1 - Cinaglio, Piccola guida dei beni artistici

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LICEO ARTISTICO STATALE
“B. ALFIERI” - ASTI
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Piccola guida dei beni artistici di Cinaglio!
A cura della classe QUINTA sez. Rilievo e Catalogazione (A. S. 2013-14)
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LICEO ARTISTICO STATALE
“B. ALFIERI” - ASTI
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Piccola guida dei beni artistici di Cinaglio!
A cura della classe QUINTA sez. Rilievo e Catalogazione (A. S. 2013-14)
PRESENTAZIONE DEL SINDACO,
DOTT.SSA VALERIA DEZZANI
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PREFAZIONE
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Nel corso dell’anno scolastico 2012-13 la classe Quinta dell’indirizzo Rilievo e Catalogazione del
Liceo Artistico “B. Alfieri” ha iniziato un percorso di studio e di ricerca sui beni culturali di
Cinaglio. La sollecitazione a compiere la rilevazione dei beni artistici presenti nel territorio
cinagliese è giunta dalla professoressa Giovanna Fracchia, docente di Chimica dei materiali della
classe e originaria del paese.
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Si è organizzata così la ricerca secondo le metodologie previste dalla catalogazione dei beni
culturali: sopralluoghi per misurazioni e raccolta di materiale fotografico e dati d’archivio,
ricerche bibliografiche ed informatiche, consultazione di documenti presso l’Archivio della Curia
Vescovile di Asti, infine elaborazione di schede di Catalogazione, secondo le tipologie proposte
dalle Soprintendenze. Il lavoro, coordinato dalle insegnanti di Storia dell’Arte/Catalogazione e di
Lettere, si è concluso nell’anno scolastico 2013-14 con la realizzazione di questa Piccola guida ai
beni artistici di Cinaglio, che documenta la ricerca svolta con passione da tutta la classe.
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Al termine della ricerca, si vuole sottolineare la forte valenza educativa e didattica del lavoro, che
ha permesso ai ragazzi di raggiungere una piena consapevolezza del patrimonio storico e artistico
locale e delle problematiche connesse alla sua conservazione e valorizzazione, obiettivi specifici
di un corso di studi che, purtroppo, non è più contemplato tra gli indirizzi dell’attuale scuola
secondaria.
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Insegnanti ed allievi ringraziano sentitamente per la disponibilità e collaborazione:
Don Vincenzo Balsamo
Dott.ssa Debora Ferro, ACVA
Francesco Ferrero
Rita Ghiglione
Aldina Morbello
Famiglia Dezzani Barbano
Fabio Bertoglio
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Gli allievi della Classe V Indirizzo Rilievo e Catalogazione Anno scolastico 2013/14
ISTITUTO SUPERIORE “V. ALFIERI”
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SEZIONE LICEO ARTISTICO “B. ALFIERI” ASTI
BALDIN Fabiano
BONANSONE Marianna
FERRERO Stefano
GALLIZIO Elena
GIOANOLA Annachiara
KHLOPTSEVA Darya
LENTINI Veronica
MIGHETTO Andrea
PAROLA Greta
POLETTO Valentina
SANTANGELO Morena
SANZO Gabriele
TARTAGLINO Serena
PICOLLO Matilde, docente di Storia dell’Arte e Catalogazione
ZAMBRUNO Elisabetta, docente di Lettere
NOTIZIE STORICHE
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Cinaglio sorge in collina, a poca distanza dalla valle del rio Rilate. Il territorio circostante presenta
un notevole interesse dal punto di vista paleontologico: in località Gorghi infatti sono venuti alla
luce resti di animali preistorici di grandi dimensioni, sepolti nelle sabbie gialle del periodo
“astiano”. Si presume che la zona in cui sorge oggi il paese sia stata già frequentata in epoca
romana, poiché nell’attuale Val Rilate correva la strada che collegava Hasta a Industria, oggi
Monteu da Po e, in direzione di Cinaglio, il percorso attraversava la valle San Michele e
proseguiva in altura verso Casasco e Soglio, per poi dirigersi nei territori di Montiglio e
Cocconato.
Nei secoli X e XI il territorio di Cinaglio si trovava in un’area caratterizzata da diversi
insediamenti e da una foresta molto estesa, detta silva de Andona, confermata tra i possessi del
vescovo di Asti nei diplomi dell’imperatore Ottone I (962) e dell’imperatore Enrico III (1041);
tali possedimenti furono ceduti in feudo al Monastero di Santa Maria di Rocca delle Donne
(presso Camino) e ai signori locali (i Casasco che, a loro volta,lo cedettero ai signori di
Camerano). Successivamente, nel 1190, è attestato per la prima volta il toponimo* Cinaglum: in un
documento, Manfredo, consignore di Cinaglio, vende un terreno da lui posseduto nel territorio di
Vaglierano (Eidoux 1983): si tratta della più antica testimonianza relativa all’esistenza del paese,
sorto probabilmente nell’ambito del processo di “incastellamento” che interessò gran parte del
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territorio astigiano intorno all’anno Mille (Bordone 1976). Il fenomeno è caratterizzato dalla
trasformazione degli insediamenti sparsi dei secoli antecedenti al X verso forme più organizzate,
attraverso i castra o villaggi fortificati. Nel 1198, in occasione del conflitto tra Asti e i Marchesi
del Monferrato, alcuni signori locali, Ascherio e Giacomo di Cinaglio, sottoscrissero il contratto
di cittadinanza, impegnandosi a pagare una tassa e a prestare aiuto militare agli Astigiani (Eidoux
1982). Due documenti, uno del 1227 e l’altro del 1246, attestano che alcune famiglie del paese
detennero beni per conto del Capitolo della Cattedrale di Asti; i consegnatari dichiararono i beni
detenuti e gli oneri a proprio carico: la metà del fieno e un terzo degli altri prodotti (Eidoux
1982). Ciò confermerebbe la consistente presenza di beni ecclesiastici nel territorio di Cinaglio
nel XIII secolo. Un grave episodio bellico che interessa Cinaglio è citato negli Annali piacentini
guelfi, dove si ricorda che la Lega Lombardaprese d’assedio Chivasso nel 1231 e una parte
dell’esercito “si spinse di nuovo fin presso Asti, dove prese il luogo di Cinaglie” (Merkel 1890).
La villa di Cinaglio viene ricordata negli statuti cittadini del 1379 tra le località direttamente
dipendenti dalla giurisdizione astese. Pochi anni dopo, nel 1381, Cinaglio fu compresa nella
riorganizzazione territoriale e amministrativa operata dai Visconti, signori di Milano e sancita nei
patti di dedizione a Iacopo del Verme, capitano di Gian Galeazzo Visconti: erano stabiliti il
disarmo permanente della villa e delle sue fortificazioni, ormai demolite, il consolidamento dei
vincoli verso la città di Asti e le sue magistrature sotto il dominio visconteo e infinel’istituzione di
un vincolo fiscale. Nel 1386 Cinaglio fu incluso nella dote assegnata da Gian Galeazzo Visconti
alla figlia Valentina, andata in sposa a Luigi di Valois, duca di Orlèans. Al momento del passaggio
di Asti nel ducato di Savoia (1531), Cinaglio, seguendo la stessa sorte, vide incrementare il peso
della tassazione: iniziò un periodo di contrapposizione tra la comunità di Cinaglio e la città di
Asti, che si concluse nel 1581 con il riconoscimento di uno sgravio fiscale da parte del Duca
Emanuele Filiberto. Nel 1619 il feudo di Cinaglio, ancora in possesso dei signori di Casasco e poi
degli Asinari, che avevano acquistato anche la parte del monastero di Santa Maria,passò al conte
Giovanni Antonio Caissotti insieme a Chiusano. La famiglia risiedeva a Cuneo e non percepiva
alcun reddito dal luogo.
Nel 1751, dopo secoli di resistenza a qualsiasi forma di sistemazione e ridefinizione delle
proprietà ai fini fiscali, si diede inizio alla redazione di un nuovo Catasto, documento attualmente
conservato nell’Archivio Comunale e ancora oggi fonte importante per la ricostruzione storica
delle vicende del paese. Il paese conserva le tracce del suo passato medioevale, ben visibili nella
struttura del nucleo centrale dell’abitato, che ancora oggi ricorda l’esistenza di un insediamento
fortificato o ricetto, delimitato da un fossato difensivo. Il permanere di denominazioni come
“Ponte”, in riferimento al tratto di strada che porta verso la chiesa romanica di San Felice sembra
confermare la presenza di elementi di difesa come un ponte levatoio, così come la
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denominazione della località “Castello”, nelle vicinanze del paese, potrebbe riferirsi al nucleo
fortificato primitivo, successivamente demolito al tempo della dominazione viscontea.
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* Il toponimo Cinaglio, secondo il Massia (1917), deriverebbe dal latino cenaculum, a indicare una
locanda o taverna, o luogo di sosta lungo la strada proveniente da Industria, ormai giunta in
prossimità di Asti. Un’interessante etimologia potrebbe derivare da una variante del toponimo,
Cinagium, attestata in una località denominata ugualmente Cinaglio, (Sinaccio o Sinacc in dialetto),
che si trova nei pressi di Ozzano, vicino a Casale: secondo A. E. Mille (Abrégé chronologique de
l’histoire ecclésiastique, civile et littéraire de Bourgogne 1773) il termine cenagium o coenaticum indicava il
diritto di spesare i vescovi e i loro arcidiaconi quando visitavano le diocesi. In questo senso si
potrebbe anche pensare ad un toponimo legato alla più antica presenza ecclesiastica nel territorio
di Cinaglio. Un’altra etimologia del termine cenagium viene citata nel Glossarium mediae et infimae
latinitatis del Du Cange e indicherebbe il diritto di pesca. Se si pensa all’importanza del consumo
di pesce nel Medio Evo, in relazione alle pratiche religiose, il termine potrebbe riferirsi
all’allevamentodi pesci di acqua dolce, come lamprede e anguille, che avveniva in acque basse,
torrenti, fossati, paludi, (presenti nel territorio di Cinaglio in località Gorghi, dove sono visibili
grandi vasche, utilizzate ancora negli anni Quaranta del Novecento per la macerazione della
canapa).
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CHI È SAN FELICE?
San Felice è il patrono di Cinaglio e a lui sono dedicate sia la chiesa romanica sia la chiesa
parrocchiale (insieme a San Giorgio).Il Santo venerato oggi dai Cinagliesi è San Felice da Nola,
prete, per distinguerlo da un omonimo santo, considerato il primo vescovo di Nola. Il titolo del
Santo di Nola è documentato a Cinaglio solo a partire dalla visita pastorale di Monsignor Lobetti
del 1838.
La storia di San Felice in Pincis, identificato con il Felice prete di Nola del III secolo d.C., fu
narrata per la prima volta da San Paolino, vescovo di Nola. Paolino, rifacendosi alla tradizione
popolare, compose la prima biografia di Felice, dedicando al Santo quattordici poemi della sua
produzione. San Felice nacque a Nola nella da padre siriano. Si consacrò a Cristo ed entrò a far
parte del clero di Nola, cominciando come lettore e giungendo fino al presbiterato. Scoppiata
una persecuzione, il vescovo Massimo si ritirò in esilio, lasciando a Nola il prete Felice, ma anche
lui venne arrestato, chiuso in carcere e torturato. Qui gli apparve un angelo che, liberatolo
miracolosamente, lo condusse nel luogo dove il santo vescovo, consumato dagli stenti e dalle
sofferenze, era prossimo a morire. Felice curò il vescovo con succo d’uva e lo riportò a spalle a
Nola, dove lo affidò alle cure di un’anziana donna. Felice riprese la sua opera di pastore, mentre
la persecuzione sembrava avere una tregua, ma, al riaccendersi di questa, si sottrasse
ripetutamente alla cattura grazie ad una serie di miracoli, infine si nascose in una cisterna, dove
per sei mesi venne servito, senza essere conosciuto, da una donna. Cessata la persecuzione e
morto il santo vescovo Massimo, Felice tornò a Nola dove, per umiltà, non accettò la
consacrazione episcopale in favore del prete Quinto. Visse coltivando un piccolo pezzo di terra,
presa in affitto. Morì in seguito alle torture subite durante la persecuzione,e pur non avendo
subito il martirio, venne venerato come martire e confessore della fede. San Paolino di Nola nel
carme 18 riferisce che San Felice fu seppellito in una solitaria e profumata «campagna», ma non
fornisce indicazioni sulla tipologia della sepoltura. La scoperta della tomba avvenne il 26 maggio
1955, attraverso gli scavi iniziati nel 1933, condotti da Gino Chierici. I ritrovamenti appurarono
che San Felice fu inumato, alla fine del III secolo, in una tomba in mattoni, nell’ambito della
necropoli costituita da edifici funerari e sepolture, situata a nord della città di Nola, nella località
di Cimitile. Qui, infatti, dalla prima metà del IV secolo, intorno alla venerata tomba si sviluppò
un santuario noto in tutto l’Occidente cristiano, meta di pellegrinaggi sino al XVIII secolo. Il
complesso basilicale è costituito da sette edifici di culto, di età paleocristiana e medievale. Il Santo
di Nola può essere considerato lo sdoppiamento di un altro San Felice, anch’egli prete, venerato
a Roma e raffigurato, insieme al compagno Adautto, in uno dei primissimi affreschi
paleocristiani, nel Cimitero di Comodilla.
Il culto di San Felice ebbe grande diffusione nel VII secolo, quando venne composta la Passio
Felicis, il racconto poetico della sua vita. In esso si legge che Felice, condannato a morte e
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condotto al supplizio lungo la via per il mare, venne
affiancato da uno sconosciuto che dichiarò ai soldati
romani di voler condividere la stessa sorte. I militi lo
accontentarono senza indugi, decapitando entrambi. La
comunità ecclesiastica, volendo conservare memoria di
questo gesto coraggioso, attribuì all’ignoto un nome
simbolico: Adauctus (che in latino significa «aggiunto»). Ai
due martiri venne dedicata una cripta, trasformata da Papa
S i r i ci o (3 8 4 -3 9 9 ) i n u n a b a s i l i ca s o tter r a n ea ,
successivamente ampliata e abbellita da Giovanni I
(523-526) e Leone III (795-816), diventando meta di
pellegrinaggi anche in epoca medievale. Papa Leone IV
(847-855) donò le reliquie dei due martiri alla devota
Ermengarda, moglie di Lotario (dinastia carolingia),
San Felice martire lodigiano,
bottega lodigiana, sec. XV
contribuendo a diffonderne il culto nel Nord Europa.
Una seconda tradizione, documentata in particolare nella
chiesa milanese, fa di San Felice un soldato romano di origine nordafricana, arrivato a Milano nel
IV secolo. Convertitosi al Cristianesimo, incontrò il martirio per decapitazione insieme al
compagno Nabore, nella città di Lodi. I due Santi sono raffigurati tradizionalmente con la
corazza e la palma del martirio oppure come cavalieri. Anche in questo caso il culto diede origine
a sovrapposizioni, come il culto dei santi Felice e Fortunato, venerati ad Aquileia, Vicenza e
Venezia.
Infine, bisogna ricordare un riferimento presente nel Calendario Liturgico della Regione
Piemontese (Centini 2010), in cui si accenna ad un San Felice, martire della legione tebea,
venerato in diverse località del Piemonte, tra cui Cinaglio. Il Santo è raffigurato come un soldato
romano e fa parte della folta schiera di santi, più o meno immaginari, che patirono il martirio ad
Agaunum in Svizzera, tra cui i più noti sono i martiri torinesi, capeggiati da San Maurizio. San
Felice, martire tebeo, è venerato a San Giorgio Canavese, dove le sue spoglie sono conservate
all’interno di una statua cultuale, conservata nella chiesa di San Felice, nella località di Borgo
Ritania. Viene ricordato che la festa del Santo ricorre l’8 di agosto, mentre a Cinaglio è
festeggiato il 12 luglio, data in cui tradizionalmente viene festeggiato il San Felice, martire
milanese insieme a Nabore, entrambi di origine africana come i Santi Tebei.
Chi è il San Felice di Cinaglio? Per trovare una risposta chiediamo aiuto alle immagini: la più
antica raffigurazione del Santo conservata a Cinaglio è un busto reliquiario, esposto sull’altare
della Madonna Assunta nella chiesa parrocchiale, che rappresenta il Santo con la barba e con i
paramenti sacerdotali, indubbiamente un San Felice prete.Verso la metà del Settecento il Vescovo
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Felissano visitò le chiese del paese e vietò l’esposizione del
busto, per mancanza di sigilli e autentiche. Fu forse questo
il motivo che spinse i fedeli di Cinaglio a provvedersi di
nuove reliquie, questa volta con tutti i crismi necessari: agli
inizi dell’Ottocento, nella chiesa parrocchiale, l’altare un
tempo dedicato a San Francesco Saverio venne consacrato
a San Felice. All’interno della mensa fu collocata un’urna in
legno dorato e cristalli contenente le ossa di “San Felice
martire prete di Nola”. L’arrivo delle reliquie determinò un
grande afflusso di popolo e un rinvigorirsi della devozione
popolare, in occasione delle celebrazioni religiose e durante
le feste patronali, che, come si legge nella relazione del
parroco di Cinaglio per la visita del vescovo Savio del 1872,
da circa mezzo secolo erano state spostate alla terza
Santo martire, affresco absidale,
Cinaglio, chiesa romanica di San
Felice, Sec. XV
domenica di novembre, mentre anticamente (nei primi
decenni dell’Ottocento?) si svolgevano il 14 gennaio. Oggi
la festa patronale si celebra l’ultima domenica di agosto.
Questa incertezza nella definizione della data in cui
festeg giare il Santo fa pensare a modifiche o
sovrapposizioni, creatisi con il passare dei secoli.
In via del tutto ipotetica si può supporre che il San Felice
ricordato nei documenti più antichi in relazione al territorio
di Cinaglio sia il San Felice prete, martire romano, la cui
memoria era fortemente legata all’aristocrazia carolingia al
potere nel IX secolo. Nei secoli successivi, affievolendosi il
ricordo del santo personaggio romano, si preferì il San
Felice soldato, il cui culto era stato ripreso nella chiesa
ambrosiana e rivitalizzato intorno alla metà del Duecento.
Il San Felice soldato romano, forse attestato a Cinaglio
negli affreschi absidali della chiesa romanica (il Santo con
vessillo crociato?), si è poi confuso con il culto di un
omonimo martire tebeo, documentato nel Canavese. Dopo
la metà del Seicento, crescendo il bisogno di reliquie
“taumaturgiche” nelle chiese locali, in seguito alla
diffusione di epidemie di peste, alcune reliquie di San Felice
prete, (il martire romano, già il Santo di Nola?) furono
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Busto reliquiario di San Felice Cinaglio, chiesa parrocchiale,
sec. XVII
sistemate nel busto reliquiario, che tradizionalmente viene portato in processione ancora oggi.
Tuttavia, poiché verso la metà del Settecento fu proibita l’esposizione del busto, perché mancante
delle autentiche necessarie, solo nei primi decenni dell’Ottocento (quando probabilmente arrivò
l’urna reliquiario) si sviluppò definitivamente il culto di San Felice prete di Nola come patrono di
Cinaglio.
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CHIESA PARROCCHIALE DEI SANTI FELICE E GIORGIO
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CENNI STORICI
L’edificio è il risultato dell’ampliamento del precedente oratorio dedicato a San Giorgio,
ricordato nella visita Peruzzi del 1585: l’oratorio si trovava “intra castrum”, era abbastanza ampio e
in buone condizioni; vi si esercitava la cura delle anime. Il Visitatore ordinò che si costruisse la
volta e che l’edificio venisse imbiancato; l’altare maggiore doveva essere debitamente ornato,
mentre dovevano essere demoliti gli altri due altari, molto vicini all’altare maggiore: uno di essi
poteva essere eretto al centro della parete dal lato del Vangelo, a sinistra dell’altare maggiore.
Nella Visita Pentorio del 1619 è ancora ricordato un solo altare, ma si precisa che l’edificio
“reficitur denuo”, è stato ricostruito. A partire dal 1621 (Registro dei Battesimi dal 1603 al 1672)
vengono citati dei legati (donazioni testamentarie)per fabbricare la volta del coro.Dopo la metà
del Seicento la Comunità di Cinaglio si impegna ancora nella riedificazione della chiesa con
diversi stanziamenti economici (nel 1662 e ancora nel 1664-65).
Per quanto riguarda la sistemazione degli altari,nel 1625 il Visitatore Broglia rileva la presenza,
oltre all’altare maggiore, di un altare dedicato alla Beata Vergine del Rosario, costruito su
committenza del signor Matteo Molina. Nel 1657 (Visita Roero I) risulta che il Molina,
proprietario del sito adiacente alla chiesa, aveva fatto dono del terreno alla Comunità per
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ampliare l’edificio e aveva fatto erigere una cappella intorno al vecchio altare. La Comunità, a sua
volta, con le offerte dei fedeli, fece costruire una cappella dedicata alla Beata Vergine del Monte
Carmelo, ma a causa dell’ampliamento della chiesa,la cappella del Molina fu rasa al suolo. Il
Visitatore Roero stabilì che dovesse essere ricostruita a spese della Comunità. Nella Visita
successiva (Visita Tomati del 1668) la situazione è risolta: lungo il lato sinistro dell’edificio si
trovano tre cappelle, la prima intitolata alla Beata Vergine dell’Assunzione, a cui è eretta la
Compagnia delle Vergini, la seconda, intitolata alla Beata Vergine del Monte Carmelo, ornata dal
nobile Corrado Ponzio e che spetta alla Comunità, la terza intitolata alla Beata Maria Vergine dei
Sette Dolori, riedificata a nome degli eredi del fu Matteo Molina; spetta al capitano Francesco
Molina.
Nella Visita Milliavacca del 1695 l’oratorio ha ormai acquisito il titolo parrocchiale,
precedentemente attribuito alla chiesa campestre di San Felice e si presenta completato con la
costruzione di due nuove cappelle: una dedicata a San Francesco Saverio, a cui era eretta la
compagnia della Dottrina Cristiana, l’altra intitolata alla Beata Vergine di Loreto, edificata per
volere del nobile Domenico Ponzio.
Nella visita Felissano del 1743 la chiesa è ancora intitolata al solo San Giorgio e viene ricordata la
riedificazione della casa parrocchiale. L’altare di San Francesco Saverio ora è intitolato anche a
Sant’Ignazio.
Altri lavori di sistemazione dell’edificio vennero eseguitine gli anni successivi: nel 1753 venne
rialzata la volta della navata centrale, mentre nel 1756 venne abbassato il pavimento.
Nella visita Lobetti del 1838 viene citato per la prima volta l’altare di San Felice da Nola, che
sostituì l’altare di San Francesco Saverio.
Nel corso dell’Ottocento e del Novecento furono intrapresi importanti interventi decorativi, che
diedero alla chiesa il suo aspetto definitivo: nel 1846 Don Giusto Stuardi ordinò la decorazione
ad affresco ai fratelli Ivaldi. Nel 1848 sono registrati lavori di restauro sotto la direzione del
capomastro Giuseppe Cerruti. Nel 1903 Don Giovanni Borio fece ripassare le decorazioni al
pittore Giovanni Lamberti e fece eseguire copiose dorature a Carlo Bosio. In una lettera, datata 3
agosto 1902, conservata presso l’archivio parrocchiale, il pittore si impegna a terminare i lavori
non più tardi del 10 novembre. Il prezzo convenuto è di lire 700, per conservare completamente
la decorazione ornamentale presente, “cambiando intonazione di tinta per ottenere effetto
dell’oro”.
ESTERNO
L’esterno dell’edificio presenta le forme tipiche del barocco. La facciata è in laterizio a vista e si
presenta divisa in tre parti da due lesene: queste sorreggono un timpano tramite una trabeazione
ornata da un fregio a triglifi. Sul lato sinistro si eleva il campanile, anch’esso in muratura a vista.
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Nel secolo XVIII la manutenzione del campanile spettava alla Comunità. Fin dal 1779 è citato
l’orologio, della cui manutenzione si occupava un eremita. In un inventario del 1845 si legge che
il campanile si trovava in uno stato di forte degrado (viene infatti definito “umilissimo”). Nel
1872 è indicata la presenza di quattro campane (tre di maggior peso, provviste dalla Comunità, e
la quarta dalla Confraternita dei Disciplinati di Cinaglio, ossia la Confraternita della Santa
Sindone). A quel tempo il campanile aveva un uso sacro e civile, per indicare le ore, per la
convocazione degli alunni della scuola maschile e femminile, nei casi di incendio e simili. Nel
1890 viene rifatto il castello delle campane e nel 1928 vengono aggiunte la ”bocia” (sfera) e la
“vela” o banderuola, con inciso l’anno dell’esecuzione. Intorno alla metà del 1900 furono fatti gli
ultimi restauri di cui uno riguardante la guglia, che fu sostituita con l’attuale cuspide in muratura.
INTERNO
La pianta è caratterizzata da un’unica navata con cappelle laterali. L’interno presenta una
decorazione ad affresco, commissionata nel 1846 dal parroco Don Giusto Stuardi ai fratelli
Ivaldi, che raffigurarono episodi della vita di Cristo e della Vergine. Il più noto dei due fratelli era
Pietro, soprannominato “Il Muto” perché sordomuto dalla nascita. A causa dei danni provocati
dall’umidità, agli inizi del Novecento si rese necessario un intervento di restauro, per il quale fu
incaricato il pittore Giovanni Lamberti, che eseguì opere di conservazione, ritocco e rifacimento.
Nello stesso periodo Carlo Bosio si occupò delle dorature.La scena dominante è senz’altro
l’affresco absidale che rappresenta l’Immacolata Concezione con i Santi Felice e Giorgio a cui è
Interno della Chiesa
parrocchiale dei santi
Fe l i c e e G i o r g i o ,
Cinaglio, 1846
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dedicata la chiesa. Il paesaggio sullo sfondo presenta una
chiesetta identificabile con l’antica chiesa parrocchiale di
San Felice. Tra gli affreschi delle volte ricordiamo alcune
scene significative come la Natività, l’Annunciazione, lo
Sposalizio della Vergine, l’Adorazione dei Magi e la
Cacciata dei mercanti dal tempio.
Alla destra dell’ingresso si trova la cappella del Sacro Cuore
(1902-1903), il cui altare è opera del marmista Genovesio di
Asti; la statua del Sacro Cuore di Gesù è stata realizzata
nello stesso periodo dallo scultore Giuseppe Marengo di
Torino.
La cappella successiva è dedicata all’Assunta: l’altare risale
al 1896 ed è realizzato con marmo bianco e bardiglio
(marmista Giacinto Crivella di Torino). Ospita, all’interno
di una nicchia, la statua della Madonna Assunta: l’opera, in
legno dipinto, poggia su un basamento intagliato a forma di
nube e decorato da angeli. Risale alla seconda metà
dell’Ottocento, in quanto viene citata in una relazione del
parroco di Cinaglio al vescovo Savio nel 1872.
Sull’altare è appoggiato il busto reliquiario di San Felice,
documentato dalla fine del Seicento (visita Milliavacca
1695). Fino a qualche decennio fa era conservato nella
chiesa romanica di San Felice e durante la festa patronale
veniva esposto nella chiesa parrocchiale, da cui ritornava in
processione alla cappella campestre. Il Santo è
rappresentato con abiti sacerdotali: camice stretto dal
cingolo in vita, stola incrociata sul petto, manipolo al
braccio sinistro e berretta; tiene nella mano destra una
foglia di palma, simbolo di martirio e nella sinistra un libro
aperto. Il busto è sorretto da un basamento con
decorazioni a forma di conchiglia e cornici dorate. Nella
scultura era posta una reliquia di San Felice, la cui
esposizione fu vietata dal Vescovo Felissano nel 1743, in
quanto priva di autentiche. Fu forse in seguito a questa
vicenda che si cercò di ottenere una reliquia del Santo, con
tutte le necessarie approvazioni: giunse a Cinaglio in un
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Altare della Chiesa parrocchiale
dei santi Felice e Giorgio,
Cinaglio, 1695 ca.
momento imprecisato, ma probabilmente vicino ai primi
anni del 1800, l’urna con le reliquie di San Felice
Martire,prete di Nola. Una piccola reliquia venne stata
posta nel busto (Relazione del parroco al Vescovo Savio del
1872).
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A sinistra della navata troviamo la cappella dell’Immacolata
Concezione (a metà Settecento altare di San Francesco
Saverio e Sant’Ignazio, poi di San Felice agli inizi
dell’Ottocento), con arredo novecentesco arricchito dalla
statua della Madonna di Lourdes del 1919 (scolpita da
Carlo Bosio, scultore e doratore di Verolengo che aveva
bottega ad Asti) e da altre di santi di recente devozione
popolare.
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A fianco troviamo la cappella di Sant’Anna, già della Beata
Vergine di Loreto, decorata da un altare in scagliola del
1769, realizzato, secondo quanto è scritto nelle risposte a
Monsignor Ronco del 1889, da un certo Silva, che potrebbe
essere identificato con Carlo Antonio Benedetto Silva,
discendente da una famiglia di artisti, stuccatori e
decoratori ticinesi, che per secoli hanno lasciato in tutta
Europa testimonianze delle loro capacità artistiche.
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Sopra l’altare si trova una tela molto rovinata e oscura,
rappresentante la Vergine di Oropa, con in braccio il
Bambino Gesù e, come documentano le iscrizioni, ai lati
Santa Rosae Sant’Anna, in basso, a sinistra, San
Gioacchino, a destra San Domenico. Il dipinto è datato
1687 ed è intitolato alla Vergine di Loreto (cartiglio in
fondo, seminascosto) il che fa pensare che il quadro sia
stato riutilizzato, dal momento che l’immagine
rappresentata in alto non ha le caratteristiche della Vergine
di Loreto, ma bensì di quella di Oropa. La Madonna ha sul
capo il triregno, ovvero la tiara papale formata da tre
corone e tiene in mano un pomo sormontato da una croce.
Il Bambino solleva la mano destra nell’atto di benedire e
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Chiesa parrocchiale di Cinaglio,
Cappella di Sant’Anna, Altare e
dipinto (1769; 1687)
regge, nella sinistra, un uccellino, simbolo della Passione. Il
quadro è stato ritagliato nella parte centrale, per far spazio
ad una nicchia ospitante attualmente una piccola statua in
gesso di Sant’Anna, titolare dell’altare, mentre in passato
era esposta una statuetta della Vergine di Oropa. Presso
questo altare era eretta la Compagnia delle Umiliate.
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All’interno della cappella è posta la statua lignea della
Madonna del Rosario, restaurata nel 2007 e assegnata dagli
studiosi al XVIII secolo. La Madonna indossa una veste
celeste arricchita da dorature, un ampio mantello dorato
con motivi floreali; la Vergine sostiene con il braccio destro
il Bambino Gesù, che si appoggia al suo petto e con la
mano sinistra regge la corona del Rosario. La statua è
collocata su un basamento decorato con volute agli angoli e
presenta due cherubini nella parte anteriore. Le visite
pastorali documentano una statua della Madonna del
Rosario nella chiesa romanica di San Felice, non nell’attuale
parrocchiale, dove tuttavia tra le suppellettili della sacrestia
vengono ricordate due corone d’argento per la statua di
Maria Vergine del Rosario e per il Bambino (Relazione al
Vescovo Savio del 1872). L’opera potrebbe essere stata
trasferita negli anni del Novecento nella sede attuale, per
ragioni di sicurezza.
!
L’opera riprende, soprattutto nella posizione del Bambino,
uno schema presente anche in altre opere astigiane, come la
statua della Madonna del Rosario della chiesa dei Santi
Martino e Pietro di Villanova o quella della chiesa dei Santi
Nicolao e Stefano di Rocchetta Tanaro, opere assegnate in
modo dubitativo allo scultore Giovanni Battista Bonzanigo.
La statua di Cinaglio, se identificata con quella di cui
parlano ripetutamente le visite pastorali in riferimento alla
chiesa romanica di San Felice, viene citata per la prima volta
nella visita di Monsignor Roero, del 1663, dove viene
descritto l’altare del Rosario: dietro a questo, si trovava una
!18
Chiesa parrocchiale di Cinaglio,
Statua lignea della Madonna del
Rosario, Sec. XVIII. Particolare.
“celula” o cameretta, in cui era riposto il simulacro della
Beata Vergine, definito “molto bello e quasi tutto dorato”.
Ancora nel 1872 la notizia viene ripetuta e si ricorda anche
il “trono”, o baldacchino processionale, che veniva usato
per portare la statua in processione nella festa del Santo
Rosario. Il trono, in legno dorato e argentato, è attualmente
conservato nella chiesa parrocchiale: formato da due
sostegni ornati da motivi decorativi e cherubini, si conclude
con un fastigio a forma di corona, con pendoni, cherubini e
croce.
!
Nel vano a fianco del presbiterio è collocato il quadro
seicentesco di Sant’Aventino in preghiera, rappresentato
nell’atto di tenere la testa tra le mani: il Santo era infatti
invocato contro il mal di testa e la tradizione locale vuole
Chiesa parrocchiale di Cinaglio,
Sant’Aventino in preghiera, XVII
sec.
che le ragazze afflitte da pene sentimentali rivolgano
preghiere al Santo per chiedere la soluzione dei loro
problemi. Il dipinto è ricordato nell’inventario dei beni
della chiesa di San Felice del 1845.
!
L’altare maggiore, in laterizio e scagliola dipinta, fu
realizzato da Francesco Solari nel 1752, come risulta dalla
firma e data riportate sull’opera. Francesco Solari,
proveniente dalla Val d’Intelvi, discendeva da una famiglia
di stuccatori, che con le loro opere decorarono numerose
chiese dell’Astigiano intorno alla metà del Settecento. La
parte inferiore della cassa presenta, al centro, uno scudo a
testa di cavallo, in rilievo, racchiuso da una decorazione
mistilinea. La parte superiore presenta invece una
decorazione lineare, articolata in un’alternanza di motivi
vegetali e geometrici. Al centro dell’altare vi è il
tabernacolo, sormontato da un tempietto aperto (il
“Paradisetto”) contenente una croce lignea. Il tabernacolo,
di forma cubica, presenta, nella parte frontale, due paraste
laterali, in tinte rosse e grigie, mentre la parte centrale è
decorata con una cornice in tinte rosse e nere, con motivi
mistilinei; lo sportello risale alla metà del Novecento.
!19
Chiesa parrocchiale di Cinaglio,
Altare maggiore, 1752.
!
Dietro l’altare, in una rientranza, si trova un’urna in legno dorato e cristallo, al cui interno sono
contenutele reliquie di San Felice, prete di Nola. I sigilli, quattro nel lato posteriore e uno
superiore, riportano lo stemma del vescovo di Asti Giacomo Cannonero (vescovo dal 1952 fino
al 1977). La teca è a forma di parallelepipedo, con ornamenti sugli angoli e nella parte più alta.
All’interno dell’urna è presente un cartiglio che reca il nome del santo e, dietro di esso, si
possono vedere le ossa, ognuna delle quali è legata con un nastrino rosso. Nella parte posteriore
ci sono due nastrini rossi legati a croce e sigillati. L’urna viene ricordata per la prima volta nella
visita pastorale del 1838, dove è citato l’altare di San Felice che all’interno conservava il
reliquiario. L’urna è ricordata una seconda volta nel 1845, nell’inventario dei beni della chiesa
parrocchiale, dove viene detto che si trovava nella mensa dell’altare di San Felice e che era in
cattive condizioni. Nel 1919 il reliquiario venne spostato nell’altare maggiore, dal momento che
l’altare di San Felice fu sostituito da un nuovo altare dedicato alla Madonna di Lourdes. Si può
ipotizzare che le reliquie del Santo di Nola siano arrivate a Cinaglio in concomitanza con la
costruzione del nuovo altare dedicato al Santo, sul lato sinistro dell’edificio: l’altare venne
realizzato in muratura e scagliola dipinta dal marmorino Domenico Tabacchi nei primi anni
dell’Ottocento (probabilmente è quello utilizzato come altare maggiore nella Chiesa di
Sant’Antonio Abate).
I gradini in marmo del presbiterio furono realizzati nel 1894 da Giacinto Crivella, mentre la
balaustra è opera dei fratelli Catella di Torino, che la eseguirono nel 1942.
!
Il baldacchino posto sopra l’altare è in legno
intagliato e dorato: è decorato con una
cornice a motivi fitomorfi che reca al centro
la testa di un cherubino. Nella parte
inferiore presenta una decorazione a
pendoni, che imita la stoffa. La parte
interna, il cosiddetto “cielo”, presenta il
simbolo dell’eucarestia, da cui parte un
motivo a raggiera. Da un confronto con
modelli analoghi si può ipotizzare una
datazione alla metà del XIX secolo. Dietro
Chiesa parrocchiale di Cinaglio, Baldacchino, XIX
sec.
l’altare maggiore si trova il coro ligneo che,
ad eccezione dello stallo centrale, è molto semplice. Lo stallo, probabilmente proveniente da
qualche convento astigiano, è molto ampio e riccamente decorato, dai motivi a volute dei
braccioli al baldacchino sostenuto da colonnine con capitelli. Lo schienale presenta al centro la
!20
figura di Santa Chiara in abito da monaca, con la pisside tra
le mani. Nella seconda metà del 1800 viene realizzato un
coro nuovo per San Felice e viene inserito al centro il
seggio con l’immagine di Santa Chiara, risalente
stilisticamente alla fine del Cinquecento o al primo
Seicento. Sopra la porta d’ingresso è situata la cantoria di
gusto barocco. La balconata presenta al centro decorazioni
con strumenti musicali (liuto, viola da gamba, tromba e
chiarina) incorniciati da foglie d’acanto con ai lati quattro
putti musicanti. Agli estremi troviamo due trombe
(chiarine) con intorno girali d’acanto; nelle porzioni
concave sono presenti due corni sovrastati da conchiglie.
La cassa dell’organo ha un notevole slancio verticale, è
aperta sul davanti ed è tripartita da due pilastri centrali,
Chiesa parrocchiale di Cinaglio,
Coro ligneo, XVI sec.
decorati a candelabre con foglie d’acanto. I colori usati
sono il verde e il bianco insieme a decorazioni dorate. Tra il
1902 e il 1903 venne allargata la cassa. Nel 1913
allungarono di un metro la balconata e sostituirono
l’organo precedente (forse di Liborio Grisanti) con uno di
Giuseppe Gandini. Il restauro venne fatto da Annibale e
Alberto Ferrero di Cinaglio. La bussola in legno posta al di
sotto della cantoria era stata ricostruita nel 1847. Il
Chiesa parrocchiale di Cinaglio,
Organo, XX sec.
battistero risale al 1902-1903; è composto da ricchi
materiali come marmo, onice e bronzo; venne realizzato dal
marmista Genovesio di Asti. Il pulpito della chiesa risale al
1845, è in legno dipinto ed è addossato a un pilastro; è
inoltre sorretto da un sostegno con le sembianze di un
cherubino.
!
Il balconcino ha una decorazione semplice con rettangoli
verdi su fondo bianco con contorni in legno dorato. Sul
dossale sono rappresentate leTavole della Legge di Mosè, al
centro di un motivo a raggiera. Nella parte superiore si
trova un baldacchino dorato e decorato a festoni e motivi
fitomorfi. All’interno del baldacchino si può notare una
colomba, posta al centro di una ghirlanda raggiata. L’opera
!21
Chiesa parrocchiale di Cinaglio,
Balconcino, XIX sec.
fu eseguita su committenza del parroco di Cinaglio, Don
Giusto Stuardi, dal minusiere Francesco Jura, nativo di
Ambrusengo, ossia Murisengo e residente a Villadeati, su
disegno del Prevosto di Villadeati Don Tommaso Audisio.
!
A sinistra, nell’ultima cappella, troviamo una tela di
Giovanni Lamberti, in cui sono rappresentati la Madonna
con Gesù Bambino che tiene in una mano il rosario e S.
Felice e S. Giuseppe in adorazione. San Felice ha le mani
giunte in segno di preghiera e guarda la Vergine Maria, San
Giuseppe è in ginocchio con una mano sul petto e con il
bastone nell’altra mano. Sullo sfondo si vede il cielo
coperto da grandi nuvole, su di un vasto paesaggio: un libro
reca la data (1909) e la committenza dell’opera (Giuseppina
Ferrero, vedova Picollo, suocera del pittore Giovanni
Lamberti).
!
!
!22
Chiesa parrocchiale di Cinaglio,
Madonna del Gesù, Tela, XX sec.
CHIESA ROMANICA DI SAN FELICE
NOTIZIE STORICHE
La chiesa romanica di San Felice risale probabilmente al XIII secolo (Salerno1984), ma secondo
alcuni documenti, riguardanti l’area di Cinaglio, già nell’897 risultano esistere terre e vigne dette
di San Felice (Eydoux 1982): ciò farebbe pensare all’esistenza di una struttura precedente a quella
odierna o alla presenza di beni appartenenti a una fondazione monastica, intitolata a San Felice
(viene in mente il monastero di San Felice di Pavia, che aveva dipendenze in diverse località
dell’Astigiano). Nel 1246, la chiesa di San Felice, con funzioni parrocchiali, risulta tra i beni
appartenenti ai Canonici del Capitolo di Asti e gestita direttamente dagli abitanti di Cinaglio. Nel
registro diocesano del 1345 la chiesa dipende dalla pieve di Montechiaro e fa sempre parte dei
possedimenti del Capitolo della Cattedrale. Pur mantenendo le sue funzioni parrocchiali, nel
1585, al tempo della visita di Monsignor Peruzzi, risulterebbe come cappella campestre, in
condizioni non buone. Pochi anni dopo, nel 1619, al tempo della visita di Monsignor Pentorio, la
chiesa, usata a scopo cimiteriale, è definita “elegans in edificis”. Nel 1625 (visita Broglia) è citato per
la prima volta l’altare del Rosario, a cui era eretta l’omonima compagnia. Nel 1663 (Visita Roero
II) venne fatto erigere un corpo aggiunto, sul lato meridionale della chiesa, addossato all’esterno
della cappella del Rosario. Nella visita pastorale di Mons. Felissano del 1743 vengono citate una
torre campanaria e una “domuncula”, ossia un piccolo locale, adibito ad abitazione di un eremita,
custode della chiesa.
A motivi dei numerosi interventi subiti, oggi rimane ben poco dell’originaria struttura, salvo
l’impianto architettonico. La facciata infatti presenta caratteri barocchi, mentre la sistemazione
!23
interna, risulterebbe ottocentesca. Nel 1944 il pittore Giovanni Lamberti rifece la decorazione
interna, con la caratteristica suddivisione in fasce bianche e grigie. Nel 1979 furono avviati
importanti lavori di ristrutturazione e consolidamento dell’intera struttura architettonica, che
versava in cattive condizioni, grazie al lascito di un privato, abitante a Cinaglio. A questa
ristrutturazione risalirebbe il crollo della torre campanaria poi demolita totalmente. Accertano
comunque la sua presenza alcuni reperti fotografici della Soprintendenza, databili al 1966. Gli
ultimi restauri apportati alla struttura riguardano gli affreschi interni e risalirebbero al 2004.
ESTERNO
L’edificio si presenta ad aula, con pianta rettangolare ed
abside semicircolare. Lungo il lato meridionale l’edificio
presenta un corpo aggiunto, di forma rettangolare che si
addossa dall’esterno ad una cappella, precedente ad esso,
che si apre direttamente all’interno dell’aula . La muratura è
composta con un paramento esterno di laterizio. La
copertura dell’aula è a doppio spiovente, delimitata dal lato
della facciata da un frontone curvilineo. Il manto di
copertura è in coppi e faldali in rame sulla facciata. La
facciata presenta, ai lati due paraste poste direttamente sul
basamento. Essa è coronata da un timpano curvilineo con
una cornice con modanature in cotto. Sempre sulla facciata
è presente la porta d’ingresso, con mostre in gesso,
componenti un piccolo timpano curvilineo, interrotto da
un riquadro anch’esso in gesso, racchiudente al suo interno
una finestrella ovale. La parete meridionale è delimitata a
sinistra dall’avancorpo aggiunto, che si estende fino a metà
lunghezza della parete e a destra da un contrafforte
sporgente. Il corpo aggiunto è in mattoni, presenta una
porta di piccole dimensioni ed una finestra. Esso è
suddiviso su due piani. Infine l’abside semicircolare si
appoggia direttamente alla parete di fondo dell’aula; essa è
scandita da tre lesene di mattoni e presenta una
decorazione ad archetti pensili in laterizio.
INTERNO
L’interno della chiesa è ad aula rettangolare, scandita da tre
!24
Chiesa romanica di San Felice,
Domuncula, XIII sec.
paraste addossate alle pareti, dalle quali si dipartono archi a sesto ribassato, che delimitano tre
voltine a vela. Il pavimento dell’aula è in cotto e presenta alcune lastre tombali in pietra, di cui
una, posta al centro dell’aula, reca la seguente iscrizione:
!
“SEPULCRUM ARCICONFRATERNITATIS DISCIPLINANTIUM RVR.S.ANTONI ABBATIS LE 1677
V.A.”
!
Entrando dal portone di ingresso, sul lato destro, nella prima parte della parete si può notare la
presenza di un armadio a vetri, che un tempo conteneva ex voto e oleografie. Avanzando sulla
stessa parete si apre la cappella laterale, a forma rettangolare, sopraelevata di un gradino rispetto
al resto dell’aula. Essa presenta due strette finestre, poste ai lati, mentre sul muro di fondo si
addossa un altare in muratura stuccata, sormontato da un tabernacolo con cornice in stucco.
!
Nella parte anteriore della mensa si può
osservare la scritta dipinta “AVE MARIS
STELLA”. La mostra dell’altare presenta
decorazioni in stucco di gusto seicentesco;
nella parte superiore è visibile una targa in cui
si legge con difficoltà la seguente iscrizione:
“Non fecit taliter omni natione”, versetto tratto
dal Salmo 147 e verosimilmente riferito alla
Madonna del Rosario, a cui erano dedicati
Chiesa romanica di San Felice, Altare laterale,
periodo barocco.
altare e icona. Nelle visite pastorali viene
infatti ricordata l’icona, oggi non più
conservata, che è definita “satis pulchram”;
dalla descrizione riportata nelle Risposte del
parroco in preparazione della visita di
Monsignor Ronco del 1889, veniamo a sapere
che si trattava di un dipinto a olio,
raffigurante la Vergine con il Bambino, San
Domenico e Santa Caterina; vi erano “nella
sua circonferenza” i misteri del Rosario. In
alto, nella parte centrale della piccola volta a
Chiesa romanica di San Felice, volta, periodo
barocco.
botte che copre la cappella, si può vedere una
decorazione in stucco, con una forma
ottagonale che racchiude al suo interno la colomba, simbolo dello Spirito Santo.
!
!
!25
L’abside, sopraelevata rispetto al resto dell’aula, presenta altezza e larghezza inferiori a
quest’ultima e le si raccorda tramite un arco a tutto sesto, che riporta un fregio in gesso di gusto
rinascimentale, affrescato con riquadri dipinti di giallo con rosette a finto rilievo. All’imposta
dell’arco vi sono due busti in stucco raffiguranti putti, appoggiati su mensole. Il busto a destra
nasconde l’originaria decorazione ad affresco, che rappresenta una figura di santo, con mantello e
libro aperto tra le mani, (un santo apostolo?). L’abside presenta affreschi di difficile datazione, a
causa dei rifacimenti successivi. Al centro del catino absidale si vede Cristo in mandorla,
sostenuta da angeli, mentre ai lati sono affrescati i quattro simboli zoomorfi degli Evangelisti,
ossia il leone alato (San Marco), l’angelo (San Matteo), il toro alato (San Luca) e l’aquila (San
Giovanni).
Il catino absidale presenta, inoltre, la figura di San Giovanni Battista in basso a destra e, a sinistra,
un personaggio, presumibilmente il committente dell’opera, con la Vergine Maria. Lungo
l’imposta della calotta absidale viene raffigurata tutta la Teoria degli Apostoli, con al centro
l’immagine di Cristo benedicente; la rappresentazione si interrompe ai lati, in corrispondenza di
!26
due monofore, un tempo murate ed oggi invece aperte. La decorazione ad affresco sarebbe
databile per i caratteri stilistici alla fine del Quattrocento: il ciclo pittorico permetterebbe di
Chiesa romanica di San
Felice, abside.
inserire la chiesa di Cinaglio nel gruppo di edifici religiosi che in diverse parti del Piemonte
meridionale, ai confini con la Liguria e con la Francia, ricevettero una decorazione ad affresco da
parte di pittori itineranti.
!
!27
È interessante ricordare un’iscrizione graffita direttamente
sull’intonaco, tra gli apostoli Simone e Taddeo: “1556 A die
15 mensis / decembris /Jo Baladonis”. Le ultime lettere
possono riferirsi ad una firma, un Giovanni Baladonis, che
richiamerebbe il nome del pittore Giovanni Baleison o
Baleisonis, documentato nella decorazione ad affresco di
cappelle piemontesi e francesi nella seconda metà del
Quattrocento; in questo senso la data riportata sul muro
Chiesa romanica di San Felice,
iscrizioni graffite.
potrebbe essere stata danneggiata nel restauro: invece di
1556 si potrebbe leggere 1455/6.
!
Ancora sulla destra si nota l’immagine di un Santo, dalle
sembianze di cavaliere/soldato, raffigurato con ampio
mantello rosso, veste in velluto, lavorato a broccato,
copricapo rosso e vessillo crociato: si presume possa
trattarsi di San Giorgio, considerata la presenza del titolo di
questo Santo nel territorio di Cinaglio, oppure di un martire
della legione tebea (come San Felice venerato nel Canavese
o San Defendente) o San Felice Martire, venerato insieme a
Nabore dalla chiesa milanese.
!
La parete sinistra presenta un’iscrizione, incisa direttamente
Chiesa romanica di San Felice,
santo.
sull’intonaco: “1653 Li 16 novembre il Vescovo Paulo
Br(izio) D’Alba ha cresimato quasi 800 per(sone) nella
Chiesa nuova di Tiole, è stato richiesto et delegato da… di
Pavia indi è andato in Asti suo piacere. Pr(ete) Gianni del
Mango”.
!
La parte inferiore dell’abside è dipinta in nero. Il pavimento
si presenta anche qui in cotto antico. L’altare in muratura
intonacata, posto al centro, è preceduto da una pedana
lignea. Dall’esterno, tramite una piccola porta posta sul lato
orientale della chiesa, si accede al vano aggiunto; questo
presenta un ambiente rettangolare coperto da volta a botte,
dipinta con cielo stellato. Esso è separato dalla cappella
laterale interna alla chiesa da un muro presumibilmente
degli anni ’70 del Novecento, dato l’impiego di mattoni
!28
Chiesa romanica di San Felice,
iscrizione.
forati. In questo vano era riposta la statua della Beata Vergine, definita “molto bella, quasi tutta
dorata” nella visita Roero del 1663. Nella parete antistante al muro è presente una cornice
stuccata recante la seguente iscrizione al suo interno:
!
”DEO OPTIMO MAXIMO DEI PARAEQUE VIRGINI CUI ALTARI SOCIETAS SANCTISSIMI ROSARII
CANONICE ERECTA FUNDATAQUE EST DIE 25 MAII ANNO 1665”.
Nella parte superiore della medesima parete figurano anche due angeli che reggono la Sacra
Sindone. Il vano presenta un piano superiore oggi non più accessibile.
!
!
!
!
!29
CHIESA DI SANT’ANTONIO
NOTIZIE STORICHE
La chiesa di Sant’Antonio venne costruita come oratorio della Confraternita di Sant’Antonio
Abate,eretta a Cinaglio dal vescovo Della Rovere nel 1575. Nell’archivio della chiesa parrocchiale
è conservato il documento in cui si chiede licenza di edificare la chiesa e di istituire la compagnia
dei Disciplinati (27 gennaio 1575). I confratelli indossavano una tunica bianca con foro
posteriore ed erano conosciuti anche come Flagellanti o Battuti, in quanto eseguivano
l’autoflagellazione nella prima domenica di ogni mese e durante la Quaresima, come forma
penitenziale. Nel secondo quarto del Seicento la Confraternita si disperse a causa delle guerre e
venne nuovamente ricostituita nel 1648 (licenza del 6 giugno 1648). Intorno alla metà del
Seicento la Confraternita fece realizzare l’opera scultorea raffigurante Sant’Antonio: si tratta della
pregevole statua lignea commissionata a Michele Enatem, scultore di origine fiamminga attivo ad
Asti nel Seicento. La visita pastorale del vescovo Tomati del1668 conferma la presenza della
statua nella chiesa. Il Santo è raffigurato con tunica marrone e mantello nero con cappuccio,
abbigliamento tipico dei monaci; regge con la mano sinistra un libro aperto, mentre con la destra
trattiene il mantello, su cui è evidente il segno del Tau (ultima lettera dell’alfabeto ebraico e
!30
quindi allusione alle cose ultime e al destino). Sul basamento, a sinistra è posto un piccolo fuoco,
mentre a destra due fori vicini ai piedi della statua fanno supporre che vi fossero gli altri due
attributi del Santo e cioè il maialino e il bastone recante una campanella. Sant’Antonio Abate, la
Statua lignea di Sant’Antonio.
cui festa ricorre il 16 gennaio, era venerato come protettore contro la malattia del “fuoco di
Sant’Antonio”, che in passato era molto virulenta e letale. I monaci dell’ordine diSant’Antonio,
detti Antoniani, avevano trovato un rimedio, utilizzando il grasso del maiale, che da allora
divenne il simbolo del Santo. Per estensione Sant’Antonio divenne protettore dei maiali e di tutti
gli animali domestici. Successivamente la Confraternita di Cinaglio si aggregò
all’Arciconfraternita del Santissimo Sudario di Roma, di cui acquisì il nome e le regole,
diventando la Confraternita della Santa Sindone ( 22 maggio 1672). Con il permesso concesso
dal vescovo Milliavacca in occasione della sua visita del 1695, la Confraternita decise di ampliare
l’oratorio: in un documento del14 maggio 1727 si chiede a Vittorio Amedeo II la licenza per
“fabricare e construere in nuova forma il restante del principiato oratorio e demolire le muraglie antiche per uso
delle nuove e di far l’opportune condotte per tal fabbrica anche ne’giorni festivi, non però in tempo de’ divini
officii”.
!
La visita pastorale di Monsignor Felizzano del 1743 registra il completamento dell’opera:
l’edificio è stato ricostruito e possiede un altare dedicato alla Beata Vergine del Rosario.
!31
In seguito ad un’epidemia di vaiolo che aveva mietuto molte vittime nel paese, la Confraternita
aveva fatto edificare una cappella dedicata a San Luigi, ma poiché mancavano le risorse
economiche per mantenere le suppellettili necessarie al culto e nello stesso tempo provvedere ai
bisognosi del paese, si decise di aprire a Cinaglio un intrattenimento molto in voga nel
Settecento: il “gioco dell’archibugio o tavolazzo”. Il gioco consisteva nel colpire con l’archibugio
un chiodo a testa larga, detto “bròca”, situato al centro di una tavola di legno, appunto
“tavolazzo”, ben levigato e dipinto, posto a una determinata distanza dal banco di tiro. Il
tavolazzo era posizionato contro una barriera artificiale detta “steppiera o mottera”, costruita
con mattoni crudi e terra. A controllare la correttezza del gioco c’era il giudice di gara
(autorizzazione dell’11 settembre 1767). Secondo gli statuti del 1819 il gioco si svolgeva nei
giorni festivi dal 21 giugno al 21 luglio.
!
Con i proventi del gioco furono acquistate a Torino suppellettili per l’altare di San Luigi.
Nell’archivio della Confraternita, conservato presso la chiesa parrocchiale, sono citati restauri nel
1843 con capomastro Domenico Capra e nel 1939,con capomastro Maurilio Garesio.
ESTERNO
L’edificio presenta una facciata intonacata in stile barocchetto, suddivisa in tre parti da lesene e
conclusa in alto da un cornicione ad arco ribassato. Nella parte centrale si trova una finestra
sagomata, mentre ai lati del portone di ingresso si aprono due nicchie, al cui interno sono state
poste nel Novecento statue di Santi Salesiani (San Domenico Savio e San Giovanni Bosco). Il
portone ligneo, suddiviso in pannelli scolpiti con motivo a ragnatela, risale al 1750 ed è opera del
minusiere Giovanni Giacomo Brosio. Nella parte posteriore dell’edificio si innalza uno snello
campanile in muratura. Sul fianco dell’edificio è dipinta una meridiana.
Chiesa di Sant’Antonio,
Meridiana, XVIII sec.
!32
La meridiana, posta sul lato est della chiesa, risale presumibilmente alla fine del XVIII secolo ed
è stata restaurata intorno agli anni Settanta del Novecento dall’artista Mario Tebenghi, pittore di
origini montigliesi, specializzato nell’esecuzione di meridiane ed orologi solari posti in molti
edifici dell’Astigiano e del Piemonte Meridionale. La meridiana si compone di un’asta di ferro
chiamata “stilo” o “gnomone” e un quadrante con le linee orarie, elementi essenziali di un
orologio solare. Si aggiungono quasi sempre motivi decorativi e un motto che spesso rammenta
la caducità delle cose. La meridiana della chiesa di Sant’Antonio, presenta una suddivisione dei
quadranti in “Hora Italica” ed “Hora di Francia”, come si legge nel testo riportato nella parte
superiore. Il giorno è diviso in ventiquattro ore e inizia e termina al tramonto. L’orologio ad ore
italiche indica le ore mancanti al tramonto, alla fine della giornata lavorativa ed è di lettura
piuttosto complessa, specie ai giorni nostri, tuttavia è uno strumento concepito in modo molto
intelligente; basti pensare che si adegua alla durata variabile dei periodi di luce, al variare delle
stagioni. L’orologio ad ore italiche, usato quasi esclusivamente in Italia almeno dal sec. XIII, fu
abbandonato nella seconda metà del sec. XVIII e abolito da Napoleone, a favore dell’orologio ad
ore francesi, nel quale la mezzanotte corrisponde alle ore 0-24, come si usa ancor oggi.
INTERNO
L’interno presenta una pianta longitudinale ad aula unica e una volta a botte con archi trasversi a
sesto ribassato, in cui si aprono finestre in corrispondenza delle unghie. La volta presenta
all’imposta una cornice di gesso modanata. Il pittore Giovanni Lamberti, nato il 12 marzo 1869 a
Borghesia (Vercelli), secondo le notizie bibliografiche (Cavallino 2006), fu chiamato dal parroco
Chiesa di Sant’Antonio, Altare
maggiore.
di Cinaglio per restaurare la chiesa di Sant’Antonio e molto probabilmente fu incaricato di
affrescare l’interno.
!33
Il soffitto si popola di racemi vegetali e vasi floreali, elegantemente dipinti su un raffinato fondo
bianco: sono raffigurati volti maschili e femminili e motivi simbolici, come il monogramma della
Madonna. Al centro del soffitto è raffigurata una scena angelica, non descrivibile a causa del
degrado dell’affresco; ai lati si trovano quattro immagini, con un serpente attorcigliato all’ancora,
un angelo, un calice con l’ostia e il corporale, simbolo della Comunione. Il presbiterio è rialzato e
delimitato da una balaustra. Nell’abside è presente un coro ligneo che segue l’andamento del
muro perimetrale e fu realizzato nel 1756 dal falegname Andrea Ferrero (è documentata la spesa
di 60 lire e 10 soldi). Il pannello centrale presenta un’iscrizione crittografica: PR34R B2RR5TT3
(da leggere PRIOR BERRUTTI) e la data ANNO DOMINI 1738. Si può ipotizzare che sia una
riutilizzazione di un precedente seggio presente nella chiesa parrocchiale di San Felice, in quanto
nelle visite pastorali del Seicento, più volte i Visitatori chiedono che venga tolta un’iscrizione da
un seggio del coro, che si riferisce al priore Pietro Antonio Berruti. La data potrebbe essere stata
aggiunta in un secondo tempo. L’altare maggiore, in scagliola, è composto da una mensa sulla
quale poggiano tre gradini con al centro il tabernacolo. Nella parte superiore si innalza un
tempietto o “paradisetto”. L’altare originario, a cui era stato eretto un beneficio semplice da parte
di Don Domenico Ponzio, nativo di Cinaglio e prevosto della chiesa diSan Paolo della Valle
(1699-1752), risaliva al 1769 ed era stato realizzato da mastro Giuseppe Pedollo (?) di Camerano
e marmorizzato da Giovanni Battista Dezzani. L’altare attuale, firmato nel 1818 da Domenico
Tabacchi, potrebbe essere quello realizzato dallo stesso stuccatore per la cappella di San Felice
della chiesa parrocchiale, ricordato nelle visite pastorali ottocentesche e poi sostituito con l’altare
della Madonna di Lourdes, nei primi anni del Novecento.
!
Alle pareti laterali si trovano due altari, consacrati nel 1754: uno dedicato a San Defendente,
risalente al 1743 e l’altro intitolato a San Luigi Gonzaga, realizzato nel 1751 e pagato lire 107,
soldi 17 e centesimi 8; entrambi presentano pregevoli dipinti.
Chiesa di Sant’Antonio, Altari
di San Defendente e di San
Luigi Gonzaga.
!34
Il dipinto che costituisce l’ancona dell’altare di San Defendente è datato al 1681 e raffigura il
Santo con Maria e il Bambino, San Grato e Sant’Antonio da Padova. E’ racchiuso da una
semplice cornice in stucco bianco, arricchita nella parte superiore da un motivo a conchiglia.
Maria è incoronata ed è seduta di tre quarti, con lo sguardo rivolto verso l’osservatore; tiene
Gesù Bambino in grembo ed il bimbo pare voglia afferrare il giglio che gli porge Sant’Antonio. Il
Santo si trova a destra di Maria: è inginocchiato e vestito con un abito scuro. Sant’Antonio, nato
a Lisbona, era considerato il protettore dei poveri, delle donne incinte, degli oppressi, dei
viaggiatori, degli affamati, dei fidanzati, degli animali, dei pescatori, degli oggetti smarriti, dei
marinai, dei cavalli, delle donne nubili, del matrimonio e della sterilità. Il suo culto a Cinaglio
probabilmente finì con il sostituire quello di Sant’Antonio Abate.
Chiesa di Sant’Antonio,
Ancona dell’altare di San
Defendente.
A sinistra della Vergine c’è San Grato, vescovo di Aosta: indossa il piviale (mantello tipico dei
vescovi,riconoscibile per l’accenno di cappuccio) e regge il pastorale (bastone usato dai vescovi
nella liturgia). Sul capo porta il copricapo vescovile, detto mitria o mitra, di color bianco con
ricami dorati. È raffigurato con il suo attributo, la testa di San Giovanni Battista, in quanto, come
si racconta in un celebre episodio della sua vita, si sarebbe recato a Gerusalemme e avrebbe
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riportato a Roma la testa del Battista.In primo piano è raffigurato San Defendente, soldato e
martire della famosa legione tebea, il cui culto è molto diffuso in Piemonte, in particolare al
tempo della dominazione sabauda. È il patrono dei carrettieri, mestiere molto praticato in
passato dagli abitanti di Cinaglio*. Riconoscibile per lo stendardo bianco e rosso con l’iscrizione
S. Defendente (con la quarta e soprassegnata indicante la n) a caratteri neri, è inginocchiato e
indossa un ampio mantello rosso con una tunica bianca corta,sotto l’armatura color oro. In
mano ha la palma, simbolo di martirio. In primo piano, nell’angolo a destra, sono presenti un
elmo provvisto di piume bianche gialle e rosse, una mazza chiodata e uno scudo, da riferire
sempre come attributi a San Defendente. Sempre sulla destra si vede uno scorcio di paesaggio
collinare, con alberi e un paese che ricorda Cinaglio. È rappresentata una tempesta che precipita
ordinatamente in un pozzo ( riferimento al miracolo di San Grato, che fece grandinare in un
pozzo e per questo veniva invocato dagli agricoltori durante i temporali). L’analisi stilistica
dell’opera permette di attribuirla ad un pittore locale, attivo ad Asti nella seconda metà del
Seicento: il dipinto presenta analogie con la pala d’altare della cappella d’Ognissanti nella chiesa
di San Secondo di Asti, opera del pittore Giovanni Battista Fariano, a cui rimanda anche il
ciuffetto di margherite in primo piano, motivo utilizzato dall’artista in altre opere (dipinto
raffigurante Sant’Andrea nella chiesa di Casaglio). Il dipinto proviene probabilmente dalla
cappella di San Defendente, documentata nella visita di Monsignor Todone del 1730: la cappella
risulta trasferita e distrutta, con applicazione dei materiali alla costruzione della chiesa di
Sant’Antonio. È documentata dal 1796 una novena in onore di San Defendente per chiedere la
sua protezione contro il morbo contagioso dei bovini.
!
Il dipinto posto sull’altare di San Luigi Gonzaga è databile al XVIII secolo e rappresenta la
Vergine tra i Santi Giovanni Nepomuceno, Vincenzo Ferrer, Pietro D’Alcantara (o altro santo
francescano) e Luigi Gonzaga. La tela è inserita in una mostra in stucco bianco, ornata da una
ricca e movimentata decorazione di ispirazione barocchetta, con svolazzi , conchiglie, motivi
fitomorfi e un putto a tuttotondo (stuccatore Ferato o Ferata Costanzo, forse proveniente da una
famiglia di marmorizzi ticinesi).La cornice venne realizzata dal minusiere Andrea Ferrero.In
basso, a sinistra, vi è San Vincenzo che indossa la veste dei frati domenicani: lo si riconosce
perché mostra due ali bianche (viene rappresentato come angelo dell’Apocalisse e dunque
predicatore del Giudizio Universale) e un fuoco rosso sul capo (simbolo dello Spirito Santo).San
Vincenzo pare fissare l’osservatore e con le mani indicare la Vergine. Sotto il mantello si
intravede, legato alla vita, un rosario. L’intercessione del Santo spagnolo è invocata dai contadini
per i benefici del raccolto.E’anche patrono dei muratori e viene invocato contro i fulmini e i
terremoti, per allontanare le malattie, soprattutto gravi.
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Chiesa di Sant’Antonio,
Ancona dell’altare di San
Luigi Gonzaga.
Sempre in primo piano è presente un santo che è possibile identificare con San Pietro
d’Alcantara, o con un altro santo francescano. Indossa una tunica marrone con mantello
abbinato. In vita la tunica è legata con il cingolo, in cui sono visibili i tre nodi francescani,
simbolo di castità, povertà e obbedienza. Il Santo è inginocchiato su una nuvola con il volto
rivolto verso la Madonna. Tra le mani tiene una croce in legno non levigato. San Pietro
d’Alcantara, di origine spagnola, mistico e riformatore, fu il fondatore dei Carmelitani
Scalzi.Subito alla destra della Vergine si trova San Giovanni Nepomuceno, seduto su una nuvola
con gli occhi abbassati e il gomito appoggiato su una nuvola. Il Santo, di origine boema, era
venerato come protettore contro le alluvioni e le esondazioni dei fiumi. Indossa l’abito talare
tipico dei diaconi, con rocchetto bianco, decorato con pizzi e la pellegrina (mantella corta aperta
sul davanti) color crema. Una mano è posata sul petto e, nell’altra, il Santo tiene una croce. Sopra
il capo sono presenti cinque stelle, suo attributo. Sulla destra, in corrispondenza di San Giovanni
Nepomuceno, si trova San Luigi Gonzaga in ginocchio, rivolto verso la Madonna. Indossa un
rocchetto con pizzo bianco sopra l’abito talare nero e, con le mani incrociate sul petto, tiene un
giglio bianco. Infine è rappresentata la Madonna, seduta su una nube, con le braccia aperte in
!37
segno di accoglienza e lo sguardo rivolto verso i Santi in
adorazione. San Luigi, appartenente all’ordine dei Gesuiti,
morì in seguito al contagio della peste ed è invocato contro
le epidemie.Fu dichiarato protettore della gioventù
studiosa. Le caratteristiche stilistiche dell’opera sembrano
coerenti con la produzione pittorica piemontese e astigiana
della prima metà del secolo XVIII. Un dipinto di San Luigi
Gonzaga è ricordato nell’inventario dei beni della
Parrocchiale del 1845: fu realizzato con un legato di Pietro
Secondo Molina.
!
Nella parte superiore dell’abside è visibile una mensolina,
su cui è collocata la statua di un santo: potrebbe trattarsi di
Chiesa di Sant’Antonio, San
Filippo apostolo.
un’antica statua di San Filippo apostolo, più volte ricordata
nei documenti tra le suppellettili della chiesa parrocchiale di
San Felice.
!
Altri beni importanti rinvenuti all’interno della chiesa della
Confraternita sono: un badalone (leggio corale) in legno del
XIX secolo, su cui poggia un antifonario del Settecento;
due croci professionali databili al XVIII-XIX secolo, un
Chiesa di Sant’Antonio, Quadro
sindonico.
quadro su taffetà, raffigurante la Sindone, sorretta da due
angeli e, a sinistra, il Beato Amedeo IX, a destraSan Carlo
Borromeo,che si prostrano in adorazione. L’ex voto risale al
1775, fu acquistato dai confratelli in occasione di
un’ostensione della Sindone, probabilmente quella relativa
al matrimonio tra Carlo Emanuele IV di Savoia e Maria
Anna Clotilde di Francia del 1775. In origine recava una
bella cornice, realizzata dallo scultore Giorgio Patrizio
Bonzanigo, pagata 65 lire e 9 soldi: oggi non è più
conservata causa di un furto.
!
È ancora da ricordare una tabella lignea, posta di fianco alla
porta,utilizzata per segnare i nomi dei soci della
Confraternita e per registrare le presenze alle riunioni,
risalente probabilmente alla metà del XIX secolo.
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Chiesa di Sant’Antonio, Tabella
lignea.
* Nella chiesa di Sant’Antonio è conservato un quadretto
votivo rappresentante una grazia ricevuta: un cavallo a cui
era attaccato un carro stava per travolgere una persona, ma
grazie all’intercessione di Sant’Antonio da Padova, due
uomini riuscirono a trattenere l’animale, probabilmente
imbizzarrito. L’ex voto fu commissionato dal signor Molino
Lorenzo nel 1896.
Chiesa di Sant’Antonio, Quadro
votivo.
!
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LE CAPPELLE
CAPPELLA DI SAN SEBASTIANO
La cappella di San Sebastiano era già ricordata nella Visita Roero II (1663) e nella Visita Pastorale
Milliavacca (1695). Fu eretta come ex voto dalla signora Lucia, vedova di Pietro Giovanni
Piccollo e venne ricostruita in forme neogotiche nel 1898, su disegno dell’ingegner Vincenzo
Adorni.
!
Nella relazione del parroco di Cinaglio al Vescovo Savio (1872) si legge che la cappella sorgeva
nel punto di divisione tra il “recinto” del paese e il territorio di campagna. All’interno l’altare era
decorato con un’ancona rappresentante “la Vergine ed il bambino, con San Sebastiano e San
Francesco. Inferiormente quattro o cinque vergini colla palma del martirio rappresentanti
Sant’Orsola e compagne”. Il dipinto potrebbe essere identificato con un tela seicentesca
conservata nel Municipio: oltre alla Vergine e ai Santi citati, è presente al centro, insieme alle
vergini, una monaca che tiene con la mano destra un giglio, simbolo di purezza e il pastorale,
insegna dei religiosi a capo di una congregazione. L’opera presenta caratteri stilistici che
richiamano le opere realizzate da artisti della bottega di Guglielmo Caccia detto il “ Moncalvo” e
!40
Municipio di Cinaglio,
Vergine con Bambino e Santi
Sebastiano e Francesco, Sec.
XVII.
della figlia Orsola (sec. XVII). Quest’ultima era monaca nel convento delle Orsoline, fondato dal
padre a Moncalvo e divenuto ben presto un centro di produzione di opere d’arte religiosa.
La Compagnia delle Orsoline era stata istituita da Angela Merici, nata a Desenzano sul Garda nel
1474 circa e morta a Brescia nel 1540, proclamata santa nel 1807: la monaca, vestita da terziaria
francescana, rappresentata al centro della tela, potrebbe essere la fondatrice della congregazione
e non Sant’Orsola, come riportato erroneamente nella relazione del parroco. Il dipinto presente a
fine Ottocento sull’altare della cappella proviene probabilmente dalla dispersione di opere d’arte
conseguente alla soppressione dei conventi in epoca napoleonica o dalla ristrutturazione di edifici
religiosi di epoche precedenti.
!
Sulla strada pubblica, dietro alla cappella di San Sebastiano, a partire dal 1768 ebbe luogo il
“gioco dell’archibugio”, una sorta di tiro a segno, da cui la Confraternita della Santa Sindone
ricavava il necessario per assistere i poveri ed arredare l’altare di San Luigi, nella chiesa di
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Sant’Antonio. Nel 1771 si concedeva la licenza per costruire una tettoia con cui riparare giudici e
giocatori, in caso di brutto tempo: i travi del portico dovevano appoggiare da un lato sul muro
della cappella e dall’altro su pilastri. Il gioco risulta praticato ancora nel 1819.
CAPPELLE DI SAN ROCCO E DI SAN GRATO
La cappella di San Rocco, recentemente restaurata, si trova in località Casero e risale alla fine del
XVIII secolo. Nella Relazione del parroco del 1872 si legge che al suo interno si conserva un
dipinto “ordinario”. San Rocco, così come San Sebastiano, erano santi molto cari alla devozione
popolare, in quanto proteggevano dalla peste o da altre malattie contagiose.
!
La cappella di San Grato si trova nella frazione Sorelle di Cinaglio ed è stata ricostruita nel 1887,
nel luogo in cui in precedenza sorgeva un pilastrino dedicato al Santo (Relazione del parroco di
Cinaglio del 1872). All’interno, nel catino absidale, è rappresentato il Santo titolare nell’atto di far
precipitare grandine e fulmini in un pozzo. La stessa immagine viene riproposta in un dipinto a
olio.
!
Il culto di San Grato era particolarmente fervido nelle campagne, in quanto il Santo proteggeva il
raccolto dai danni dei temporali.
!
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ORATORIO PRIVATO DI SAN BERNARDO (CASA CHIANEA)
Oltre alle chiese e cappelle campestri, a Cinaglio vi era anche un oratorio privato, dedicato a San
Bernardo, istituito per volere del sacerdote cinagliese Don Francesco Chianea. L’oratorio si trova
all’interno della casa di famiglia e fu costruito intorno al 1850. Le pareti di casa Chianea furono
affrescate dal pittore Giovanni Lamberti.
!
!43
AFFRESCO SINDONICO, CASA MOLINA CALCAGNO
FRATTI
Sulla parete meridionale di un edificio situato nel nucleo centrale del paese è visibile un
frammento di affresco, raffigurante un personaggio che indossa un abito monastico e sorregge il
telo della Sindone con la mano sinistra, mentre con la destra tiene un calice da cui sembra uscire
un serpentello. L’immagine, conservata allo stato di sinopia (disegno preparatorio dell’affresco)
venne alla luce su una muratura sottostante, durante lavori di restauro novecenteschi. Al di sotto
dell’immagine si legge un’iscrizione molto frammentaria:
!
“MATER DOL…”
!
L’edificio è documentato nel catasto del 1751 come proprietà della famiglia Dapavo. A partire
dalla seconda metà del XIX secolo l’edificio appartenne alla famiglia Molina, che già possedeva
immobili nello stesso sito. Da ultimo pervenne alla famiglia Calcagno che ne fu proprietaria fino
a pochi anni addietro. L’affresco ritrovato a Cinaglio rientra nel vasto numero di immagini
dedicate alla Santa Sindone, presenti in tutto il Piemonte e create per lo più a scopo devozionale,
come ex voto in seguito ad epidemie o pestilenze.
!44
Il personaggio che sorregge il sacro lino è probabilmente San Giacomo della Marca, francescano,
fondatore dei Frati Minori Osservanti, beatificato nel 1624. Nell’iconografia più popolare, a
partire dal tardo Seicento, viene rappresentato con calice e serpente, per ricordare sia un tentativo
di avvelenamento, di cui il Santo fu protagonista, sia per simboleggiare la lotta intrapresa contro
gli eretici. La raffigurazione di San Giacomo della Marca è documentata in Piemonte, soprattutto
nella zona del Canavese, a Montanaro (affresco) e a Grosso Canavese, nella cui parrocchiale è
conservato un dipinto, attribuito al Caravoglia, che rappresenta San Giacomo (e non San
Bernardino) insieme a Sant’Antonio da Padova. L’iscrizione frammentaria presente nell’affresco
permette di riconoscere la Madonna Addolorata come possibile figura centrale del dipinto. Il
culto della Madonna Addolorata o Madonna dei Sette Dolori, introdotto dai Serviti e sostenuto
dai Francescani, venne riconosciuto in modo ufficiale a partire dal 1667. La Madonna dei Sette
Dolori era anche il titolo di una cappella di committenza della famiglia Molina, allestita nella
chiesa del paese.
!
L’affresco di Cinaglio potrebbe essere stato eseguito intorno al terzo quarto del XVII secolo con
valore di ex voto, in seguito alle pestilenze e alle guerre che avevano colpito la popolazione,
testimoniando così la particolare venerazione per la Santa Sindone nel paese dove svolgeva
un’importante ruolo sociale l’omonima Confraternita (del Sudario). Inoltre la scelta di raffigurare
proprio San Giacomo della Marca, grande predicatore ed avversario degli eretici, potrebbe
spiegarsi con una committenza vicina all’ambito francescano, sensibile alle tematiche religiose del
tempo e in particolare al problema degli eretici, perseguitati in quegli anni dai Savoia e costretti a
conversioni di massa nelle file dell’esercito sabaudo.
!
!45
GIPSOTECA “E. GONETTO”
A Cinaglio, in via Regina Margherita 2, si trova la gipsoteca (in greco antico gypsos vuol dire
“gesso”), intitolata a Emanuele Gonetto. Essa presenta una notevole raccolta di calchi in gesso
relativi ad opere che hanno segnato la storia dell’arte europea, dall’antichità all’epoca moderna.
!
Emanuele Gonetto fu un abile formatore in gesso e rilevò nel dopoguerra la ditta “Gipsotecariproduzione statue in gesso”, in via Principe Amedeo a Torino, ora di proprietà della famiglia
Mondazzi, che gestisce anche la gipsoteca di Cinaglio.
!
!
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I SOFFITTI DI CASA LAMBERTI
Giovanni Lamberti, nato a Borgosesia, piccolo paese in provincia di Vercelli, il 12 Marzo 1869, è
stato uno tra i pittori più attivi in Piemonte, dalla fine dell’Ottocento fino alla prima metà del
Novecento. Il padre Daniele, di origine ticinese, trasmise la propria passione per l’arte a Giovanni
che fin dall’adolescenza lo supportò nei suoi lavori di pittura, pur non tralasciando gli studi da
geometra. Il padre fu per lui il primo ed unico maestro, per la futura carriera artistica. I primi
passi di Lamberti, come pittore di decorazione, furono compiuti a Cinaglio, dove giunse
chiamato dal parroco Don Borio e dove si dedicò al restauro della chiesa di Sant’Antonio.
Durante questo periodo conobbe la donna che in futuro sarebbe diventata sua moglie, Fortunata
Picollo. Dal loro matrimonio nacquero tre figlie. Da Cinaglio, la famiglia Lamberti si trasferì a
Settime, dove Giovanni fu chiamato dai marchesi Borsarelli per decorare le sale e le camere del
castello. Portano la sua firme gli ornamenti che decorano il corridoio e la sala da pranzo del
castello. Negli stessi anni Lamberti lavorava presso la chiesa parrocchiale di Settime, su invito del
parroco Don Lorenzo Mogliotti. Nei primi anni del Novecento, il pittore si trasferì ad Asti, nel
quartiere di Santa Caterina e poi in via XX Settembre; da qui cominciò a svolgere il mestiere di
decoratore di edifici religiosi in diverse regioni, in Piemonte, Liguria e Lombardia. Fin dalle
prime esperienze lavorò insieme al pittore Luigi Morgari e successivamente collaborò con altri
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artisti, come il pittore Carlo Morgari o l’“indoratore” Carlo Bosio. Al termine della carriera,
ormai ottantenne, decorò la chiesa parrocchiale di Masone, che rappresenta certamente uno dei
suoi lavori più impegnativi. A Cinaglio, Lamberti fece costruire su un terreno di proprietà della
moglie un villino, che decorò interamente con grande passione. La casa divenne il nucleo
affettivo intorno a cui si svolgeva la vita della famiglia: la decorazione è perfettamente conservata
nei soffitti, dove sono rappresentati quadri di paesaggio, nature morte con cacciagione e cesti di
frutta, mazzi di fiori, scene allegoriche con la rappresentazione delle diverse arti e scene con
amorini giocosi. Anche dopo la morte di una delle figlie e la malattia della moglie, il pittore
rimase profondamente legato alla casa di Cinaglio, dove spesso si recava a dipingere. Nel 1954
ricevette il titolo di commendatore di San Silvestro, concessogli dal papa Pio XII, per l’opera
prestata nelle chiese delle diocesi piemontesi e liguri. La sua tomba si trova nel cimitero di
Cinaglio.
!
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SERIE CRONOLOGICA DEI PARROCI DI CINAGLIO
DAL
1580
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!
1. Don Nicolino Griva ....................................................................................dal 1580 al 1603
2. Don Giovannino Monte .............................................................................dal 1603 al 1631
3. Don Giovanni Berrino................................................................................dal 1632 al 1642
4. Don Antonio De Mattheis .........................................................................dal 1643 al 1650
5. Don Giovanni Antonio Langosco ............................................................dal 1650 al 1654
6. Don Nicolao Tobia......................................................................................dal 1654 al 1666
7. Don Natta .....................................................................................................dal 1666 al 1672
8. Don Giovanni Terfino ................................................................................dal 1672 al 1702
9. Don Luca Sassi.............................................................................................dal 1742 al 1788
10. Don Filippo Bracco.....................................................................................dal 1788 al 1806
11. Don Filippo Molina ....................................................................................dal 1807 al 1841
12. Don Secondo Demarie ...............................................................................dal 1841 al 1844
13. Don Giusto Stuardi .....................................................................................dal 1844 al 1884
14. Don Giovanni Borio ...................................................................................dal 1884 al 1932
15. Don Domenico Boeri .................................................................................dal 1932 al 1949
16. Don Giovanni Giaretti................................................................................dal 1949 al 1950
17. Don Michele Trinchero ..............................................................................dal 1950 al 1969
18. Don Defendente Fassone ..........................................................................dal 1969 al 2008
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19. Don Vincenzo Balsamo ...........................................................................................dal 2008
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BIBLIOGRAFIA
FONTI E DOCUMENTI
Fonti e documenti sono stati consultati negli archivi del Comune di Cinaglio, della parrocchiale di
San Felice e della Curia Vescovile. In particolare si ricordano le seguenti fonti:
A. Visita Peruzzi del 1585
B. Visita Panigarola del
C. Visita Pentorio del 1619
D. Visita Broglia del 1625
E. Visita Roero I del 1657
F. Visita Roero II del 1663
G. Visita Tomati del 1668
H. Visita Milliavacca del 1695
I.
Visita Todone del 1730
J.
Visita Felissano del 1743
K. Visita Lobetti del 1838
L. Inventario di tutti i mobili ed immobili spettanti alla Chiesa ed alla Prebenda parrocchiale
sotto il titolo di San Felice Nolano del 1845
M. Relazione del Parroco al Vescovo Savio del 1872
N. Risposte a Mons. Ronco del 1889
O. Relazione del parroco del 1900
P. Testimoniali Borio (ante 1929)
Q. Risposte al questionario del 1929
TESTI
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!50
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BIBLIOGRAFIA WEB
www.centrocasalis.it alla voce Cinaglio.
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Progetto grafico
Fabio Bertoglio, 2014
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