Baron, me vustu ben?39
38 Adagio-Andante sostenuto-Un poco più mosso-Agitato con passione – mi
.
La riconciliazione definitiva viene sancita da un insolito pezzo concertato che prende l’avvio come commosso
arioso del soprano, in cui l’espediente di raddoppiare la melodia vocale, una variante del motivo dell’es. 3 ma
con valori aumentati, a fagotti e violoncelli sull’armonia sincopata dell’orchestra reca un’eco pucciniana sfumata. Segue il patetico intervento di Anzoleto (Più mosso, con agitazione) che, riprendendo il tema dell’es. 20 in
un’accesa atmosfera dalle tinte veriste che si riallaccia all’allucinato monologo finale del protagonista eponimo
nel precedente Sly (1927), conferma la bontà dei propri sentimenti, prima che Cate e Gnese si uniscano agli sposi promessi in un quartetto bipartito nella cui sezione conclusiva (Sostenuto e allargando – - , Sol) l’aspirazione a una vita coniugale serena è sublimata dalla ricomparsa in orchestra dei placidi accordi che avevano confortato le dolci speranze di Gnese (cfr. es. 19).
XXXVIII
«toria (= prenderei)».
XXXIX
«commuove. Scena muta, nella quale».
39 Adagio-Allegro-Presto-Allegro moderato – ,
Nel tentativo di appianare i recenti dissapori Luçieta tenta quindi un timido approccio verso Anzoleto in una curiosa scena muta che tuttavia non serve a placare il carattere irascibile dell’uomo. Rinvigorito da feroci incisi ribattuti dell’orchestra, l’uomo incolpa dapprima Zorzeto dei suoi guai per poi mettere in guardia la fidanzata, che
lo ha appena supplicato tra i singhiozzi sul motivo dell’es. 20, e trascinarla a viva forza verso casa. L’incidente,
prontamente riferito da Gnese all’amato nonostante la contrarietà di Orsola (Andante un poco mosso), è la miccia che fa scoppiare l’ennesima baruffa (Adagio-Vivace subito), il cui convulso svolgimento occupa tutta la par-
IL CAMPIELLO
–
97
ATTO TERZO
ANZOLETO (scattando e abbandonando la mano di
Luçieta)
Causa quela carogna de Zorzeto!
GNESE
Oe, oe, come parleu, sior Anzoleto?
ANZOLETO
GNESE
Avéu sentio?Mi no.Ve contarò.
Perché Luçieta xe vegnua da vu,
Anzoleto à crià,
e po dopo el gà dà
una man in tel muso.
Parlo cussì, e diseghelo.
LUÇIETA (trascinandolo verso casa)
Parlo cussì, e diseghelo.Via, strambo.
ORSOLA
ANZOLETO
GNESE
Sanguenazzo de Diana!
XL
CATE
Tasé, vegni co nu.
LUÇIETA (dalla porta di casa, volgendosi)
Oe, Anzoleto, me darastu più?
ANZOLETO
O toco de baron! Galo paura
che in casa mia se fazza dei sporchezzi?
Bisogna.
E po a Zorzeto el gà dito carogna.
XLI
ZORZETO
Carogna a mi!?
ORSOLA
Carogna a mi!?Via, tasi!
Se me darè ocasion.
(La spinge all’interno ed entra dietro a lei)
ZORZETO
CATE
GNESE
Poverazza! A bon’ora
el me l’à petufada!
(Entra in casa)
ORSOLA
GNESE
ZORZETO
Bon pro te fazza, povera negada!
(Chiama)
Sior’Orsola?
ORSOLA (dalla terrazza)
Sior’Orsola?Ciamèu?
(Zorzeto appare sulla soglia di casa stropicciandosi
gli occhi)
GNESE
Avéu sentio?
ORSOLA
Avéu sentio?Mi no.
Vòi dir l’anemo mio.
Vòi dir l’anemo mio.No ve impazzè.
Vien drento, fio.
Vien drento, fio.Sì, sì.III (L’à da pagar!)
(Entra in casa)
XLII
ORSOLA
Ma anca vu, putela,
parcossa squaquarar?
(Si ritira in casa)
GNESE (medita)
No vogio più parlar.
Coro subito a contarghelo a mia mare.
(Si ritira in casa)
ZORZETO (di casa, con dei sassi)
A mi carogna? Desgrazià! Baron!
Vòi trarghe in tel balcon de le pierae.
(Tira dei sassi nella finestra di Luçieta)
segue nota 39
te centrale dell’atto e si sviluppa, tra brutali dissonanze e una ritmica martellante, lungo un inesorabile crescendo
drammatico. Movente del pandemonio generale che coinvolge tutto il campiello è questa volta Zorzeto (Andante
molto sostenuto-Adagio – , ) che, dopo aver colpito Dona Cate con un sasso lanciato verso la sua finestra,
XL
Aggiunta: «(come Luçieta)».
XLI
Aggiunta: «(scattando)».
XLII
Aggiunta: «(a Gnese)».
98
ERMANNO WOLF-FERRARI
CATE (apparendo sull’altana)
Coss’è ste baronae?
ZORZETO
Vecia mata, ciapa questa!
(Le tira unXLIII sasso)
CATE
Ahi! ’na piera in te la testa!
(Si ritira)
ORSOLA (dalla terrazza)
Cossa fastu?
ZORZETO
Cossa fastu?Gnente, siora.
ORSOLA
Vien de suso, in to malora.
(di casa di Cate, col palosso)
Sior cagadonao!
ANZOLETO
ORSOLA
Ah, Zorzi! fio mio!
ZORZETO
No go miga paura!
(Fugge in casa)
ANZOLETO (rincorre Zorzeto che gli scappa e si ferma
dinanzi alla porta che questi gli ha sbattuto in faccia)
Vien fora, baron!
LUÇIETA (in altana)
Anzoleto, fio mio!
GNESE (dall’altanella)
Oe, zente, custion!
ANZOLETO
Baroni la mare,
la mare e anca el fio!
GNESE, LUÇIETA e ORSOLA
O Dio, che spegazzo,
che ira de Dio!
ORSOLA
Tiò, desgrazià!
(Gli tira un vaso dalla terrazza, poi si ritira in casa)
e GNESE
Agiuto! Agiuto!
ANZOLETO (che ha evitato il vaso)
Vien fora, se ti è bon!
ZORZETO (di casa, con un randello)
No gò miga paura!
LUÇIETA
LUÇIETA
Indrio co quel baston!
(Sansuga si slancia dalla locanda con uno spiedo e
minaccia i contendenti)
LUÇIETA
Agiuto!
(Si ritira in casa)
GNESE
Agiuto!Agiuto!
(dal poggiolo della casa di Gasparina)
Che cos’è questo fracasso?
IL CAVALIERE
GNESE
Oimiei, sior foresto,
la vaga da basso!
(Si ritira in casa. Il Cavaliere si ritira in casa)
ANZOLETO
Te vogio mazzar,
bardassa!
ZORZETO
bardassa!Sta indrio!
ANZOLETO
Mazzar, sanguenon!
(di casa, con la padella)
Mio fio! Mio fio!
(Balza a fianco di Sansuga, tenendo scostati
Anzoleto e Zorzeto)
ANZOLETO e ZORZETO
Te desfo quela mùtria!40
Te magno in sguazzeto!
Te rompo quel muso!
ORSOLA
Aggiunta: «(un altro)».
Più mosso. Allegro Sostenuto-Andante, do
affronta Anzoleto con spavalderia in un infuocato a due all’unisono condito da insulti e minacce reciproche. Soltanto l’intervento di Orsola, che pure non si esime dal commentare l’argento vivo («giandussa») del figlio, pare
evitare il peggio, ma la tregua dura ben poco e, quando la confusione si riaccende con un furioso litigio tra Dona Cate e Dona Pasqua, tocca ad Astolfi sedare definitivamente gli animi.
XLIII
40
IL CAMPIELLO
–
ORSOLA
(a Sansuga)
Via quel’arma!
(Agli altri)
Via quel’arma!Che vergogna?
(A Zorzi)
Vien co mi.
ORSOLA
Tasé! tasé!
ZORZETO
Viliaco!
ANZOLETO
Viliaco!Pandolo!
ZORZETO
Porçelo!
ORSOLA
Porçelo!Tasé!
ANZOLETO
Simioto!
ZORZETO
Simioto!Sior bulo!
ANZOLETO
Carogna!
ORSOLA
Carogna!Tasé!
(Luçieta e Gnese appaiono sulle porte delle loro case)
e ZORZETO
Mi qua lo fracasso,
mi qua lo sconquasso,
lo fazzo un spegazzo,
davanti e da drio!
ANZOLETO
LE DONNE
O Dio, che spegazzo,
o Dio, che fracasso,
che urli, che orori,
che ira de Dio!
LUÇIETA (trascinando via Anzoleto)
Mo vien via.
ORSOLA (trascinando via Zorzeto)
Mo vien via.Mo vien in casa.
Dame, dame quel baston.
(Gli leva il legno)
XXXVI
LUÇIETA
Vien, se ti me vol del ben.
ANZOLETO (a Zorzeto)
Fiol d’un can!…Ti gà rason…
(Entra in casa con Luçieta)
XLIV
99
ATTO TERZO
L’ingresso del coro viene posticipato.
ZORZETO
Vien co mi.Dirme carogna!
(Entra in casa. Sansuga rientra in locanda)
ORSOLA
Gnanca al diavolo e a so pare
nol ghe mola, sto giandussa:
el xe fio de bona mare!
(Entra in casa)
(Pasqua esce di casa, passeggia su e giù)
PASQUA
Se lo saveva avanti,
ca de Diana te dia,
ghe ne voleva dir quatro a culìa!
A quel puto carogna!
(Cate esce di casa con la fronte fasciata; passeggia)
CATE
A mi, furbazzo,
romparme i veri, e trarme una pierada?
A mi sta baronada?
PASQUA
Oe, seu qua, vecia mata?
CATE
Coss’è? ghe tendé a lu?
Se no andè via, me refarò co vu.
(Durante questa baruffa delle vecchie, entra alla
spicciolata il coro – popolani e popolane – ad osservare, ridere, etc.)XLIV
PASQUA
Vardè là che fegura!
Gnanca per questo no me fè paura.
CATE
Anca sì, che deboto
ve ciapo per la peta?
PASQUA
Mi no farò cussì,
100
perché cavei no ghe n’avé pì!
CATE
Via, via, sorda!
PASQUA
Via, via, sorda!Sdentada!XLIV
CATE
Veciazza!
PASQUA
Veciazza!Magagnada!
CATE
Vustu ziogar?
PASQUA
ERMANNO WOLF-FERRARI
IL CAVALIERE
Come? in giorno di nozze,
dopo tant’allegria,
si strepita così?… Che villania!
(Ad Anzoleto)
Giù quell’arma, vi dico!
(Luçieta leva il palosso ad Anzoleto, lo porta in casa, poi torna)
(a Zorzeto)
Giù quel baston!
ORSOLA (leva il bastone a Zorzeto)
Giù quel baston!Sior sì.
IL CAVALIERE
Vustu ziogar?Vien via!
(Si attaccano)
CATE (chiama)
Ah! Luçieta!
IL CAVALIERE
PASQUA
LUÇIETA
Ah! Luçieta!Fia mia!
LUÇIETA (di casa)
Siora mare!
GNESE (di casa)
Siora mare!Fermève!
(Sansuga ritorna con lo spiedo)
Mi no crio co nissun.
(di casa, col palosso)
Lassè star mia madona!
ZORZETO (di casa, col randello)
Lassè star mia madona!Cossa gh’è?
ORSOLA (di casa)
Agiuto!
LUÇIETA e GNESE
Agiuto!Agiuto!
IL CAVALIERE (dalla casa di Gasparina, roteando il bastone)
Agiuto!Agiuto!Oh! per Dio! La finite?41
(Tutti ristanno di litigare)
ANZOLETO
Che diavol di vergogna!
Sempre sempre gridar con questo e quello.
Maledetto campiello!
PASQUA
Mi no crio co nissun.No parlo mai.
CATE
No la se sente gnanca, la mia puta.
PASQUA
I ghe dixe la muta!
LUÇIETA
Mo vu…
GNESE
Mo vu…Mo vu, patrone…
LUÇIETA
Cossa voressi dir?
IL CAVALIERE
Cossa voressi dir?Ma siate buone.
Domani io vado via.
(Con vivacità)
E se la compagnia torna serena,
meco verrete a divertirvi a cena.
(Le donne hanno un guizzo di gioia, poi si ricompongono)
Allegro-Adagio-Allegro – , .
Punteggiato da ruvidi accordi a piena orchestra, il severo declamato con cui il baritono invita alla calma i presenti, «Giù quell’arma, vi dico!», è una sorta di omaggio al celebre «Abbasso le spade!» dell’Otello verdiano, qui
trapiantato nella cornice plebea di una contesa combattuta a colpi di pietre e bastoni. A differenza del Moro veneziano, però, il tono perentorio dell’esortazione del Cavaliere non sortisce l’effetto sperato e occorre un nuovo
invito culinario (una cena d’addio) per ricomporre finalmente le ostilità in un comico
41
IL CAMPIELLO
–
101
ATTO TERZO
CATE (sorniona)
Per mi, no son in colara.42
PASQUA (sorniona)
Mi no desturbo mai la compagnia.
ANZOLETO
IL CAVALIERE
ANZOLETO
Bravissime le vecchie!
Via, se ti me vol ben.Sì ben.
(Dà un bacio a Zorzeto)
ORSOLA
Bravissime le vecchie!Oe, Luçieta,
gastu gnente co mi?
Che bisogno ghe xe?
LUÇIETA
Via, se ti me vol ben.
ZORZETO
LUÇIETA
Via, se ti me vol ben.Sì ben.Tolé.
(Gli rende il bacio)
Semio amighe?
IL CAVALIERE
ORSOLA
Semio amighe?Tiò un baso.
(La bacia)
LUÇIETA
Or che la pace è fatta,
la cena si farà.
E voglio dirvi un’altra novità:
sono sposo ancor io. Sposo stasera,
e parto domattina.
Semio amighe?Tiò un baso.Tiò anca ti.
(Le rende il bacio)
Gnese, ti cossa gastu?
LUÇIETA
GNESE
IL CAVALIERE
Gnese, ti cossa gastu?Per mi taso.
(Si baciano)
PASQUA (commovendosi)
Oe, dona Cate?
CATE (commovendosi)
Oe, dona Cate?Dona Pasqua?
PASQUA e CATE (piangendo)
Oe, dona Cate?Dona Pasqua?Un baso.
(Si baciano)
IL CAVALIERE (a Zorzeto e Anzoleto)
E voialtri, ragazzi,
non vi baciate ancor?
ORSOLA
non vi baciate ancor?Va là, Zorzeto,
daghe un baso a Anzoleto.
La novizza chi xela?
La novizza chi xela?Gasparina.
(Gasparina esce di casa con la borsa da viaggio, a
mano di Fabrizio che la guida)
GASPARINA
Ze podeva anca dir,
caro zior Cavalier,
che ziora Gazparina è zo muger.
LUÇIETA
Brava!
ORSOLA
Brava!Me ne consolo.
LUÇIETA
Dove andèu, Gasparina?
GASPARINA
Dove andèu, Gasparina?Ignorantizzima!
Me podarezzi dar de la Luztrizzima!
42 Tranquillo assai – - , Mi.
quadretto di pacificazione, durante il quale ogni coppia rivale si scambia baci e cortesie al ritmo di un delicatissimo valzer che recupera i motivi degli ess. 5 e 13. Quando infine Astolfi rivela con enfasi che sta per sposare Gasparina e dovrà lasciare Venezia il mattino seguente – dal libretto è eliminata la penultima scena della commedia
(V.18) nella quale Fabrizio, tenendo fede caparbiamente alla sua morale, disapprova lo sperpero di denaro del
Cavaliere rammentandogli il contratto stipulato e rifiutando di unirsi a «questa gente | indiscreta, incivil, senza
creanza» –, la novella «muger» ha un’ultima occasione per rimarcare la sua compiaciuta estraneità rispetto a un
ambiente che sta per abbandonare, tronfia nella mania di nobiltà oramai soddisfatta e coronata dalla ripresa dei
motivi degli ess. 12 e 9 (Molto moderato. Andante sostenuto-Allegro – , Sol).
102
ERMANNO WOLF-FERRARI
Vado con mio conzorte
e col zior barba zio
dove più conozziuta zarò io.
andiam tutti in locanda!
Che si passi la notte in festa, in brio.
Poi diremo doman: Venezia, addio.
LUÇIETA
GASPARINA
Me ne consolo.
Cara la mia Venezia,
me dezpiazerà zerto de lazzarla;
ma prima de partir vòi zaludarla.
Bondì, Venezia cara,43
bondì, Venezia mia;
TUTTI
Me ne consolo.Tanto, sì dasseno.
IL CAVALIERE
Animo, allegramente
Andante tranquillo – , Sol.
Al momento di congedarsi per sempre dalla città natia, però, la protagonista è colta da un imprevisto sentimento di commozione e nel dolcissimo addio che rivolge a «Venezia cara, […] Venezia mia», intonato sul tema principale dell’opera (cfr. es. 1) da una prospettiva già distaccata, pare scoprire tardivamente il fascino di un mondo
sempre rifiutato:
ESEMPIO 21 (1247)
43
IL CAMPIELLO
–
103
ATTO TERZO
veneziani, zioría!
Bondì, caro campielo.
No dirò che ti zii bruto né belo:
ze bruto ti zé stà, mi me dezpiaze:
no zé bel quel ch’è bel, ma quel che piaze.XLV
(Tutti si inchinano ritirandosi e cala la tela)
FINE
segue nota 43
La ripresa in crescendo della melodia, affidata poi a un ensemble dei solisti con coro che coinvolge per la prima
volta tutti i personaggi, chiude infine Il campiello in un lirico afflato collettivo, che celebra non solo un ambiente quotidiano vissuto come luogo dell’anima e rifugio intimo ma anche (e forse soprattutto) una dimensione spirituale senza tempo, assunta dall’autore a supremo modello di grazia e omaggiata con appassionata malinconia.
XLV
Il coro riprende i versi di Gasparina.
Giuseppe Daniotto, da Charles Nicolas Cochin, Ritratto di Goldoni, incisione, in CARLO GOLDONI, Memorie, Venezia, Antonio Zatta, 1788, I, antiporta.
L’orchestra
ottavino
2 flauti
2 oboi
2 clarinetti
2 fagotti
violini I
violini II
viole
violoncelli
contrabbassi
4 corni
3 trombe
3 tromboni
basso tuba
arpa
pianoforte
organo
celesta
percussioni: triangolo, tamburo militare, timpani,
grancassa, piatti, carillon, soffione, xilofono
Sul palco
campane
Rispetto all’esuberanza timbrica che caratterizzava l’organico della Vedova scaltra, l’orchestrazione del Campiello recupera nelle sue proporzioni più ridotte la dimensione orchestrale delle precedenti trasposizioni goldoniane. Al pari dei Quatro rusteghi, nello
specifico, i legni sono impiegati ‘a due’ (con l’assenza tuttavia del corno inglese fra le
ance doppie), mentre la batteria degli ottoni presenta, secondo la prassi tedesca postwagneriana, un basso tuba a irrobustire il registro grave, ruolo che nelle opere italiane
fin de siècle era di norma svolto da un trombone contrabbasso. Piuttosto corposa è la
sezione delle percussioni, impiegata primariamente in funzione coloristica – esemplare
a tal proposito è l’uso del «soffione», «un istrumento che deve dare dei gran soffi come una locomotiva quando sbuffa e di tal forza di superare tutta l’orchestra», sfruttato dal compositore per riprodurre nella maniera quanto più icastica possibile gli ostinati ‘sbuffi’ d’ira con cui Fabrizio reagisce indignato agli sguaiati schiamazzi del
campiello, oppure il frequente ricorso alla sonorità cristallina del triangolo per esagerare il contegno spudoratamente lezioso di Gasparina. Notevole, inoltre, la cura nel definire caratteri e situazioni per via timbrica tramite l’utilizzo di strumenti inconsueti col-
106
APPENDICE
– L’ORCHESTRA
locati dietro le quinte: una celesta a lasciar trasparire il tono malizioso con cui Gnese
invita il «marzer» a salire in casa sua, o un pianoforte rinvigorito da ben tre canne d’organo in cluster (o in alternativa da un rullo di timpani e di grancassa in scena) per descrivere il progressivo montare dell’ennesima baruffa tra gli abitanti della piazzetta –
ma l’ostinato pedale grave sopra le note di Do-Do -Re altro non è se non una citazione diretta della celebre scena iniziale nell’Otello verdiano.
Trasparente e sovente indirizzata verso sonorità dal sapore cameristico – si veda in
particolare il duetto tra Gasparina e Astolfi che conclude l’atto primo, interamente svolto come dialogo garbato tra la compagine degli archi e quella dei legni –, l’orchestra
del Campiello mantiene la leggerezza mozartiana così tipica del suo autore, a ribadire
un’estetica volta a rispettare l’assoluta intelligibilità delle parole ed evidenziare con interventi strumentali alquanto discreti e mai fragorosi ogni minima sfumatura del testo.
Lo spessore orchestrale generale si mantiene così confinato a proporzioni assai modeste (con gli archi a condurre in prevalenza il discorso) e il misurato ricorso al tutti è dettato da esigenze squisitamente drammatiche, come nel caso dell’esuberante rituale collettivo posto alla fine dell’atto secondo o del violento litigio generale dalle tinte quasi
espressioniste che occupa la parte centrale del terzo.
Più spesso è l’impiego di sonorità pure o di inconsueti impasti timbrici a rivelare una
tecnica fattasi ormai raffinatissima e attenta a connotare con immediatezza gesti e atteggiamenti dei personaggi. Se il timbro dell’oboe è costantemente abbinato all’indole
altezzosa di Gasparina, la sonorità diafana del flauto interviene ad amplificare la spontaneità del rapporto tra Gnese e Zorzeto. Agli ottoni, d’altra parte, Wolf-Ferrari ricorre sia per mostrare con bonaria ironia il carattere burbero di Fabrizio – si osservi l’originale amalgama di corni, tromboni e basso tuba sul quale si presenta in scena
l’attempato ‘letterato’ napoletano –, che per amplificare il temperamento focoso di Anzoleto. Da segnalare, infine, tra gli effetti caricaturali più suggestivi lo sgraziato duetto
tra clarinetto e basso tuba – chiamati a imitare, rispettivamente, «un cattivissimo clarinettista» e «un cattivissimo bombardone» – eseguito dalla coppia di orbi durante la
danza scatenata in chiusura dell’atto secondo e gli stridenti accordi degli archi da prodursi col legno o dietro il ponticello, accoppiati agli indiavolati glissandi dello xilofono
a rendere ancora più grottesco il feroce scambio di insulti tra Pasqua e Cate poco prima della riconciliazione generale.
Le voci
Nella sua concezione di affresco corale, Il campiello è affollato da una nutrita serie di personaggi, la cui estrema
varietà di caratteri amplia di molto, nella distribuzione
dei ruoli, il consueto triangolo soprano-tenore-baritono.
Se infatti sono ben tre le coppie di innamorati (Gasparina-Astolfi, Luçieta-Anzoleto e Gnese-Zorzeto) – e in
ognuna di esse l’uomo si esprime in un registro vocale differente –, il terzetto di madri viene dato in consegna a un
mezzosoprano (Orsola) e due tenori (Pasqua e Cate) –
l’evidente effetto sarcastico nell’assegnare parti femminili a interpreti maschili era già stato sfruttato, con esiti superbi, anche da Prokof’ev per la spaventosa cuoca Creonta nell’Amore delle tre melarance (1921) –, mentre per
Fabrizio, attempato zio di Gasparina, l’autore si servì ovviamente di un basso. Prerogativa comune richiesta a tutte le parti è un fraseggio duttile e flessibile che si adatti
con naturalezza al libero fluire di arioso e declamato che
innerva la partitura.
Sorretto alla première da un cast di autentiche celebrità che comprendeva Giuseppina (Mafalda) Favero, leggendaria interprete della Manon massenetiana e creatrice
del ruolo di Gasparina, Iris Adami Corradetti (Luçieta) e
Margherita Carosio (Gnese), il trio di giovani donne in
cerca di marito è accomunato dalla comune tipologia vocale – tutte e tre sono soprani lirici –, pur nella diversità
di sfumature espressive dovute alla caratterizzazione dei
rispettivi personaggi. Provocatoria e vanitosa nei suoi
modi affettatamente ‘aristocratici’, Gasparina ha la parte
di minore estensione, bilanciata però dalle notevoli doti
mimetiche richieste nel delineare la caparbia estraneità all’ambiente plebeo del campiello di una donna che soltanto nel congedo finale si apre a squarci di insospettato liri-
108
APPENDICE
–
LE VOCI
smo. D’indole contrapposta sono, invece, le due fidanzate Luçieta e Gnese: alla prima,
sfrontata e gelosa, il musicista affida un idioma musicale che alterna costantemente i
registri più disparati – dal buffo al drammatico, dall’ironico al patetico –, mentre la seconda, gratificata da Wolf-Ferrari con ben due momenti solistici di indubbio fascino
melodico, riprende nel suo garbato intimismo dai contorni sentimentali le prerogative
della Nannetta verdiana.
Analogo bipolarismo stilistico vivifica anche la coppia maschile Anzoleto-Zorzeto,
la cui perfetta sintonia con le relative promesse spose è espressa dall’insanabile contrasto tra il carattere rude e violento del mercivendolo, una voce di basso che non di
rado si accende in subitanei impeti d’ira riflessi da una vocalità irruente di chiara impronta verista, e il temperamento ingenuamente spensierato del figlio della «fritolera»,
un tenore leggero a suo agio nei momenti di intensa espressione del sentimento, come
nell’accorato arioso di sortita, eppure capace di inflessioni più caricate quando messo
alle strette.
Ben piantato nella zona acuta della tessitura è il ruolo baritonale di Astolfi, la cui insistenza nel registro più squillante diventa suggestiva metafora sonora del contegno inguaribilmente affabile che anima il personaggio per tutta l’opera. Singolare antagonista del Cavaliere è Fabrizio, un basso buffo che nel costante tono ‘serioso’, se si eccettua
la brevissima parentesi del duetto con lo spasimante della nipote, rimarca con testardaggine il proprio rifiuto a integrarsi nell’assordante microcosmo che abita la piazzetta. A completare il quadro, infine, è un vivace terzetto di voci ‘femminili’ che si distingue per la spigliata verve comica dell’ensemble – gustosissime sono in particolare la
scena dialogica tra Pasqua e Orsola nell’atto primo e il battibecco in stile ‘imitativo’ che
coinvolge le due comari subito prima dell’intervento risolutivo di Astolfi – pur senza
spiccata individualizzazione delle parti.
Il campiello in breve
a cura di Tarcisio Balbo
A parlare delle opere di Ermanno Wolf-Ferrari tratte o basate su testi di Carlo Goldoni, si rischia
sempre di naufragare tra il luogo comune e la tautologia, come se il solo essere veneziano del compositore (con padre di origini bavaresi, per non parlare della formazione musicale all’Akademie
der Tonkunst di Monaco) non solo giustificasse, ma anche rendesse prevedibile e scontato il ricorso ai testi del grande commediografo settecentesco. La venezianità e l’interesse di Wolf-Ferrari per Goldoni, beninteso, non si discutono, e sono state ampiamente documentate e testimoniate
anche dallo stesso compositore; ma a chi scrive sembra che Venezia e Goldoni possano essere considerate a volte una sorta di alibi per giustificare le levità settecentesche nello stile di Wolf-Ferrari, o per rilevare la volontà del compositore di coltivare quella che genericamente si può chiamare ‘opera comica’ ben addentro il ventesimo secolo.
In realtà, l’interesse di Wolf-Ferrari per il Settecento in generale, e per quello veneziano in particolare, va al di là di un banale neoclassicismo da cartolina: basterebbero a testimoniarlo la sua
rielaborazione dell’Idomeneo di Mozart datata 1931, o l’edizione moderna del Filosofo di campagna di Galuppi che risale al 1907, un anno dopo il lusinghiero successo dei Quatro rusteghi.
Quanto al legame tra Wolf-Ferrari e il teatro comico, che i più fanno risalire alla frequentazione
del compositore con Arrigo Boito e Giulio Ricordi negli ultimi anni dell’Ottocento, pochi hanno
rilevato come l’interesse dei teatri italiani per l’opera comica nei primi decenni del ventesimo secolo si spinga assai più in là dei remake del Falstaff di Verdi (Wolf-Ferrari lo aveva visto al Teatro Dal Verme di Milano nel 1895, ospite nel palco di Boito), e tocchi titoli tra cui vanno citati almeno Il signor di Pourceaugnac di Franchetti (1897), Le maschere di Mascagni (1901), Giove a
Pompei di Giordano e Franchetti (1921), e dulcis in fundo le Tre commedie goldoniane di un altro veneziano come Gian Francesco Malipiero (1926). Lo stesso Wolf-Ferrari, del resto, si è interessato anche a soggetti tratti da Molière (L’amore medico, 1913) o Lope de Vega (La dama boba, ossia sciocca, 1939), lavorando sempre con lo stesso manipolo di librettisti che hanno
riadattato per lui i più fortunati testi di Goldoni: dal bohémien Luigi Sugana, che fornisce al compositore Le donne curiose (1903) e I quatro rusteghi (1906, in tandem con Giuseppe Pizzolato),
a Mario Ghisalberti, che oltre alla Dama boba dà al compositore La vedova scaltra (1931) e Il
campiello (1936), a Enrico Golisciani, il librettista dell’Amore medico (1913), che assieme a Sugana, Pizzolato e Giovacchino Forzano mette mano al testo degli Amanti sposi, derivato dal Ventaglio di Goldoni, lavoro dalla gestazione assai tormentata (il libretto è del 1906; la musica di dieci anni dopo; la prima rappresentazione del 1925).
Wolf-Ferrari compone Il campiello a Roma, in una casa di periferia, si dice su un divano, per
riprendersi da problemi di salute. Durante la stesura e già prima, mentre lavora al libretto, il suo
rapporto con la fonte è più che rispettoso: il compositore mantiene nei fatti la lezione del testo originale con tutti i clichés che lo avvicinavano all’opera comica contemporanea a Goldoni, compresa la contrapposizione linguistica tra i personaggi di basso ceto, che si esprimono in venezia-
110
TARCISIO BALBO
no, e quelli di più alta estrazione (il cavaliere Astolfi, Fabrizio de’ Ritorti) che parlano in italiano.
I ritocchi al testo, del resto, dovevano essere men che marginali sia perché Wolf-Ferrari e lo stesso Ghisalberti (il quale sarebbe tornato a Goldoni nel 1943 con Un curioso accidente per Jacopo
Napoli e nel 1947 con La locandiera per Mario Persico) erano convinti che sarebbe stato deleterio manomettere il congegno linguistico e drammatico di Goldoni, sia perché lo stesso Campiello
originale, in versi e non in prosa, era perfettamente musicabile, come già osservava Goldoni nella prefazione alla princeps della propria commedia (1756):
I versi […] sono dissimili da tutti gli altri che si leggono ne’ miei tomi e che corrono alla giornata. Questi non sono i soliti martelliani, ma versi liberi di sette e di undici piedi, rimati e non rimati a piacere, secondo l’uso dei drammi che si chiamano musicali. Una tal maniera di scrivere pare che non convenga all’uso delle commedie, ma il linguaggio veneziano ha tali grazie in se stesso, che comparisce in qualunque
metro, ed in questo precisamente mi riuscì assai bene.
La stessa scrittura musicale non era poi così ingenua e rétro come potrebbero pensare i malevoli, e impiegava con accorta discrezione la tecnica leitmotivica, occhieggiava alla vecchia opera
‘a numeri’, non disprezzava i ricalchi raffinati (c’è chi ha notato una citazione dalla Šeherazáda di
Rimskij-Korsakov nella rissa dell’atto terzo), e mescolava in un unicum registri musicali eterogenei: dai gesti operettistici ai ‘parlanti’ del melodramma ottocentesco, passando per i brindisi improvvisati della tradizione popolare.
Il campiello, si è detto, va in scena al Teatro alla Scala l’11 febbraio 1936, con un cast in cui
spiccano i nomi di Mafalda Favero, Iris Adami Corradetti (già prima interprete di Sly, e futura
maestra di cantanti quali Katia Ricciarelli o Lucia Valentini Terrani) e Margherita Carosio, dirette da una bacchetta d’importanza come quella di Gino Marinuzzi senior. Quattro anni prima del
Campiello, Arnold Schönberg licenziava i primi due atti del Moses und Aron; quattro anni dopo,
nel 1940, Olivier Messiaen avrebbe completato il suo Quatuor pour la fin du temps nello Stalag
VIII-A di Görlitz. Nello stesso 1936 del Campiello vedono la luce le Variazioni per pianoforte op.
27 di Anton Webern e viene eseguito, postumo, il Concerto per violino di Alban Berg, e nell’anno successivo Lulu; nel 1936 un compositore venezianissimo come Bruno Maderna ha sedici anni, Luigi Nono dodici, Pierre Boulez e Luciano Berio undici, Karlheinz Stockhausen appena otto.
Accanto a tali nomi e titoli, Il campiello rischia di apparire il testimone tardivo di una lunga transizione epocale, oppure, per abusare di un’affermazione di Arnold Schönberg spesso citata a mo’
di battuta, un esempio di quella «musica in Do maggiore» che ancora si poteva scrivere in pieno
Novecento. Il campiello, l’estremo incontro di Wolf-Ferrari con Goldoni (ma non con il teatro
d’opera: Gli dei a Tebe vennero dati a Hannover nel 1943, in piena guerra mondiale), è invece
forse, assieme ai Rusteghi, il tentativo più felice del compositore di trovare un’alternativa sia al
verismo ancora imperante che lo stesso Wolf-Ferrari aveva sperimentato nei propri Gioielli della
Madonna (1911), sia al simbolismo d’antan di Sly, ovvero la leggenda del dormiente risvegliato
(1927). Il campiello è la realizzazione più evidente del rivolgersi di Wolf-Ferrari al passato per porre una distanza ‘solida’ e plausibile fra sé e quelle che all’epoca qualcuno considerava le ‘derive’
musicali del Novecento, le quali mettevano il compositore all’interno di un’inattualità consapevole sulla quale lo stesso Wolf-Ferrari avrebbe riflettuto in un proprio scritto dal titolo in apparenza paradossale – Considerazioni attuali sulla musica (1943) –, arrivando ad autodefinirsi, in
una lettera all’allievo Adriano Lualdi (anche lui di genitori veneziani), «goldoniano per disperazione».
Argomento - Argument - Synopsis - Handlung
Argomento
ATTO PRIMO
Un campiello con varie case: quella di Gasparina, ragazza pretenziosa e leziosa che vive con lo zio
Fabrizio; quelle delle popolane Cate Panciana e Pasqua Polegana – vecchie vedove che ancora pensano a un nuovo matrimonio – che vivono rispettivamente con le figlie Luçieta e Gnese, belle ragazze
da marito; quella della fritolera Orsola e di suo figlio Zorzeto. Nel fondo, una locanda, dove ha preso alloggio da poco il cavaliere napoletano Astolfi, bon vivant, spendaccione e squattrinato. Desideroso di far conquiste, Astolfi ha adocchiato Gasparina, la quale, lusingata dalle attenzioni di un signore così elegante, mostra di gradire la sua corte; ma il Cavaliere non disdegna di guardare Luçieta
e Gnese; queste, però, non gli danno retta, prese come sono dai loro rispettivi uomini; Luçieta ama
infatti Anzoleto, merciaio ambulante, e Gnese sospira per Zorzeto, figlio di Orsola. Anzoleto è geloso di Zorzeto, Luçieta di Gnese: i quattro giovani passano le giornate a baruffare e a riconciliarsi,
e nelle liti, a volte furibonde, entrano validamente anche Cate, smaniosa e sdentata, Pasqua, sorda
come una campana, ed Orsola. Quest’ultima acconsente al fidanzamento di Zorzeto con Gnese, ma
i due ragazzi dovranno aspettare ancora qualche anno prima di sposarsi. Luçieta ed Anzoleto sono,
invece, prossimi alle nozze: Luçieta rifiuta dunque l’anello che il Cavaliere le offre, anello che Cate
prende subito. Constatata l’indisponibilità delle due fanciulle, il Cavaliere presta maggiore attenzione a Gasparina, che sembra gradire i suoi sentimenti.
ATTO SECONDO
Fabrizio, zio di Gasparina, smania per il chiasso che riempie continuamente il campiello. Giunge
Astolfi che, accettato l’invito ad essere testimone di nozze di Anzoleto, invita a pranzo alla locanda tutta la brigata: Gasparina rifiuta di unirsi alla gente del popolo e si ritira con lo zio nella sua
casa. Dopo il pranzo, il Cavaliere ha un colloquio con Fabrizio, al quale chiede in sposa Gasparina: Fabrizio sa bene che il galante, napoletano come lui, è uno spiantato; ma è tanto il suo desiderio di disfarsi della nipote, che mostra di vedere di buon occhio quel matrimonio. Intanto tutta
la brigata esce dalla locanda: dopo i brindisi, il vino riscalda gli animi di tutti e si passa rapidamente a una lite furibonda. Astolfi intrattiene di nuovo Gasparina, alla quale lo zio ha parlato del
progetto matrimoniale; la ragazza guarda speranzosa il suo pretendente. La brigata esce dalla locanda, nuovamente di buon umore, e si mette a ballare.
ATTO TERZO
Fabrizio sta traslocando, poiché non resiste più alla vita chiassosa del campiello. Astolfi si presenta
a Fabrizio, che lo invita in casa. Anzoleto, intanto, si adombra perché Luçieta si è recata in casa
112
ARGOMENTO - ARGUMENT - SYNOPSIS - HANDLUNG
di Orsola e di Zorzeto: quando la ragazza esce il giovane le dà uno schiaffo; e solo dopo lunghe
discussioni, alle quali partecipa la madre di Luçieta, i due giovani si riconciliano. Ma basta una
innocente parola per far di nuovo divampare la gelosia di Anzoleto, il quale insulta Zorzeto: questi risponde a suon di sassate; entrano di mezzo bastoni, padelle, spiedi, vasi da fiori, e in breve la
piazzetta si trasforma in un campo di battaglia. L’intervento del Cavaliere serve a ristabilire la calma: Astolfi invita tutti a cena alla locanda, le riconciliazioni avvengono con la massima facilità e
uomini e donne si baciano, dimentichi di tutto. Il Cavaliere annuncia che finita la cena sposerà
Gasparina e l’indomani lascerà Venezia con lei; fiera e intenerita, la ragazza rivolge un saluto commosso e affettuoso alla sua cara città e al campiello cui, malgrado, tutto, si era tanto affezionata.
Argument
PREMIER ACTE
Un campiello (petite place) entouré de maisons: celle de Gasparina, une jeune fille affectée et prétentieuse, qui vit avec son oncle Fabrizio; celles de Cate Panciana et de Pasqua Polegana, deux
vieilles veuves qui aimeraient bien se marier à nouveau, et qui vivent avec leurs filles respectives,
Luçieta et Gnese, deux belles filles en âge de se marier; et celle de la friturière Orsola et de son fils
Zorzeto. Au fond, une auberge où est logé depuis peu le chevalier napolitain Astolfi, bon vivant,
dépensier et désargenté. En quête de conquêtes, Astolfi a jeté son regard sur Gasparina – qui, flattée des attentions d’un seigneur si galant, montre d’apprécier sa cour –, mais il n’en dédaigne pas
moins Luçieta et Gnese; cependant, celles-ci ne se font pas avoir, car elles n’ont d’yeux que pour
leurs amoureux respectifs: Luçieta est éprise du mercier ambulant Anzoleto et Gnese soupire pour
Zorzeto, le fils d’Orsola. Les quatre jeunes gens passent leurs journées à se chamailler et à se réconcilier; dans leurs querelles parfois furieuses interviennent haut et fort même Cate l’édentée, Pasqua la sourde et Orsola, qui finalement donne son consentement au mariage de Zorzeto et Gnese,
à condition que les deux jeunes gens attendent deux ans avant de se marier. Luçieta et Anzoleto
sont par contre à la veille de leurs noces; Luçieta refuse donc évidemment la bague que le chevalier lui offre, et dont Cate s’empare aussitôt. Ayant compris que les deux jeunes filles ne sont pas
disponibles, le chevalier tourne ses attentions à Gasparina, qui semble les apprécier.
DEUXIÈME ACTE
Fabrizio, l’oncle de Gasparina, s’énerve du bruit incessant qui monte du campiello à tout moment.
Astolfi accepte d’être le témoin de mariage d’Anzoleto et invite toute la compagnie à déjeuner avec
lui à l’auberge; Gasparina refuse de se mêler aux gens du peuple et rentre à la maison avec son oncle. Après le repas, le chevalier se rend chez eux et demande la main de Gasparina; Fabrizio sait
bien que son galant compatriote a les poches vides, mais il a tellement hâte de se décharger de sa
nièce qu’il se montre favorable au mariage. Pendant ce temps, la compagnie sort de l’auberge;
après quelques toasts, le vin réchauffe les esprits de tous et une furieuse querelle éclate. Le chevalier s’entretient à nouveau avec Gasparina, qui le regarde pleine d’espoir, ayant été mise au courant par son oncle des projets de son prétendant. La compagnie, qui a retrouvé son bon humeur,
se met à danser.
TROISIÈME ACTE
Fabrizio est en train de déménager, car il ne supporte plus la vie bruyante du campiello. Astolfi
vient lui rendre visite. Entre-temps Anzoleto se fâche parce que Luçieta est entrée dans la maison
ARGOMENTO - ARGUMENT - SYNOPSIS - HANDLUNG
113
Franco Laurenti, bozzetto per Il campiello al Teatro La Fenice di Venezia, 1969 (scena unica).
de Zorzeto et Orsola; lorsqu’elle en sort, il lui donne une gifle. Les fiancés font la paix après une
longue querelle dont la mère de Luçieta se mêle, elle aussi. Mais un mot innocent suffit à faire éclater à nouveau la jalousie d’Anzoleto, qui insulte Zorzeto; pour toute réponse, celui-ci lui lance des
pierres; l’on brandisse des gourdins, des poêles, des broches; les vases à fleurs volent en éclats et
la petite place se transforme en champ de bataille. Finalement, l’intervention du chevalier rétablit
la paix: lorsqu’Astolfi invite tout le monde à dîner à l’auberge, hommes et femmes se réconcilient
et s’embrassent aussitôt, comme si de rien n’était. Le chevalier annonce qu’après le dîner il va
épouser Gasparina et que le lendemain il partira avec elle pour Naples. La jeune fille, heureuse et
émue, salue sa Venise chérie et le campiello, où après tout elle se trouvait bien, avec des mots pleins
de tendresse et d’affection.
Synopsis
ACT ONE
A small public square with various houses: Gasparina’s, a pretentious, affected young girl who
lives with her Uncle Fabrizio; one belonging to the lower-class Cate Panciana and Pasqua Polegana – elderly widows who are still thinking about remarrying – and who live respectively with
their daughters Luçieta and Gnese, still unmarried; and Orsola’s house, a fritter seller who lives
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ARGOMENTO - ARGUMENT - SYNOPSIS - HANDLUNG
with her son Zorzeto. In the background is an inn, where the Neapolitan gentleman Astolfi has
just arrived; he is a bon vivant, a spendthrift and penniless. Eager to make a conquest, Astolfi already has his eye on Gasparina who is flattered to have caught the attention of such an elegant
man, and shows herself willing. However, Astolfi’s eye also strays to Luçieta and Gnese but they
ignore him since they have enough on their plates with their respective men: Luçieta is in love with
Anzoleto, an itinerant salesman while Gnese is yearning for Zorzeto, Orsola’s son. Anzoleto is
jealous of Zorzeto while Luçieta is jealous of Gnese: The four young people spend their days quarrelling and then making up, and during their what are at times heated arguments, the others also
take part: Cate, jittery and toothless, Pasqua, stone deaf, and Orsola. The latter agrees to the betrothal between Zorzeto and Gnese but tells them that the couple will have to wait a couple of
years before they can get married. Luçieta and Anzoleto, on the other hand, are nearly there: Luçieta refuses the ring the gentleman is offering her, and Cate takes its straight away. Once he realises that the two young girls are already taken, Astolfi pays greater attention to Gasparina, much
to her delight.
ACT TWO
Gasparina’s uncle Fabrizio, is annoyed about the noise in the square. Astolfi arrives and, having
accepted the invitation to be best man at Anzoleto’s wedding, invites everyone to the inn for lunch.
Gasparina refuses to join the commoners and goes home with her uncle. After lunch, Astolfi talks
to Fabrizio, and asks him for his niece’s hand. Fabrizio is also Neapolitan and knows all too well
that this lady’s man is penniless. But he is so eager to have his niece of his hands that he pretends
to approve of the marriage. In the meanwhile, the whole crowd comes out of the inn: After the
toast, the wine has aroused everyone’s spirits and they are soon arguing furiously. Astolfi stops
Gasparina again; her uncle has already told her about the wedding plans and she looks at her suitor hopefully. The crowd come out of the inn, once again in good spirits and start dancing.
ACT THREE
Fabrizio is moving house because he can’t stand the constant noise in the square. Astolfi stops Fabrizio, and the latter invites him in. In the meanwhile, Anzoleto has taken offence because Luçieta
has gone to Orsola and Zorzeto’s house: When the young girl comes out, he slaps her; and it is
only after a long discussion, with Luçieta’s mother’s intervention, that the young couple make up.
However, all it takes is one innocent word for Anzoleto’s jealousy to explode again, and he insults
Zorzeto. The latter replies by throwing stones; Very soon sticks, saucepans, flower vases and
skewers are being thrown all over the place and the square is turned into a battlefield. Astolfi is
able to restore calm: He invites them all to the inn for dinner and nobody has any difficulty making up; the men and women exchange kisses and all is forgotten. Astolfi announces that he will
be marrying Gasparina after dinner, and will leave Venice with her the following day; proud and
touched, the young girl says farewell to her beloved city and the square she has been so fond of,
despite everything.
Handlung
ERSTER AKT
In den Wohnhäusern an einem kleinen Platz leben verschiedene Personen: die eingebildete, affektierte Gasparina und ihr Onkels Fabrizio; die immer noch auf eine zweite Ehe hoffenden Witwen
Cate Panciana und Pasqua Polegana mit ihren hübschen, mannbaren Töchtern Luçieta und Gne-
ARGOMENTO - ARGUMENT - SYNOPSIS - HANDLUNG
115
se; die Bräterin Orsola und ihr Sohn Zorzeto. In dem unweit gelegenen Wirtshaus logiert seit kurzem Astolfi, ein ebenso freigiebiger wie mittelloser Edel- und Lebemann aus Neapel. Auf der Suche nach charmanten Abenteuern hat er ein Auge auf Gasparina geworfen, die von den
Schmeicheleien des eleganten Herrn ganz betört ist. Der Edelmann versucht allerdings auch Luçieta und Gnese zu bezirzen, die ihm aber keine Beachtung schenken, da sie nur Augen für ihre
Verlobten haben: Luçieta liebt den Hausierer Anzoleto, während Gnese in Orsolas Sohn Zorzeto
verliebt ist. Anzoleto ist eifersüchtig auf Zorzeto, Luçieta auf Gnese: Die vier jungen Leute verbringen ihre Tage daher im ständigen Streit mit anschließender Versöhnung und ziehen teils auch
die eifernde, zahnlose Cate, die stocktaube Pasqua und Orsola in ihre Händel hinein. Orsola willigt schließlich in Gneses Verlobung mit Zorzeto ein. Mit der Heirat sollen die beiden aber noch
ein paar Jahre warten. Die Hochzeit von Luçieta und Anzoleto hingegen steht unmittelbar bevor:
Daher weist Luçieta den Ring zurück, den ihr der Edelmann schenken möchte, und den Cate sofort an sich nimmt. Von den Zurückweisungen der Mädchen enttäuscht, wendet sich der Edelmann mit verstärktem Eifer Gasparina zu, die seine Gefühle zu erwidern scheint.
ZWEITER AKT
Gasparinas Onkel Fabrizio empört sich über den ständigen Trubel auf dem Platz. Astolfi tritt hinzu. Er erklärt sich bereit, als Trauzeuge auf Anzoletos Hochzeit aufzutreten und lädt die ganze
Bande zum Essen ins Wirtshaus ein: Da sich Gasparina zu fein für die Gesellschaft ist, zieht sie
sich mit ihrem Onkel in ihre Wohnung zurück. Nach dem Essen zieht der Edelmann Fabrizio zur
Seite und hält um die Hand seiner Nichte an: Fabrizio ist sich durchaus bewusst, dass der – genau
wie er selbst aus Neapel stammende – Freier mittellos ist. Da er Gasparina aber so schnell wie
möglich loswerden möchte, nimmt er das Ansinnen wohlwollend auf. Inzwischen strömt die Bande aus dem Wirtshaus: Ein Trinkspruch wird ausgebracht und der Wein steigt allen derart zu Kopfe, dass die anfängliche Heiterkeit bald in einen wüsten Streit umschlägt. Astolfi nähert sich erneut
Gasparina, die von ihrem Onkel bereits von den Heiratsplänen erfahren hat. Mit hoffnungsvollem Blick wendet sie sich an ihren Freier. Längst sind alle wieder guter Dinge und beginnen, vor
dem Wirtshaus zu tanzen.
DRITTER AKT
Fabrizio sucht sich eine neue Bleibe, da er den Lärm auf dem Platz nicht mehr aushält. Astolfi erscheint bei Fabrizio, der ihn zu sich nach Hause einlädt. Unterdessen nimmt Anzoleto verärgert
zur Kenntnis, dass Luçieta Orsola und Zorzeto besucht: Als das Mädchen die Wohnung verlässt,
gibt er ihm eine schallende Ohrfeige. Erst nach einem langen Streit, in den sich auch Luçietas Mutter einschaltet, versöhnen sich die beiden wieder. Doch schon bei der nächsten unschuldigen Bemerkung entbrennt Anzoletos Eifersucht erneut und er beleidigt Zorzeto: Dieser antwortet ihm
mit einem Steinwurf; bald kommen Knüppel, Pfannen, Spieße und Blumentöpfe zum Einsatz, der
Platz verwandelt sich rasch in ein Schlachtfeld. Erst der beherzte Einsatz des Edelmanns sorgt erneut für Ruhe: Astolfi lädt alle ins Wirtshaus ein, wo man sich schnell wieder versöhnt. Männer
und Frauen fallen einander in die Arme und alles wird vergeben und vergessen. Nach dem Essen
verkündet der Edelmann, dass er Gasparina heiraten und Venedig tags darauf mit ihr verlassen
wird. Stolz und bewegt nimmt das Mädchen Abschied von ihrer Heimatstadt und dem Platz, an
dem sie trotz allem hängt.
116
ARGOMENTO - ARGUMENT - SYNOPSIS - HANDLUNG
Franco Laurenti, figurino per Gasparina; Il campiello al Teatro La Fenice di Venezia, 1969.
Bibliografia
a cura di Emanuele Bonomi
Appartenente per motivi genealogici – il padre era un rinomato pittore di origine bavarese, la madre una nobildonna veneziana – e per formazione artistica a due diverse culture, Ermanno WolfFerrari visse con insanabile disagio una condizione di tragico isolamento culturale che lo accomuna ad altri musicisti italiani attivi nella prima metà del Novecento, come Smareglia oppure
Busoni. Dedicatosi esclusivamente alla composizione soltanto dopo un incerto e travagliato apprendistato giovanile, in cui affiancò in modo discontinuo gli studi di musica e pittura, l’autore
trovò in Mozart e Goldoni le muse rassicuranti di una carriera operistica sviluppatasi con esiti
contrastanti tra le sue due ‘patrie’. Se infatti fu in terra tedesca – Monaco di Baviera dapprima,
dove soggiornò a lungo rappresentando con notevole successo i primi lavori, quindi Salisburgo,
città in cui ottenne il prestigioso incarico di professore di composizione al Mozarteum – che il musicista colse i maggiori onori e riconoscimenti artistici, il sentimento di inguaribile nostalgia per la
natia Venezia agì da motivo conduttore nella ricreazione sulla scena di una dimensione spirituale
collocata fuori dal tempo. Aliena da seduzioni moderniste e tenacemente ancorata a un linguaggio terso e accessibile, la parabola creativa di Wolf-Ferrari può così essere letta come malinconica
riflessione sulla funzione etica dell’elemento comico nel teatro, che l’operista tinse di tonalità sempre più crepuscolari dopo la devastante crisi identitaria patita nel periodo della Grande Guerra
tanto da intravedere nella commedia, con amaro disincanto, quell’ideale estetico di armonia universale che la solitudine intellettuale gli aveva precluso.
In sede musicologica le alterne fortune della produzione operistica di Wolf-Ferrari in Germania e in Italia hanno avuto chiari riflessi nella disparità di atteggiamento con cui i rispettivi paesi
si sono dedicati alla figura del musicista. Con la sola eccezione del titolo monografico firmato da
Raffaello De Rensis, amico stretto del compositore e perciò più incline alla narrazione di stampo
aneddotico che all’acribia biografica,1 il quadro bibliografico nostrano dei primi tre decenni del
secolo passato non offre contributi rilevanti, se non sparute recensioni operistiche o cronache teatrali senza spunti di rilievo.2 Oltralpe, invece, l’attenzione verso l’autore veneziano fu ben maggiore, a testimonianza dell’alta considerazione che pubblico e critica nutrivano nei suoi confronti
– dei tredici lavori giunti in scena ben otto furono allestiti nei teatri tedeschi e tra i colleghi che
più ne apprezzarono le doti si distinse Richard Strauss. Accanto a circostanziate disamine edite in
RAFFAELLO DE RENSIS, Ermanno Wolf-Ferrari. La sua vita d’artista, Milano, Treves, 1937.
ETTORE BONTEMPELLI, «Il segreto di Susanna», «Rivista musicale italiana», XVIII, 1911, pp. 839-853; GUIDO
M. GATTI, «Sly» von Wolff [sic] Ferrari, und einige allgemeine Bemerkungen, «Melos», VII, 1928, pp. 537-539;
ALBERTO GASCO, Un veneziano a Roma. Chiacchierando con Ermanno Wolf-Ferrari; «I quattro rusteghi» al Costanzi (1923); «La vedova scaltra» e un musicista più scaltro di lei, in ID., Da Cimarosa a Strawinsky, Roma, De
Santis, 1939, pp. 385-405; GIANANDREA GAVAZZENI, Lettera da Milano. «La dama Boba» di Wolf-Ferrari alla Scala, «La rassegna musicale», XII, 1939, pp. 78-81.
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EMANUELE BONOMI
occasione delle prime assolute,3 due volumi biografici stampati a cavallo tra anni trenta e quaranta tentarono di definire, ancorché con toni agiografici se non addirittura panegirici, la vicenda
esistenziale del compositore – il titolo di Alexandra Carola Grisson si segnala, però, per l’interessante appendice, che contiene una nutrita serie di aforismi di Wolf-Ferrari e un’estesa «lettera
aperta» dell’autore a proposito della personalità artistica di Wagner.4
Con la scomparsa del maestro veneziano nel 1948 l’interesse della ricerca musicologica ebbe
un ultimo, seppur tardivo sussulto, che si tradusse in una discreta messe di contributi commemorativi5 – nel novero citiamo in particolare il commosso ritratto tracciato dall’amato allievo Adriano Lualdi6 – corredati da un sostanzioso corpus di esecuzioni pubbliche e trasmissioni radiofoniche. Qualche anno prima (in piena guerra mondiale) il mercato editoriale italiano si era appena
arricchito di una raccolta di scritti di Wolf-Ferrari, sintesi estetico-didattica della poetica musicale dell’autore provvista di un’enfatica presentazione redatta dal venerato Giovanni Gentile e di
una densa introduzione biografica firmata dal ‘fenomenologo’ della razza Giulio Cogni,7 ma fu
ancora una volta la critica tedesca, nell’immediato dopoguerra, a produrre con la tesi dottorale
di Wilhelm Pfannkuch, caposaldo imprescindibile per una seria indagine dello stile operistico del
compositore,8 il contributo più significativo.
L’oblio quasi totale in cui caddero i lavori di Wolf-Ferrari a partire dalla seconda metà degli
anni sessanta – soltanto sulle scene del principale teatro d’opera veneziano, che già aveva curiosamente decretato l’insuccesso della Cenerentola (1900), esordio drammatico del musicista, le più
fortunate commedie goldoniane (I quatro rusteghi e Il campiello) continuarono a essere riprese
con una certa regolarità – si accompagnò in sede critica a una spessa cortina di disinteresse che
calò inesorabile sulle fortune del compositore. Nulla di rilevante venne dato alle stampe nei tre decenni successivi alla morte del maestro9 e fu soltanto negli anni ottanta (di nuovo grazie alla mu3 WILHELM MAUKE, «Le donne curiose», «Rivista musicale italiana», XI, 1903, pp. 366-370; ID., «I quattro
rusteghi», ivi, XIII, 1906, pp. 315-320; ID., Ermanno Wolf-Ferrari, «Die Musik», VIII/29-1, 1908-1909, pp. 142151; EDGAR ISTEL, «Die vier Grobianer». Dreiaktige Oper von Ermanno Wolf-Ferrari, «Neue Zeitschrift für Musik», LXXIII/102, 1906, pp. 292-293; LEOPOLD SCHMIDT, «Die neugierigen Frauen»; «Die vier Grobiane», in ID.,
Aus dem Musikleben der Gegenwart. Beiträge zur zeitgenössischen Kunstkritik, Berlin, Hofmann, 1909, pp. 140146; JULIUS KORNGOLD, Ermanno Wolf-Ferrari, in ID., Die romanische Oper der Gegenwart, Wien-Leipzig-München, Rikola, 1922, pp. 40-55; WILHELM ZENTNER, Zum Opernschaffen Ermanno Wolf-Ferraris, «Neue Zeitschrift für Musik», CVIII, 1941, pp. 292-293.
4 ALEXANDRA CAROLA GRISSON, Ermanno Wolf-Ferrari. Autorisierte Lebensbeschreibung. Mit einem Anhang
Betrachtungen und Aphorismen von Ermanno Wolf Ferrari, Regensburg, Bosse, 1941 («Von deutscher Musik»,
65-66); rist. ampl. Zurich-Leipzig-Wien, Amalthea, 1958. Cinque anni prima, per festeggiare il sessantesimo compleanno del compositore, era stata invece data alle stampe la biografia di ERNST LEOPOLD STAHL, Ermanno WolfFerrari, Salzburg, Kiesel, 1936.
5 LUIGI COLACICCHI, Ermanno Wolf-Ferrari (1876-1948), «Rassegna musicale», XVIII/1, 1948, pp. 479-480;
RAFFAELLO DE RENSIS, In memoria di Ermanno Wolf-Ferrari, Siena, Ticci, 1948 («Quaderni dell’Accademia chigiana» , 17); JAMES RINGO, Ermanno Wolf-Ferrari. An Appreciation of His Works, «Rivista musicale italiana»,
LI/3, 1949, pp. 224-247.
6 ADRIANO LUALDI, Saluto a Ermanno Wolf-Ferrari. Il mio maestro, in ID., Tutti vivi, Milano, Dall’Oglio,
1955, pp. 253-278, 377-426.
7 ERMANNO WOLF-FERRARI, Considerazioni attuali sulla musica, Siena, Ticci, 1943 («Problemi di estetica», 4).
In calce al volume (pp. 151-161) è offerta la traduzione italiana della succitata «lettera aperta» riguardante Wagner.
8 WILHELM PFANNKUCH, Das Opernschaffen Ermanno Wolf-Ferraris, tesi dottorale, Christian-Albrechts-Universität zu Kiel, 1952.
9 Tra i pochi titoli degni di nota citiamo: HENRI REBOIS, Des «rustres» de Goldoni aux «quatre rustres» de
Wolf-Ferrari, Nice, Gimello, 1960; MARIO MORINI, Da «Falstaff» a «Gianni Schicchi», «L’opera», IV/10, 1968,
pp. 53-57; GIORGIO VIGOLO, Pudori perduti. Gusto e grazia di Wolf-Ferrari, in ID., Mille e una sera all’opera e al
BIBLIOGRAFIA
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Wolf-Ferrari e la seconda moglie, Wilhelmine, davanti a Ca’ Rezzonico, nel penultimo anno di vita del compositore.
sicologia tedesca) che la stella dell’autore veneziano ricominciò lentamente a brillare. Dopo una
brillante tesi dottorale eloquentemente rivolta alla copiosa produzione strumentale giovanile di
Wolf-Ferrari10 – sintomo inequivocabile della meritoria comprensione della complessa eterogeneità del catalogo dell’autore –, Peter Hamann curò una curiosa monografia dal carattere proconcerto, Firenze, Sansoni, 1971, pp. 225-227, 397-399; MARIO NORDIO, L’incontro con Goldoni di Ermanno
Wolf-Ferrari, «Ateneo Veneto», XIV/14, 1976, pp. 33-44.
10 PETER HAMANN, Die frühe Kammermusik Ermanno Wolf-Ferraris, tesi dottorale, Friedrich-Alexander-Universität Erlangen-Nürnberg, 1975.
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EMANUELE BONOMI
grammaticamente disorganico,11 cui si affiancarono la preziosa raccolta epistolare curata da Mark
Lothar12 e il notevole studio di Thomas Seedorf, che indagando la ricezione mozartiana nel variegato contesto nel Novecento storico offre un’analisi assai persuasiva delle peculiarità stilistiche
delle opere del compositore.13
In ambito nostrano il ‘caso’ Wolf-Ferrari non è stato a tutt’oggi affrontato in maniera sistematica. Nonostante le sporadiche riprese moderne nei teatri di singole opere – I quatro rusteghi a
Parma nel 1996, poi a Venezia nel 2006, Sly a Torino nel 2000, La vedova scaltra ancora a Venezia nel 2007 –,14 la ricerca non ha ancora prodotto alcun serio volume monografico, occupandosi del musicista da prospettive generali, utili ad ogni modo a delineare il contesto storico-artistico dal quale germinarono le più vitali ‘trasposizioni’ goldoniane del musicista.15 Virgilio
Bernardoni e Johannes Streicher, in particolare, si sono più volte soffermati sul repertorio comico
fin de siècle, esplorando con dovizia analitica le principali figure stilistiche e linguistiche della commedia dell’arte, quali la maschera, per ricostruire un fenomeno operistico di ampia portata che dal
Falstaff verdiano giunge fino alla metà del secolo scorso.16 Anche la produzione verista dell’auto-
11 Ermanno Wolf-Ferrari, a cura di Peter Hamann et alii, Tutzing, Schneider, 1986 («Komponisten in
Bayern», 8). Degli otto saggi contenuti nella miscellanea segnaliamo in particolare: HERBERT ROSENDORFER, Skizze zur Biographie Ermanno Wolf-Ferraris, pp. 13-39; PETER HAMANN, Betrachtungen zur Instrumentalmusik
Wolf-Ferraris, pp. 85-105; ROBERT MAXYM, Gedanken zu Wolf-Ferraris Opern. Aus der Praxis eines Dirigenten,
pp. 107-114; e ANTON WÜRZ, Ermanno Wolf-Ferrari als Opernmeister, pp. 115-149.
12 ERMANNO WOLF-FERRARI, Briefe aus einem halben Jahrhundert, a cura di Mark Lothar, München-Wien,
Langen Müller, 1982. Stralci isolati dell’epistolario del compositore erano già stati pubblicati in altre sedi: ERMANNO WOLF-FERRARI, Offener Brief an die Redaktion der «Musik», «Die Musik», VIII/29-1, 1908-1909, pp. 152156; LINI HÜBSCH-PFLEGER, Unveröffentlichte Briefe Ermanno Wolf-Ferraris, «Zeitschrift für Musik», CXII, 1951,
pp. 24-27; ERMANNO WOLF-FERRARI, Fünf Briefe aus den Jahren 1901 und 1902 an Karl Straube, «Musica»,
XXIII/4, 1969, pp. 338-342. In gran parte inedito è, al contrario, il lascito documentario di Willi Schramm (26 lettere e cartoline) conservato presso la Musikabteilung der Lippischen Landesbibliothek a Detmold, mentre una piccola selezione di un carteggio custodito nell’Archivio storico del Teatro La Fenice di Venezia è stata di recente divulgata da FRANCO ROSSI, Gli anni difficili di un «rustego», in Ermanno Wolf-Ferrari, «I quatro rusteghi», «La
Fenice prima dell’Opera», 2005-2006, 3, pp. 135-140.
13 THOMAS SEEDORF, Ein «Mozart redivivus» – Ermanno Wolf-Ferrari, in ID., Studien zur kompositorischen
Mozart-Rezeption im frühen 20. Jahrhundert, Laaber, Laaber, 1990 («Publikationen der Hochschule für Musik
und Theater Hannover», 2), pp. 37-74.
14 Per ricchezza e quantità di spunti segnaliamo innanzitutto il programma di sala torinese e i numeri della serie «La Fenice prima dell’Opera»: Ermanno Wolf-Ferrari, «Sly, ovvero La leggenda del dormiente risvegliato», Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera 2000-2001 («I libretti», 22), contenente ADRIANA GUARNIERI CORAZZOL, «Invece di lottare, io faccio il morto», pp. 8-24 e JOHANNES STREICHER, Musica popolare o plagio? Una polemica su
«Sly», pp. 39-48; Ermanno Wolf-Ferrari, «I quatro rusteghi» cit., contenente VIRGILIO BERNARDONI, «I quatro rusteghi» e il comico nell’opera italiana d’inizio Novecento, pp. 11-22 e GIOVANNI GUANTI, Un «bocon de gringola»
per muger furbete e veci satrapi, pp. 23-44; e Ermanno Wolf-Ferrari, «La vedova scaltra», «La Fenice prima dell’Opera», 2007, 2, contenente VIRGILIO BERNARDONI, «Mogli e… dai paesi tuoi». Wolf-Ferrari, Goldoni e il nazionalismo italiano stile anni trenta, pp. 13-24 e GIOVANNI GUANTI, Donna di garbo sa soddisfar tutti, pp. 25-34.
15 Per un profilo generale sul compositore veneziano è tuttora utile consultare ROBERTO ZANETTI, Ermanno
Wolf-Ferrari, in ID., La musica italiana nel Novecento, 3 voll., Busto Arsizio, Bramante, 1985, I, pp. 94-98 (V. La
musica italiana da Sant’Ambrogio a noi).
16 VIRGILIO BERNARDONI, La maschera e la favola nell’opera italiana del primo Novecento, Venezia, Fondazione Levi, 1986; JOHANNES STREICHER, «Falstaff» und die Folgen. L’Arlecchino moltiplicato. Zur Suche nach der
lustige Person in der Italienische Oper seit der Jahrhundertwende, in Die lustige Person auf der Bühne. Gesammelte Vorträge der Salzburger Symposions 1993, a cura di Peter Csobádi et alii, 2 voll., Salzburg, Müller-Speiser,
1994, I, pp. 273-288 («Wort und Musik», 23); ID., Goldoni dopo Goldoni. Usiglio, Wolf-Ferrari e «Le donne cu-
BIBLIOGRAFIA
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La tomba di Wolf-Ferrari e della seconda moglie Wilhelmine al cimitero nell’isola di San Michele in Venezia.
08 Biblio_cmp_v 24/02/14 14:19 Pagina 122
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EMANUELE BONOMI
re è stata di recente lambita da isolati contributi,17 mentre il nuovissimo saggio dal taglio divulgativo pencolante verso l’agiografia firmato da Alberto Cantù e corredato di un CD con la registrazione dal vivo del Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 26 ha il dichiarato obiettivo di «riaccendere i riflettori» su un compositore delizioso e raffinato, ingiustamente ignorato da
troppo tempo.18 Tra i pochi contributi di una certa ampiezza sul Campiello si segnalano l’articolo divulgativo di Gabriele Bianchi e il saggio di Walter Zidaric.19
riose», in Musica e poesia. Celebrazioni in onore di Carlo Goldoni (1707-1793). Atti dell’incontro di studio (Narni, 11-12 dicembre 1993), a cura di Galliano Ciliberti e Biancamaria Brumana, Perugia, Cattedra di Storia della
Musica-Centro di Studi Musicali in Umbria, 1994, pp. 99-111 («Quaderni di Esercizi. Musica e Spettacolo», 5);
ID., Appunti sull’opera buffa tra «Falstaff» (1893) e «Gianni Schicchi» (1918), in Tendenze della musica teatrale
italiana all’inizio del Novecento. Atti del IV convegno internazionale «Ruggero Leoncavallo nel suo tempo», a cura di Lorenza Guiot e Jürgen Maehder, Milano, Sonzogno, 2005, pp. 69-100.
17 MATTEO SANSONE, La malavita nell’opera. «A basso porto», «I gioielli della Madonna», in Francesco Cilea e il suo tempo. Atti del convegno internazionale di studi (Palmi-Reggio Calabria, 20-22 ottobre 2000), a cura
di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Edizioni del Conservatorio di musica «F. Cilea», 2002, pp. 369-384; PETER
G. DAVIS, Reawakened sleeper. Wolf-Ferrari’s «Sly», «Opera News», LXVI/10, 2002, pp. 30-34.
18 ALBERTO CANTÙ, Ermanno Wolf-Ferrari. La musica, la grazia, il silenzio, pref. di Alberto Batisti, S. Pietro
in Cariano, Gabrielli, 2011.
19 GABRIELE BIANCHI, Wolf-Ferrari e «Il campiello», «La Zagaglia», a. XIII, n. 50, giugno 1971, pp. 171-185;
WALTER ZIDARIC, Ermanno Wolf-Ferrari e il comico goldoniano sulla scena operistica italiana degli anni Trenta:
«La vedova scaltra» (1931) e «Il campiello» (1936), in Dalla tragedia al giallo. Comico fuori posto e comico volontario, a cura di Costantino Maeder, Gian Paolo Giudicetti e Amandine Mélan, Bruxelles-Bern-Berlin-Frankfurt
am Main-New York-Oxford-Wien, Peter Lang, 2012, pp. 299-318.
Dall’archivio storico del Teatro La Fenice
a cura di Franco Rossi
Wolf-Ferrari: una «calligrafia, manierata e superficiale
come una cipria»
Con il 1936 il Teatro La Fenice termina il proprio periodo ‘privato’, lungo ben centoquarantaquattro anni: soddisfazioni immense, straordinarie prime assolute, successo di pubblico e di critica coincisero con questa avventurosa storia trascorsa nel segno non solo di Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi, ma anche di tanti altri grandi compositori che dettero lustro al massimo teatro
cittadino con storiche prime rappresentazioni italiane (è il caso di Richard Wagner), o con innumerevoli appassionanti prime di opere oggi meno conosciute ma allora sugli scudi tanto e talvolta più dei pur straordinari nomi già citati. Ma non sono certo solo i compositori ad aver fatto
grande la storia della Fenice: i cantanti più importanti e celebri hanno impreziosito con la loro
presenza questi spettacoli contribuendo a sancirne successi e trionfi. E molte sono anche le persone di spicco a vario titolo legate alla Fenice, e delle quali ancor oggi in archivio storico sono conservati scritti, appunti, memorie. Da Metternich all’imperatore Francesco Giuseppe e alla sua sposa (oggi tanto celebre nelle fattezze mirabili di Romy Schneider), da Napoleone – per il quale
venne realizzato il palco reale (vera e propria violenza in un tessuto architettonico rigorosamente
repubblicano) e che pure forse non frequentò il teatro – a Giuseppe Garibaldi è tutto un succedersi delle più note e importanti celebrità dell’intero Ottocento. Ma naturalmente non è tutto oro:
anche nelle storie più brillanti restano momenti difficili, momenti di preoccupazione e di tristezza. E dopo anni ed anni di gestioni tirate, dopo periodi di faticosa sopravvivenza sotto la guida di
presidenti in difficoltà, dopo un sensibile decrescere dell’interesse – e della presenza in seno ai consigli di amministrazione – da parte della nobiltà veneziana, ecco avanzare la sensazione che la storia della responsabilità privata possa essere giunta al termine. L’idea della cessione dell’edificio al
Comune di Venezia si impone a partire dal 1936, segnando il centenario dell’incendio con una trasformazione statutaria che sarebbe potuta risultare altrettanto devastante. Eppure, dopo un paio
d’anni di restauri di ogni genere, la struttura teatrale riprende vigore e proprio come la mitica fenice, che risorge dalle proprie ceneri, eccola ancora una volta riprendere il volo per intraprendere
– pur in anni di rara difficoltà – una nuova e brillante vita artistica.
Presidente del nuovo Ente Autonomo è ovviamente il sindaco della Venezia di allora, Giovanni Marcello, alla testa di un consiglio di amministrazione formato dai consiglieri Marco Barnabò,
Carlo Brandolini d’Adda, Mario De Sarlo, Andrea di Valmarana, Francesco di Villabruna con l’innesto di Gian Francesco Malipiero, che garantisce un contributo artistico di rilievo fungendo da
‘spalla’ del sovrintendente, il giovane Goffredo Petrassi. Il 21 aprile 1938 quindi il teatro sfavillante viene riaperto con Don Carlo, che proprio a Venezia aveva conosciuto sessantanove anni
prima uno schietto successo a immediato ridosso della prima parigina.
La stagione lirica di primavera prosegue con I maestri cantori di Norimberga, proposti nella
versione ritmica italiana di Angelo Zanardini, e con Elettra di Richard Strauss, nella traduzione
di Ottone Schanzer. Il direttore dell’opera di apertura e del lavoro wagneriano è Antonio Guar-
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FRANCO ROSSI
– DALL’ARCHIVIO STORICO DEL TEATRO LA FENICE
nieri, quello di Elettra, abbinata al Signor Bruschino, è un ancor giovane Nino Sanzogno, mentre
per i successivi Elisir d’amore di Donizetti e Debora e Jaele di Ildebrando da Parma (così D’Annunzio chiamava Pizzetti…) la bacchetta torna nelle mani sapienti di Guarnieri.1 Il regista Marcello Govoni, vera e propria autorità in materia, si occupa dei primi quattro lavori per cedere poi
la direzione a Mario Frigerio per le ultime due opere, la prima delle quali (L’elisir d’amore) in collaborazione con Francesco Pasinetti.2
È una stagione di tutto rispetto ed evidente risulta il desiderio di mostrare al pubblico veneziano come nulla sia cambiato rispetto ai tempi d’oro: ben sei titoli (con i due atti unici di Elettra
e Il signor Bruschino) e due prime veneziane, Elettra e Debora e Jaele (ripresa peraltro a sedici anni di distanza dalla première scaligera). E anche i nomi degli interpreti sono di ottimo livello, dal
Francesco Merli di Don Carlo (nel ruolo eponimo) al Beckmesser di Mariano Stabile, da Angelica Cravcenco (Clitennestra) al mitico Tito Schipa oramai presenza fissa anche se un poco appannata nella «Furtiva lagrima» dell’Elisir…
La stagione offre poi un fuori programma d’eccezione. Documentato da amplissime testimonianze iconografiche e fotografiche, a cavallo tra la fine di luglio e i primissimi giorni di agosto
nella calda estate veneziana viene allestito nel giardino di Ca’ Rezzonico Il filosofo di campagna
di Baldassare Galuppi, drasticamente ridotto nelle dimensioni ma non nel numero dei personaggi
e con i costumi di Titina Rota. Non è evidentemente il valore del titolo in quanto tale a sancire
l’importanza dell’operazione e neppure la sua novità (l’opera era già ben nota e più volte eseguita, sempre in veste ampiamente ridotta), quanto l’originalità dell’allestimento e la singolare ambientazione logistica, tanto più rimarchevole considerati gli sforzi appena sostenuti per il restauro del teatro, ma allo stesso tempo giustificata dalla calura veneziana anteriore alla realizzazione
dell’impianto di aria condizionata. E per la sesta edizione del Festival internazionale di musica
contemporanea della Biennale l’Orchestra da camera della Fenice diretta da Paul Sacher si esibisce il 6 settembre a Palazzo Giustiniani con l’indimenticabile e indimenticata Ginevra Vivante, nonostante le infami leggi razziali emanate il 3 agosto.
È quindi con i primi giorni di gennaio dell’entrante 1939 che si apre, con qualche ragionevole
ritardo, la Stagione lirica dell’anno XVII dell’era fascista. Sono venticinque recite complessive articolate in nove spettacoli, tre dei quali atti unici e quindi raccolti a formare una sola serata. La quota offerta al repertorio tradizionale è certamente ampia e ben rappresentata: l’apertura della stagione è nel segno di Un ballo in maschera nel quale giganteggia e gigioneggia il poderoso Renato
di Armando Borgioli, vicino alla conclusione della propria carriera e peraltro diretto con equilibrio dalla bacchetta di Vittorio Gui; la stagione prosegue quindi – sempre con la medesima direzione e con la regia dello stesso Govoni – con la Carmen di Gianna Pederzini, ancora nel pieno
della propria carriera. Curioso e stimolante l’insieme offerto dall’accorpamento dei tre atti unici,
dove accanto a Gianni Schicchi nel quale spicca Enzo De Muro Lomanto, non ancora marito di
Toti Dal Monte, compaiono L’ora spagnola di Maurice Ravel, accolta finalmente e con grave ritardo sulle scene veneziane, e, con minor originalità, Gli uccelli di Ottorino Respighi (scomparso
1 Guarnieri accetta l’incarico della Fenice chiedendo non le due sole opere proposte inizialmente, bensì tre lavori per raggiungere le dodici rappresentazioni, che assicurano un reciproco vantaggio economico alle parti; ne dirigerà quattro per un totale di quattordici recite (lettera dell’11 giugno 1938, Archivio storico del Teatro La Fenice, busta 494).
2 Nato nel 1911, Pasinetti è impegnato proprio in questo periodo nell’organizzazione della prima retrospettiva della Mostra del cinema di Venezia, dedicata al cinema francese. Fu il primo italiano a fregiarsi della qualifica
di regista in una locandina della Fenice (per la prima italiana dell’Orfeide di Malipiero nel 1936).
WOLF-FERRARI: UNA
«CALLIGRAFIA, MANIERATA E SUPERFICIALE COME UNA CIPRIA»
Il campiello di Wolf-Ferrari al Teatro La Fenice di Venezia: locandine per le riprese del 1949 e del 1958.
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FRANCO ROSSI
– DALL’ARCHIVIO STORICO DEL TEATRO LA FENICE
Il campiello: gli allestimenti del 1939 (sopra) e del 1946 (sotto) nelle foto di scena dell’Archivio storico del Teatro
La Fenice.
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«CALLIGRAFIA, MANIERATA E SUPERFICIALE COME UNA CIPRIA»
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da quasi tre anni), ripresi a sei anni di distanza dalla prima sanremese. Piatto forte della stagione
è però certamente l’allestimento di Re Hassan di Giorgio Federico Ghedini, prima rappresentazione assoluta del lavoro, con le scenografie e i costumi di Titina Rota e la regia affidata per esplicito suggerimento del compositore a Mario Frigerio. Il peso dell’autore3 si fa sentire anche nella
scelta del direttore d’orchestra Ferdinando Previtali, la cui presenza era stata a sua volta promossa da Vittorio Gui, del quale Previtali aveva sposato la figliuola. Il cast dell’opera comprendeva
una terna composta da Tancredi Pasero (che si alternava tra il Teatro alla Scala, il Metropolitan
di New York e il Colón di Buenos Aires), Giovanni Voyer (Hussein), tenore di origini franco-spagnole celebre come interprete wagneriano, sia pure in lingua italiana, e Cloe Elmo, fresca di debutto sia a Cagliari (Santuzza) che alla Scala (Meg in Falstaff). Il rilievo offerto a questo spettacolo, che rappresenta di fatto la prima ‘prima assoluta’ ospitata dalla nuova amministrazione del
teatro, appare anche dai dettagli dell’archivio, che non a caso conserva la completa rassegna stampa di questo unico titolo, ignorando totalmente gli altri spettacoli. Dopo una breve parentesi riservata a Tosca, affidata per la parte della protagonista a Iva Pacetti e per quella dello spietato
Scarpia a Mariano Stabile, e in attesa della conclusiva Walkyria diretta da Antonio Guarnieri e affidata anch’essa e a buon diritto a Tancredi Pasero e a Giovanni Voyer, ecco apparire finalmente
Il campiello di Ermanno Wolf-Ferrari in prima veneziana dopo la prima assoluta scaligera di tre
anni precedente.
Una delle prime testimonianze dell’archivio riporta la lettera del librettista Ghisalberti che sonda la possibilità di partecipare alla realizzazione dello spettacolo in qualità di regista:
Egregio Maestro, sono informato che avete incluso Il campiello nel cartellone della prossima stagione alla Fenice. Poiché il libretto di quest’opera è mio, confido che chiedendoVi di affidarmene la regia, avrò
miglior fortuna della primavera scorsa. Assicurandovi la mia più entusiastica collaborazione, nel caso la
richiediate, Vi prego gradire i miei migliori saluti.4
L’allestimento del Campiello procede senza particolari intoppi in un teatro dichiaratamente teso al buon successo del lavoro di Ghedini: le garbate lamentele di Spartaco Marchi per mezzo del
fratello e le rivendicazioni salariali di Ferruccio Tagliavini vengono in parte ignorate in parte stoppate con grande fermezza.5
L’allestimento del lavoro goldoniano riscuote un franco successo di pubblico anche se sulla
«Gazzetta di Venezia» compare una critica equilibrata ma ferma della partitura; l’allusione alle
«melopee dolciastre e romanticizzanti», al modo di scrivere nei contenuti «arcaicizzante», e alla
visione già allora considerata vecchia e fuori stile, per sovrappiù confusa in una non certo prege-
3 Pochi mesi prima il compositore chiede a Petrassi un esplicito ed indelicato appoggio alla propria carriera
di insegnante: «Dubitando riuscita posto Venezia pregoti fraternamente telegrafare Lazzari appoggiando mia nomina cattedra composizione Parma. Urge cadendo termine prestissimo. Grazie abbraccioti – Ghedini 15 ottobre
1938» (Archivio storico del Teatro La Fenice, busta 494).
4 La richiesta di Ghisalberti (5 ottobre 1938 XVI) è del tutto comprensibile, ma è comunque destinata ad ottenere ancora una volta un garbato e deciso diniego da parte di Petrassi: «In riscontro alla Vostra del 5 corrente
Vi informo che per l’opera Il campiello sono già da tempo in trattative con altro regista» (10 ottobre 1938). E infatti l’incarico viene affidato a Carlo Piccinato: «Regia per le opere Tosca, Campiello e Walkiria lire 11.000 complessive».
5 Il 14 dicembre 1938 Marchi, cui sono proposti i ruoli di Ramiro nell’Ora spagnola, di Don Alvaro in Re
Hassan e del cavaliere Astolfi nel Campiello, fa scrivere dal fratello perché molto preoccupato dalla insolita mole
di lavoro piovutagli addosso. D’altra parte Tagliavini tenta un piccolo rilancio economico sollecitando mille lire
al posto delle ottocento proposte, ottenendo un cortese e fermo rifiuto.
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FRANCO ROSSI
– DALL’ARCHIVIO STORICO DEL TEATRO LA FENICE
Il campiello: l’allestimento del 1949 nelle foto di scena dell’Archivio storico del Teatro La Fenice.
vole «faciloneria» stroncano l’opera, nonostante l’accoglienza calorosa. L’origine veneziana del
compositore individua, all’inizio dell’articolo, uno dei temi veramente autentici della composizione, quella ‘commozione’ con la quale Wolf-Ferrari stende alcune pagine e che si ritrova negli applausi del pubblico all’autore, «lieto, sorridente e un po’ commosso»:
La rappresentazione del Campiello è trascorsa iersera alla Fenice in un’aura di serena festosità; la bonomia goldoniana e la sussurrante musichetta del maestro Wolf-Ferrari non hanno certo mancato il loro
effetto; e quando non si è riso si è sorriso; lo spettacolo è chiaro e piacevole, perfin troppo chiaro, forse; anche in arte un po’ di mistero aiuta, e non si saprebbe affermare che di misteri nella partitura del
Campiello ve ne siano. Poi alla serata assisteva l’autore: Ermanno Wolf-Ferrari, veneziano di nascita e
di cuore, veneziano, anche, per la predilezione ch’egli porta all’opera ispiratrice del nostro grande poeta comico; e la sua presenza ha dato alle accoglienze del pubblico un tono di calore e di festosità, vorremmo dire di intimità, eccezionale: ovazioni, chiamate al proscenio, grida di amicizia e di ammirazione si succedettero di atto in atto, talora di scena in scena, con una prontezza e una generosità senza pari
nel nostro teatro d’opera così volentieri immusonito […].
Wolf-Ferrari aveva intuito, inizialmente, questa soggettiva posizione dell’arte goldoniana quando si
propose di tradurla nella sua musa […]. Per descrivere un mondo schiettamente popolano egli ha usato
la solita sua calligrafia, manierata e superficiale come una cipria; e per interessare all’intreccio, ha recato in primo piano tutte le trame amorose, ciò che era lecito attendersi, ma le ha sottolineate con melopee dolciastre e romanticizzanti […]. Sul terreno meramente estetico, Il campiello non ci sembra tra le
cose meglio riuscite di Ermanno Wolf-Ferrari; pur nella ben nota maniera, arcaicizzante quanto al contenuto, composita quanto alla scrittura […]. Il campiello indulge soverchiamente alla faciloneria delle
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rievocazioni stilistiche miste di Settecento e di Ottocento con qualche pizzico di reminiscenze personali;
alle trovatine della interpunzione e all’effettismo raggiunto attraverso sdilinquimenti cosiddetti melodici, certuni dei quali l’esecuzione ha convogliato iersera fino al limite della dissoluzione nei pianissimi e
nei larghi […]. Ci parve tuttavia […] ch’egli [Antonio Guarnieri] accentuasse, cosa di cui non v’è proprio bisogno, le mellifluità di uno spartito al quale gioverebbero, anziché l’eccessivo abbandono, vivezza e sostenutezza di ritmi.
Al vivissimo successo della serata s’è accennato cominciando [ventisette chiamate complessive] col
maestro Guarnieri e col regista e Ermanno Wolf-Ferrari, lieto, sorridente e un po’ commosso, proprio
come il suo spartito.6
Grazie alle recite lagunari del Campiello, l’Archivio storico del Teatro La Fenice conserva un
interessante epistolario di Wolf-Ferrari indirizzato allo storico dell’arte Alessandro Vardanega (nato a Possagno nel 1896), ex fucino e docente all’Accademia di Belle Arti, da cui emergono curiosi particolari sulle relazioni del compositore con gli artisti e gli intellettuali veneziani dell’epoca.
Ancor prima di giungere a Venezia Wolf-Ferrari indirizza a Vardanega tre ingressi di favore qualora quest’ultimo intendesse partecipare alla serata in compagnia del maestro Lino Liviabella e
della di lui signora:
Carissimo,
Ecco tre posti per stassera. Sono tre perché non so se venga Lei solo oppure anche il M° Liviabella e Signora. Ad ogni modo ho pensato che venissero anche loro. Domani sera sarò di già a Venezia.7
Lino Liviabella8 fu dal 1931 al 1940 insegnante di composizione al Conservatorio Benedetto Marcello e rappresentava per taluni aspetti un epigono (in verità poco considerato da Massimo Mila)
di Ottorino Respighi, che gli era stato maestro.
Dalla corrispondenza con Vardanega, oltre alla infatuazione di Liviabella nei confronti di
Wolf-Ferrari, che scatena anche una vera e propria gelosia per i fitti rapporti epistolari scambiati
con il compositore a scapito della solita attenzione nei confronti di Vardanega (righe e righe per
giustificare il tutto, anche ricorrendo a citazioni circa esperienze personali con conseguente esplicita manifestazione della propria passione nei confronti di Wagner), emerge la genesi dell’interesse artistico nei confronti del pittore Ettore Tito,9 che però qui appare nelle vesti di melodista:
Il mio primo lavoro, appena mi ci metterò, sarà attorno al tema di Ettore Tito. Non ho ancora riaperto
il rotolo di quella musica, perché voglio aprirlo quando so che posso cominciare a lavorarvi attorno; solo allora vedrò che cosa ne potrò fare: variazioni o fantasia. Questo pezzo, qualunque sia, non starà da
sé, ma sarà il tempo lento di un lavoro di parecchi tempi, come una Suite. Vedremo. Ma bisogna che Ella mi faccia avere il permesso preciso di Tito, perché io poi pubblicherò questa suite (che, a quel punto,
conterrà l’indicazione: Tema di Ettore Tito). Faccio apposta questo lavoro perché egli abbia il piacere di
sentirlo poi, magari alla Radio: e per questo occorre che io possa pubblicarlo ed egli, quindi, sia d’accordo. Su queste cose bisogna essere assai precisi. Vigono, oggi, dei diritti d’autore assai rigorosi.10
Lieto successo del «Campiello» alla Fenice, «Gazzetta di Venezia», 9 febbraio 1939, p. 5.
Lettera datata «1. Feb. 1939 / XVII»; Archivio storico del Teatro La Fenice – anche online: http://www.archiviostoricolafenice.org/ArcFenice/ShowFile.ashx?fileType=Archive&id=37591. Ho pubblicato parte di questa
corrispondenza in Gli anni difficili di un «rustego», in Ermanno Wolf-Ferrari, «I quatro rusteghi», «La Fenice prima dell’Opera», 2005-2006, 3, pp. 135-140.
8 Macerata 1902 – Bologna 1964.
9 Castellammare di Stabia 1859-Venezia 1941. Il pittore sarà oltretutto autore di un importante e celebre ritratto di Wolf-Ferrari (qui a p. 26).
10 Lettera di Wolf-Ferrari ad Alessandro Vardanega del «26.2.39, XVII», redatta nella dimora di Planegg (Archivio storico del Teatro La Fenice – anche online: http://www.archiviostoricolafenice.org/ArcFenice/ShowFile.
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– DALL’ARCHIVIO STORICO DEL TEATRO LA FENICE
Ma la stima e l’affetto per Vardanega vanno ben oltre, spingendo il compositore quasi a pretendere per l’amico una sollecita cerimonia nuziale vista come panacea alla tristezza e allo spleen
più volte manifestato…
Carissimo!
Grazie per tutto. Il suo raffronto tra Campiello e… Walkiria sembra assai più azzardato di quello che è:
non vi può essere contradizione tra due opere d’arte riuscite, come non è contraddittorio dire che Nane,
se è un uomo vivo, sia uomo intiero quanto Checcho, anche se solo individuo e, dunque, differente dall’altro. E poi il tragico non è superiore al comico già di per sé. La gioia non è meno rispettabile del dolore, purché ci sia veramente. Non solo l’aver messo in rapporto Liviabella e me è un suo capolavoro,
ma altrettanto l’aver fatto avvicinare Tito e me. I grandi artisti sono rari: quindi ho avuto poche occasioni di avvicinarne, ed è un vero contento il poterlo fare, finalmente; tanto più perché così raro. «Memento mori» significa per me un eccitamento alla vita, tanto più preziosa perché passeggera. Proprio perché nulla ritorna, ogni istante vivo è un valore infinito.
Ella mi impone di dirLe che cosa deve fare per vincere quel torpore, quella solitudine che dice di non
saper più sopportare. Non mi bastoni se Le rispondo: s’innamori e prenda moglie. Creda che è una buona medicina. Non si può vivere, come vuol far Lei, sempre nella stratosfera. Chi vi resiste? Persino un
prete che faccia veramente sul serio è talmente cinto di doveri realistici, tangibili direi, di cose che lo legano a questa terra (magari nel confessionale, o dando gli oli santi), che non soffre (come lei) il pericolo di rimanere assiderato nei paraggi cirrosi della pura, continuata, astratta contemplazione. C’è il pericolo di annaspare nel vuoto come chi, improvvisando al pianoforte, a furia di salire e salire negli acuti
si trovasse, alla fine, a suonare dei tasti inesistenti per le dita. Dico per le dita: perché i sensi ci sono e ci
vogliono. Anche la musica, chi la fa, è costretto a fissarla nota per nota per ridarla secondo istrumenti
fisici, affinché orecchie fisiche la accolgano e la rimandino allo spirito da cui è venuta. L’ideale e il reale
sono necessari l’uno all’altro: senza di ciò l’ideale rimane vuoto, così come, viceversa, il reale senza l’ideale rimane cosa morta.
Creda, la donna c’è per qualche cosa, tanto è vero che da essa noi nasciamo e che il suo grembo è né
più né meno che il negativo della tomba, ossia il suo contrario. Anche ammesso che essa ci porti molte
angustie e pensieri, alle volte, essa è una buona zavorra per i nostri voli: il pallone frenato ci vuole, non
quello che su su si va sperdendo nei cieli senza più modo di tornar giù, a meno di rovinarsi e rovinar coloro cui cade in testa. Moglie e bambini danno tali doveri vicini, tangibili, che uno ha sempre da fare e
non c’è pericolo che diventi nevrastenico per troppa libertà. La sua vita è contro natura: immagini quindi se le possa far bene a lungo andare! Vede che rimedio mi costringe a raccomandarle? Sono curioso
che ne dice […].11
Evidentemente le idee ampiamente manifestate nei Rusteghi (1906), comprensibili se esposte
in modo volutamente scherzoso da Carlo Goldoni, si riflettono in termini francamente inaccettabili anche negli anni a ridosso della devastante seconda guerra mondiale e confermano alcune tendenze maschiliste e omofobe ben presenti nei lavori di Wolf-Ferrari, parte di un atteggiamento
ideologico complessivo in linea con le tendenze totalitarie del suo tempo, alle quali rese più volte
omaggio.
ashx?fileType=Archive&id=37592). Il riferimento è alla composizione Arabesken über eine Arie von Ettore Tito
op. 22, che effettivamente verrà di lì a poco pubblicata.
11 Lettera ad Alessandro Vardanega datata «21.3.39 XVII Planegg» (Archivio storico del Teatro La Fenice; anche online: http://www.archiviostoricolafenice.org/ArcFenice/ShowFile.ashx?fileType=Archive&id=37590), interamente riprodotta alle pp. seguenti.
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– DALL’ARCHIVIO STORICO DEL TEATRO LA FENICE
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Il campiello: l’allestimento del 1960 nelle foto di scena dell’Archivio storico del Teatro La Fenice.
Il campiello al Teatro La Fenice
Commedia in cinque atti di Carlo Goldoni, riduzione in tre atti e adattamento di Mario Ghisalberti per la musica di Ermanno Wolf-Ferrari; ordine dei personaggi: 1. Gasparina 2. Dona Cate Panciana 3. Luçieta: 4. Dona
Pasqua Polegana 5. Gnese 6. Orsola 7. Zorzeto 8. Anzoleto 9. Il cavaliere Astolfi 10. Fabrizio dei Ritorti 11.
Sansuga.
1938-1939 – Stagione lirica dell’anno XVII
8 febbraio 1939* (4 recite).
1. Margherita Carosio 2. Luigi Nardi 3. Magda Olivero 4. Luigi Cilla 5. Gianna Perea Labia 6. Natalia Nicolini 7. Ferruccio Tagliavini 8. Mattia Sassanelli 9. Spartaco Marchi 10. Piero Passarotti – M° conc.: Antonio
Guarnieri; m° coro: Sante Zanon; reg.: Carlo Piccinato; scen.: Pieretto Bianco (proprietà del Teatro alla Scala);
cost.: Casa d’arte Caramba; all.: Teatro alla Scala.
* L’autore assisterà alla rappresentazione.
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FRANCO ROSSI
– DALL’ARCHIVIO STORICO DEL TEATRO LA FENICE
1945-1946 – Stagione lirica invernale
16 febbraio 1946 (3 recite).
1. Dolores Ottani 2. Luigi Nardi 3. Ornella Rovero 4. Sante Messina 5. Rina De Ferrari 6. Giuseppina Sani 7.
Angelo Mercuriali 8. Eraldo Coda 9. Leo Piccioli 10. Giuseppe Noto 11. Emilio Rossetto – M° conc.: Manno
Wolf-Ferrari; m° coro: Sante Zanon; reg.: Enrico Frigerio; scene: Ditta Ercole Sormani (Milano); cost.: Casa
d’arte Imperia (Milano); cor.: Rosa Piovella Ansaldo.
1948-1949 – Rappresentazioni liriche di primavera
25 maggio 1949 (2 recite).**
1. Dolores Ottani 2. Luigi Nardi 3. Ada Bertelle 4. Giuseppe Nessi 5. Alda Noni 6. Ebe Ticozzi 7. Cesare Valletti 8. Silvio Maionica 9. Afro Poli 10. Giuseppe Noto – M° conc.: Oliviero De Fabritiis; m° coro: Sante Zanon; reg.: Augusto Cardi; scene: Teatro La Fenice; cost.: Casa d’arte Firenze; cor.: Rosa Piovella Ansaldo.
** L’opera venne data come seconda di un dittico, preceduta dal Maestro di cappella di Cimarosa.
1957-1958 – Stagione lirica invernale
6 febbraio 1958 (3 recite).
1. Elena Rizzieri 2. Florindo Andreolli 3. Rina Malatrasi 4. Santo Messina 5. Dora Gatta 6. Vittoria Palombini 7. Luigi Pontiggia 8. Sesto Bruscantini 9. Afro Poli 10. Alessandro Maddalena – M° conc.: Ettore Gracis; m°
coro: Sante Zanon; reg.: Eligio Possenti; aiuto reg.: Gianrico Becher; bozz. orig.: Mariano Fortuny; real. scen.:
Bruno Montonati; cost.: Casa d’arte Cerratelli; cor.: Mariella Turitto Alessandri.
1959-1960 – Stagione lirica di primavera
18 giugno 1960*** (2 recite).
1. Elena Rizzieri 2. Florindo Andreolli 3. Marisa Salimbeni 4. Santo Messina 5. Emilia Ravaglia 6. Vittoria Palombini 7. Luigi Pontiggia 8. Alessandro Maddalena 9. Mario Borriello 10. Giorgio Tadeo – M° conc.: Ettore
Gracis; m° coro: Sante Zanon; reg.: Eligio Possenti; real. reg.: Mercedes Fortunati; bozz.: Mariano Fortuny; real. scen.: Bruno Montonati; cost.: Casa d’arte Cerratelli; cor.: Mariella Turitto.
*** Serata di gala per la inaugurazione della XXX Biennale d’Arte di Venezia.
1968-1969 – Stagione lirica
16 gennaio 1969 (5 recite).
1. Jolanda Meneguzzer 2. Florindo Andreolli 3. Milena Dal Piva 4. Renato Ercolani 5. Rosetta Pizzo 6. Silvana Padoan 7. Giorgio Grimaldi 8. Alessandro Maddalena (Vito Maria Brunetti) 9. Mario Basiola 10. Ledo Freschi – M° conc.: Bruno Bogo; m° coro: Corrado Mirandola; reg.: Cesco Baseggio; scen. e cost.: Franco Laurenti;
cor.: Mariella Turitto; dir. ballo: Renato Fiumicello.
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Il campiello di Wolf-Ferrari al Teatro La Fenice di Venezia: locandina per la ripresa del 1960.
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Biografie
STEFANO ROMANI
Maestro concertatore e direttore d’orchestra. Diplomatosi in oboe nel 1986 al Conservatorio
Francesco Venezze di Rovigo, vince numerosi concorsi esibendosi come oboista con le più importanti orchestre italiane (tra cui Teatro alla Scala, Teatro La Fenice, Orchestra Regionale Toscana, Pomeriggi Musicali di Milano, Orchestra Toscanini di Parma) e con direttori di fama internazionale. Studia direzione d’orchestra con i maestri Descev e Pradella divenendo nei primi
anni novanta direttore principale dell’orchestra I filarmonici di Rovigo. Ha diretto i concerti finali dei concorsi Tito Gobbi 2002 di Bassano, Pecar 2006 di Gorizia e Vittorio Veneto 2008 esibendosi inoltre sul podio di orchestre quali l’Orchestra Filarmonica del Friuli Venezia Giulia,
l’Orchestra Filarmonia Veneta e l’Orchestra Sinfonica di Sanremo. In ambito lirico ha diretto
opere di Mozart (Don Giovanni), Rossini (Il barbiere di Siviglia), Donizetti (Lucia di Lammermoor), Verdi (Nabucco, Rigoletto, Il trovatore, La traviata, Un ballo in maschera), Puccini (La
bohème, Tosca, Madama Butterfly), Wolf-Ferrari (Il campiello), Bizet (Carmen), Vitalini (la prima rappresentazione in forma scenica di Re David), Pedini (la prima assoluta del balletto Il pranzo), in vari teatri italiani (Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Donizetti di Bergamo, Teatro dell’Opera Giocosa di Savona, Opera Festival di Bassano, Orchestra e Coro La Lirica di Venezia)
ed esteri (Festival di Savonlinna, Novi Sad, Seoul). Dal 2003 al 2008 è stato segretario artistico
dell’Orchestra Filarmonia Veneta e dal 2009 è direttore artistico del Teatro Sociale di Rovigo. È
docente di ruolo di oboe presso il Conservatorio di Rovigo.
PAOLO TREVISI
Regista. Inizia nel 1946 la sua carriera teatrale nel teatro di prosa, che lo porterà nel 1963 a fondare, come capocomico, la Compagnia Goldoniana «I Giovani» (con attori quali Gino Cavalieri e Milena Capodaglio), da lui rifondata nel 2000 con Toni Barpi e Wanda Benedetti. Dal 1970
entra nel mondo dell’opera lirica dove, in quarant’anni di carriera in qualità di regista, ha lavorato in tutto il mondo (Berlino, Vienna, Tolosa, Orange, Bordeaux, Madrid, Las Palmas, Pamplona, Maribor, Tel Aviv, São Paulo, Città del Messico, Palm Beach, Tokyo) collaborando con
artisti quali Bergonzi, Bruson, Caballé, Cotrubas, Corelli, Devia, Domingo, Kabaivanska, Kraus,
Milnes, Nucci, Pavarotti, Ricciarelli, Tomowa-Sintow, Valentini Terrani, Verrett e direttori quali Aronovitch, De Fabritiis, Gavazzeni, Muti, Palumbo, Renzetti, Rubio, Santi, Sanzogno, Scimone, Zedda, mettendo in scena un repertorio di oltre settanta titoli tra cui Mosè in Egitto, Il
trovatore, La traviata, Aida, Otello, La bohème, Tosca, Madama Butterfly, Turandot, Carmen,
Werther, Der fliegende Holländer. È stato regista stabile dell’Arena di Verona (1973-1982), regista e direttore sceno-tecnico al São Carlos di Lisbona (1980-1989), direttore tecnico del Festival Internazionale di Musica di Macao in Cina (1992-1999), direttore artistico della National
BIOGRAFIE
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Opera and Ballet of China di Pechino, direttore artistico di Operascona in Svizzera, direttore artistico del Teatro Comunale di Treviso, consigliere nel direttivo della Biennale e consigliere di amministrazione di Arteven, del Teatro La Fenice e del Teatro stabile del Veneto. Attore e regista,
autore e drammaturgo, in alcuni spettacoli anche scenografo e costumista, per la sua intensa attività artistica ha ottenuto importanti riconoscimenti, tra i quali la Medaglia al Merito Culturale della Repubblica Portoghese, la laurea honoris causa del Tokyo College of Music, la Medaglia
e Commenda al merito Culturale della Repubblica Popolare Cinese e l’onorificenza di Cavaliere
al Merito della Repubblica Italiana. Con Franco Corelli e Iris Adami Corradetti ha tenuto per
anni masterclass per cantanti lirici; è stato inoltre vicedirettore e insegnante di arte scenica della
Enzo Pinza Foundation di Pittsburgh, formando numerosi cantanti americani oggi in carriera.
CLAUDIO RONDA
Coreografo. Inizia gli studi di danza classica e moderna a Parma e successivamente a Londra al
Pineapple Center. Frequenta la Scuola di balletto diretta da Liliana Cosi e Marinel Stefanescu a
Reggio Emilia e danza con la compagnia nelle produzioni Don Chisciotte, Spartacus, Anafura e
Raimonda. Si perfeziona con Valentina Massini e Nicolae Pantazi, dell’Opera di Bucarest. Nel
1986 è tra i fondatori a Rovigo della compagnia Estballetto. Lavora con i coreografi Massini,
Pantazi, Moricone, Messina, Borni, Parmentier, de Hart, Rigano, Comini, Iancu, Richtarch, Petrillo, North, Cohan. Dal 1991 è responsabile della compagnia che cambia nome in Fabula Saltica, idea il soggetto di Ragazzi selvaggi di North e danza in Mascherata, Aura e Riccardo III di
Iancu, Pandora librante di Cohan, Sprint di Petrillo, Pictures di North e Cohan e In mezzo… la
terra di North. Come coreografo crea per Fabula Saltica Sicilienne, Lieder Dances, Il sogno di…,
Pinocchio burattino senza fili, Dal walzer allo swing, L’histoire du soldat, Barbablù, Ballades,
Pulcinella, Presto lento presto, Lost in a dream e per il Teatro Sociale di Rovigo i balletti Together e Il pranzo e le coreografie delle opere Rigoletto, La traviata, Un ballo in maschera, La forza del destino, Aida, Madama Butterfly, Andrea Chénier, Il campiello, Carmen, Anton, Mare nostro, Una favola per caso. Collabora a varie opere come assistente alla regia e cura la regia di
opere e balletti per bambini: Costruiamo una città, L’histoire du soldat, Lo scoiattolo in gamba,
Il teatro dei suoni, Incanto di Natale. Direttore artistico di Vetrinadanza, Tra ville e giardini e
Incontri con la danza in Villa Badoer, cura la stagione di danza del Teatro Sociale di Rovigo.
ROBERTA CANZIAN
Soprano, interprete del ruolo di Gasparina. Nata a Conegliano, si diploma in canto lirico al Conservatorio di Venezia e in musica vocale da camera al Conservatorio di Milano conseguendo la
laurea in musicologia a Ca’ Foscari e il diploma di secondo livello al Conservatorio di Rovigo.
Nel 2000, dopo la vittoria al Concorso Belli di Spoleto, inizia la carriera artistica debuttando come Susanna nelle Nozze di Figaro e Micaëla in Carmen. Ha cantato nei principali teatri italiani
(Scala, Fenice di Venezia, San Carlo di Napoli, Massimo di Palermo, Carlo Felice di Genova, Petruzzelli di Bari, Macerata, Ravenna, Busseto, Lecce, Catania, Bergamo, Fidenza) e all’estero
(Opernhaus di Zurigo, Teatro Calderón di Valladolid, Art Center di Seoul) in opere di Cavalli
(Amore negli Amori di Apollo e Dafne), Händel (Almirena in Rinaldo), Vivaldi (Abra in Juditha
triumphans), Galuppi (Il re alla caccia), Mozart (Despina in Così fan tutte, Pamina nella Zauberflöte), Rossini (Corinna nel Viaggio a Reims), Bellini (Giulietta nei Capuleti e Montecchi), Donizetti (Serafina nel Campanello, Adina nell’Elisir d’amore, Norina in Don Pasquale), Verdi (Gilda in Rigoletto, Oscar in Un ballo in maschera, Tebaldo in Don Carlo), Puccini (Musetta nella
Bohème, Lauretta in Gianni Schicchi, Liù in Turandot), Zandonai (Biancofiore in Francesca da
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BIOGRAFIE
Rimini), Wolf-Ferrari (I quatro rusteghi), Bizet (Leïla nei Pêcheurs de perles). In concerto ha cantato musiche di Bach, Vivaldi, Pergolesi, Mozart, Villa-Lobos, Orff, al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi, al Festival di Sully, nella Basilica di San Marco di Venezia, nel Duomo di Milano,
a Busseto, Aquileia e Palermo.
CLAUDIA PAVONE
Soprano, interprete del ruolo di Gasparina. Avvicina il mondo della musica dapprima come voce bianca nel coro Pueri Cantores di Vicenza, poi con gli studi nei conservatori di Vicenza e Castelfranco Veneto, dove si diploma nel 2012 con Elisabetta Tandura. Premio «Miglior voce Leoncavallo» al Concorso internazionale Leoncavallo 2012 di Montalto Uffugo e terzo premio ai
concorsi internazionali Maria Callas 2012 di Verona, Giacinto Prandelli 2013 di Brescia e Città
di Bologna 2013 (dove vince anche il premio speciale Renata Tebaldi e la borsa di studio Giusy
Devinu), nell’aprile 2013 vince il primo premio e il premio della critica al Concorso internazionale Ferruccio Tagliavini di Graz. Debutta nell’ottobre 2013 come Mimì nella Bohème al Teatro
Re Grillo di Licata in Sicilia. In ambito sacro si è esibita come solista nel Requiem di Mozart,
nella Petite messe solennelle di Rossini e nello Stabat Mater di Pergolesi.
MAX RENÉ COSOTTI
Tenore, interprete del ruolo di Dona Cate Panciana. Apprezzato anche per le spiccate doti sceniche, Max René Cosotti vanta un ampio repertorio che comprende lavori di Monteverdi (L’incoronazione di Poppea), Rinaldo da Capua (La zingara), Gazzaniga (Il convitato di pietra), Mozart (Bastiano e Bastiana, Le nozze di Figaro, Die Zauberflöte); Rossini (La Cenerentola, Il
barbiere di Siviglia, Il turco in Italia), Bellini (La sonnambula), Donizetti (Anna Bolena, L’elisir
d’amore, Arturo in Lucia di Lammermoor, Don Pasquale), Verdi (Rigoletto, La traviata, Cajus
e Bardolfo in Falstaff), Puccini (Alcindoro nella Bohème, Edmondo in Manon Lescaut, Goro in
Madama Butterfly, La rondine, Pang e Pong in Turandot), Mascagni (L’amico Fritz), Leoncavallo
(Pagliacci), Cilea (Adriana Lecouvreur), Giordano (Andrea Chénier, Fedora), Zandonai (Francesca da Rimini), Wolf-Ferrari (I quatro rusteghi, La vedova scaltra, Il campiello), Respighi (Marie Victoire); Bizet (il Remendado in Carmen), Ibert (Angélique), Poulenc (Dialogues des Carmélites); Musorgskij (Chovanšcina), Cajkovskij (Lenskij e Triquet in Evgenij Onegin); Richard
Strauss (Ariadne auf Naxos), Zemlinsky (il nano nel Compleanno dell’Infanta); fino alle operette di Offenbach (Orphée aux enfers), Lehár (La vedova allegra, Eva, La danza delle libellule), Johann Strauss (Il pipistrello, Una notte a Venezia), Kálmán (La bajadera, La duchessa di Chicago), Benatzky (Al cavallino bianco). Si è esibito nei principali teatri italiani (Opera di Roma,
Palermo, Trieste, Firenze, Bologna, Napoli, Genova, Cagliari, Bari, Parma, Salerno) e internazionali (Losanna, Lucerna, Klagenfurt, Berlino, Liegi, Monte-Carlo, Tel Aviv, New York, Cleveland, Tokyo), e ha ricevuto nel 1992 il Premio Abbiati della critica italiana.
DIANA MIAN
Soprano, interprete del ruolo di Luçieta. Nata in provincia di Gorizia, ha studiato con Alessandro Vitiello e si perfeziona attualmente con Fernando Cordeiro Opa. Premiata ai concorsi Città
di Brescia, Rosetum di Milano, As.Li.Co., Velluti di Riviera del Brenta (primo premio), Iris Adami Corradetti di Padova (secondo premio), Di Stefano di Trapani (premio Di Stefano), I Giovani per i Giovani di Ravenna (primo premio), Lilian Caraian di Trieste (primo premio), debutta
nel 2009 al Teatro La Fenice come Juliette in Roméo et Juliette di Gounod. Ha cantato in importanti teatri italiani (Milano, Firenze, Ravenna, Bergamo, Sassari, Vicenza, Lecco, Rovigo) e
BIOGRAFIE
139
internazionali (Valencia, Bad Wildbad, Praga, Ankara, Smirne, Istanbul, Taškent, Tokyo) in un
repertorio che comprende lavori di Pergolesi (La serva padrona), Mozart (la Contessa nelle Nozze di Figaro, Zerlina e Donna Elvira in Don Giovanni, Fiordiligi in Così fan tutte), Cimarosa (Il
matrimonio segreto), Rossini (Fatima in Ricciardo e Zoraide), Donizetti (Il campanello, L’elisir
d’amore, Maria Stuarda, Don Pasquale), Verdi (Elvira in Ernani, Desdemona in Otello), Puccini (Mimì nella Bohème), Adam (Le chalet), Lehár (Anna Glawari nella Vedova allegra). In ambito sinfonico ha cantato musiche di Mozart, Haydn, Vivaldi, Mendelssohn, Orff, Perosi e Ramírez.
ANNA VIOLA
Soprano, interprete del ruolo di Luçieta. Friulana, inizia gli studi musicali con il pianoforte e nel
2010 si diploma in organo presso il Conservatorio di Udine. Laureata in lingue presso l’Università di Udine, vi si sta attualmente specializzando in studi europei. Nel 2000 intraprende lo studio del canto sotto la guida di Cecilia Fusco. Si perfeziona attualmente con Stefano Gibellato.
Nel 2004 debutta come Violetta nella Traviata nel circuito regionale del Friuli Venezia Giulia.
Nel 2006 è la Regina della notte nella Zauberflöte presso il Teatro Marrucino di Chieti e Amore in Orfeo ed Euridice di Gluck al Teatro Massimo di Palermo (direttore Jonathan Webb, regia
di Luciano Cannito). Nel 2009 interpreta i ruoli della Regina della notte (in febbraio) e di Pamina (in maggio) a Palermo nel Piccolo Flauto Magico, nuova produzione con la regia di Giulio
Ciabatti e la direzione di Carlo Tenan. Nel 2010 è di nuovo Violetta nella Traviata al Teatro Garibaldi di Figline Valdarno (regia di Rolando Panerai) e presso l’Arena Alpe Adria di Lignano
Sabbiadoro, dove nel 2011 debutta come Rosina nel Barbiere di Siviglia di Rossini. Nel settembre dello stesso anno vince il secondo premio al Concorso Velluti e in dicembre le viene assegnato
il premio del pubblico al Canto Festival di Amandola. Nel 2012 è Lisa nella Sonnambula al Teatro La Fenice di Venezia.
NICOLA PAMIO
Tenore, interprete del ruolo di Dona Pasqua Polegana. Ha debuttato a Cagliari nel 1992 come
Edmondo in Manon Lescaut. Si è esibito nei principali teatri italiani (Scala, Opera di Roma, Napoli, Torino, Genova, Cagliari, Trieste, Palermo, Verona, Torre del Lago, Messina, Reggio Emilia) in lavori di Mozart (Basilio nelle Nozze di Figaro, Die Zauberflöte), Rossini (Almaviva nel
Barbiere di Siviglia), Donizetti (Ernesto in Don Pasquale), Verdi (Nabucco, Rigoletto, La traviata, Falstaff), Puccini (Madama Butterfly, La fanciulla del West, Il tabarro, Turandot), Giordano
(Fedora), Wagner (Parsifal), Strauss (Salome), Musorgskij (Il matrimonio), Janácek (Da una casa di morti), Britten (Peter Grimes), Rota (La notte di un nevrastenico), D’Aquila (Alice nel paese delle meraviglie). Di rilievo la sua collaborazione con il Teatro alla Scala, iniziata nel 1999,
dove è stato impegnato in una quindicina di produzioni tra cui Manon di Massenet (con Bertini,
regia Joel), Peter Grimes (con Tate, regia Schlesinger), Tatjana di Azio Corghi (con Humburg, regia Stein), La traviata (con Muti, regia Cavani), Adriana Lecouvreur (con Ranzani, regia Puggelli), Pagliacci (con Harding, regia Martone). Nel 2011 ha cantato Adriana Lecouvreur (l’Abate) alla Carnegie Hall accanto a Jonas Kaufmann e Angela Georghiu. Nel 2013 ha cantato
Andrea Chénier (l’Incredibile) alla Avery Fisher Hall di New York accanto a Roberto Alagna, la
Missa longa di Mozart e la Hofkapellmeistermesse di Salieri al Lirico di Cagliari, Samson et Dalila all’Opera di Roma, Tosca a Trieste, Madama Butterfly (Goro) a Venezia, Rigoletto a Tokyo
con la Scala, La traviata alla Scala.
140
BIOGRAFIE
GREGORY BONFATTI
Tenore, interprete del ruolo di Dona Pasqua Polegana. Bolognese, è diplomato in canto, pianoforte e composizione. Iniziati gli studi vocali con Paride Venturi si è perfezionato con Clotilde
Ronchi. Nel 1991 vince il Concorso Belli di Spoleto debuttando come Ramiro nella Cenerentola. Si è esibito in importanti teatri in Italia (Scala, Opera di Roma, Napoli, Cagliari, Parma, Torino, Firenze, Bologna, Pesaro, Martina Franca, Ancona) e all’estero (Opéra di Parigi, Concertgebouw di Amsterdam, Covent Garden, Bilbao, Tolosa, Giappone) in un repertorio che
comprende lavori di Galuppi, Gazzaniga, Mozart (Le nozze di Figaro), Cimarosa, Rossini (La
cambiale di matrimonio, L’italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, Otello, La donna del lago,
Matilde di Shabran), Mercadante, Pacini, Bellini (I Capuleti e i Montecchi, La sonnambula), Donizetti (Lucrezia Borgia, Lucia di Lammermoor), Verdi (Nabucco, I lombardi alla prima crociata, I due Foscari, Il corsaro, Luisa Miller, Les vêpres siciliennes, La forza del destino, Falstaff),
Puccini (Tosca, Madama Butterfly, Gianni Schicchi, Turandot), Mascagni, Leoncavallo, Giordano, Busoni, Wagner (Tristan und Isolde), Cajkovskij (Evgenij Onegin, Gli stivaletti), Prokof’ev
(Il giocatore), Offenbach (Les contes d’Hoffmann), Saint-Saëns (Samson et Dalila), Poulenc
(Dialogues des Carmélites), Strauss (Salome), Berg (Wozzeck), Weill, Dallapiccola, Rota, Bernstein, Reimann, Bolcom, Corghi. Ha collaborato con direttori quali Muti, Gatti, Benini, Ferro,
Chailly, Barenboim, Harding, A. Davis, Renzetti, Gelmetti, Carignani, Arrivabeni, Peskó, Olmi,
Semkow, Pappano, Jurowski, e registi quali Faggioni, Carsen, Ronconi, Arias, Hampe, Cobelli,
Abbado, Squarzina, Lavia, Kent.
PATRIZIA CIGNA
Soprano, interprete del ruolo di Gnese. Allieva di Jolanda Meneguzzer, si diploma con Maria
Grazia Germani al Conservatorio di Firenze. Vincitrice di numerosi concorsi internazionali (Schipa 1994, Walton 1995, Rocca delle Macìe 1995), debutta nel 1993 al Teatro Verdi di Pisa nel
Piccolo spazzacamino di Britten. Da allora interpreta ruoli protagonistici in lavori di Mozart
(Idomeneo, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, La clemenza di Tito, Die Zauberflöte), Rossini (Tancredi, L’italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia), Bellini (I puritani), Donizetti (L’elisir d’amore, Lucia di Lammermoor, Don Pasquale), Puccini (La bohème), Verdi (Rigoletto, La traviata, Un ballo in maschera), Strauss (Ariadne auf Naxos), Bizet (Carmen), in
importanti teatri italiani (Firenze, Trieste, Venezia, Bologna, Ferrara, Reggio Emilia, Torre del
Lago, Filarmonico e Arena di Verona, Ravello, Torino, Bari) ed esteri (Maribor, Avenches Nederlandse Reisopera, Wexford, Kaunas, São Paulo, Seoul). Ha collaborato con direttori quali
Gatti, Bertini, Lü Jia, Jurowsky, Koopman, Fasolis, Zedda, Bellugi, Sardelli, Zarpellon, Benedetti Michelangeli, Oren, Mehta, e con registi quali Judge, Brook, Stefanutti, Krief, Micheli, Placido, Pizzi, Zeffirelli, Miller. In ambito barocco ha cantato nel 2011 la Johannespassion di Bach
con il Salzburger Bach-Chor e nel 2013 Angelica in Orlando furioso di Vivaldi a Ferrara.
CAROLINA LIPPO
Soprano, interprete del ruolo di Gnese. Nata a Taranto, si è diplomata in pianoforte e in canto
presso l’Istituto di Alta Formazione Artistica e Musicale Giovanni Paisiello, laureandosi poi con
Marina Gentile al Conservatorio di Bologna. Secondo premio al Concorso internazionale Vittoria Caffa Righetti di Cuneo, si è perfezionata in tecnica vocale e repertorio operistico con Michael Aspinall, Monica Bacelli, Lella Cuberli, Stefania Bonfadelli e Alberto Zedda e ha seguito i
corsi di perfezionamento sull’interpretazione del repertorio barocco tenuti da Roberta Mameli,
BIOGRAFIE
141
Sonia Prina e Gloria Banditelli. Nel 2011 debutta sul palcoscenico del Teatro Comunale di Bologna nello spettacolo I giorni della libertà; negli anni successivi è stata Zerlina in Don Giovanni (per il Fortuna Opera Festival di Fano) e Pamina nella Zauberflöte di Mozart, Tonina in Prima la musica, poi le parole di Salieri, Fanny nella Cambiale di matrimonio di Rossini, Norina in
Don Pasquale di Donizetti, Cintia nell’Ambizione delusa di Leonardo Leo (per il Festival della
Valle d’Itria).
CRISTINA SOGMAISTER
Mezzosoprano, interprete del ruolo di Orsola. Italiana, ha studiato con Piero Ferraris ed è attualmente seguita da Giovanna Canetti e Alberto Sasso. Vincitrice nel 1994 del Concorso Belli
di Spoleto, ha frequentato corsi di perfezionamento con Magda Olivero, Alberto Zedda (presso
l’Accademia Rossiniana di Pesaro), Antonietta Stella. Ha cantato in importanti teatri italiani
(Scala, Napoli, Torino, Genova, Cagliari, Venezia, Firenze, Palermo, Parma, Torre del Lago, Ravenna, Ferrara, Bergamo, Pisa) e internazionali (Zurigo, Bellinzona, Bonn, Bilbao, Palma di Maiorca, Atene, San Pietroburgo, São Paulo, Pechino, Macao) in lavori di Scarlatti (Il trionfo dell’onore, La principessa fedele), Gluck (Orfeo ed Euridice, Armide con Muti), Mozart (Le nozze
di Figaro, Così fan tutte), Cimarosa (Il matrimonio segreto), Rossini (La scala di seta, L’italiana
in Algeri, Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola, Semiramide), Mosca (L’italiana in Algeri), Bellini (I Capuleti e i Montecchi, La sonnambula, Norma), Donizetti (Maria Stuarda, Le comte
Ory), Puccini (Manon Lescaut, Madama Butterfly, Il tabarro, Suor Angelica), Cilea (Adriana Lecouvreur), Gounod (Faust), Massenet (Le roi de Lahore). Ha collaborato con direttori quali Muti, Chung, Desderi, Campanella, Minkowski, Viotti, Francis, Gandolfi, Karabtchevsky, Biondi,
Lü Jia, Pletnev. In ambito concertistico ha interpretato lavori di Charpentier, Bach, Händel, Vivaldi, Pergolesi, Mozart, Beethoven, Rossini, Verdi, Scrjabin, Dvorák, Mahler.
JULIJA SAMSONOVA KHAYET
Mezzosoprano, interprete del ruolo di Orsola. Nata nel 1982, si diploma in direzione di coro,
pianoforte e canto presso il Ginnasio delle Arti di Vilnius in Lituania. Trasferitasi in Italia, si laurea al Conservatorio di Pesaro e si perfeziona all’Accademia di Osimo, all’Accademia del Teatro
del Maggio Fiorentino, all’Accademia dei Teatri di Treviso, all’Académie de Villecroze e all’Accademia Chigiana di Siena, con maestri quali Kettelson, Sabbatini, Zappa, Gossett, Dara, Manca di Nissa, de Simone, Patalini, Giménez, Coni, Cura, Baldwin, Nubar, Barker, O’Neill, Resnik,
Servile. Vincitrice di numerosi concorsi (As.Li. Co 2005, Concorso di Musica Sacra 2006, Viñas
2007 di Barcellona, Segattini 2007 di Venezia, Tebaldi 2007 di San Marino, Città di Bologna
2009, Di Stefano 2009 di Trapani), ha cantato in importanti teatri e festival italiani (Maggio Fiorentino, Comunale di Bologna, Malibran di Venezia, Rossini Opera Festival di Pesaro, Festival
Opera Barga, Teatro della Fortuna di Fano) e internazionali (Bad Wildbad, Erevan, Sofia, Nancy, Pézenas), collaborando con direttori quali Zedda, Mariotti, Tenan, Franklin, Fogliani, Olmi,
Matakieff, Ciavatta, Crescenzi, Cura, Benzi, Ferrara, Sardelli. Il suo repertorio comprende i ruoli di Dorabella (Così fan tutte), Rosina (Il barbiere di Siviglia), Cenerentola, Adalgisa (Norma),
Leonora (La favorita), Preziosilla (La forza del destino), Suzuki (Madama Butterfly), Carmen,
Charlotte (Werther), Marina (Boris Godunov), Olga (Evgenij Onegin).
GIACOMO PATTI
Tenore, interprete del ruolo di Zorzeto. Siciliano, studia al Conservatorio di Palermo e vince i
premi Vincenzo Bellini e Palcoscenico. Debutta a Palermo nel Requiem di Mozart e nei Carmi-
142
BIOGRAFIE
na Burana di Orff e nel 2005 inaugura la stagione del Ravenna Festival interpretando il ruolo
eponimo del Faust di Gounod. Si è esibito in teatri italiani (Bologna, Torino, Trieste, Palermo,
Parma, Ravenna, Ferrara, circuito lombardo, circuito toscano, Cosenza, Jesi, Fermo, Rovigo,
Massa Marittima) ed europei (Berna, Porto, Bad Homburg, Emirati Arabi) in un repertorio che
comprende lavori di Bellini (Tebaldo nei Capuleti e Montecchi), Donizetti (Edgardo in Lucia di
Lammermoor), Verdi (Ismaele in Nabucco, Malcolm in Macbeth, il Duca in Rigoletto, Alfredo
nella Traviata, Fenton in Falstaff), Puccini (Rinuccio in Gianni Schicchi, Pang in Turandot), Gounod (Faust in Faust). Ha collaborato con direttori quali Fournillier, Mianiti, Allemandi, Dinic,
Beltrami, Romani, Bisanti, Carminati, e registi quali Ronconi, van Hoecke, Cristina Mazzavillani, Vick, Kuntze, Brockhaus, Paterniti, Bertolani, Bernard. Ha iniziato la stagione 2013-2014 con
I Capuleti e i Montecchi (Tebaldo) al Teatro Filarmonico di Verona, Norma (Flavio) al Teatro
Coccia di Novara e Il campiello (Zorzeto) al Teatro Sociale di Rovigo. Si esibisce spesso in concerti e serate di gala con la Fondazione Pavarotti International.
ITALO PROFERISCE
Baritono, interprete del ruolo di Anzoleto. Nato a Napoli, studia pianoforte e canto lirico laureandosi con Paolo Coni presso il Conservatorio di Ferrara. Si è perfezionato con Renato Bruson,
Garbis Boyagian, Alberto Gazale, June Anderson, Marcello Lippi, Carlo Desideri e Giulia Valente ed è stato solista della Fondazione Luciano Pavarotti e allievo effettivo del Maggio Fiorentino Formazione. Finalista e vincitore di vari concorsi lirici (Rome Festival 2009, Città di Bologna 2009, Toti Dal Monte 2010, Scuola dell’Opera Italiana del Teatro Comunale di Bologna
2010, Anselmo Colzani di Budrio 2011), ha interpretato ruoli principali in lavori di Pergolesi
(Uberto nella Serva padrona), Mozart (Figaro nelle Nozze di Figaro), Cimarosa (Don Perizonio
nell’Impresario in angustie), Rossini (Mustafà nell’Italiana in Algeri), Donizetti (Belcore nell’Elisir d’amore), Verdi (Marullo in Rigoletto, il barone e il marchese nella Traviata), Puccini (Marcello e Schaunard nella Bohème), Weill (il narratore nell’Opera da tre soldi), Fortunato (il padre
in Falcone e Borsellino). Ha collaborato con direttori quali Mehta, Bressan, Carminati, Bisanti,
Beltrami, Scardicchio, Scogna, Lombardi, Rosa, Di Stefano, Pagliarini, Pagliuca, Scaioli, Salvagno, Marin, Taddia, Pasqualetti, Orciuolo.
MAURIZIO LEONI
Baritono, interprete del ruolo del cavaliere Astolfi. Bolognese, diplomato all’Accademia Filarmonica Bolognese e al Conservatorio Martini, debutta nel 1990 come Enrico nel Campanello di
Donizetti alla Fondazione Walton di Ischia, esibendosi poi nel Turco in Italia (Don Geronio) nel
circuito As.Li.Co. e nella Bohème (Alcindoro, Benoît e Schaunard) nel circuito As.Li.Co, alla Fenice, a Catania e a Tokyo. I ruoli buffi sono in questo periodo i più confacenti alla sua indole
versatilmente attoriale: Leporello a Tourcoing, Il signor Bruschino, L’occasione fa il ladro e La
scala di seta alla Konzerthaus di Vienna e all’Opéra-Comique di Parigi, Matilde di Shabran a Bad
Wildbad, Le convenienze ed inconvenienze teatrali (Mamm’Agata) a Bergamo. Particolarmente
attento al repertorio novecentesco e contemporaneo – interesse che gli fa debuttare ben dodici
opere in prima assoluta –, interpreta Die Teufel von Loudun di Penderecki al Regio di Torino,
Gesualdo Considered as a Murderer di Francesconi per il Festival MITO, Salome di Strauss al Comunale di Bologna, Turandot di Busoni a Sassari, Il prigioniero di Dallapiccola a Catania. Negli
ultimi anni l’ago della ‘bilancia vocale’ si sposta da basso buffo verso un più definito baritono;
per cui ecco El retablo de maese Pedro di Falla in tournée con Divertimento Ensemble, Figaro
nel Barbiere di Siviglia a Dordrecht e a Potenza, Marcello nella Boheme in Corea, Rigoletto a Pe-
BIOGRAFIE
143
saro, Germont nella Traviata e Luna nel Trovatore a Irun e al Comunale di Ferrara. Ha collaborato con direttori quali Isepp, Ranzani, Viotti, Renzetti, Malgoire, Desderi, Carminati, David,
Gatti, Koenigs, Pesko, Gorli, e registi quali Graham, Vizioli, Pizzi, Krief, Matteuzzi, Verdone.
GABRIELE BOLLETTA
Basso, interprete del ruolo di Fabrizio dei Ritorti. Nato a Torino, inizia a studiare canto nel 1995
e dal 2006 si perfeziona con Franca Mattiucci. Dal 2002 al 2004 fa parte dell’Ensemble Coro di
Torino e dal 2004 partecipa stabilmente alle stagioni del Teatro Superga di Nichelino. Collabora quindi con l’As.Li.Co. per l’esecuzione dell’Amore delle tre melarance di Prokof’ev (il re e la
cuoca Creonta), Die Zauberflöte (Sarastro) e Don Giovanni (Masetto e il Commendatore). Dal
2006 lavora stabilmente nel circuito lombardo collaborando con direttori quali Jurowski, Rota,
Desderi e Reggioli e debuttando quindici ruoli in due anni in forma scenica o in concerto. Ha
partecipato anche ad alcune produzioni di prosa e all’operetta La reginetta delle rose di Leoncavallo. Terzo premio al Concorso nazionale Etruria Classica 2008, negli anni successivi si è esibito in vari teatri italiani (Firenze, Parma, Torre del Lago, Torino, Pisa, Lucca, Livorno, Como,
Mantova) in lavori di Pergolesi (Uberto nella Serva padrona), Rossini (Mustafà nell’Italiana in
Algeri, Il barbiere di Siviglia), Verdi (il dottore nella Traviata, La forza del destino con Gelmetti), Puccini (Tosca). Nel 2013 è stato Tobia Mill nella Cambiale di matrimonio di Rossini per Ticino Musica. E docente di canto presso il Teatro Nuovo di Torino e dal 2013 è preparatore musicale nel Progetto Diderot della Fondazione CRT di Torino.
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
Abbonati Sostenitori
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Area Artistica
Diego Matheuz
direttore principale
ORCHESTRA
DEL
TEATRO L A FENICE
Violini primi
Viole
Flauti
Trombe
Roberto Baraldi
Fulvio Furlanut •
Nicholas Myall •
Mauro Chirico
Loris Cristofoli
Andrea Crosara
Roberto Dall’Igna
Elisabetta Merlo
Sara Michieletto
Martina Molin
Annamaria Pellegrino
Daniela Santi
Xhoan Shkreli
Anna Tositti
Anna Trentin
Maria Grazia Zohar
Daniel Formentelli •
Alfredo Zamarra •
Antonio Bernardi
Lorenzo Corti
Paolo Pasoli
Maria Cristina Arlotti
Elena Battistella
Rony Creter
Margherita Fanton
Valentina Giovannoli
Anna Mencarelli
Stefano Pio
Angelo Moretti •
Andrea Romani •
Luca Clementi
Fabrizio Mazzacua
Piergiuseppe Doldi •
Fabiano Maniero •
Mirko Bellucco
Eleonora Zanella
Oboi
Tromboni
Violini secondi
Alessandro Cappelletto •
Gianaldo Tatone •
Samuel Angeletti Ciaramicoli
Nicola Fregonese
Alessio Dei Rossi
Maurizio Fagotto
Emanuele Fraschini
Maddalena Main
Luca Minardi
Mania Ninova
Suela Piciri
Elizaveta Rotari
Aldo Telesca
Livio Salvatore Troiano
Johanna Verheijen
a termine
Tromboni bassi
Athos Castellan
Claudio Magnanini
Emanuele Silvestri •
Alessandro Zanardi •
Nicola Boscaro
Marco Trentin
Bruno Frizzarin
Paolo Mencarelli
Filippo Negri
Antonino Puliafito
Mauro Roveri
Renato Scapin
Clarinetti
Tuba
Contrabbassi
Matteo Liuzzi •
Stefano Pratissoli •
Massimo Frison
Walter Garosi
Ennio Dalla Ricca
Giulio Parenzan
Marco Petruzzi
Denis Pozzan
Franco Massaglia
primo violino di spalla
Corno inglese
Giuseppe Mendola •
Domenico Zicari •
Federico Garato
Renato Nason
Violoncelli
Ottavino
• prime parti
Rossana Calvi •
Marco Gironi •
Angela Cavallo
Valter De Franceschi
Vincenzo Paci •
Federico Ranzato
Claudio Tassinari
Alessandro Ballarin
Timpani
Fagotti
Dimitri Fiorin •
Roberto Giaccaglia •
Marco Giani •
Roberto Fardin
Massimo Nalesso
Percussioni
Controfagotto
Pianoforte
Fabio Grandesso
Corni
Konstantin Becker •
Andrea Corsini •
Loris Antiga
Adelia Colombo
Stefano Fabris
Guido Fuga
Claudio Cavallini
Gottardo Paganin
Carlo Rebeschini •
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Area Artistica
Claudio Marino Moretti
maestro del Coro
CORO
DEL
Ulisse Trabacchin
altro maestro del Coro
TEATRO L A FENICE
Soprani
Alti
Tenori
Bassi
Nicoletta Andeliero
Cristina Baston
Lorena Belli
Anna Maria Braconi
Lucia Braga
Caterina Casale
Mercedes Cerrato
Emanuela Conti
Chiara Dal Bo’
Milena Ermacora
Alessandra Giudici
Susanna Grossi
Michiko Hayashi
Maria Antonietta Lago
Anna Malvasio
Loriana Marin
Antonella Meridda
Alessia Pavan
Lucia Raicevich
Andrea Lia Rigotti
Ester Salaro
Elisa Savino
Valeria Arrivo
Claudia Clarich
Marta Codognola
Roberta De Iuliis
Simona Forni
Elisabetta Gianese
Manuela Marchetto
Eleonora Marzaro
Misuzu Ozawa
Gabriella Pellos
Francesca Poropat
Orietta Posocco
Nausica Rossi
Paola Rossi
Domenico Altobelli
Ferruccio Basei
Cosimo D’Adamo
Dionigi D'Ostuni
Enrico Masiero
Carlo Mattiazzo
Stefano Meggiolaro
Roberto Menegazzo
Dario Meneghetti
Ciro Passilongo
Marco Rumori
Bo Schunnesson
Salvatore Scribano
Massimo Squizzato
Paolo Ventura
Bernardino Zanetti
Giuseppe Accolla
Carlo Agostini
Giampaolo Baldin
Julio Cesar Bertollo
Antonio Casagrande
Antonio S. Dovigo
Salvatore Giacalone
Umberto Imbrenda
Massimiliano Liva
Gionata Marton
Nicola Nalesso
Emanuele Pedrini
Mauro Rui
Roberto Spanò
Franco Zanette
a termine
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Struttura Organizzativa
SOVRINTENDENZA
Cristiano Chiarot sovrintendente
Rossana Berti
Cristina Rubini
DIREZIONI
OPERATIVE
PERSONALE E SVILUPPO
ORGANIZZATIVO
MARKETING - COMMERCIALE
E COMUNICAZIONE
AMMINISTRATIVA E CONTROLLO
Giorgio Amata
Giampiero Beltotto
Mauro Rocchesso
direttore
Stefano Callegaro
Giovanna Casarin
Antonella D’Este
Alessandro Fantini
Lucio Gaiani
Alfredo Iazzoni
Renata Magliocco
Lorenza Vianello
Fabrizio Penzo
direttore
Nadia Buoso
responsabile della biglietteria
Laura Coppola
Alessia Libettoni
Jacopo Longato
Andrea Pitteri
UFFICIO STAMPA
Barbara Montagner
responsabile
Pietro Tessarin
direttore
Anna Trabuio
Dino Calzavara
Tiziana Paggiaro
Lorenza Bortoluzzi
SERVIZI GENERALI
Ruggero Peraro
responsabile e RSPP
nnp *
Liliana Fagarazzi
Stefano Lanzi
Nicola Zennaro
Marco Giacometti
ARCHIVIO STORICO
Domenico Cardone
direttore
Marina Dorigo
Franco Rossi
consulente scientifico
AREA FORMAZIONE E MULTIMEDIA
Simonetta Bonato
responsabile
Andrea Giacomini
Thomas Silvestri
Alessia Pelliciolli
a termine
* nnp nominativo non pubblicato per mancato consenso
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Struttura Organizzativa
DIREZIONE
ARTISTICA
Fortunato Ortombina direttore artistico
Diego Matheuz direttore principale
Bepi Morassi direttore della produzione
Franco Bolletta consulente artistico per la danza
SEGRETERIA ARTISTICA
DIREZIONE SERVIZI DI ORGANIZZAZIONE
DELLA PRODUZIONE
DIREZIONE ALLESTIMENTO
SCENOTECNICO
Pierangelo Conte
Lorenzo Zanoni
Massimo Checchetto
segretario artistico
Lucas Christ
UFFICIO CASTING
Anna Migliavacca
Monica Fracassetti
SERVIZI MUSICALI
Cristiano Beda
Salvatore Guarino
Andrea Rampin
Francesca Tondelli
ARCHIVIO MUSICALE
Gianluca Borgonovi
Marco Paladin
a termine
direttore di scena e palcoscenico
Valter Marcanzin
direttore
Carmen Attisani
Lucia Cecchelin
Area tecnica
responsabile produzione
Silvia Martini
Fabio Volpe
Paolo Dalla Venezia
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Area Tecnica
Macchinisti,
falegnameria,
magazzini
Elettricisti
Audiovisivi
Attrezzeria
Massimiliano Ballarini
capo reparto
Andrea Muzzati
vice capo reparto
Roberto Rizzo
vice capo reparto
Mario Visentin
vice capo reparto
Paolo De Marchi
responsabile
falegnameria
Michele Arzenton
Pierluca Conchetto
Roberto Cordella
Antonio Covatta
nnp*
Dario De Bernardin
Roberto Gallo
Michele Gasparini
Roberto Mazzon
Carlo Melchiori
Francesco Nascimben
Francesco Padovan
Claudio Rosan
Stefano Rosan
Paolo Rosso
Massimo Senis
Luciano Tegon
Andrea Zane
Mario Bazzellato
Vitaliano Bonicelli
Franco Contini
Alberto Deppieri
Cristiano Gasparini
Enzo Martinelli
Sara Martinelli
Luca Micconi
Stefano Neri
Giovanni Pancino
Paolo Scarabel
Giacomo Tagliapietra
Vilmo Furian
capo reparto
Fabio Barettin
vice capo reparto
Costantino Pederoda
vice capo reparto
Alberto Bellemo
Andrea Benetello
Marco Covelli
Federico Geatti
Roberto Nardo
Maurizio Nava
Marino Perini
nnp*
Alberto Petrovich
nnp*
Luca Seno
Teodoro Valle
Giancarlo Vianello
Massimo Vianello
Roberto Vianello
Alessandro Diomede
Michele Voltan
Alessandro Ballarin
capo reparto
Michele Benetello
Cristiano Faè
Stefano Faggian
Tullio Tombolani
Marco Zen
Nicola Frasson
Roberto Fiori
Marcello Valonta
capo reparto
Giorgio Mascia
Sara Valentina
Bresciani
vice capo reparto
Salvatore De Vero
Vittorio Garbin
Romeo Gava
Dario Piovan
Paola Ganeo
Roberto Pirrò
a termine
* nnp nominativo non pubblicato per mancato consenso
Interventi
scenografici
Sartoria
e vestizione
Carlos Tieppo
capo reparto
Emma Bevilacqua
vice capo reparto
Bernadette Baudhuin
Luigina Monaldini
Valeria Boscolo
Silvana Dabalà
Luisella Isicato
Stefania Mercanzin
Paola Milani
addetta calzoleria
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
LIRICA
E BALLETTO 2013-2014
Teatro La Fenice
23 / 26 / 27 / 29 / 30 novembre
1 dicembre 2013
Teatro Malibran
Teatro La Fenice
17 / 19 / 21 / 23 / 25 / 30 / 31 gennaio 15 / 16 / 21 / 23 / 25 / 27 febbraio
2014
4 / 6 / 8 / 15 marzo 2014
(L’africana)
La scala di seta
La traviata
musica di
musica di
L’africaine
musica di
Giacomo Meyerbeer
personaggi e interpreti principali
Inès Jessica Pratt / Zuzana Marková
Vasco de Gama Gregory Kunde /
Antonello Palombi
Sélika Veronica Simeoni / Patrizia
Biccirè
Nélusko Angelo Veccia / Luca Grassi
maestro concertatore e direttore
Emmanuel Villaume
regia Leo Muscato
scene Massimo Checchetto
costumi Carlos Tieppo
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro
La Fenice nel 150° anniversario della morte
di Giacomo Meyerbeer
Teatro La Fenice
18 / 19 / 20 / 21 / 22 dicembre 2013
Eifman Ballet di San Pietroburgo
Onegin
prima rappresentazione italiana
Boris Eifman
Pëtr Il’ič Čajkovskij e
Aleksandr Sitkoveckij
coreografia di
musiche di
personaggi e interpreti principali
Onegin Oleg Gabyšev / Sergej
Volobuev / Evgenij Grib
Tat’jana Ljubov’ Andreeva / Alina
Bakalova
Lenskij Dmitrij Fišer / Dmitrij Savinov
/ Nikolaj Radzjuš
Zinovij Margolin
costumi Olga Šaišmelašvili, Pëtr
Okunev
scene
Gioachino Rossini
personaggi e interpreti principali
Giulia Irina Dubrovskaya
Dorvil Giorgio Misseri
Germano Omar Montanari
maestro concertatore e direttore
Alessandro De Marchi /
Maurizio Dini Ciacci
regia Bepi Morassi
scene, costumi e luci Scuola di
scenografia dell’Accademia di
Belle Arti di Venezia
Giuseppe Verdi
personaggi e interpreti principali
Violetta Valéry Irina Lungu / Venera
Gimadieva
Alfredo Shalva Mukeria / Attilio
Glaser
Germont Vladimir Stoyanov /
Giuseppe Altomare
maestro concertatore e direttore
Diego Matheuz
regia Robert Carsen
scene e costumi Patrick Kinmonth
coreografia Philippe Giraudeau
Orchestra del Teatro La Fenice / Orchestra e Coro
Orchestra del Conservatorio
del Teatro La Fenice
Benedetto Marcello
maestro del Coro
nuovo allestimento Fondazione Teatro
La Fenice nell’ambito del progetto Atelier
della Fenice al Teatro Malibran
Teatro La Fenice
24 / 26 / 28 / 30 gennaio
1 febbraio 2014
La clemenza di Tito
musica di
Mozart
Wolfgang Amadeus
personaggi e interpreti principali
Tito Carlo Allemano
Vitellia Carmela Remigio
Sesto Monica Bacelli
Annio Raffaella Milanesi
maestro concertatore e direttore
Ottavio Dantone
regia Ursel e Karl-Ernst
Herrmann
scene e costumi Karl-Ernst
Herrmann
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Teatro Real di Madrid
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Teatro La Fenice
20 / 22 / 26 febbraio
2 / 5 / 7 / 9 / 18 / 20 marzo 2014
Il barbiere di Siviglia
musica di
Gioachino Rossini
personaggi e interpreti principali
Il conte d’Almaviva Giorgio Misseri
Bartolo Omar Montanari
Rosina Marina Comparato / Manuela
Custer
Figaro Julian Kim
Basilio Luca Dall’Amico / Mirco
Palazzi
maestro concertatore e direttore
Giovanni Battista Rigon
regia Bepi Morassi
scene e costumi Lauro Crisman
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
LIRICA
E BALLETTO 2013-2014
Teatro Malibran
28 febbraio
2 / 5 / 7 / 11 marzo 2014
Il campiello
musica di
Ermanno Wolf-Ferrari
personaggi e interpreti principali
Gasparina Roberta Canzian / Claudia
Pavone
Dona Cate Panciana Max René Cosotti
Luçieta Diana Mian / Anna Viola
Gnese Patrizia Cigna / Carolina Lippo
Il cavaliere Astolfi Maurizio Leoni
maestro concertatore e direttore
Stefano Romani
regia Paolo Trevisi
movimenti coreografici
Claudio Ronda
Orchestra Regionale Filarmonia
Veneta
Coro Li.Ve.
allestimento Teatro Sociale di Rovigo
progetto «I teatri del Veneto alla Fenice»
(Elegia per giovani amanti)
Hans Werner Henze
personaggi e interpreti principali
Gregor Mittenhofer Giuseppe Altomare
Dr. Reischmann Roberto Abbondanza
Toni Reischmann John Bellemer
Elisabeth Zimmer Zuzana Marková
Carolina von Kirchstetten Olga Zhuravel
Hilda Mack Gladys Rossi
maestro concertatore e direttore
regia, scene e costumi
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
19 / 22 / 24 / 27 / 29 aprile - 3 / 10 / 25 / 27 / 30 maggio 2014
La bohème
musica di Giacomo Puccini
personaggi e interpreti principali
Rodolfo Paulo Paolillo
Marcello Julian Kim
Mimì Carmen Giannattasio / Kristin Lewis
Musetta Francesca Dotto
maestro concertatore e direttore
Jader Bignamini
regia Francesco Micheli
scene Edoardo Sanchi
costumi Silvia Aymonino
26 / 30 aprile - 2 / 4 / 9 / 21 / 24 / 29 maggio - 1 giugno 2014
Elegy for Young Lovers
Jonathan Webb
Progetto Puccini
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Teatro Malibran
27 / 29 marzo
2 / 4 / 6 aprile 2014
musica di
Teatro La Fenice
19 aprile – 1 giugno 2013
Pier Luigi Pizzi
Orchestra del Teatro La Fenice
allestimento Fondazione Teatro delle Muse
di Ancona
Madama Butterfly
musica di Giacomo Puccini
personaggi e interpreti principali
Cio-Cio-San Amarilli Nizza
Suzuki Manuela Custer
F. B. Pinkerton Fabio Sartori / Matteo Lippi
Sharpless Elia Fabbian / Luca Grassi
maestro concertatore e direttore
Giampaolo Bisanti
regia Àlex Rigola
scene e costumi Mariko Mori
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
16 / 17 / 18 / 20 / 22 / 23 / 28 / 31 maggio 2014
Tosca
musica di Giacomo Puccini
personaggi e interpreti principali
Tosca Amanda Echalaz / Susanna Branchini
Cavaradossi Stefano Secco / Lorenzo Decaro
Scarpia Roberto Frontali / Angelo Veccia
maestro concertatore e direttore
Daniele Callegari
regia Serena Sinigaglia
scene Maria Spazzi
costumi Federica Ponissi
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
LIRICA
E BALLETTO 2013-2014
Teatro La Fenice
27 / 29 giugno
1 / 3 / 5 luglio 2014
Teatro La Fenice
11 / 14 / 17 / 20 / 24 / 26 / 28
settembre 2014
(La carriera di un libertino)
musica di
The Rake’s Progress
musica di
Igor Stravinskij
personaggi e interpreti principali
Anne Carmela Remigio
Tom Rakewell Juan Francisco Gatell
Nick Shadow Alex Esposito
maestro concertatore e direttore
Diego Matheuz
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro
La Fenice in coproduzione con Oper Leipzig
nell’ambito del festival «Lo spirito della
musica di Venezia»
Teatro La Fenice
26 / 27 / 29 / 30 / 31 agosto
2 / 3 / 7 / 19 / 25 settembre 2014
La traviata
musica di
Giuseppe Verdi
personaggi e interpreti principali
Violetta Patrizia Ciofi / Francesca
Dotto
Alfredo Shalva Mukeria / Leonardo
Cortellazzi
Germont Dimitri Platanias / Simone
Piazzola
maestro concertatore e direttore
Daniele Rustioni
regia Robert Carsen
scene e costumi Patrick Kinmonth
coreografia Philippe Giraudeau
Il trovatore
Giuseppe Verdi
Teatro La Fenice
11 / 12 / 14 / 15 / 16 / 17 / 18 / 19
ottobre 2014
Don Giovanni
musica di
Wolfgang Amadeus
Mozart
personaggi e interpreti principali
personaggi e interpreti principali
Il conte di Luna Artur Rucin’ski
Leonora Carmen Giannattasio / Kristin Don Giovanni Alessio Arduini /
Lewis
Azucena Veronica Simeoni
Manrico Gregory Kunde
maestro concertatore e direttore
Daniele Rustioni
regia Lorenzo Mariani
scene e costumi William Orlandi
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice in
coproduzione con la Fondazione Teatro
Regio di Parma
Alessandro Luongo
Donna Anna Jessica Pratt / Francesca
Dotto
Donna Elvira Maria Pia Piscitelli
Leporello Alex Esposito / Omar
Montanari
maestro concertatore e direttore
Stefano Montanari
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
Teatro La Fenice
18 / 21 / 23 / 27 settembre 2014
L’inganno felice
musica di
Gioachino Rossini
personaggi e interpreti principali
Bertrando Giorgio Misseri
Isabella Marina Bucciarelli
Ormondo Marco Filippo Romano
maestro concertatore e direttore
Stefano Montanari
regia Bepi Morassi
scene e costumi Scuola di
scenografia dell’Accademia di
Belle Arti di Venezia
Orchestra del Teatro La Fenice
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Teatro Malibran
24 / 26 / 28 / 30 ottobre
2 novembre 2014
La porta della legge
musica di
Salvatore Sciarrino
prima rappresentazione italiana
maestro concertatore e direttore
Tito Ceccherini
regia Johannes Weigand
scene e costumi Jürgen Lier
Orchestra del Teatro La Fenice
allestimento Wuppertaler Bühnen
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
progetto Atelier Malibran
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
STAGIONE
SINFONICA 2013-2014
Teatro La Fenice
8 novembre 2013 ore 20.00 turno S
10 novembre 2013 ore 17.00 turno U
direttore
Diego Matheuz
Arvo Pärt
Basilica di San Marco
18 dicembre 2013 ore 20.00 solo per
invito
19 dicembre 2013 ore 20.00 turno S
Teatro La Fenice
10 gennaio 2014 ore 20.00 turno S
12 gennaio 2014 ore 17.00 turno U
direttore e violino
Alessandro De Marchi
Stefano Montanari
Cantus in Memory of Benjamin Britten Georg Friedrich Händel
per orchestra d’archi e campana
Esther HWV 50: Ouverture
Samson HWV 57: «Let the bright
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Seraphim»
Variazioni su un tema rococò op. 33
Giuseppe Sammartini
per violoncello e orchestra
Concerto grosso in sol minore op. 5 n. 6
violoncello Emanuele Silvestri
Igor Stravinskij
Petruška (versione 1947)
Orchestra del Teatro La Fenice
«E sì com’io bevesse al fondo Lethe…»
nuova commissione nell’ambito del progetto
«Nuova musica alla Fenice» 2013-2014
dedicato a Giovanni Morelli
Gian Francesco Malipiero
Gabrieliana per piccola orchestra
Nino Rota
Messa in si minore BWV 232:
«Laudamus te»
Concerto per archi
Georg Friedrich Händel
Igor Stravinskij
Concerto per orchestra da camera
Dumbarton Oaks
Teatro La Fenice
6 dicembre 2013 ore 20.00 turno S
7 dicembre 2013 ore 17.00 turno U
Antonio Vivaldi
direttore
Johann Sebastian Bach
Hector Berlioz
Luigi Sammarchi
Johann Sebastian Bach
Theodora HWV 68: Ouverture
Sir John Eliot Gardiner
direttore
Concerto per violino, archi e continuo
RV 212
Messa in si minore BWV 232: «Et in
unum Dominum»
Ottorino Respighi
Antiche danze ed arie per liuto.
Suite n. 3 per orchestra d’archi
Orchestra del Teatro La Fenice
Quattro movimenti da Roméo et
Juliette op. 17
Alessandro Scarlatti
Il primo omicidio: Sinfonia
Teatro La Fenice
31 gennaio 2014 ore 20.00 turno S
2 febbraio 2014 ore 17.00 turno U*
Giuseppe Verdi
Arcangelo Corelli
direttore
Aida: Sinfonia (versione 1872)
Te Deum per doppio coro e orchestra
Concerto grosso in sol minore op. 6 n. 8
Diego Matheuz
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
Antonio Vivaldi
Gloria RV 589: «Laudamus te»
Luciano Berio
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
Orchestra del Teatro La Fenice
soprano Silvia Frigato
Quattro versioni originali della Ritirata
notturna di Madrid di Luigi Boccherini
Ottorino Respighi
mezzosoprano Marina De Liso
Passacaglia in do minore
tromba Piergiuseppe Doldi
Anton Webern
in collaborazione con la Procuratoria
di San Marco
Passacaglia op. 1
Franz Schubert
Sinfonia n. 4 in do minore D 417
Tragica
Orchestra del Teatro La Fenice
* in collaborazione con
gli Amici della Musica di Mestre
STAGIONE
SINFONICA 2013-2014
Teatro Malibran
7 febbraio 2014 ore 20.00 turno S
8 febbraio 2014 ore 17.00 turno U
Teatro La Fenice
12 marzo 2014 ore 20.00 turno S
Teatro La Fenice
23 marzo 2014 ore 20.00 turno S
direttore
direttore e solista
Yuri Bashmet
direttore e pianista
Georgij Sviridov
Arvo Pärt
John Axelrod
Vittorio Montalti
Claudio Marino Moretti
Für Alina per pianoforte
Salve Regina per coro misto e organo
nuova commissione nell’ambito del progetto
Fratres per violino e pianoforte
«Nuova musica alla Fenice» 2013-2014
Il tredicesimo, sinfonia per viola e archi The Beatitudes per coro misto e organo
dedicato a Giovanni Morelli
trascrizione di Aleksandr Čajkovskij
Variationen zur Gesundung von
del Quartetto n. 13 op. 138
Béla Bartók
Arinuschka per pianoforte
viola Yuri Bashmet
Veni creator per coro misto e organo
Divertimento per archi
Littlemore Tractus per coro misto e
Igor
Stravinskij
Gustav Mahler
organo
Adagio dalla Sinfonia n. 10 in fa diesis Concerto in re per archi
Spiegel im Spiegel per violino e
maggiore
Andrea Liberovici
pianoforte
Non un silenzio per viola e orchestra
Magnificat per coro misto a cappella
Jean Sibelius
da e per Giovanni
Sinfonia n. 7 in do maggiore op. 105
violino Roberto Baraldi
prima esecuzione assoluta
Orchestra del Teatro La Fenice viola Yuri Bashmet
organo Ulisse Trabacchin
Unnamed Machineries
Sinfonia da camera per archi op. 14
Dmitrij Šostakovič
Toru Takemitsu
Tre colonne sonore per archi
I Solisti di Mosca
Teatro La Fenice
14 marzo 2014 ore 20.00 turno S
16 marzo 2014 ore 17.00 turno U
direttore
Jeffrey Tate
Jean Sibelius
Sinfonia n. 6 in re minore op. 104
Edward Elgar
Sinfonia n. 2 in mi bemolle maggiore
op. 63
Orchestra del Teatro La Fenice
Coro del Teatro La Fenice
STAGIONE
SINFONICA 2013-2014
Teatro Malibran
11 aprile 2014 ore 20.00 turno S
13 aprile 2014 ore 17.00 turno U
Teatro Malibran
6 giugno 2014 ore 20.00 turno S
7 giugno 2014 ore 20.00 f.a.
Teatro La Fenice
15 giugno 2014 ore 20.00 turno S
direttore
direttore
Claudio Marino Moretti
Igor Stravinskij
Mauro Lanza
Marco Angius
Variations
(Aldous Huxley in memoriam)
Luca Mosca
Quinto concerto. Undici frammenti
in un girotondo per pianoforte e
orchestra
pianoforte Luca Mosca
Bruno Maderna
Diego Matheuz
Nuova commissione
Four 2 per coro a cappella
Morton Feldman
Maurice Ravel
Wolfgang Rihm
Ma mère l’Oye
Elliott Carter
Holiday Ouverture
Manuel de Falla
Goffredo Petrassi
Igor Stravinskij
Frammento
Suite dal balletto L’uccello di fuoco
(versione 1945)
Symphony in three movements
John Cage
nell’ambito del progetto
«Nuova musica alla Fenice» 2013-2014
dedicato a Giovanni Morelli
Introduzione e passacaglia Lauda Sion
Salvatorem
Igor Stravinskij
direttore
For Stefan Wolpe per coro misto e due
vibrafoni
Astralis («Über die Linie» III) per piccolo
coro, violoncello e timpani
Coro del Teatro La Fenice
El amor brujo: Danza ritual del fuego
Orchestra del Teatro La Fenice
Orchestra del Teatro La Fenice
Teatro Malibran
13 giugno 2014 ore 20.00 turno S
14 giugno 2014 ore 20.00 f.a.
direttore
Gaetano d’Espinosa
Maurice Ravel
Le tombeau de Couperin
Autore da definire
Concerto per pianoforte e orchestra
pianoforte Vincitore del Premio
Venezia 2013
Elliott Carter
Elegy per orchestra d’archi
Luciano Berio
Rendering
Orchestra del Teatro La Fenice
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
FONDAZIONE
AMICI
DELLA
Il Teatro La Fenice, nato nel 1792 dalle ceneri
del vecchio Teatro San Benedetto per opera di
Giannantonio Selva, appartiene al patrimonio
culturale di Venezia e del mondo intero: come ha
confermato l’ondata di universale commozione
dopo l’incendio del gennaio 1996 e la spinta di
affettuosa partecipazione che ha accompagnato
la rinascita a nuova vita della Fenice, ancora una
volta risorta dalle sue ceneri.
Imprese di questo impegno spirituale e materiale,
nel quadro di una società moderna, hanno
bisogno di essere appoggiate e incoraggiate
dall’azione e dall’iniziativa di istituzioni e
persone private: in tale prospettiva si è costituita
nel 1979 l’Associazione «Amici della Fenice»,
con lo scopo di sostenere e affiancare il Teatro
nelle sue molteplici attività e d’incrementare
l’interesse attorno ai suoi allestimenti e ai suoi
programmi. La Fondazione Amici della Fenice
attende la risposta degli appassionati di musica e
di chiunque abbia a cuore la storia teatrale e
culturale di Venezia: da Voi, dalla Vostra
partecipazione attiva, dipenderà in misura
decisiva il successo del nostro progetto.
Sentitevi parte viva del nostro Teatro!
Associatevi dunque e fate conoscere le nostre
iniziative a tutti gli amici della musica, dell’arte
e della cultura.
Quote associative
Ordinario € 60
Sostenitore € 120
Benemerito € 250
Donatore € 500
I versamenti vanno effettuati su
Iban: IT50Q0634502000100000007406
Cassa di Risparmio di Venezia,
Gruppo Intesa San Paolo
intestati a
Fondazione Amici della Fenice
Campo San Fantin 1897, San Marco
30124 Venezia
Tel e fax: 041 5227737
FENICE
Consiglio direttivo
Luciana Bellasich Malgara, Alfredo Bianchini,
Carla Bonsembiante, Jaja Coin Masutti, Emilio
Melli, Antonio Pagnan, Orsola Spinola, Paolo
Trentinaglia de Daverio, Barbara di Valmarana
Presidente Barbara di Valmarana
Tesoriere Luciana Bellasich Malgara
Revisori dei conti Carlo Baroncini, Gianguido
Ca’ Zorzi
Contabilità Nicoletta di Colloredo
Segreteria organizzativa Maria Donata Grimani,
Alessandra Toffanin
Viaggi musicali Teresa De Bello
I soci hanno diritto a:
• Inviti a conferenze di presentazione delle
opere in cartellone
• Partecipazione a viaggi musicali organizzati
per i soci
• Inviti ad iniziative e manifestazioni musicali
• Inviti al «Premio Venezia», concorso
pianistico
• Sconti al Fenice-bookshop
• Visite guidate al Teatro La Fenice
• Prelazione nell’acquisto di abbonamenti e
biglietti fino ad esaurimento dei posti
disponibili
• Invito alle prove aperte per i concerti e le
opere
Le principali iniziative della Fondazione
• Restauro del Sipario Storico del Teatro La
Fenice: olio su tela di 140 mq dipinto da
Ermolao Paoletti nel 1878, restauro eseguito
grazie al contributo di Save Venice Inc.
• Commissione di un’opera musicale a Marco
Di Bari nell’occasione dei 200 anni del Teatro
La Fenice
• Premio Venezia Concorso Pianistico
• Incontri con l’opera
e-mail: [email protected] - sito web: www.amicifenice.it
INIZIATIVE PER IL TEATRO DOPO L’INCENDIO
EFFETTUATE GRAZIE AL CONTO «RICOSTRUZIONE»
Restauri
• Modellino ligneo settecentesco del Teatro La Fenice dell’architetto Giannantonio Selva, scala 1: 25
• Consolidamento di uno stucco delle Sale Apollinee
• Restauro del sipario del Teatro Malibran con un contributo di Yoko Nagae Ceschina
Donazioni
Sipario del Gran Teatro La Fenice offerto da Laura Biagiotti a ricordo del marito Gianni Cigna
Acquisti
• Due pianoforti a gran coda da concerto Steinway
• Due pianoforti da concerto Fazioli
• Due pianoforti verticali Steinway
• Un clavicembalo
• Un contrabbasso a 5 corde
• Un Glockenspiel
• Tube wagneriane
• Stazione multimediale per Ufficio Decentramento
PUBBLICAZIONI
Il Teatro La Fenice. I progetti, l’architettura, le decorazioni, di Manlio Brusatin e Giuseppe Pavanello, con un saggio di Cesare De Michelis, Venezia, Albrizzi, 19871, 19962 (dopo l’incendio);
Il Teatro La Fenice. Cronologia degli spettacoli, 1792-1991, 2 voll., di Michele Girardi e Franco Rossi, Venezia, Albrizzi, 1989-1992 (pubblicato con il contributo di Yoko Nagae Ceschina);
Gran Teatro La Fenice, a cura di Terisio Pignatti, con note storiche di Paolo Cossato, Elisabetta Martinelli Pedrocco, Filippo Pedrocco, Venezia, Marsilio, 19811, 19842, 19943;
L’immagine e la scena. Bozzetti e figurini dall’archivio del Teatro La Fenice, 1938-1992, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1992;
Giuseppe Borsato scenografo alla Fenice, 1809-1823, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio,
1995;
Francesco Bagnara scenografo alla Fenice, 1820-1839, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio,
1996;
Giuseppe e Pietro Bertoja scenografi alla Fenice, 1840-1902, a cura di Maria Ida Biggi e Maria Teresa Muraro, Venezia, Marsilio, 1998;
Il concorso per la Fenice 1789-1790, di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1997;
I progetti per la ricostruzione del Teatro La Fenice, 1997, Venezia, Marsilio, 2000;
Teatro Malibran, a cura di Maria Ida Biggi e Giorgio Mangini, con saggi di Giovanni Morelli e Cesare De Michelis, Venezia, Marsilio, 2001;
La Fenice 1792-1996. Il teatro, la musica, il pubblico, l’impresa, di Anna Laura Bellina e Michele Girardi, Venezia, Marsilio, 2003;
Il mito della fenice in Oriente e in Occidente, a cura di Francesco Zambon e Alessandro Grossato, Venezia, Marsilio, 2004;
Pier Luigi Pizzi alla Fenice, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 2005;
A Pier Luigi Pizzi. 80, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Amici della Fenice, 2010.
FONDAZIONE
AMICI
DELLA
Built in 1792 by Gian Antonio Selva, Teatro La
Fenice is part of the cultural heritage of not
only Venice but also the whole world, as was
shown so clearly by the universal emotion
expressed after the fire in January 1996 and the
moving participation that was behind the
rebirth of La Fenice, which once again arose
from the ashes.
In modern-day society, enterprises of spiritual
and material commitment such as these need
the support and encouragement of actions and
initiatives by private institutions and figures.
Hence, in 1979, the Association “Amici della
Fenice” was founded with the aim of
supporting and backing the Opera House in its
multiple activities and increasing interest in its
productions and programmes.
The new Fondazione Amici della Fenice [Friends
of La Fenice Foundation] is awaiting an answer
from music lovers or anyone who has the opera
and cultural history of Venice at heart: the
success of our project depends considerably on
you, and your active participation.
Make yourself a living part of our Theatre!
Become a member and tell all your friends of
music, art and culture about our initiatives.
Membership fee
Regular Friend
Supporting Friend
Honoray Friend
Premium Friend
€ 60
€ 120
€ 250
€ 500
To make a payment:
Iban: IT50Q0634502000100000007406
Cassa di Risparmio di Venezia,
Gruppo Intesa San Paolo
In the name of
Fondazione Amici della Fenice
Campo San Fantin 1897, San Marco
30124 Venezia
Tel and fax: +39 041 5227737
FENICE
Board of Directors
Luciana Bellasich Malgara, Alfredo Bianchini,
Carla Bonsembiante, Jaja Coin Masutti, Emilio
Melli, Antonio Pagnan, Orsola Spinola, Paolo
Trentinaglia de Daverio, Barbara di Valmarana
President Barbara di Valmarana
Treasurer Luciana Bellasich Malgara
Auditors Carlo Baroncini, Gianguido Ca’ Zorzi
Accounting Nicoletta di Colloredo
Organizational secretary Maria Donata
Grimani, Alessandra Toffanin
Music trips Teresa De Bello
Members have the right to:
• Invitations to conferences presenting
performances in the season’s programme
• Take part in music trips organized for the
members
• Invitations to music initiatives and events
• Invitations to «Premio Venezia», piano
competition
• Discounts at the Fenice-bookshop
• Guided tours of Teatro La Fenice
• First refusal in the purchase of season tickets
and tickets as long as seats are available
• Invitation to rehearsals of concerts and
operas open to the public
The main initiatives of the Foundation
• Restoration of the historic curtain of Teatro
La Fenice: oil on canvas, 140 m2 painted by
Ermolao Paoletti in 1878, restoration made
possible thanks to the contribution by Save
Venice Inc.
• Commissioned Marco Di Bari with an opera
to mark the 200th anniversary of Teatro La
Fenice
• Premio Venezia Piano Competition
• Meetings with opera
e-mail: [email protected] - website: www.amicifenice.it
THE TEATRO’S INITIATIVES AFTER THE FIRE
MADE POSSIBLE THANKS TO THE «RECONSTRUCTION» BANK ACCOUNT
Restorations
• Eighteenth-century wooden model of Teatro La Fenice by the architect Giannantonio Selva, scale
1:25
• Restoration of one of the stuccos in the Sale Apollinee
• Restoration of the curtain in Teatro Malibran with a contribution from Yoko Nagae Ceschina
Donations
Curtain of Gran Teatro La Fenice donated by Laura Biagiotti in memory of her husband Gianni
Cigna
Purchases
• Two Steinway concert grand pianos
• Two Fazioli concert pianos
• Two upright Steinway pianos
• One harpsichord
• A 5-string double bass
• A Glockenspiel
• Wagnerian tubas
• Multi-media station for Decentralised Office
PUBLICATIONS
Il Teatro La Fenice. I progetti, l’architettura, le decorazioni, by Manlio Brusatin and Giuseppe
Pavanello, with the essay of Cesare De Michelis, Venezia, Albrizzi, 19871, 19962 (after the fire);
Il Teatro La Fenice. Cronologia degli spettacoli, 1792-1991, by Franco Rossi and Michele Girardi,
with the contribution of Yoko Nagae Ceschina, 2 volumes, Venezia, Albrizzi, 1989-1992;
Gran Teatro La Fenice, ed. by Terisio Pignatti, with historical notes of Paolo Cossato, Elisabetta
Martinelli Pedrocco, Filippo Pedrocco, Venezia, Marsilio, 1981 I, 1984 II, 1994 III;
L’immagine e la scena. Bozzetti e figurini dall’archivio del Teatro La Fenice, 1938-1992, ed. by Maria
Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1992;
Giuseppe Borsato scenografo alla Fenice, 1809-1823, ed. by Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1995;
Francesco Bagnara scenografo alla Fenice, 1820-1839, ed. by Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1996;
Giuseppe e Pietro Bertoja scenografi alla Fenice, 1840-1902, ed. by Maria Ida Biggi and Maria Teresa
Muraro, Venezia, Marsilio, 1998;
Il concorso per la Fenice 1789-1790, by Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1997;
I progetti per la ricostruzione del Teatro La Fenice, 1997, Venezia, Marsilio, 2000;
Teatro Malibran, ed. by Maria Ida Biggi and Giorgio Mangini, with essays of Giovanni Morelli and
Cesare De Michelis, Venezia, Marsilio, 2001;
La Fenice 1792-1996. Il teatro, la musica, il pubblico, l’impresa, by Anna Laura Bellina and Michele
Girardi, Venezia, Marsilio, 2003;
Il mito della fenice in Oriente e in Occidente, ed. by Francesco Zambon and Alessandro Grossato,
Venezia, Marsilio, 2004;
Pier Luigi Pizzi alla Fenice, edited by Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 2005;
A Pier Luigi Pizzi. 80, edited by Maria Ida Biggi, Venezia, Amici della Fenice, 2010.
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
«La Fenice prima dell’Opera», 2012-2013
«La Fenice prima dell’Opera», 2013-2014
a cura di Michele Girardi – ISSN 2280-8116
a cura di Michele Girardi – ISSN 2280-8116
GIUSEPPE VERDI, Otello, 1, 174 pp. ess. mus.: saggi di Guido
Paduano, Anselm Gerhard, Marco Marica, Francesco Micheli, Emanuele Bonomi
RICHARD WAGNER, Tristan und Isolde, 2, 204 pp. ess. mus.:
saggi di Virgilio Bernardoni, Guido Paduano, Riccardo
Pecci
GIUSEPPE VERDI, I masnadieri, 3, 150 pp. ess. mus.: saggi di
Anselm Gerhard, Emanuele d’Angelo, Emanuele Bonomi
LEOŠ JANÁČEK, Věc Macropulos, 4, 176 pp. ess. mus.: saggi di
Michele Girardi, Vincenzina Ottomano, Max Brod, Emanuele Bonomi
GIACOMO PUCCINI, Madama Butterfly, 5, 152 pp. ess. mus.:
saggi di Riccardo Pecci, Dieter Schickling, Michele Girardi, Emanuele Bonomi
SALVATORE SCIARRINO, Aspern, 6, 144 pp. ess. mus.: saggi di
Gianfranco Vinay, Giorgio Pestelli, Salvatore Sciarrino e
Anna Maria Morazzoni, Emanuele Bonomi
GIACOMO MEYERBEER, L’africaine, 1, 192 pp. ess. mus.: saggi
di Anselm Gerhard, Tommaso Sabbatini, Emanuele
Bonomi
WOLFGANG AMADEUS MOZART, La clemenza di Tito, 2, 146 pp.
ess. mus.: saggi di Sergio Durante, Emanuele d’Angelo, Emanuele Bonomi
ERMANNO WOLF-FERRARI, Il campiello, 3, 162 pp. ess. mus.:
saggi di Carlo Vitali, Federico Fornoni, Emanuele Bonomi
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
Responsabile musicologico
Michele Girardi
Redazione
Michele Girardi, Elena Tonolo
con la collaborazione di
Pierangelo Conte
Ricerche iconografiche
Marina Dorigo, Michele Girardi,
Barbara Montagner, Elena Tonolo
Progetto e realizzazione grafica
Marco Riccucci
Edizioni del Teatro La Fenice di Venezia
a cura dell’Ufficio stampa
ISSN
2280-8116
Supplemento a
La Fenice
Notiziario di informazione musicale culturale e avvenimenti culturali
della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
dir. resp. Cristiano Chiarot
aut. trib. di Ve 10.4.1997
iscr. n. 1257, R.G. stampa
concessionarie per la pubblicità
A.P. Comunicazione
Fest srl
finito di stampare
nel mese di febbraio 2014
da L’Artegrafica S.n.c. - Casale sul Sile (TV)
00
€
15,
Presidente
Fabio Cerchiai
Consiglio d’Amministrazione
Fabio Achilli
Ugo Campaner
Fabio Cerchiai
Cristiano Chiarot
Franca Coin
Giovanni Dell’Olivo
Jas Gawronski
Francesco Panfilo
Luciano Pasotto
Eugenio Pino
Vittorio Radice
Responsabile
Giusi Conti
Collegio Sindacale
Giampietro Brunello
Presidente
Giancarlo Giordano
Paolo Trevisanato
FEST srl
Fenice Servizi Teatrali
La Fenice prima dell’Opera 2013-2014
3
2013-2014
3
Fondazione
Teatro La Fenice di Venezia
C
ermanno wolf-ferrari il campiello
il
Stagione 2013-2014
Lirica e Balletto
Ermanno Wolf-Ferrari
ampiello
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
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