A Volume pubblicato con i fondi CAR per la ricerca scientifica – Università degli Studi di Cagliari. Vincenzo Bongiorno Nell’arcipelago della follia Psichiatria, neurofisiologia e manicomi nell’Italia post–unitaria Copyright © MMXIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre Indice Introduzione Parte I Augusto Tamburini e il San Lazzaro di Reggio Emilia Capitolo I Profilo biografico di A. Tamburini e L. Luciani .. Augusto Tamburini, – .. Luigi Luciani, . Capitolo II Il San Lazzaro. Da lebbrosario a frenocomio .. Antonio Galloni e la riforma del S. Lazzaro, – .. Terapia morale, ergoterapia, divertimenti, – .. La gestione Biagi, – .. Zani, Livi, Tamburini, . Capitolo III Il S. Lazzaro come clinica psichiatrica dell’Università di Modena Capitolo IV Le pubblicazioni .. La «Rivista sperimentale di Freniatria e Medicina legale in relazione con l’antropologia e le scienze giuridiche e sociali», – .. La «Gazzetta del Frenocomio di Reggio», – .. Le «Memorie della Clinica psichiatrica dell’Università di Modena presso il Frenocomio di Reggio», . Capitolo V La sperimentazione scientifica: i laboratori Indice Parte II La legge sui manicomi e gli alienati: un’attesa di trenta anni Capitolo I Follia psichiatria e società nell’Italia dell’Ottocento Capitolo II : Assistenza psichiatrica e lacune legislative .. La Commissione ministeriale, – .. L’affollamento nei Manicomi, – .. Le ammissioni e dimissioni, – .. Direttore sanitario e Amministrazione, – .. Manicomi criminali, – .. La condizione manicomiale di fine secolo, . Capitolo III Proposte di soluzione ai problemi emergenti Capitolo IV La formazione del personale infermieristico Capitolo V : La legge sui Manicomi Appendice Parte II Parte III Gli studi di psichiatria Capitolo I La teoria delle localizzazioni e sue applicazioni .. Localizzazione cerebrale e linguaggio, – .. Le allucinazioni, – .. La teoria di Tamburini, . Capitolo II La concezione della psichiatria e del suo metodo Parte IV Ricerche sulle localizzazioni corticali Indice Capitolo I Cenni storici Capitolo II Le ricerche negli anni Settanta .. E.J. Hitzig e G.T. Fritsch, – .. David Ferrier, – .. I globalisti, – .. Topografia cranio–cerebrale, . Capitolo III Le ricerche sperimentali di Luciani e Tamburini sulle funzioni del cervello .. Centri psico–motori corticali, – ... Gli esperimenti, – .. L’eccitabilità della corteccia cerebrale, – .. La sede dei centri motori degli arti, nei cani e nei gatti, – .. La differenziazione dei centri motori degli arti nei cani., – .. Le asimmetrie di sede e l’estensione delle aree motrici dei due emisferi, – .. La stimolazione elettrica della corteccia cerebrale nelle scimmie, – .. L’epilessia artificiale, – .. Il diverso grado di eccitabilità dei singoli centri motori corticali, – .. I caratteri differenziali dei moti riflessi e di quelli indotti dalla stimolazione elettrica delle aree eccitabili, – .. Gli effetti della mutilazione delle diverse aree nei cani, – .. Gli effetti delle mutilazioni di due distinte zone eccitabili nelle scimmie, – .. La compensazione degli effetti paralitici consecutivi alla distruzione dei centri motori corticali, – .. La teoria dei centri psico–motori corticali di Luciani e Tamburini., – .. Sintesi dei risultati delle ricerche sui centri psico–motori, – .. Centri psico–sensori corticali, – .. Il problema dei centri visivi e uditivi della corteccia cerebrale, – .. Gli esperimenti di Luciani e Tamburini, – .. I centri visivi, – .. I centri uditivi, – .. Alcune conclusioni generali, . Bibliografia Scritti di A. Tamburini Riferimenti bibliografici Introduzione Chi intenda ripercorrere le vicende della psichiatria e della psicologia italiane all’indomani del processo di unificazione si troverà inevitabilmente costretto ad imbattersi in percorsi non lineari, a seguire sentieri poco battuti, a ricostruire i primi passi di ambiti disciplinari che tendevano all’autonomia. Un caso emblematico viene offerto dalle risposte che sono state elaborate di fronte al fenomeno della sofferenza umana declinata lungo i secoli come follia, col carico di problemi che emergevano nei soggetti interessati e in chi prevalentemente assumeva l’atteggiamento di doversi difendere da comportamenti pericolosi. L’approccio che va maturando nell’Ottocento nei confronti di questo complesso fenomeno è segnato dallo sviluppo delle conoscenze che, nell’ambito psichiatrico e dei saperi affini, cominciavano ad articolarsi sul piano scientifico e della pratica. Assistiamo anche in Italia ad un dibattito sul modo di andare incontro a quell’umanità sofferente e deviante che, emarginata lungo i secoli, aveva trovato ospitalità in varie strutture, divenute in seguito i manicomi . La risposta alla particolare manifestazione della devianza sociale riconosciuta come alienazione si era articolata a livello scientifico e pratico. Sul piano teorico si avviava un complesso tentativo di leggere scientificamente la sofferenza psichica in chiave anatomo– biologica, mentre su quello pratico la riflessione si concentrava sul valore e i limiti dell’istituto manicomiale, sofisticato dispositivo terapeutico e insieme segregante: in altri termini le risposte che venivano elaborate davanti alla follia assumevano la veste della psichiatria come scienza e del manicomio come risposta pratica e sociale. Il costituirsi del pensiero psichiatrico e dei paradigmi interpretativi dei fenomeni della devianza camminavano di pari passo con il dibattito sulle istituzioni, manicomiali considerate come risposta prevalente . Cfr. M. B, F. B, et al., Il cerchio del contagio. Il San Lazzaro tra lebbra, povertà e follia (–), Istituti ospedalieri neuropsichiatrici, Reggio Emilia . pp. –. Introduzione al problema dal punto di vista sociale. La riflessione si sviluppava a partire dall’identificazione e dalla classificazione della sofferenza psichica per facilitare le modalità di intervanto. In questo processo, l’operazione che cercava, sul piano scientifico, di trasformare i soggetti malati in casi clinici, le vittime in momenti interni di una classificazione neutrale, “scientifica” della malattia mentale, intesa esclusivamente come degenerazione fisiologica, si legava alla ricostruzione dell’identità concreta della folla variegata che popolava i manicomi . Questo lavorìo ha conosciuto particolari momenti di sviluppo nell’Italia postunitaria, dove le dinamiche del processo di unificazione si riflettevano anche nell’ambito della ricerca scientifica, delle istituzioni e delle personalità impegnate a dare un contributo di rilievo nello studio dei problemi dell’uomo, della psiche e del mondo della sofferenza. Con il presente lavoro s’intende recare un contributo alla rilettura di alcuni aspetti della storia della follia e delle risposte che sono state formulate in merito ad essa. L’Istituto manicomiale assunto come centro dell’indagine è il San Lazzaro di Reggio Emilia; nell’ultimo trentennio dell’Ottocento, infatti, esso si configura come punto di arrivo di una lunga storia di risposte date al problema dell’emarginazione e, rivitalizzato e potenziato dalla presenza di A. T, costituisce un crocevia di esperienze sul piano scientifico e pratico anche a livello internazionale. Tra le mura manicomiali e quelle dell’Istituto di clinica psichiatrica si sviluppa un laboratorio di idee e di sperimentazione scientifica in grado di dialogare a vari livelli e in diversi ambiti. In esso, ad esempio, comincia a muovere i primi passi la psicologia italiana, prima con Buccola e poi con Ferrari, e si fanno le prime sperimentazioni di neurofisiologia con Luciani e Tamburini alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento; tutto il lavoro compiuto viene poi portato alla ribalta nella «Rivista sperimentale di freniatria». Anche il pensiero e la pratica psichiatrica trovano a Reggio Emilia il terreno propizio per nuovi percorsi. Tamburini fin dai primi anni affronta i complessi problemi che irrompevano nella gestione dei manicomi e richiedevano di essere trattati in un nuovo quadro legislativo . A. D B, Malattia mentale e trasformazionoi sociali. La storia dei folli, In A. D B (a cura di), Follia Psichiatria e Società, Franco Angeli Milano , pp. –. Introduzione uguale per tutta l’Italia; e Reggio in questa ottica costituiva un punto di riferimento ed una conferma di quanto era proposto e richiesto dalla nuova legge sui manicomi, di cui Tamburini era il principale artefice. Lo studio proposto in questo libro abbraccia sostanzialmente l’ultimo trentennio dell’Ottocento, e ruota attorno alla figura di Tamburini, eminente psichiatra, direttore del Manicomio di Reggio Emilia, docente di psichiatria e clinica psichiatrica all’Università di Modena, con sede nell’Istituto di Reggio, e dal successore di Ezio Sciamanna nell’insegnamento e nella direzione della Clinica Psichiatrica all’Università di Roma. Di questo scienziato ho tracciato una biografia intellettuale allo scopo di cogliere, oltre al suo originale contributo, anche quegli aspetti che maggiormente riflettono alcune problematiche cruciali del pensiero neurofisiologico della seconda metà dell’Ottocento, e costituiscono un’espressione della ricerca italiana impegnata a dialogare con quella internazionale. Le indagini di carattere neurofisiologico compiute da Tamburini acquistano particolare rilevanza per i riflessi che hanno avuto in campo medico e clinico, e soprattutto nell’ambito della patologia mentale. Esse si collocano in un periodo “rivoluzionario” per la fisiologia del sistema nervoso e contemporaneamente sono utilizzate dalla nuova psicologia scientifica per comprendere quali rapporti esistano tra il “fisico” e il “mentale” ( lo “psichico”), e se tra cervello e mente sia necessario postulare un parallelismo come sosteneva la psicofisica, oppure un rapporto di causalità, come pensavano in molti in un’ottica riduzionista e meccanicistica, tra i quali anche vari psichiatri impegnati a indagare l’oscuro meccanismo che genera la pazzia. Ho focalizzato l’attenzione soprattutto sul periodo reggiano (– ) e, per comodità espositiva, ho suddiviso il lavoro in quattro parti, peraltro strettamente collegate tra loro, cercando di mettere in luce: gli aspetti che si riferiscono all’istituto manicomiale nella prima parte; l’elaborazione dei concetti e delle proposte che sarebbero dovute servire alla riforma manicomiale sul piano legislativo nella seconda parte; la concezione della psichiatria, del metodo e delle applicazioni psichiatriche secondo Tamburini nella terza parte; la ricerca neurofisiologica da lui compiuta nella quarta parte. Come contributo alla storia della psichiatria, questo lavoro risente dei problemi e delle difficoltà che tale storia incontra nel suo stato attuale. Se in altri ambiti l’oggetto della Introduzione ricerca è meglio definito e i criteri di inclusione o esclusione appaiono meglio determinati, per la storia della psichiatria riesce difficile precisare dove inizi e dove finisca il campo di indagine e spesso ci si ritrova esitanti tra l’arbitrio e l’abuso dell’ “a priori”. Per molto tempo la storia delle scienze e al suo interno quella della medicina — considerata più o meno quale applicazione di una scienza vera come la fisiologia generale — è stata narrata schematicamente in due modi: o in modo “continuistico” si è immaginato che un flusso di scoperte conduca dal lontano passato all’oggi con un sapere che cresce in modo progressivo e nel quale le scienze fondamentali ed esatte trovano posto prima di quelle applicate e meno rigorose; oppure, prendendo avvio dalle conoscenze scientifiche odierne, ci si è rivolti al passato per rinvenirvi precursori e illuminazioni, che cessano di essere frammenti isolati nel momento in cui lo storico dimostra il posto e il senso che quei frammenti hanno assunto nel sapere attuale. Nel primo caso, la scienza passerebbe da una condizione di povertà ad una di ricchezza, da qualcosa di impreciso a qualcosa di più determinato; si avrebbe una lenta, continua, omogenea crescita del sapere da una condizione povera nel passato ad una forma attuale più rigogliosa. Secondo questo modello, il passato necessiterebbe di essere colmato nel futuro, in quanto le conoscenze sarebbero ancora poco organizzate, non costituirebbero un insieme di concetti precisi inseriti in una coerente struttura teorica. Nel secondo caso, la storia inizierebbe dal presente per rinvenire nel passato le varie tessere che vengono a formare il mosaico attuale più “completo”, i cui frammenti sarebbero ricomposti dal lavoro dello storico. La storia della psichiatria rischia anch’essa di conformarsi a un’idea di sviluppo continuistico o a una ricerca di frammenti del passato per giustificare il proprio presente; e nonostante tali generi di storiografia siano datati, tuttavia possono ancora influenzare in modo latente la ricerca. E ciò sarebbe fuorviante, poiché l’oggetto della storia della psichiatria si presenta “non” come un unico filo che dal passato si snoda fino al presente, bensì come un insieme di fili che o corrono paralleli o si intersecano fra di loro o si interrompono e scompaiono e, dopo essersi occultati, riaffiorano in seguito. Se dunque questo è il modello più adatto per tale disciplina, lo storico allora dovrà preoccuparsi piuttosto di ricostruire e capire un quadro di conoscenze proprie del passato, inserite nell’ambito culturale, sociale ed economico del Introduzione tempo, evitando di ridurle a parti primitive del mosaico odierno. Il necessario ricorso ai documenti permette di accedere a qualcosa che va considerato e valutato di per sé, in relazione alla scienza dell’epoca . Con tale impostazione, quindi, la pretesa autonomia di uno “specifico psichiatrico” risulterebbe incompleta e illusoria: vanno invece considerati molteplici elementi, diversi campi disciplinari limitrofi; occorre interessarsi sia alle teorie sia alla pratica, sia alle ricerche sperimentali, sia alle istituzioni manicomiali ; ed è ciò che abbiamo tentato di fare con questo lavoro. La prima parte del libro ricostruisce il contesto storico dentro il quale si è andato sviluppando il ricovero San Lazzaro di Reggio Emilia fino a trasformarsi in manicomio, sede della clinica psichiatrica dell’Università di Modena, centro di ricerca, di didattica e di divulgazione scientifica. La storia di questa evoluzione permette di evidenziare come sia andato maturando storicamente il concetto di malattia mentale, a partire dall’idea di circoscrivere una cerchia di “diversi” e dal modo in cui la società ha cercato di rispondere — con svariate iniziative fondate su presupposti sociali, politici, religiosi, filosofici — ai problemi posti dai “diversi”, dai deficienti ai malati di mente. L’istituto manicomiale che eredita Tamburini è il risultato di progetti, ripensamenti, riflussi, spinte innovative portate avanti con lo sguardo rivolto anche ad altre strutture e iniziative realizzate in Italia e all’estero. Questo sguardo, aperto e critico, rivolto oltre i confini nazionali e sviluppato nel tempo, costituisce una premessa ricca di sviluppi per la storia del S. Lazzaro. Nella gestione Tamburini le linee di fondo caratterizzanti il suo sviluppo arrivano a maturazione, attraverso l’apertura e l’accoglienza di programmi di ricerca di frontiera, l’acquisizione di strumenti che rendono possibile la sperimentazione, e l’impegno di uomini in grado di portare avanti tali programmi. In tale contesto, il concetto di malattia mentale, introdotto alla fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, viene a sostituire la generica categoria di comportamento “deviato” o — nella forma più estrema — “folle”, e si cerca di classificare e trattare tali comportamenti . Cfr. G. L–L, Sul modo di fare storia in medicina e psichiatria, in F.M. F (a cura di), Passioni della mente e della storia. Protagonisti, teorie e vicende della psichiatria italiana fra ‘ e ‘, Milano , pp. –. . Per quanto riguarda la letteratura italiana relativa a un secolo di studi sulla psichiatria, cfr. P. G, La storia della psichiatria. Un secolo di studi in Italia, Firenze . Introduzione come effetti della “patologia della mente”. In questa prospettiva, il contesto sociale, politico, culturale e scientifico diventano importanti per quanto attiene al concetto di soglia, di limite, per demarcare il “normale” dal patologico, e la ricerca chiama in causa fattori di vario genere di natura scientifica, metodologica, filosofica, sociale, politica, economica, ecc. La situazione italiana nella prima metà dell’Ottocento si presentava composita per influssi culturali e per metodi scientifici: a regioni come il Piemonte, la Campania e la Sicilia sotto l’influenza della cultura francese, si contrapponevano la Lombardia e il Veneto sotto l’influenza tedesca, e altre città e regioni con caratteri particolari, come Firenze e la Toscana, dove si sviluppava una linea originale di pensiero e di sperimentazione. Il pensiero illuminista portato dalla rivoluzione francese si afferma con una nuova visione della malattia mentale, più sperimentale e legata alla pratica, che prende le distanze dalle teorie astratte e accademiche. La conoscenza delle teorie dell’inglese J. Brown , che concepisce la malattia come qualcosa di “dinamico” in cui gli “stimoli” acquistano molta importanza, porta una ventata di novità nel pensiero medico; la sua dottrina trova seguaci in Giovanni Rasori , che opera tra Milano e Pavia; e si afferma in altri centri come Parma dove lavora Tommasini, o come Macerata o Firenze dove è presente Vincenzo Chiarugi. Il brownismo provoca in Italia la “nascita della clinica”, in modo simile a quanto descritto da Foucault per la Francia. Per quanto riguarda la teoria della malattia mentale, influenzati dalla clinica, si ritiene di poter stabilire un’equazione tra psicopatologia e malattia organica e di trattare il disturbo psichico alla stregua delle altre malattie , rimuovendo in tal modo pregiudizi etici e spiritualisti. . J. B, Joannis Brunonis elementa medicinae, editio prima italica cui praefatus est Petrus Moscati, Mediolani . . G. R, Compendio della nuova dottrina medica di G. Brown, Pavia ; riguardo all’influsso di Brown in Italia cfr. G. C, Il concetto di «malattia» nella medicina browniana, in Passioni, cit., pp. –. . Cfr. M. F, Naissance de la clinique, Paris . . Per la determinazione di alcuni concetti, assunti e prospettive che stanno alla base della psichiatria moderna cfr. S. M, La «naturalizzazione» della mente dei lumi e la nascita della psichiatria moderna, in F.M. F (a cura di), Passioni, cit., pp. –, dove questi concetti vengono ricondotti a precisi contesti e paradigmi. Vedi pure V.P. B, Organicismo e ideologie nella psichiatria italiana dell’Ottocento, in F.M. F (a cura di), Passioni, cit., pp. –. Introduzione Le ricerche più significative si muovono tra la tendenza a trovare una lesione anatomica del sistema nervoso sulla scorta dell’impostazione di Morgagni, come fa ad esempio Chiarugi nel suo trattato del – , e l’ipotesi di stabilire una relazione tra forma del cranio e attività del cervello, come avviene con la frenologia. Quest’ultima trova seguaci anche in Italia: da Giovanni Antonio Fossati, fedele discepolo di Gall che lavora a Parigi in esilio, a Biagio Miraglia che tiene a Napoli un corso universitario abbastanza seguito. Anche se la frenologia sarà in seguito giudicata ingenua e artificiosa, tuttavia alcune delle scoperte della neurologia sulle localizzazioni cerebrali non possono non essere rilette alla luce delle sue ipotesi . Nonostante l’entusiasmo per l’organico, la psichiatria del primo Ottocento tiene vivo lo sguardo alla storia del paziente, al problema del «trattamento morale» e al rapporto tra medico e paziente: la pratica terapeutica si ispira a una visione storica ed esistenziale del disturbo derivata dai francesi Pinel ed Esquirol. Il disturbo psichico è considerato nella sua complessità, come sofferenza organica, ma anche come elemento di discontinuità “morale” nel corso della vita. La malattia è vista come “alienazione”, e quanto viene prescritto nella cura per correggere le alterazioni fisiologiche non contrasta con il «trattamento morale», con la pratica volta a ristabilire l’ordine delle emozioni. La cura si prefigge di allontanare il malato dal proprio ambiente, di promuovere la riflessione nella quiete, di evitare la segregazione, l’emarginazione, ritenendo che sia possibile reintegrare il movimento della vita, degli affetti e delle idee nell’alveo della storia. Contrariamente a quanto si possa credere, nessuno degli psichiatri del primo Ottocento pensa alla malattia mentale come a qualcosa di cronico e di irreversibile; la terapia corregge il difetto, allontana il disagio, e i luoghi della cura sono concepiti come passaggi temporanei. Questa concezione cambia rapidamente nella seconda metà dell’Ottocento: la sofferenza psichica è rapportata quasi esclusivamente . V. C, Della pazzia in genere ed in specie. Trattato medico–analitico con una centurie di osservazioni, voll., Firenze –. Su questo argomento si può vedere F. M, Interpretazioni italiane della patologia e visione della filosofia della natura tedesca, in F.M. F (a cura di), Passioni, cit., pp. –. . Cfr. R. V, Una formula impossibile: nota sulla frenologia in Italia, in F.M. F (a cura di), Passioni, cit., pp. –. Introduzione a cause anatomo–fisiologiche, l’attenzione agli affetti e alla storia del soggetto rimane ai margini nella documentazione clinica. La preoccupazione maggiore è quella di gestire i malati piuttosto che di guarirli: il disturbo finisce per apparire non solubile, cronico; la psichiatria viene a dipendere sempre più dalla clinica fino ad identificarsi, nell’ottica organicistica, con la neurologia. A questo cambiamento concorrono altri elementi che spingono in questa direzione, tra cui l’affermarsi del pensiero positivista e scientista. Le delusioni seguite all’unità d’Italia, gli squilibri economici, la crescente emigrazione, la concentrazione industriale, le rivendicazioni sociali con la loro forza condizionante favoriscono i processi di emarginazione e costringono la psichiatria a mutare prospettiva. L’impostazione organicista segue linee parallele: Verga a Milano, Livi e Tamburini a Reggio Emilia, Lombroso a Torino sono gli assertori di una psichiatria che ai conflitti dell’anima lascia ben poco spazio. Il quadro che in Italia si presenta a fine Ottocento è quello di una psichiatria cristallizzata, frutto di una concezione positivistica dell’impresa scientifica. Le nosografie divengono griglie rigide che non concedono fluidità clinica; le istituzioni manicomiali si presentano come spazi chiusi e senza tempo; il travaglio legislativo che aveva accompagnato l’Ottocento è codificato nelle disposizioni di segregazione del difese in Parlamento da Leonardo Bianchi. Tale orientamento della psichiatria, ridotta a pratica medica ripetitiva, si accentuerà con l’isolamento progressivo della cultura e della scienza italiana tra le due guerre mondiali. Sempre più si farà ricorso per scuotere i pazienti alle terapie di shock. Tuttavia, in questo panorama della psichiatria italiana fra ’ e ’, che appare statico, si presentano alcuni aspetti che segnano un progresso: si tratta di un impegno nel campo sperimentale, grazie al quale Bianchi e Mingazzini, Negro e Perusini, Tamburini e gli studiosi della scuola romana sino a Cerletti arricchiscono le conoscenze neurologiche in modo fecondo. La psichiatria del Novecento, tuttavia, non si risolve negli interpreti ufficiali, poiché si delinea una reazione all’impostazione positivista grazie a una corrente psichiatrica sommersa di grande importanza. Elemento nuovo di questa cultura, che cerca di affermarsi, è anzitutto il riconoscimento di una psicologia come scienza autonoma. Il rapporto tra psichiatria e psicologia è implicitamente postulato all’interno Introduzione della struttura manicomiale di Reggio Emilia da Gabriele Buccola, che arricchisce la sua conoscenza della psicopatologia tedesca recandosi alcuni mesi a Monaco presso la clinica psichiatrica diretta dall’insigne neuroanatomo Gudden; ma la sua prematura scomparsa ritarderà purtroppo un’acquisizione che invece in Germania ad opera di Kraepelin sarà più rapida. Tamburini accoglie questo nuovo orientamento di psichiatria sperimentale fin dai primi anni della sua direzione, promuovendo un filone di studi che, dopo Buccola, sarà ripreso negli anni Novanta da Giulio Cesare Ferrari, il quale promuoverà l’autonomia della scienza psicologica e dei suoi metodi, ritenendo nel contempo che essa potrà portare validi contributi anche in campo psichiatrico e psicopatologico. L’esperienza reggiana di Buccola e Ferrari, e tutti gli sviluppi in cui si articolerà il cammino della psicologia italiana da De Sanctis a Kiesow da Benussi a Musatti, da De Sarlo a Gemelli, ecc., costituiscono un terreno di revisione dell’organicismo che avrà il suo epilogo negli anni dopo la seconda guerra mondiale. L’analisi di questo percorso evidenzia d’altra parte quanto le scelte scientifiche siano dipendenti da ambiti culturali e da situazioni sociali. La storia del S. Lazzaro racchiude il groviglio di problemi cui abbiamo accennato. Tamburini, che ne assume la direzione nel , eredita quella ricca tradizione che è protesa a dare valide risposte a quel genere di “devianza” che è la follia, e che è interessata a fare del manicomio un centro di ricerca scientifica. La seconda parte del volume ripercorre puntualmente l’iter delle varie proposte, apparse nelle pagine della «Rivista sperimentale di freniatria», che i medici alienisti avanzavano perché l’Italia unita potesse dotarsi di una legge in grado di riassumere le normative vigenti nei diversi manicomi e nello stesso tempo desse una risposta ai crescenti problemi che le varie strutture manicomiali e la società denunziavano. Alla fine emerge un percorso irto di problematicità legate alla concezione della malattia, ai luoghi che accoglievano questa popolazione di emarginati, alle paure che facevano da sfondo a tutta l’azione di contenimento dei “poveri pazzi”, al manicomio come luogo di reclusione per rispondere al pericolo piuttosto che come opportunità per la cura. L’iter in cui primeggia la figura di Tamburini culminerà dopo un trentennio nella legge del ; ma essa non recepirà tutte le proposte, e in concomitanza con la sua promulgazione saranno evidenti i limiti, Introduzione divenuti in seguito motivo di un dibattito che attraverserà l’Italia per circa settanta anni. Le proposte non accolte saranno quelle che, nella storia successiva, alimenteranno le lamentele contro il manicomio fino a chiederne la chiusura. La loro visione di un manicomio come luogo di transito solo per i casi acuti e le soluzioni alternative ad esso, se fossero state accolte e tradotte in pratica, sicuramente avrebbero permesso un diverso approccio alla malattia mentale ed una diversa organizzazione. Nella terza parte del libro sono esposte i principali concetti psichiatrici di Tamburini e i metodi utilizzati per lo studio dei malati di mente. Il neurofisiologo viene così a convivere con lo psichiatra che intravede nella “clinica” il metodo e gli strumenti per lo studio delle malattie mentali. Ancorato alle ricerche sui centri corticali, Tamburini intende collegarli con i disturbi psichici, come dimostra la teoria delle allucinazioni, che si afferma come modello esplicativo per diversi anni, fino a quando le nuove acquisizioni neurologiche e psichiatriche del nostro secolo, fondate su basi non più organiciste, conferiranno maggiore complessità al problema e postuleranno altre ipotesi. Come direttore ed organizzatore, Tamburini mostra interessi ed aperture verso altre discipline che si affacciavano nel panorama scientifico di fine secolo: tra le altre, la nascente psicologia scientifica, di cui favorisce la nascita in Italia incoraggiando i lavori psicologici di Buccola e successivamente di Ferrari nel laboratorio di psicologia istituito tra le mura del S. Lazzaro; e le ricerche microscopiche e istologiche, che avevano trovato in Camillo Golgi un protagonista di valore internazionale. Verso la fine del secolo i suoi interessi sono rivolti specialmente alle problematiche sociali, con particolare riguardo al trattamento dei deficienti, alla prevenzione della tubercolosi e all’organizzazione della struttura manicomiale, che egli intendeva adeguare alle norme legislative (nelle quali aveva avuto una parte di rilievo) e potenziare mediante la formazione e preparazione del corpo infermieristico. Tamburini rivendica alla psichiatria una posizione di primato nei confronti delle altre scienze che si occupavano dell’uomo, sia perché la considerava scientificamente più avanzata, sia perché aveva ottenuto un maggior consolidamento sociale: non dimentichiamo che egli faceva parte di quel ristretto numero di alienisti che, negli anni Ottanta, erano Introduzione diventati protagonisti del movimento che aveva organizzato le prime strutture manicomiali e partecipato all’elaborazione della relativa legislazione. La sua figura sotto il profilo scientifico e culturale è emblematica dell’Italia dell’ultimo trentennio dell’ e dei primi anni del ’. Nella sua attività convive la figura dello scienziato aperto alla ricerca sperimentale e alla sua divulgazione, ma anche qualcosa di più, che si esprime in un personalistico rapporto con la scienza e con tutto ciò che ruota attorno al manicomio: la sua concezione “scientista” si affianca ad interessi e gusti personali nell’influenzare campi di ricerca, scelta di uomini e di programmi. Tamburini è consapevole che la psichiatria deve trovare nella clinica e nei suoi metodi la via maestra per un significativo rapporto con la malattia mentale o meglio con i malati, che sono il vero oggetto di studio costruttivo: quel «libro vivo della natura» a cui rivolgersi per sfidare il pensiero e il cuore a produrre le chiavi che permettano di capire e di intervenire. In questa attenzione al soggetto “vivo”, anche se privo di qualcosa che i “sani” rivendicano, si coglie il cammino dello psichiatra Tamburini sensibile alle varie problematiche che interessano questi soggetti sofferenti. L’impegno manifestato per la ricerca neurofisiologica a partire dagli anni Ottanta si coniuga con i problemi legati alla direzione e all’amministrazione del S. Lazzaro, che conosce un periodo di grande sviluppo. Il manicomio, sorto come risposta al problema posto dalla follia, è chiamato a ritrovare una sua identità istituzionale e giuridica: precisando i compiti era possibile rispondere al sovrappopolamento, a sistemare in strutture idonee i malati cronici, quelli acuti, quelli dimessi e i folli criminali. Riportando il manicomio alla sua funzione primaria di ospedale si rendeva indispensabile la formazione del personale, ma si faceva strada anche l’azione di prevenzione. Tutto ciò entra nel progetto che Tamburini intendeva realizzare: ritenendo che la psichiatria non dovesse essere una scienza “pura”, si preoccupò che scendesse sul campo della pratica per affrontare i molteplici problemi posti dalla concretezza del soggetto sofferente inserito in uno specifico contesto. A suo parere, per un verso era necessaria la conoscenza delle malattie; per un altro verso non meno importante era potere intervenire con la terapia, che si articolava nella cura e nella prevenzione. L’impegno che in questo senso Tamburini ha profuso si Introduzione rivela nelle varie iniziative che fecero del S. Lazzaro non solo un centro di ricerca, ma anche un laboratorio di sperimentazione, crocevia di esperienze e di incontri a livello internazionale. L’attenzione alle più recenti acquisizioni scientifiche, italiane e straniere, recepite con spirito critico, si rifletteva nell’organizzazione del manicomio secondo un modello che potesse competere con le più avanzate esperienze. C’era in lui, come in altri colleghi, l’idea di sviluppare una psichiatria italiana che potesse stare alla pari con quella straniera; e un segno di questa aspirazione lo troviamo nel riferimento che egli fa ai “precursori” italiani contrapposti a quelli d’oltralpe (Valsalva, Daquin, Chiarugi, eletti ad eroi nazionali, erano anteposti a Pinel; Panizza a Hitzig e Fritsch). L’arco della vita di Tamburini comprende l’ascesa della psichiatria italiana, sia sotto l’aspetto teorico sia per la funzione sociale che essa ricopriva nel nuovo Stato unitario. Tamburini non manca di esaltare questo cammino vincente della psichiatria, che passa di vittoria in vittoria in senso comtiano: dagli errori del passato, dalle titubanti origini di uno stadio empirico, ai progressi del presente, sia scientifici che sociali, proiettati nel futuro di un’umanità nuova affrancata dalla scienza. Al riconoscimento istituzionale, ufficiale della psichiatria, sancito con la prima legge sui manicomi nel febbraio , Tamburini aveva collaborato attivamente durante tutto il periodo reggiano, con uno sguardo rivolto alla legge che la Francia si era data nel , e un altro ai problemi da risolvere in un’Italia incamminata a prendere coscienza di essere uno stato unitario. La sua figura è un po’ l’emblema della consapevolezza — che gli psichiatri nutrivano — di esercitare un ruolo di tutela del vivere civile e di ordinato sviluppo della comunità nazionale. Parlando di psichiatria, e in particolare di quella italiana, non possiamo dunque ignorare la figura di questo studioso che ha contribuito al suo sviluppo sul piano teorico, pratico e organizzativo, consentendo che essa si affermasse a livello istituzionale. Il San Lazzaro si caratterizzò anche per l’attività di ricerca sperimentale sul cervello, e questo aspetto è trattato nella quarta partedel lavoro, in cui si esaminano i contributi di neurofisiologia sperimentale prodotti nel Frenocomio. Il rapporto osmotico con altri centri di ricerca fece sì che a Reggio si recasse negli anni – Luigi Luciani, docente a Parma, per svolgervi insieme con Tamburini indagini speri- Introduzione mentali sulle localizzazioni cerebrali, in particolare sui centri motori e sensoriali della corteccia. La preparazione che Luciani aveva acquisito con il fisiologo tedesco Ludwig, nel laboratorio di Lipsia, è sviluppata grazie alla comunione di intenti e di interessi col giovane neodirettore Tamburini nei laboratori del manicomio, dove sono riprodotti esperimenti che si allineavano con le ricerche di Fritsch e Hitzig, Ferrier, Munk e Goltz. I lavori di Luciani e Tamburini sulla corteccia cerebrale sono di gran valore, all’altezza di quelli svolti negli stessi anni nei laboratori tedeschi, inglesi e francesi, e purtroppo scarsamente posti in luce dalla storiografia della scienza. I due italiani devono essere considerati anch’essi protagonisti della “stagione d’oro” delle localizzazioni corticali. Alla fine del Settecento, se anatomicamente erano state individuate e descritte le varie parti del sistema nervoso, a livello fisiologico su di esso erano state invece avanzate ipotesi di carattere incerto, più speculativo che empirico, data la carenza di supporti sperimentali. I medici e gli anatomisti, impegnati a identificare e a localizzare nell’encefalo il sensorium commune deputato ad aggregare e ad integrare gli stimoli afferenti dal mondo esterno, erano divisi sulla sua localizzazione: T. Willis, per esempio, lo aveva posto nei corpi striati, G. Baglivi nelle meningi, Lancisi nel corpo calloso, A. von Haller nell’insieme dei luoghi di origine dei nervi cranici, T. von Sömmering nei ventricoli cerebrali, ecc. Medesima difficoltà si riscontrava nell’identificare un centro deputato ai movimenti del corpo in grado di attivare la contrazione muscolare mediante il fluido nervoso, centro ipotizzato ugualmente nell’encefalo ma non coincidente con quello della sensazione. Da un lato, alla luce dell’impostazione cartesiana, si riteneva che le attività psichiche o mentali fossero espressione di una mente o anima (la res cogitans) che entrava in rapporto col corpo attraverso una particolare struttura cerebrale, che rimaneva peraltro totalmente indeterminata; dall’altro lato, secondo l’impostazione materialistica di tradizione illuministica, quelle attività erano concepite come funzioni o proprietà di uno o più organi cerebrali, anch’essi ugualmente difficili da identificare. La situazione che si presentava agli inizi dell’Ottocento non offriva elementi utili per individuare con certezza quale struttura dell’encefalo fosse in certo qual modo responsabile dell’attività psichica, Introduzione comunque fosse intesa; in altri termini non si era ancora riusciti a determinare scientificamente quale fosse la sede o l’organo della mente; in particolare alla corteccia cerebrale era attribuita una funzione solamente nutritiva. Questo sintetico schema del modo di intendere il funzionamento del sistema nervoso evidenzia quale molteplicità di problemi insoluti si presentassero ai primi dell’Ottocento: dalla natura dell’impulso nervoso alle vie e centri sensitivi e motori, dal meccanismo dell’azione riflessa fino all’identificazione della “sede” del cervello collegata all’attività psichica. Il compito che si impone alla comunità scientifica del XIX secolo sarà quello di affrontare tali problemi trasferendoli sul piano della ricerca sperimentale; così accade per quanto riguarda la fisiologia degli organi di senso e di moto, dei nervi spinali e cranici, del midollo spinale e allungato, del cervelletto e delle altre strutture dell’encefalo. Lo sviluppo delle conoscenze istologiche, poi, con i nuovi più potenti e perfezionati microscopi, contribuirà alle indagini portando alla conoscenza della struttura della cellula nervosa. Lo studio delle vie nervose sensitive e motorie, che prende l’avvio con la scoperta della legge di Bell–Magendie, consente di distinguere la differente origine delle fibre motorie e sensitive nel midollo spinale e si sviluppa con la ricerca dei percorsi di tali fibre fino all’encefalo e dei loro centri di arrivo e di partenza, identificati nella corteccia cerebrale solo dopo il . È infatti proprio in quest’anno che Fritsch e Hitzig riescono a dimostrare l’esistenza di centri motori corticali, aprendo con ciò la strada alla grande stagione delle localizzazioni cerebrali. Nella prima metà dell’ Ottocento, l’opera di Gall e di Flourens aveva portato l’attenzione sulla corteccia e sui suoi legami con le attività psichiche. Anche se per diversi aspetti le loro teorie si riveleranno “errate”, esse tuttavia permetteranno di fare un passo avanti sulle localizzazioni corticali Nel Paul Broca scopre il centro del linguaggio articolato, e Huglings Jackson negli anni ’ e ’ elabora un modello gerarchico di sistema nervoso, la cui parte più importante è costituita dalla corteccia quale sede dei più elevati centri sensitivi e motori. Il neurasse risulta allora costituito da un’unica struttura, priva di fratture essenziali, non suddivisibile in una parte preposta alle funzioni psichiche “superiori” (la corteccia cerebrale) e un’altra (il resto del Introduzione neurasse) a quelle “inferiori”, quali la sensazione, il movimento, la vita vegetativa. Il sistema nervoso si presenta nella sua totalità, per Jackson, come un sistema senso–motorio preposto a coordinare sensazioni e movimenti attraverso centri nervosi diversi sempre più complessi, strutturati anatomicamente e funzionalmente in tre modi o gradi gerarchici fino ad arrivare ai centri più elevati nella corteccia. Le varie manifestazioni patologiche nervose e mentali, in questo modello, rappresenterebbero una “degenerazione”, un’involuzione dei centri senso–motori, a partire da quelli superiori fino a quelli inferiori. Questo rapido excursus ci porta agli anni Settanta, ai lavori di Fritsch e Hitzig, seguiti da quelli di Ferrier e di altri, e conseguentemente agli esperimenti di Tamburini, il quale si inscrive in questo solco con i suoi lavori sull’afasia già nel . La ricerca sviluppata in Italia, con particolare attenzione al contributo di Tamburini e Luciani, sarà indicata dal Soury come la “scuola italiana” che farà udire la propria voce nella comunità scientifica internazionale. Rivisitando molto brevemente la storia delle localizzazioni e in particolare il modo in cui questo problema era stato posto negli anni Settanta, possiamo cogliere la metodologia, nonché gli aspetti originali e quelli problematici, del lavoro dei nostri autori. Il valore delle loro ricerche risalta nei risultati scientifici, non solo per il loro apporto conoscitivo, ma anche per i riflessi che proiettano nel campo della patologia, dove è particolarmente impegnato Tamburini. Gli studi di neurofisiologia sono condotti allo scopo di determinare la «differenziazione funzionale delle diverse zone del cervello» mediante esperimenti condotti sugli animali; i disturbi che seguono agli interventi sulla corteccia con scariche elettriche, punture, ablazioni e che si manifestano come fenomeni di deficienza motoria o sensoria, sono osservati e descritti “dall’esterno”; ma da queste osservazioni è necessario risalire, spesso mediante congetture, al ruolo della corteccia cerebrale, dei centri corticali riconosciuti responsabili dei fenomeni di senso e di moto, e soprattutto all’aspetto “soggettivo”, psichico, dei fenomeni osservati. L’esperimento si fonda sull’ipotesi — come tra gli altri sostiene Ferrier — che l’aspetto fisiologico e quello psicologico siano due lati differenti di uno stesso substrato . cfr. L. L, Criteri logici da seguire nelle indagini sperimentali sulle localizzazioni cerebrali, Milano–Torino . Introduzione anatomico . Per una più attenta e puntuale ricostruzione storica ci siamo preoccupati di rintracciare i protocolli originali inerenti agli esperimenti condotti dai nostri autori; purtroppo, fino al momento attuale, non siamo riusciti a rinvenire traccia dei loro appunti né a Reggio né a Modena. I vari cambiamenti avvenuti nel manicomio di Reggio e il trasferimento dell’Istituto psichiatrico a Modena (quando Tamburini lascia Reggio) hanno avuto come conseguenza che diverso materiale sia andato perduto. Tamburini imposta la sua concezione della psichiatria alla luce di uno stretto collegamento tra la mente e il suo substratum ed è indotto a ricercare le cause delle manifestazioni patologiche nel solco della tradizione organicista, secondo l’impostazione di quanti vedono nelle alterazioni del cervello la genesi della “malattia mentale”. Tale impostazione tuttavia nascondeva un aspetto che non sfuggiva a Tamburini: il fatto che un cervello alterato possa dar luogo, a livello funzionale, ad aberrazioni mentali di qualunque natura o a disordini della motilità e della sensibilità, non consente di instaurare un rapporto universale e necessario di “causalità” tra alterazione cerebrale e follia, in quanto quest’ultima può presentarsi anche in soggetti esenti da lesioni anatomiche. La follia in questo caso rappresenterebbe l’elemento “soggettivo” che sfugge all’analisi “oggettiva”; il progetto di fisiologi o psichiatri che ricercavano elementi utili per dimostrare la corrispondenza biunivoca tra sfera soggettiva e lesioni anatomiche rivelava i limiti del riduzionismo organicista e positivista ottocentesco. La questione non è di poco conto quando dagli animali inferiori si passa a quelli superiori fino all’uomo; in quest’ultimo caso i metodi non sono indifferenti per un’interpretazione corretta dei fenomeni che apparentemente si presentano simili nel loro momento “oggettivo” mentre differiscono in quello “soggettivo”. Nei centri corticali in cui il fenomeno fisico si “trasforma” in psichico avviene un passaggio che a livello fisiologico è solo descritto ma non spiegato: il positivismo in versione meccanicista descrive e postula una trasformazione che a livello epistemologico è carica di problematicità, quella che Emil du Bois–Reymond sintetizza chiara. Cfr. D. F, The localisation of cerebral diseases: being the Gulstonian lectures of the Royal College of physician for , London (trad. it. La localizzazione delle malattie cerebrali, Napoli , pp. –). Introduzione mente nelle classiche conferenze Sui confini della conoscenza umana, tenuta a Lipsia nel , e su I sette enigmi del mondo, tenuta a Berlino nel . Si invocano metodi diversi per studiare la specificità del mentale; la clinica si affianca all’anatomia–patologica, ma né l’una né l’altra riescono a spiegare lo “psichico” in quanto tale, derivandolo dal cervello. L’introduzione del concetto di “lesione funzionale” è un altro passo nella direzione di postulare qualcosa di altro che riesca a dar conto della non derivabilità del mentale dall’organico; tuttavia sarà il “neurologo” Freud, di ritorno dalla Salpêtrière, ad operare la rottura che riporta lo psichico ad un certo livello di autonomia dal neurofisiologico. Questo lavoro di indagine può essere paragonato all’esplorazione di un arcipelago in cui ogni isola rimanda all’altra in un gioco sempre aperto; approdati su una lo sguardo si protende verso le altre e sollecita una nuova navigazione che lasciando alle spalle la sicurezza della terraferma permette di avvicinarsi ad un’altra isola, separata e nello stesso tempo collegata, dalle acque del mare. L’occhio può fissarsi su ciò che emerge ma può rivolgersi, anche costretto, verso ciò che è sommerso e che può ingenerare paura. La metafora può accompagnare ciascuno di noi nell’accostarci all’altro sia quando riteniamo che presenti i caratteri della normalità sia i segni dell’anormalità; nell’uno e nell’altro caso l’approdo è possibile al termine di una navigazione in–finita all’interno dell’arcipelago. La storia della follia attraversa l’arcipelago dell’umanità separando ed unendo, risolvendo problemi e ponendone dei nuovi, segnando ed abbattendo i confini tra normale e patologico ma soprattutto lanciando la sfida affinché intraprendiamo la navigazione che porti ad ascoltare e comprendere. Parte dell’esplorazione di questa complessità che presenta aspetti sempre nuovi è stata svolta in un precedente lavoro che costituisce la prima parte di un percorso in cui affiorano isole, mari e abissi sempre nuovi e sebbene consegnati alla storia, riemergono nell’attualità di un presente che naviga in questo arcipelago. . Über die Grenzen des Naturerkennens — Die sieben Welträthsel. Zwei Vorträge von Emil du Bois–Reymond, Leipzig, (trad. it. di V. C, I confini della conoscenza della natura, Milano ). . V. B, Il dedalo della mente. Augusto Tamburini tra neurofisiologia e psichiatria, Edizioni Kappa, Roma .