Il contesto - Sestante di Venezia

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Il contesto
La Patagonia cilena rappresenta uno dei pochi grandi spazi naturali al mondo, ancora oggi
incontaminato. E ‘un luogo di incredibile biodiversità che ospita una varietà di ecosistemi unici,
caratterizzati da numerose specie di piante e animali, tra uccelli, mammiferi, rettili e anfibi, molte
delle quali tuttora sconosciute.
Una ricchezza naturale da investigare, monitorare e conservare.
Caratterizzata da montagne, ghiacciai, fiumi, fiordi, paludi e foreste primarie, la Patagonia cilena è
anche una delle più grandi riserve d’acqua dolce sul pianeta, che possiede due dei più grandi campi
di ghiaccio dopo quelli del Groenlandia e dell’Antartico.
In particolare la regione di Aysén, sulla punta australe del continente, è una zona fondamentale per
gli ecosistemi unici che ospita, per le foreste native e le numerose specie endemiche che la
caratterizzano. Su questo territorio di 108.949 km2 (un terzo dell’Italia) fino a poco tempo fa
totalmente incontaminato, oggi vivono poco più di 90.000 persone, con una densità abitativa fra le
più basse al mondo (0.8 abitanti al km2). La maggior parte della popolazione vive nelle aree rurali e
l’economia della regione si basa essenzialmente sull’allevamento, l’agricoltura e l’ecoturismo.
Per millenni l’uomo ha vissuto su questo territorio in armonia con l’ecosistema, ma negli ultimi
decenni l’incremento demografico ha aumentato la pressione delle attività umane a causa
dell’intensificarsi di pesca, allevamento e deforestazione. Nonostante la densità di popolazione della
Patagonia rimanga una delle più basse al mondo, le attività umane hanno avuto nell’ultimo secolo
impatti rilevanti provocando un uso sempre più intensivo delle terre ed una progressiva diminuzione
delle risorse biologiche.
Il prezioso e fragile ecosistema è quindi oggi sempre più minacciato dallo sfruttamento forestale e
idroelettrico, dall’estrazione di idrocarburi e minerali e dagli allevamenti intensivi. A questo si
aggiunge la nuova minaccia rappresentata dal cambiamento climatico. Il ritiro dei ghiacciai
aumenta infatti pericolosamente, alimentando a livello planetario una crescente aridità delle zone
interne e frequenti inondazioni nelle zone costiere.
L’acqua, elemento fondamentale nella conservazione di tutti gli ecosistemi e degli equilibri
climatici globali è, oggi, una risorsa sempre più scarsa. Per questo va tutelata e il suo uso preservato
da uno sfruttamento indiscriminato.
Il problema
La nuova minaccia che grava sulla Patagonia cilena e sul territorio della regione dell’ Aysén è un
megaimpianto idroelettrico sui fiumi Baker e Pascua, due dei tre fiumi con la maggiore portata
d’acqua di tutto il paese: il Pascua è lungo 73 km con una portata di 700 m3/s, mentre il Baker 182
km, con una portata di 870 m3/s.
Questa zona è stata dichiarata dal governo regionale Area di Conservazione della Cultura e
dell’Ambiente (ACCA de la Patagonia) nel 2000.
Il mega-progetto che minaccia l’integrità della zona è promosso dal consorzio HidroAysén,
composto dai gruppi di Endesa (adesso controllato dal ENEL) e di Colbùn: è’ costituito da cinque
dighe, di cui due sul fiume Baker e tre sul fiume Pascua che produrranno in totale 2750 MW, una
quantità di energia pari a circa il 20% dell’intera capacità di generazione attualmente installata nel
paese. L’ 80% dell’energia prodotta in Cile, distribuita attraverso la rete nazionale (SIC – Sistema
Interconectado Central), è nelle mani di due sole società, Endesa Chile e Colbùn, ed il 37% di tutta
l’energia prodotta viene utilizzata per l’estrazione mineraria principalmente ad opera di
multinazionali straniere.
Si prevede di costruire le dighe entro il 2020.
Un po’ di numeri:
Il riempimento dei bacini sommergerà 5900 ettari di terra sulla quale sono ancora oggi presenti
alcune importanti foreste primarie. L’elettricità verrà trasportata 2450 chilometri più a nord
attraverso delle linee ad alta tensione sorrette da 6000 torri alte 70 metri.
Questa lunghissima linea attraverserà 4 parchi nazionali, 8 riserve forestali nazionali, 16 siti
prioritari per la conservazione della biodiversità, 3 zone turistiche di interesse nazionale, 26 zone
umide. Il progetto coinvolgerà 66 comuni e 9 regioni. Un’enorme cicatrice nella terra lunga 1600
chilometri e larga 120 metri dal costo indicativo di 3 miliardi di dollari. Le dighe costeranno 4
miliardi di dollari ed il ricavo annuale per Endesa Chile e Colbùn è stimato intorno ad un 1,2
miliardi di dollari l’anno.
3 agenzie di marketing e comunicazione sono state assoldate per aumentare il consenso intorno al
progetto e ripulire l’immagine delle società coinvolte: Burson & Marsteller, Young & Rubicam e
Tironi Associati.
Gli Impatti
A livello ambientale l’inondazione delle zone rocciose e dei boschi provocherebbe la perdita dell’
habitat di numerose specie animali che vivono lungo i due fiumi, dai grandi mammiferi ai più
piccoli insetti e anfibi. Le paludi della valle del Baker sarebbero completamente inondate mettendo
in pericolo la riproduzione e la nidificazione dei numerosi uccelli della regione.
Gli sbarramenti altererebbero la composizione chimica dell’acqua trattenendo alghe,
microrganismi acquatici ed altri nutrienti necessari per i pesci ed i mammiferi che abitano i fiumi.
La linea di trasmissione rappresenterebbe un ulteriore pericolo per gli uccelli della regione in
quanto barriera al loro libero spostamento.
Fra le specie animali più vulnerabili che rischierebbero l’estinzione si possono segnalare:
l’Huemul, il condor, la vizcacha australe (della famiglia dei chinchillidae, roditore
latinoamericano), il picchio nero, l’armadillo peloso, Il grigione minore e numerosi specie di papere
di fiume.
La costruzione delle cinque dighe danneggerebbe anche i laghi ghiacciati alimentati dal Pasqua e
dal Baker, in una zona in cui la loro scomparsa è sempre più frequente. Se in passato si verificava
la scomparsa di un lago ogni 20 anni, oggi si registra un lago in meno ogni 6-11 mesi. Le dighe,
poi, provocherebbero un ingrossamento dei fiumi a monte che farebbe aumentare le inondazioni
nelle zone circostanti e i rischi sismici.
Oltre agli impatti negativi sull’ambiente, a livello socioeconomico l’espropriazione delle terre per
far posto ai bacini ed alle infrastrutture idroelettriche priverà le comunità del loro unico mezzo di
sussistenza costringendole a trasferirsi altrove. Buona parte dell’insediamento abitativo di
Cochrane, il terzo per dimensioni della Patagonia, verrebbe sommerso. Tale cambiamento
causerebbe gravi perdite alla pesca, all’ allevamento e all’ecoturismo, motore economico dei
municipi di Cochrane, Tortel e O’Higgins
HidroAysén propone di mitigare questi impatti con un programma d’intervento di 150 milioni di
dollari, destinati agli studi per lo sviluppo turistico, la riforestazione di un’area di 4.500 ettari, la
creazione di una riserva naturale di 5.770 ettari, il trasferimento di 14 famiglie dalla zona coinvolta
nel progetto, la costruzione di 90 km di strade e il miglioramento di altri 187 km, e la realizzazione
di installazioni portuali e di un sistema di telecomunicazioni. Un piano di mitigazione che purtroppo
non garantirà la conservazione nè dello stile di vita e della cultura delle comunità colpite tantomeno
la biodiversità e l’integrità di una delle ultime regioni incontaminate del mondo.
Perchè diciamo NO
HidroAysén è un progetto anacronistico, distruttivo non necessario ed impopolare.
Uno studio condotto nel 2009 da esperti del settore energetico dell’Università di Santiago[1],
dimostra chiaramente come il progetto HidroAysén non sia una necessità. Secondo le stime della
Commissione Nazionale sull’Energia il fabbisogno energetico del Cile nel 2025 sarà pari a 22.736
MW. In Cile ci sono 4 reti elettriche di distribuzione, lo studio si sofferma sul Sistema di
Interconnessione Centrale (SIC) che attualmente serve il 92,5% della popolazione. La capacità di
generazione del SIC è attualmente pari a 9.118 MW.
Lo studio esamina tutti i progetti di generazione già approvati dalle agenzie governative calcolando
che essi immetteranno nelle rete elettrica centrale ulteriori 13.962 MW. A questi si aggiungono
altri progetti già in fase di valutazione ambientale che porteranno la capacità di generazione
elettrica nazionale a 23.080 MW, un potenziale addirittura maggiore delle stime della
Commissione. Ma non è tutto. Queste proiezioni non tengono conto dei nuovi investimenti nel
campo dell’ energia rinnovabile non convenzionale, che potrebbero aumentare la capacità di
generazione fino a 4565 MW.
Ma allora a chi serve veramente il progetto HidroAysén?
La storia del progetto HidroAysén ne ricorda tante altre. In America Latina, così come in Asia ed in
Africa il mito delle grandi infrastrutture ha attraversato, fra alti e bassi la storia dal secondo dopo
guerra ad oggi. Un mito profondamente legato alla modello energetico centralizzato ancora oggi
alacremente perseguito dalla maggior parte dei governi.
Sulle grandi dighe le compagnie occidentali hanno tratto enormi profitti, e continuano a farlo, molto
spesso con l’aiuto dei contributi pubblici destinati allo sviluppo.
Progetti che piacciono alle élite politiche locali di paesi non sempre democratici per l’intrinseca
caratteristica di concentrare grossi capitali dai quali ricavare facilmente qualche privilegio
individuale. Non bisogna sottovalutare l’influenza che le grandi società occidentali hanno
nell’orientare le scelte concrete dei governi di paesi con istituzioni deboli. Oggi le tecnologie
centralizzate sono indissolubilmente connesse alle politiche di dominio attuate dalle élite al potere:
tecnocrati, aristocrazie urbane e grandi imprese locali e internazionali nel nord e del sud del mondo
si arricchiscono su questi progetti scaricando i costi ambientali e sociali sui gruppi più deboli.
Produrre energia in luoghi scarsamente popolati, dove risiedono comunità storicamente
marginalizzate perché lontane dai centri economici nazionali, perché legate a tradizioni antiche,
perché minoranze linguistiche oppure perché indigene. Luoghi considerati “disabitati” dal potere
politico ed economico.
Luoghi che non si uniformano, non si alienano al modello dominante, e per questo sono invisibili,
non esistono.
In questi luoghi si pianifica lo sfruttamento ambientale, sociale, culturale per esportare il prodotto
finito altrove, nel cuore del potere economico e politico del nord e del sud del mondo. In questi
luoghi si devasta per produrre energia e trasportarla a migliaia di chilometri di distanza. La
Patagonia cilena è uno di questi luoghi.
Scarsamente popolata vive ancora di allevamento ed ha cercato negli ultimi anni di costruire
un’economia basata sull’eco-turismo. Le cinque dighe nella Patagonia cilena alimenteranno le
miniere di rame a nord di Santiago. Nessuna delle 9 regioni impattate dal progetto beneficerà
dell’elettricità prodotta. Il misero baratto proposto dal consorzio HidroAysén è uno sconto sulla
bolletta energetica.
Tratto da http://www.aktivamente.it/
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