Dentro il cervello, in cerca dell'anima di Andrea Sani Il problema della mente è una questione filosofica fra le più controverse. Gli studiosi impegnati in questo dibattito si servono spesso di esperimenti mentali fantasiosi: Hilary Putnam ha parlato di cervelli in una vasca, Thomas Nagel di pipistrelli, David Chalmers di zombie. Ma già nel 1714 il filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), trattando dello stesso problema, ipotizzava un singolare esperimento, il cosidetto mulino di Leibniz, che potrebbe essere esemplificato da un celebre film di fantascienza: Viaggio allucinante (1966), di Richard Fleischer, tratto da una storia di Jay Lewis Bixby e Otto Klement (da cui Isaac Asimov ha poi ricavato un romanzo). Il dualismo Per comprendere in che modo questa pellicola esemplifichi l’ipotesi di Leibniz, è necessario ricordare i termini del mind-body problem. Ad inaugurarlo è Platone, che elabora una concezione dualistica dell’uomo, diviso in anima e corpo. L’anima, inizialmente considerata dai filosofi presocratici un’entità materiale, è invece concepita da Platone come un’essenza puramente spirituale, che durante la vita risulta “prigioniera” del corpo. Dopo Platone, significativo è il “dualismo interazionista” che si rifà a Cartesio, il quale sostiene che la mente, o res cogitans, e il corpo, o res extensa, sono due sostanze fra loro eterogenee: l’una è attività inestesa e libera, l’altra è estensione inerte, priva di libertà e retta da leggi deterministiche. Secondo questa soluzione, i fenomeni corporei (di tipo cerebrale) e quelli mentali (come il pensare) sono ontologicamente distinti, cioè realtà differenti dal punto di vista metafisico, anche se, però, possono interagire fra loro, per esempio nelle sensazioni o negli atti volontari. Quando abbiamo una sensazione, è il corpo che agisce sull’anima. Invece, quando compiamo un atto volontario, si verifica un’azione inversa: l’anima prende una decisione (per esempio alzare un braccio) e il corpo la esegue. Per i dualisti interazionisti l’anima si distingue dal cervello: quest’ultimo è solo il tramite grazie al quale la mente comunica con il corpo e con il mondo esterno. Questa soluzione può giustificare l’esistenza dell’anima anche dopo la morte, perché la svincola dalla dipendenza corporea. Nel Novecento, il dualismo interazionista è stato sostenuto dal premio Nobel per la fisiologia e medicina John Carew Eccles, e dal filosofo Karl Popper nel loro libro L’Io e il Suo Cervello, del 1977. Il materialismo Un’altra soluzione possibile è avanzata dai materialisti, secondo cui gli stati mentali sono identici a quelli cerebrali. Il pensare si identifica con la particolare attività che si svolge fra i neuroni del cervello. Una riflessione sul tempo atmosferico, per esempio, è semplicemente un particolare stato del cervello, così come un fulmine è solo una scarica elettrica. Portata avanti da Ullin Place e Jack Smart, questa concezione si chiama “teoria dell’identità” perché sostiene che la mente e il corpo sono identici, la stessa cosa espressa con due parole diverse. Così come i due termini “acqua” e “H20” si riferiscono alla stessa sostanza. Il dualismo e il materialismo non costituiscono le uniche teorie della filosofia della mente. Sono state proposte anche altre ipotesi al riguardo, come il funzionalismo di Daniel C. Dennett e Hilary Putnam, e il connessionismo di David E. Rumelhart e James L. McClelland. I funzionalisti paragonano gli stati mentali al software (cioè al programma) di un computer, mentre il nostro cervello all’hardware, e sostengono la tesi fantascientifica che anche un calcolatore può “pensare”. I connessionisti precisano che, in realtà, i processi cognitivi potrebbero essere realizzati solo da una macchina la cui struttura fosse analoga al nostro cervello, in cui esiste un elevato numero di connessioni tra le unità neuronali, e in cui l’elaborazione dei dati avviene in parallelo, e non in sequenza (un passo alla volta) come accade invece nei normali computer. Va detto che ciascuna di queste soluzioni presenta notevoli difficoltà teoriche, e presta il fianco a numerose critiche. Tant’è che Colin McGinn, ritiene che gli esseri umani non abbiano le capacità cognitive per risolvere un problema tanto complicato. Dualisti contro materialisti Lo scontro più acceso è ovviamente fra dualisti e materialisti. Questi osservano che se la mente e la materia fossero realtà radicalmente diverse come sostengono i dualisti, risulterebbe difficile capire in che modo possano interagire. Come può un pensiero immateriale determinare un movimento corporeo negli atti volontari? Ma anche i dualisti propongono dei buoni argomenti. Quello principale consiste nell’osservare che gli stati cerebrali e quelli mentali non godono esattamente delle stesse proprietà. Per esempio, gli stati mentali hanno un carattere “intenzionale” che quelli cerebrali non possiedono. Spieghiamoci meglio. Una caratteristica degli stati mentali è il loro “contenuto”, cioè il fatto che essi si riferiscono agli oggetti del mondo, dei quali “rappresentano” questo o quel modo d'essere. E’ infatti una caratteristica distintiva degli stati mentali quella di vertere su qualcosa, di essere diretti verso un oggetto. Se penso: “Firenze è la mia città preferita”, il mio pensiero è in relazione con un luogo reale, il capoluogo toscano. Quando crediamo, desideriamo o speriamo, c'è qualcosa che è l’oggetto di questi atti mentali. Tale carattere degli stati mentali è detto, appunto, “intenzionalità”. E’ un fenomeno imbarazzante per i materialisti, perché, guardando nel cervello, non è possibile vedere alcuna proprietà materiale che “stia per” qualcos’altro. I processi cerebrali non sono in relazione con nulla al di fuori di se stessi, al contrario dei pensieri. Gli stati mentali manifestano anche ulteriori aspetti che difettano agli stati cerebrali. Per esempio, gli stati mentali coscienti dei colori, dei sapori, del dolore, della gioia, ecc., sono qualitativi (detti, con un termine latino, qualia) e hanno la proprietà di essere “sentiti” in qualche modo dal soggetto che li prova, di fare un certo “effetto”. Quelli fisici del cervello, invece, sono fenomeni quantitativi (detti quanta), in cui non si rintracciano qualità. Di conseguenza, dato che gli stati mentali e quelli cerebrali possiedono proprietà diverse, non sono identici come pensano i materialisti. Il mulino di Leibniz Con qualche secolo d’anticipo, Leibniz aveva formulato analoghe obiezioni alla teoria materialista dell’identità nell’articolo 17 della sua Monadologia (1714). Ecco il suo esperimento mentale: “Bisogna ammettere che la percezione e quello che ne dipende sono inesplicabili mediante ragioni meccaniche, cioè mediante figure e movimenti. Se immaginiamo una macchina costruita in modo che pensi, senta, percepisca, si potrà concepire che venga ingrandita conservando le medesime proporzioni, in modo che vi si possa entrare come in un mulino. Ciò fatto, nel visitarla internamente non si troverà altro che pezzi, i quali si spingono scambievolmente e mai alcuna cosa che possa spiegare una percezione. Cosicché questa bisogna cercarla nella sostanza semplice e non nel composto, o nella macchina” E’ impossibile, argomenta Leibniz, spiegare la percezione cosciente in modo meccanico, cioè tramite la disposizione spaziale, la configurazione geometrica e gli spostamenti delle piccole parti che compongono il cervello. Supponiamo che questo sia una macchina, immaginiamo di entrarvi dentro e di ispezionarla come fosse un mulino. Al suo interno troveremmo ruote, leve e ingranaggi, ma non percezioni di qualità, ad esempio colori, e tanto meno pensieri. Dunque le esperienze soggettive coscienti risultano non il frutto della materia cerebrale, ma di una “sostanza semplice” e spirituale (o monade), e cioè sono prodotte dalla nostra anima. Anche Colin McGinn, che pure non accetta le tesi spiritualiste di Leibniz, riconosce che “la proprietà della coscienza stessa (o di specifici stati consci) non è una proprietà osservabile o percepibile del cervello. Potete risiedere in un cervello conscio vivente, nel vostro o in quello di qualcun altro, e osservare una gran varietà di proprietà (forme, colori, strutture) ma non vedrete quello che il soggetto sta sperimentando, cioè lo stesso stato conscio. Gli stati consci non sono semplicemente, in quanto stati consci, potenziali oggetti di percezione”. Viaggio allucinante Come ha fatto notare il filosofo della mente Marco Salucci, Viaggio allucinante è una specie di concetto-immagine dell’esperimento di Leibniz. Infatti, in questa pellicola di fantascienza si descrive un viaggio all’interno del cervello umano. Tuttavia, anziché supporre di ingrandire il cervello per potervi entrare, come immagina Leibniz, nel film si ipotizza di rimpicciolire i visitatori. La trama è nota a tutti gli appassionati di science fiction. Uno scienziato cecoslovacco, Jan Benes, collaboratore degli USA durante la Guerra Fredda contro l’URSS, subisce un attentato. Per salvargli la vita, occorre eseguire una delicatissima operazione al cervello rimuovendo un ematoma. A tale scopo, un’équipe medica a bordo di un sottomarino (il Proteo) viene prodigiosamente miniaturizzata fino alle dimensioni di un microbo, e iniettata nel sistema sanguigno dello scienziato attraverso un’arteria. L’impresa è ardua perché dopo un’ora l’effetto di miniaturizzazione comincia a svanire, e il sottomarino può essere attaccato dagli anticorpi. Del gruppo degli esperti miniaturizzati fanno parte l'agente Grant, il capitano Bill Owens, il dottor Michaels, il chirurgo professor Peter Duval e la sua assistente, Cora Peterson. Di fronte alla complessità dell’organismo umano, visto dal suo interno, Duval ha anche modo di esprimere una considerazione filosofica sull’uomo: “I filosofi del medioevo avevano ragione. L’uomo è davvero il centro dell’universo, ed è librato per l’eternità fra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, e né l’uno né l’altro hanno limiti”. Certo l’attenzione del regista non è rivolta ai problemi filosofici, ma alla spettacolarizzazione di un’avventura straordinaria. Il viaggio fantascientifico consente, infatti, di scoprire l’architettura del cuore, il polmone incrostato di fumo e di polvere, le luminescenze psichedeliche dei corpuscoli contenuti nel sangue, e, infine, la ragnatela del cervello, percorsa da un fitto scintillio. Nonostante che nell’équipe sia presente un sabotatore, i micro-viaggiatori riescono ad arrivare alla massa cerebrale, eliminano l’ematoma in tempo utile con un laser e tornano al mondo esterno attraverso una lacrima. Durante l’allucinante viaggio nel cervello, il dottor Michaels (la spia sovietica, e quindi materialista!) chiede ironicamente a Duval quando i micronauti incontreranno l’anima. Il professore risponde che l’anima è infinita e proviene da Dio, intendendo che la mente umana non è un’entità materiale visibile come il cervello. Dunque, anche in questo film di fantascienza si sostiene la tesi spiritualista e leibniziana, secondo la quale gli stati mentali non sono stati fisici, e quindi sfuggono all’osservazione del mondo materiale.