Giovanni De Luca Statistica dei mercati monetari e finanziari A.A. 2007/2008 Σk ρ2 i=1 k 10 8 6 0.15 0.1 0.05 4 0 2 0 0 200 400 600 −0.05 Order book 0 10 20 30 SP500 vs AEX 0.5 −15 0.4 −20 0.3 −25 0.2 0.1 −30 −4 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 0 5 10 Università di Napoli Parthenope e-mail: [email protected] webpage: docenti.dsmre.uniparthenope.it/deluca −2 0 2 4 2 Introduzione Il corso di Statistica dei mercati monetari e finanziari si propone l’obiettivo di descrivere semplici, ma pur sempre efficaci, metodologie statistiche finalizzate all’analisi delle più rilevanti grandezze in ambito finanziario, in primis i rendimenti. È opinione non sporadica quella di poter divenire in grado di prevedere i movimenti dei prezzi delle attività finanziarie dopo aver opportunamente studiato l’architettura dei mercati finanziari e acquisito gli strumenti matematicostatistici idonei a rappresentarne il funzionamento. In realtà, lo studio dei mercati finanziari (in generale, e dunque anche utilizzando l’approccio statistico) ha il primario obiettivo di meglio conoscere una realtà (la struttura dei mercati finanziari, i comportamenti degli operatori, le strategie più diffuse) senza poter trasmettere competenze tali da essere in grado di anticipare il futuro. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Capitolo 1 Definizione di rendimento finanziario L’analisi statistica dei mercati finanziari si concretizza nell’analisi delle piú rilevanti variabili nell’ambito dei mercati finanziari. Un ruolo cruciale è sicuramente attribuito ai prezzi delle attività finanziarie. Varie sono le attività finanziarie a disposizione per le contrattazioni. I titoli azionari rappresentano l’attività finanziaria più diffusamente scambiata e per questo motivo la trattazione nel seguito farà costante riferimento a questa tipologia di attività finanziaria. Giova comunque sapere che esistono altre forme di attività finanziarie, talune anche particolarmente complesse, come futures, options e cosı̀ via. I titoli azionari sono scambiati in un apposito mercato, il mercato azionario, normalmente gestito da una società, in Italia la Borsa Italiana S.p.A. La definizione di prezzo di un titolo azionario non è univoca. Nell’ambito di una giornata di contrattazioni, si ha • il prezzo di apertura (o prezzo Open); • il prezzo di chiusura (o prezzo Close); • il prezzo più elevato (o prezzo High); Statistica MMF 2007/08 G. De Luca • il prezzo più basso (o prezzo Low); • il prezzo ufficiale (media dei prezzi di tutte le transazioni effettuate in una giornata ponderati per le quantità scambiate); • prezzo di riferimento (media ponderata dei prezzi dell’ultimo 10% delle transazioni effettuate). Tipicamente si fa riferimento al prezzo di chiusura oppure al prezzo di riferimento. Ma il maggiore interesse è focalizzato sull’analisi dei rendimenti, che dei prezzi sono trasformazioni, in quanto questi forniscono una misura della variazione relativa dei prezzi. Ogni investitore è infatti interessato ai guadagni o alle perdite in valore relativo (es. 1% oppure 2%) e non in valore assoluto. 3 4 CAPITOLO 1. DEFINIZIONE DI RENDIMENTO FINANZIARIO Il rendimento di un titolo finanziario può essere definito in diversi modi. Avendo indicato il prezzo al tempo t di uno specifico titolo con pt , e il prezzo al tempo t − j dello stesso titolo con pt−j , il rendimento nell’intervallo temporale (t − j, t) è definito come pt − pt−j r(t−j,t) = , pt−j ovvero come variazione relativa dei prezzi. Un rendimento positivo implica pt > pt−j , ovvero un aumento del prezzo nel periodo considerato. Un rendimento negativo implica pt < pt−j , ovvero un decremento del prezzo nel periodo considerato. Se j = 1, allora il rendimento è calcolato rispetto al tempo precedente, r(t−1,t) = pt − pt−1 . pt−1 Si pensi ai prezzi di un titolo rilevati giornalmente. Il tempo t − 1 indica un giorno (es. 14 marzo), il tempo t indica il giorno successivo di apertura della Borsa (es. 15 marzo). In questo caso il rendimento rt è dunque un rendimento giornaliero. Nel corso delle lezioni si farà riferimento ai rendimenti giornalieri quando non diversamente specificato. Qualora si tenga conto anche dei dividendi riscossi tra il tempo t − j e il tempo t (indicati con dt ), il rendimento rt viene definito come r(t−j,t) = pt + dt − pt−j . pt−j Infine si parla di rendimenti logaritmici (log-returns nella terminologia anglosassone) quando il rendimento viene definito come logaritmo naturale del rapporto tra il prezzo al tempo t e il prezzo al tempo t − j, ovvero r(t−j,t) = ln pt , pt−j che, nel caso di rendimenti calcolati rispetto al periodo precedente (j = 1), diviene pt r(t−1,t) = ln . pt−1 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca L’ipotesi di una legge di capitalizzazione composta continua è alla base della nozione di log-returns. Sulla base di questa legge, ipotizzando un tasso d’interesse annuale i pari a 0.05 (5%), 100 euro producono dopo 1 anno (un montante di) 100 exp(0.05) = 105.27. Se indico con pt−1 la somma in euro investita al generico tempo t − 1 e con pt la somma finale al tempo t, e i è il tasso d’interesse (o rendimento) del periodo che intercorre tra t − 1 e t, allora pt−1 exp (i) = pt . Ricavando i dalla suddetta espressione, si ottiene i = ln pt . pt−1 5 Per i rendimenti logaritmici vale un’utile proprietà. Il rendimento del genept rico periodo (t − j, t), ln pt−j , può essere espresso come somma dei rendimenti intermedi. Infatti ln pt pt−j = = pt pt−1 pt−j+1 ... pt−1 pt−2 pt−j pt pt−1 pt−j+1 ln + ln + . . . + ln . pt−1 pt−2 pt−j ln Ad esempio, il rendimento settimanale di un titolo può essere calcolato come somma dei rendimenti giornalieri della settimana. È possibile dimostrare che ln pt pt − pt−j ≈ pt−j pt−j pt attraverso un’approssimazione di ln pt−j utilizzando la formula di Taylor.1 pt assume solitamente un valore vicino all’unità, si apPoiché il rapporto pt−j prossima la suddetta funzione con un polinomio di grado 1 (ovvero una funzione lineare) intorno al valore 1. Risulta ln pt pt−j ≈ ln 1 + ≈ pt −1 pt−j pt − pt−j . pt−j L’approssimazione è tanto migliore quanto più vicino all’unità è il rapporto pt−j . pt Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 1 Una funzione f (x) può essere approssimata intorno ad un punto x0 secondo l’espressione f (x) ≈ f (x0 ) + k X i=1 di f (x) dxi (x − x0 )i x0 i! . 6 CAPITOLO 1. DEFINIZIONE DI RENDIMENTO FINANZIARIO Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Capitolo 2 L’analisi descrittiva dei rendimenti finanziari La ricerca delle caratteristiche peculiari dei rendimenti finanziari è un tema che è stato affrontato da una moltitudine di studiosi. Con l’ausilio dei più diffusi indici statistici sintetici, è possibile descrivere le principali caratteristiche di un insieme di rendimenti osservato in uno specifico periodo di tempo. Come già detto, nel corso delle lezioni si utilizzeranno rendimenti giornalieri, salvo differente specificazione. La scelta è motivata dalla semplice considerazione che l’analisi dei rendimenti finanziari tipicamente viene svolta su base giornaliera. Sebbene un diverso intervallo temporale per il calcolo dei rendimenti (ad esempio la settimana o il mese) non altera del tutto certe caratteristiche, tuttavia, in linea di principio, le conclusioni a cui si giunge con l’analisi dei rendimenti giornalieri non possono essere automaticamente estese a rendimenti calcolati con riferimento a un diverso intervallo temporale (come rendimenti settimanali o mensili). Si dispone di una serie (un campione) di rendimenti, ad esempio dal 03/01/2002 al 30/12/2003, ovvero nell’arco di due anni, dei quali si intendono studiare le principali caratteristiche. Gli indici statistici più frequentemente calcolati sono: la media, lo scarto quadratico medio (o deviazione standard), gli indici di asimmetria e curtosi e i coefficienti di autocorrelazione dei rendimenti e dei rendimenti al quadrato. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 2.1 Il valore medio Utilizzando una delle definizione precedentemente date, si definisca il rendimento di un titolo finanziario nell’intervallo di tempo (t − 1, t) come rt (che per brevità d’ora in poi sostituisce la notazione r(t−1,t) ) e lo si osservi dal tempo 1 al tempo T (t = 1, 2, . . . , T ). Il rendimento medio è allora dato da T 1X rt . r̄ = T t=1 7 8CAPITOLO 2. L’ANALISI DESCRITTIVA DEI RENDIMENTI FINANZIARI 0.06 0.04 0.02 0 −0.02 −0.04 −0.06 −0.08 0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500 Figura 2.1: Andamento del rendimento Eni, rendimento medio calcolato per l’intero periodo (linea tratt.) e rendimento medio calcolato negli otto trimestri. Da un punto di vista empirico i valori di r̄ sono sempre molto prossimi alla zero.1 Si analizzano i rendimenti giornalieri dei titoli Eni e Generali nel periodo dal 03/01/2002 al 30/12/2003. Il numero di rendimenti è pari a 501. Il valore medio è risultato pari a 0.000329 (0.0329% in termini percentuali) per il primo e -0.000543 (-0.0543% in termini percentuali) per il secondo. Entrambi, dunque, sono molto prossimi allo zero. Il rendimento medio tende ad essere abbastanza costante nel tempo. Se si divide il periodo di osservazione in subperiodi e si confronta il rendimento medio dell’intero periodo con i rendimenti medi dei subperiodi, si rilevano differenze trascurabili. Per i rendimenti giornalieri dei titoli Eni e Generali si divide il periodo considerato (due anni) in otto subperiodi di uguale ampiezza (ogni subperiodo equivale ad un trimestre). Nelle figure 2.1 e 2.2 all’andamento del rendimento del titolo sono sovrapposti il valore medio complessivo (linea tratteggiata) e gli otto valori medi dei subperiodi. Le differenze sono effettivamente trascurabili. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 2.2 La deviazione standard In statistica la media rappresenta un valore di sintesi che va opportunamente integrato con un indicatore della variabilità del fenomeno in esame. Uno stesso 1 Si precisa che in presenza di rendimenti calcolati come variazioni relative, dovrebbe utilizzarsi la media geometrica. Tuttavia le differenze ottenute nei risultati sono trascurabili. 9 2.2. LA DEVIAZIONE STANDARD 0.08 0.06 0.04 0.02 0 −0.02 −0.04 −0.06 −0.08 0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500 Figura 2.2: Andamento del rendimento Generali, rendimento medio calcolato per l’intero periodo (linea tratt.) e rendimento medio calcolato negli otto trimestri. valore medio può infatti derivare da popolazioni con gradi di variabilità anche molto eterogenei. Tra la moltitudine di indici di variabilità che la letteratura statistica propone, la deviazione standard (o scarto quadratico medio) rappresenta l’indicatore a cui si farà maggiormente riferimento. La deviazione standard è definita come media quadratica degli scarti di rt dalla media aritmetica, ovvero v u T u 1 X s=t (rt − r̄)2 . T − 1 t=1 Maggiore è il valore assunto da s, maggiore è la dispersione dei rendimenti, ovvero minore è la concentrazione dei rendimenti intorno al valore medio r̄. In altre parole, maggiore è il valore di s, maggiore è la volatilità dei rendimenti. E poiché una elevata volatilità implica che i rendimenti possano assumere valori molto più bassi della media, il concetto di volatilità equivale a quello di rischio. Quindi, maggiore è il valore assunto da s, maggiore è il rischio che si affronta detenendo quel titolo. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Al fine di esprimere un giudizio sulla volatilità (e quindi sul rischio) dei titoli Eni e Generali nel periodo indicato, è stata calcolata la deviazione standard. Si è ottenuto un valore di 0.0177 per il titolo Eni e 0.0216 per il titolo Generali. Il secondo titolo ha dunque presentato più ampie oscillazioni intorno al proprio valore medio. Una caratteristica rilevante della volatilità dei titoli finanziari è la non costanza del tempo. In altre parole, è frequente osservare, per uno specifico titolo, peri- 10CAPITOLO 2. L’ANALISI DESCRITTIVA DEI RENDIMENTI FINANZIARI 0.03 0.02 0.01 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Figura 2.3: La deviazione standard calcolata negli otto trimestri (barre verticali) e la deviazione standard calcolata per l’intero periodo (linea dash-dot) per il titolo Eni. odi caratterizzati da ampie oscillazioni (e quindi maggiore variabilità e maggiore rischio) e periodi caratterizzti da oscillazioni di lieve entità (minore variabilità e minore rischio). Per verificare se questa caratteristica appartiene anche alle serie che si stanno esaminando, si suddivide il periodo di osservazione ancora in otto trimestri. Si calcolano quindi per ciascun titolo otto deviazioni standard. Come si può vedere nelle figure 2.3 e 2.4, la deviazione standard cambia nel tempo. Per entrambi i titoli assume valori più elevati negli ultimi due trimestri del 2002 e nel primo trimestre dell’anno successivo, mentre è chiaramente al di sotto negli ultimi due trimestri del 2003. 2.3 L’asimmetria Statistica MMF 2007/08 G. De Luca In generale, la distribuzione di una variabile è simmetrica intorno alla propria media µ se valori equidistanti da µ presentano la stessa frequenza. Se f è la funzione di densità, allora si ha simmetria se f (µ − k) = f (µ + k), ovvero se la funzione di densità della grandezza (µ − k) è uguale a quella di (µ + k). Se f (µ − k) 6= f (µ + k), allora si parla di asimmetria (skewness nella terminologia anglosassone). Tra gli indicatori dell’eventuale asimmetria di una distribuzione di rendi- 11 2.3. L’ASIMMETRIA 0.035 0.03 0.025 0.02 0.015 0.01 0.005 0 1 2 3 4 5 6 7 8 Figura 2.4: La deviazione standard calcolata negli otto trimestri (barre verticali) e la deviazione standard calcolata per l’intero periodo (linea dash-dot) per il titolo Generali. menti, il piú rilevante è dato dall’indice sk = m̄3 s3 dove m̄3 è la stima del momento centrale di ordine 3.2 Se sk = 0 (e ciò si verifica se m̄3 = 0) la distribuzione è simmetrica, in caso contrario si parla di distribuzione asimmetrica. L’asimmetria può essere positiva oppure negativa. L’asimmetria è positiva se sk > 0, o anche se m̄3 > 0.3 La positività implica che la distribuzione dei valori del fenomeno (in questo caso i rendimenti) tende ad allungarsi verso la coda destra. Un esempio di distribuzione positivamente asimmetrica (o asimmetrica a destra) con media pari a zero è riportato in figura 2.5. Da questa si evince che la moda della distribuzione è minore della media. Inoltre, caratteristica di ogni distribuzione asimmetrica a destra è la differenza tra media e mediana (o valore centrale). La mediana è minore della media. Ciò implica che il numero di osservazioni con un valore inferiore alla media è maggiore del numero di osservazioni con un valore superiore (nelle distribuzioni simmetriche essi coincidono). L’asimmetria è negativa se sk < 0 (m̄3 < 0). In tal caso la distribuzione dei valori del fenomeno (in questo caso i rendimenti) tende ad allungarsi verso Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 2 Il generico momento centrale di ordine r è dato da m̄r = 1 T T X t=1 3 Infatti s3 non può mai essere negativo. (rt − r̄)r . 12CAPITOLO 2. L’ANALISI DESCRITTIVA DEI RENDIMENTI FINANZIARI 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 −2 −1 0 1 2 3 4 Figura 2.5: Esempio di distribuzione con asimmetria positiva e media nulla la coda sinistra. Un esempio di distribuzione negativamente asimmetrica (o asimmetrica a sinistra) è riportato in figura 2.6. In questo caso sia la moda che la mediana della distribuzione sono maggiori della media. Il numero di osservazioni con un valore superiore alla media è maggiore del numero di osservazioni con un valore inferiore. Tuttavia va specificato che l’indice sk è altamente sensibile a valori molto lontani dalla media. Nel caso che esista un rendimento molto basso (molto alto), questo può influenzare l’indice di asimmetria sk rendendolo negativo (positivo) indipendentemente dalla forma della distribuzione. Le indagini empiriche tendono a rilevare nei rendimenti finanziari l’assenza di asimmetria oppure un un lieve grado di asimmetria (in genere negativa). Una delle ipotesi finalizzate a spiegare l’esistenza di un certo grado di asimmetria negativa nella distribuzione dei rendimenti è rappresentata dalle differenti reazioni degli operatori finanziari alle informazioni. Reazioni più marcate si registrano in presenza di notizie non buone (con conseguente discesa dei prezzi e dei rendimenti), mentre reazioni più caute solitamente seguono notizie buone (i prezzi e i rendimenti aumentano ma non nella stessa misura delle riduzioni). La più nota teoria che spiega l’esistenza di una asimmetria negativa nella distribuzione dei rendimenti è basata sull’assunzione del cosiddetto volatility feedback, che può essere definito come il risultato dell’effetto delle notizie e della volatilità sui prezzi (e quindi sui rendimenti) di titoli finanziari. Se una notizia rilevante e non positiva arriva sul mercato, il prezzo di un’attività finanziaria tende a ridursi. Questa riduzione causa un aumento della volatilità (variabilità). Ma l’aumento della volatilità (aumento del rischio) implica una ulteriore riduzione del prezzo. Il primo effetto è dunque rafforzato dal secondo. Essi vanno nella stessa direzione. Al contrario, se una notizia rilevante e positiva Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 13 2.4. LA CURTOSI 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 −4 −3 −2 −1 0 1 2 Figura 2.6: Esempio di distribuzione con asimmetria negativa e media nulla arriva sul mercato il prezzo dell’attività tende ad aumentare. Tuttavia, il movimento causa un aumento della volatilità (variabilità) che causa una riduzione del prezzo. Questo secondo effetto è dunque di segno opposto al primo e ha l’effetto di mitigare l’effetto iniziale dei prezzi. La conseguenza di questo meccanismo è un certo grado di asimmetria negativa dei rendimenti finanziari, in quanto grandi rendimenti negativi sono più frequenti di larghi rendimenti positivi. Gli indici di asimmetria calcolati per i titoli Eni e Generali sono risultati pari, rispettivamente, a -0.31276 e 0.0128. Nel primo caso c’è una lieve asimmetria negativa, mentre nel secondo caso la distribuzione dei rendimenti è praticamente simmetrica Le figure 2.7 e 2.8 forniscono un riscontro grafico. Esse contengono gli istogrammi dei rendimenti dei due titoli. 2.4 La curtosi Statistica MMF 2007/08 G. De Luca L’indice di curtosi rappresenta un indicatore di forma della distribuzione dei dati. Piú in dettaglio l’indice di curtosi serve a misurare la distanza della distribuzione di cui si dispone da uno specifico modello teorico, il modello normale (o gaussiano). L’indice di curtosi abitualmente utilizzato per una distribuzione di rendimenti è dato da m̄4 k= . s4 Nel modello gaussiano k = 3. Valori dell’indice inferiori a 3 sono indicativi di una distribuzione platicurtica, ovvero con i valori centrali, quelli intorno alla media, e valori estremi, quelli lontani dalla media, meno frequenti rispetto 14CAPITOLO 2. L’ANALISI DESCRITTIVA DEI RENDIMENTI FINANZIARI 30 25 20 15 10 5 0 −0.08 −0.04 0 0.04 0.08 Figura 2.7: Istogramma dei rendimenti del titolo Eni. 25 20 15 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 10 5 0 −0.08 −0.06 −0.04 −0.02 0 0.02 0.04 0.06 Figura 2.8: Istogramma dei rendimenti del titolo Generali. 0.08 15 2.5. L’AUTOCORRELAZIONE DEI RENDIMENTI 0.5 0.45 0.4 0.35 0.3 0.25 0.2 0.15 0.1 0.05 0 −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 Figura 2.9: Confronto tra una distribuzione normale (linea puntata) e una distribuzione leptocurtica (linea continua) al modello normale. Valori dell’indice superiori a 3 sono indicativi di una distribuzione leptocurtica, ovvero con i valori centrali e valori estremi piú frequenti rispetto al modello normale. Un esempio di distribuzione leptocurtica (o ipernormale) è riportato in figura 2.9. L’evidenza empirica supporta in modo netto la leptocurtosi delle distribuzioni dei rendimenti. Lo stesso fenomeno è anche indicato con l’espressione fat tails largamente utilizzata per indicare, in particolare, la maggiore frequenza rispetto al modello gaussiano delle osservazioni lontane dalla media e ubicate, quindi, nelle code della distribuzione. Gli indici di curtosi dei titoli Eni e Generali, entrambi superiori a 3 (4.419 e 4.091), evidenziano la presenza del fenomeno della leptocurtosi. Nelle figure 2.10 e 2.11 la curva Gaussiana è sovrapposta agli istogrammi. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 2.5 L’autocorrelazione dei rendimenti L’eventuale legame tra il rendimento di un generico tempo t e il rendimento del tempo t−k può essere stimato attraverso il coefficiente di correlazione lineare ρ̂k = γ̂k , s2 PT d t , rt−k ) = 1 dove γ̂k = Cov(r t=k+1 (rt − r̄) (rt−k − r̄). T −k Poiché si tratta di una correlazione misurata tra lo stesso fenomeno osservato in tempi diversi, si parla di autocorrelazione. Ogni coefficiente di (auto)correlazione può assumere valori compresi tra -1 e 1, estremi inclusi. Valori 16CAPITOLO 2. L’ANALISI DESCRITTIVA DEI RENDIMENTI FINANZIARI 30 25 20 15 10 5 0 −0.08 −0.04 0 0.04 0.08 Figura 2.10: Istogramma dei rendimenti del titolo Eni con una curva Gaussiana. 25 20 15 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 10 5 0 −0.08 −0.06 −0.04 −0.02 0 0.02 0.04 0.06 0.08 Figura 2.11: Istogramma dei rendimenti del titolo Generali con una curva Gaussiana. 2.6. L’AUTOCORRELAZIONE DEI RENDIMENTI AL QUADRATO 17 Autocorrelation Plot 1 0.8 0.6 0.4 0.2 ρ k 0 −0.2 −0.4 −0.6 −0.8 −1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 k Figura 2.12: Autocorrelazione per il rendimento ENI fino al ritardo 10. prossimo all’estremo inferiore (superiore) indicano l’esistenza di una relazione di tipo lineare inversa (diretta), mentre valori prossimi allo zero sono indicativi dell’assenza di una relazione lineare. Le ricerche empiriche sui rendimenti evidenziano una correlazione prossima allo zero per ogni ritardo k considerato. Si riportano graficamente le autocorrelazioni fino al ritardo k = 10 per i titoli Eni e Generali (figure 2.12 e 2.13). Tutte le autocorrelazioni, siano esse positive o negative, sono molto vicine allo zero, evidenziando l’assenza di un significativo legame tra i rendimenti osservati in tempi diversi. 2.6 L’autocorrelazione dei rendimenti al quadrato Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Lo stesso coefficiente di correlazione lineare viene utilizzato per misurare il 2 legame che esiste tra rt2 e rt−k . L’analisi della correlazione tra i rendimenti al quadrato può essere vista come un’analisi della relazione tra l’entità dei rendimenti nel tempo, indipendentemente dal segno. Una correlazione positiva implica che rendimenti lontani dallo zero (ovvero lontani dalla media) tendono ad essere seguiti da rendimenti lontani dalla media, anche se di segno opposto. In genere, si rileva una correlazione positiva mediamente alta, comunque maggiore di quella tra i rendimenti analizzata nel paragrafo precedente. Tale relazione è stata enfatizzata per la prima volta da Mandelbrot nel 1963.4 Egli 4 ”...large changes tend to be followed by large changes - of either sign - and small changes tend to be followed by small changes” (Mandelbrot, 1963). 18CAPITOLO 2. L’ANALISI DESCRITTIVA DEI RENDIMENTI FINANZIARI Autocorrelation Plot 1 0.8 0.6 0.4 0.2 ρ k 0 −0.2 −0.4 −0.6 −0.8 −1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 k Figura 2.13: Autocorrelazione per il rendimento Generali fino al ritardo 10. diede a tale fenomeno la denominazione di volatility clustering e ancora oggi si utilizza questa espressione per indicare l’aggregazione temporale tra rendimenti lontani dallo zero e l’aggregazione temporale tra rendimenti prossimi allo zero. L’esistenza del fenomeno del volatility clustering implica l’alternarsi di periodi turbolenti, caratterizzati da rendimenti lontani dalla media, e periodi di calma, con rendimenti che non si discostano molto dalla media. I plot dei rendimenti dei titoli Eni e Generali (figure 2.1 e 2.2) esemplificano l’esistenza di periodi di calma e periodi turbolenti. Le figure 2.14 e 2.15 confermano l’esistenza di una correlazione tra i rendimenti al quadrato non trascurabile. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 2.6. L’AUTOCORRELAZIONE DEI RENDIMENTI AL QUADRATO 19 Autocorrelation Plot 1 0.8 0.6 0.4 0.2 ρ k 0 −0.2 −0.4 −0.6 −0.8 −1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 k Figura 2.14: Autocorrelazione per il rendimento ENI al quadrato fino al ritardo 10. Autocorrelation Plot 1 0.8 0.6 0.4 0.2 ρ k Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 0 −0.2 −0.4 −0.6 −0.8 −1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 k Figura 2.15: Autocorrelazione per il rendimento Generali al quadrato fino al ritardo 10. 20CAPITOLO 2. L’ANALISI DESCRITTIVA DEI RENDIMENTI FINANZIARI Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Capitolo 3 L’analisi inferenziale dei rendimenti finanziari Un’analisi descrittiva dei rendimenti di un certo periodo fornisce indicazioni concernenti solo quel periodo, quindi un’informazione temporalmente limitata. Se si è interessati a qualche conclusione piú estesa, è necessario passare ad un’ottica inferenziale. In questo caso, le conclusioni dedotte dal campione di osservazioni possono essere estese alla popolazione tramite oppportune procedure statistiche. Ad esempio, il rendimento medio del titolo Fiat in uno specifico periodo è un’indicazione del fatto che il valore atteso del titolo è effettivamente zero? Oppure, l’indice di asimmetria negativo dello stesso titolo nello stesso periodo supporta l’ipotesi di una distribuzione asimmetrica a sinistra? Al fine di perseguire questo tipo di analisi è necessario fare un’ipotesi sulla distribuzione della popolazione, ovvero definire la forma della popolazione. Si definisce R la variabile casuale che rappresenta la popolazione (dei rendimenti). La sua media è indicata con E(R) = µ e la sua varianza con Var(R) = σ 2 . Ciascuna unità da estrarre dalla popolazione per costituire un campione è allora una variabile casuale con la stessa forma e gli stessi parametri della popolazione di provenienza. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 3.1 Il valore medio Si consideri un campione di osservazioni costituito dai rendimenti di un titolo finanziario osservato dal tempo 1 al tempo T estratto da una popolazione di rendimenti che siano identicamente e indipendentemente distribuiti.1 Il rendimento al generico tempo t, Rt , è una variabile casuale con la stessa forma di 1 A questo stadio preme solo sottolineare la necessità delle ipotesi di indipendenza e identica distribuzione dei rendimenti. Nella realtà, prima di procedere all’implementazione del test descritto, è opportuno verificare la plausibilità di tali ipotesi. 21 22CAPITOLO 3. L’ANALISI INFERENZIALE DEI RENDIMENTI FINANZIARI R. Il rendimento osservato al tempo t, rt , è una realizzazione della variabile casuale Rt . Il rendimento medio campionario è dato da R̄ = T 1 X Rt . T t=1 Poiché R̄ è stato calcolato con riferimento ad un periodo limitato di tempo (in altre parole non si sono considerati tutti i rendimenti di tutti i tempi), R̄ è uno stimatore della media della variabile casuale R, ovvero è una stimatore di µ. Inoltre R̄ è una variabile causale perché somma di variabili casuali. Il rendimento medio osservato (su uno specifico campione) r̄ = T 1 X rt T t=1 è una stima di µ. Si noti che r̄ è un numero, ed è una realizzazione della variabile casuale R̄. Da un punto di vista empirico le stime di µ forniscono sempre valori molto prossimi alla zero. Tuttavia, al fine di trarre conclusioni sulla popolazione, è opportuno implementare un test statistico sul valore atteso della popolazione dei rendimenti. Le due ipotesi sono H0 : µ = 0 H1 : µ 6= 0 È noto che se R si distribuisce come una una variabile gaussiana con media µ e varianza σ 2 , allora R̄ è una variabile casuale normale, poiché combinazione linerare di variabili casuali normali, con valore medio E(R̄) = µ e varianza Var(R̄) = σ 2 /T (ciascuna variabile Rt è incorrelata con le altre). In simboli, σ2 . R̄ ∼ N µ, T Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Standardizzando R̄ sotto l’ipotesi nulla, si ottiene √ R̄ − 0 T ∼ N(0, 1). σ Ricordando che r̄ è una realizzazione della v.c. R̄ e stabilito un livello di significatività α, v’è evidenza contro l’ipotesi nulla se il valore r̄ è lontano dal valore 0, in modo tale che √ r̄ T > z α2 σ dove z α2 è il percentile della variabile normale standard Z, cioè α P Z > z α2 = . 2 23 3.1. IL VALORE MEDIO Tuttavia, essendo nel caso in cui i parametri della popolazione sono ignoti, è necessario sostituire il parametro σ con un quantità stimata dal campione di osservazioni. Si considera lo stimatore v u T u 1 X S=t (Rt − R̄)2 . T − 1 t=1 Standardizzando R̄ si ottiene ora √ R̄ − 0 T ∼ tT −1 , S ovvero una variabile casuale t di Student con parametro ν = T − 1, la cui realizzazione è √ r̄ − 0 , T s dove v u T u 1 X t s= (rt − r̄)2 . T − 1 t=1 A rigore ci si dovrebbe dunque riferire ai percentili di questa variabile casuale. Ma è noto che all’aumentare del parametro ν, i percentili della t sono ben approssimabili dai percentili della variabile casuale normale standard. In pratica, con ν > 120 non sussiste alcuna differenza apprezzabile, e i percentili della Z possono essere considerati con molta fiducia. Nelle analisi empiriche i dati considerati sono sovente parecchie centinaia, per cui l’approssimazione alla normale standard rappresenta la procedura piú frequentemente adottata. In conclusione, si ritiene esserci un’evidenza contro l’ipotesi nulla se il valore r̄ è lontano dal valore 0 in modo tale che √ r̄ (3.1) T > z α2 s La figura 3.1 riporta una curva Gaussiana standard in cui sono evidenziate la regione di accettazione e le due regioni di rifiuto nell’ipotesi in cui α = 0.05. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca L’ipotesi di media nulla per i rendimenti dei titoli Eni e Generali può essere ritenuta plausibile sulla base del campione osservato per il periodo dal 03/01/2002 al 30/12/2003? Per rispondere è necessario implementare la procedura descritta, ovvero verificare la (3.1), sotto l’ipotesi che i rendimenti siano identicamente e indipendentemente distribuiti come una variabile casuale normale. Per il titolo Eni, poiché r̄ = 0.000329, s = 0.0177 e T = 501, √ 501 0.000329 = 0.4160. 0.0177 Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una forte evidenza a favore dell’ipotesi di media nulla dei rendimenti Eni. 24CAPITOLO 3. L’ANALISI INFERENZIALE DEI RENDIMENTI FINANZIARI 0.4 0.35 0.95 0.3 0.25 0.2 Regione di accettazione 0.15 0.1 0.025 0.025 0.05 0 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 Figura 3.1: Regione di accettazione e regioni di rifiuto in una curva normale standard con α = 0.05. Per il titolo Generali, poiché r̄ = −0.000543, s = 0.0216 e T = 501, √ 501 −0.000543 = 0.5627. 0.0216 Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una forte evidenza a favore dell’ipotesi di media nulla dei rendimenti Generali. 3.2 La deviazione standard Ai fini della stima della deviazione standard si è già accennato ad una possibile stima, s, essendo un punto cruciale per il test di ipotesi sulla media di una popolazione. Non si è soliti svolgere test di ipotesi sulla deviazione standard. 3.3 L’asimmetria Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Con un campione di T elementi, come la stima dell’indice di asimmetria avviene attraverso la statistica b̄ c = µ3 , Sk σ b3 b̄3 indica lo stimatore del momento centrale di ordine 3.2 dove µ 2 Piú in dettaglio b̄ µ3 = 1 T T X t=1 (Rt − R̄)3 . 25 3.3. L’ASIMMETRIA La stima dell’indice di asimmetria è utilizzata per sottoporre a test l’ipotesi di simmetria dei rendimenti, H0 : Sk = 0 H1 : Sk 6= 0 c non è nota. Se la popolazione di La distribuzione della variabile casuale Sk origine fosse normale, allora vale il risultato asintotico Ne consegue che c → N(0, 6/T ). Sk r Tc Sk → N(0, 1). 6 (3.2) c la realizzazione della variabile casuale Sk, c Definita sk 1 PT 3 t=1 (rt − r̄) T c sk = q 3 , 1 PT 2 t=1 (rt − r̄) T e stabilito un livello di significatività α, si rifiuta l’ipotesi nulla se r T c > z α . sk 2 6 L’ipotesi di asimmetria nulla nella distribuzione dei rendimenti dei titoli Eni e Generali può essere ritenuta plausibile sulla base dei campioni osservati? c = −0.313, Per il titolo Eni, poiché sk r 501 (−0.313) = 2.86. 6 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una evidenza contro l’ipotesi di asimmetria nulla nella distribuzione dei rendimenti Eni. c = 0.0128, Per il titolo Generali, poiché sk r 501 (0.0128) = 0, 117. 6 Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una evidenza a favore dell’ipotesi di asimmetria nulla nella distribuzione dei rendimenti Generali. 26CAPITOLO 3. L’ANALISI INFERENZIALE DEI RENDIMENTI FINANZIARI 3.4 La curtosi Con un campione di T elementi, la stima dell’indice di curtosi avviene attraverso la statistica b̄ b = µ4 . K σ b4 Questa stima è utilizzata per sottoporre a test l’ipotesi di curtosi pari a 3 (ovvero normalità) per i rendimenti, H0 : K = 3 H1 : K 6= 3 b non è nota. Sotto l’usuale Anche la distribuzione della variabile casuale K ipotesi di normalità della popolazione di origine, la distribuzione asintotica di b è K b → N(3, 24/T ). K Ne consegue che r T b K − 3 → N(0, 1). 24 (3.3) b Definita b k la realizzazione della variabile casuale K, 1 PT (rt − r̄)4 b k = T P t=1 2 , T 1 2 (r − r̄) t=1 t T e stabilito un livello di significatività α, si rifiuta l’ipotesi nulla se r T b k − 3 > z α2 . 24 L’ipotesi di assenza di curtosi nella distribuzione dei rendimenti dei titoli Eni e Generali può essere ritenuta plausibile sulla base dei campioni osservati? Per il titolo Eni, poiché b k = 4.419, r 501 (4.419 − 3) = 6.48. 24 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una forte evidenza contro l’ipotesi di assenza di curtosi nella distribuzione dei rendimenti Eni. In particolare il campione fornisce evidenza a favore dell’ipotesi di una distribuzione leptocurtica. Per il titolo Generali, poiché b k = 4.091, r 501 (4.091 − 3) = 4.98. 24 3.5. L’AUTOCORRELAZIONE DEI RENDIMENTI 27 Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una forte evidenza contro l’ipotesi di assenza di curtosi nella distribuzione dei rendimenti Generali. In particolare il campione fornisce evidenza a favore dell’ipotesi di una distribuzione leptocurtica. 3.5 L’autocorrelazione dei rendimenti Ragionando in un’ottica inferenziale, la stima del legame tra il rendimento di un generico tempo t e il rendimento del tempo t − k è ottenibile attraverso il coefficiente di correlazione lineare campionario d t , Rt−k ) Cov(R , σ b2 d t , Rt−k ) = 1 PT Rt−k − R̄ . dove Cov(R t=k+1 Rt − R̄ T Al fine di trarre conclusioni sulla popolazione, il test delle ipotesi usualmente utilizzato considera ρbk = H0 : ρ k = 0 H1 : ρk 6= 0 Sotto l’ipotesi che i rendimenti siano incorrelati e provenienti da una popolazione normale, il risultato ρbk → N con media nulla e varianza approssimaPvale ∞ bile a T1 1 + 2 k=1 [ρ(k)]2 . Tuttavia un’ulteriore approssimazione è di fatto utilizzata, ovvero Var[b ρk ] ≈ T1 . In sintesi, ρbk → N(0, T −1 ). Definita rbk la realizzazione della variabile casuale ρbk , PT (rt − r̄) (rt−k − r̄) rbk = t=k+1 , PT 2 t=1 (rt − r̄) e stabilito un livello di significatività α, si rifiuta l’ipotesi nulla se √ T rbk > z α2 . Statistica MMF 2007/08 G. De Luca L’ipotesi di autocorrelazione nulla al ritardo 1 nella distribuzione dei rendimenti dei titoli Eni e Generali può essere ritenuta plausibile sulla base dei campioni osservati? Per il titolo Eni, poiché rb1 = −0.0386, √ 501 (−0.0386) = 0.864. Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una evidenza a favore dell’ipotesi di autocorrelazione nulla al ritardo 1 nella distribuzione dei rendimenti Eni. 28CAPITOLO 3. L’ANALISI INFERENZIALE DEI RENDIMENTI FINANZIARI Per il titolo Generali, poiché rb1 = −0.0308, √ 501 (−0.0308) = 0.689. Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una evidenza a favore dell’ipotesi di autocorrelazione nulla al ritardo 1 nella distribuzione dei rendimenti Generali. Una più generale procedura è rappresentata dal test di Ljung-Box, la cui ipotesi da verificare è l’assenza di correlazione per i primi m ritardi, H0 : ρ 1 = ρ 2 = . . . = ρ m = 0 contro l’ipotesi alternativa che almeno uno dei coefficienti di autocorrelazione sia diverso da zero. Il test si basa sulla statistica Q = T (T + 2) m X k=1 2 (T − k)−1 [ρ̂k ] . Se l’ipotesi nulla è vera Q si distribuisce approssimativamente come una variabile χ2m , e quindi, fissato un livello di significatività α, l’ipotesi nulla è rifiutata se m X 2 T (T + 2) (T − k)−1 [r̂k ] > χ2m,α , k=1 χ2m,α dove è quel percentile di una variabile casuale χ2m tale che P (χ2m > χ2m,α ) = α. La figura 3.2 riporta una χ25 in cui sono evidenziate la regione di accettazione e la regione di rifiuto nell’ipotesi in cui α = 0.05. L’ipotesi nulla di autocorrelazione nulla ai primi 5 ritardi nella distribuzione dei rendimenti dei titoli Eni e Generali può essere ritenuta plausibile sulla base dei campioni osservati? Per il titolo Eni, dopo aver calcolato le prime 5 autocorrelazioni si ottiene Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Q = 4, 878. Fissato il livello di significatività α = 0.05, il valore critico che separa regione di accettazione e regione di rifiuto risulta, utilizzando la tavola della χ25 , pari a 11.07. Si conclude quindi che v’è una chiara evidenza a favore dell’ipotesi nulla H0 : ρ1 = ρ2 = ρ3 = ρ4 = ρ5 = 0. Per il titolo Generali, dopo aver calcolato le prime 5 autocorrelazioni si ottiene Q = 4, 088. 3.6. L’AUTOCORRELAZIONE DEI RENDIMENTI AL QUADRATO 29 0.16 0.14 0.95 0.12 0.1 0.08 Regione di accetazione 0.06 0.04 0.05 0.02 0 0 5 10 15 Figura 3.2: Regione di accettazione e regione di rifiuto in una χ2 con m = 5 e α = 0.05. Fissato il livello di significatività α = 0.05, il valore critico che separa regione di accettazione e regione di rifiuto risulta, utilizzando la tavola della χ25 , pari a 11.07. Si conclude quindi che v’è una chiara evidenza a favore dell’ipotesi nulla H0 : ρ1 = ρ2 = ρ3 = ρ4 = ρ5 = 0. 3.6 L’autocorrelazione dei rendimenti al quadrato Le stesse procedure possono essere utilizzate per verificare l’autocorrelazione dei rendimenti al quadrato. L’ipotesi di autocorrelazione nulla al ritardo 1 nella distribuzione dei rendimenti al quadrato dei titoli Eni e Generali può essere ritenuta plausibile sulla base dei campioni osservati? Per il titolo Eni, poiché rb1 = 0.1405, √ 501 (0.1405) = 3.145. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una evidenza netta contro l’ipotesi di autocorrelazione nulla al ritardo 1 nella distribuzione dei rendimenti al quadrato del titolo Eni. Per il titolo Generali, poiché rb1 = 0.1433, √ 501 (0.1433) = 3.207. 30CAPITOLO 3. L’ANALISI INFERENZIALE DEI RENDIMENTI FINANZIARI Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che v’è una evidenza netta contro l’ipotesi di autocorrelazione nulla al ritardo 1 nella distribuzione dei rendimenti al quadrato del titolo Generali. L’ipotesi nulla di autocorrelazione nulla ai primi 5 ritardi nella distribuzione dei rendimenti al quadrato dei titoli Eni e Generali può essere ritenuta plausibile sulla base dei campioni osservati? Per il titolo Eni, dopo aver calcolato le prime 5 autocorrelazioni si ottiene Q = 92.812. Fissato il livello di significatività α = 0.05, il valore critico che separa regione di accettazione e regione di rifiuto risulta, utilizzando la tavola della χ25 , pari a 11.07. Si conclude quindi che v’è una chiara evidenza contro l’ipotesi nulla. Per il titolo Generali, dopo aver calcolato le prime 5 autocorrelazioni si ottiene Q = 121.15. Fissato il livello di significatività α = 0.05, il valore critico che separa regione di accettazione e regione di rifiuto risulta, utilizzando la tavola della χ25 , pari a 11.07. Si conclude quindi che v’è una chiara evidenza a favore dell’ipotesi nulla. 3.7 Il test di Jarque-Bera Se un’analisi meramente descrittiva dei rendimenti di un titolo finanziario è di per sé limitata per le considerazioni esposte, è anche vero che un’analisi condotta con un’ottica inferenziale deve essere ben curata. Le ipotesi che sono alla base vanno finché possibile opportunamente valutate. Ad esempio l’ipotesi di normalità è cruciale per l’implementazione di molti test statistici, come si è visto nel precedente paragrafo. Al fine di verificare l’ipotesi di normalità, una delle piú note procedure è il test di Jarque-Bera (noto anche come test di Bowman e Shenton) la cui ipotesi nulla è la distribuzione normale del fenomeno in esame. Facendo riferimento alle distibuzioni asintotiche (3.2) e (3.3) e ricordando che la somma dei quadrati di n variabili normali standardizzate indipendenti è una variabile casuale χ2ν con parametro ν = n, Jarque e Bera considerano che T c2 T b Sk + (K − 3)2 → χ22 , (3.4) 6 24 poiché si può dimostrare che le distribuzioni (3.2) e (3.3) sono indipendenti. L’ipotesi nulla di normalità è rifiutata per valori alti della statistica. Infatti 2 c e/o (K b − 3)2 , eventi valori alti della (3.4) sono causati da un alto valore di Sk che si verificano quando si è lontani dall’ipotesi di normalità. ceb c e K, b e definito un Definite sk k le realizzazioni delle variabili casuali Sk 3 livello di significatività α, l’ipotesi nulla è rifiutata se Statistica MMF 2007/08 G. De Luca T T c2 sk + (b k − 3)2 > χ22,α . 6 24 3 Si tratta ovviamente di un test unilaterale, poiché c’è evidenza contro l’ipotesi nulla solo per valori molto alti della statistica. 3.8. L’ASSENZA DI IPOTESI DI NORMALITÀ 31 L’ipotesi di distribuzione normale dei rendimenti dei titoli Eni e Generali può essere ritenuta plausibile sulla base dei campioni osservati? c = −0.313 e b Per il titolo Eni, poiché sk k = 4.419, 501 501 2 (−0.313) + (4.4191 − 3)2 = 50.216. 6 24 Fissato il livello di significatività α = 0.05, χ2,α = 5.99, per cui si conclude che v’è una netta evidenza contro l’ipotesi di normalità distributiva dei rendimenti Eni. c = 0.0128 e b Per il titolo Generali, poiché sk k = 4.091, 501 501 2 (0.0128) + (4.0911 − 3)2 = 24.869. 6 24 Fissato il livello di significatività α = 0.05, χ2,α = 5.99, per cui si conclude che v’è una netta evidenza contro l’ipotesi di normalità distributiva dei rendimenti Generali. 3.8 L’assenza di ipotesi di normalità Se sulla base del test di Jarque-Bera c’è una evidenza contro l’ipotesi di normalità cosa succede alle procedure inferenziali che hanno come ipotesi basilare la distribuzione gaussiana dei rendimenti? Nel test di ipotesi sul valore medio µ, l’allontanamento dall’ipotesi di normalità non ha conseguenze drammatiche. Infatti, è noto dalla teoria statistica che la variabile casuale media campionaria proveniente da un campione distribuito come una variabile diversa dalla gaussiana può essere ben approssimata da una variabile normale al crescere della numerosità del campione. Quando le analisi empiriche si svolgono su campioni numerosi (il che è quel che avviene tipicamente per variabili finanziarie) allora la media campionaria R̄ si distribuisce approssimativamente come una v.c. normale con la stessa media 2 µ e la stessa varianza σT . Dunque si rientra nel caso esaminato in precedenza. Per il test di ipotesi sull’indice di asimmetria occorre invece seguire procedure alternative qui non esposte. Per i test sui coefficienti di autocorrelazione, i risultati ρbk → N(0, T −1 ) e Q ∼ χ2 (m) continuano ad essere validi e quindi le procedure esposte possono essere poste in essere. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 32CAPITOLO 3. L’ANALISI INFERENZIALE DEI RENDIMENTI FINANZIARI Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Capitolo 4 L’analisi del portafoglio Per portafoglio si intende un generico insieme di N titoli finanziari detenuti in proporzioni (w1 , w2 , . . . , wN ). La somma delle proporzioni deve essere pari a PN 1, i=1 wi = 1. L’analisi dei portafogli è sicuramente di rilevante interesse pratico, poiché nella realtà l’acquisto e la detenzione di più titoli rappresenta un’elementare regola di diversificazione del rischio. Ad essere più precisi, tale obiettivo di diversificazione dipende crucialmente dalla relazione esistente tra i rendimenti dei titoli costituenti il portafoglio. Un esempio limite potrebbe essere utile. Se il portafoglio fosse costituito da titoli azionari di società diverse ma appartenenti allo stesso settore, una crisi del settore potrebbe causare una discesa dei rendimenti di tutti i titoli. In tal caso il rischio non è diversificato, ma piuttosto amplificato. Intuitivamente, la diversificazione è ottenuta componendo il portafoglio di titoli che si presume non siano influenzati dagli stessi fattori. Da un punto di vista statistico, occorre guardare agli indici che esprimono la relazione esistente tra i titoli che compongono il portafoglio. Un esempio che considera un portafoglio P composto di due soli titoli può essere didatticamente efficace. I titoli considerati sono indicati con 1 e 2 detenuti rispettivamente in proporzione w1 e w2 . Indicando con Ri la variabile casuale che descrive il rendimento del generico titolo i = 1, 2 di media E(Ri ) = µi e varianza Var(Ri ) = σi2 , si definisce il rendimento del portafoglio come la combinazione lineare dei rendimenti dei titoli costituenti il portafoglio secondo i pesi specificati, Statistica MMF 2007/08 G. De Luca RP = w1 R1 + w2 R2 . Ad esempio si consideri di avere un portafoglio costituito da 2 titoli, il titolo 1 e il titolo 2 aventi al tempo t come prezzi P1 = 20 e P2 = 5. Al tempo t il nostro portafoglio ha un valore pari a 25. Il peso del titolo 1 è ottenuto come 20 5 w1 = 25 = 0.80 mentre il peso del titolo 2 è w2 = 25 = 0.20. Se i rendimenti al tempo t + 1 sono rispettivamente R1 = 0.10 e R2 = 0.20, allora il rendimento 33 34 CAPITOLO 4. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO del portafoglio è RP = 0.80 · 0.10 + 0.20 · 0.20 = 0.12, il che implica che al tempo t+1 il valore del portafoglio diviene 25·(1+0.12) = 28. Allo stesso risultato si perviene consierando che al tempo t+ 1 il valore del titolo 1 diviene 20 · (1 + 0.10) = 22 e il valore del titolo 2 5 · (1 + 0.20) = 6. La somma 22 + 6 = 28 riporta al risultato prima ottenuto. Il valore atteso e la varianza della variabile casuale RP sono E(RP ) = w1 µ1 + w2 µ2 , e Var(RP ) = w12 σ12 + w22 σ22 + 2w1 w2 σ12 . Fissate le quantità σ12 e σ22 , Var(RP ) muterà al mutare della quantità σ12 che esprime la covarianza (quindi il legame lineare) esistente tra i rendimenti dei due titoli. Se si considerano i tre casi possibili, σ12 < 0, σ12 = 0 e σ12 > 0, è evidente che essi corrispondono a situazioni di crescente variabilità (Var(RP ) aumenta) ovvero situazioni caratterizzate da una decrescente diversificazione del rischio. Il livello più basso che Var(RP ) può raggiungere in questo esempio si ha quando tra i due titoli esiste una perfetta relazione lineare negativa1 σ12 = −σ1 σ2 . In generale, considerando un portafoglio P costituito da N titoli, si ha RP = N X wi Ri . i=1 La variabile casuale RP ha media E(RP ) = N X wi µi i=1 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca e varianza Var(RP ) = N X wi2 σi2 + 2 i=1 N −1 X X wi wj σij , i=1 j>i dove σij è la covarianza tra Ri e Rj . 4.1 1 Il La frontiera dei portafogli efficienti con N titoli rischiosi risultato si basa sulla considerazione che ρij , il coefficiente di correlazione lineare tra σ Ri e Rj , è uguale a σ ij , e poiché −1 ≤ ρij ≤ 1, il valore minimo che può assumere σij è i σj −σi σj . 4.1. LA FRONTIERA DEI PORTAFOGLI EFFICIENTI CON N TITOLI RISCHIOSI35 Dati N titoli rischiosi è possibile costruire infiniti portafogli cambiando le proporzioni dei diversi titoli. È possibile che esistano portafogli che dominino altri portafogli. È possibile, cioè, che esistano 2 portafogli, PA e PB , tali che 1. E(RPA ) > E(RPB ) 2. Var(RPA ) ≤ Var(RPB ) In questo caso, il portafoglio PA domina il portafoglio PB , poiché ha un rendimento atteso maggiore e un rischio minore o al massimo uguale rispetto al rischio di PB . È razionale, dunque, scegliere il portafoglio PA . Allo stesso modo, se 1. E(RPA ) ≥ E(RPB ) 2. Var(RPA ) < Var(RPB ) il portafoglio PA domina il portafoglio PB perché presenta un rischio minore e un rendimento atteso maggiore o al limite uguale al rendimento atteso di PB . Anche in questo caso è razionale scegliere il portafoglio PA . In generale, sono definiti efficienti quei portafogli che presentano la più bassa varianza a parità di valore atteso e il più alto valore atteso a parità di varianza. Si pone dunque il problema della individuazione dei portafogli efficienti tra tutti i possibili portafogli che si possono formare con N titoli. Si tratta di un problema di ottimizzazione vincolata. Fissato un rendimento atteso E(RP ) = µ̄P , si vogliono individuare quei pesi (w1 , w2 , . . . , wN ) che minimizzano la varianza del portafoglio Var(RP ) = σP2 .2 Da un punto di vista formale si tratta di un problema di minimizzazione vincolata: PN PN −1 P 2 2 Minwi σP2 = i=1 wi σi + 2 i=1 j>i wi wj σij s.v. PN = µ̄P i=1 wi µi P N = 1 i=1 wi wi ≥ 0 ∀i Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Il primo vincolo stabilisce qual è il rendimento atteso che si desidera ottenere. Il secondo vincolo assicura che la somma delle proporzioni sia pari all’unità. Inoltre, è imposto un vincolo di non-negatività delle proporzioni. Ciò implica che una proporzione wi non può risultare negativa.3 Lo stesso problema di minimizzazione può essere scritto in maniera più compatta utilizzando la forma matriciale. Definendo: R il vettore di ordine N × 1 dei rendimenti degli n titoli, 2 In alternativa, fissato un valore della varianza, si vogliono individuare quei pesi (w1 , w2 , . . . , wN ) che massimizzano il rendimento atteso E(RP ). 3 Un w negativo è teoricamente concepibile. Esso descrive una posizione short, ovvero i una vendita allo scoperto del titolo i. Tuttavia, poiché tali posizioni short sono difficili da implementare, non pochi operatori preferiscono considerare il vincolo di non-negatività dei pesi wi . 36 CAPITOLO 4. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO 0.12 b 0.1 c 0.08 µ P 0.06 a GMV d 0.04 0.02 0 1.8 1.9 2 2.1 σ 2.2 2.3 2.4 2.5 P Figura 4.1: La curva che descrive i portafogli a varianza minima. w il vettore di ordine N × 1 delle proporzioni degli N titoli, µ il vettore di ordine N × 1 dei valori attesi dei rendimenti degli N titoli, Σ la matrice N × N di varianza e covarianza dei rendimenti degli N titoli,4 1 il vettore N × 1 composto da 1, [1 1 . . . 1]0 , il problema di minimizzazione vincolato può impostarsi come Minwi σP2 s.v. w0 µ w0 1 wi = w0 Σw = µ̄P = 1 ≥ 0 ∀i La risoluzione analitica di un problema di ottimizzazione vincolato richiede l’impiego del metodo dei moltiplicatori di Lagrange. Ma il progresso informatico consente di utilizzare semplici algoritmi numerici per raggiungere lo stesso obiettivo in pochi secondi.5 Al termine si ottiene una coppia di valori (σP2 , µP ) che contraddistingue un portafoglio a varianza minima. A partire dagli N titoli considerati non è cioè possibile costituire un portafoglio con lo stesso rendimento atteso e una varianza (rischio) minore. Ripetendo il problema per diversi valori di E(RP ), Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 4 Più 5 In in dettaglio σ12 Σ = .. . σN1 σ12 σN2 ... ... σ1N .. . 2 σN . Excel la funzione Risolutore fornisce le soluzioni di un problema di ottimizzazione vincolato. 4.1. LA FRONTIERA DEI PORTAFOGLI EFFICIENTI CON N TITOLI RISCHIOSI37 0.12 0.1 0.08 µ P 0.06 0.04 0.02 0 1.8 1.9 2 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 σP Figura 4.2: La frontiera efficiente nel caso di soli titoli rischiosi. si ottengono diverse coppie (σP2 , E(RP )). Riportando queste coppie di valori su un sistema di assi cartesiani e congiungendo i relativi punti si ottiene una curva. Tradizionalmente si considera sull’asse delle ascisse lo scarto quadratico medio (in luogo della varianza) di un portafoglio. La rappresentazione grafica dell’insieme delle soluzioni è riportata in figura 4.1, dove sull’asse delle ascisse viene considerata la deviazione standard σP e sull’asse delle ordinate il rendimento medio µP . Tutti punti interni alla curva rappresentano portafogli realizzabili (ad esempio il punto a). L’insieme dei punti esterni alla curva sono portafogli non realizzabili. Si consideri ad esempio il punto b: esso rappresenta una coppia rendimento atteso - scarto quadratico medio che non è possibile ottenere combinando gli N titoli esistenti sul mercato. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Il portafoglio ubicato sul vertice sinistro della curva è il portafoglio con la varianza minima globale (GM V ). Ogni portafoglio situato sulla parte crescente della curva è un portafoglio efficiente. Si confrontino, ad esempio, i portafogli c e d. Essi risultano dalla risoluzione di due distinti problemi di minimizzazione vincolata, partendo da differenti livelli del rendimento atteso. Tuttavia, è evidente che il portafoglio c domina il portafoglio d, poiché ha un valore atteso maggiore, a parità di varianza. Quindi il portafoglio c è efficiente, mentre il portafoglio d non è efficiente. Lo stesso ragionamento può essere fatto per dimostrare che ogni portafoglio della parte decrescente della curva è dominato da un portafoglio situato nella parte crescente della curva. L’insieme dei portafogli efficienti dà luogo alla cosiddetta frontiera dei portafogli efficienti (figura 4.2). 38 4.2 CAPITOLO 4. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO La frontiera dei portafogli efficienti in presenza di un riskfree Il problema della individuazione della frontiera dei portafogli efficienti dà origine ad una diversa soluzione quando in aggiunta agli N titoli rischiosi (dunque con varianza non nulla) si considera un (N +1)-esimo titolo caratterizzato da un rendimento certo, senza alcun rischio (riskfree nella terminologia anglosassone). Il rendimento del titolo riskfree, Rf , non è dunque una variabile casuale, ma una costante, un dato certo. Quindi E(Rf ) = Rf e Var(Rf ) = 0. L’inserimento di un riskfree in un portafoglio costituito da N titoli rischiosi modifica il rendimento atteso del portafoglio, ma non la sua varianza. Infatti un rendimento di un portafoglio P costituito da N + 1 titoli, di cui N rischiosi e uno non rischioso in proporzione wf , è dato da E(RP ) = N X wi E(Ri ) + wf Rf , i=1 PN PN −1 P mentre la sua varianza continua ad essere σP2 = i=1 wi2 σi2 +2 i=1 j>i wi wj σij . Il problema di minimizzazione vincolata diviene allora PN PN −1 P 2 2 Minwi σP2 = i=1 wi σi + 2 i=1 j>i wi wj σij s.v. PN wi µi + wf Rf = µ̄P i=1P N = 1 i=1 wi + wf wi ≥ 0 ∀i wf ≥ 0 oppure, scritto in forma matriciale, Minwi σP2 s.v. w0 µ + wf Rf w0 1 + wf wi wf = w0 Σw = = ≥ ≥ µ̄P 1 0 ∀i 0 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca La soluzione di questo problema ci dice come il portafoglio è efficientemente ripartito tra componente non rischiosa e componente rischiosa, e la composizione di quest’ultima. La rappresentazione grafica dell’insieme delle soluzioni origina la frontiera dei portafogli efficienti in presenza di un risk-free. Un esempio è riportato in figura 4.3. In tal caso la relazione tra σP e µP è di tipo lineare. Dunque è la linea retta a rappresentare la frontiera efficiente nel caso di N titoli rischiosi e un titolo privo di rischio. L’altra curva nel grafico è la frontiera efficiente ricavata in precedenza (N titoli rischiosi). Le due curve sono tangenti in un punto che sarà successivamente richiamato. La retta interseca l’asse delle ascisse nel 4.2. LA FRONTIERA DEI PORTAFOGLI EFFICIENTI IN PRESENZA DI UN RISKFREE39 0.12 0.1 M 0.08 µ P 0.06 0.04 0.02 R f 0 0 0.5 1 1.5 2 σ 2.5 3 3.5 4 P Figura 4.3: Frontiera efficiente nel caso di N titoli rischiosi e un titolo privo di rischio. punto di coordinate (0, Rf ). Questo punto individua un portafoglio costituito esclusivamente dal titolo privo di rischio, ovvero quel portafoglio caratterizzato da pesi wi = 0 per i = 1, . . . , N e wf = 1. Naturalmente il rendimento medio di un simile portafoglio è uguale al rendimento del risk-free, Rf e la sua deviazione standard è nulla. Spostandosi da questo punto lungo la retta si incontrano portafogli caratterizzati da un rendimento medio via via superiore e una variabilità (non nulla) crescente. Questi portafogli sono costituiti non solo dal risk-free (wf < 1), ma anche da altri titoli rischiosi. Ad un certo punto si incontra il portafoglio caratterizzato da wf = 0, ovvero un portafoglio costituito solamente da titoli rischiosi. Si può dimostrare che questo portafoglio, indicato con M , appartiene anche alla frontiera dei portafogli efficienti costruita in presenza solamente di N titoli rischiosi. Da un punto di vista grafico, questo portafoglio è ubicato nel punto di tangenza tra le due curve. Questo particolare portafoglio M è noto come portafoglio di mercato e riveste una grande importanza nella teoria del portafoglio. Esso rappresenta la combinazione ottimale di titoli rischiosi, poiché è una combinazione non migliorabile. Tutti i portafogli efficienti situati sulla frontiera individuata nel caso di N titoli rischiosi, ad eccezione del portafoglio di mercato, infatti, sono migliorabili poiché l’inclusione del titolo privo di rischio consente di individuare un portafoglio con lo stesso rischio ma con un rendimento maggiore. È semplice verificare che la soluzione dei problemi di minimizzazione vincolata nel caso di N titoli rischiosi e un titolo privo di rischio dà origine ad una retta. Infatti, si consideri il portafoglio P costituito da una componente rischiosa (l’insieme dei titoli rischiosi presenti in P ) e una componente non rischiosa. Si indichi con A la componente rischiosa, che a sua volta è un portafoglio, e con Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 40 CAPITOLO 4. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO RA la variabile casuale che descrive il rendimento di A di media µA e varianza 2 σA . La proporzione di questa componente rischiosa del portafoglio è pari a 1−wf ; quindi il rendimento del portafoglio P può scriversi come RP = (1 − wf )RA + wf Rf , per cui il rendimento atteso è µP = (1 − wf )µA + wf Rf , (4.1) mentre la varianza può scriversi come 2 σP2 = (1 − wf )2 σA . Dall’espressione della varianza si deduce l’espressione di (1 − wf ), come rapporto tra la deviazione standard del portafoglio P e la deviazione standard del portafoglio A, σP 1 − wf = (4.2) σA A questo punto, sostituendo la (4.2) nella (4.1) si ottiene σP σP µP = µA + 1 − Rf , σA σA da cui si facilmente si deduce µP = Rf + 1 (µA − Rf ) σP . σA (4.3) È evidente l’esistenza di una relazione lineare tra µP e σP . La retta (4.3) ha intercetta Rf e coefficiente angolare pari a σ1A (µA − Rf ). La (4.3) è la cosidetta capital market line. Alla risoluzione pratica dei problemi di minimizzazione vincolata presentati (con e senza il titolo privo di rischio) si giunge sostituendo ai valori non noti della popolazione, (µi , σi e σij ) le stime ottenute dai dati a disposizione (r̄i , σ̂i e σ̂ij ). Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 4.3 L’asset allocation Il problema della scelta dei titoli e dei loro pesi per la composizione di un portafoglio è noto come asset allocation. In questa sede si è tralasciata la prima fase, la scelta dei titoli (stock selection) e si è posto l’accento sul problema per l’individuazione dei pesi dei singoli titoli. Il modello più semplice e largamente utilizzato è stato esposto nei paragrafi precedenti. Esso è ampiamente noto come modello di Markowitz. Questa struttura di base può essere modificata o integrata sulla base di specifiche esigenze. 4.3. L’ASSET ALLOCATION 41 1. È possibile inserire ulteriori vincoli che tengano conto di limiti (inferiori e/o superiori) sui pesi dei titoli. Ad esempio, si potrebbe voler imporre che il peso di ogni titolo non sia superiore al 5%. Il problema di minimizzazione vincolata diviene PN PN −1 P 2 2 Minwi σP2 = i=1 wi σi + 2 i=1 j>i wi wj σij s.v. PN wi µi + wf Rf = µ̄P i=1P N = 1 i=1 wi + wf 0 ≤ wi ≤ 0.05 ∀i 0 ≤ wf ≤ 0.05 In alternativa si potrebbe voler imporre che la somma dei pesi dei titoli appartenenti ad uno specifico settore (titoli indicati da 1 a M ) non sia inferiore al 30%. Il problema di minimizzazione vincolata diviene Minwi σP2 s.v. PN w µ + w Rf i i f i=1P N w + wf i=1 i wi wf PM i=1 wi = = = ≥ ≥ ≥ PN i=1 wi2 σi2 + 2 µ̄P 1 0 ∀i 0 0.30 PN −1 P i=1 j>i wi wj σij 2. È possibile modificare la funzione obiettivo. Tipicamente, l’obiettivo è la minimizzazione della varianza, ovvero la minimizzazione della somma degli scarti al quadrato tra i rendimenti e il rendimento medio. Come è noto, questi scarti possono essere negativi (il rendimento è inferiore al rendimento medio) oppure positivi (il rendimento è superiore al rendimento medio), assumendo nei due casi una diversa rilevanza. Sono gli scarti negativi a suscitare preoccupazione. Si definisce allora la semivarianza dei rendimenti del titolo i, σi2∗ , ovvero la varianza calcolata attribuendo valore nullo ad ogni scarto positivo dal rendimento medio. La semivarianza è una misura del cosiddetto down-side risk. Essa viene stimata con i dati a disposizione attraverso Statistica MMF 2007/08 G. De Luca σ̂i2∗ = T 1X 2 (rit − r̄i ) I [rit − r̄i < 0] , T t=1 dove rit è il rendimento del titolo i al tempo t, r̄i è il rendimento medio del titolo i calcolato nel periodo da 1 a T e I [rit − r̄i < 0] è una funzione indicatrice, tale che 1 se rit − r̄i < 0 I [rit − r̄i < 0] = 0 se rit − r̄i ≥ 0 42 CAPITOLO 4. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO L’obiettivo diviene la minimizzazione della semivarianza del portafoglio. Il problema di minimizzazione vincolata è Minwi σP2∗ s.v. PN w µ + w Rf i i f i=1P N w + wf i=1 i wi wf = = ≥ ≥ µ̄P 1 0 0 3. È possibile ancora modificare la funzione obiettivo. Non ci si pone più l’obiettivo di comporre un portafoglio che, sotto certi vincoli, abbia la minima varianza (o semivarianza), ma si intende comporre un portafoglio che si avvicini il più possibile ad un benchmark. Per benchmark si intende un portafoglio che rappresenta l’obiettivo di un investitore. Se si intende acquistare un portafoglio di azioni italiane, allora un benchmark potrebbe essere costituito dall’indice Mibtel che viene considerato rappresentativo del mercato azionario italiano, oppure dall’indice Mib30 o dall’indice Comit. La bontà della gestione di un portafoglio di titoli (ovvero, in altre parole, l’abilità del gestore) viene valutata confrontando il rendimento del portafoglio con il rendimento del benchmark. Quando l’obiettivo è quello di replicare il rendimento del benchmark, ovvero ottenere un rendimento uguale o molto vicino a quello del benchmark, si parla di gestione passiva di un portafoglio. La problematica connessa con una gestione passiva del portafoglio concerne la scelta di un opportuno sottoinsieme dei titoli che compongono il benchmark. Se, ad esempio, il benchmark è rappresentato dal Mib30, un indice composto da 30 titoli azionari, allora l’obiettivo di una gestione passiva può essere quello di raggiungere un rendimento uguale (o molto vicino) a quello del Mib30 con un portafoglio costituito da 10-12 titoli. Si parla di gestione attiva di un portafoglio quando l’obiettivo del gestore finanziario è quello di ottenere un rendimento superiore a quello del benchmark, ovvero superiore a quello che si otterebbe se si detenesse un portafoglio costituito dagli stessi titoli del benchmark e con gli stessi pesi. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca La differenza tra il rendimento ottenuto con il portafoglio scelto dal gestore e il rendimento del benchmark viene denominata tracking error. Il tracking error misura la bontà della strategia di replica del benchmark. Più piccolo è il tracking error, più somigliante al benchmark è il portafoglio selezionato. Definito RP il rendimento del portafoglio scelto dal gestore e RB il rendimento del benchmark, il tracking error è semplicemente dato dalla differenza RP − RB . 4.3. L’ASSET ALLOCATION 43 Poiché RP e RB sono, dal punto di vista statistico, due variabili casuali, anche la differenza (tracking error) rappresenta una variabile casuale. L’analisi statistica del tracking error è dunque l’analisi statistica della variabile casuale RP − RB . Nell’ambito del problema di asset allocation, l’obiettivo diviene quello di minimizzare la varianza non centrata del tracking error, τ 2 = E[RP − RB ]2 . La varianza non centrata del tracking error indica la possibile ampiezza della differenza tra il rendimento del portafoglio gestito e il rendimento del benchmark. Se τ 2 assume un valore basso, vuol dire che gli scostamenti tra i due rendimenti sono limitati. Se τ 2 è elevato, vuol dire che gli scostamenti di RP rispetto a RB possono essere anche molto elevati. Ai fini della stima della varianza, dobbiamo far riferimento ad un insieme di dati sul rendimento del portafoglio P e sul rendimento del benchmark, osservati nei tempi t = 1, 2, . . . , T . Quindi, la stima della varianza non centrata del tracking error è data da T 1X 2 τ̂ = (rP t − rBt ) , T t=1 2 dove con rP t si intende il rendimento del portafoglio P al generico tempo t e analogamente con rBt si intende il rendimento benchmark al tempo t. Il problema di minimizzazione vincolata è Minwi τ 2 s.v. PN wi µi + wf Rf i=1P N i=1 wi + wf wi wf = = ≥ ≥ µ̄P 1 0 0 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 44 CAPITOLO 4. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Capitolo 5 La volatilità dei rendimenti finanziari Il termine volatilità è largamente utilizzato per l’analisi dei rendimenti di attività finanziarie. Come già specificato, esso può essere considerato un sinonimo di variabilità. Quindi con volatilità si intende l’attitudine di una grandezza ad assumere valori lontani dal suo valore medio. Un titolo è tanto più volatile quanto più ampie sono le oscillazioni dei suoi prezzi e quindi dei suoi rendimenti. Un indicatore della volatilità è dunque un qualsiasi indicatore della variabilità. In questo contesto si fa riferimento alla deviazione standard. Le cause della volatilità, ovvero le cause delle oscillazioni dei prezzi (e quindi dei rendimenti) di un’attività finanziaria, sono principalmente 1. l’arrivo di nuova informazione sul mercato; 2. l’attività di trading. Le analisi empiriche rivelano che la volatilità dei rendimenti dei titoli finanziari non è generalmente costante. A periodi caratterizzati da lievi oscillazioni dei rendimenti seguono periodi caratterizzati da ampie oscillazioni degli stessi. L’espressione anglosassone volatility clustering indica proprio questo fenomeno: l’alternarsi di periodi tranquilli e periodi turbolenti. La volatilità, inoltre, non è osservabile. Nasce dunque la necessità di stimarla. A tal fine, i metodi più rilevanti proposti in letteratura sono Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 1. il metodo della volatilità storica (o historical volatility); 2. il metodo Exponential Smmothing; 3. i modelli di tipo ARCH. 45 46 CAPITOLO 5. LA VOLATILITÀ DEI RENDIMENTI FINANZIARI Rendimenti Generali 0.1 0.05 0 −0.05 −0.1 0 100 200 300 400 500 600 400 500 600 Historical volatility 0.03 0.025 0.02 0.015 0.01 0 100 200 300 Figura 5.1: Andamento del rendimento Generali e stima della volatilità (metodo della volatilità storica). 5.1 La volatilità storica Sulla base del metodo della volatilità storica, la stima della volatilità al tempo t avviene tramite s Pt−1 2 i=0 (rt−i − r̄) st = , t−1 dove r̄ è la media del campione di dati. Tutte le osservazioni hanno lo stesso peso, ovvero la stessa importanza. Muovendosi nel tempo, cioè passando dal tempo t al tempo t + 1, il campione a disposizione si amplia. In alternativa si può conservare la sua dimensione costante eliminando, cioè, la prima osservazione nel momento in cui una nuova osservazione si rende disponibile. Quindi, se per stimare la volatilità al tempo t si utilizzano le osservazioni dal tempo 1 al tempo t, per la stima della stessa al tempo t + 1 si utilizzano le osservazioni dal tempo 2 al tempo t + 1. In questo caso si ha un rolling sample. La formula generale della stima della deviazione standard, considerando un’ampiezza del campione pari a k, è data da s Pk−1 2 i=0 (rt−i − r̄) st = . k−1 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Le figure 5.1 e 5.2 riportano la stima della volatilità storica considerando, rispettivamente, campioni con dimensioni variabile e campioni rolling. Le stime sono 47 5.2. L’EXPONENTIAL SMOOTHING Rendimenti Generali 0.1 0.05 0 −0.05 −0.1 0 100 200 300 400 500 600 400 500 600 Historical volatility (rolling) 0.035 0.03 0.025 0.02 0.015 0.01 0 100 200 300 Figura 5.2: Andamento del rendimento Generali e stima della volatilità (metodo della volatilità storica, rolling sample). riferite ai rendimenti giornalieri del titolo Generali osservati nel periodo 03/01/2002 - 30/12/2003. 5.2 L’Exponential Smoothing Uno dei limiti del metodo della volatilità storica è l’attribuzione dello stesso peso a dati con differente ubicazione temporale. Con il metodo Exponential Smoothing (ES) si attribuisce un peso diverso alle varie osservazioni. I pesi sono esponenzialmente descrescenti man mano che ci si allontana dal tempo t di riferimento: le osservazioni più recenti sono le più rilevanti, dunque esse devono avere un peso maggiore. Ciò spiega la denominazione del metodo. In questo caso la stima della volatilità al tempo t è data da Statistica MMF 2007/08 G. De Luca v u t−1 u X st = t(1 − λ) λi (rt−i − r̄)2 i=0 con 0 < λ < 1. Generalmente λ è un valore scelto dal ricercatore e non stimato.1 È facile dimostrare che la (5.1) può anche essere scritta come st = 1 Naturalmente q (1 − λ)(rt − r̄)2 + λs2t−1 sarebbe preferibile stimare il parametro λ. (5.1) 48 CAPITOLO 5. LA VOLATILITÀ DEI RENDIMENTI FINANZIARI Rendimenti Generali 0.1 0.05 0 −0.05 −0.1 0 100 200 300 400 500 600 400 500 600 EWMA (0.78) 0.05 0.04 0.03 0.02 0.01 0 0 100 200 300 Figura 5.3: Andamento del rendimento Generali e stima della volatilità (metodo ES, λ = 0.78). Quindi s2t può essere interpretato come una media ponderata tra s2t−1 e (rt − r̄)2 , ovvero tra la volatilità al tempo precedente e l’ultima informazione disponibile. In pratica la stima del periodo precedente è aggiornata sulla base di quanto accaduto nell’ultimo periodo, t. Al variare del parametro λ cambia la rilevanza attribuita a tale aggiornamento. Maggiore è λ, minore è il peso del termine (rt − r̄)2 . Le figure 5.3 e 5.4 riportano la stima della volatilità con il metodo ES considerando, rispettivamente, λ = 0.78 e λ = 0.94. La figure 5.5 è finalizzata a porre un confronto grafico tra le due stime. Le stime sono sempre riferite ai rendimenti giornalieri del titolo Generali osservati nel periodo 03/01/2002 - 30/12/2003. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 49 5.2. L’EXPONENTIAL SMOOTHING Rendimenti Generali 0.1 0.05 0 −0.05 −0.1 0 100 200 300 400 500 600 400 500 600 EWMA (0.94) 0.04 0.03 0.02 0.01 0 0 100 200 300 Figura 5.4: Andamento del rendimento Generali e stima della volatilità (metodo ES, λ = 0.94). EWMA (0.78) 0.05 0.04 0.03 0.02 0.01 0 0 100 200 300 400 500 600 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 0.05 EWMA (0.94) 0.04 0.03 0.02 0.01 0 0 100 200 300 400 500 600 Figura 5.5: Confronto delle stime della volatilità del rendimento Generali (λ = 0.78 e λ = 0.94). 50 CAPITOLO 5. LA VOLATILITÀ DEI RENDIMENTI FINANZIARI 5.3 I modelli di tipo ARCH Nel 1982 Engle pubblicò sulla rivista Econometrica un articolo poi destinato a cambiare la storia della metodologia statistica applicata alle serie storiche finanziarie. Nell’articolo si propone il modello AutoRegressive Conditional Heteroskedasticity (ARCH) idoneo a rappresentare le principali caratteristiche delle variabili finanziarie osservate nel tempo. Con l’espressione modelli di tipo ARCH si suole comprendere il modello ARCH di Engle (1982), nonché tutti gli altri modelli proposti e studiati come varianti della formulazione originaria. Poiché la trattazione dei modelli di tipo ARCH richiede una conoscenza di base delle nozioni della metodologia di Box-Jenkins (1976) per l’analisi delle serie storiche, tale approccio sarà qui analizzato senza eccessivi approfondimenti. Fondamentale è il concetto di momento condizionato, come sarà specificato nei successivi paragrafi. 5.3.1 Il modello ARCH(1) Nel modello ARCH(1) si assume rt = µ + σt t σt2 = α0 + α1 (rt−1 − µ)2 ovvero che il rendimento al tempo t è pari µ più il prodotto tra la quantità σt e t , dove t è una variabile casuale con media nulla, E(t ) = 0, varianza unitaria, Var(t ) = 1 e incorrelata con s con s 6= t. La quantità σt2 dipende dal rendimento osservato al tempo t − 1. Si intende ora calcolare alcuni momenti del rendimento al tempo t condizionatamente all’informazione al tempo t − 1, in simboli It−1 , ovvero conoscendo tutto ciò che è avenuto fino al tempo t − 1. Il valore atteso condizionato di rt è dato da E(rt |It−1 ) = E(µ + σt t |It−1 ). Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Poiché l’espressione di σt2 dipende da valori dal tempo t − 1, ciò implica che conoscendo quanto è successo fino al tempo t − 1 implica la conoscenza di rt−1 e dunque σt2 non è una quantità ignota (una variabile casuale) ma una costante (non c’è incertezza sul suo valore). Quindi E(rt |It−1 ) = E(µ + σt t |It−1 ) = µ + σt E(t |It−1 ) = µ (5.2) dato che E(t |It−1 ) = 0. Inoltre, la varianza condizionata risulta Var(rt |It−1 ) = Var(µ + σt t |It−1 ) = σt2 Var(t |It−1 ) = σt2 (5.3) 5.3. I MODELLI DI TIPO ARCH 51 dato che Var(t |It−1 ) = 1. Dunque σt2 è la varianza condizionata (si intende condizionatamente all’informazione fino al tempo t − 1). Nell’espressione della varianza, si nota che un valore dei rendimenti lontano dal valore medio (sia esso positivo o negativo) causa una maggiore volatilità. Dunque, un ampio movimento dei rendimenti causa un incremento della volatilità, indipendentemente dalla direzione del movimento. La stima di σt è data da p st = αˆ0 + αˆ1 (rt−1 − r̄)2 , dove r̄, αˆ0 e αˆ1 sono le stime dei parametri µ, α0 e α1 . Il parametro α0 dell’equazione della varianza deve essere positivo, mentre il parametro α1 deve essere non negativo. Inoltre, per la stazionarietà del modello, deve essere α1 < 1. La previsione della volatilità al tempo T + 1, note le osservazioni fino al tempo T , è data da p sT (1) = αˆ0 + αˆ1 (rT − r̄)2 . Più in generale, si definisce il modello ARCH(q) come rt = σt2 = µ + σt t q X α0 + αi (rt−i − µ)2 i=1 La varianza al tempo t dipende da quanto accaduto ai rendimenti al tempo t − 1, al tempo t − 2 e cosı̀ fino al tempo t − q. La relativa importanza di questi movimenti è espressa dai coefficienti αi . Maggiore è il coefficiente, più rilevante è il movimento. Si noti che i momenti condizionati (5.2) e (5.3) sono sempre validi, in particolare σt2 è sempre la varianza condizionata. Ciò che cambia è la sua espressione. La stima della volatilità è data da v u q X u st = tαˆ0 + α̂i (rt−i − r̄)2 . Statistica MMF 2007/08 G. De Luca i=1 La previsione della volatilità al tempo T + 1, note le osservazioni fino al tempo T , è data da v u q X u sT (1) = tαˆ0 + α̂i (rT +1−i − r̄)2 . i=1 5.3.2 Test per la componente ARCH È necessario fare un test per verificare se la serie storica di cui si dispone esibisce una time-varying volatilità rappresentabile da un modello ARCH. 52 CAPITOLO 5. LA VOLATILITÀ DEI RENDIMENTI FINANZIARI Engle (1982) ha derivato il seguente test basato sul principio dei moltiplicatori di Lagrange. Si stima una regressione dei quadrati di rt su una costante e p ritardi, 2 2 rt2 = κ + α1 rt−1 + . . . + αq rt−p + et , per t = 1, . . . , T . La quantità T R2 , dove R2 è il coefficiente di determinazione della regressione, converge ad una variabile χ2 con p gradi di libertà. Quindi si accetta l’ipotesi di eteroschedatisticità se T R2 > χ2p,α , dove χ2p,α è quel percentile di una variabile casuale χ2p tale che P (χ2p > χ2p,α ) = α. 5.3.3 Il modello GARCH(1,1) Il modello GARCH(1,1) è una generalizzazione del modello ARCH. Nella sua formulazione si ha 2 σt2 = α0 + α1 (rt−1 − µ)2 + β1 σt−1 . La varianza al tempo t dipende da quanto è accaduto ai rendimenti al tempo t − 1, ma dipende altresı̀ dalla passata varianza, e precisamente dalla varianza al tempo t − 1. Quali sono le conseguenze dal punto di vista interpretativo? Nel modello ARCH(1) un improvviso movimento influenza nettamente la varianza; nel modello GARCH(1,1) lo stesso improvviso movimento contribuisce a modificare la varianza ma in modo non drastico. Empiricamente, il modello GARCH(1,1) riesce a ben descrivere statisticamente una ampia quantità di serie storiche finanziarie (non solo rendimenti di azioni). È ampiamente utilizzato, a volte in maniera acritica. La stima di σt è data da q st = αˆ0 + αˆ1 (rt−1 − r̄)2 + βˆ1 s2t−1 . Il parametro α0 dell’equazione della varianza deve essere positivo. Gli altri devono essere non-negativi. Inoltre, α1 +β1 < 1 per la stazionarietà del modello. La previsione della volatilità al tempo T + 1, note le osservazioni fino al tempo T , è data da q sT (1) = αˆ0 + αˆ1 (rT − r̄)2 + βˆ1 s2T . Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Più in generale, si ha il modello GARCH(p, q), σt2 = α0 + q X i=1 2 αi (rt−i − µ) + p X 2 βj σt−j j=1 Viene utilizzato raramente (il GARCH(1,1) è normalmente preferito). La stima di σt è data da v u q q X X u st = tαˆ0 + α̂i (rt−i − r̄)2 + βˆj s2t−j . i=1 j=1 5.3. I MODELLI DI TIPO ARCH 53 La previsione della volatilità al tempo T + 1, note le osservazioni fino al tempo T , segue le regole già viste. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 54 5.3.4 CAPITOLO 5. LA VOLATILITÀ DEI RENDIMENTI FINANZIARI Asimmetria nei modelli di tipo ARCH: il modello QGARCH I modelli fin qui visti hanno la caratteristica di trattare allo stesso modo shock positivi e negativi della stessa ampiezza. Nell’equazione della varianza, 2 2 2 infatti, compaiono i termini rt−1 , rt−2 , . . ., rt−q , a seconda del particolare or2 dine del modello, che influenzano σt . Ciò implica che l’influenza è la stessa considerando due valori rt−j e −rt−j uguali in valore assoluto. In altre parole, uno shock positivo e uno shock negativo della stessa ampiezza hanno lo stesso effetto sulla volatilità. Si parla, in tal caso di effetti simmetrici. È questo quanto si riscontra nella realtà? O forse è più giusto pensare ad effetti diversi (o asimmetrici) e quindi separare i due effetti gli effetti di shock positivi dagli effetti di shock negativi? Per rispondere a questa domanda, si può effettuare un test per verificare l’asimmetria degli effetti sulla volatilità. Ci sono diverse proposte in letteratura tra le quali il Sign Bias Test e il Negative Size Bias Test (si rinvia per i dettagli al testo di Gallo GM e Pacini B. (2002) Metodi quantitativi per i mercati finanziari, Carocci Editore). Il modello QGARCH (Quadratic GARCH) costituisce un esempio di modello di tipo ARCH con effetti asimmetrici. Nella sua formulazione più semplice, ovvero con gli ordini p = q = 1 e assumendo µ = 0, rt = σt t σt2 = 2 + δrt−1 + β1 σt−1 α0 + α1 rt−1 con δ < 0. In tal caso il termine aggiuntivo rispetto alla formulazione GARCH è finalizzato a cogliere l’eventuale asimmetria della volatilità rispetto agli shock. Un valore negativo di δ implica che un rendimento negativo al tempo t − 1 aumenta la volatilità in misura maggiore rispetto ad un rendimento positivo della stessa entità. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Capitolo 6 Modelli fattoriali per la misura del rischio La ricerca dei portafogli efficienti si basa su un problema di ottimizzazione vincolato che può essere risolto dopo aver stimato i rendimenti attesi e le varianze dei singoli titoli e le covarianze tra i titoli. Se i titoli sono N , è necessario stimare N valori attesi, N varianze e N (N2−1) covarianze. Al crescere di N , ciò può portare a complicazioni. L’analisi empirica ha però rivelato che i rendimenti dei titoli sono influenzati da alcuni fattori comuni. Se si riuscisse ad esprimere questi rendimenti in funzione di un fattore comune (o di più fattori comuni), si raggiungerebbe una semplificazione notevole. I fattori possono essere di tipo economico o finanziario. I modelli che hanno riscosso maggiore successo sono il modello di mercato e il Capital Asset Pricing Model (CAPM). Caratteristica comune dei due modelli è l’inclusione di un solo fattore finanziario per spiegare la variabilità dei rendimenti dei titoli azionari. 6.1 Il modello di mercato Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Il modello di mercato (market model o single index model nella terminologia anglosassone) è un modello statistico che considera il rendimento di un’attività finanziaria in funzione del rendimento del portafoglio di mercato. La specificazione assunta è quella più semplice, ovvero la specificazione lineare. Il modello di mercato considera Rit = αi + βi RMt + it , (6.1) dove Rit è il rendimento del titolo i al tempo t, RMt è il rendimento del portafoglio di mercato al tempo t e la variabile it è la componente di disturbo. Il rendimento del titolo i al tempo t, Rit , è dunque scomponibile in tre componenti: 55 56CAPITOLO 6. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO 1. αi rappresenta un fattore non legato all’andamento del mercato, specifico del titolo i e costante nel tempo; 2. βi RMt è la componente legata alla performance del mercato. In particolare, βi misura la sensibilità del rendimento del titolo i al rendimento del portafoglio di mercato; 3. la componente it racchiude gli eventi imprevedibili che possono avere un’influenza su Rit . Da un punto di vista statistico si tratta di un modello di regressione semplice in cui Rit è la variabile dipendente e RMt è la variabile esplicativa. 6.2 L’inosservabilità del portafoglio di mercato Nel modello di mercato la variabile esplicativa è rappresentata dal rendimento del portafoglio di mercato. La definizione di questo particolare portafoglio è stata data qualche pagina addietro. Ma è possibile individuare esattamente il portafoglio di mercato? La risposta è negativa, poiché sarebbe necessario considerare congiuntamente tutte le attività rischiose esistenti.1 Da qui deriva il carattere di inosservabilità del portafoglio di mercato. Esso viene quindi sostituito da un indice del mercato azionario dove sono contrattati i più importanti titoli rischiosi. In questo modo si utilizza una proxy del portafoglio di mercato. Spesso gli indici sono costruiti sulla base di una parte dei titoli scambiati (ad esempio, in Italia, il Mib30), altre volte sono rappresentati da tutti i titoli scambiati (ad esempio, in Italia, il Mib e il Mibtel). In ogni caso non possono includere titoli rischiosi non quotati in un mercato organizzato come la Borsa. È naturale, quindi, che tutte le conclusioni derivanti dall’applicazione di un modello di mercato siano di fatto influenzate dall’utilizzazione di una proxy in luogo della vera variabile esplicativa. Per il mercato italiano, i più rilevanti indici della Borsa che si utilizzano per la stima del modello di mercato sono • l’indice Mibtel Statistica MMF 2007/08 G. De Luca • l’indice Mib30 • l’indice S&P/Mib Ciascun indice si configura come una media aritmetica ponderata dei rapporti tra il prezzo al tempo corrente t, Pit , e ad un tempo base 0, Pi0 , It = PN Pit i=1 Pi0 Wi PN i=1 Wi , 1 Nel concetto di portafoglio di mercato ero rientrare anche attività rischiose come opere d’arte, immobili e altro. 6.3. LE IPOTESI DEL MODELLO DI MERCATO 57 dove Wi rappresenta il peso del titolo i e N è il numero dei titoli. Il Mibtel è un indice relativo a tutte le azioni quotate in Borsa. Ha base 01.03.1994 = 10000 ed è calcolato ogni minuto. L’individuazione dei pesi avviene ogni anno, l’ultimo giorno in cui la Borsa è aperta. Il Mib30 è un indice che fa riferimento alle 30 azioni più importanti del mercato azionario. Ha base 31.12.1992 = 10000. Esso viene rinnovato due volte all’anno, in marzo e settembre, ma possono esserci revisioni straordinarie. Il requisito dell’importanza è stabilito sulla base di due elementi: la capitalizzazione e la liquidità. La capitalizzazione dell’azione i, CAPi , è data dal prodotto tra il numero di azioni emesse e il prezzo medio del semestre di riferimento. La liquidità dell’azione i, LIQi , è quantificata attraverso il volume medio di scambi giornalieri relativo al semestre. Quindi si calcola per ogni azione i (delle N esistenti) un indice di liquidità e capitalizzazione, ILCi , che considera congiuntamente le due grandezze descritte, N X LIQi ILCi = CAPi + PN CAPi . i=1 LIQi i=1 Le 30 azioni con il più elevato indice di liquidità e capitalizzazione sono quelle considerate per la costruzione del Mib30. Il generico peso Wi è rappresentato dal rapporto tra la capitalizzazione del titolo i (calcolata alla data di revisione dell’indice) e quella dell’insieme dei 30 titoli. L’indice S&P/Mib è il più recente. Esso è calcolato e diffuso dal 2 giugno 2003. Comprende 40 azioni. L’indice S&P/Mib è l’unico indicatore azionario italiano disegnato secondo l’approccio internazionale di Standard&Poor. L’indice copre circa l’80% dell’universo azionario del mercato italiano. Altri indici sono il MIDEX per le società a media capitalizzazione, il NUMTEL per le società del cosiddetto nuovo mercato. Maggiori dettagli possono essere conosciuti consultando il sito della Borsa Italiana, www.borsaitalia.it. 6.3 Le ipotesi del modello di mercato Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Le assunzioni del modello di mercato sono le tipiche assunzioni del modello di regressione lineare semplice: 1. la variabile casuale it è una variabile casuale gaussiana; 2. il valore atteso di it è nullo, ovvero E[it |RMt ] = 0; 3. la varianza di it è costante e finita, Var[it |RMt ] = σ2i ; 4. la covarianza tra it e is è nulla, Cov [it , is ] = 0, t 6= s; 5. esiste indipendenza tra RMt e is , ∀t, ∀s. Più in dettaglio: 58CAPITOLO 6. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO 1. Distribuzione della it Nel modello di regressione (6.1) il termine it rappresenta il termine di errore. Infatti è irrealistico assumere che la relazione tra Rit e RMt sia perfettamente lineare, ovvero di tipo deterministico. Il termine di errore è altresı̀ detto termine di disturbo. Il valore che il termine di errore assume non è fissato a priori, it è dunque una variabile casuale. Una prima assunzione sul termine di errore concerne la sua distribuzione. L’ipotesi di gaussianità rappresenta la scelta più naturale e conveniente. 2. Valore medio di it L’assunzione di normalità del termine di disturbo deve essere completata specificando la media e la varianza. Il valore atteso di it è assunto pari a zero, poiché ciò significa che l’errore, seppur esiste, è in media nullo. 3. Varianza di it La varianza del termine di errore è assunta costante, ovvero pari ad un numero finito, ed è genericamente posta pari a σ2i . Tale ipotesi è nota come omoschedasticità, evidenziando dunque che la varianza è la stessa per ogni termine di errore, ovvero Var[it |RMt ] = σ2i ∀t. 4. Covarianza tra it e is L’assunzione di covarianza nulla tra due qualsiasi termini di errore, Cov [it , is |RMt ] = 0, con t 6= s, implica che un fattore casuale imprevedibile che ha influenzato il rendimento al tempo t non ha alcun legame con il fattore imprevedibile che ha influenzato il rendimento ad un qualsiasi tempo s 6= t. 5. Indipendenza tra RMt e is Le realizzazioni della variabile casuale RMt non sono legate alle realizzazioni della variabile casuale is . In altre parole, la componente di errore del tempo t non è legata al rendimento del portafoglio di mercato di qualsiasi tempo s. Dalle ipotesi elencate, e considerando che il modello di mercato può anche scriversi come Ri = αi + βi RM + i , (6.2) Statistica MMF 2007/08 G. De Luca segue che E(Ri ) = αi + βi E(RM ) e che Var(Ri ) = βi2 Var(RM ) + Var(i ), che può anche scriversi 2 σi2 = βi2 σM + σ2i . La covarianza tra il rendimento del titolo i e il rendimento del titolo j è data da σij = = Cov(Ri , Rj ) E [(Ri − E(Ri )) (Rj − E(Rj ))] 59 6.3. LE IPOTESI DEL MODELLO DI MERCATO = = = E [(Ri − αi − βi E(RM )) (Rj − αj − βj E(RM ))] E [(βi (RM − E(RM )) + i ) (βj (RM − E(RM )) + j )] 2 βi βj σM assumendo la ragionevole ipotesi che la covarianza (e quindi il legame) tra i e j sia nulla. Il valore atteso di un generico portafoglio P composto da N titoli al tempo t può quindi scriversi come N X E(RP ) = wi E(Ri ) i=1 N X = wi (αi + βi E(RM )) i=1 N X = wi αi + i=1 N X wi βi E(RM ) i=1 = ᾱ + β̄E(RM ) P PN dove ᾱ = N i=1 wi αi e β̄ = i=1 wi βi . Inoltre, la varianza dello stesso generico portafoglio può scriversi come Var(RP ) = N X wi2 σi2 + 2 i=1 = N X i=1 N −1 X X wi wj σij i=1 j>i N −1 X X 2 2 wi2 βi2 σM + σ2i + 2 wi wj βi βj σM 2 = σM i=1 j>i N X wi2 βi2 + 2 i=1 2 = β̄ 2 σM + N X N −1 X X i=1 j>i wi wj βi βj + N X wi2 σ2i i=1 wi2 σ2i Statistica MMF 2007/08 G. De Luca i=1 Si può osservare che il rendimento atteso e la varianza del portafoglio dipendono ora da 3N + 2 quantità (si contano infatti N αi , N βi , N varianze delle componenti di errore e il rendimento atteso e la varianza del portafoglio di mercato). Se, ad esempio, N = 40, l’analisi dei portafogli efficienti senza il ricorso a = 860 quantità. Utilizzando modelli fattoriali implica la stima di 40 + 40 + 40∗39 2 il modello di mercato, è necessario stimare 122 quantità. L’utilizzo del modello di mercato è inoltre utile per suddividere il rischio connesso alla detenzione di un portafoglio in due componenti, quella diversificabile e quella non diversificabile (o sistematica). Infatti, al fine di ridurre il rischio di un portafoglio, si potrebbe scegliere di detenere un’ampia quantità di titoli, 60CAPITOLO 6. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO ciascuno con un peso molto piccolo. Si supponga di detenere N titoli ciascuno con una quota pari a N1 , ovvero wi = N1 , ∀i. Si consideri ora il limite per N → ∞ dell’espressione di Var(RP ), " # X 1 2 2 2 2 2 lim Var(RP ) = lim β̄ σM + σi = β̄ 2 σM . N →∞ N →∞ N i L’interpretazione è chiara: anche ampliando a dismisura il numero di titoli e detenendo di ciascuno di essi una quota molto bassa, non è possibile annullare il rischio. Più in dettaglio, una componente del rischio tende ad annullarsi, un’altra componente tende a permanere. La prima componente viene quindi detta rischio diversificabile, la seconda rischio non diversificabile. Il rendimento del portafoglio di mercato è un fattore che influenza tutti i titoli, e quindi esso non può essere eliminato incrementando il numero di titoli in portafoglio. Come già detto, il coefficiente βi fornisce una misura della reattività del rendimento del titolo i a variazioni dell’indice di mercato. Se βi non è diverso da zero l’indice (il mercato) non ha alcun effetto statistico sul rendimento del titolo. Se, al contrario, βi è significativamente diverso da zero vale la conclusione opposta. Poiché il mercato rappresenta la fonte del rischio non diversificabile, comune a tutti i titoli, e βi riflette la rischiosità di un titolo relativamente all’andamento del mercato, βi è una misura del rischio non diversificabile del titolo i. In particolare, un β < 1 caratterizza titoli a basso rischio (low risk) mentre un β > 1 identifica titoli ad alto rischio (high risk). 6.4 La stima dei parametri Il modello di mercato è una relazione che concerne una popolazione di rendimenti. Avendo a disposizione un campione di osservazioni di numerosità T , ovvero T coppie (rMt , rit ) con t = 1, . . . , T , è possibile stimare i parametri della popolazione αi e βi . Le osservazioni (rMt , rit ) sono realizzazioni delle variabili casuali (RMt , Rit ). Il metodo più largamente utilizzato è il metodo dei minimi quadrati ordinari (ordinary laest squares nella terminologia anglosassone), in seguito indicato come OLS.2 La ratio del metodo consiste nella ricerca di quei valori α̂i e β̂i che minimizzano la somma degli errori (scarti tra dati empirici e dati teorici) al quadrato per il periodo di osservazione. Avendo definito Statistica MMF 2007/08 G. De Luca S(α̂i , β̂i ) = T X ˆ2it , t=1 2 Altri metodi di stima sono il metodo dei momenti e il metodo della massima verosimiglianza. 61 6.4. LA STIMA DEI PARAMETRI l’obiettivo può dunque scriversi come T X MinS(α̂i , β̂i ) = ˆ2it t=1 T X = t=1 rit − α̂i − β̂i rMt 2 Trattandosi di un problema di minimizzazione senza alcun vincolo, è sufficiente uguagliare a zero le derivate prime della funzione S calcolate rispetto alle incognite del problema, ovvero α̂i e β̂i . Quindi ∂S ∂ α̂i = ∂S = ∂ β̂i −2 −2 T X t=1 T X t=1 rit − α̂i − β̂i rMt = 0 rit − α̂i − β̂i rMt rMt = 0 Risolvendo si ottiene un sistema di 2 equazioni in 2 incognite, T α̂i + β̂i T X rMt = t=1 α̂i T X rMt + β̂i t=1 T X T X rit t=1 2 rMt t=1 = T X rMt rit t=1 La risoluzione del sistema fornisce le stime dei minimi quadrati β̂i = PT α̂i = r̄i − β̂i r̄M (rMt − r̄M ) (rit − r̄i ) PT 2 t=1 (rMt − r̄M ) t=1 (6.3) (6.4) dove r̄i e r̄M indicano rispettivamente le medie delle T osservazioni delle due variabili del modello. Le stime dei minimi quadrati α̂i e β̂i sono dei numeri ottenuti a partire da un campione di osservazioni. Si noti, tuttavia, che al variare del campione, i valori numerici delle stime cambiano. In generale, è utile considerare ogni stima campionaria di un parametro di una popolazione come la realizzazione di una variabile casuale che riassume tutti i possibili valori delle stime al variare del campione estratto. Si definiscono Ai e Bi le due variabili casuali che riassumono le stime di αi e βi . Ai e Bi sono gli stimatori dei minimi quadrati. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 62CAPITOLO 6. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO 6.5 Le proprietà degli stimatori OLS Le espressioni degli stimatori Bi e Ai sono rispettivamente PT Rit − R̄i t=1 RMt − R̄M Bi = 2 PT t=1 RMt − R̄M Ai (6.5) = R̄i − Bi R̄M (6.6) In pratica, nelle espressioni (6.3) e (6.4) i valori di rMt e rit sono sostituiti con le corrispondenti variabili casuali RMt e Rit . Le distribuzioni di Ai e Bi sono necessarie per l’implementazione di test di ipotesi sui coefficienti αi e βi . Dalla teoria statistica è noto che si può approssimare la distriubuzione dello stimatore Bi ad una distribuzione normale e questa approssimazione è tanto migliore quanto maggiore è il numero di osservazioni a disposizione. Inoltre Bi è uno stimatore corretto, poiché il suo valore atteso è esattamente pari a βi . L’ipotesi di indipendenza tra RMt e it è necessaria per questo risultato. Infatti il valore atteso di Bi può scriversi come " PT # Rit − R̄i t=1 RMt − R̄M E(Bi ) = E 2 PT t=1 RMt − R̄M # " PT R − R̄ (β (R − R̄ ) + − ¯ ) Mt M i Mt M it i t=1 = E 2 PT t=1 RMt − R̄M " PT # ¯i ) t=1 RMt − R̄M (it − = βi + E 2 PT t=1 RMt − R̄M = βi per l’ipotesi di indipendenza tra RMt e it . Bi è dunque uno stimatore corretto (non distorto) del parametro βi . 2 , La varianza dello stimatore Bi può essere approssimata da PT σ 2 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca posto, per brevità, σ2i = σ 2 . Riassumendo i tre risultati conseguiti può scriversi ! σ2 Bi → N βi , PT . 2 t=1 (rMt − r̄M ) t=1 (rM t −r̄M ) (6.7) Inoltre lo stimatore Bi è consistente, ovvero uno stimatore sempre più preciso all’aumentare della dimensione del campione. Infatti, si tratta di uno stimatore corretto e con una varianza che tende a zero all’aumentare della dimensione campionaria. Maggiori dettagli sulle nozioni di consistenza possono essere trovati in testi di inferenza statistica. 6.6. INFERENZA SUI PARAMETRI DELLA REGRESIONE 63 In maniera analoga può studiarsi la distribuzione dello stimatore Ai , il suo valore atteso e la sua varianza. Il risultato che si ottiene è " #! 2 1 r̄ M Ai → N αi , σ 2 + PT . (6.8) 2 T (r − r̄M ) Mt t=1 6.6 Inferenza sui parametri della regresione Come già ricordato, il modello di mercato è una relazione che concerne una popolazione ed è stata stimata attraverso un campione di osservazioni. Le stime dei parametri, ottenute con il metodo dei minimi quadrati ordinari, consentono di considerare plausibili o meno alcune ipotesi sui parametri della popolazione, attraverso specifiche procedure inferenziali. In pratica, si è interessati a verificare le ipotesi che i due parametri αi e βi siano nulli o meno. Le due ipotesi da sottoporre a test sono H0 : αi = 0 H1 : αi 6= 0 e H0 : βi = 0 H1 : βi 6= 0 Il primo test di ipotesi concerne l’esistenza della componente αi nel rendimento medio del titolo i al tempo t, ovvero della componente indipendente dalla performance del mercato. Il secondo test fa riferimento al parametro βi e dunque all’esistenza della componente del rendimento atteso di Rit legata all’andamento del mercato. Il secondo test è il più rilevante poiché è dal suo esito che si accetta o meno il modello di mercato. Accettare come plausibile l’ipotesi βi = 0 implica il rifiuto del modello di mercato in favore del più semplice modello dei rendimenti con valore atteso costante. Utilizzando la (6.7) questo test può effettuarsi considerando che sotto l’ipotesi nulla H0 : βi = 0 Tuttavia il parametro σ non è noto, ma può essere stimato utilizzando i dati campionari. Poiché σ 2 è per ipotesi la varianza di it , è naturale stimare tale parametro con la varianza calcolata sulle stime delle suddette variabili casuali, ˆit , t = 1, 2, . . . , T , ottenute come Statistica MMF 2007/08 G. De Luca ˆit = rit − α̂i − β̂i rMt . P Poichè il metodo dei minimi quadrati implica necessariamente che Tt=1 ˆit = 0 (è sufficiente considerare la derivata della funzione S(α̂i , β̂i ) rispetto a α̂i ), si stima il parametro σ 2 calcolando la media dei quadrati delle ˆit . In sintesi PT 2 ˆ 2 s = t=1 it . (6.9) T −2 64CAPITOLO 6. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO Il denominatore è pari a T − 2 poiché si intende far riferimento ad uno stimatore corretto. Fissato un livello di significatività pari ad α, si ritiene esserci evidenza contro H0 se β̂i r > zα. 2 1 s PT (rM t −r̄M )2 t=1 La stessa procedura può essere utilizzata per sottoporre a test altre ipotesi rilevanti dal punto di vista finanziario (ad esempio H0 : βi = 1 vs H0 : βi 6= 1). Per il test di ipotesi sul parametro αi parte dalla (6.8) sotto l’ipotesi nulla H0 : αi = 0. Sostituendo al parametro incognito σ la stima campionaria ricavata dalla (6.9), e fissato un livello di significatività pari ad α, si ritiene esserci evidenza contro H0 se α̂ i > zα. r 2 2 s 1 + PT r̄M 2 T t=1 6.7 (rM t −r̄M ) La bontà di accostamento Ai fini del giudizio sulla bontà di adattamento del modello di mercato alla realtà osservata, si possono utilizzare diversi indici. Tra questi il più noto è sicuramente l’indice di determinazione R2 . Esso è basato sulla scomposizione della devianza totale della variabile in osservazione in due componenti, la devianza di regressione e la devianza residua. La devianza campionaria totale è pari a Dtot = T X (rit − r̄i )2 . t=1 Questa quantità è scomponibile in due parti,3 ovvero Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Dtot = Dreg + Dres = T X t=1 (r̂it − r̄i )2 + T X t=1 (rit − r̂it )2 dove r̂it è il valore teorico del rendimento del titolo i al tempo t sulla base del modello di mercato. Da questa scomposizione si definisce il coefficiente di determinazione R2 = 3 Per Dreg . Dtot la dimostrazione si rinvia ad un qualsiasi testo base di statistica. 6.8. VERIFICA DELLE IPOTESI DEL MODELLO DI REGRESSIONE 65 che varia tra 0 e 1. È pari a zero se la variabile indipendente considerata, rMt , non ha alcun potere esplicativo sulla variabile dipendente rit . In questo caso la devianza totale coincide con la devianza residua. È pari a uno se, al contrario, esiste una perfetta relazione lineare tra rMt e rit per cui, una volta individuata questa relazione, non esiste alcuna differenza tra valori empirici (osservati) e valori teorici (Dres = 0). 6.8 Verifica delle ipotesi del modello di regressione Le ipotesi alla base del modello di mercato condizionano la stima, le proprietà degli stimatori e le procedure inferenziali sui parametri della popolazione. È dunque opportuno verificare se esse possano essere ritenute plausibili, e quali sono le conseguenze nel caso di non difendibilità delle stesse. La prima ipotesi prevede la distribuzione gaussiana per la componente stocastica it . Per esprimere un giudizio sulla plausibilità di questa ipotesi, si può fare un test sulla normalità sulle it , utilizzando le ˆit , ovvero le stime delle variabili di disturbo che si possono ottenere applicando il metodo dei minimi quadrati. Tra le varie procedure proposte in letteratura per la normalità di una popolazione, il test di Jarque-Bera rappresenta un utile punto di riferimento. La ratio del test è stata già presentata; alla formula presentata bisogna quindi far riferimento considerando gli indici di skewness e di curtosi calcolati sull’insieme delle ˆit . L’ipotesi 2 fa riferimento al valore atteso dei residui. Come si è già detto, l’applicazione del metodo di stima dei minimi quadrati ordinari ha come conseguenza la somma nulla dei residui stimati ˆit , per cui tale ipotesi è sempre verificata. L’ipotesi 3 concerne l’omoschedasticità dei residui, ovvero la costanza della varianza delle variabili it , Var(it ) = σ2i = σ 2 ∀t Al contrario, si parla di eteroschedasticità quando Var(it ) = σt2 , cioè quando la varianza della componente stocastica (o di disturbo) cambia nel tempo. Per verificare la plausibiltà dell’ipotesi di omoschedasticità, numerose procedure sono state proposte in letteratura. Un test molto diffuso è stato proposto da Robert Engle (premio Nobel per l’Economia nel 2003), il quale considera la regressione Statistica MMF 2007/08 G. De Luca ˆ2it = δ0i + δ1i ˆ2i,t−1 + δ2i ˆ2i,t−2 + . . . + δpi ˆ2i,t−p + ηit . Analizzando il coefficiente di determinazione R2 che scaturisce da questa regressione si giudica la plausibilità dell’ipotesi nulla di omoschedasticità. La statistica T R2 (si ricorda che T è la numerosità delle osservazioni) si distribuisce come una variabile χ2p . Quindi si rifiuta H0 se T R2 > χ2p,α , dove χ2p,α è quel percentile di una variabile casuale χ2p tale che P (χ2p > χ2p,α ) = α. 66CAPITOLO 6. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO L’assenza dell’ipotesi di omoschedasticità ha influenza sulle proprietà degli stimatori OLS. Rimandando a testi specifici per i risultati analitici, ci si limita in questo testo ad evidenziare che in assenza dell’ipotesi di omoschedasticità, gli stimatori OLS Ai e Bi risultano ancora corretti e consistenti, tuttavia presentano una varianza maggiore di quella che dovrebbero avere (non sono più efficienti), per cui i test delle ipotesi dei coefficienti risultano scarsamente affidabili (le ipotesi nulle αi = 0 e βi = 0 vengono accettate più del dovuto, in altre parole c’è un aumento della probabilità di commettere un errore di II tipo). La quarta ipotesi fa riferimento alla correlazione tra le componenti di disturbo in tempi diversi. Per verificare la plausibilità di questa ipotesi è naturale esaminare l’autocorrelazione esistente tra i residui stimati. Per l’autocorrelazione di ordine k, si esaminano la serie ˆit per t = k + 1, . . . , T e la serie ˆit per t = 1, 2, . . . , T − k. Tra i test più comuni nella letteratura econometrica c’è da menzionare il test di Ljung-Box, già esposto, e al quale, quindi, si rimanda. L’ultima ipotesi concerne l’indipendenza tra RMt e is . In generale, ci si limita a verificare l’assenza di correlazione tra RMt e it , utilizzando le stime ˆit . In teoria, nel portafoglio di mercato sono compresi tutti i titoli rischiosi, e quindi anche il titolo i. Il rendimento del portafoglio di mercato, quindi, dipende anche dal rendimento del titolo i. Quest’ultimo, sulla base del modello di mercato, è influenzato da it e quindi dovrebbe esistere una relazione anche tra RMt e it . Questa relazione non è rilevante se il peso del titolo i nel portafoglio di mercato è molto contenuto. In generale, in un mercato finanziario sviluppato, sono molti i titoli rischiosi, e di conseguenza il peso di ogni singolo titolo sul portafoglio di mercato è trascurabile. In questo caso, l’ipotesi in questione è da ritenersi plausibile. Da un punto di vista empirico è possibile calcolare il coefficiente di correlazione tra RMt e ˆit . 6.9 La stabilità del parametro βi La stima del parametro βi è ottenuta sulla base della disponibilità di un campione di T osservazioni. Nel momento in cui si viene a conoscenza di ulteriori valori della variabile dipendente e della variabile esplicativa, ad esempio al tempo T +1, si potrebbe pensare di ripetere la regressione, utilizzano T +1 osservazioni. Conoscendo le variabili ai tempi T + 2, T + 3, e cosı̀ via, si potrebbero ottenere altre stime più aggiornate. Se le nuove stime del parametro βi fossero simili alla stima originaria (quella ottenuta con T osservazioni), allora si potrebbe concludere che il parametro βi tende ad essere stabile nel tempo, ovvero la relazione tra Ri e RM tende ad essere stabile nel tempo. Per comprendere la stabilità della relazione, avendo a disposizione solo il campione iniziale di T osservazioni (prima quindi della disponibilità di ulteriori osservazioni), si può agire con il metodo delle regressioni ricorsive nel seguente modo: Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 6.10. IL CAPITAL ASSET PRICING MODEL 67 1. si stabilisce un tempo S, con 1 < S < T ; 2. si stima il modello di mercato considerando le osservazioni per t = 1, 2, . . . , S, (S) e si indica la stima del coefficiente βi con β̂i ; 3. si ripete la stima del modello di mercato aggiungendo ogni volta un’osservazione (t = 1, 2, . . . , S + 1, poi t = 1, 2, . . . , S + 2 e cosı̀ via) oppure aggiungendo ogni volta un’osservazione e contemporaneamente eliminando la meno recente (t = 2, 3, . . . , S + 1, poi t = 3, 4, . . . , S + 2 e cosı̀ via). (S+1) (S+2) (T ) Si indicano le stime con β̂i , β̂i , . . ., β̂i . 4. si costruisce un grafico in cui si considera sull’asse delle ascisse il tempo k dell’ultima osservazione utilizzata (k = S, S + 1, . . . , T ) e sull’asse delle (k) ordinate le corrispondenti stime β̂i . Dall’andamento delle stime si può giudicare la stabilità del coefficiente βi e quindi della relazione del modello di mercato. In particolare è di interesse verificare se la stima di βi si è modificata passando da valori inferiori all’unità a valori superiori all’unità (o viceversa). Esistono in letteratura anche test analitici per giudicare la stabilità di una relazione. Per approfondimenti si suggerisce un testo di econometria. 6.10 Il Capital Asset Pricing Model Il Capital Asset Pricing Model (CAPM) è sicuramente uno dei più diffusi modelli in ambito finanziario. Il suo scopo è quello di descrivere il premio per il rischio di un titolo finanziario. Si definisce premio per il rischio del titolo i la differenza tra il rendimento atteso del titolo e il rendimento del titolo privo di rischio presente sul mercato. In questo contesto non si fornisce una derivazione analitica del CAPM, preferendo sottolinearne l’intuzione. Il possesso di un generico titolo i deve essere giustificato non solo in funzione del suo premio per il rischio, ma anche sulla base del suo rischio. In altre parole, indicando con Ri il suo rendimento, e con rf il rendimento del titolo privo di rischio, la differenza E(Ri ) − rf , il premio per il rischio, è un primo indicatore della convenienza ad acquistare il titolo, ma una misura per esprimere un giudizio più completo è data dal rapporto tra il premio per il rischio e il rischio, ovvero E(Ri ) − rf , σi Statistica MMF 2007/08 G. De Luca dove σi è la deviazione standard del rendimento del titolo i. Il rapporto in questione è noto come indice di Sharpe ed è una misura a cui si fa ampiamente riferimento (può anche essere interpretato come il rendimento in eccesso per unità di rischio). Se si dovesse scegliere tra due titoli, i e j, si preferirebbe quello il cui indice di Sharpe è maggiore. 68CAPITOLO 6. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO Ma come cambia il criterio di scelta quando si dispone già di un portafoglio P ben diversificato costituito da N titoli rischiosi e un titolo privo di rischio? Si indichi con RP la variabile casuale che descrive il suo rendimento. Il suo valore atteso è E(RP ). Supponiamo di voler incrementare la proporzione del titolo i nell’ambito del portafoglio, riducendo la quota del titolo privo di rischio. Qual è l’impatto sul rendimento atteso del portafoglio iniziale? E qual è l’impatto sul rischio del portafoglio iniziale? Il rendimento del portafoglio P è esprimibile come X RP = w1 R1 + w2 R2 + . . . + wN RN + (1 − wi )rf , i e il rendimento atteso come E(RP ) = w1 E(R1 ) + w2 E(R2 ) + . . . + wN E(RN ) + (1 − X wi )rf . i L’impatto sul rendimento atteso del portafoglio P è dato da ∂E(RP ) = E(Ri ) − rf , ∂wi ovvero il premio per il rischio del titolo i. La deviazione standard del portafoglio P è 12 N N −1 X X X 1 σP = wi2 σi2 + 2 wi wj σij = σP2 2 . i=1 i=1 j>i L’impatto sulla deviazione standard del portafoglio P è dato da ∂σP 1 2 − 12 ∂σP2 = σ . ∂wi 2 P ∂wi Poichè σP2 = N X i=1 wi2 σi2 + 2 N −1 X X wi wj σij , i=1 j>i Statistica MMF 2007/08 G. De Luca allora X ∂σP2 = 2wi σi2 + 2 wj σij = 2σiP . ∂wi j6=i Infatti, dato un portafoglio P composto da N titoli presenti in proporzioni P (w1 , w2 , . . . , wN ) e dal titolo privo di rischio presente in proporzione 1 − i wi , la covarianza tra il rendimento del portafoglio e il rendimento di un generico titolo i è data da X wi )rf ) σiP = Cov(Ri , w1 R1 + w2 R2 + . . . + wN RN + (1 − i = w1 Cov(Ri , R1 ) + . . . + wi Cov(Ri , Ri ) + . . . + wN Cov(Ri , RN )) = w1 σi1 + . . . + wi σi2 + . . . + wN σiN . 6.10. IL CAPITAL ASSET PRICING MODEL 69 Quindi, alla fine, ∂σP σiP = . ∂wi σP Il rischio associato al titolo i, in questo contesto, non è dunque misurabile attraverso un indicatore della sua variabilità (es. la deviazione standard). Il rischio, in questo contesto, è rappresentato dal contributo del titolo i alla deviazione standard del portafoglio di partenza P , misurabile dal rapporto tra la covarianza tra il rendimento del titolo i e il rendimento del portafoglio P , indicata con σiP , e la deviazione standard del portafoglio P . A questo punto è necessario legare rendimento atteso e rischio. In relazione all’incremento della quota del titolo i, si definisce quindi il rapporto tra l’impatto sul rendimento atteso del portafoglio P (premio per il rischio) e l’impatto sul rischio dello stesso portafoglio, E(Ri ) − rf . σiP /σP (6.10) Si supponga di ripetere il ragionamento per il titolo j. Il rapporto tra il premio per il rischio e il rischio associato è dato da E(Rj ) − rf . σjP /σP (6.11) In una situazione di equilibrio, deve esserci uguaglianza tra (6.10) e (6.11), E(Rj ) − rf E(Ri ) − rf = . σiP /σP σjP /σP Se cosı̀ non fosse, uno dei due titoli sarebbe più conveniente dell’altro. A parità di rendimento atteso uno dei due titoli ha un rischio inferiore, oppure a parità di rischio uno dei due titoli presenta un rendimento atteso superiore. Tutti gli investitori acquisterebbero il titolo più conveniente, il suo prezzo aumenterebbe e il suo rendimento atteso cadrebbe, fino al punto in cui il rapporto di cui sopra diviene uguale per i due titoli. Naturalmente, l’uguaglianza deve valere non solo per due titoli, ma per tutti i titoli presenti sul mercato. E altresı̀ deve valere per ogni possibile combinazione di titoli, ovvero per ogni possibile portafoglio, e quindi anche per il portafoglio di partenza P , ovvero Statistica MMF 2007/08 G. De Luca E(Ri ) − rf E(Rj ) − rf E(RP ) − rf = = , σiP /σP σjP /σP σP P /σP dove è facilmente dimostrabile che σP P è pari a σP2 .4 E tutto ciò vale anche quando il portafoglio P è il portafoglio di mercato M , per cui E(Ri ) − rf E(RM ) − rf = . σiM /σM σM 4 Infatti 2. σP P = Cov(RP , RP ) = Var(RP ) = σP 70CAPITOLO 6. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO Da questa ultima relazione si ricava che E(Ri ) − rf = Ponendo βi = σiM 2 σM σiM 2 (E(RM ) − rf ) . σM , si giunge alla nota espressione del CAPM, E(Ri ) − rf = βi (E(RM ) − rf ) . (6.12) La (6.12) esprime la relazione tra il premio per il rischio del titolo i e il premio per il rischio del portafoglio di mercato. Il coefficiente βi è dato dal rapporto tra la covarianza tra Ri e RM e dunque è lo stesso β ricavato dal modello di mercato. e dunque ha la stessa interpretazione presentata qualche pagina addietro. 6.11 La critica di Roll Una delle più note critiche alla validità delle conclusioni tratte da un modello di mercato o dal CAPM è stata posta da Roll. La sua obiezione fa riferimento all’inosservabilità del portafoglio di mercato, e dunque alla impossibilità di disporre di dati sul suo rendimento. In pratica si utilizza una proxy, ovvero un portafoglio rappresentativo, generalmente costituito da un indice della borsa. Cosı̀ per l’Italia si può far riferimento all’indice Comit, oppure all’indice Mibtel. Per i dati americani si può utilizzare lo S&P500. In ogni caso si tratta di portafogli che sostituiscono il portafoglio di mercato. La critica di Roll è incentrata proprio su questa considerazione. La sua conclusione è la seguente: se il modello di mercato o il CAPM sembrano descrivere inadeguatamente la realtà osservata, sue sono le possibili cause: 1. l’effettiva inadeguatezza del modello a descrivere la realtà; 2. l’inadeguatezza del portafoglio utilizzato come proxy del portafoglio di mercato. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Capitolo 7 La distribuzione dei rendimenti finanziari Come si è visto nelle pagine precedenti, l’ipotesi di una distribuizione Gaussiana per i rendimenti finanziari non è supportata dall’analisi empirica. Utilizzando uno specifico test, il test di Jarque-Bera, presentato nelle pagine precedenti, l’ipotesi di normalità dei rendimenti viene costantemente rifiutata, in parte per l’asimmetria, ma molto più chiaramente per la curtosi. Nasce dunque l’esigenza di individuare una ipotesi distribuzionale che meglio si adatti alla realtà. Avere un valido modello teorico a disposizione aiuta per il calcolo di probabilità che potrebbero essere di interesse per gli operatori finanziari. Ad esempio, qual è la probabilità che il rendimento del titolo XXX possa scendere al di sotto del -4%? Il calcolo di questa probabilità con un modello errato porta a conclusioni errate. Si potrebbe sottostimare questa probabilità, trascurando l’eventualità di un evento che invece è più probabile di quanto non risulti. Al contrario, si potrebbe sovrastimare questa probabilità, con conseguenze opposte. Un’ipotesi più complessa, ma altamente flessibile, è rappresentata dalla mistura di due variabili casuali normali (o Gaussiane). La funzione di densità di una mistura di due normali è data da una media ponderata di due funzioni di densità Gaussiane, f1 (x) e f2 (x), con parametri µ1 e σ12 per la prima e µ2 e σ22 per la seconda, f (x) = pf1 (x) + (1 − p)f2 (x), Statistica MMF 2007/08 G. De Luca dove p è un parametro compreso tra 0 e 1. La mistura di due normali è ampiamente flessibile perché può dar luogo a densità molto differenti (simmetriche, asimmetriche, unimodali, bimodali). In questo contesto si è interessati ad una funzione di densità leptocurtica, ossia più alta di una normale in corrispondenza dei valori intorno alla media e dei valori lontani dalla media (ovvero nelle code). La ratio che giustifica l’utilizzo di una mistura di due distribuzioni normali può sintetizzarsi come segue. È noto che un’unica distribuzione normale non è idonea a descrivere il fenomeno dei rendimenti finanziari. E una dis71 72 CAPITOLO 7. LA DISTRIBUZIONE DEI RENDIMENTI FINANZIARI 40 35 30 25 20 15 10 5 0 −0.2 −0.15 −0.1 −0.05 0 0.05 0.1 0.15 0.2 Figura 7.1: Istogramma dei rendimenti del titolo Cattolica e funzione di densità stimata Gaussiana. tribuzione normale è caratterizzata da due parametri: la media µ e la varianza σ 2 . È altesı̀ noto che una varianza costante lungo un definito arco temporale è un’ipotesi restrittiva per i rendimenti finanziari. Con una mistura di due distribuzioni normali, entrano in gioco due medie, µ1 e µ2 , e due varianze, σ12 e σ22 . Con specifico riferimento a questi ultimi due parametri, l’esistenza di due varianze può essere interpretata come esistenza di due regimi per i rendimenti finanziari. Un regime è caratterizzato da bassa variabilità ed è rappresentato dalla distribuzione con varianza minore, il secondo regime è caratterizzato da alta variabilità ed è rappresentato dalla distribuzione con varianza maggiore. Il parametro p può quindi essere interpretato come la probabilità di osservare un regime e 1 − p è la probabilità di osservare l’altro regime. Si considerano i rendimenti del titolo Cattolica per il periodo dal 03/01/2002 al 30/12/2003. Il numero di rendimenti è pari a 501. Si intende studiare quale funzione di densità sia la più appropriata confrontando la funzione di densità Gaussiana e la funzione di densità di una mistura di due normali. Si stimano i parametri delle due distribuzioni con il metodo della massima verosimiglianza (i dettagli del metodo sono riportati successivamente). Per la funzione di densità Gaussiana risulta µ̂ = 0.00039 e σ̂ = 0.01503. Per la mistura di due normali, le stime risultano µ̂1 = 0.00116, σ̂1 = 0.01054, µ̂2 = −0.01013, σ̂2 = 0.04066 e p̂ = 0.9312. Si rappresentano le due funzioni di densità (normale e mistura di due normali) insieme all’istogramma dei dati (figure 7.1 e 7.2). Graficamente è evidente che la seconda ipotesi distribuzionale sia da preferire. In particolare si evidenzia l’esistenza di due regimi, uno dei quali presenta una deviazione standard quattro volte maggiore dell’altro. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 73 40 35 30 25 20 15 10 5 0 −0.2 −0.15 −0.1 −0.05 0 0.05 0.1 0.15 0.2 Figura 7.2: Istogramma dei rendimenti del titolo Cattolica e funzione di densità stimata della mistura di 2 Gaussiane. 1 0.9 0.8 0.7 0.6 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 −0.15 Figura 7.3: Cattolica. −0.1 −0.05 0 0.05 0.1 Funzione di distribuzione empirica dei rendimenti del titolo 74 CAPITOLO 7. LA DISTRIBUZIONE DEI RENDIMENTI FINANZIARI 0.08 0.06 0.04 0.02 0 −0.02 −0.04 −0.045 −0.04 −0.035 −0.03 −0.025 −0.02 −0.015 Figura 7.4: Particolare della funzione di distribuzione empirica dei rendimenti del titolo Cattolica. 1 0.9 0.8 0.7 0.6 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 −0.1 −0.05 0 0.05 0.1 0.15 Figura 7.5: Funzione di distribuzione empirica dei rendimenti del titolo Cattolica e funzione di distribuzione stimata Gaussiana. 75 7.1. IL CONFRONTO TRA PIÙ DISTRIBUZIONI 1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 −0.1 −0.05 0 0.05 0.1 0.15 Figura 7.6: Funzione di distribuzione empirica dei rendimenti del titolo Cattolica e funzione di distribuzione stimata della mistura di 2 Gaussiane. 7.1 Il confronto tra più distribuzioni Al fine di comparare più ipotesi distribuzionali, è possibile inoltre considerare il confronto tra le funzioni di distribuzione (o ripartizione) ipotizzate e la funzione di distribuzione empirica. Si ricorda che la funzione di distribuzione è definita da F (x) = P (X ≤ x). La funzione di distribuzione empirica, indicata con F̂ (x), è pari al numero di osservazioni effettivamente inferiori o uguali al valore x. Se si osservano i rendimenti rt di un titolo dal tempo 1 al tempo T , allora si può scrivere #{rt ≤ x} F̂ (x) = T dove il simbolo #{·} indica il numero di volte in cui si è osservato l’evento in parentesi. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Si rappresenta la funzione di distribuzione empirica dei rendimenti del titolo Cattolica (figura 7.3). Si noti che essa è una funzione a gradini. Un particolare di questa funzione è rappresentato in figura 7.4. Si rappresentano inoltre le funzioni di distribuzione della normale e della mistura di due normali insieme a quella empirica1 (figura 7.5 e 7.6). La funzione di distribuzione della mistura è più vicina alla funzione di distribuzione empirica. Quanto più la funzione di distribuzione ipotizzata si avvicina alla funzione di distribuzione empirica, tanto più affidabile è l’ipotesi. Il confronto può avvenire, oltre che graficamente, anche statisticamente, utilizzando un’appro- 1 Per una mistura di due normali, F (x) = pF (x) + (1 − p)F (x), dove F (x) e F (x) sono 1 2 1 2 le funzioni di distribuzione corrispondenti a f1 e f2 . 76 CAPITOLO 7. LA DISTRIBUZIONE DEI RENDIMENTI FINANZIARI priata procedura di test di ipotesi. Tra le procedure più diffuse, c’è il test di Kolmogorov-Smirnov. L’ipotesi nulla del test di Kolmogorov-Smirnov può sciversi come H0 : F (x) = F0 (x), ovvero la funzione di distribuzione è una particolare specificata funzione F0 (x). L’ipotesi alternativa è H1 : F (x) 6= F0 (x). Il test si basa sul massimo delle differenze in valore assoluto tra la funzione di distribuzione empirica e quella specificata, ovvero D = sup F̂ (x) − F0 (x) . Il valore ottenuto deve essere confrontato con dei valori critici opportunamente calcolati. Tuttavia, per un campione maggiore di 35, situazione sempre verificata per i rendimenti finanziari, si possono utilizzare delle approssimazioni fornite dagli stessi autori. In pratica, si calcola la statistica D, quindi si considera una regione critica definita da D ≥ √dαT con d0.05 = 1.358 e d0.01 = 1.628. Se, ad esempio, risulta D = 0.045 sulla base di un campione di numerosità T = 1500, allora la regione critica (rifiuto dell’ipotesi nulla) è definita da quei valori maggiori di √1.358 = 0.035. Poiché il valore D > 0.035, si rifiuta l’ipotesi 1500 che la distribuzione ipotizzata sia idonea per i rendimenti sotto osservazione. Per i rendimenti del titolo Cattolica si calcola il test di Kolmogorov-Smirnov per le due ipotesi distribuzionali considerate. Nel primo caso (distribuzione Gaussiana), risulta D = 0.115, nel secondo caso D = 0.057. La regione critica (α = 0.05) 1.358 = 0.061. Si rifiuta, quindi, l’ipotesi di è definita dai valori maggiori di √ 501 distribuzione Gaussiana, si ritiene accettabile l’ipotesi di una funzione di densità costituita come mistura di due distribuzioni normali. 7.2 Il metodo di stima della massima verosimiglianza Tra i metodi di stima, il metodo della massima verosimiglianza ha un ruolo primario nell’ambito della teoria statistica. Prima di descrivere il metodo con riferimento al problema trattato, si dà qualche esempio per chiarire la ratio sottostante al metodo. Si supponga di lanciare una moneta 10 volte e di ottenere 5 volte testa e 5 volte croce. È più verosimile ottenere tale esito quando le probabilità di ottenere testa e croce sono rispettivamente 0.5 e 0.5, oppure quando queste probabilità sono rispettivamente 0.7 e 0.3? La risposta è abbastanza intuitiva. È più verosimile ottenere tale risultato quando p = P(testa) = 0.5 e 1 − p = P(croce) = 0.5. Lasciando da parte l’intuizione e procedendo analiticamente, si calcoli la probabilità di osservare 5 testa e 5 croce nei due casi, ovvero con riferimento alle due diverse probabilità. Se si considera P(testa) = P(croce) = 0.5, la probabilità di osservare il risultato campionario in questione è Statistica MMF 2007/08 G. De Luca (P(testa))5 (P(croce))5 = (0.5)5 (0.5)5 = (0.5)10 = 0.00097. 7.2. IL METODO DI STIMA DELLA MASSIMA VEROSIMIGLIANZA 77 Se si considera la seconda popolazione, quella per la quale P(testa) = 0.7 e P(croce) = 0.3, la probabilità di osservare l’esito ottenuto è 5 5 5 5 (P(testa)) (P(croce)) = (0.7) (0.3) = 0.00040. È più probabile (verosimile) ottenere l’esito osservato quando P(testa) = P(croce) = 0.5. Si supponga ora di lanciare una moneta 90 volte e di ottenere 43 volte testa e 47 volte croce. Quali sono le probabilità di ottenere testa (p) e croce (1-p) in modo tale che l’esito osservato sia quello più verosimile? In tal caso non si confrontano diversi valori di p e 1 − p, ma si cerca direttamente il valore di p più verosimile, attraverso la massimizzazione di p43 (1 − p)47 . Si consideri ora il caso in cui si dispone di un campione costituito da 4 osservazioni estratto da una popolazione che si distribuisce come una variabile casuale normale: x1 = 4, x2 = 3, x3 = 5 e x4 = 4. È più verosimile ottenere tale campione quando si considera una variabile casuale normale con media µ = 4 e varianza σ 2 , oppure quando si considera una variabile casuale normale con media µ = 14 e varianza σ 2 ? La risposta è intuitiva. Avendo sotto osservazione solo realizzazioni intorno al 4 e sapendo che per una variabile casuale normale i valori più frequenti (e quindi più probabili) sono quelli intorno al valore medio, si può a ragione ritenere che la variabile normale con media 4 è quella che più verosimilmente ha generato il campione sotto osservazione. Da un punto di vista analitico si confronta il prodotto delle funzioni di densità dei 4 valori campionari sotto le due ipotesi. Nella prima ipotesi (popolazione normale con media 4 e varianza σ 2 ), il prodotto è pari a f (x1 )f (x2 )f (x3 )f (x4 ), ovvero 4 Y i=1 1 1 (xi − 4)2 √ exp − . 2 σ2 σ 2π Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Nella seconda ipotesi (popolazione normale con media 14 e varianza σ 2 ), il prodotto è pari a 4 Y 1 1 (xi − 14)2 √ exp − . 2 σ2 σ 2π i=1 Attribuendo a σ 2 un valore di 1, il primo prodotto restituisce un valore di 0.009318, mentre il secondo prodotto restituisce un valore prossimo allo zero. È più probabile (verosimile) ottenere il campione quando µ = 4. Se invece non si vuole limitare il confronto a due sole distribuzioni normali, ma si vuole considerare ogni possibilità, allora è necessario considerare un insieme infinito di distribuzioni normali, poiché infiniti sono i valori che il parametro µ può assumere. In questo caso qual è quel valore di µ tale che il 78 CAPITOLO 7. LA DISTRIBUZIONE DEI RENDIMENTI FINANZIARI campione osservato sia quello più verosimile? È necessario, cioè, trovare quel valore di µ che massimizza il prodotto f (x1 )f (x2 )f (x3 )f (x4 ), dove il parametro µ è l’incognita. Questa è l’essenza del metodo della massima verosimiglianza: cercare quei parametri della popolazione in base ai quali il campione sotto osservazione sia il più verosimile, ovvero il più probabile da osservare. In generale, avendo a disposizione un campione di T elementi, la funzione di verosimiglianza da massimizzare è data dal prodotto delle funzioni di densità e si indica con L(θ), dove θ è il vettore che contiene i parametri da stimare. Dunque T Y L(θ) = f (xi ). i=1 A fini computazionali, è più semplice massimizzare il logaritmo della verosimiglianza (log-verosimiglianza), ovvero ! T T Y X l(θ) = log f (xi ) = log f (xi ). i=1 i=1 Nel caso in cui si intenda stimare i parametri di una normale, ovvero la media µ e la varianza σ 2 , a partire da un insieme di T rendimenti, r1 , r2 , . . ., rT , la funzione di log-verosimiglianza da massimizzare è T l(µ, σ 2 ) = − T T 1 X (rt − µ)2 log(2π) − log(σ 2 ) − . 2 2 2 t=1 σ2 Nel caso in cui si intenda stimare i parametri di una mistura di due normali, ovvero le medie µ1 e µ2 , le varianze σ12 e σ22 , e il parametro p, a partire da un insieme di T rendimenti, r1 , r2 , . . ., rT , la funzione di log-verosimiglianza da massimizzare può essere scritta come Statistica MMF 2007/08 G. De Luca l(µ1 , µ2 , σ12 , σ22 , p) = T X t=1 log f (rt ) = T X t=1 log (pf1 (rt ) + (1 − p)f2 (rt )) , dove f1 (rt ) è la funzione di densità gaussiana con parametri µ1 e σ12 , mentre f2 (rt ) è la funzione di densità gaussiana con parametri µ2 e σ22 . Capitolo 8 Il Value at Risk Il Value at Risk (VaR) è uno degli strumenti più largamente utilizzati per misurare il rischio di mercato. Il VaR di una attività finanziaria è definito come la perdita che in uno specifico orizzonte temporale h (un giorno oppure due settimane) viene superata con una definita (bassa) probabilità (ad esempio 0.05 oppure 0.01). A tale misura fanno ampiamente ricorso banche e regulators in tutto il mondo; esso è quindi diventato uno strumento standard per stimare possibili perdite legate alla detenzione e al trading di attività finanziarie (non solo azioni, ma anche titoli derivati, come futures, opzioni, etc.). Il VaR viene presentato come un concetto finanziario, ma di fatto è un concetto statistico. Esso si concretizza, infatti, in un percentile della distribuzione delle perdite. Si proceda con ordine. Si supponga di detenere al tempo t un portafoglio il cui valore sia pari a 100.000 euro. Qual è la perdita che in un giorno può essere superata con una probabilità di 0.05 (5%)? In altre parole, qual è quella perdita tale che una perdita maggiore abbia una probabilità di verificarsi pari a 0.05 (5%)? Per rispondere a questa domanda, si deve conoscere la funzione di densità dei rendimenti giornalieri del portafoglio. Sulla base della storia passata, ovvero sulla base dei rendimenti giornalieri passati del portafoglio, si costruisce una distribuzione dei rendimenti. È necessario disporre, naturalmente, di un numero sufficiente di osservazioni (ad esempio tre anni) per poter ottenere risultati affidabili. Se il portafoglio è detenuto da un breve periodo (ad esempio una settimana) è comunque possibile ricostruire i rendimenti passati conoscendo i titoli che compongono il portafoglio e i rispettivi pesi. Si individua il quinto percentile della distribuzione pari, ad esempio, a −0.061. Si tratta di un rendimento negativo. Si moltiplichi -0.061 per il valore del portafoglio al tempo t. Si ottiene -6100. La perdita è dunque pari a 6100, Statistica MMF 2007/08 G. De Luca V aR0.05 = 6100. 79 80 CAPITOLO 8. IL VALUE AT RISK Infatti, se -0.061 è il quinto percentile della distribuzione dei rendimenti, allora la probabilità di osservare un rendimento inferiore a -0.061 è pari a 0.05, e dunque la probabilità di osservare una perdita maggiore di 6100 è pari a 0.05. È quindi possibile perdere in un giorno (è questo l’orizzonte temporale di riferimento) con quel portafoglio più di 6100 euro, ma la probabilità di questo evento è molto bassa (0.05). Naturalmente è anche possibile individuare il VaR con un diverso livello di probabilità (ad esempio facendo riferimento al primo percentile). In tal caso il VaR sarà rappresentato da un valore più elevato. Il calcolo del VaR poggia dunque in modo cruciale sulla distribuzione dei rendimenti (è la conoscenza della distribuzione dei rendimenti che consente di individuare il percentile di interesse). A diverse distribuzioni corrispondono diversi VaR. E la stima della distribuzione dei rendimenti è operazione meramente statistica. Si può procedere in vari modi. Una distinzione fondamentale è quella tra metodi non parametrici e metodi parametrici. 8.1 Metodi non parametrici Quando si considerano metodi non parametrici non si fa riferimento ad alcuna funzione di densità nota per la descrizione dei rendimenti finanziari. In altre parole, ci si basa esclusivamente sull’insieme dei rendimenti noti. Il percentile della distribuzione dei rendimenti si individua in maniera empirica. Se si intende calcolare un VaR al livello del 5%, il quinto percentile della distribuzione dei rendimenti è il percentile di interesse. Se si intende calcolare un VaR al livello dell’1%, il primo percentile della distribuzione dei rendimenti è il percentile di interesse. Affinché questa metodologia dia risultati affidabili, è generalmente consigliato di utilizzare un insieme di rendimenti che coprano un periodo non breve (almeno tre anni). 8.2 Metodi parametrici Statistica MMF 2007/08 G. De Luca I metodi parametrici fanno riferimento a distribuzioni dei rendimenti rappresentate da funzioni di densità note. La funzione di densità più diffusa è quella normale (o Gaussiana). Un primo metodo è quindi quello che considera la distribuzione normale dei rendimenti R con una certa media µ e una certa varianza σ 2 , R ∼ N(µ, σ 2 ), In questo caso il problema diviene il calcolo di un percentile di una distribuzione normale non standard. Definito Rα il percentile legato alla probabilità α, P (R < Rα ) = α, il suo calcolo avviene dopo aver individuato l’analogo percentile di una distribuzione normale standard. Se il livello di significatività precelto è pari al 5%, allora il quinto percentile della distribuzione normale standard è pari a −1.65. L’operazione di standardizzazione restitusce P R0.05 − µ Z< = 0.05 σ 81 8.2. METODI PARAMETRICI da cui R0.05 − µ = −1.65 σ e R0.05 = −1.65σ + µ. Un rendimento inferiore a −1.65σ + µ si verifica con una probabilità pari a 0.05. La perdita corrispondente a questo rendimento è −V0 R0.05 , ovvero −V0 (−1.65σ + µ) = V0 (1.65σ − µ), dove V0 è il valore del portafoglio detenuto. Dunque V aR0.05 = V0 (1.65σ − µ). È possibile avere una perdita superiore a V aR0.05 = V0 (1.65σ − µ) con una probabilità pari a 0.05. Esempio. Si dispone di un portafoglio per un valore V0 pari a 100.000 euro. Si ipotizza che la funzione di densità dei rendimenti giornalieri del portafoglio sia una distribuzione normale. La media e la varianza di questa distribuzione sono stimate dai dati passati (ad esempio due anni di rendimenti giornalieri); si ottengono µ̂ = 0.004 e σ̂ = 0.022. Fissato un livello di probabilità α = 0.05 e un orizzonte temporale di 1 giorno, si ricava V aR0.05 = = 100000(1.65 · 0.022 − 0.004) 100000(0.0323) = 3230. Con una probabilità del 5% si registra in un giorno una perdita superiore a 3230 euro. Risulta evidente che il VaR dipende dalla distribuzione scelta. Per i rendimenti finanziari, l’ipotesi di normalità è, però, ben lungi dall’esere plausibile. I test di normalità (ad esempio il test di Jarque-Bera) costantemente suggeriscono di rifiutare l’ipotesi di normalità per i rendimenti finanziari. Un modo migliore per l’individuazione del VaR è quello di partire da una diversa funzione di densità dei rendimenti. Una delle ipotesi distribuzionali che rappresentano i rendimenti finanziari in maniera soddisfacente, come visto, è la mistura di due normali. In questo caso, tuttavia, partendo dalla conoscenza dei parametri µ1 , µ2 , σ12 , σ22 e p, non esiste una formula per individuare un percentile. È necessario ricorrere a metodi di simulazione. Bisogna quindi generare N realizzazioni di quella variabile casuale e scegliere, empiricamente, il percentile di interesse. Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 82 CAPITOLO 8. IL VALUE AT RISK Statistica MMF 2007/08 G. De Luca Indice 1 Definizione di rendimento finanziario 2 L’analisi descrittiva dei rendimenti finanziari 2.1 Il valore medio . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 La deviazione standard . . . . . . . . . . . . . 2.3 L’asimmetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 La curtosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 L’autocorrelazione dei rendimenti . . . . . . . 2.6 L’autocorrelazione dei rendimenti al quadrato 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 7 8 10 13 15 17 3 L’analisi inferenziale dei rendimenti finanziari 3.1 Il valore medio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 La deviazione standard . . . . . . . . . . . . . . 3.3 L’asimmetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 La curtosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 L’autocorrelazione dei rendimenti . . . . . . . . 3.6 L’autocorrelazione dei rendimenti al quadrato . 3.7 Il test di Jarque-Bera . . . . . . . . . . . . . . . 3.8 L’assenza di ipotesi di normalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 21 24 24 26 27 29 30 31 4 L’analisi del portafoglio 33 4.1 La frontiera dei portafogli efficienti con N titoli rischiosi . . . . . 34 4.2 La frontiera dei portafogli efficienti in presenza di un riskfree . . 38 4.3 L’asset allocation . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca 5 La volatilità dei rendimenti finanziari 5.1 La volatilità storica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 L’Exponential Smoothing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3 I modelli di tipo ARCH . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.1 Il modello ARCH(1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.2 Test per la componente ARCH . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.3 Il modello GARCH(1,1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.4 Asimmetria nei modelli di tipo ARCH: il modello QGARCH 83 45 46 47 50 50 51 52 54 84 6 Modelli fattoriali per la misura del rischio 6.1 Il modello di mercato . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 L’inosservabilità del portafoglio di mercato . . 6.3 Le ipotesi del modello di mercato . . . . . . . . 6.4 La stima dei parametri . . . . . . . . . . . . . . 6.5 Le proprietà degli stimatori OLS . . . . . . . . 6.6 Inferenza sui parametri della regresione . . . . 6.7 La bontà di accostamento . . . . . . . . . . . . 6.8 Verifica delle ipotesi del modello di regressione 6.9 La stabilità del parametro βi . . . . . . . . . . 6.10 Il Capital Asset Pricing Model . . . . . . . . . 6.11 La critica di Roll . . . . . . . . . . . . . . . . . INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 55 56 57 60 62 63 64 65 66 67 70 7 La distribuzione dei rendimenti finanziari 71 7.1 Il confronto tra più distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 7.2 Il metodo di stima della massima verosimiglianza . . . . . . . . . 76 8 Il Value at Risk 79 8.1 Metodi non parametrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 8.2 Metodi parametrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 Statistica MMF 2007/08 G. De Luca