Tesi Gallà miniere CL 2004

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PALERMO
FACOLTA' DI ARCHITETTURA
Corso di Laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale
“Tra questi uomini ho appreso gravi leggende
di terra e di zolfo, oscure storie squarciate
dalla tragica luce bianca dell’acetilene.
E l’acetilene della luna nelle tue notti calme,
nella piazza le chiese ingramagliate d’ombra;
e cupo il passo degli zolfatari, come se le strade
coprissero cavi sepolcri, profondi luoghi di morte.”
STUDI PER L'ISTITUZIONE DEL
PARCO GEOMINERARIO DI CALTANISSETTA
Valorizzazione e comunicazione dell'identità del luogo
“Chi non ha visitato le zolfare di Sicilia, chi
non è disceso nelle miniere e non ha vissuto, se
non per un giorno, almeno per qualche ora, la
vita di quella singolare popolazione
formicolante in quelle caverne a centinaia e
centinaia di metri sottoterra, respiranti un'aria
Tesi di Laurea di
Relatori
Damiano Gallà
Prof. Arch. Maria Elsa Baldi
Prof. Arch. Teresa Cannarozzo
che non è più aria, chi non ha sentito il rantolo
affannoso incessante de' carusi portanti su per
le scale rapide, fra i meandri angusti oscuri la
soma del minerale all'aperto, chi non ha visto
in una parola cos'è, la vita umana in quelle
bolge quasi infernali che sono le solfare, non
può farsene un'idea.”
Gustavo Chiesi, La Sicilia illustrata.
Anno Accademico 2003 - 2004
Leonardo Sciascia, La Sicilia, il suo cuore.
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PALERMO
FACOLTA' DI ARCHITETTURA
Corso di Laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale
STUDI PER L'ISTITUZIONE DEL
PARCO GEOMINERARIO DI CALTANISSETTA
Valorizzazione e comunicazione dell'identità del luogo
Tesi di Laurea di
Relatori
Damiano Gallà
Prof. Arch. Maria Elsa Baldi
Prof. Arch. Teresa Cannarozzo
Anno Accademico 2003 - 2004
INDICE
PREMESSA
GENESI E DIFFUSIONE DELLA
FORMAZIONE GESSOSO-SOLFIFERA
1.1 Diffusione della formazione gessoso-solfifera in Sicilia
1.2 Genesi della formazione gessoso solfifera
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1
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4
4
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12
13
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17
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18
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21
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24
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25
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29
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31
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34
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35
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40
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41
CAPITOLO 1
STORIA DELL’UTILIZZAZIONE MINERARIA
DALLE ORIGINI ALLA FINE DELL’OTTOCENTO
2.1 Prime testimonianze e riferimenti
2.2 Rivoluzione industriale ed incremento dell’attività mineraria
2.3 La “Statistica generale delle zolfare in Sicilia” (1839),
ed il monopolio straniero nel commercio dello zolfo
2.4 Interessi commerciali internazionali e sistemi produttivi feudali
2.5 L’incremento della domanda estera e la prima innovazione produttiva
2.6 L’unificazione e l’intervento dello Stato nel settore mineario (1861)
2.7 Il sistema dei trasporti dello zolfo: la nascita
della rete ferroviaria siciliana
2.8 Nuovi flussi di capitali e di tecnici settentrionali e stranieri:
la fondazione della “Anglo-Sicilian Sulphur Company” (1896)
CAPITOLO 2
STORIA MINERARIA DEL NOVECENTO, DALLA
MASSIMA PRODUZIONE ALLE PREMESSE
PER LA MUSEALIZZAZIONE
3.1 Gli anni della massima produzione e la fine improvvisa
del monopolio italiano dello zolfo
3.2 La depressione del mercato dello zolfo e l’inizio
dell’intervento diretto dello Stato (1906)
3.3 L’unificazione statale del commercio dello zolfo italiano
e la grave crisi nel periodo della seconda guerra mondiale
3.4 La ripresa della produzione con la guerra di Corea
E l’ammodernamento degli impianti minerari
3.5 La depressione dell’industria solfifera nel periodo post-bellico
ed il passaggio delle competenze minerarie alla Regione Siciliana
3.6 L’acquisizione regionale delle miniere e le contraddizioni
di una gestione fallimentare
3.7 La crisi finale e la dismissione del settore solfifero siciliano
3.8 Le leggi di tutela e le premesse per la musealizzazione
del patrimonio minerario
3.9 Oltre gli interventi legislativi: i primi progetti
di recupero degli impianti minerari dismessi
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
IPOTESI DI CONNESSIONE E VALORIZZAZIONE
DEI LUOGHI MINERARI
4.1 Miniera Trabonella
4.2 Miniera Iuncio-Tumminelli
4.3 Miniera Iuncio-Testasecca
4.4 Miniera Gessolungo
4.5 Miniera Saponaro
4.6 Miniera Stretto-Giordano
Bibliografia
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44
45
45
46
46
47
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48
PREMESSA
Le zolfare siciliane sono la testimonianza fisica più evidente delle
radici territoriali e dell’identità di ampie zone della Sicilia centromeridionale, una volta luogo di lavoro per migliaia di siciliani, oggi
immenso patrimonio identitario inutilizzato.
La diffusione del patrimonio minerario zolfifero (esteso in gran
parte delle province di Caltanissetta, Agrigento ed Enna), la sua
collocazione in contesti paesaggistici e naturali tipici dell’entroterra
siciliano,
le
rilevanti
valenze
archeologico-industriali
e
talvolta
architettoniche, i forti riferimenti etnoantropologici, assegnano ai siti
minerari valori e potenzialità straordinarie.
Negli ultimi anni il contesto culturale ha accresciuto la sua
attenzione verso i beni che testimoniano l’identità e la memoria di una
popolazione, superando l’antico concetto di salvaguardia del patrimonio
culturale incentrato su beni e monumenti di maggiore valore storico ed
estetico.
In Sicilia il recupero dei siti minerari dismessi è stato affrontato con
estremo ritardo; i progetti avviati e le poche azioni attivate hanno rivelato
una mancanza di organicità e di coordinamento.
La necessità, espressa da più voci, di costituire il Parco regionale
geominerario (sulla scorta dell’esperienza della Sardegna) rappresenterebbe
una grande opportunità per la programmazione del “Distretto culturale
delle zolfare siciliane”, irrinunciabile occasione di turismo e sviluppo
sostenibile connessa alla salvaguardia dell’identità per la Sicilia centromeridionale.
Il presente studio, quindi, vuole essere un contributo di conoscenza
per l’istituzione del Parco geominerario di Caltanissetta, considerato come
1
componente principale (sia per il numero di miniere esistenti, sia per
qualità delle tecnologie ivi installate) del “Parco geominerario delle zolfare
siciliane”.
Si è pensato, quindi, di articolare il lavoro in tre fasi. La prima,
concentrata sulla storia economica ed industriale dell’attività zolfifera in
Sicilia, sulle trasformazioni fisiche delle zolfare nissene e sulla
documentazione di esperienze recenti di parchi minerari. La seconda fase è
volta alla conoscenza del territorio in cui gravitano le zolfare di
Caltanissetta. La terza fase offre una panoramica della realtà sociale ed
operaia in cui si è sviluppata la civiltà solfifera;
Relativamente alla prima fase: il primo stadio di ricostruzione
storica costituisce un elemento fondamentale per comprendere la portata
internazionale, nazionale e, ovviamente, regionale del fenomeno “zolfo”
negli ultimi due secoli. Il secondo stadio di descrizione degli impianti
minerari e delle esperienze italiane di recupero vuole porre le basi per un
corretto progetto unitario di recupero e valorizzazione.
Nella seconda fase lo studio ha permesso, attraverso un’accurata
analisi dei luoghi, coadiuvata dalla ricerca di documenti normativi, di
leggere il contesto territoriale e paesaggistico del principale bacino
minerario di Caltanissetta. E’ altresì documentata la storia della collettività
che ha profondamente segnato oltre i luoghi di lavoro, anche la struttura
urbana e sociale della città di Caltanissetta, antica capitale mondiale dello
zolfo. La salvaguardia dell’identità del luogo costituisce l’elemento cardine
sul quale costruire le ipotesi di recupero e valorizzazione del patrimonio
minerario.
Infine, la terza ed ultima parte del lavoro propone un’ipotesi di
utilizzazione e di connessione dei siti minerari nel rispetto di una visione
2
d’intervento
unitaria,
principio
base
geominerario di Caltanissetta.
3
per
l’istituzione
del
Parco
CAPITOLO 1
GENESI E DIFFUSIONE DELLA FORMAZIONE
GESSOSO-SOLFIFERA
1.1 – Diffusione della formazione gessoso-solfifera in Sicilia.
Il più alto sviluppo della formazione gessoso-solfifera è raggiunta
in Sicilia, nelle province di Caltanissetta, Enna ed Agrigento. Qui ricorrono
i più ricchi strati produttivi, i più estesi che sono stati più diffusamente
coltivati negli ultimi due secoli.
La Sicilia, per la sua collocazione geografica al centro del
Mediterraneo, è la regione dove la serie gessoso solfifera affiora più
estesamente (oltre 1.000 km2, pari al 4% del suo territorio) e nella
successione più completa. I caratteri generali della formazione miopliocenica non differiscono sostanzialmente da quelli che essa rappresenta
nelle altre regioni italiane. Consta di un pacchetto di strati concordanti,
talvolta inclinati, affetti da numerose faglie.
1.2 – Genesi della formazione gessoso-solfifera.
La sua genesi è spiegata con la temporanea chiusura dello Stretto di
Gibilterra per l'avvicinamento della Spagna all'Africa. Circa 5 milioni di
anni fa, infatti, la soglia di Gibilterra (attuale stretto di Gibilterra)
rappresentava un diaframma che separava le acque dell'Oceano Atlantico
dal bacino Mediterraneo.
Nel Miocene superiore (Messiniano) quasi tutta l'area del
Mediterraneo fu interessata da una radicale variazione ambientale, risultato
4
di cambiamenti climatici e della creazione di una soglia tettonica che tagliò
completamente i rapporti tra il Mediterraneo e l'Oceano Atlantico,
promuovendo la deposizione di potenti spessori di sedimenti evaporitici.
L'evoluzione seguita dal bacino portò ben presto ad una situazione
caratterizzata da condizioni critiche: la temperatura e la concentrazione
delle acque del Mediterraneo aumentarono considerevolmente. Questo
evento è noto in letteratura come "crisi di salinità". Il clima estremamente
arido e la mancanza di adeguati apporti idrici portò il Mediterraneo a
perdere le sue caratteristiche di mare aperto e lo trasformò in una serie di
bacini a carattere lagunare. In questo contesto si ha la deposizione della
serie evaporitica che presenta spessori differenti nelle varie aree di
deposizione.
I terreni pre-solfiferi del Miocene medio-alto sono costituiti da
rocce
sedimentario-detritiche
che
si
depositarono
in
seguito
al
sollevamento con erosione di vaste aree della Sicilia, nel corso di un evento
tettonico compressivo verificatesi nel Tortoniano. Si tratta di sedimenti
terrigeni, in gran parte di ambiente fluvio-deltizio, nei quali si intercalano
depositi di natura argillosa, analoghi ai flussi gravitativi che si realizzarono
in ambiente sottomarino.
Durante il Messiniano, nei vari ambienti lagunari, venutisi a creare
durante la fase di isolamento, le acque evaporavano fortemente per cui le
sostanze nelle acque stagnanti precipitarono sul fondo dello stesso a seguito
del raggiunto grado di saturazione e in relazione alla propria solubilità.
Infatti precipitarono per primi i sali meno solubili e successivamente quelli
più solubili. per cui la serie evaporitica risulta essere formata da un insieme
di livelli salini.
5
Dal punto di vista stratigrafico i termini succedutisi alla
deposizione, dal basso verso l'alto sono:
1) tripoli – 2) calcare di base – 3) gessi.
Il Tripoli è un sedimento posto di solito nella parte basale della
formazione gessoso-solfifera ed è costituito prevalentemente da diatomee e
radiolari, ricche di sostanza organica, associate a livelli di argille marnose
più o meno carbonatiche. Questi sedimenti si rinvengono quasi sempre
sotto il Calcare di base. Solo in rari casi si assiste al contatto diretto, verso
l'alto, con i gessi evaporitici, per mancanza del termine carbonatico.
I Calcari di base evaporitici sono dei sedimenti carbonatici
stratigraficamente sovrapposti alle diatomiti ed alle marne calcaree del
complesso tripolaceo. Si tratta di un deposito evaporitico costituito da
calcari sottilmente laminati di colore bianco o grigio molto chiaro, con
irregolari vuoti interni contenenti sali. Lo zolfo si trova abbondante nei
calcari di base. La sua presenza ha dato origine a controverse teorie sulla
sua genesi. Le teorie più accreditate sono:
A) trasformazione dei gessi, per l’azione di solfobatteri e acque di
circolazione sotterranee, in zolfo puro ed acqua;
B) presenza di idrocarburi molto ricchi di zolfo, che sfuggiti alle
rocce magazzino, migrarono verso l'alto. Questi idrocarburi nella risalita
subirono un processo di semifiltrazione da parte dei gessi che trattennero lo
zolfo. La parte oleosa rimase attaccata al Tripoli. Tale ipotesi (detta
naftogenica) sembra avvalorata dalla presenza di gas metano riscontrata
durante le fasi di estrazione dello zolfo.
Gli strati coltivati in Sicilia avevano un tenore medio di zolfo
variabile dal 15 al 20%. La ganga, che in essi s'accompagna allo zolfo, è
costituita da calcare marnoso, da gesso o da marne più o meno argillose. Lo
zolfo è alle volte disperso uniformemente entro la roccia, altre volte in
6
lenticelle, in noduli o sacche. Raramente è cristallizzato e più diffusamente
granulare.
I Gessi depositatesi sul calcare di base sono per la gran parte
rappresentati dal tipo "balatino", costituiti da una alternanza di straterelli di
gessi microcristallini (selenite) e veli di argilla.
All'interno dei termini della serie solfifera, nei bacini più isolati di
altri e per le condizioni di forte evaporazione, hanno permesso la
formazione di enormi accumuli di sali (detti domi salini) che dal punto di
vista chimico sono rappresentati da sali di sodio e di potassio.
La sedimentazione dei sali è avvenuta in continuità con i gessi
secondo le leggi della solubilità. Si hanno infatti, dall'alto verso il basso, i
seguenti termini:
1) salgemma – 2) kainite – 3)silvite – 4)carnallite – 5)bishofite – 6) sali di
bromo e iodio.
Nel
Pliocene
inferiore
fenomeni
tettonici
provocarono
l'abbassamento della soglia di Gibilterra, ristabilendo le condizioni iniziali
di mare profondo ed aperto rimettendo il mare Mediterraneo in
comunicazione con l'Oceano Atlantico. In queste condizioni si ha la
deposizione dei trubi o marne (roccia sedimentaria costituita da calcare ed
argilla mescolati).
La fine del processo evaporitico è contrassegnata dalla deposizione
di sedimenti calcareo marnosi (Trubi) ricchissimi di microforaminiferi e
rappresentativi della parte basale del Pliocene. Questi sedimenti indicano
un ritorno a condizioni di mare aperto, in seguito alla normalizzazione dei
rapporti idrici tra l'Oceano Atlantico ed il mar Mediterraneo.
I Trubi rappresentano l'inizio del Pliocene, questi sedimenti si sono
depositati durante una fase di trasgressione per effetto della quale il
dominio marino si riestese in aree che precedentemente erano venute a
7
trovarsi in emersione o in condizione di acque poco profonde, a causa
dell'evento evaporitico del Messiniano. Questi Trubi di colore biancastro
appaiono sovrapposti sui calcari evaporitici o sui gessi.
Da questo momento in poi si assisterà ad una graduale tendenza
all'emersione del bacino, evidenziata dalla deposizione di sedimenti.
L’intera successione sedimentaria, sin qui descritta, rappresenta un
intervallo temporale che dal Miocene superiore arriva al Pliocene inferiore
(da 6,9 a 5 milioni di anni fa). Essa comprende nel suo insieme depositi
detritici (prevalentemente di natura argillosa e marnosa) e sedimenti
evaporitici (formazione gessoso-solfifera).
8
CAPITOLO 2
STORIA DELL’UTILIZZAZIONE MINERARIA DELLO ZOLFO
DALLE ORIGINI ALLA FINE DELL’OTTOCENTO
2.1 – Prime testimonianze e riferimenti.
Risalgono al II – III secolo d.C. i primi reperti archeologici che
testimoniano l’estrazione dello zolfo in Sicilia. Si tratta di “Tegulae
mancipum sulphuris” (“Tegola degli appaltatori di zolfo”) rinvenute nel
territorio di Agrigento o di Milena (Caltanissetta) che presentano
un’incisione che va da destra verso sinistra. Queste tegole venivano poste
nei contenitori in cui si raccoglieva lo zolfo fuso, affinché i pani di zolfo
portassero impresso il nome della miniera o del proprietario.
La tegola rinvenuta in contrada Aquilia, nel territorio di Milena,
reca a rilievo la scritta “EX PRAEDIS M. AURELI COMMODIAN” (“Dalle
proprietà di Marco Aurelio Commodiano”).
Gli usi dello zolfo nell’antichità furono descritti dallo storico
romano Plinio il Vecchio. Nella sua opera “Naturalis Historia”, viene fatta
menzione dell’utilizzo dello zolfo in campo medico, per preparare rimedi e
unguenti, nell’arte tessile, nell’industria dei vetri e in ambito rituale, per la
cerimonie sacre di purificazione.
Fino al XVII secolo la bassa domanda di zolfo è soddisfatta,
soprattutto, dalle solfatare vulcaniche. Le poche zolfare esistenti all’epoca
erano differenti dalle miniere odierne. L’estrazione del minerale avveniva
in superficie o in scavi di limitata profondità, simili a delle trincee, in
corrispondenza di affioramenti di rocce ricche di minerale.
In siciliano, le solfare si chiamano pirreri, cioè a dire cave (di pietra), perché
appunto in origine esse erano vere e proprie cave di minerale di solfo, limitate
9
in estensione e in profondità, che si lavoravano spesso quasi a cielo scoperto e
che si abbandonavano appena presentavano pericolo di crollamento, per aprirne
altre in luogo vicino.1
2.2 – Rivoluzione industriale ed incremento dell’attività
mineraria.
Dal XVIII secolo lo sviluppo chimico-industriale aumentò la
domanda di zolfo. Si scoprì infatti nel 1736 un nuovo metodo per la
preparazione dell’acido solforico, di cui si fa ampio uso nell’industria
tessile e farmaceutica, a partire dallo zolfo.
Un ulteriore beneficio all’attività mineraria di zolfo giunse dalla
scoperta del metodo Le Blanc (1787) per la fabbricazione in scala
industriale della soda.
Vennero aperte nuove miniere di zolfo, seppure in numero limitato.
Nel 1808 l’abolizione dei diritti di monopolio regio sul sottosuolo
diede impulso all’attività mineraria.
Dall’epoca romana sino a questa data la miniera scoperte nei feudi
divenivano proprietà dei sovrani, i quali assoggettavano i proprietari
terrieri, autorizzati all’apertura di una miniera, al pagamento della decima
sulla produzione. Quest’uso, che si è perpetuato fino ai primi anni del XIX
secolo, dovette produrre un malcontento generale nei proprietari nel
periodo in cui la produzione mineraria aumentò. Cosicché Ferdinando di
Borbone emanò un decreto (8 ottobre 1808) con il quale abolì l’obbligo
della decima, unificò la proprietà della superficie a quella del sottosuolo e
diede la possibilità di apertura di una miniera esclusivamente al
proprietario della corrispondente superficie, dietro il pagamento di una
regalia di L. 127,50.
1
Travaglia R., I giacimenti di zolfo in Sicilia, Padova, 1889, pag. 9.
10
E con la facoltà di apertura della miniera, tacitamente si concedeva al
proprietario del suolo ogni diritto, senza contropartita di alcun dovere, né verso
lo Stato stesso, né verso la massa di operai che, spinta dal bisogno, s’accalcava
dinanzi agli imbocchi delle gallerie a chiedere lavoro.2
Il numero delle miniere di zolfo dovette aumentare. Vennero infatti,
emanate in quegli anni (1809-1811-1813) delle disposizioni di legge per la
tutela della vegetazione, circostante la miniera, dai danni dell’anidride
solforosa; quest’ultima prodotta nella fusione del minerale di zolfo.
Nel 1822 l’abate Francesco Ferrara, nel libro “Guida dei viaggiatori
per la Sicilia”, scrisse:
La Sicilia abbonda di miniere di salgemma e molto più di quelle di solfo,
sostanza che forma una considerabile parte dello interno delle sue terre.
Nel territorio di Girgenti le miniere di solfo sono così abbondanti che si dice in
tutto il territorio trovarsene una in ogni sito nel quale si discava, ma questo
minerale combustibile è anche in estrema copia in tutti quasi i luoghi dell’Isola
di qua e di la del fiume Salso.3
Intorno a quegli anni lo zolfo, e suoi derivati, si affermarono come
uno dei componenti di base dell’industria chimica mondiale.
L’applicazione della macchina a vapore ai processi industriali ed ai
trasporti determinarono, specialmente in Inghilterra, un forte aumento delle
attività produttive e conseguentemente un’alta domanda di minerali di base,
tra cui lo zolfo.
Lo zolfo venne utilizzato per la produzione di esplosivi e
fiammiferi. Il suo principale derivato, l’acido solforico, venne utilizzato per
la preparazione di altri acidi, di solfati, di medicinali, dello zucchero, del
vetro, di vernici e disinfettanti.
2
Cassetti M., Fascismo e controllo operaio. I villaggi minerari (1937-1942), in Barone G. e Torrisi C. (a
cura di), Economia e società nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, CaltanissettaRoma 1989, pag 409.
3
Ferrara F., Guida dei viaggiatori in Sicilia, Palermo, 1822, pag. 195.
11
Lo zolfo e l’acido solforico raggiunsero nel XIX secolo un ruolo
paragonabile oggigiorno a quello del petrolio.
2.3 – La “Statistica generale delle zolfare in Sicilia” (1839),
ed il monopolio straniero nel commercio dello zolfo.
Tra il 1830 ed il 1835, infatti, il numero dei cantari di zolfo,
prodotti in Sicilia, quasi raddoppiò, passando da 350.000 a oltre 660.000.
L’intera produzione di zolfo venne destinata all’esportazione, per
cui nel 1835 i principali acquirenti furono i paesi maggiormente
industrializzati: Gran Bretagna (325.793 cantari) e Francia (262.774). La
restante quantità di zolfo siciliano venne richiesta dagli Stati Uniti e da una
decina di altri paesi europei.
Risalgono a questo periodo i primi documenti ufficiali sull’apertura
delle principali miniere del bacino zolfifero di Caltanissetta.
A tale proposito sono molto interessanti i dati riportati nella
“Statistica generale delle zolfare in Sicilia”, redatta nel 1839. Dal
documento si ricavano l’ubicazione, i proprietari, gli esercenti e la
produzione di ciascuna zolfara.
Relativamente alle miniere situate a nord-est della città di
Caltanissetta, si riportano, parzialmente, i seguenti dati:
Contrada
Zolfara
Proprietari
Esercenti
Gessolungo
Gessolungo
Barone Calafato G.
F.lli Romeo
Iuncio
11 zolfare diverse
Fam. Curcuruto I.
Lo Giudice G.
Stretto
6 zolfare diverse
Giordano G.
Lo Giudice G.
Trabonella
Trabonella
Barone Morillo
F.lli Morelli
Stretto
Stretto Duca
Duca San Giovanni
Franchi G.
12
L’elevato numero delle miniere (407 di cui 193 nella provincia di
Caltanissetta e 170 in quella agrigentina) connesso all’eccessivo ottimismo
dei produttori determinarono notevoli giacenze di zolfo. Tutto ciò venne
aggravato dallo stretto controllo dei prezzi commerciali da parte di
operatori esteri.
A controllare e gestire il commercio dello zolfo siciliano verso i mercati
europei erano essenzialmente i mercanti inglesi, da decenni presenti nella realtà
isolana. Il transito da una produzione con destinazione pressoché
esclusivamente locale ad una produzione legata ai flussi della domanda dei
mercati nordeuropei rendeva i produttori locali deboli e legati, senza soluzioni
alternative, ai mercanti inglesi, oltre ad alcuni francesi; erano costoro a
controllare
autonomamente
i
flussi
commerciali,
determinando
contestualmente le variazioni dei prezzi.4
Si ebbe allora la prima crisi di sovrapproduzione manifestata da un
rovinoso crollo del prezzo medio dello zolfo, che passò dalle 208 lire del
1833 alle 85 lire del 1837.
2.4
–
Interessi
commerciali
internazionali
e
sistemi
produttivi feudali.
Il governo borbonico istituì un monopolio di vendita dello zolfo
“che regolamentasse la produzione solfifera, al fine di evitare la
sovrapproduzione ed il conseguente crollo dei prezzi”5. Nel 1838 venne,
così, approvata la società francese “Compagnie des soufres de Sicilie”,
rappresentata da Amato Taix ed Arsenio Aycard. La “Taix-Aycard”
assicurò l’acquisto di prestabilite quantità di zolfo a prezzi determinati.
Il principio del conferimento della produzione ad una apposita organizzazione
di vendita, che trovava allora la sua prima applicazione, resterà poi basilare
nelle successive vicende dell’industria zolfifera. Questo ha però portato a
4
Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in
Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia, Palermo 2004, pag. 11.
5
Ibidem.
13
considerare preminente per lo sviluppo dell’industria, la politica di mercato, ed
a trascurare del tutto, anche perché estranea all’organizzazione commerciale, la
tecnologia produttiva.
Le vicende, quindi, che ricorrono nella storia dello zolfo, sono l’andamento
della domanda e dell’offerta con le conseguenti ripercussioni sui prezzi; la più
o meno accorta determinazione dei medesimi, il volume delle giacenze in
relazione al prezzo ed al mercato; gli interventi per rimediare a ricorrenti
situazioni di crisi.6
Il blocco della quote di produzione, associato al prevedibile divieto
di apertura di nuove miniere, provocò un forte aumento dei prezzi dello
zolfo nel mercato estero. Le industrie inglesi, le quali erano le maggiori
importatrici di zolfo, protestarono energicamente chiedendo l’intervento
del governo britannico.
Ad intervenire non fu solamente la diplomazia inglese ma la stessa flotta
britannica che, nella primavera del 1840, avviava una corposa azione
dimostrativa innanzi al porto di Napoli. L’intervento riscosse un indubbio
successo se il re delle Due Sicilie si vide costretto a disdettare il contratto e a
pagare alla compagnia Taix-Aycard un cospicuo indennizzo[…].7
Nonostante i grandi interessi commerciali, le miniere di zolfo
rimasero per lungo tempo legate al mondo arcaico dei feudatari e soffrendo
la mancanza di innovazione tecnologica.
A metà dell’Ottocento […] le miniere in attività in Sicilia erano 300 ed
occupavano 16.000 minatori. […] Soltanto 4 miniere erano munite di macchine
a vapore per l’estrazione del minerale e l’eduzione delle acque, mentre altre 10
miniere disponevano di maneggio a cavalli, sicché da ben 286 miniere, la cui
profondità media era di circa 60 metri dagli imbocchi a giorno, l’estrazione
veniva praticata col trasporto a spalla effettuato da circa 10.000 operai, di cui
3.500 di età inferiore ai 14 anni.8
6
Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello zolfo,
Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 57.
7
Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in
Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia 2003, pag. 12.
8
Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pag. 11.
14
Il coesistere di sistemi di lavoro del tutto primitivi e di precarie
condizioni tecniche dell’industria erano determinate, in larga parte, da
vincoli di gestione, tra proprietari ed esercenti, di antico stampo feudale.
“Le zone minerarie legate alla proprietà di superficie, erano in
gran parte estremamente suddivise […]”9 (per cui non si poteva sfruttare il
filone di zolfo in miniera razionale ed efficiente); “[…] la loro concessione
in gabella era di durata limitata, in media nove anni; l’estaglio percepito
dal proprietario raggiungeva in molti casi il 30% della produzione” 9. A
tutto ciò si aggiungeva “[…] la segnalata scarsezza di mezzi della maggior
parte degli esercenti, (ai quali fra l’altro correva l’obbligo, allo scadere
della gabella, di lasciare al proprietario gli impianti costruiti” 9.
A testimonianza delle tecnologie arcaiche esistenti nelle miniere di
quegli anni, vi era il metodo di fusione dello zolfo della calcarella. Per
separare lo zolfo dal resto del minerale estratto (ganga) si bruciavano dei
piccoli cumuli di minerale, adagiati in un fosso costruito a piano inclinato e
dal diametro di 1 – 2 metri. Lo zolfo fuso, che rappresentava una piccola
parte di quello contenuto nel cumulo iniziale (30 – 40 % di tenore), colava
lungo il piano e fuoriusciva da un’apertura chiamata “foro della morte”. I
restanti due terzi dello zolfo si volatilizzavano sotto forma di anidride
solforosa, con grave danno degli operai e delle colture circostanti. La
raccolta dello zolfo veniva completata in meno di ventiquattrore, da cui il
vantaggio della rapidità con i danni però della scarsa produzione e
dell’inquinamento.
9
Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello zolfo,
Ente Zolfi Italiani, 1961, pagg. 57-58.
15
2.5 – L’incremento della domanda estera e la prima
innovazione produttiva.
Intorno al 1840, nel settore chimico terminò il monopolio dello
zolfo nella produzione di acido solforico, a causa dell’introduzione dell’uso
delle piriti per la produzione dell’acido.
Tuttavia la domanda di zolfo, da parte dei paesi esteri, crebbe
rapidamente poiché il minerale, polverizzato e mescolato con acqua,
divenne l’unico rimedio efficace ad una malattia dei vigneti (l’oidium)
propagatasi in tutta Europa. L’utilizzo dello zolfo nella coltivazione dei
vigneti europei diventò un’operazione consueta per molti decenni, tanto da
assorbire, alla fine del XIX secolo, quasi la metà della produzione dello
zolfo siciliano.
Si registrò, quindi, un forte aumento della produzione agevolata,
anche, dall’introduzione del calcarone nella procedura di fusione dello
zolfo, in sostituzione delle cacarelle. I calcaroni, che dal 1851
cominciarono a diffondersi nella maggior parte delle miniere, sono
costruzioni di forma cilindrica, con pavimento a piano inclinato (10-15
gradi) di diametro tra i dieci ed i venti metri circondato da un muro alto
circa cinque metri. Un muro di gesso separava il calcarone dalla camera
antistante, nella quale l’arditore (operaio specializzato nella fusione dello
zolfo), dopo alcune settimane dall’accensione e per un periodo lungo anche
tre mesi, provvedeva ad aprire il foro della “morte” ed a suddividere la
colata di zolfo fuso in degli appositi contenitori tronco – piramidali detti
“gavite”. Questi forni erano capaci di
contenere, compresa la
sopraelevazione conica, duemila metri cubi di minerale, i quali venivano
ricoperti da una “camicia” di “ginisi” (rosticcio, minerale di scarto derivato
dalla fusione dello zolfo) e attraversato da alcuni sfiatatoi.
16
Il metodo di fusione del calcarone aumentò il tenore di zolfo fuso,
diminuendo l’emissione di anidride solforosa ad un terzo dello zolfo
contenuto nel minerale.
Alla miniera Trabonella rimangono visibili, ancora oggi, nell’area
degli antiche impianti, due lunghe batterie di calcaroni nelle quali si
distingue, per il buono stato di conservazione, un colossale calderone con
spalle in blocchi di pietra e foro della “morte” ancora intatti. Nella parte
sottostante i forni, alcuni calcaroni conservano le gallerie di ingresso, alla
camera dell’arditore, composte da archi con blocchi di pietra lavorati.
2.6 – L’unificazione e l’intervento dello Stato nel settore
minerario.
Con l’unità d’Italia il sistema solfifero siciliano visse importanti
innovazioni rimanendo comunque legato agli antichi problemi riguardanti i
modi ed i rapporti di produzione.
Il Ministro di agricoltura e commercio nel primo ministero Ricasoli,
Filippo Cordova, originario della provincia nissena, istituì nell’ottobre
1861 una “Giunta per il miglioramento della coltivazione delle miniere di
zolfo e dell’industria solfifera”, composta da rappresentanti di grandi
proprietari terrieri siciliani, docenti universitari e da tecnici minerari.
I lavori della Giunta si basarono sul resoconto delle ispezioni alle
zolfare siciliane eseguite da Felice Giordano, ispettore delle miniere,
anch’esso componente della Giunta. Giordano denunciò metodi antiquati di
escavazione e spese eccessive per il trasporto dello zolfo dalle miniere ai
porti. Questa valutazione venne recepita dalla Giunta che, pur evitando di
discutere l’arretratezza dei rapporti di produzione in quanto espressione
17
degli interessi dei proprietari minerari, propose al ministero interventi
innovativi:
1) istituzione del Corpo delle Miniere siciliano, con sede a
Caltanissetta;
2) istituzione di una Scuola per capi minatori affidata all’ingegnere
piemontese Mottura, con sede a Caltanissetta;
3)realizzazione della carta geologica dell’area zolfifera siciliana.
La richiesta, in ambito politico nazionale, di ammodernamento dei
sistemi di trasporto dello zolfo spiega le forti pressioni che, alcuni anni
dopo, vennero esercitate per la costruzione della rete ferroviaria verso
l’interno dell’isola.
2.7 – Il sistema dei trasporti dello zolfo: la nascita della rete
ferroviaria siciliana.
Nel decennio post-unitario iniziò la costruzione delle rete
ferroviaria siciliana. Ad eccezione della linea ionica, i tronchi ferroviari
siciliani seguirono la dislocazione degli insediamenti solfiferi, tra luoghi di
produzione, raffinazione e commercio. Questo collegamento tra ferrovie e
zolfare si verificò, anche, nelle attività di alcuni costruttori di linee ferrate
come, ad esempio, nelle famiglie inglesi Trewella e Sarauw, da sempre
impegnate nell’amministrazione di zolfare.
Sino al 1870 le due linee Palermo – Lercara e Catania – Leonforte
“posero le zolfare delle province di Palermo e Catania in una posizione
privilegiata rispetto le altre esistenti nelle aree interne”10. Negli anni
settanta l’aspirazione ad ottenere il controllo commerciale delle aree
solfifere interne portò ad uno scontro durissimo tra le città costiere
10
Canciulo G., Ferrovie e commercio zolfifero, in Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e società
nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1989, pag 131.
18
orientali, insieme a Girgenti, e Palermo. Il motivo pratico del contendere fu
il collegamento delle linee progettate Palermo – Porto Empedocle e Catania
– Licata.
Sebbene i favori del governo centrale ricadettero sui tracciati
proposti dalle elites politiche palermitane, le scelte definitive sancirono “il
ruolo emergente del porto di Catania e delle contigue attività di
raffinazione”11. I fronti catanesi ed agrigentini ebbero dalla loro parte
l’economicità e la fattibilità tecnica dei tracciati realizzati, insieme al
maggiore dinamismo dei ceti commerciali ed imprenditoriali della città
etnea, riuscendo a prevalere sui politici palermitani che rivendicarono i
privilegi dell’antica capitale.
Ne furono prova i dati relativi al movimento dello zolfo nelle
stazioni nel 1885: Catania–116.700 tonnellate, Porto Empedocle–103.228
T, Licata – 58.746 T, Termini Imerese – 11.343 T, Palermo – 5.780 T .
Il solfo viene attualmente trasportato nei tre versanti dell’Est (Catania),
dell’Ovest (Porto Empedocle e Licata) e del Nord (Palermo e Termini). Dalle
stazioni comprese fra Caltanissetta, Porto Empedocle e Licata si spedisce quasi
sempre in questi porti; dalle stazioni situate tra Villarosa e Catania si spedisce
quasi sempre in questa città, e solo dalla stazione Imera, intermedia, si spedisce
ora all’uno ora all’altro versante. Nel versante Nord concorre soltanto la
stazione di Lercara; dalle altre stazioni della linea Lercara – Girgenti si
spedisce per Porto Empedocle.12
Le zone minerarie non attraversate dalle linee ferroviarie rimasero,
comunque, legate a condizioni arcaiche del trasporto dello zolfo.
I comuni che non risentono il beneficio delle linee ferroviarie sono: Favara,
Naro, Palma M.°, Raffadali, S. Angelo Muxaro, Butera, Terranova,
Montallegro, Girgenti in parte, Cattolica, Cianciana, Bivona e Siculiana.
Eccettuati i solfi di Palma, Cattolica e Siculiana, che giungono ai porti
11
Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in
Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia, Palermo 2004, pag. 13.
12
Gatto M., Cenni sulla storia delle zolfare in Sicilia, in Annuario della Società dei Licenziati della R.
Scuola Mineraria di Caltanissetta, anni III e IV, 1887-1888, pag. 156-157.
19
principali per via di mare, in barche o piccoli battelli, tutti gli altri sono
trasportati con carri o con muli secondo le condizioni della viabilità13.
Le ferrovie si confermarono un economia esterna capace di influire
positivamente sul commercio minerario per la riduzione dei costi di trasporto.
Ciò fu tanto più vero per le miniere vicino alle stazioni e per quelle più grandi
che impiegarono notevoli risorse finanziarie per l’allacciamento diretto con le
ferrovie tramite tramvie e teleferiche. Ma il problema principale continuò ad
essere l’arretratezza dei rapporti di produzione […]. I tentativi dei TrewellaSarauw di attuare l’ammodernamento degli impianti in alcune miniere, ottenere
affitti più lunghi, abbattere la controproducente separazione tra attività
estrattive e di raffinazione, furono troppo isolati e circoscritti […]14.
Negli anni successivi all’unità nazionale si ebbe un forte aumento
della produzione, di molto superiore al consumo, con il verificarsi di
attività speculative degli intermediari.
Si passò dalle 150.000 tonnellate di zolfo prodotto nel 1860, alle
326.657 T del 1886. La sproporzione tra produzione ed effettiva domanda
portò ad avere, nel 1886, 400.000 tonnellate di zolfo in deposito. Questa,
ennesima, crisi di sovrapproduzione portò ad un grave ribasso dei prezzi
dello zolfo.
Nonostante i risvolti mondiali dello zolfo siciliano, l’organizzazione
imprenditoriale locale perpetuò i suoi sistemi di produzione desueti ed
irrazionali.
[…] lo zolfo siciliano costituiva la principale o una delle principali ricchezze
minerarie italiane, ed era una autentica riserva del mondo. […] Fra il 1860 e il
1890 lo zolfo estratto in provincia di Caltanissetta, e nelle altre province
contermini, rappresentava un supporto fondamentale del rapporto dell’Italia
con il mercato internazionale. Allora la bilancia commerciale italiana aveva
assai bisogno di valuta pregiata che facilitasse la crescita industriale del paese,
e gran parte di questa valuta veniva fornita appunto dall’industria siciliana
dello zolfo. Ma pur con quelle circostanze favorevoli le innovazioni
tecnologiche come pure le modificazioni della organizzazione produttiva per
incapacità, per mancanza di capitali, per inesperienza imprenditoriale, ma
13
Gatto M., Cenni sulla storia delle zolfare in Sicilia, in Annuario della Società dei Licenziati della R.
Scuola Mineraria di Caltanissetta, anni III e IV, 1887-1888, pag. 157.
14
Canciulo G., Ferrovie e commercio zolfifero, in Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e società
nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1989, pag 163.
20
anche per errato calcolo economico (lo sfruttamento sic et simpliciter del
lavoro umano rendeva di più che la costosa e non sempre promettente
introduzione di nuove macchine), […] vennero sistematicamente scartate15.
2.8 – Nuovi flussi di capitali e di tecnici settentrionali e
stranieri: la fondazione della “Anglo–Sicilian Sulphur
Company” (1896).
Gli industriali inglesi interessati alla produzione ed al commercio
dello zolfo e preoccupati dalla discesa dei prezzi, avanzarono delle
proposte di riassetto commerciale. Nel 1896 si giunse alla costituzione
della “Anglo – Sicilian Sulphur Company” su iniziativa di Ignazio Florio ed
imprenditori inglesi.
[…] la compagnia […] si assicurò, ad un prezzo determinato, contro
pagamento alla consegna, circa la metà della produzione siciliana. Era anche
prevista, ma in maniera del tutto inapplicabile, la possibilità di frenare la
produzione. Il Governo, dal canto suo, abolì il dazio di esportazione e tutte le
tasse dirette e indirette gravanti sulla produzione e sul commercio solfifero.
Unico prelevamento, quello di una lira su ogni tonnellata di zolfo esportato.
[…] Un più facile accesso al credito consentì ai produttori più avveduti di
attuarequalche miglioramento delle attrezzature16.
Si riuscì a stabilizzare i prezzi dello zolfo e le grandi miniere
migliorarono gli impianti grazie, anche, all’arrivo di tecnici e borghesia
imprenditoriale provenienti dal nord dell’Italia.
La quasi totalità dei vecchi impianti, oggigiorno visibili in parte
nelle zolfare situate a nord-est di Caltanissetta, risalgono infatti a qual
periodo storico.
15
Renda F., Ferrovie e commercio zolfifero, in Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e società
nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1989, pag. 20.
16
Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello
zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 58.
21
Miniera Trabonella. La miniera venne affittata all’imprenditore
lombardo Gedeone Nuvolari (zio del famoso Tazio) nel 1897 con la
direzione dell’ingegnere Mezzena.
Degli impianti ancor oggi visibili, i seguenti vennero realizzati in
quegli anni: il camino del riflusso Nuvolari (1898), elegante costruzione in
pietra di sabucina e mattoni di terracotta; alcune “abitazioni” degli operai,
consistenti in baracche in muratura ad unica elevazione; la tramvia a cavalli
(1898) che collegava la miniera alla stazione Imera, riconoscibile oggi, in
lungi tratti, per il sedime ferroviario; due grandi sestiglie di forni Gill
(inizio del XX secolo), con ancora i fori per la carica del minerale ed i
camini di sfiato. In posizione centrale rispetto agli impianti appena
descritti, svetta la palazzina della direzione, risalente alla seconda metà del
XIX secolo, a tre elevazioni.
Miniera Gessolungo. La sezione Maurelli della miniera venne
affidata al veronese ing. Travaglia nel 1893. Nei primi anni del ‘900 e sino
al 1919 le varie sezioni vennero unificate e gestite da un unico esercente:
l’ing. Giacomo Fiocchi, originario di Milano.
Gli edifici dell’epoca rimasti visibili sono: il castelletto di
estrazione del pozzo Fiocchi (1912) e l’attigua sala argano. Il castelletto del
pozzo Fiocchi è uno degli ultimi castelletti in muratura ancora in piedi, che
venne dotato, negli anni ’50, di una lanterna in cemento armato. Nel
castelletto si ritrovano ancora le molette, le funi e le gabbie.
Miniera Iuncio-Testasecca. All’inizio del XX secolo la miniera,
proprietà del conte Ignazio Testasecca, venne affidata al padovano ing.
Putti. Gli unici edifici della miniera attualmente conservati sono le strutture
di servizio agli impianti del pozzo, oggi non più esistente, e la palazzina
della direzione. Quest’ultima, risalente ai primi anni del ‘900, è composta
22
da tre elevazioni con motivi di chiara ispirazione liberty e con una torre di
avvistamento nel lato principale, che ne costituisce la quarta elevazione.
Miniera Saponaro. Della zolfara, proprietà alla fine del XIX secolo
del conte Ignazio Testasecca, rimane un solo, ma caratteristico, impianto
risalente agli anni tra ‘800 e ‘900.
Si tratta dei resti di alcune quadriglie di forni Gill, posizionate sul
fianco di una collina, costituite da muri basamentali con blocchi di
sabucina, con la bocca d’ingresso ai forni, e da alti ed eleganti camini in
mattoni di terracotta.
Miniera Stretto – Giordano. Gli unici edifici ancora esistenti della
zolfara vennero costruiti durante gli ultimi anni del XIX secolo. Intorno al
1886 la miniera risultò gestita da Robert Trewella; noto imprenditore
inglese attivo nella costruzione di tronchi ferroviari, nella amministrazione
delle zolfare e nel commercio dello zolfo. Durante la sua gestione sorsero
due caseggiati in muratura, probabilmente destinati a magazzino, e
l’edificio principale della miniera.
Quest’ultimo, oggi ridotto a rudere, è un blocco a pianta
rettangolare, a due elevazioni con copertura a doppia falda. Al piano
terreno vi sono delle grandi aperture con archi a tutto sesto, da cui si accede
ai depositi. Il piano superiore venne, invece, adibito ad uffici.
23
CAPITOLO 3
STORIA MINERARIA DEL NOVECENTO, DALLA MASSIMA
PRODUZIONE ALLE PREMESSE PER LA MUSEALIZZAZIONE
3.1 – Gli anni della massima produzione e la fine improvvisa
del monopolio italiano dello zolfo.
La stabile politica commerciale della Compagnia Anglo-Sicula
connessa ai miglioramenti tecnologici delle zolfare ebbero effetti positivi
sulla produzione mineraria. Il 1901 fu, infatti, l’anno di massima
produzione ed occupazione, in assoluto, delle zolfare siciliane: 537.543
tonnellate di zolfo prodotto con 38.922 operai.
Nel 1901 si raggiunse la massima attività del settore zolfifero Siciliano. […] si
ottennero 538.000 tonnellate di zolfo, produzione mai raggiunta nel tempo;
rappresentò in quell’anno il 95% della produzione nazionale; l’84% dello zolfo
prodotto in Sicilia pari a tonnellate 472.000 venne acquistato da 30 Paesi
dell’Europa, dell’America, dell’Asia e dell’Africa per un valore di L.
52.000.000 di allora corrispondenti al 61% del valore totale di tutta la
produzione mineraria del Regno.
La meccanizzazione raggiunse un alto livello con ben 119 macchine a vapore e
12 maneggi a cavalli. Il numero delle miniere in attività raggiunse il numero di
886, con una occupazione di 39.000 operai […].
[…] ancora ben 6.400 carusi di età inferiore ai quindici anni erano adibiti al
massacrante trasporto a spalla del minerale dai fondali delle miniere alla
superficie17.
La favorevole situazione per lo zolfo siciliano si protrasse sino al
1906, anno in cui la “Anglo – Sicilian Sulphur Company” cessò la propria
attività avendo avvertito per tempo i pericoli derivanti dalla scoperta negli
Stati Uniti d’America di un nuovo metodo di estrazione dello zolfo (il
metodo “Frasch”).
17
Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pag. 12.
24
Tale metodologia d’estrazione, non applicabile nel bacino zolfifero
siciliano a causa di differenti conformazioni geologiche del sottosuolo,
abbassò notevolmente i costi dello zolfo americano rendendo non più
competitive economicamente le zolfare siciliane. La tecnica di estrazione
americana fu totalmente diversa da quella utilizzata in Italia; non
occorreva, infatti, impiegare migliaia di minatori nelle viscere della terra
per scavare interminabili gallerie sotterranee.
Il metodo Frasch, che mise in crisi l’intera economia solfifera italiana, si
distingue nettamente dai metodi tradizionali per l’estrazione dello zolfo in
quanto si basava su una tecnologia che consentiva, in un unico ciclo di
operazioni l’estrazione e la fusione del minerale con dei valori di purezza del
prodotto non ottenibili altrimenti senza ricorrere alla raffinazione. Il processo
consiste nella intercettazione a mezzo di trivellazioni meccaniche della vena
solfifera a profondità variabili, nella fusione in loco per mezzo di acqua e
vapore acqueo ad alta temperatura e al trasporto del minerale in superficie
mentre permane lo stato di fusione. Per ottenere questo procedimento occorre
trivellare il terreno con fori di diametro variabile fino alla profondità del
giacimento. Quindi vengono calati dei tubi fino al tetto del giacimento;
all’interno di questa camicia metallica vengono calati ulteriori tre tubi che
vengono posizionati a profondità diverse nel giacimento. Viene introdotta
acqua bollente a pressione e lo zolfo, che si liquefa a 116 gradi centigradi, si
raccoglie in basso e quindi penetra nello spazio del tubo intermedio dove viene
aspirato verso la superficie. All’esterno lo zolfo viene raccolto in appositi
vasconi e quindi successivamente solidificato in contenitori di deposito (vat)18.
3.2 – La depressione del mercato dello zolfo e l’inizio
dell’intervento diretto dello Stato (1906).
La perdita siciliana del monopolio dello zolfo spinse i produttori
siciliani a ricercare un accordo con l’Union Sulphur americana per la
spartizione dei mercati.
Si propose di non più esportare in USA la produzione siciliana; da parte loro
gli USA non avrebbero dovuto inviare zolfo in Europa. Un accordo di questo
18
http://www.e-mineralshow.com/zolfo1.html (sito internet di Carlini r. sullo zolfo in Italia).
25
genere non poteva essere valido se non impegnativo per tutti i produttori
siciliani […].
E poiché non appariva realizzabile una volontaria adesione di tutti ad un
organismo rappresentativo, fu da più parti richiesto un provvedimento che
imponesse l’unione: nacque così la legge 15 luglio 1906, n. 333, istitutiva del
“Consorzio Obbligatorio per l’Industria Zolfifera Siciliana”19.
Nel 1906, sotto l’incalzare della crisi determinata dai prezzi dello zolfo
statunitense, prevalse la scelta di formare il consorzio obbligatorio dei
produttori che finì per essere un cartello di vendita piuttosto che un trust di
produzione20.
A partire dal 1906 la produzione di zolfo andò sensibilmente
assottigliandosi, scendendo al di sotto delle 400.000 tonnellate nel giro di
pochi anni, contro le 536.782 tonnellate del 1905.
Frattanto molte piccole miniere inadeguate tecnologicamente,
raggiunsero il livello acquifero e dovettero cessare le attività estrattive.
Il numero degli operai diminuì, rimanendo sempre inferiore alle
30.000 unità, contro i 38.922 operai del 1901.
Tutto ciò favorì la massiccia emigrazione transoceanica anche dalle
aree minerarie della Sicilia, che sino a quel periodo non erano state
interessate da tale fenomeno differentemente dalle province ad antica
emigrazione, come Palermo e Messina.
Gli accordi con l’Union Sulphur americana vennero meno allo
scoppio della prima guerra mondiale, a causa dell’aumento della richiesta
di zolfo per scopi bellici che consentì lo smercio di tutta la produzione
zolfifera mondiale. Il fenomeno si aggravò “anche per le difficoltà di
approvvigionamento dei materiali occorrenti per l’attività mineraria e per
la chiamata alle armi dei lavoratori”21.
19
Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello
zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 59.
20
Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in
Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia, Palermo 2004, pag. 14.
21
Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello
zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 59.
26
Il 1917 fu un anno negativo per l’attività zolfifera siciliana: la
produzione di zolfo scese a 183.159 tonnellate, più che dimezzata rispetto a
dieci anni prima, mentre il numero di operai risultò, per la prima volta dal
1878, inferiore alle 10.000 unità (9.857).
In tale periodo di grave difficoltà economica delle zolfare mancò,
ovviamente, del tutto ogni tentativo di miglioramento tecnologico degli
impianti. Unica eccezione fu la miniera Trabonella, una delle maggiori
zolfare della Sicilia. Questa miniera, rimasta chiusa dal 1911 al 1914 per un
grave incidente minerario, passò in gabella alla ditta D’Oro – Lo Pinto –
Cortese nel 1914, sostituendo la vecchia ditta esercente Nuvolari. Nel 1916
si decise di spostare l’attività d’estrazione intorno ad un nuovo pozzo,
situato ad Ovest e più a monte della vecchia zolfara, detto anche pozzo
D’Oro, che raggiunse la profondità di metri 280.
Parte del castelletto metallico del pozzo D’Oro è ancora visibile,
mentre l’imbocco del pozzo è sigillato da un blocco in muratura.
Nel 1918 il governo centrale prorogò il Consorzio obbligatorio di
vendita per un dodicennio ed emanò dei provvedimenti destinati ad
agevolare la concessione di mutui e sovvenzioni agli esercenti, nel tentativo
di migliorare le sorti dell’attività mineraria.
Nonostante
gli
accordi
economici
stipulati
dal
Consorzio
Obbligatorio, lo zolfo siciliano, totalmente esportato all’estero, non riusciva
a reggere la spietata concorrenza dell’industria americana. Ciò venne
aggravato dall’impossibilità di trasformare lo zolfo in altre materie prime in
prossimità dei luoghi di produzione, a causa dell’inesistenza in Sicilia di
stabilimenti industriali di trasformazione. Tale utilizzazione avrebbe evitato
allo zolfo siciliano la via obbligata dell’esportazione.
Il numero delle miniere attive continuò a diminuire costantemente
sebbene la produzione di zolfo ed il numero di operai si mantenne
27
pressoché stabile sino all’inizio della seconda guerra mondiale, seppure con
numeri ben lontani da quelli di inizio secolo.
Le persistenze della crisi del mercato internazionale determinarono il
disimpegno del capitalismo settentrionale mentre sopravvivevano, duri a
morire, i residui feudali.22
In quegli anni, in cui molte miniere videro cambiare i propri
esercenti, la mafia cominciò a mostrare interesse per la gestione di alcune
zolfare. Non a caso è documentata la presenza del capo mafia don Calogero
Vizzini nelle gestione della miniera Gessolungo dal 1919 al 1954, e della
miniera Gibellini, sita fra Montedoro e Racalmuto, intorno agli anni ’50.
Il Regio Decreto 29 luglio 1927, n. 1443, reintrodusse la
demanialità dei sottosuoli minerari cercando, seppure in ritardo, di
trasformare il regime feudale di proprietà. La proprietà delle miniere passò
allo Stato, più precisamente al Corpo Nazionale delle Miniere, dipendente
dal Ministero dell’Industria.
Tuttavia il carattere della legge fu più formale che sostanziale.
Infatti, nella miniera Trabonella, alla proprietà del barone Morillo si
sostituì la concessione perpetua della S.A.M.T. (Società Anonima Miniere
Trabonella), amministrata dal barone stesso. Anche alla miniera
Gessolungo gli esercenti antecedenti al 1927 rimasero alla guida della
zolfara, uniti sotto il nome di Società Anonima Miniere Gessolungo.
L’Industria zolfifera siciliana trasse un irrisorio beneficio, in
termini di zolfo prodotto, da tale applicazione della legge.
Risalgono al 1931 due planimetrie delle aree minerarie situate a
nord-est di Caltanissetta e della singola miniera Trabonella, realizzata
dall’Istituto Georafico Militare.
22
Torrisi C., La società siciliana e l’industria solfifera, in Zanna G. e Lomaglio A. (a cura di), Zolfare in
Sicilia, Legambiente-Salvalarte Sicilia, Palermo 2004, pag. 14.
28
Nella planimetria in scala 1:25000 la dislocazione delle varie
miniere ripercorre il maggiore filone zolfifero nisseno, a forma di grande
“Omega”, descritto dagli insigni geologi dell’Ottocento (Mottura, Parodi,
Baldacci, Travaglia, Gatto); alle sue estremità le zolfare Giangiana
(Gessolungo) e Giumentaro. Sono visibili gli antichi percorsi di
connessione tra le miniere e la linea tranviaria che collegava la miniera
Trabonella con la stazione ferroviaria Imera.
La planimetria in scala 1:5000, relativa alla sola miniera
Trabonella, mostra la dislocazione degli impianti esterni della zolfara.
All’estremità occidentale, il pozzo D’Oro attorno al quale si costruirono gli
impianti moderni a partire dagli anni ’50, abbandonando gradualmente la
sezione Luzzatti. Sono anche rappresentati le lunghe batterie di calcaroni e
forni Gill ed i vasti accumuli di rosticcio, che ancora oggi conferiscono alla
zona una particolare morfologia.
3.3 – L’unificazione statale del commercio dello zolfo
italiano e la grave crisi nel periodo della seconda
guerra mondiale.
Dopo la liquidazione del “Consorzio Obbligatorio per l’Industria
Zolfifera Siciliana” nel 1932, la maggior parte dei produttori chiese
nuovamente l’intervento dello Stato. Ebbe così vita, con il R.D. 11
dicembre 1933, n. 1699, “l’Ufficio per la Vendita dello zolfo italiano”, con
sede in Roma.
L’ufficio riunì così, per la prima volta, in un unico organismo commerciale,
tutti i produttori italiani, assicurando loro un ricavo minimo sugli zolfi prodotti.
29
Con ciò l’industria potè fruire di un periodo di relativa tranquillità, anche se i
ricavi risultarono appena sufficienti a coprire le sole spese indispensabili di
esercizio23.
L’Ufficio Vendita venne trasformato, nel 1940, in Ente Zolfi
Italiano (E.Z.I.), ed in questo furono accentrate tutte le attività di carattere
commerciale, tecnico-industriale e di assistenza sociale riguardante il
settore solfifero. All’E.Z.I. fu conferito il monopolio del commercio interno
ed estero dello zolfo italiano. Ebbe anche i compiti di incoraggiare studi e
ricerche per trovare nuovi campi di lavoro e nuovi metodi di trattamento
del minerale.
[…] il nuovo Ente, anche per le limitate disponibilità finanziarie concessegli
dalla legge istitutiva, ben poco potè fare a favore dell’industria solfifera.
Aggiungasi che il passaggio della guerra nell’Isola ed il permanere a lungo in
Italia del fronte di operazione resero del tutto precari i vincoli con i produttori,
ciscuno alle prese con le rovine prodotte dalla guerra alla propria miniera24.
Nel 1950 venne costruita una centrale operativa dell’E.Z.I. a
Caltanissetta, in contrada Terrapelata, in corrispondenza della nascita del
villaggio operaio S. Barbara. La serie di edifici, ancora oggi esistenti ma
abbandonati, era costituita da uffici tecnici, laboratori, magazzini e officine
in cui lavorarono decine di geologi, chimici e periti minerari provenienti
dal norditalia e dalla stessa Caltanissetta.
Durante il secondo periodo bellico molte miniere dovettero
chiudere per le frequenti mancanze di energia elettrica con i conseguenti
allagamenti delle gallerie interne. L’attività mineraria ebbe un crollo
verticale. Nel 1944 la produzione di zolfo ed il numero di opeari
raggiunsero il minimo storico dall’inizio del XIX secolo: 32.841 tonnellate
di zolfo prodotto (208.896 nel 1940) e 4786 operai (14.043 nel 1940).
23
Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello
zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 60.
24
Ibidem.
30
Alcune
zolfare
subirono,
oltretutto,
bombardamenti
e
mitragliamenti, dagli eserciti stranieri, con gravi danni alle strutture.
3.4 – La ripresa della produzione con la guerra di Corea e
l’ammodernamento degli impianti minerari.
Alla fine degli eventi bellici, le riserve mondiali di zolfo,
impoverite da un lungo conflitto mondiale (ricordiamo che lo zolfo fu un
componente principale degli esplosivi bellici), e l’industria estrattiva
americana non riuscirono a soddisfare la forte domanda generale di zolfo.
Nonostante i danni causati alle miniere dalla guerra, l’attività
estrattiva riprese con un ritmo sostenuto, spesso a discapito della sicurezza
delle maestranze.
Un forte impulso alla produzione di zolfo arrivò, anche dallo
scoppio della guerra di Corea (1951).
Evidentemente, nel clima internazionale del tempo, di forte contrapposizione
fra i due blocchi militari politici e ideologici avversi […], la prospettiva non
era solo la guerra di Corea, ma il suo assai probabile allargamento ad latre aree
del pianeta.
In quelle condizioni, il mercato mondiale divenne tutto ad un tratto un grande
affamato di zolfo, materia prima della industria di guerra. In conseguenza non
solo i prezzi salirono alle stelle: non si pose più pertanto il problema dei costi,
anche altissimi. Ma il governo italiano, al fine di incrementare comunque la
produzione, intervenne con apposita legge, la legge del 12 agosto 1951,
stanziando 9 miliardi che poi furono portati a 16 […], onde ottenere
l’incremento produttivo fino a 500 mila tonnellate di zolfo annue25.
Così il principale dichiarato scopo di aumentare la produzione […] è risultato
ben presto inattuale di fronte all’imperativo di ridurre il costo di estrazione26.
25
Renda F., L’industria mineraria siciliana ieri e oggi, in Barone G. e Torrisi C. (a cura di), Economia e
società nell’area dello zolfo, secoli XIX-XX, S. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1989, pag. 20.
26
Lanza di Scalea F., Relazione introduttiva, in Lo zolfo in Italia, atti del Convegno Nazionale dello
zolfo, Ente Zolfi Italiani, 1961, pag. 61.
31
Alcune miniere, soprattuto le più estese, poterono beneficiare di
ingenti investimenti per impianti di una certa rilevanza, sino al 1959.
Gran parte degli impianti moderni delle zolfare risalgono a quel
decennio e sono ancora oggi visibili; interessanti non per il valore storico
inesistente ma per la mole e l’alta tecnologia dei macchinari.
Miniera Trabonella. Nel 1954 venne impiantato un nuovo pozzo,
detto appunto Pozzo Nuovo, situato a poca distanza dal pozzo D’Oro,
raggiungente la profondità di 480 metri. Il grande castelletto d’acciaio è
ancora visibile e ben conservato, mentre il blocco di edifici che inglobano
la struttura metallica del castelletto mostra segni di dissesto murario. Si
tratta della sala argano, della centrale elettrica e della linea “decauville” di
carreggio dei vagonetti provenienti dal sottosuolo. Le vie di carreggio sono,
nella quasi totalità, ancora in luogo con una serie di vagonetti in parte
deragliati ed in parte ancora colmi di minerale; quest’ultimo veniva poi
rovesciato
nella
sottostante
vasca
per
alimentare
l’impianto
di
frantumazione (costruito pochi anni dopo a servizio dell’impianto di
flottazione).
Nel 1956 vennero costruiti la strada d’accesso agli impianti
moderni della miniera, l’edificio dell’ex lampisteria prospettante il piazzale
d’ingresso, il blocco di edifici dei magazzini materiali e delle officine (di
nessun pregio).
Nel 1958 furono completati i lavori per l’impianto di flottazione,
sebbene questo metodo di lavorazione fosse conosciuto già da alcuni anni.
La flottazione costituiva l’unica alternativa agli antichi metodi di fusione
dello zolfo (calcarone, forno Gill). Questo metodo chimico di separazione
dello zolfo dalla ganga permise di ottenere l’88% dello zolfo esistente nel
minerale trattato eliminando del tutto le emissioni di anidride solforosa.
32
“La flottazione è un metodo di lavorazione che consente di
sottoporre il materiale, così come esce dalla zolfara, dapprima a
frantumazione e macinazione ed in seguito ad un lavaggio con acqua.
Nelle celle di flottazione la cosiddetta “torbida”, ottenuta nella prima
parte della lavorazione, veniva agitata meccanicamente fino alla
formazione di un’abbondante schiuma con la conseguente separazione
dello zolfo dalla “ganga”. Nel processo risultava efficace l’aggiunta di
sostanze chimiche come nafta o olio di pino nella proporzione di 100
grammi per ogni tonnellata di minerale grezzo. Il successivo addensamento
della schiuma, raschiata dalla torbida con pale meccaniche”27, avveniva
nel reparto filtrazione, in cui veniva eliminata gran parte dell’acqua
contenuta nello zolfo mediante un filtro rotativo a tamburo, scaricando il
prodotto finito (denominato concentrato di flottazione) sul piazzale esterno.
Gli impianti di flottazione sfruttano la diversa altimetria dell’area
situando i vari cicli di lavorazione su livelli diversi. La strumentazione è in
discreto stato di conservazione, anche se preda della ruggine per la cessata
manutenzione. Molto precari, invece, i rivestimenti dei capannoni: si tratta
di pannelli di eternit poggiati su profilati d’acciaio intelaiati.
Altri manufatti risalenti agli anni ’50 sono: il “silos minerali terzi”,
composto da una tramoggia tronco-conica utilizzata per contenere il
minerale grezzo proveniente da altre miniere, foderata in blocchi di pietra
lavica e sormontata da un elegante telaio in acciaio; l’edificio della nuova
direzione; le vasche circolari per la raccolta delle acque; l’impianto di
ventilazione forzata adiacente al pozzo D’Oro.
Miniera Saponaro. Negli anni ’50 la miniera fu “ammodernata con
la costruzione della centrale elettrica e soprattutto con la sperimentazione
del forno Masobello per la fusione della ganga zolfifera. L’impianto in
27
Cassetti M., Gli impianti minerari, Prov. Regionale di Caltanissetta, Agrigento 1999, pag. 16.
33
struttura reticolare di acciaio era simile tecnologicamente agli altiforni per
la fusione dei materiali ferrosi”28.
Il colore rosso della struttura rende ancor più particolare questo
forno di fusione, unico nel suo genere nelle zolfare siciliane e pertanto di
elevato valore testimoniale di un particolare settore dell’arte mineraria.
3.5 – La depressione dell’industria solfifera nel periodo postbellico ed il passaggio delle competenze minerarie alla
Regione Siciliana.
Finito il periodo della guerra di Corea la domanda di zolfo diminuì
drasticamente, mettendo in crisi il settore minerario siciliano. Lo zolfo era
prodotto a costi proibitivi, circa sei volte rispetto a quello ottenuto negli
Stati
Uniti
dalla
distillazione
frazionata
del
petrolio
(scoperta
successivamente al metodo “Frasch”).
La produzione italiana di zolfo, coincidente totalmente con quella
siciliana dopo la chiusura di tutte le zolfare di Romagna e Marche,
rappresentò nella bilancia mondiale meno del 2%. I dati di produzione
furono inferiori alle 100.000 tonnellate, con valori simili o quelli di inizio
ottocento; ciò nonostante le zolfare siciliane rappresentavano in quegli anni
una grande realtà industriale in cui lavoravano 7.200 operai.
Con il passaggio delle competenze del settore solfifero siciliano alla
Regione, fu varato un Piano di Riorganizzazione quinquennale (L.R. 13
marzo 1959, n. 4).
Tale legge richiedeva, da parte degli esercenti, la presentazione di un progetto
quinquennale di ristrutturazione della miniera le cui spese sarebbero state,
inizialmente, a totale carico della Regione. Il finanziamento sarebbe stato
erogato man mano che fossero stati approvati dal Corpo Regionale delle
28
Cassetti M., Gli impianti minerari, Prov. Regionale di Caltanissetta, Agrigento 1999, pag. 218.
34
Miniere, gli stati di avanzamento. Le somme sarebbero state restituite alla
Regione siciliana alla fine del quinto anno, una volta che fosse stata avviata la
ripresa dell’attività economica zolfifera. Tutte le miniere dovevano ricostituirsi
in società per azioni ed impegnarsi a mantenere occupati un certo numero di
dipendenti e pagarli regolarmente a fine mese. Insomma, sembrava una buona
legge. Purtroppo, come tutte le cose che sembrano di facile realizzazione, si
verificò in seguito qualche cosa di anomalo. Per prima cosa, nei consigli di
amministrazione cominciarono a entrare alcuni personaggi politici ambigui, di
scarsa competenza nel “buon amministrare”. Possedevano, solo, l’abilità di fare
bieco clientelismo.
[…] Dei lavori veri e propri che rispettassero il programma originario neanche
l’ombra! In quegli anni si consumò certamente il vero dramma delle miniere e,
naturalmente, dello stesso minatore.29
3.6
–
L’acquisizione
regionale
delle
miniere
e
le
contraddizioni di una gestione fallimentare.
Al termine dei cinque anni previsti dal Piano di Riorganizzazione,
la maggior parte dei concessionari di zolfare risultarono inadempienti. La
Regione Siciliana, a partire dal 20 ottobre 1964, revocò le singole
concessioni ai privati per affidarle all’Ente Minerario Siciliano, prima, e
alla SO.CHI.MI.SI. (Società Chimica Mineraria Siciliana a copertura
pubblica), dal 1967.
Dal secondo dopoguerra tanti zolfatai lottarono per il passaggio
della miniera alla gestione pubblica rivendicando condizioni di lavoro
accettabili, la cessazione della mentalità feudale nella gestione delle
miniere, la verticalizzazione del settore minerario con un ciclo di
produzione e di trasformazione chimica dello zolfo nel territorio siciliano.
Purtroppo le decisioni politiche nascosero ben altre finalità.
[…] a distanza di appena un anno dall’acquisizione delle miniere da parte
dell’EMS, tutto si sovvertì, sotto gli occhi increduli di tutti.
[…] La verità era ben altra. Occorreva riciclare dirigenti trombati in avventure
politiche passate che non potevano essere lasciati in mezzo ad una strada.
29
Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pagg. 115-116.
35
Occorreva trasformare l’EMS in un grosso carrozzone politico senza futuro,
clientelare ed assistenziale.30
Negli anni successivi molte zolfare furono chiuse; all’inizio degli
anni ’70 erano rimaste attive in Sicilia soltanto dodici miniere.
Imponenti lavori di ammodernamento interessarono gli impianti
delle miniere a gestione regionale, senza che ciò potesse impedire il
graduale disfacimento del settore solfifero.
Miniera Gessolungo. Nel 1965 la miniera fu affidata all’Ente
Minerario Siciliano che tentò di ristrutturare completamente gli impianti.
Nella piazzola d’ingresso si trova un fabbricato ad una sola
elevazione, sede ultima dell’ufficio di direzione.
Attiguo alla sala argano del pozzo Fiocchi, fu costruito un
fabbricato a doppia elevazione. Il pianterreno era adibito a spogliatoio per
gli operai, mentre la parte sovrastante ospitava l’ufficio tecnico.
La parte retrostante al pozzo Fiocchi ospita una piccola centrale di
stoccaggio del minerale, composta da un nastro trasportatore e da due silos.
Nella scarpata sovrastante sono collocate la centrale di aria
compressa, con alcuni compressori ancora oggi conservati, e la centrale
elettrica.
Due corpi rettangolari in muratura, entrambi con copertura piana,
sono situati nel grande spiazzo sottostante al pozzo. Il primo era destinato
ad uffici, il secondo ad autorimessa per i mezzi pesanti.
Nella parte bassa delle zolfare si trova il pozzo Maurelli. Il
castelletto è stato completamente rifatto in cemento armato. In una piccola
costruzione attigua trovava sistemazione il gruppo elettrogeno. Di fronte al
castelletto è situata la sala argano. Tutte le strutture descritte sono di
irrilevante interesse storico.
30
Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pag. 121.
36
Miniera Iuncio-Tumminelli. La miniera, terza come estensione
dopo Trabonella e Giumentaro, fu tra le più modernizzate e presenta pochi
resti dell’antica zolfara (resti di forni Gill ed ex palazzina della direzione,
divenuta oggi residenza contadina).
Al centro della zolfara spicca l’alto castelletto d’acciaio alto 30
metri, realizzato su progetto dell’ingegnere romano Plinio Picardi che
prevedeva la modernizzazione degli impianti di estrazione e di
frantumazione del minerale. L’impianto serviva per il trasporto del
minerale dal sottosuolo all’impianto di frantumazione; da qui il minerale
veniva inviato, con lunghi nastri trasportatori, ai silos di stoccaggio protetti
da un capannone.
In questo spazio i camion potevano caricare automaticamente il
minerale per il trasporto all’impianto di flottazione della miniera
Trabonella.
Attigua al castelletto è la sala argano, in mattoni di terracotta, ed
una piccola centrale elettrica.
Lungo la via principale sono collocati due vasti edifici, in cemento
armato. La costruzione a due elevazioni era destinata ad uffici, archivio,
depositi, ambulatori e servizi igienici. La parte retrostante dell’edificio
permette l’ingresso al primo piano tramite una passerella, sfruttando il
terrapieno a cui è accostato.
L’edificio ad unica elevazione ha, invece, una pianta a forma di
“U”, ed era destinato ad officina nella parte centrale, ad autorimessa e
falegnameria in un’ala, ed a magazzino spogliatoi e docce nell’altra ala.
Infine è da citare una cappella ex-voto, costruita successivamente
alla chiusura della zolfara, ricavata in uno scavo del terreno che riproduce,
all’interno, le armature in legno delle gallerie minerarie.
37
Il pozzo della miniera Tumminelli fu l’ultimo, tra le miniere del
gruppo Iuncio-Gessolungo, ad essere utilizzato per l’estrazione del
minerale, essendo unificate le gallerie sotterranee di tali miniere. Gli
impianti di sollevamento delle miniere circostanti, nell’ultimo periodo di
attività, vennero impiegati solamente per la discesa degli operai nei cantieri
di lavoro.
3.7 – La crisi finale e la dismissione del settore solfifero
siciliano.
Con la legge regionale 6 giugno 1975, n. 42, venne decretata la
chiusura di alcune miniere. Rimasero aperte soltanto quattro zolfare.
I sotterranei della miniera Trabonella furono sigillati il 3 dicembre
1975. Solo l’impianto di flottazione rimase in attività, con minerale
proveniente da altra miniera.
L’unica miniera attiva nell’estrazione del minerale, all’interno del
bacino solfifero a nord-est di Caltanissetta, fu la Gessolungo-Iuncio
Tumminelli.
Nei primi anni ’80 gli ultimi due impianti vennero costruiti
all’interno della miniera Trabonella: si tratta degli impianti di purificazione
e di ventilazione dello zolfo.
Il primo impianto è ospitato in un capannone in cemento armato
prefabbricato, adiacente l’impianto di flottazione. Nell’impianto di
purificazione veniva trattato il concentrato di flottazione per l’eliminazione
del suo contenuto in acqua, mediamente del 10 %, e della ganga ancora
presente, per essere portato al tenore 99-100 % in zolfo. Il minerale
arricchito, mediante un nastro trasportatore, veniva inviato al piazzale
esterno. Il successivo impianto di ventilazione, che si trova nei pressi
38
dell’uscita secondaria della miniera, produceva zolfi ventilati per
l’agricoltura.
L’impianto è ospitato in un edificio prefabbricato, di fronte ai silos
del concentrato di flottazione e del concentrato purificato dai quali veniva
inviato il minerale tramite un nastro trasportatore, ed è ancora in buono
stato di conservazione. Attraverso i reparti essiccazione e macinazione,
veniva prodotto e confezionato il ventilato di zolfo, utilizzato in
agricoltura.
Adiacenti all’impianto di ventilazione si trovano i depositi degli
stok di zolfi ventilati. Sul piazzale esistono, ancor oggi, parti di alcune
varietà di prodotti finiti di zolfo. Dinanzi l’uscita secondaria della miniera è
collocata la bilancia a “bilico” per la pesatura dei camion.
1988. Nel 1988 la Regione Siciliana, con la L.R. 8 novembre 1988
n. 34, decretò la dismissione del settore solfifero con la chiusura definitiva
di tutti gli impianti.
I pozzi Fiocchi, Maurelli e Tumminelli sono stati chiusi il 23
gennaio del 1990.
L’E.M.S., a completamento della sua pessima e irresponsabile
amministrazione, non fece nulla per salvaguardare almeno i macchinari e le
attrezzature, lasciandole nell’incuria generale, contravvenendo anche a
quanto stabilito dalla legge regionale 34/1988 che all’articolo 8 recita:
“L’E.M.S. […] provvederà alla chiusura delle miniere di zolfo […]
curando il recupero dei beni e delle attrezzature utilmente asportabili.”.
“Così furono spenti luci e riflettori su un’intera parte di storia”31
economica, sociale ed industriale della Sicilia.
31
Zurli M., Luci ed ombre di miniera, Edizione Lussografica, Caltanissetta 1997, pag. 131.
39
3.8 – Le leggi di tutela e le premesse per la musealizzazione
del patrimonio minerario.
La legge della Regione Siciliana n. 34 del 1988 dava anche la
possibilità all’E.M.S. di alienare le miniere ed i relativi beni o di concederli
in locazione, addirittura, per finalità industriali ed artigianali. In questo
modo i segni tangibili del periodo dello zolfo in Sicilia correvano il rischio
di scomparire.
Solamente nel 1990 i maggiori siti minerari di Caltanissetta,
miniera Gessolungo-Tumminelli e miniera Trabonella, sono stati dichiarati
di importante interesse storico ed etnoantropologico ai sensi della legge
1089/1939.
L’apposizione di questi vincoli da un lato impedì che le strutture e
le aree minerarie venissero destinate ad usi impropri rischiando di essere
trasformate e snaturate, dall’altro non evitò atti vandalici e di sciacallaggio.
Le zone vincolate non interessano aree storicamente importanti come le
miniere Stretto-Giordano e Saponaro. L’omissione risulta grave soprattutto
nei riguardi della miniera Saponaro, pregevole testimonianza di archeologia
industriale.
Nel 1991, con la L.R. 17/1991, sono state poste le premesse per
l’istituzione del museo regionale delle miniere in Caltanissetta con sede
nelle miniere Gessolungo, La Grasta (situata a sud-ovest di Caltanissetta) e
Trabia-Tallarita di Riesi-Sommatino. Esternamente al bacino solfifero
nessuno furono istituiti il museo regionale delle miniere di Agrigento con
sede in Ciavalotta, la miniera-museo di Cozzo Disi (Casteltermini), l’ente
parco minerario Florisella-Grottacalda (Enna, Aidone, Piazza Armerina,
Valguarnera) ed il museo e parco archeologico-industriale della zolfara di
Lercara Freddi (art. 58 della L.R. 15/93). La legge resta in gran parte
40
inapplicata senza che negli anni successivi al 1991 vi sia stato un
rifinanziamento dalla Regione siciliana, ad eccezione dell’ente parco
Floristella-Grottacalda.
Nel 1996 furono creati i presupposti perché l’Azienda foreste
demaniali della Regione siciliana intervenga nel recupero ambientale delle
aree libere o rimboschite in possesso dell’Ente Minerario Siciliano (art. 60
della L.R. 33/1996). Venne anche prevista la possibilità dell’Azienda
foreste demaniali di recuperare gli immobili e di affidare la gestione ad enti
o cooperative.
Anche a questa legge non seguì alcun finanziamento e nessun
intervento.
3.9 – Oltre gli interventi legislativi: i primi progetti di
recupero degli impianti minerari dismessi.
A partire dal 1998 vengono redatti piani e progetti di recupero delle
zolfare di Caltanissetta con qualche effetto tangibile, seppur modesto e al
momento poco efficace.
Nel giugno del 1998 il Comune di Caltanissetta ha acquisito
dall’E.M.S. le aree e gli immobili della miniera Trabonella (delibera n.
2267 del 31/12/1996 e n. 670 del 26/06/1998).
Nel 1999 la stessa miniera è stata compresa nella Riserva naturale
orientata “Monte Capodarso e Valle dell’Imera Meridionale” (istituita con
D.A. n. 513 del 27/10/1999) a testimonianza dell’importanza storica,
ambientale e paesaggistica del sito.
Ad oggi l’unico intervento realizzato nelle miniere di Caltanissetta
ha riguardato la zolfara Trabonella, in particolare il recupero del piazzale
antistante l’area principale d’ingresso. L’intervento è stato eseguito dal
41
Gruppo Azione Locale “Sviluppo Valle dell’Himera” nel biennio
2000/2001, per un importo di L. 190.000.000.
Altri interventi sono stati proposti ed hanno ottenuto i
finanziamenti.
1.
Primo stralcio del progetto per la realizzazione del parco
minerario “Trabonella”, finanziato per € 1.032.913,80 nell’ambito del
P.I.T. Bio Valley. L’intervento prevede la recinzione dell’intera area, il
completamento della strada d’accesso alla miniera, la messa in sicurezza di
alcuni percorsi interni, l’esplorazione della Galleria Luzzati al fine di
valutare un’eventuale recupero della struttura di sottosuolo, ed altri
interventi minori.
2.
Progetto: “La cultura delle miniere: un passato virtuale in un
luogo reale”, finanziato nell’ambito del P.O.R. Sicilia 2000-2006 per €
565.176,86. L’intervento prevede la realizzazione di supporti informatici e
pubblicazioni relative alla storia mineraria ed alla ricostruzione virtuale dei
sotterranei, con collocazione nel sito minerario di una postazione
multimediale divulgativa.
Altre iniziative definite sono in attesa di finanziamenti.
1.
Progetto di recupero dell’edificio dell’ex lampisteria ricadente
all’interno della miniera Trabonella, presentato dalla Provincia regionale di
Caltanissetta.
2.
Accordo tra Comune di Caltanissetta e ARPA per un piano di
caratterizzazione
della
miniera
Trabonella,
con
individuazione
e
classificazione degli eventuali rifiuti (in particolare le coperture in
cemento-amianto).
Tralasciando le iniziative promosse dall’amministrazione comunale
ma non finanziate, è necessario analizzare le aree minerarie all’interno
42
degli strumenti urbanistici comunali, considerando la loro imminente
approvazione.
Oltre la miniera Trabonella e la miniera Giumentaro, quest’ultima
localizzata in provincia di Enna, ricadenti nella zona B della riserva
naturale orientata, le altre cinque sono ricompresse in zone agricole. In
dettaglio, le miniere Gessolungo, Iuncio-Tumminelli, Iuncio-Testasecca e
Stretto-Giordano ricadono in zona EF3 “parco territoriale agricolo
minerario”, le cui previsioni si attuano attraverso specifici Piani territoriali
di utilizzazione.
Solamente la miniera Saponaro non gode di particolare disposizioni
di tutela essendo ricompressa in zona agricola dei feudi (E2).
Infine, vanno segnalate due iniziative collaterali ma significative
per la pubblicizzazione del patrimonio minerario nisseno. Si tratta
dell’ingresso della Riserva naturale orientata “Monte Capodarso e Valle
dell’Imera Meridionale”, con particolare riferimento all’area della miniera
Trabonella, nella Rete dei Geoparchi Europei.
L’altra iniziativa riguarda la creazione di un itinerario minerario, in
cui compaiono le zolfare nissene, all’interno dei percorsi del Parco
letterario “Regalpetra” Leonardo Sciascia.
43
CAPITOLO 4
IPOTESI DI CONNESSIONE E VALORIZZAZIONE
DEI LUOGHI MINERARI
Ipotesi di reti di connessione per i luoghi minerari
4.1 – Miniera Trabonella
Recupero degli edifici e degli impianti di lavorazione dello zolfo,
sia antichi sia moderni, al fine di riproporre i processi industriali dello zolfo
siciliano, in una delle miniere più vaste ed attrezzate, con la creazione di un
“Parco-museo della tecnica mineraria”.
44
Demolizione dei fabbricati moderni di nessun interesse storico o
tecnologico, in precarie condizioni statiche.
Recupero della palazzina della direzione e dell’ex lampisteria ai
fini: a) espositivi-museali (storia della miniera Trabonella, la vicenda
umana dei “trabonellari” ed i grandi scioperi); b) divulgativi per la
conoscenza e l’esplorazione della riserva dell’Imera (la “porta” principale
della riserva).
Riconfigurazione paesaggistica delle aree libere interne e delle zone
rimboschite, necessaria per l’estensione e per la scarsa qualità delle aree.
4.2 – Miniera Iuncio-Tumminelli
Museo delle attrezzature e dei macchinari minerari (vagoncini,
compressori, macchine movimento terra, strumentazione elettrica, ecc….)
provenienti da tutte le zolfare di Caltanissetta, attualmente sparsi nelle aree
delle miniere o allocati in edifici non meritevoli di musealizzazione, da
insediare nei due edifici delle miniere.
Messa in sicurezza del castelletto di estrazione e del sistema di
trasporto automatico dello zolfo, quale esempio ben conservato della
moderna tecnica mineraria.
4.3 – Miniera Iuncio-Testasecca
Restauro edilizio della palazzina dell’ex direzione, pregevole
esempio di architettura liberty.
Rifunzionalizzazione agrituristica connessa all’attigua azienda
agricola per offrire ricettiva turistica a servizio del parco geominerario.
45
4.4 – Miniera Gessolungo
Sede del museo regionale delle miniere (previsto dalla L.R.
17/1991) da localizzare in alcuni degli edifici moderni previa
ristrutturazione. Il museo deve illustrare tutti gli aspetti connessi
all’utilizzazione mineraria in Sicilia ed estesi all’intero bacino solfifero
siciliano. Il museo deve costituire, sulla base della maggiore rilevanza delle
zolfare di Caltanissetta, il punto di divulgazione di riferimento regionale
dei parchi geominerari dello zolfo in Sicilia.
Restauro del castelletto d’estrazione in muratura del pozzo Fiocchi.
Sede centrale del parco Geominerario di Caltanissetta con sala
convegni.
Possibilità di utilizzo di alcune ampie zone pianeggianti, all’interno
della miniera, inserite in particolari pareti di scavo antiche per
rappresentazioni teatrali e musicali. La suggestività del contesto sarà
accresciuta dal recupero dei castelletti minerari e dell’ampio panorama
libero circostante.
Punto di partenza del percorso ciclo-pedonale che attraversa le
miniere.
4.5 – Miniera Saponaro
Restauro del forno Masobello, degli antichi forni Gill e
dell’ingresso delle discenderie, manufatti di valore storico-architettonico
con testimonianza di un particolare settore dell’arte mineraria.
Risagomatura delle altimetrie segnate da vistose pareti di scavo e
ridefinizione ambientale delle aree circostanti.
46
4.6 – Miniera Stretto-Giordano
L’edificio principale della miniera, oggi ridotto a rudere, potrebbe
essere riedificato senza alterazione dei volumi e delle superfici originarie, e
con l’esatta riproposizione dei caratteri strutturali e formali, per essere
adibito ad attività turistico-ricettiva privata a servizio del parco
geominerario.
47
BIBLIOGRAFIA
Baldi M. E., La riqualificazione del paesaggio, La Zisa, Palermo 1999.
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