Nell`arcipelago della follia

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A
Volume pubblicato con i fondi CAR per la ricerca scientifica – Università degli Studi di
Cagliari.
Vincenzo Bongiorno
Nell’arcipelago della follia
Psichiatria, neurofisiologia e manicomi nell’Italia post–unitaria
Copyright © MMXIII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 
Indice

Introduzione
Parte I
Augusto Tamburini e il San Lazzaro di Reggio Emilia

Capitolo I
Profilo biografico di A. Tamburini e L. Luciani
.. Augusto Tamburini,  – .. Luigi Luciani, .

Capitolo II
Il San Lazzaro. Da lebbrosario a frenocomio
.. Antonio Galloni e la riforma del S. Lazzaro,  – .. Terapia morale,
ergoterapia, divertimenti,  – .. La gestione Biagi,  – .. Zani, Livi,
Tamburini, .

Capitolo III
Il S. Lazzaro come clinica psichiatrica dell’Università di Modena

Capitolo IV
Le pubblicazioni
.. La «Rivista sperimentale di Freniatria e Medicina legale in relazione con l’antropologia e le scienze giuridiche e sociali»,  – .. La
«Gazzetta del Frenocomio di Reggio»,  – .. Le «Memorie della
Clinica psichiatrica dell’Università di Modena presso il Frenocomio di
Reggio», .

Capitolo V
La sperimentazione scientifica: i laboratori

Indice

Parte II
La legge sui manicomi e gli alienati: un’attesa di trenta anni

Capitolo I
Follia psichiatria e società nell’Italia dell’Ottocento

Capitolo II
: Assistenza psichiatrica e lacune legislative
.. La Commissione ministeriale,  – .. L’affollamento nei Manicomi,  – .. Le ammissioni e dimissioni,  – .. Direttore sanitario e
Amministrazione,  – .. Manicomi criminali,  – .. La condizione
manicomiale di fine secolo, .

Capitolo III
Proposte di soluzione ai problemi emergenti

Capitolo IV
La formazione del personale infermieristico

Capitolo V
: La legge sui Manicomi

Appendice Parte II
Parte III
Gli studi di psichiatria

Capitolo I
La teoria delle localizzazioni e sue applicazioni
.. Localizzazione cerebrale e linguaggio,  – .. Le allucinazioni, 
– .. La teoria di Tamburini, .

Capitolo II
La concezione della psichiatria e del suo metodo
Parte IV
Ricerche sulle localizzazioni corticali
Indice

Capitolo I
Cenni storici

Capitolo II
Le ricerche negli anni Settanta

.. E.J. Hitzig e G.T. Fritsch,  – .. David Ferrier,  – .. I globalisti,  – .. Topografia cranio–cerebrale, .

Capitolo III
Le ricerche sperimentali di Luciani e Tamburini sulle funzioni del
cervello
.. Centri psico–motori corticali,  – ... Gli esperimenti,  – .. L’eccitabilità della corteccia cerebrale,  – .. La sede dei centri motori
degli arti, nei cani e nei gatti,  – .. La differenziazione dei centri
motori degli arti nei cani.,  – .. Le asimmetrie di sede e l’estensione
delle aree motrici dei due emisferi,  – .. La stimolazione elettrica
della corteccia cerebrale nelle scimmie,  – .. L’epilessia artificiale, 
– .. Il diverso grado di eccitabilità dei singoli centri motori corticali,  – .. I caratteri differenziali dei moti riflessi e di quelli indotti
dalla stimolazione elettrica delle aree eccitabili,  – .. Gli effetti
della mutilazione delle diverse aree nei cani,  – .. Gli effetti delle
mutilazioni di due distinte zone eccitabili nelle scimmie,  – .. La
compensazione degli effetti paralitici consecutivi alla distruzione dei
centri motori corticali,  – .. La teoria dei centri psico–motori corticali di Luciani e Tamburini.,  – .. Sintesi dei risultati delle ricerche
sui centri psico–motori,  – .. Centri psico–sensori corticali,  –
.. Il problema dei centri visivi e uditivi della corteccia cerebrale,  –
.. Gli esperimenti di Luciani e Tamburini,  – .. I centri visivi, 
– .. I centri uditivi,  – .. Alcune conclusioni generali, .
Bibliografia

Scritti di A. Tamburini

Riferimenti bibliografici
Introduzione
Chi intenda ripercorrere le vicende della psichiatria e della psicologia
italiane all’indomani del processo di unificazione si troverà inevitabilmente costretto ad imbattersi in percorsi non lineari, a seguire sentieri
poco battuti, a ricostruire i primi passi di ambiti disciplinari che tendevano all’autonomia. Un caso emblematico viene offerto dalle risposte
che sono state elaborate di fronte al fenomeno della sofferenza umana
declinata lungo i secoli come follia, col carico di problemi che emergevano nei soggetti interessati e in chi prevalentemente assumeva
l’atteggiamento di doversi difendere da comportamenti pericolosi.
L’approccio che va maturando nell’Ottocento nei confronti di questo complesso fenomeno è segnato dallo sviluppo delle conoscenze che, nell’ambito psichiatrico e dei saperi affini, cominciavano ad
articolarsi sul piano scientifico e della pratica.
Assistiamo anche in Italia ad un dibattito sul modo di andare incontro a quell’umanità sofferente e deviante che, emarginata lungo i
secoli, aveva trovato ospitalità in varie strutture, divenute in seguito i
manicomi . La risposta alla particolare manifestazione della devianza
sociale riconosciuta come alienazione si era articolata a livello scientifico e pratico. Sul piano teorico si avviava un complesso tentativo
di leggere scientificamente la sofferenza psichica in chiave anatomo–
biologica, mentre su quello pratico la riflessione si concentrava sul
valore e i limiti dell’istituto manicomiale, sofisticato dispositivo terapeutico e insieme segregante: in altri termini le risposte che venivano
elaborate davanti alla follia assumevano la veste della psichiatria come
scienza e del manicomio come risposta pratica e sociale.
Il costituirsi del pensiero psichiatrico e dei paradigmi interpretativi
dei fenomeni della devianza camminavano di pari passo con il dibattito
sulle istituzioni, manicomiali considerate come risposta prevalente
. Cfr. M. B, F. B, et al., Il cerchio del contagio. Il San Lazzaro tra lebbra,
povertà e follia (–), Istituti ospedalieri neuropsichiatrici, Reggio Emilia . pp.
–.


Introduzione
al problema dal punto di vista sociale. La riflessione si sviluppava
a partire dall’identificazione e dalla classificazione della sofferenza
psichica per facilitare le modalità di intervanto.
In questo processo, l’operazione che cercava, sul piano scientifico,
di trasformare i soggetti malati in casi clinici, le vittime in momenti interni di una classificazione neutrale, “scientifica” della malattia
mentale, intesa esclusivamente come degenerazione fisiologica, si
legava alla ricostruzione dell’identità concreta della folla variegata che
popolava i manicomi .
Questo lavorìo ha conosciuto particolari momenti di sviluppo nell’Italia postunitaria, dove le dinamiche del processo di unificazione
si riflettevano anche nell’ambito della ricerca scientifica, delle istituzioni e delle personalità impegnate a dare un contributo di rilievo
nello studio dei problemi dell’uomo, della psiche e del mondo della
sofferenza.
Con il presente lavoro s’intende recare un contributo alla rilettura
di alcuni aspetti della storia della follia e delle risposte che sono state
formulate in merito ad essa. L’Istituto manicomiale assunto come
centro dell’indagine è il San Lazzaro di Reggio Emilia; nell’ultimo
trentennio dell’Ottocento, infatti, esso si configura come punto di
arrivo di una lunga storia di risposte date al problema dell’emarginazione e, rivitalizzato e potenziato dalla presenza di A. T,
costituisce un crocevia di esperienze sul piano scientifico e pratico
anche a livello internazionale. Tra le mura manicomiali e quelle dell’Istituto di clinica psichiatrica si sviluppa un laboratorio di idee e di
sperimentazione scientifica in grado di dialogare a vari livelli e in
diversi ambiti. In esso, ad esempio, comincia a muovere i primi passi
la psicologia italiana, prima con Buccola e poi con Ferrari, e si fanno
le prime sperimentazioni di neurofisiologia con Luciani e Tamburini
alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento; tutto il lavoro compiuto
viene poi portato alla ribalta nella «Rivista sperimentale di freniatria».
Anche il pensiero e la pratica psichiatrica trovano a Reggio Emilia
il terreno propizio per nuovi percorsi. Tamburini fin dai primi anni
affronta i complessi problemi che irrompevano nella gestione dei manicomi e richiedevano di essere trattati in un nuovo quadro legislativo
. A. D B, Malattia mentale e trasformazionoi sociali. La storia dei folli, In A. D
B (a cura di), Follia Psichiatria e Società, Franco Angeli Milano , pp. –.
Introduzione

uguale per tutta l’Italia; e Reggio in questa ottica costituiva un punto
di riferimento ed una conferma di quanto era proposto e richiesto
dalla nuova legge sui manicomi, di cui Tamburini era il principale
artefice.
Lo studio proposto in questo libro abbraccia sostanzialmente l’ultimo trentennio dell’Ottocento, e ruota attorno alla figura di Tamburini,
eminente psichiatra, direttore del Manicomio di Reggio Emilia, docente di psichiatria e clinica psichiatrica all’Università di Modena, con
sede nell’Istituto di Reggio, e dal  successore di Ezio Sciamanna
nell’insegnamento e nella direzione della Clinica Psichiatrica all’Università di Roma. Di questo scienziato ho tracciato una biografia
intellettuale allo scopo di cogliere, oltre al suo originale contributo, anche quegli aspetti che maggiormente riflettono alcune problematiche
cruciali del pensiero neurofisiologico della seconda metà dell’Ottocento, e costituiscono un’espressione della ricerca italiana impegnata a
dialogare con quella internazionale.
Le indagini di carattere neurofisiologico compiute da Tamburini
acquistano particolare rilevanza per i riflessi che hanno avuto in campo
medico e clinico, e soprattutto nell’ambito della patologia mentale.
Esse si collocano in un periodo “rivoluzionario” per la fisiologia del
sistema nervoso e contemporaneamente sono utilizzate dalla nuova
psicologia scientifica per comprendere quali rapporti esistano tra il
“fisico” e il “mentale” ( lo “psichico”), e se tra cervello e mente sia
necessario postulare un parallelismo come sosteneva la psicofisica,
oppure un rapporto di causalità, come pensavano in molti in un’ottica
riduzionista e meccanicistica, tra i quali anche vari psichiatri impegnati
a indagare l’oscuro meccanismo che genera la pazzia.
Ho focalizzato l’attenzione soprattutto sul periodo reggiano (–
) e, per comodità espositiva, ho suddiviso il lavoro in quattro parti,
peraltro strettamente collegate tra loro, cercando di mettere in luce:
gli aspetti che si riferiscono all’istituto manicomiale nella prima parte;
l’elaborazione dei concetti e delle proposte che sarebbero dovute servire alla riforma manicomiale sul piano legislativo nella seconda parte;
la concezione della psichiatria, del metodo e delle applicazioni psichiatriche secondo Tamburini nella terza parte; la ricerca neurofisiologica
da lui compiuta nella quarta parte. Come contributo alla storia della
psichiatria, questo lavoro risente dei problemi e delle difficoltà che tale
storia incontra nel suo stato attuale. Se in altri ambiti l’oggetto della

Introduzione
ricerca è meglio definito e i criteri di inclusione o esclusione appaiono
meglio determinati, per la storia della psichiatria riesce difficile precisare dove inizi e dove finisca il campo di indagine e spesso ci si ritrova
esitanti tra l’arbitrio e l’abuso dell’ “a priori”.
Per molto tempo la storia delle scienze e al suo interno quella della
medicina — considerata più o meno quale applicazione di una scienza
vera come la fisiologia generale — è stata narrata schematicamente in
due modi: o in modo “continuistico” si è immaginato che un flusso di
scoperte conduca dal lontano passato all’oggi con un sapere che cresce
in modo progressivo e nel quale le scienze fondamentali ed esatte
trovano posto prima di quelle applicate e meno rigorose; oppure,
prendendo avvio dalle conoscenze scientifiche odierne, ci si è rivolti al
passato per rinvenirvi precursori e illuminazioni, che cessano di essere
frammenti isolati nel momento in cui lo storico dimostra il posto e il
senso che quei frammenti hanno assunto nel sapere attuale.
Nel primo caso, la scienza passerebbe da una condizione di povertà ad una di ricchezza, da qualcosa di impreciso a qualcosa di più
determinato; si avrebbe una lenta, continua, omogenea crescita del
sapere da una condizione povera nel passato ad una forma attuale
più rigogliosa. Secondo questo modello, il passato necessiterebbe di
essere colmato nel futuro, in quanto le conoscenze sarebbero ancora
poco organizzate, non costituirebbero un insieme di concetti precisi
inseriti in una coerente struttura teorica. Nel secondo caso, la storia
inizierebbe dal presente per rinvenire nel passato le varie tessere che
vengono a formare il mosaico attuale più “completo”, i cui frammenti
sarebbero ricomposti dal lavoro dello storico.
La storia della psichiatria rischia anch’essa di conformarsi a un’idea
di sviluppo continuistico o a una ricerca di frammenti del passato per
giustificare il proprio presente; e nonostante tali generi di storiografia
siano datati, tuttavia possono ancora influenzare in modo latente la
ricerca. E ciò sarebbe fuorviante, poiché l’oggetto della storia della
psichiatria si presenta “non” come un unico filo che dal passato si
snoda fino al presente, bensì come un insieme di fili che o corrono
paralleli o si intersecano fra di loro o si interrompono e scompaiono
e, dopo essersi occultati, riaffiorano in seguito. Se dunque questo è il
modello più adatto per tale disciplina, lo storico allora dovrà preoccuparsi piuttosto di ricostruire e capire un quadro di conoscenze proprie
del passato, inserite nell’ambito culturale, sociale ed economico del
Introduzione

tempo, evitando di ridurle a parti primitive del mosaico odierno. Il
necessario ricorso ai documenti permette di accedere a qualcosa che
va considerato e valutato di per sé, in relazione alla scienza dell’epoca .
Con tale impostazione, quindi, la pretesa autonomia di uno “specifico
psichiatrico” risulterebbe incompleta e illusoria: vanno invece considerati molteplici elementi, diversi campi disciplinari limitrofi; occorre
interessarsi sia alle teorie sia alla pratica, sia alle ricerche sperimentali,
sia alle istituzioni manicomiali ; ed è ciò che abbiamo tentato di fare
con questo lavoro.
La prima parte del libro ricostruisce il contesto storico dentro il
quale si è andato sviluppando il ricovero San Lazzaro di Reggio Emilia
fino a trasformarsi in manicomio, sede della clinica psichiatrica dell’Università di Modena, centro di ricerca, di didattica e di divulgazione
scientifica. La storia di questa evoluzione permette di evidenziare come sia andato maturando storicamente il concetto di malattia mentale,
a partire dall’idea di circoscrivere una cerchia di “diversi” e dal modo
in cui la società ha cercato di rispondere — con svariate iniziative fondate su presupposti sociali, politici, religiosi, filosofici — ai problemi
posti dai “diversi”, dai deficienti ai malati di mente.
L’istituto manicomiale che eredita Tamburini è il risultato di progetti, ripensamenti, riflussi, spinte innovative portate avanti con lo
sguardo rivolto anche ad altre strutture e iniziative realizzate in Italia
e all’estero. Questo sguardo, aperto e critico, rivolto oltre i confini
nazionali e sviluppato nel tempo, costituisce una premessa ricca di
sviluppi per la storia del S. Lazzaro. Nella gestione Tamburini le linee
di fondo caratterizzanti il suo sviluppo arrivano a maturazione, attraverso l’apertura e l’accoglienza di programmi di ricerca di frontiera,
l’acquisizione di strumenti che rendono possibile la sperimentazione,
e l’impegno di uomini in grado di portare avanti tali programmi.
In tale contesto, il concetto di malattia mentale, introdotto alla fine
del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, viene a sostituire la generica
categoria di comportamento “deviato” o — nella forma più estrema — “folle”, e si cerca di classificare e trattare tali comportamenti
. Cfr. G. L–L, Sul modo di fare storia in medicina e psichiatria, in F.M.
F (a cura di), Passioni della mente e della storia. Protagonisti, teorie e vicende della
psichiatria italiana fra ‘ e ‘, Milano , pp. –.
. Per quanto riguarda la letteratura italiana relativa a un secolo di studi sulla psichiatria,
cfr. P. G, La storia della psichiatria. Un secolo di studi in Italia, Firenze .

Introduzione
come effetti della “patologia della mente”. In questa prospettiva, il
contesto sociale, politico, culturale e scientifico diventano importanti
per quanto attiene al concetto di soglia, di limite, per demarcare il
“normale” dal patologico, e la ricerca chiama in causa fattori di vario
genere di natura scientifica, metodologica, filosofica, sociale, politica,
economica, ecc.
La situazione italiana nella prima metà dell’Ottocento si presentava
composita per influssi culturali e per metodi scientifici: a regioni come
il Piemonte, la Campania e la Sicilia sotto l’influenza della cultura francese, si contrapponevano la Lombardia e il Veneto sotto l’influenza
tedesca, e altre città e regioni con caratteri particolari, come Firenze e
la Toscana, dove si sviluppava una linea originale di pensiero e di sperimentazione. Il pensiero illuminista portato dalla rivoluzione francese
si afferma con una nuova visione della malattia mentale, più sperimentale e legata alla pratica, che prende le distanze dalle teorie astratte e
accademiche. La conoscenza delle teorie dell’inglese J. Brown , che
concepisce la malattia come qualcosa di “dinamico” in cui gli “stimoli”
acquistano molta importanza, porta una ventata di novità nel pensiero
medico; la sua dottrina trova seguaci in Giovanni Rasori , che opera
tra Milano e Pavia; e si afferma in altri centri come Parma dove lavora
Tommasini, o come Macerata o Firenze dove è presente Vincenzo
Chiarugi. Il brownismo provoca in Italia la “nascita della clinica”, in
modo simile a quanto descritto da Foucault per la Francia.
Per quanto riguarda la teoria della malattia mentale, influenzati dalla
clinica, si ritiene di poter stabilire un’equazione tra psicopatologia e
malattia organica e di trattare il disturbo psichico alla stregua delle
altre malattie , rimuovendo in tal modo pregiudizi etici e spiritualisti.
. J. B, Joannis Brunonis elementa medicinae, editio prima italica cui praefatus est
Petrus Moscati, Mediolani .
. G. R, Compendio della nuova dottrina medica di G. Brown, Pavia ; riguardo
all’influsso di Brown in Italia cfr. G. C, Il concetto di «malattia» nella medicina
browniana, in Passioni, cit., pp. –.
. Cfr. M. F, Naissance de la clinique, Paris .
. Per la determinazione di alcuni concetti, assunti e prospettive che stanno alla base
della psichiatria moderna cfr. S. M, La «naturalizzazione» della mente dei lumi e la
nascita della psichiatria moderna, in F.M. F (a cura di), Passioni, cit., pp. –, dove
questi concetti vengono ricondotti a precisi contesti e paradigmi. Vedi pure V.P. B,
Organicismo e ideologie nella psichiatria italiana dell’Ottocento, in F.M. F (a cura di),
Passioni, cit., pp. –.
Introduzione

Le ricerche più significative si muovono tra la tendenza a trovare una
lesione anatomica del sistema nervoso sulla scorta dell’impostazione di
Morgagni, come fa ad esempio Chiarugi nel suo trattato del – ,
e l’ipotesi di stabilire una relazione tra forma del cranio e attività del
cervello, come avviene con la frenologia. Quest’ultima trova seguaci
anche in Italia: da Giovanni Antonio Fossati, fedele discepolo di Gall
che lavora a Parigi in esilio, a Biagio Miraglia che tiene a Napoli un
corso universitario abbastanza seguito. Anche se la frenologia sarà in
seguito giudicata ingenua e artificiosa, tuttavia alcune delle scoperte
della neurologia sulle localizzazioni cerebrali non possono non essere
rilette alla luce delle sue ipotesi .
Nonostante l’entusiasmo per l’organico, la psichiatria del primo
Ottocento tiene vivo lo sguardo alla storia del paziente, al problema
del «trattamento morale» e al rapporto tra medico e paziente: la
pratica terapeutica si ispira a una visione storica ed esistenziale del
disturbo derivata dai francesi Pinel ed Esquirol. Il disturbo psichico
è considerato nella sua complessità, come sofferenza organica, ma
anche come elemento di discontinuità “morale” nel corso della vita.
La malattia è vista come “alienazione”, e quanto viene prescritto nella
cura per correggere le alterazioni fisiologiche non contrasta con il
«trattamento morale», con la pratica volta a ristabilire l’ordine delle
emozioni.
La cura si prefigge di allontanare il malato dal proprio ambiente,
di promuovere la riflessione nella quiete, di evitare la segregazione,
l’emarginazione, ritenendo che sia possibile reintegrare il movimento
della vita, degli affetti e delle idee nell’alveo della storia. Contrariamente a quanto si possa credere, nessuno degli psichiatri del primo
Ottocento pensa alla malattia mentale come a qualcosa di cronico e
di irreversibile; la terapia corregge il difetto, allontana il disagio, e i
luoghi della cura sono concepiti come passaggi temporanei.
Questa concezione cambia rapidamente nella seconda metà dell’Ottocento: la sofferenza psichica è rapportata quasi esclusivamente
. V. C, Della pazzia in genere ed in specie. Trattato medico–analitico con una
centurie di osservazioni,  voll., Firenze –. Su questo argomento si può vedere F.
M, Interpretazioni italiane della patologia e visione della filosofia della natura tedesca,
in F.M. F (a cura di), Passioni, cit., pp. –.
. Cfr. R. V, Una formula impossibile: nota sulla frenologia in Italia, in F.M. F (a
cura di), Passioni, cit., pp. –.

Introduzione
a cause anatomo–fisiologiche, l’attenzione agli affetti e alla storia del
soggetto rimane ai margini nella documentazione clinica. La preoccupazione maggiore è quella di gestire i malati piuttosto che di guarirli: il
disturbo finisce per apparire non solubile, cronico; la psichiatria viene
a dipendere sempre più dalla clinica fino ad identificarsi, nell’ottica
organicistica, con la neurologia.
A questo cambiamento concorrono altri elementi che spingono in
questa direzione, tra cui l’affermarsi del pensiero positivista e scientista. Le delusioni seguite all’unità d’Italia, gli squilibri economici, la
crescente emigrazione, la concentrazione industriale, le rivendicazioni sociali con la loro forza condizionante favoriscono i processi di
emarginazione e costringono la psichiatria a mutare prospettiva.
L’impostazione organicista segue linee parallele: Verga a Milano, Livi e Tamburini a Reggio Emilia, Lombroso a Torino sono gli assertori
di una psichiatria che ai conflitti dell’anima lascia ben poco spazio. Il
quadro che in Italia si presenta a fine Ottocento è quello di una psichiatria cristallizzata, frutto di una concezione positivistica dell’impresa
scientifica. Le nosografie divengono griglie rigide che non concedono
fluidità clinica; le istituzioni manicomiali si presentano come spazi
chiusi e senza tempo; il travaglio legislativo che aveva accompagnato
l’Ottocento è codificato nelle disposizioni di segregazione del 
difese in Parlamento da Leonardo Bianchi. Tale orientamento della
psichiatria, ridotta a pratica medica ripetitiva, si accentuerà con l’isolamento progressivo della cultura e della scienza italiana tra le due
guerre mondiali. Sempre più si farà ricorso per scuotere i pazienti alle
terapie di shock.
Tuttavia, in questo panorama della psichiatria italiana fra ’ e
’, che appare statico, si presentano alcuni aspetti che segnano un
progresso: si tratta di un impegno nel campo sperimentale, grazie al
quale Bianchi e Mingazzini, Negro e Perusini, Tamburini e gli studiosi della scuola romana sino a Cerletti arricchiscono le conoscenze
neurologiche in modo fecondo.
La psichiatria del Novecento, tuttavia, non si risolve negli interpreti
ufficiali, poiché si delinea una reazione all’impostazione positivista
grazie a una corrente psichiatrica sommersa di grande importanza.
Elemento nuovo di questa cultura, che cerca di affermarsi, è anzitutto
il riconoscimento di una psicologia come scienza autonoma. Il rapporto tra psichiatria e psicologia è implicitamente postulato all’interno
Introduzione

della struttura manicomiale di Reggio Emilia da Gabriele Buccola, che
arricchisce la sua conoscenza della psicopatologia tedesca recandosi
alcuni mesi a Monaco presso la clinica psichiatrica diretta dall’insigne
neuroanatomo Gudden; ma la sua prematura scomparsa ritarderà purtroppo un’acquisizione che invece in Germania ad opera di Kraepelin
sarà più rapida.
Tamburini accoglie questo nuovo orientamento di psichiatria sperimentale fin dai primi anni della sua direzione, promuovendo un filone
di studi che, dopo Buccola, sarà ripreso negli anni Novanta da Giulio
Cesare Ferrari, il quale promuoverà l’autonomia della scienza psicologica e dei suoi metodi, ritenendo nel contempo che essa potrà portare
validi contributi anche in campo psichiatrico e psicopatologico.
L’esperienza reggiana di Buccola e Ferrari, e tutti gli sviluppi in
cui si articolerà il cammino della psicologia italiana da De Sanctis a
Kiesow da Benussi a Musatti, da De Sarlo a Gemelli, ecc., costituiscono
un terreno di revisione dell’organicismo che avrà il suo epilogo negli
anni dopo la seconda guerra mondiale. L’analisi di questo percorso
evidenzia d’altra parte quanto le scelte scientifiche siano dipendenti
da ambiti culturali e da situazioni sociali.
La storia del S. Lazzaro racchiude il groviglio di problemi cui
abbiamo accennato. Tamburini, che ne assume la direzione nel ,
eredita quella ricca tradizione che è protesa a dare valide risposte a
quel genere di “devianza” che è la follia, e che è interessata a fare del
manicomio un centro di ricerca scientifica.
La seconda parte del volume ripercorre puntualmente l’iter delle
varie proposte, apparse nelle pagine della «Rivista sperimentale di freniatria», che i medici alienisti avanzavano perché l’Italia unita potesse
dotarsi di una legge in grado di riassumere le normative vigenti nei
diversi manicomi e nello stesso tempo desse una risposta ai crescenti
problemi che le varie strutture manicomiali e la società denunziavano.
Alla fine emerge un percorso irto di problematicità legate alla concezione della malattia, ai luoghi che accoglievano questa popolazione di
emarginati, alle paure che facevano da sfondo a tutta l’azione di contenimento dei “poveri pazzi”, al manicomio come luogo di reclusione
per rispondere al pericolo piuttosto che come opportunità per la cura.
L’iter in cui primeggia la figura di Tamburini culminerà dopo un
trentennio nella legge del ; ma essa non recepirà tutte le proposte,
e in concomitanza con la sua promulgazione saranno evidenti i limiti,

Introduzione
divenuti in seguito motivo di un dibattito che attraverserà l’Italia per
circa settanta anni. Le proposte non accolte saranno quelle che, nella
storia successiva, alimenteranno le lamentele contro il manicomio
fino a chiederne la chiusura. La loro visione di un manicomio come
luogo di transito solo per i casi acuti e le soluzioni alternative ad esso,
se fossero state accolte e tradotte in pratica, sicuramente avrebbero
permesso un diverso approccio alla malattia mentale ed una diversa
organizzazione.
Nella terza parte del libro sono esposte i principali concetti psichiatrici di Tamburini e i metodi utilizzati per lo studio dei malati di mente.
Il neurofisiologo viene così a convivere con lo psichiatra che intravede
nella “clinica” il metodo e gli strumenti per lo studio delle malattie
mentali.
Ancorato alle ricerche sui centri corticali, Tamburini intende collegarli con i disturbi psichici, come dimostra la teoria delle allucinazioni, che si afferma come modello esplicativo per diversi anni, fino a
quando le nuove acquisizioni neurologiche e psichiatriche del nostro
secolo, fondate su basi non più organiciste, conferiranno maggiore
complessità al problema e postuleranno altre ipotesi.
Come direttore ed organizzatore, Tamburini mostra interessi ed
aperture verso altre discipline che si affacciavano nel panorama scientifico di fine secolo: tra le altre, la nascente psicologia scientifica, di
cui favorisce la nascita in Italia incoraggiando i lavori psicologici di
Buccola e successivamente di Ferrari nel laboratorio di psicologia
istituito tra le mura del S. Lazzaro; e le ricerche microscopiche e
istologiche, che avevano trovato in Camillo Golgi un protagonista di
valore internazionale.
Verso la fine del secolo i suoi interessi sono rivolti specialmente
alle problematiche sociali, con particolare riguardo al trattamento dei
deficienti, alla prevenzione della tubercolosi e all’organizzazione della
struttura manicomiale, che egli intendeva adeguare alle norme legislative (nelle quali aveva avuto una parte di rilievo) e potenziare mediante
la formazione e preparazione del corpo infermieristico. Tamburini
rivendica alla psichiatria una posizione di primato nei confronti delle
altre scienze che si occupavano dell’uomo, sia perché la considerava
scientificamente più avanzata, sia perché aveva ottenuto un maggior
consolidamento sociale: non dimentichiamo che egli faceva parte
di quel ristretto numero di alienisti che, negli anni Ottanta, erano
Introduzione

diventati protagonisti del movimento che aveva organizzato le prime strutture manicomiali e partecipato all’elaborazione della relativa
legislazione.
La sua figura sotto il profilo scientifico e culturale è emblematica
dell’Italia dell’ultimo trentennio dell’ e dei primi anni del ’.
Nella sua attività convive la figura dello scienziato aperto alla ricerca
sperimentale e alla sua divulgazione, ma anche qualcosa di più, che
si esprime in un personalistico rapporto con la scienza e con tutto
ciò che ruota attorno al manicomio: la sua concezione “scientista” si
affianca ad interessi e gusti personali nell’influenzare campi di ricerca,
scelta di uomini e di programmi.
Tamburini è consapevole che la psichiatria deve trovare nella clinica
e nei suoi metodi la via maestra per un significativo rapporto con la
malattia mentale o meglio con i malati, che sono il vero oggetto di studio costruttivo: quel «libro vivo della natura» a cui rivolgersi per sfidare
il pensiero e il cuore a produrre le chiavi che permettano di capire e di
intervenire. In questa attenzione al soggetto “vivo”, anche se privo di
qualcosa che i “sani” rivendicano, si coglie il cammino dello psichiatra
Tamburini sensibile alle varie problematiche che interessano questi
soggetti sofferenti.
L’impegno manifestato per la ricerca neurofisiologica a partire
dagli anni Ottanta si coniuga con i problemi legati alla direzione e
all’amministrazione del S. Lazzaro, che conosce un periodo di grande
sviluppo. Il manicomio, sorto come risposta al problema posto dalla
follia, è chiamato a ritrovare una sua identità istituzionale e giuridica:
precisando i compiti era possibile rispondere al sovrappopolamento,
a sistemare in strutture idonee i malati cronici, quelli acuti, quelli
dimessi e i folli criminali. Riportando il manicomio alla sua funzione primaria di ospedale si rendeva indispensabile la formazione del
personale, ma si faceva strada anche l’azione di prevenzione.
Tutto ciò entra nel progetto che Tamburini intendeva realizzare:
ritenendo che la psichiatria non dovesse essere una scienza “pura”, si
preoccupò che scendesse sul campo della pratica per affrontare i molteplici problemi posti dalla concretezza del soggetto sofferente inserito
in uno specifico contesto. A suo parere, per un verso era necessaria la
conoscenza delle malattie; per un altro verso non meno importante
era potere intervenire con la terapia, che si articolava nella cura e nella
prevenzione. L’impegno che in questo senso Tamburini ha profuso si

Introduzione
rivela nelle varie iniziative che fecero del S. Lazzaro non solo un centro
di ricerca, ma anche un laboratorio di sperimentazione, crocevia di
esperienze e di incontri a livello internazionale. L’attenzione alle più
recenti acquisizioni scientifiche, italiane e straniere, recepite con spirito critico, si rifletteva nell’organizzazione del manicomio secondo un
modello che potesse competere con le più avanzate esperienze. C’era
in lui, come in altri colleghi, l’idea di sviluppare una psichiatria italiana
che potesse stare alla pari con quella straniera; e un segno di questa
aspirazione lo troviamo nel riferimento che egli fa ai “precursori”
italiani contrapposti a quelli d’oltralpe (Valsalva, Daquin, Chiarugi,
eletti ad eroi nazionali, erano anteposti a Pinel; Panizza a Hitzig e
Fritsch).
L’arco della vita di Tamburini comprende l’ascesa della psichiatria
italiana, sia sotto l’aspetto teorico sia per la funzione sociale che essa
ricopriva nel nuovo Stato unitario. Tamburini non manca di esaltare
questo cammino vincente della psichiatria, che passa di vittoria in
vittoria in senso comtiano: dagli errori del passato, dalle titubanti
origini di uno stadio empirico, ai progressi del presente, sia scientifici
che sociali, proiettati nel futuro di un’umanità nuova affrancata dalla
scienza. Al riconoscimento istituzionale, ufficiale della psichiatria,
sancito con la prima legge sui manicomi nel febbraio , Tamburini
aveva collaborato attivamente durante tutto il periodo reggiano, con
uno sguardo rivolto alla legge che la Francia si era data nel , e
un altro ai problemi da risolvere in un’Italia incamminata a prendere
coscienza di essere uno stato unitario. La sua figura è un po’ l’emblema
della consapevolezza — che gli psichiatri nutrivano — di esercitare un
ruolo di tutela del vivere civile e di ordinato sviluppo della comunità
nazionale.
Parlando di psichiatria, e in particolare di quella italiana, non possiamo dunque ignorare la figura di questo studioso che ha contribuito al
suo sviluppo sul piano teorico, pratico e organizzativo, consentendo
che essa si affermasse a livello istituzionale.
Il San Lazzaro si caratterizzò anche per l’attività di ricerca sperimentale sul cervello, e questo aspetto è trattato nella quarta partedel
lavoro, in cui si esaminano i contributi di neurofisiologia sperimentale
prodotti nel Frenocomio. Il rapporto osmotico con altri centri di ricerca fece sì che a Reggio si recasse negli anni – Luigi Luciani,
docente a Parma, per svolgervi insieme con Tamburini indagini speri-
Introduzione

mentali sulle localizzazioni cerebrali, in particolare sui centri motori e
sensoriali della corteccia. La preparazione che Luciani aveva acquisito
con il fisiologo tedesco Ludwig, nel laboratorio di Lipsia, è sviluppata
grazie alla comunione di intenti e di interessi col giovane neodirettore
Tamburini nei laboratori del manicomio, dove sono riprodotti esperimenti che si allineavano con le ricerche di Fritsch e Hitzig, Ferrier,
Munk e Goltz.
I lavori di Luciani e Tamburini sulla corteccia cerebrale sono di
gran valore, all’altezza di quelli svolti negli stessi anni nei laboratori
tedeschi, inglesi e francesi, e purtroppo scarsamente posti in luce
dalla storiografia della scienza. I due italiani devono essere considerati anch’essi protagonisti della “stagione d’oro” delle localizzazioni
corticali.
Alla fine del Settecento, se anatomicamente erano state individuate
e descritte le varie parti del sistema nervoso, a livello fisiologico su di
esso erano state invece avanzate ipotesi di carattere incerto, più speculativo che empirico, data la carenza di supporti sperimentali. I medici
e gli anatomisti, impegnati a identificare e a localizzare nell’encefalo
il sensorium commune deputato ad aggregare e ad integrare gli stimoli
afferenti dal mondo esterno, erano divisi sulla sua localizzazione: T.
Willis, per esempio, lo aveva posto nei corpi striati, G. Baglivi nelle meningi, Lancisi nel corpo calloso, A. von Haller nell’insieme dei luoghi
di origine dei nervi cranici, T. von Sömmering nei ventricoli cerebrali, ecc. Medesima difficoltà si riscontrava nell’identificare un centro
deputato ai movimenti del corpo in grado di attivare la contrazione
muscolare mediante il fluido nervoso, centro ipotizzato ugualmente
nell’encefalo ma non coincidente con quello della sensazione.
Da un lato, alla luce dell’impostazione cartesiana, si riteneva che
le attività psichiche o mentali fossero espressione di una mente o
anima (la res cogitans) che entrava in rapporto col corpo attraverso
una particolare struttura cerebrale, che rimaneva peraltro totalmente
indeterminata; dall’altro lato, secondo l’impostazione materialistica di
tradizione illuministica, quelle attività erano concepite come funzioni
o proprietà di uno o più organi cerebrali, anch’essi ugualmente difficili
da identificare.
La situazione che si presentava agli inizi dell’Ottocento non offriva
elementi utili per individuare con certezza quale struttura dell’encefalo fosse in certo qual modo responsabile dell’attività psichica,

Introduzione
comunque fosse intesa; in altri termini non si era ancora riusciti a
determinare scientificamente quale fosse la sede o l’organo della mente; in particolare alla corteccia cerebrale era attribuita una funzione
solamente nutritiva.
Questo sintetico schema del modo di intendere il funzionamento
del sistema nervoso evidenzia quale molteplicità di problemi insoluti si presentassero ai primi dell’Ottocento: dalla natura dell’impulso
nervoso alle vie e centri sensitivi e motori, dal meccanismo dell’azione riflessa fino all’identificazione della “sede” del cervello collegata
all’attività psichica.
Il compito che si impone alla comunità scientifica del XIX secolo
sarà quello di affrontare tali problemi trasferendoli sul piano della
ricerca sperimentale; così accade per quanto riguarda la fisiologia degli organi di senso e di moto, dei nervi spinali e cranici, del midollo
spinale e allungato, del cervelletto e delle altre strutture dell’encefalo.
Lo sviluppo delle conoscenze istologiche, poi, con i nuovi più potenti e perfezionati microscopi, contribuirà alle indagini portando alla
conoscenza della struttura della cellula nervosa.
Lo studio delle vie nervose sensitive e motorie, che prende l’avvio
con la scoperta della legge di Bell–Magendie, consente di distinguere
la differente origine delle fibre motorie e sensitive nel midollo spinale
e si sviluppa con la ricerca dei percorsi di tali fibre fino all’encefalo
e dei loro centri di arrivo e di partenza, identificati nella corteccia
cerebrale solo dopo il . È infatti proprio in quest’anno che Fritsch
e Hitzig riescono a dimostrare l’esistenza di centri motori corticali,
aprendo con ciò la strada alla grande stagione delle localizzazioni
cerebrali.
Nella prima metà dell’ Ottocento, l’opera di Gall e di Flourens aveva portato l’attenzione sulla corteccia e sui suoi legami con le attività
psichiche. Anche se per diversi aspetti le loro teorie si riveleranno
“errate”, esse tuttavia permetteranno di fare un passo avanti sulle localizzazioni corticali Nel  Paul Broca scopre il centro del linguaggio
articolato, e Huglings Jackson negli anni ’ e ’ elabora un modello
gerarchico di sistema nervoso, la cui parte più importante è costituita
dalla corteccia quale sede dei più elevati centri sensitivi e motori. Il
neurasse risulta allora costituito da un’unica struttura, priva di fratture essenziali, non suddivisibile in una parte preposta alle funzioni
psichiche “superiori” (la corteccia cerebrale) e un’altra (il resto del
Introduzione

neurasse) a quelle “inferiori”, quali la sensazione, il movimento, la vita
vegetativa. Il sistema nervoso si presenta nella sua totalità, per Jackson,
come un sistema senso–motorio preposto a coordinare sensazioni
e movimenti attraverso centri nervosi diversi sempre più complessi,
strutturati anatomicamente e funzionalmente in tre modi o gradi
gerarchici fino ad arrivare ai centri più elevati nella corteccia. Le varie manifestazioni patologiche nervose e mentali, in questo modello,
rappresenterebbero una “degenerazione”, un’involuzione dei centri
senso–motori, a partire da quelli superiori fino a quelli inferiori.
Questo rapido excursus ci porta agli anni Settanta, ai lavori di Fritsch
e Hitzig, seguiti da quelli di Ferrier e di altri, e conseguentemente
agli esperimenti di Tamburini, il quale si inscrive in questo solco
con i suoi lavori sull’afasia già nel . La ricerca sviluppata in Italia,
con particolare attenzione al contributo di Tamburini e Luciani, sarà
indicata dal Soury come la “scuola italiana” che farà udire la propria
voce nella comunità scientifica internazionale.
Rivisitando molto brevemente la storia delle localizzazioni e in
particolare il modo in cui questo problema era stato posto negli anni
Settanta, possiamo cogliere la metodologia, nonché gli aspetti originali
e quelli problematici, del lavoro dei nostri autori. Il valore delle loro
ricerche risalta nei risultati scientifici, non solo per il loro apporto
conoscitivo, ma anche per i riflessi che proiettano nel campo della
patologia, dove è particolarmente impegnato Tamburini.
Gli studi di neurofisiologia sono condotti allo scopo di determinare la «differenziazione funzionale delle diverse zone del cervello»
mediante esperimenti condotti sugli animali; i disturbi che seguono
agli interventi sulla corteccia con scariche elettriche, punture, ablazioni e che si manifestano come fenomeni di deficienza motoria o
sensoria, sono osservati e descritti “dall’esterno”; ma da queste osservazioni è necessario risalire, spesso mediante congetture, al ruolo
della corteccia cerebrale, dei centri corticali riconosciuti responsabili
dei fenomeni di senso e di moto, e soprattutto all’aspetto “soggettivo”,
psichico, dei fenomeni osservati. L’esperimento si fonda sull’ipotesi — come tra gli altri sostiene Ferrier — che l’aspetto fisiologico
e quello psicologico siano due lati differenti di uno stesso substrato
. cfr. L. L, Criteri logici da seguire nelle indagini sperimentali sulle
localizzazioni cerebrali, Milano–Torino .

Introduzione
anatomico . Per una più attenta e puntuale ricostruzione storica ci
siamo preoccupati di rintracciare i protocolli originali inerenti agli
esperimenti condotti dai nostri autori; purtroppo, fino al momento
attuale, non siamo riusciti a rinvenire traccia dei loro appunti né a
Reggio né a Modena. I vari cambiamenti avvenuti nel manicomio di
Reggio e il trasferimento dell’Istituto psichiatrico a Modena (quando
Tamburini lascia Reggio) hanno avuto come conseguenza che diverso
materiale sia andato perduto.
Tamburini imposta la sua concezione della psichiatria alla luce di
uno stretto collegamento tra la mente e il suo substratum ed è indotto
a ricercare le cause delle manifestazioni patologiche nel solco della
tradizione organicista, secondo l’impostazione di quanti vedono nelle
alterazioni del cervello la genesi della “malattia mentale”.
Tale impostazione tuttavia nascondeva un aspetto che non sfuggiva
a Tamburini: il fatto che un cervello alterato possa dar luogo, a livello
funzionale, ad aberrazioni mentali di qualunque natura o a disordini
della motilità e della sensibilità, non consente di instaurare un rapporto universale e necessario di “causalità” tra alterazione cerebrale e
follia, in quanto quest’ultima può presentarsi anche in soggetti esenti
da lesioni anatomiche. La follia in questo caso rappresenterebbe l’elemento “soggettivo” che sfugge all’analisi “oggettiva”; il progetto di
fisiologi o psichiatri che ricercavano elementi utili per dimostrare la
corrispondenza biunivoca tra sfera soggettiva e lesioni anatomiche
rivelava i limiti del riduzionismo organicista e positivista ottocentesco.
La questione non è di poco conto quando dagli animali inferiori si
passa a quelli superiori fino all’uomo; in quest’ultimo caso i metodi
non sono indifferenti per un’interpretazione corretta dei fenomeni che
apparentemente si presentano simili nel loro momento “oggettivo”
mentre differiscono in quello “soggettivo”.
Nei centri corticali in cui il fenomeno fisico si “trasforma” in psichico avviene un passaggio che a livello fisiologico è solo descritto
ma non spiegato: il positivismo in versione meccanicista descrive e
postula una trasformazione che a livello epistemologico è carica di
problematicità, quella che Emil du Bois–Reymond sintetizza chiara. Cfr. D. F, The localisation of cerebral diseases: being the Gulstonian lectures of
the Royal College of physician for , London  (trad. it. La localizzazione delle malattie
cerebrali, Napoli , pp. –).
Introduzione

mente nelle classiche conferenze Sui confini della conoscenza umana,
tenuta a Lipsia nel , e su I sette enigmi del mondo, tenuta a Berlino
nel  .
Si invocano metodi diversi per studiare la specificità del mentale; la
clinica si affianca all’anatomia–patologica, ma né l’una né l’altra riescono a spiegare lo “psichico” in quanto tale, derivandolo dal cervello.
L’introduzione del concetto di “lesione funzionale” è un altro passo
nella direzione di postulare qualcosa di altro che riesca a dar conto della
non derivabilità del mentale dall’organico; tuttavia sarà il “neurologo”
Freud, di ritorno dalla Salpêtrière, ad operare la rottura che riporta lo
psichico ad un certo livello di autonomia dal neurofisiologico.
Questo lavoro di indagine può essere paragonato all’esplorazione
di un arcipelago in cui ogni isola rimanda all’altra in un gioco sempre
aperto; approdati su una lo sguardo si protende verso le altre e sollecita
una nuova navigazione che lasciando alle spalle la sicurezza della
terraferma permette di avvicinarsi ad un’altra isola, separata e nello
stesso tempo collegata, dalle acque del mare. L’occhio può fissarsi su
ciò che emerge ma può rivolgersi, anche costretto, verso ciò che è
sommerso e che può ingenerare paura.
La metafora può accompagnare ciascuno di noi nell’accostarci all’altro sia quando riteniamo che presenti i caratteri della normalità sia
i segni dell’anormalità; nell’uno e nell’altro caso l’approdo è possibile
al termine di una navigazione in–finita all’interno dell’arcipelago. La
storia della follia attraversa l’arcipelago dell’umanità separando ed
unendo, risolvendo problemi e ponendone dei nuovi, segnando ed abbattendo i confini tra normale e patologico ma soprattutto lanciando
la sfida affinché intraprendiamo la navigazione che porti ad ascoltare
e comprendere. Parte dell’esplorazione di questa complessità che presenta aspetti sempre nuovi è stata svolta in un precedente lavoro che
costituisce la prima parte di un percorso in cui affiorano isole, mari
e abissi sempre nuovi e sebbene consegnati alla storia, riemergono
nell’attualità di un presente che naviga in questo arcipelago.
. Über die Grenzen des Naturerkennens — Die sieben Welträthsel. Zwei Vorträge von Emil
du Bois–Reymond, Leipzig,  (trad. it. di V. C, I confini della conoscenza della
natura, Milano ).
. V. B, Il dedalo della mente. Augusto Tamburini tra neurofisiologia e psichiatria,
Edizioni Kappa, Roma .
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