UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTA' DI ARCHITETTURA Corso di Laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale “Tra questi uomini ho appreso gravi leggende di terra e di zolfo, oscure storie squarciate dalla tragica luce bianca dell’acetilene. E l’acetilene della luna nelle tue notti calme, nella piazza le chiese ingramagliate d’ombra; e cupo il passo degli zolfatari, come se le strade coprissero cavi sepolcri, profondi luoghi di morte.” STUDI PER L'ISTITUZIONE DEL PARCO GEOMINERARIO DI CALTANISSETTA Valorizzazione e comunicazione dell'identità del luogo “Chi non ha visitato le zolfare di Sicilia, chi non è disceso nelle miniere e non ha vissuto, se non per un giorno, almeno per qualche ora, la vita di quella singolare popolazione formicolante in quelle caverne a centinaia e centinaia di metri sottoterra, respiranti un'aria Tesi di Laurea di Relatori Damiano Gallà Prof. Arch. Maria Elsa Baldi Prof. Arch. Teresa Cannarozzo che non è più aria, chi non ha sentito il rantolo affannoso incessante de' carusi portanti su per le scale rapide, fra i meandri angusti oscuri la soma del minerale all'aperto, chi non ha visto in una parola cos'è, la vita umana in quelle bolge quasi infernali che sono le solfare, non può farsene un'idea.” Gustavo Chiesi, La Sicilia illustrata. Anno Accademico 2003 - 2004 Leonardo Sciascia, La Sicilia, il suo cuore. UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTA' DI ARCHITETTURA Corso di Laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale STUDI PER L'ISTITUZIONE DEL PARCO GEOMINERARIO DI CALTANISSETTA Valorizzazione e comunicazione dell'identità del luogo Tesi di Laurea di Relatori Damiano Gallà Prof. Arch. Maria Elsa Baldi Prof. Arch. Teresa Cannarozzo Anno Accademico 2003 - 2004 INDICE PREMESSA GENESI E DIFFUSIONE DELLA FORMAZIONE GESSOSO-SOLFIFERA 1.1 Diffusione della formazione gessoso-solfifera in Sicilia 1.2 Genesi della formazione gessoso solfifera p. 1 p. p. 4 4 p. p. 9 10 p. p. p. p. 12 13 16 17 p. 18 p. 21 p. 24 p. 25 p. 29 p. 31 p. 34 p. p. 35 38 p. 40 p. 41 CAPITOLO 1 STORIA DELL’UTILIZZAZIONE MINERARIA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELL’OTTOCENTO 2.1 Prime testimonianze e riferimenti 2.2 Rivoluzione industriale ed incremento dell’attività mineraria 2.3 La “Statistica generale delle zolfare in Sicilia” (1839), ed il monopolio straniero nel commercio dello zolfo 2.4 Interessi commerciali internazionali e sistemi produttivi feudali 2.5 L’incremento della domanda estera e la prima innovazione produttiva 2.6 L’unificazione e l’intervento dello Stato nel settore mineario (1861) 2.7 Il sistema dei trasporti dello zolfo: la nascita della rete ferroviaria siciliana 2.8 Nuovi flussi di capitali e di tecnici settentrionali e stranieri: la fondazione della “Anglo-Sicilian Sulphur Company” (1896) CAPITOLO 2 STORIA MINERARIA DEL NOVECENTO, DALLA MASSIMA PRODUZIONE ALLE PREMESSE PER LA MUSEALIZZAZIONE 3.1 Gli anni della massima produzione e la fine improvvisa del monopolio italiano dello zolfo 3.2 La depressione del mercato dello zolfo e l’inizio dell’intervento diretto dello Stato (1906) 3.3 L’unificazione statale del commercio dello zolfo italiano e la grave crisi nel periodo della seconda guerra mondiale 3.4 La ripresa della produzione con la guerra di Corea E l’ammodernamento degli impianti minerari 3.5 La depressione dell’industria solfifera nel periodo post-bellico ed il passaggio delle competenze minerarie alla Regione Siciliana 3.6 L’acquisizione regionale delle miniere e le contraddizioni di una gestione fallimentare 3.7 La crisi finale e la dismissione del settore solfifero siciliano 3.8 Le leggi di tutela e le premesse per la musealizzazione del patrimonio minerario 3.9 Oltre gli interventi legislativi: i primi progetti di recupero degli impianti minerari dismessi CAPITOLO 3 CAPITOLO 4 IPOTESI DI CONNESSIONE E VALORIZZAZIONE DEI LUOGHI MINERARI 4.1 Miniera Trabonella 4.2 Miniera Iuncio-Tumminelli 4.3 Miniera Iuncio-Testasecca 4.4 Miniera Gessolungo 4.5 Miniera Saponaro 4.6 Miniera Stretto-Giordano Bibliografia p. p. p. p. p. p. 44 45 45 46 46 47 p. 48 PREMESSA Le zolfare siciliane sono la testimonianza fisica più evidente delle radici territoriali e dell’identità di ampie zone della Sicilia centromeridionale, una volta luogo di lavoro per migliaia di siciliani, oggi immenso patrimonio identitario inutilizzato. La diffusione del patrimonio minerario zolfifero (esteso in gran parte delle province di Caltanissetta, Agrigento ed Enna), la sua collocazione in contesti paesaggistici e naturali tipici dell’entroterra siciliano, le rilevanti valenze archeologico-industriali e talvolta architettoniche, i forti riferimenti etnoantropologici, assegnano ai siti minerari valori e potenzialità straordinarie. Negli ultimi anni il contesto culturale ha accresciuto la sua attenzione verso i beni che testimoniano l’identità e la memoria di una popolazione, superando l’antico concetto di salvaguardia del patrimonio culturale incentrato su beni e monumenti di maggiore valore storico ed estetico. In Sicilia il recupero dei siti minerari dismessi è stato affrontato con estremo ritardo; i progetti avviati e le poche azioni attivate hanno rivelato una mancanza di organicità e di coordinamento. La necessità, espressa da più voci, di costituire il Parco regionale geominerario (sulla scorta dell’esperienza della Sardegna) rappresenterebbe una grande opportunità per la programmazione del “Distretto culturale delle zolfare siciliane”, irrinunciabile occasione di turismo e sviluppo sostenibile connessa alla salvaguardia dell’identità per la Sicilia centromeridionale. Il presente studio, quindi, vuole essere un contributo di conoscenza per l’istituzione del Parco geominerario di Caltanissetta, considerato come 1 componente principale (sia per il numero di miniere esistenti, sia per qualità delle tecnologie ivi installate) del “Parco geominerario delle zolfare siciliane”. Si è pensato, quindi, di articolare il lavoro in tre fasi. La prima, concentrata sulla storia economica ed industriale dell’attività zolfifera in Sicilia, sulle trasformazioni fisiche delle zolfare nissene e sulla documentazione di esperienze recenti di parchi minerari. La seconda fase è volta alla conoscenza del territorio in cui gravitano le zolfare di Caltanissetta. La terza fase offre una panoramica della realtà sociale ed operaia in cui si è sviluppata la civiltà solfifera; Relativamente alla prima fase: il primo stadio di ricostruzione storica costituisce un elemento fondamentale per comprendere la portata internazionale, nazionale e, ovviamente, regionale del fenomeno “zolfo” negli ultimi due secoli. Il secondo stadio di descrizione degli impianti minerari e delle esperienze italiane di recupero vuole porre le basi per un corretto progetto unitario di recupero e valorizzazione. Nella seconda fase lo studio ha permesso, attraverso un’accurata analisi dei luoghi, coadiuvata dalla ricerca di documenti normativi, di leggere il contesto territoriale e paesaggistico del principale bacino minerario di Caltanissetta. E’ altresì documentata la storia della collettività che ha profondamente segnato oltre i luoghi di lavoro, anche la struttura urbana e sociale della città di Caltanissetta, antica capitale mondiale dello zolfo. La salvaguardia dell’identità del luogo costituisce l’elemento cardine sul quale costruire le ipotesi di recupero e valorizzazione del patrimonio minerario. Infine, la terza ed ultima parte del lavoro propone un’ipotesi di utilizzazione e di connessione dei siti minerari nel rispetto di una visione 2 d’intervento unitaria, principio base geominerario di Caltanissetta. 3 per l’istituzione del Parco CAPITOLO 1 GENESI E DIFFUSIONE DELLA FORMAZIONE GESSOSO-SOLFIFERA 1.1 – Diffusione della formazione gessoso-solfifera in Sicilia. Il più alto sviluppo della formazione gessoso-solfifera è raggiunta in Sicilia, nelle province di Caltanissetta, Enna ed Agrigento. Qui ricorrono i più ricchi strati produttivi, i più estesi che sono stati più diffusamente coltivati negli ultimi due secoli. La Sicilia, per la sua collocazione geografica al centro del Mediterraneo, è la regione dove la serie gessoso solfifera affiora più estesamente (oltre 1.000 km2, pari al 4% del suo territorio) e nella successione più completa. I caratteri generali della formazione miopliocenica non differiscono sostanzialmente da quelli che essa rappresenta nelle altre regioni italiane. Consta di un pacchetto di strati concordanti, talvolta inclinati, affetti da numerose faglie. 1.2 – Genesi della formazione gessoso-solfifera. La sua genesi è spiegata con la temporanea chiusura dello Stretto di Gibilterra per l'avvicinamento della Spagna all'Africa. Circa 5 milioni di anni fa, infatti, la soglia di Gibilterra (attuale stretto di Gibilterra) rappresentava un diaframma che separava le acque dell'Oceano Atlantico dal bacino Mediterraneo. Nel Miocene superiore (Messiniano) quasi tutta l'area del Mediterraneo fu interessata da una radicale variazione ambientale, risultato 4 di cambiamenti climatici e della creazione di una soglia tettonica che tagliò completamente i rapporti tra il Mediterraneo e l'Oceano Atlantico, promuovendo la deposizione di potenti spessori di sedimenti evaporitici. L'evoluzione seguita dal bacino portò ben presto ad una situazione caratterizzata da condizioni critiche: la temperatura e la concentrazione delle acque del Mediterraneo aumentarono considerevolmente. Questo evento è noto in letteratura come "crisi di salinità". Il clima estremamente arido e la mancanza di adeguati apporti idrici portò il Mediterraneo a perdere le sue caratteristiche di mare aperto e lo trasformò in una serie di bacini a carattere lagunare. In questo contesto si ha la deposizione della serie evaporitica che presenta spessori differenti nelle varie aree di deposizione. I terreni pre-solfiferi del Miocene medio-alto sono costituiti da rocce sedimentario-detritiche che si depositarono in seguito al sollevamento con erosione di vaste aree della Sicilia, nel corso di un evento tettonico compressivo verificatesi nel Tortoniano. Si tratta di sedimenti terrigeni, in gran parte di ambiente fluvio-deltizio, nei quali si intercalano depositi di natura argillosa, analoghi ai flussi gravitativi che si realizzarono in ambiente sottomarino. Durante il Messiniano, nei vari ambienti lagunari, venutisi a creare durante la fase di isolamento, le acque evaporavano fortemente per cui le sostanze nelle acque stagnanti precipitarono sul fondo dello stesso a seguito del raggiunto grado di saturazione e in relazione alla propria solubilità. Infatti precipitarono per primi i sali meno solubili e successivamente quelli più solubili. per cui la serie evaporitica risulta essere formata da un insieme di livelli salini. 5 Dal punto di vista stratigrafico i termini succedutisi alla deposizione, dal basso verso l'alto sono: 1) tripoli – 2) calcare di base – 3) gessi. Il Tripoli è un sedimento posto di solito nella parte basale della formazione gessoso-solfifera ed è costituito prevalentemente da diatomee e radiolari, ricche di sostanza organica, associate a livelli di argille marnose più o meno carbonatiche. Questi sedimenti si rinvengono quasi sempre sotto il Calcare di base. Solo in rari casi si assiste al contatto diretto, verso l'alto, con i gessi evaporitici, per mancanza del termine carbonatico. I Calcari di base evaporitici sono dei sedimenti carbonatici stratigraficamente sovrapposti alle diatomiti ed alle marne calcaree del complesso tripolaceo. Si tratta di un deposito evaporitico costituito da calcari sottilmente laminati di colore bianco o grigio molto chiaro, con irregolari vuoti interni contenenti sali. Lo zolfo si trova abbondante nei calcari di base. La sua presenza ha dato origine a controverse teorie sulla sua genesi. Le teorie più accreditate sono: A) trasformazione dei gessi, per l’azione di solfobatteri e acque di circolazione sotterranee, in zolfo puro ed acqua; B) presenza di idrocarburi molto ricchi di zolfo, che sfuggiti alle rocce magazzino, migrarono verso l'alto. Questi idrocarburi nella risalita subirono un processo di semifiltrazione da parte dei gessi che trattennero lo zolfo. La parte oleosa rimase attaccata al Tripoli. Tale ipotesi (detta naftogenica) sembra avvalorata dalla presenza di gas metano riscontrata durante le fasi di estrazione dello zolfo. Gli strati coltivati in Sicilia avevano un tenore medio di zolfo variabile dal 15 al 20%. La ganga, che in essi s'accompagna allo zolfo, è costituita da calcare marnoso, da gesso o da marne più o meno argillose. Lo zolfo è alle volte disperso uniformemente entro la roccia, altre volte in 6 lenticelle, in noduli o sacche. Raramente è cristallizzato e più diffusamente granulare. I Gessi depositatesi sul calcare di base sono per la gran parte rappresentati dal tipo "balatino", costituiti da una alternanza di straterelli di gessi microcristallini (selenite) e veli di argilla. All'interno dei termini della serie solfifera, nei bacini più isolati di altri e per le condizioni di forte evaporazione, hanno permesso la formazione di enormi accumuli di sali (detti domi salini) che dal punto di vista chimico sono rappresentati da sali di sodio e di potassio. La sedimentazione dei sali è avvenuta in continuità con i gessi secondo le leggi della solubilità. Si hanno infatti, dall'alto verso il basso, i seguenti termini: 1) salgemma – 2) kainite – 3)silvite – 4)carnallite – 5)bishofite – 6) sali di bromo e iodio. Nel Pliocene inferiore fenomeni tettonici provocarono l'abbassamento della soglia di Gibilterra, ristabilendo le condizioni iniziali di mare profondo ed aperto rimettendo il mare Mediterraneo in comunicazione con l'Oceano Atlantico. In queste condizioni si ha la deposizione dei trubi o marne (roccia sedimentaria costituita da calcare ed argilla mescolati). La fine del processo evaporitico è contrassegnata dalla deposizione di sedimenti calcareo marnosi (Trubi) ricchissimi di microforaminiferi e rappresentativi della parte basale del Pliocene. Questi sedimenti indicano un ritorno a condizioni di mare aperto, in seguito alla normalizzazione dei rapporti idrici tra l'Oceano Atlantico ed il mar Mediterraneo. I Trubi rappresentano l'inizio del Pliocene, questi sedimenti si sono depositati durante una fase di trasgressione per effetto della quale il dominio marino si riestese in aree che precedentemente erano venute a 7 trovarsi in emersione o in condizione di acque poco profonde, a causa dell'evento evaporitico del Messiniano. Questi Trubi di colore biancastro appaiono sovrapposti sui calcari evaporitici o sui gessi. Da questo momento in poi si assisterà ad una graduale tendenza all'emersione del bacino, evidenziata dalla deposizione di sedimenti. L’intera successione sedimentaria, sin qui descritta, rappresenta un intervallo temporale che dal Miocene superiore arriva al Pliocene inferiore (da 6,9 a 5 milioni di anni fa). Essa comprende nel suo insieme depositi detritici (prevalentemente di natura argillosa e marnosa) e sedimenti evaporitici (formazione gessoso-solfifera). 8 CAPITOLO 2 STORIA DELL’UTILIZZAZIONE MINERARIA DELLO ZOLFO DALLE ORIGINI ALLA FINE DELL’OTTOCENTO 2.1 – Prime testimonianze e riferimenti. Risalgono al II – III secolo d.C. i primi reperti archeologici che testimoniano l’estrazione dello zolfo in Sicilia. Si tratta di “Tegulae mancipum sulphuris” (“Tegola degli appaltatori di zolfo”) rinvenute nel territorio di Agrigento o di Milena (Caltanissetta) che presentano un’incisione che va da destra verso sinistra. Queste tegole venivano poste nei contenitori in cui si raccoglieva lo zolfo fuso, affinché i pani di zolfo portassero impresso il nome della miniera o del proprietario. La tegola rinvenuta in contrada Aquilia, nel territorio di Milena, reca a rilievo la scritta “EX PRAEDIS M. AURELI COMMODIAN” (“Dalle proprietà di Marco Aurelio Commodiano”). Gli usi dello zolfo nell’antichità furono descritti dallo storico romano Plinio il Vecchio. Nella sua opera “Naturalis Historia”, viene fatta menzione dell’utilizzo dello zolfo in campo medico, per preparare rimedi e unguenti, nell’arte tessile, nell’industria dei vetri e in ambito rituale, per la cerimonie sacre di purificazione. Fino al XVII secolo la bassa domanda di zolfo è soddisfatta, soprattutto, dalle solfatare vulcaniche. Le poche zolfare esistenti all’epoca erano differenti dalle miniere odierne. L’estrazione del minerale avveniva in superficie o in scavi di limitata profondità, simili a delle trincee, in corrispondenza di affioramenti di rocce ricche di minerale. In siciliano, le solfare si chiamano pirreri, cioè a dire cave (di pietra), perché appunto in origine esse erano vere e proprie cave di minerale di solfo, limitate 9 in estensione e in profondità, che si lavoravano spesso quasi a cielo scoperto e che si abbandonavano appena presentavano pericolo di crollamento, per aprirne altre in luogo vicino.1 2.2 – Rivoluzione industriale ed incremento dell’attività mineraria. Dal XVIII secolo lo sviluppo chimico-industriale aumentò la domanda di zolfo. Si scoprì infatti nel 1736 un nuovo metodo per la preparazione dell’acido solforico, di cui si fa ampio uso nell’industria tessile e farmaceutica, a partire dallo zolfo. Un ulteriore beneficio all’attività mineraria di zolfo giunse dalla scoperta del metodo Le Blanc (1787) per la fabbricazione in scala industriale della soda. Vennero aperte nuove miniere di zolfo, seppure in numero limitato. Nel 1808 l’abolizione dei diritti di monopolio regio sul sottosuolo diede impulso all’attività mineraria. Dall’epoca romana sino a questa data la miniera scoperte nei feudi divenivano proprietà dei sovrani, i quali assoggettavano i proprietari terrieri, autorizzati all’apertura di una miniera, al pagamento della decima sulla produzione. Quest’uso, che si è perpetuato fino ai primi anni del XIX secolo, dovette produrre un malcontento generale nei proprietari nel periodo in cui la produzione mineraria aumentò. Cosicché Ferdinando di Borbone emanò un decreto (8 ottobre 1808) con il quale abolì l’obbligo della decima, unificò la proprietà della superficie a quella del sottosuolo e diede la possibilità di apertura di una miniera esclusivamente al proprietario della corrispondente superficie, dietro il pagamento di una regalia di L. 127,50. 1 Travaglia R., I giacimenti di zolfo in Sicilia, Padova, 1889, pag. 9. 10 E con la facoltà di apertura della miniera, tacitamente si concedeva al proprietario del suolo ogni diritto, senza contropartita di alcun dovere, né verso lo Stato stesso, né verso la massa di operai che, spinta dal bisogno, s’accalcava dinanzi agli imbocchi delle gallerie a chiedere lavoro.2 Il numero delle miniere di zolfo dovette aumentare. Vennero infatti, emanate in quegli anni (1809-1811-1813) delle disposizioni di legge per la tutela della vegetazione, circostante la miniera, dai danni dell’anidride solforosa; quest’ultima prodotta nella fusione del minerale di zolfo. Nel 1822 l’abate Francesco Ferrara, nel libro “Guida dei viaggiatori per la Sicilia”, scrisse: La Sicilia abbonda di miniere di salgemma e molto più di quelle di solfo, sostanza che forma una considerabile parte dello interno delle sue terre. Nel territorio di Girgenti le miniere di solfo sono così abbondanti che si dice in tutto il territorio trovarsene una in ogni sito nel quale si discava, ma questo minerale combustibile è anche in estrema copia in tutti quasi i luoghi dell’Isola di qua e di la del fiume Salso.3 Intorno a quegli anni lo zolfo, e suoi derivati, si affermarono come uno dei componenti di base dell’industria chimica mondiale. L’applicazione della macchina a vapore ai processi industriali ed ai trasporti determinarono, specialmente in Inghilterra, un forte aumento delle attività produttive e conseguentemente un’alta domanda di minerali di base, tra cui lo zolfo. Lo zolfo venne utilizzato per la produzione di esplosivi e fiammiferi. Il suo principale derivato, l’acido solforico, venne utilizzato per la preparazione di altri acidi, di solfati, di medicinali, dello zucchero, del vetro, di vernici e disinfettanti. 2 Cassetti M., Fascismo e controllo operaio. I villaggi minerari (1937-1942), in Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e società nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, CaltanissettaRoma 1989, pag 409. 3 Ferrara F., Guida dei viaggiatori in Sicilia, Palermo, 1822, pag. 195. 11 Lo zolfo e l’acido solforico raggiunsero nel XIX secolo un ruolo paragonabile oggigiorno a quello del petrolio. 2.3 – La “Statistica generale delle zolfare in Sicilia” (1839), ed il monopolio straniero nel commercio dello zolfo. Tra il 1830 ed il 1835, infatti, il numero dei cantari di zolfo, prodotti in Sicilia, quasi raddoppiò, passando da 350.000 a oltre 660.000. L’intera produzione di zolfo venne destinata all’esportazione, per cui nel 1835 i principali acquirenti furono i paesi maggiormente industrializzati: Gran Bretagna (325.793 cantari) e Francia (262.774). La restante quantità di zolfo siciliano venne richiesta dagli Stati Uniti e da una decina di altri paesi europei. Risalgono a questo periodo i primi documenti ufficiali sull’apertura delle principali miniere del bacino zolfifero di Caltanissetta. A tale proposito sono molto interessanti i dati riportati nella “Statistica generale delle zolfare in Sicilia”, redatta nel 1839. Dal documento si ricavano l’ubicazione, i proprietari, gli esercenti e la produzione di ciascuna zolfara. Relativamente alle miniere situate a nord-est della città di Caltanissetta, si riportano, parzialmente, i seguenti dati: Contrada Zolfara Proprietari Esercenti Gessolungo Gessolungo Barone Calafato G. F.lli Romeo Iuncio 11 zolfare diverse Fam. Curcuruto I. Lo Giudice G. Stretto 6 zolfare diverse Giordano G. Lo Giudice G. Trabonella Trabonella Barone Morillo F.lli Morelli Stretto Stretto Duca Duca San Giovanni Franchi G. 12 L’elevato numero delle miniere (407 di cui 193 nella provincia di Caltanissetta e 170 in quella agrigentina) connesso all’eccessivo ottimismo dei produttori determinarono notevoli giacenze di zolfo. Tutto ciò venne aggravato dallo stretto controllo dei prezzi commerciali da parte di operatori esteri. A controllare e gestire il commercio dello zolfo siciliano verso i mercati europei erano essenzialmente i mercanti inglesi, da decenni presenti nella realtà isolana. Il transito da una produzione con destinazione pressoché esclusivamente locale ad una produzione legata ai flussi della domanda dei mercati nordeuropei rendeva i produttori locali deboli e legati, senza soluzioni alternative, ai mercanti inglesi, oltre ad alcuni francesi; erano costoro a controllare autonomamente i flussi commerciali, determinando contestualmente le variazioni dei prezzi.4 Si ebbe allora la prima crisi di sovrapproduzione manifestata da un rovinoso crollo del prezzo medio dello zolfo, che passò dalle 208 lire del 1833 alle 85 lire del 1837. 2.4 – Interessi commerciali internazionali e sistemi produttivi feudali. Il governo borbonico istituì un monopolio di vendita dello zolfo “che regolamentasse la produzione solfifera, al fine di evitare la sovrapproduzione ed il conseguente crollo dei prezzi”5. Nel 1838 venne, così, approvata la società francese “Compagnie des soufres de Sicilie”, rappresentata da Amato Taix ed Arsenio Aycard. La “Taix-Aycard” assicurò l’acquisto di prestabilite quantità di zolfo a prezzi determinati. Il principio del conferimento della produzione ad una apposita organizzazione di vendita, che trovava allora la sua prima applicazione, resterà poi basilare nelle successive vicende dell’industria zolfifera. Questo ha però portato a 4 Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia, Palermo 2004, pag. 11. 5 Ibidem. 13 considerare preminente per lo sviluppo dell’industria, la politica di mercato, ed a trascurare del tutto, anche perché estranea all’organizzazione commerciale, la tecnologia produttiva. Le vicende, quindi, che ricorrono nella storia dello zolfo, sono l’andamento della domanda e dell’offerta con le conseguenti ripercussioni sui prezzi; la più o meno accorta determinazione dei medesimi, il volume delle giacenze in relazione al prezzo ed al mercato; gli interventi per rimediare a ricorrenti situazioni di crisi.6 Il blocco della quote di produzione, associato al prevedibile divieto di apertura di nuove miniere, provocò un forte aumento dei prezzi dello zolfo nel mercato estero. Le industrie inglesi, le quali erano le maggiori importatrici di zolfo, protestarono energicamente chiedendo l’intervento del governo britannico. Ad intervenire non fu solamente la diplomazia inglese ma la stessa flotta britannica che, nella primavera del 1840, avviava una corposa azione dimostrativa innanzi al porto di Napoli. L’intervento riscosse un indubbio successo se il re delle Due Sicilie si vide costretto a disdettare il contratto e a pagare alla compagnia Taix-Aycard un cospicuo indennizzo[…].7 Nonostante i grandi interessi commerciali, le miniere di zolfo rimasero per lungo tempo legate al mondo arcaico dei feudatari e soffrendo la mancanza di innovazione tecnologica. A metà dell’Ottocento […] le miniere in attività in Sicilia erano 300 ed occupavano 16.000 minatori. […] Soltanto 4 miniere erano munite di macchine a vapore per l’estrazione del minerale e l’eduzione delle acque, mentre altre 10 miniere disponevano di maneggio a cavalli, sicché da ben 286 miniere, la cui profondità media era di circa 60 metri dagli imbocchi a giorno, l’estrazione veniva praticata col trasporto a spalla effettuato da circa 10.000 operai, di cui 3.500 di età inferiore ai 14 anni.8 6 Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 57. 7 Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia 2003, pag. 12. 8 Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pag. 11. 14 Il coesistere di sistemi di lavoro del tutto primitivi e di precarie condizioni tecniche dell’industria erano determinate, in larga parte, da vincoli di gestione, tra proprietari ed esercenti, di antico stampo feudale. “Le zone minerarie legate alla proprietà di superficie, erano in gran parte estremamente suddivise […]”9 (per cui non si poteva sfruttare il filone di zolfo in miniera razionale ed efficiente); “[…] la loro concessione in gabella era di durata limitata, in media nove anni; l’estaglio percepito dal proprietario raggiungeva in molti casi il 30% della produzione” 9. A tutto ciò si aggiungeva “[…] la segnalata scarsezza di mezzi della maggior parte degli esercenti, (ai quali fra l’altro correva l’obbligo, allo scadere della gabella, di lasciare al proprietario gli impianti costruiti” 9. A testimonianza delle tecnologie arcaiche esistenti nelle miniere di quegli anni, vi era il metodo di fusione dello zolfo della calcarella. Per separare lo zolfo dal resto del minerale estratto (ganga) si bruciavano dei piccoli cumuli di minerale, adagiati in un fosso costruito a piano inclinato e dal diametro di 1 – 2 metri. Lo zolfo fuso, che rappresentava una piccola parte di quello contenuto nel cumulo iniziale (30 – 40 % di tenore), colava lungo il piano e fuoriusciva da un’apertura chiamata “foro della morte”. I restanti due terzi dello zolfo si volatilizzavano sotto forma di anidride solforosa, con grave danno degli operai e delle colture circostanti. La raccolta dello zolfo veniva completata in meno di ventiquattrore, da cui il vantaggio della rapidità con i danni però della scarsa produzione e dell’inquinamento. 9 Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pagg. 57-58. 15 2.5 – L’incremento della domanda estera e la prima innovazione produttiva. Intorno al 1840, nel settore chimico terminò il monopolio dello zolfo nella produzione di acido solforico, a causa dell’introduzione dell’uso delle piriti per la produzione dell’acido. Tuttavia la domanda di zolfo, da parte dei paesi esteri, crebbe rapidamente poiché il minerale, polverizzato e mescolato con acqua, divenne l’unico rimedio efficace ad una malattia dei vigneti (l’oidium) propagatasi in tutta Europa. L’utilizzo dello zolfo nella coltivazione dei vigneti europei diventò un’operazione consueta per molti decenni, tanto da assorbire, alla fine del XIX secolo, quasi la metà della produzione dello zolfo siciliano. Si registrò, quindi, un forte aumento della produzione agevolata, anche, dall’introduzione del calcarone nella procedura di fusione dello zolfo, in sostituzione delle cacarelle. I calcaroni, che dal 1851 cominciarono a diffondersi nella maggior parte delle miniere, sono costruzioni di forma cilindrica, con pavimento a piano inclinato (10-15 gradi) di diametro tra i dieci ed i venti metri circondato da un muro alto circa cinque metri. Un muro di gesso separava il calcarone dalla camera antistante, nella quale l’arditore (operaio specializzato nella fusione dello zolfo), dopo alcune settimane dall’accensione e per un periodo lungo anche tre mesi, provvedeva ad aprire il foro della “morte” ed a suddividere la colata di zolfo fuso in degli appositi contenitori tronco – piramidali detti “gavite”. Questi forni erano capaci di contenere, compresa la sopraelevazione conica, duemila metri cubi di minerale, i quali venivano ricoperti da una “camicia” di “ginisi” (rosticcio, minerale di scarto derivato dalla fusione dello zolfo) e attraversato da alcuni sfiatatoi. 16 Il metodo di fusione del calcarone aumentò il tenore di zolfo fuso, diminuendo l’emissione di anidride solforosa ad un terzo dello zolfo contenuto nel minerale. Alla miniera Trabonella rimangono visibili, ancora oggi, nell’area degli antiche impianti, due lunghe batterie di calcaroni nelle quali si distingue, per il buono stato di conservazione, un colossale calderone con spalle in blocchi di pietra e foro della “morte” ancora intatti. Nella parte sottostante i forni, alcuni calcaroni conservano le gallerie di ingresso, alla camera dell’arditore, composte da archi con blocchi di pietra lavorati. 2.6 – L’unificazione e l’intervento dello Stato nel settore minerario. Con l’unità d’Italia il sistema solfifero siciliano visse importanti innovazioni rimanendo comunque legato agli antichi problemi riguardanti i modi ed i rapporti di produzione. Il Ministro di agricoltura e commercio nel primo ministero Ricasoli, Filippo Cordova, originario della provincia nissena, istituì nell’ottobre 1861 una “Giunta per il miglioramento della coltivazione delle miniere di zolfo e dell’industria solfifera”, composta da rappresentanti di grandi proprietari terrieri siciliani, docenti universitari e da tecnici minerari. I lavori della Giunta si basarono sul resoconto delle ispezioni alle zolfare siciliane eseguite da Felice Giordano, ispettore delle miniere, anch’esso componente della Giunta. Giordano denunciò metodi antiquati di escavazione e spese eccessive per il trasporto dello zolfo dalle miniere ai porti. Questa valutazione venne recepita dalla Giunta che, pur evitando di discutere l’arretratezza dei rapporti di produzione in quanto espressione 17 degli interessi dei proprietari minerari, propose al ministero interventi innovativi: 1) istituzione del Corpo delle Miniere siciliano, con sede a Caltanissetta; 2) istituzione di una Scuola per capi minatori affidata all’ingegnere piemontese Mottura, con sede a Caltanissetta; 3)realizzazione della carta geologica dell’area zolfifera siciliana. La richiesta, in ambito politico nazionale, di ammodernamento dei sistemi di trasporto dello zolfo spiega le forti pressioni che, alcuni anni dopo, vennero esercitate per la costruzione della rete ferroviaria verso l’interno dell’isola. 2.7 – Il sistema dei trasporti dello zolfo: la nascita della rete ferroviaria siciliana. Nel decennio post-unitario iniziò la costruzione delle rete ferroviaria siciliana. Ad eccezione della linea ionica, i tronchi ferroviari siciliani seguirono la dislocazione degli insediamenti solfiferi, tra luoghi di produzione, raffinazione e commercio. Questo collegamento tra ferrovie e zolfare si verificò, anche, nelle attività di alcuni costruttori di linee ferrate come, ad esempio, nelle famiglie inglesi Trewella e Sarauw, da sempre impegnate nell’amministrazione di zolfare. Sino al 1870 le due linee Palermo – Lercara e Catania – Leonforte “posero le zolfare delle province di Palermo e Catania in una posizione privilegiata rispetto le altre esistenti nelle aree interne”10. Negli anni settanta l’aspirazione ad ottenere il controllo commerciale delle aree solfifere interne portò ad uno scontro durissimo tra le città costiere 10 Canciulo G., Ferrovie e commercio zolfifero, in Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e società nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1989, pag 131. 18 orientali, insieme a Girgenti, e Palermo. Il motivo pratico del contendere fu il collegamento delle linee progettate Palermo – Porto Empedocle e Catania – Licata. Sebbene i favori del governo centrale ricadettero sui tracciati proposti dalle elites politiche palermitane, le scelte definitive sancirono “il ruolo emergente del porto di Catania e delle contigue attività di raffinazione”11. I fronti catanesi ed agrigentini ebbero dalla loro parte l’economicità e la fattibilità tecnica dei tracciati realizzati, insieme al maggiore dinamismo dei ceti commerciali ed imprenditoriali della città etnea, riuscendo a prevalere sui politici palermitani che rivendicarono i privilegi dell’antica capitale. Ne furono prova i dati relativi al movimento dello zolfo nelle stazioni nel 1885: Catania–116.700 tonnellate, Porto Empedocle–103.228 T, Licata – 58.746 T, Termini Imerese – 11.343 T, Palermo – 5.780 T . Il solfo viene attualmente trasportato nei tre versanti dell’Est (Catania), dell’Ovest (Porto Empedocle e Licata) e del Nord (Palermo e Termini). Dalle stazioni comprese fra Caltanissetta, Porto Empedocle e Licata si spedisce quasi sempre in questi porti; dalle stazioni situate tra Villarosa e Catania si spedisce quasi sempre in questa città, e solo dalla stazione Imera, intermedia, si spedisce ora all’uno ora all’altro versante. Nel versante Nord concorre soltanto la stazione di Lercara; dalle altre stazioni della linea Lercara – Girgenti si spedisce per Porto Empedocle.12 Le zone minerarie non attraversate dalle linee ferroviarie rimasero, comunque, legate a condizioni arcaiche del trasporto dello zolfo. I comuni che non risentono il beneficio delle linee ferroviarie sono: Favara, Naro, Palma M.°, Raffadali, S. Angelo Muxaro, Butera, Terranova, Montallegro, Girgenti in parte, Cattolica, Cianciana, Bivona e Siculiana. Eccettuati i solfi di Palma, Cattolica e Siculiana, che giungono ai porti 11 Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia, Palermo 2004, pag. 13. 12 Gatto M., Cenni sulla storia delle zolfare in Sicilia, in Annuario della Società dei Licenziati della R. Scuola Mineraria di Caltanissetta, anni III e IV, 1887-1888, pag. 156-157. 19 principali per via di mare, in barche o piccoli battelli, tutti gli altri sono trasportati con carri o con muli secondo le condizioni della viabilità13. Le ferrovie si confermarono un economia esterna capace di influire positivamente sul commercio minerario per la riduzione dei costi di trasporto. Ciò fu tanto più vero per le miniere vicino alle stazioni e per quelle più grandi che impiegarono notevoli risorse finanziarie per l’allacciamento diretto con le ferrovie tramite tramvie e teleferiche. Ma il problema principale continuò ad essere l’arretratezza dei rapporti di produzione […]. I tentativi dei TrewellaSarauw di attuare l’ammodernamento degli impianti in alcune miniere, ottenere affitti più lunghi, abbattere la controproducente separazione tra attività estrattive e di raffinazione, furono troppo isolati e circoscritti […]14. Negli anni successivi all’unità nazionale si ebbe un forte aumento della produzione, di molto superiore al consumo, con il verificarsi di attività speculative degli intermediari. Si passò dalle 150.000 tonnellate di zolfo prodotto nel 1860, alle 326.657 T del 1886. La sproporzione tra produzione ed effettiva domanda portò ad avere, nel 1886, 400.000 tonnellate di zolfo in deposito. Questa, ennesima, crisi di sovrapproduzione portò ad un grave ribasso dei prezzi dello zolfo. Nonostante i risvolti mondiali dello zolfo siciliano, l’organizzazione imprenditoriale locale perpetuò i suoi sistemi di produzione desueti ed irrazionali. […] lo zolfo siciliano costituiva la principale o una delle principali ricchezze minerarie italiane, ed era una autentica riserva del mondo. […] Fra il 1860 e il 1890 lo zolfo estratto in provincia di Caltanissetta, e nelle altre province contermini, rappresentava un supporto fondamentale del rapporto dell’Italia con il mercato internazionale. Allora la bilancia commerciale italiana aveva assai bisogno di valuta pregiata che facilitasse la crescita industriale del paese, e gran parte di questa valuta veniva fornita appunto dall’industria siciliana dello zolfo. Ma pur con quelle circostanze favorevoli le innovazioni tecnologiche come pure le modificazioni della organizzazione produttiva per incapacità, per mancanza di capitali, per inesperienza imprenditoriale, ma 13 Gatto M., Cenni sulla storia delle zolfare in Sicilia, in Annuario della Società dei Licenziati della R. Scuola Mineraria di Caltanissetta, anni III e IV, 1887-1888, pag. 157. 14 Canciulo G., Ferrovie e commercio zolfifero, in Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e società nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1989, pag 163. 20 anche per errato calcolo economico (lo sfruttamento sic et simpliciter del lavoro umano rendeva di più che la costosa e non sempre promettente introduzione di nuove macchine), […] vennero sistematicamente scartate15. 2.8 – Nuovi flussi di capitali e di tecnici settentrionali e stranieri: la fondazione della “Anglo–Sicilian Sulphur Company” (1896). Gli industriali inglesi interessati alla produzione ed al commercio dello zolfo e preoccupati dalla discesa dei prezzi, avanzarono delle proposte di riassetto commerciale. Nel 1896 si giunse alla costituzione della “Anglo – Sicilian Sulphur Company” su iniziativa di Ignazio Florio ed imprenditori inglesi. […] la compagnia […] si assicurò, ad un prezzo determinato, contro pagamento alla consegna, circa la metà della produzione siciliana. Era anche prevista, ma in maniera del tutto inapplicabile, la possibilità di frenare la produzione. Il Governo, dal canto suo, abolì il dazio di esportazione e tutte le tasse dirette e indirette gravanti sulla produzione e sul commercio solfifero. Unico prelevamento, quello di una lira su ogni tonnellata di zolfo esportato. […] Un più facile accesso al credito consentì ai produttori più avveduti di attuarequalche miglioramento delle attrezzature16. Si riuscì a stabilizzare i prezzi dello zolfo e le grandi miniere migliorarono gli impianti grazie, anche, all’arrivo di tecnici e borghesia imprenditoriale provenienti dal nord dell’Italia. La quasi totalità dei vecchi impianti, oggigiorno visibili in parte nelle zolfare situate a nord-est di Caltanissetta, risalgono infatti a qual periodo storico. 15 Renda F., Ferrovie e commercio zolfifero, in Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e società nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1989, pag. 20. 16 Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 58. 21 Miniera Trabonella. La miniera venne affittata all’imprenditore lombardo Gedeone Nuvolari (zio del famoso Tazio) nel 1897 con la direzione dell’ingegnere Mezzena. Degli impianti ancor oggi visibili, i seguenti vennero realizzati in quegli anni: il camino del riflusso Nuvolari (1898), elegante costruzione in pietra di sabucina e mattoni di terracotta; alcune “abitazioni” degli operai, consistenti in baracche in muratura ad unica elevazione; la tramvia a cavalli (1898) che collegava la miniera alla stazione Imera, riconoscibile oggi, in lungi tratti, per il sedime ferroviario; due grandi sestiglie di forni Gill (inizio del XX secolo), con ancora i fori per la carica del minerale ed i camini di sfiato. In posizione centrale rispetto agli impianti appena descritti, svetta la palazzina della direzione, risalente alla seconda metà del XIX secolo, a tre elevazioni. Miniera Gessolungo. La sezione Maurelli della miniera venne affidata al veronese ing. Travaglia nel 1893. Nei primi anni del ‘900 e sino al 1919 le varie sezioni vennero unificate e gestite da un unico esercente: l’ing. Giacomo Fiocchi, originario di Milano. Gli edifici dell’epoca rimasti visibili sono: il castelletto di estrazione del pozzo Fiocchi (1912) e l’attigua sala argano. Il castelletto del pozzo Fiocchi è uno degli ultimi castelletti in muratura ancora in piedi, che venne dotato, negli anni ’50, di una lanterna in cemento armato. Nel castelletto si ritrovano ancora le molette, le funi e le gabbie. Miniera Iuncio-Testasecca. All’inizio del XX secolo la miniera, proprietà del conte Ignazio Testasecca, venne affidata al padovano ing. Putti. Gli unici edifici della miniera attualmente conservati sono le strutture di servizio agli impianti del pozzo, oggi non più esistente, e la palazzina della direzione. Quest’ultima, risalente ai primi anni del ‘900, è composta 22 da tre elevazioni con motivi di chiara ispirazione liberty e con una torre di avvistamento nel lato principale, che ne costituisce la quarta elevazione. Miniera Saponaro. Della zolfara, proprietà alla fine del XIX secolo del conte Ignazio Testasecca, rimane un solo, ma caratteristico, impianto risalente agli anni tra ‘800 e ‘900. Si tratta dei resti di alcune quadriglie di forni Gill, posizionate sul fianco di una collina, costituite da muri basamentali con blocchi di sabucina, con la bocca d’ingresso ai forni, e da alti ed eleganti camini in mattoni di terracotta. Miniera Stretto – Giordano. Gli unici edifici ancora esistenti della zolfara vennero costruiti durante gli ultimi anni del XIX secolo. Intorno al 1886 la miniera risultò gestita da Robert Trewella; noto imprenditore inglese attivo nella costruzione di tronchi ferroviari, nella amministrazione delle zolfare e nel commercio dello zolfo. Durante la sua gestione sorsero due caseggiati in muratura, probabilmente destinati a magazzino, e l’edificio principale della miniera. Quest’ultimo, oggi ridotto a rudere, è un blocco a pianta rettangolare, a due elevazioni con copertura a doppia falda. Al piano terreno vi sono delle grandi aperture con archi a tutto sesto, da cui si accede ai depositi. Il piano superiore venne, invece, adibito ad uffici. 23 CAPITOLO 3 STORIA MINERARIA DEL NOVECENTO, DALLA MASSIMA PRODUZIONE ALLE PREMESSE PER LA MUSEALIZZAZIONE 3.1 – Gli anni della massima produzione e la fine improvvisa del monopolio italiano dello zolfo. La stabile politica commerciale della Compagnia Anglo-Sicula connessa ai miglioramenti tecnologici delle zolfare ebbero effetti positivi sulla produzione mineraria. Il 1901 fu, infatti, l’anno di massima produzione ed occupazione, in assoluto, delle zolfare siciliane: 537.543 tonnellate di zolfo prodotto con 38.922 operai. Nel 1901 si raggiunse la massima attività del settore zolfifero Siciliano. […] si ottennero 538.000 tonnellate di zolfo, produzione mai raggiunta nel tempo; rappresentò in quell’anno il 95% della produzione nazionale; l’84% dello zolfo prodotto in Sicilia pari a tonnellate 472.000 venne acquistato da 30 Paesi dell’Europa, dell’America, dell’Asia e dell’Africa per un valore di L. 52.000.000 di allora corrispondenti al 61% del valore totale di tutta la produzione mineraria del Regno. La meccanizzazione raggiunse un alto livello con ben 119 macchine a vapore e 12 maneggi a cavalli. Il numero delle miniere in attività raggiunse il numero di 886, con una occupazione di 39.000 operai […]. […] ancora ben 6.400 carusi di età inferiore ai quindici anni erano adibiti al massacrante trasporto a spalla del minerale dai fondali delle miniere alla superficie17. La favorevole situazione per lo zolfo siciliano si protrasse sino al 1906, anno in cui la “Anglo – Sicilian Sulphur Company” cessò la propria attività avendo avvertito per tempo i pericoli derivanti dalla scoperta negli Stati Uniti d’America di un nuovo metodo di estrazione dello zolfo (il metodo “Frasch”). 17 Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pag. 12. 24 Tale metodologia d’estrazione, non applicabile nel bacino zolfifero siciliano a causa di differenti conformazioni geologiche del sottosuolo, abbassò notevolmente i costi dello zolfo americano rendendo non più competitive economicamente le zolfare siciliane. La tecnica di estrazione americana fu totalmente diversa da quella utilizzata in Italia; non occorreva, infatti, impiegare migliaia di minatori nelle viscere della terra per scavare interminabili gallerie sotterranee. Il metodo Frasch, che mise in crisi l’intera economia solfifera italiana, si distingue nettamente dai metodi tradizionali per l’estrazione dello zolfo in quanto si basava su una tecnologia che consentiva, in un unico ciclo di operazioni l’estrazione e la fusione del minerale con dei valori di purezza del prodotto non ottenibili altrimenti senza ricorrere alla raffinazione. Il processo consiste nella intercettazione a mezzo di trivellazioni meccaniche della vena solfifera a profondità variabili, nella fusione in loco per mezzo di acqua e vapore acqueo ad alta temperatura e al trasporto del minerale in superficie mentre permane lo stato di fusione. Per ottenere questo procedimento occorre trivellare il terreno con fori di diametro variabile fino alla profondità del giacimento. Quindi vengono calati dei tubi fino al tetto del giacimento; all’interno di questa camicia metallica vengono calati ulteriori tre tubi che vengono posizionati a profondità diverse nel giacimento. Viene introdotta acqua bollente a pressione e lo zolfo, che si liquefa a 116 gradi centigradi, si raccoglie in basso e quindi penetra nello spazio del tubo intermedio dove viene aspirato verso la superficie. All’esterno lo zolfo viene raccolto in appositi vasconi e quindi successivamente solidificato in contenitori di deposito (vat)18. 3.2 – La depressione del mercato dello zolfo e l’inizio dell’intervento diretto dello Stato (1906). La perdita siciliana del monopolio dello zolfo spinse i produttori siciliani a ricercare un accordo con l’Union Sulphur americana per la spartizione dei mercati. Si propose di non più esportare in USA la produzione siciliana; da parte loro gli USA non avrebbero dovuto inviare zolfo in Europa. Un accordo di questo 18 http://www.e-mineralshow.com/zolfo1.html (sito internet di Carlini r. sullo zolfo in Italia). 25 genere non poteva essere valido se non impegnativo per tutti i produttori siciliani […]. E poiché non appariva realizzabile una volontaria adesione di tutti ad un organismo rappresentativo, fu da più parti richiesto un provvedimento che imponesse l’unione: nacque così la legge 15 luglio 1906, n. 333, istitutiva del “Consorzio Obbligatorio per l’Industria Zolfifera Siciliana”19. Nel 1906, sotto l’incalzare della crisi determinata dai prezzi dello zolfo statunitense, prevalse la scelta di formare il consorzio obbligatorio dei produttori che finì per essere un cartello di vendita piuttosto che un trust di produzione20. A partire dal 1906 la produzione di zolfo andò sensibilmente assottigliandosi, scendendo al di sotto delle 400.000 tonnellate nel giro di pochi anni, contro le 536.782 tonnellate del 1905. Frattanto molte piccole miniere inadeguate tecnologicamente, raggiunsero il livello acquifero e dovettero cessare le attività estrattive. Il numero degli operai diminuì, rimanendo sempre inferiore alle 30.000 unità, contro i 38.922 operai del 1901. Tutto ciò favorì la massiccia emigrazione transoceanica anche dalle aree minerarie della Sicilia, che sino a quel periodo non erano state interessate da tale fenomeno differentemente dalle province ad antica emigrazione, come Palermo e Messina. Gli accordi con l’Union Sulphur americana vennero meno allo scoppio della prima guerra mondiale, a causa dell’aumento della richiesta di zolfo per scopi bellici che consentì lo smercio di tutta la produzione zolfifera mondiale. Il fenomeno si aggravò “anche per le difficoltà di approvvigionamento dei materiali occorrenti per l’attività mineraria e per la chiamata alle armi dei lavoratori”21. 19 Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 59. 20 Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia, Palermo 2004, pag. 14. 21 Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 59. 26 Il 1917 fu un anno negativo per l’attività zolfifera siciliana: la produzione di zolfo scese a 183.159 tonnellate, più che dimezzata rispetto a dieci anni prima, mentre il numero di operai risultò, per la prima volta dal 1878, inferiore alle 10.000 unità (9.857). In tale periodo di grave difficoltà economica delle zolfare mancò, ovviamente, del tutto ogni tentativo di miglioramento tecnologico degli impianti. Unica eccezione fu la miniera Trabonella, una delle maggiori zolfare della Sicilia. Questa miniera, rimasta chiusa dal 1911 al 1914 per un grave incidente minerario, passò in gabella alla ditta D’Oro – Lo Pinto – Cortese nel 1914, sostituendo la vecchia ditta esercente Nuvolari. Nel 1916 si decise di spostare l’attività d’estrazione intorno ad un nuovo pozzo, situato ad Ovest e più a monte della vecchia zolfara, detto anche pozzo D’Oro, che raggiunse la profondità di metri 280. Parte del castelletto metallico del pozzo D’Oro è ancora visibile, mentre l’imbocco del pozzo è sigillato da un blocco in muratura. Nel 1918 il governo centrale prorogò il Consorzio obbligatorio di vendita per un dodicennio ed emanò dei provvedimenti destinati ad agevolare la concessione di mutui e sovvenzioni agli esercenti, nel tentativo di migliorare le sorti dell’attività mineraria. Nonostante gli accordi economici stipulati dal Consorzio Obbligatorio, lo zolfo siciliano, totalmente esportato all’estero, non riusciva a reggere la spietata concorrenza dell’industria americana. Ciò venne aggravato dall’impossibilità di trasformare lo zolfo in altre materie prime in prossimità dei luoghi di produzione, a causa dell’inesistenza in Sicilia di stabilimenti industriali di trasformazione. Tale utilizzazione avrebbe evitato allo zolfo siciliano la via obbligata dell’esportazione. Il numero delle miniere attive continuò a diminuire costantemente sebbene la produzione di zolfo ed il numero di operai si mantenne 27 pressoché stabile sino all’inizio della seconda guerra mondiale, seppure con numeri ben lontani da quelli di inizio secolo. Le persistenze della crisi del mercato internazionale determinarono il disimpegno del capitalismo settentrionale mentre sopravvivevano, duri a morire, i residui feudali.22 In quegli anni, in cui molte miniere videro cambiare i propri esercenti, la mafia cominciò a mostrare interesse per la gestione di alcune zolfare. Non a caso è documentata la presenza del capo mafia don Calogero Vizzini nelle gestione della miniera Gessolungo dal 1919 al 1954, e della miniera Gibellini, sita fra Montedoro e Racalmuto, intorno agli anni ’50. Il Regio Decreto 29 luglio 1927, n. 1443, reintrodusse la demanialità dei sottosuoli minerari cercando, seppure in ritardo, di trasformare il regime feudale di proprietà. La proprietà delle miniere passò allo Stato, più precisamente al Corpo Nazionale delle Miniere, dipendente dal Ministero dell’Industria. Tuttavia il carattere della legge fu più formale che sostanziale. Infatti, nella miniera Trabonella, alla proprietà del barone Morillo si sostituì la concessione perpetua della S.A.M.T. (Società Anonima Miniere Trabonella), amministrata dal barone stesso. Anche alla miniera Gessolungo gli esercenti antecedenti al 1927 rimasero alla guida della zolfara, uniti sotto il nome di Società Anonima Miniere Gessolungo. L’Industria zolfifera siciliana trasse un irrisorio beneficio, in termini di zolfo prodotto, da tale applicazione della legge. Risalgono al 1931 due planimetrie delle aree minerarie situate a nord-est di Caltanissetta e della singola miniera Trabonella, realizzata dall’Istituto Georafico Militare. 22 Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia, Palermo 2004, pag. 14. 28 Nella planimetria in scala 1:25000 la dislocazione delle varie miniere ripercorre il maggiore filone zolfifero nisseno, a forma di grande “Omega”, descritto dagli insigni geologi dell’Ottocento (Mottura, Parodi, Baldacci, Travaglia, Gatto); alle sue estremità le zolfare Giangiana (Gessolungo) e Giumentaro. Sono visibili gli antichi percorsi di connessione tra le miniere e la linea tranviaria che collegava la miniera Trabonella con la stazione ferroviaria Imera. La planimetria in scala 1:5000, relativa alla sola miniera Trabonella, mostra la dislocazione degli impianti esterni della zolfara. All’estremità occidentale, il pozzo D’Oro attorno al quale si costruirono gli impianti moderni a partire dagli anni ’50, abbandonando gradualmente la sezione Luzzatti. Sono anche rappresentati le lunghe batterie di calcaroni e forni Gill ed i vasti accumuli di rosticcio, che ancora oggi conferiscono alla zona una particolare morfologia. 3.3 – L’unificazione statale del commercio dello zolfo italiano e la grave crisi nel periodo della seconda guerra mondiale. Dopo la liquidazione del “Consorzio Obbligatorio per l’Industria Zolfifera Siciliana” nel 1932, la maggior parte dei produttori chiese nuovamente l’intervento dello Stato. Ebbe così vita, con il R.D. 11 dicembre 1933, n. 1699, “l’Ufficio per la Vendita dello zolfo italiano”, con sede in Roma. L’ufficio riunì così, per la prima volta, in un unico organismo commerciale, tutti i produttori italiani, assicurando loro un ricavo minimo sugli zolfi prodotti. 29 Con ciò l’industria potè fruire di un periodo di relativa tranquillità, anche se i ricavi risultarono appena sufficienti a coprire le sole spese indispensabili di esercizio23. L’Ufficio Vendita venne trasformato, nel 1940, in Ente Zolfi Italiano (E.Z.I.), ed in questo furono accentrate tutte le attività di carattere commerciale, tecnico-industriale e di assistenza sociale riguardante il settore solfifero. All’E.Z.I. fu conferito il monopolio del commercio interno ed estero dello zolfo italiano. Ebbe anche i compiti di incoraggiare studi e ricerche per trovare nuovi campi di lavoro e nuovi metodi di trattamento del minerale. […] il nuovo Ente, anche per le limitate disponibilità finanziarie concessegli dalla legge istitutiva, ben poco potè fare a favore dell’industria solfifera. Aggiungasi che il passaggio della guerra nell’Isola ed il permanere a lungo in Italia del fronte di operazione resero del tutto precari i vincoli con i produttori, ciscuno alle prese con le rovine prodotte dalla guerra alla propria miniera24. Nel 1950 venne costruita una centrale operativa dell’E.Z.I. a Caltanissetta, in contrada Terrapelata, in corrispondenza della nascita del villaggio operaio S. Barbara. La serie di edifici, ancora oggi esistenti ma abbandonati, era costituita da uffici tecnici, laboratori, magazzini e officine in cui lavorarono decine di geologi, chimici e periti minerari provenienti dal norditalia e dalla stessa Caltanissetta. Durante il secondo periodo bellico molte miniere dovettero chiudere per le frequenti mancanze di energia elettrica con i conseguenti allagamenti delle gallerie interne. L’attività mineraria ebbe un crollo verticale. Nel 1944 la produzione di zolfo ed il numero di opeari raggiunsero il minimo storico dall’inizio del XIX secolo: 32.841 tonnellate di zolfo prodotto (208.896 nel 1940) e 4786 operai (14.043 nel 1940). 23 Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 60. 24 Ibidem. 30 Alcune zolfare subirono, oltretutto, bombardamenti e mitragliamenti, dagli eserciti stranieri, con gravi danni alle strutture. 3.4 – La ripresa della produzione con la guerra di Corea e l’ammodernamento degli impianti minerari. Alla fine degli eventi bellici, le riserve mondiali di zolfo, impoverite da un lungo conflitto mondiale (ricordiamo che lo zolfo fu un componente principale degli esplosivi bellici), e l’industria estrattiva americana non riuscirono a soddisfare la forte domanda generale di zolfo. Nonostante i danni causati alle miniere dalla guerra, l’attività estrattiva riprese con un ritmo sostenuto, spesso a discapito della sicurezza delle maestranze. Un forte impulso alla produzione di zolfo arrivò, anche dallo scoppio della guerra di Corea (1951). Evidentemente, nel clima internazionale del tempo, di forte contrapposizione fra i due blocchi militari politici e ideologici avversi […], la prospettiva non era solo la guerra di Corea, ma il suo assai probabile allargamento ad latre aree del pianeta. In quelle condizioni, il mercato mondiale divenne tutto ad un tratto un grande affamato di zolfo, materia prima della industria di guerra. In conseguenza non solo i prezzi salirono alle stelle: non si pose più pertanto il problema dei costi, anche altissimi. Ma il governo italiano, al fine di incrementare comunque la produzione, intervenne con apposita legge, la legge del 12 agosto 1951, stanziando 9 miliardi che poi furono portati a 16 […], onde ottenere l’incremento produttivo fino a 500 mila tonnellate di zolfo annue25. Così il principale dichiarato scopo di aumentare la produzione […] è risultato ben presto inattuale di fronte all’imperativo di ridurre il costo di estrazione26. 25 Renda F., L’industria mineraria siciliana ieri e oggi, in Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e società nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1989, pag. 20. 26 Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 61. 31 Alcune miniere, soprattuto le più estese, poterono beneficiare di ingenti investimenti per impianti di una certa rilevanza, sino al 1959. Gran parte degli impianti moderni delle zolfare risalgono a quel decennio e sono ancora oggi visibili; interessanti non per il valore storico inesistente ma per la mole e l’alta tecnologia dei macchinari. Miniera Trabonella. Nel 1954 venne impiantato un nuovo pozzo, detto appunto Pozzo Nuovo, situato a poca distanza dal pozzo D’Oro, raggiungente la profondità di 480 metri. Il grande castelletto d’acciaio è ancora visibile e ben conservato, mentre il blocco di edifici che inglobano la struttura metallica del castelletto mostra segni di dissesto murario. Si tratta della sala argano, della centrale elettrica e della linea “decauville” di carreggio dei vagonetti provenienti dal sottosuolo. Le vie di carreggio sono, nella quasi totalità, ancora in luogo con una serie di vagonetti in parte deragliati ed in parte ancora colmi di minerale; quest’ultimo veniva poi rovesciato nella sottostante vasca per alimentare l’impianto di frantumazione (costruito pochi anni dopo a servizio dell’impianto di flottazione). Nel 1956 vennero costruiti la strada d’accesso agli impianti moderni della miniera, l’edificio dell’ex lampisteria prospettante il piazzale d’ingresso, il blocco di edifici dei magazzini materiali e delle officine (di nessun pregio). Nel 1958 furono completati i lavori per l’impianto di flottazione, sebbene questo metodo di lavorazione fosse conosciuto già da alcuni anni. La flottazione costituiva l’unica alternativa agli antichi metodi di fusione dello zolfo (calcarone, forno Gill). Questo metodo chimico di separazione dello zolfo dalla ganga permise di ottenere l’88% dello zolfo esistente nel minerale trattato eliminando del tutto le emissioni di anidride solforosa. 32 “La flottazione è un metodo di lavorazione che consente di sottoporre il materiale, così come esce dalla zolfara, dapprima a frantumazione e macinazione ed in seguito ad un lavaggio con acqua. Nelle celle di flottazione la cosiddetta “torbida”, ottenuta nella prima parte della lavorazione, veniva agitata meccanicamente fino alla formazione di un’abbondante schiuma con la conseguente separazione dello zolfo dalla “ganga”. Nel processo risultava efficace l’aggiunta di sostanze chimiche come nafta o olio di pino nella proporzione di 100 grammi per ogni tonnellata di minerale grezzo. Il successivo addensamento della schiuma, raschiata dalla torbida con pale meccaniche”27, avveniva nel reparto filtrazione, in cui veniva eliminata gran parte dell’acqua contenuta nello zolfo mediante un filtro rotativo a tamburo, scaricando il prodotto finito (denominato concentrato di flottazione) sul piazzale esterno. Gli impianti di flottazione sfruttano la diversa altimetria dell’area situando i vari cicli di lavorazione su livelli diversi. La strumentazione è in discreto stato di conservazione, anche se preda della ruggine per la cessata manutenzione. Molto precari, invece, i rivestimenti dei capannoni: si tratta di pannelli di eternit poggiati su profilati d’acciaio intelaiati. Altri manufatti risalenti agli anni ’50 sono: il “silos minerali terzi”, composto da una tramoggia tronco-conica utilizzata per contenere il minerale grezzo proveniente da altre miniere, foderata in blocchi di pietra lavica e sormontata da un elegante telaio in acciaio; l’edificio della nuova direzione; le vasche circolari per la raccolta delle acque; l’impianto di ventilazione forzata adiacente al pozzo D’Oro. Miniera Saponaro. Negli anni ’50 la miniera fu “ammodernata con la costruzione della centrale elettrica e soprattutto con la sperimentazione del forno Masobello per la fusione della ganga zolfifera. L’impianto in 27 Cassetti M., Gli impianti minerari, Prov. Regionale di Caltanissetta, Agrigento 1999, pag. 16. 33 struttura reticolare di acciaio era simile tecnologicamente agli altiforni per la fusione dei materiali ferrosi”28. Il colore rosso della struttura rende ancor più particolare questo forno di fusione, unico nel suo genere nelle zolfare siciliane e pertanto di elevato valore testimoniale di un particolare settore dell’arte mineraria. 3.5 – La depressione dell’industria solfifera nel periodo postbellico ed il passaggio delle competenze minerarie alla Regione Siciliana. Finito il periodo della guerra di Corea la domanda di zolfo diminuì drasticamente, mettendo in crisi il settore minerario siciliano. Lo zolfo era prodotto a costi proibitivi, circa sei volte rispetto a quello ottenuto negli Stati Uniti dalla distillazione frazionata del petrolio (scoperta successivamente al metodo “Frasch”). La produzione italiana di zolfo, coincidente totalmente con quella siciliana dopo la chiusura di tutte le zolfare di Romagna e Marche, rappresentò nella bilancia mondiale meno del 2%. I dati di produzione furono inferiori alle 100.000 tonnellate, con valori simili o quelli di inizio ottocento; ciò nonostante le zolfare siciliane rappresentavano in quegli anni una grande realtà industriale in cui lavoravano 7.200 operai. Con il passaggio delle competenze del settore solfifero siciliano alla Regione, fu varato un Piano di Riorganizzazione quinquennale (L.R. 13 marzo 1959, n. 4). Tale legge richiedeva, da parte degli esercenti, la presentazione di un progetto quinquennale di ristrutturazione della miniera le cui spese sarebbero state, inizialmente, a totale carico della Regione. Il finanziamento sarebbe stato erogato man mano che fossero stati approvati dal Corpo Regionale delle 28 Cassetti M., Gli impianti minerari, Prov. Regionale di Caltanissetta, Agrigento 1999, pag. 218. 34 Miniere, gli stati di avanzamento. Le somme sarebbero state restituite alla Regione siciliana alla fine del quinto anno, una volta che fosse stata avviata la ripresa dell’attività economica zolfifera. Tutte le miniere dovevano ricostituirsi in società per azioni ed impegnarsi a mantenere occupati un certo numero di dipendenti e pagarli regolarmente a fine mese. Insomma, sembrava una buona legge. Purtroppo, come tutte le cose che sembrano di facile realizzazione, si verificò in seguito qualche cosa di anomalo. Per prima cosa, nei consigli di amministrazione cominciarono a entrare alcuni personaggi politici ambigui, di scarsa competenza nel “buon amministrare”. Possedevano, solo, l’abilità di fare bieco clientelismo. […] Dei lavori veri e propri che rispettassero il programma originario neanche l’ombra! In quegli anni si consumò certamente il vero dramma delle miniere e, naturalmente, dello stesso minatore.29 3.6 – L’acquisizione regionale delle miniere e le contraddizioni di una gestione fallimentare. Al termine dei cinque anni previsti dal Piano di Riorganizzazione, la maggior parte dei concessionari di zolfare risultarono inadempienti. La Regione Siciliana, a partire dal 20 ottobre 1964, revocò le singole concessioni ai privati per affidarle all’Ente Minerario Siciliano, prima, e alla SO.CHI.MI.SI. (Società Chimica Mineraria Siciliana a copertura pubblica), dal 1967. Dal secondo dopoguerra tanti zolfatai lottarono per il passaggio della miniera alla gestione pubblica rivendicando condizioni di lavoro accettabili, la cessazione della mentalità feudale nella gestione delle miniere, la verticalizzazione del settore minerario con un ciclo di produzione e di trasformazione chimica dello zolfo nel territorio siciliano. Purtroppo le decisioni politiche nascosero ben altre finalità. […] a distanza di appena un anno dall’acquisizione delle miniere da parte dell’EMS, tutto si sovvertì, sotto gli occhi increduli di tutti. […] La verità era ben altra. Occorreva riciclare dirigenti trombati in avventure politiche passate che non potevano essere lasciati in mezzo ad una strada. 29 Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pagg. 115-116. 35 Occorreva trasformare l’EMS in un grosso carrozzone politico senza futuro, clientelare ed assistenziale.30 Negli anni successivi molte zolfare furono chiuse; all’inizio degli anni ’70 erano rimaste attive in Sicilia soltanto dodici miniere. Imponenti lavori di ammodernamento interessarono gli impianti delle miniere a gestione regionale, senza che ciò potesse impedire il graduale disfacimento del settore solfifero. Miniera Gessolungo. Nel 1965 la miniera fu affidata all’Ente Minerario Siciliano che tentò di ristrutturare completamente gli impianti. Nella piazzola d’ingresso si trova un fabbricato ad una sola elevazione, sede ultima dell’ufficio di direzione. Attiguo alla sala argano del pozzo Fiocchi, fu costruito un fabbricato a doppia elevazione. Il pianterreno era adibito a spogliatoio per gli operai, mentre la parte sovrastante ospitava l’ufficio tecnico. La parte retrostante al pozzo Fiocchi ospita una piccola centrale di stoccaggio del minerale, composta da un nastro trasportatore e da due silos. Nella scarpata sovrastante sono collocate la centrale di aria compressa, con alcuni compressori ancora oggi conservati, e la centrale elettrica. Due corpi rettangolari in muratura, entrambi con copertura piana, sono situati nel grande spiazzo sottostante al pozzo. Il primo era destinato ad uffici, il secondo ad autorimessa per i mezzi pesanti. Nella parte bassa delle zolfare si trova il pozzo Maurelli. Il castelletto è stato completamente rifatto in cemento armato. In una piccola costruzione attigua trovava sistemazione il gruppo elettrogeno. Di fronte al castelletto è situata la sala argano. Tutte le strutture descritte sono di irrilevante interesse storico. 30 Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pag. 121. 36 Miniera Iuncio-Tumminelli. La miniera, terza come estensione dopo Trabonella e Giumentaro, fu tra le più modernizzate e presenta pochi resti dell’antica zolfara (resti di forni Gill ed ex palazzina della direzione, divenuta oggi residenza contadina). Al centro della zolfara spicca l’alto castelletto d’acciaio alto 30 metri, realizzato su progetto dell’ingegnere romano Plinio Picardi che prevedeva la modernizzazione degli impianti di estrazione e di frantumazione del minerale. L’impianto serviva per il trasporto del minerale dal sottosuolo all’impianto di frantumazione; da qui il minerale veniva inviato, con lunghi nastri trasportatori, ai silos di stoccaggio protetti da un capannone. In questo spazio i camion potevano caricare automaticamente il minerale per il trasporto all’impianto di flottazione della miniera Trabonella. Attigua al castelletto è la sala argano, in mattoni di terracotta, ed una piccola centrale elettrica. Lungo la via principale sono collocati due vasti edifici, in cemento armato. La costruzione a due elevazioni era destinata ad uffici, archivio, depositi, ambulatori e servizi igienici. La parte retrostante dell’edificio permette l’ingresso al primo piano tramite una passerella, sfruttando il terrapieno a cui è accostato. L’edificio ad unica elevazione ha, invece, una pianta a forma di “U”, ed era destinato ad officina nella parte centrale, ad autorimessa e falegnameria in un’ala, ed a magazzino spogliatoi e docce nell’altra ala. Infine è da citare una cappella ex-voto, costruita successivamente alla chiusura della zolfara, ricavata in uno scavo del terreno che riproduce, all’interno, le armature in legno delle gallerie minerarie. 37 Il pozzo della miniera Tumminelli fu l’ultimo, tra le miniere del gruppo Iuncio-Gessolungo, ad essere utilizzato per l’estrazione del minerale, essendo unificate le gallerie sotterranee di tali miniere. Gli impianti di sollevamento delle miniere circostanti, nell’ultimo periodo di attività, vennero impiegati solamente per la discesa degli operai nei cantieri di lavoro. 3.7 – La crisi finale e la dismissione del settore solfifero siciliano. Con la legge regionale 6 giugno 1975, n. 42, venne decretata la chiusura di alcune miniere. Rimasero aperte soltanto quattro zolfare. I sotterranei della miniera Trabonella furono sigillati il 3 dicembre 1975. Solo l’impianto di flottazione rimase in attività, con minerale proveniente da altra miniera. L’unica miniera attiva nell’estrazione del minerale, all’interno del bacino solfifero a nord-est di Caltanissetta, fu la Gessolungo-Iuncio Tumminelli. Nei primi anni ’80 gli ultimi due impianti vennero costruiti all’interno della miniera Trabonella: si tratta degli impianti di purificazione e di ventilazione dello zolfo. Il primo impianto è ospitato in un capannone in cemento armato prefabbricato, adiacente l’impianto di flottazione. Nell’impianto di purificazione veniva trattato il concentrato di flottazione per l’eliminazione del suo contenuto in acqua, mediamente del 10 %, e della ganga ancora presente, per essere portato al tenore 99-100 % in zolfo. Il minerale arricchito, mediante un nastro trasportatore, veniva inviato al piazzale esterno. Il successivo impianto di ventilazione, che si trova nei pressi 38 dell’uscita secondaria della miniera, produceva zolfi ventilati per l’agricoltura. L’impianto è ospitato in un edificio prefabbricato, di fronte ai silos del concentrato di flottazione e del concentrato purificato dai quali veniva inviato il minerale tramite un nastro trasportatore, ed è ancora in buono stato di conservazione. Attraverso i reparti essiccazione e macinazione, veniva prodotto e confezionato il ventilato di zolfo, utilizzato in agricoltura. Adiacenti all’impianto di ventilazione si trovano i depositi degli stok di zolfi ventilati. Sul piazzale esistono, ancor oggi, parti di alcune varietà di prodotti finiti di zolfo. Dinanzi l’uscita secondaria della miniera è collocata la bilancia a “bilico” per la pesatura dei camion. 1988. Nel 1988 la Regione Siciliana, con la L.R. 8 novembre 1988 n. 34, decretò la dismissione del settore solfifero con la chiusura definitiva di tutti gli impianti. I pozzi Fiocchi, Maurelli e Tumminelli sono stati chiusi il 23 gennaio del 1990. L’E.M.S., a completamento della sua pessima e irresponsabile amministrazione, non fece nulla per salvaguardare almeno i macchinari e le attrezzature, lasciandole nell’incuria generale, contravvenendo anche a quanto stabilito dalla legge regionale 34/1988 che all’articolo 8 recita: “L’E.M.S. […] provvederà alla chiusura delle miniere di zolfo […] curando il recupero dei beni e delle attrezzature utilmente asportabili.”. “Così furono spenti luci e riflettori su un’intera parte di storia”31 economica, sociale ed industriale della Sicilia. 31 Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pag. 131. 39 3.8 – Le leggi di tutela e le premesse per la musealizzazione del patrimonio minerario. La legge della Regione Siciliana n. 34 del 1988 dava anche la possibilità all’E.M.S. di alienare le miniere ed i relativi beni o di concederli in locazione, addirittura, per finalità industriali ed artigianali. In questo modo i segni tangibili del periodo dello zolfo in Sicilia correvano il rischio di scomparire. Solamente nel 1990 i maggiori siti minerari di Caltanissetta, miniera Gessolungo-Tumminelli e miniera Trabonella, sono stati dichiarati di importante interesse storico ed etnoantropologico ai sensi della legge 1089/1939. L’apposizione di questi vincoli da un lato impedì che le strutture e le aree minerarie venissero destinate ad usi impropri rischiando di essere trasformate e snaturate, dall’altro non evitò atti vandalici e di sciacallaggio. Le zone vincolate non interessano aree storicamente importanti come le miniere Stretto-Giordano e Saponaro. L’omissione risulta grave soprattutto nei riguardi della miniera Saponaro, pregevole testimonianza di archeologia industriale. Nel 1991, con la L.R. 17/1991, sono state poste le premesse per l’istituzione del museo regionale delle miniere in Caltanissetta con sede nelle miniere Gessolungo, La Grasta (situata a sud-ovest di Caltanissetta) e Trabia-Tallarita di Riesi-Sommatino. Esternamente al bacino solfifero nessuno furono istituiti il museo regionale delle miniere di Agrigento con sede in Ciavalotta, la miniera-museo di Cozzo Disi (Casteltermini), l’ente parco minerario Florisella-Grottacalda (Enna, Aidone, Piazza Armerina, Valguarnera) ed il museo e parco archeologico-industriale della zolfara di Lercara Freddi (art. 58 della L.R. 15/93). La legge resta in gran parte 40 inapplicata senza che negli anni successivi al 1991 vi sia stato un rifinanziamento dalla Regione siciliana, ad eccezione dell’ente parco Floristella-Grottacalda. Nel 1996 furono creati i presupposti perché l’Azienda foreste demaniali della Regione siciliana intervenga nel recupero ambientale delle aree libere o rimboschite in possesso dell’Ente Minerario Siciliano (art. 60 della L.R. 33/1996). Venne anche prevista la possibilità dell’Azienda foreste demaniali di recuperare gli immobili e di affidare la gestione ad enti o cooperative. Anche a questa legge non seguì alcun finanziamento e nessun intervento. 3.9 – Oltre gli interventi legislativi: i primi progetti di recupero degli impianti minerari dismessi. A partire dal 1998 vengono redatti piani e progetti di recupero delle zolfare di Caltanissetta con qualche effetto tangibile, seppur modesto e al momento poco efficace. Nel giugno del 1998 il Comune di Caltanissetta ha acquisito dall’E.M.S. le aree e gli immobili della miniera Trabonella (delibera n. 2267 del 31/12/1996 e n. 670 del 26/06/1998). Nel 1999 la stessa miniera è stata compresa nella Riserva naturale orientata “Monte Capodarso e Valle dell’Imera Meridionale” (istituita con D.A. n. 513 del 27/10/1999) a testimonianza dell’importanza storica, ambientale e paesaggistica del sito. Ad oggi l’unico intervento realizzato nelle miniere di Caltanissetta ha riguardato la zolfara Trabonella, in particolare il recupero del piazzale antistante l’area principale d’ingresso. L’intervento è stato eseguito dal 41 Gruppo Azione Locale “Sviluppo Valle dell’Himera” nel biennio 2000/2001, per un importo di L. 190.000.000. Altri interventi sono stati proposti ed hanno ottenuto i finanziamenti. 1. Primo stralcio del progetto per la realizzazione del parco minerario “Trabonella”, finanziato per € 1.032.913,80 nell’ambito del P.I.T. Bio Valley. L’intervento prevede la recinzione dell’intera area, il completamento della strada d’accesso alla miniera, la messa in sicurezza di alcuni percorsi interni, l’esplorazione della Galleria Luzzati al fine di valutare un’eventuale recupero della struttura di sottosuolo, ed altri interventi minori. 2. Progetto: “La cultura delle miniere: un passato virtuale in un luogo reale”, finanziato nell’ambito del P.O.R. Sicilia 2000-2006 per € 565.176,86. L’intervento prevede la realizzazione di supporti informatici e pubblicazioni relative alla storia mineraria ed alla ricostruzione virtuale dei sotterranei, con collocazione nel sito minerario di una postazione multimediale divulgativa. Altre iniziative definite sono in attesa di finanziamenti. 1. Progetto di recupero dell’edificio dell’ex lampisteria ricadente all’interno della miniera Trabonella, presentato dalla Provincia regionale di Caltanissetta. 2. Accordo tra Comune di Caltanissetta e ARPA per un piano di caratterizzazione della miniera Trabonella, con individuazione e classificazione degli eventuali rifiuti (in particolare le coperture in cemento-amianto). Tralasciando le iniziative promosse dall’amministrazione comunale ma non finanziate, è necessario analizzare le aree minerarie all’interno 42 degli strumenti urbanistici comunali, considerando la loro imminente approvazione. Oltre la miniera Trabonella e la miniera Giumentaro, quest’ultima localizzata in provincia di Enna, ricadenti nella zona B della riserva naturale orientata, le altre cinque sono ricompresse in zone agricole. In dettaglio, le miniere Gessolungo, Iuncio-Tumminelli, Iuncio-Testasecca e Stretto-Giordano ricadono in zona EF3 “parco territoriale agricolo minerario”, le cui previsioni si attuano attraverso specifici Piani territoriali di utilizzazione. Solamente la miniera Saponaro non gode di particolare disposizioni di tutela essendo ricompressa in zona agricola dei feudi (E2). Infine, vanno segnalate due iniziative collaterali ma significative per la pubblicizzazione del patrimonio minerario nisseno. Si tratta dell’ingresso della Riserva naturale orientata “Monte Capodarso e Valle dell’Imera Meridionale”, con particolare riferimento all’area della miniera Trabonella, nella Rete dei Geoparchi Europei. L’altra iniziativa riguarda la creazione di un itinerario minerario, in cui compaiono le zolfare nissene, all’interno dei percorsi del Parco letterario “Regalpetra” Leonardo Sciascia. 43 CAPITOLO 4 IPOTESI DI CONNESSIONE E VALORIZZAZIONE DEI LUOGHI MINERARI Ipotesi di reti di connessione per i luoghi minerari 4.1 – Miniera Trabonella Recupero degli edifici e degli impianti di lavorazione dello zolfo, sia antichi sia moderni, al fine di riproporre i processi industriali dello zolfo siciliano, in una delle miniere più vaste ed attrezzate, con la creazione di un “Parco-museo della tecnica mineraria”. 44 Demolizione dei fabbricati moderni di nessun interesse storico o tecnologico, in precarie condizioni statiche. Recupero della palazzina della direzione e dell’ex lampisteria ai fini: a) espositivi-museali (storia della miniera Trabonella, la vicenda umana dei “trabonellari” ed i grandi scioperi); b) divulgativi per la conoscenza e l’esplorazione della riserva dell’Imera (la “porta” principale della riserva). Riconfigurazione paesaggistica delle aree libere interne e delle zone rimboschite, necessaria per l’estensione e per la scarsa qualità delle aree. 4.2 – Miniera Iuncio-Tumminelli Museo delle attrezzature e dei macchinari minerari (vagoncini, compressori, macchine movimento terra, strumentazione elettrica, ecc….) provenienti da tutte le zolfare di Caltanissetta, attualmente sparsi nelle aree delle miniere o allocati in edifici non meritevoli di musealizzazione, da insediare nei due edifici delle miniere. Messa in sicurezza del castelletto di estrazione e del sistema di trasporto automatico dello zolfo, quale esempio ben conservato della moderna tecnica mineraria. 4.3 – Miniera Iuncio-Testasecca Restauro edilizio della palazzina dell’ex direzione, pregevole esempio di architettura liberty. Rifunzionalizzazione agrituristica connessa all’attigua azienda agricola per offrire ricettiva turistica a servizio del parco geominerario. 45 4.4 – Miniera Gessolungo Sede del museo regionale delle miniere (previsto dalla L.R. 17/1991) da localizzare in alcuni degli edifici moderni previa ristrutturazione. Il museo deve illustrare tutti gli aspetti connessi all’utilizzazione mineraria in Sicilia ed estesi all’intero bacino solfifero siciliano. Il museo deve costituire, sulla base della maggiore rilevanza delle zolfare di Caltanissetta, il punto di divulgazione di riferimento regionale dei parchi geominerari dello zolfo in Sicilia. Restauro del castelletto d’estrazione in muratura del pozzo Fiocchi. Sede centrale del parco Geominerario di Caltanissetta con sala convegni. Possibilità di utilizzo di alcune ampie zone pianeggianti, all’interno della miniera, inserite in particolari pareti di scavo antiche per rappresentazioni teatrali e musicali. La suggestività del contesto sarà accresciuta dal recupero dei castelletti minerari e dell’ampio panorama libero circostante. Punto di partenza del percorso ciclo-pedonale che attraversa le miniere. 4.5 – Miniera Saponaro Restauro del forno Masobello, degli antichi forni Gill e dell’ingresso delle discenderie, manufatti di valore storico-architettonico con testimonianza di un particolare settore dell’arte mineraria. Risagomatura delle altimetrie segnate da vistose pareti di scavo e ridefinizione ambientale delle aree circostanti. 46 4.6 – Miniera Stretto-Giordano L’edificio principale della miniera, oggi ridotto a rudere, potrebbe essere riedificato senza alterazione dei volumi e delle superfici originarie, e con l’esatta riproposizione dei caratteri strutturali e formali, per essere adibito ad attività turistico-ricettiva privata a servizio del parco geominerario. 47 BIBLIOGRAFIA Baldi M. E., La riqualificazione del paesaggio, La Zisa, Palermo 1999. Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e società nell’area dello zolfo, secoli XIXXX, Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1989. Bertolio S., Miniere, Manuali Hoepli, Milano 1951. Candura G., Miniere di zolfo di Sicilia, Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1990. Cassetti M., Gli impianti minerari, Prov. Regionale di Caltanissetta, Agrigento 1999. Chiesi G., La Sicilia illustrata, Milano, 1892. 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