REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
QUINTA SEZIONE CIVILE
Il dott. Roberto Ghiron, in funzione di Giudice Unico di primo grado, Quinta Sezione Civile del
Tribunale di Roma ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 7958/09 Ruolo Generale Contenzioso Tra
Mo.
elettivamente domiciliato in Roma, via (...) presso lo studio dell'avv. Cl.Ol. che lo rappresenta e
difende con procura in atti
Attore
E
Gi.e Ni. elettivamente domiciliati in Roma, via (...) presso lo studio dell'Avv. Gi.Ro. che li
rappresenta e difende unitamente all'avv. Ma.Fa. con procura in margine alla comparsa Convenuti.
FATTO E DIRITTO
Con citazione ritualmente notificata l'attore esponeva quanto segue. Che era proprietario di un
appartamento posto al secondo piano e facente parte del condominio sito in Roma, via (...). Che
nel novembre 2008 i convenuti, proprietari del sottostante appartamento, avevano realizzato nel
loro terrazzo - giardino una copertura costituita in pali e travi di legno sormontata da un telone
bianco aderente al muro perimetrale che andava a formare un ambiente nuovo. Che la copertura
giungeva a pochi centimetri dal piano di calpestio del balcone soprastante, di sua proprietà. Che
tale opera, integrante una nuova costruzione di natura permanente, ledeva il suo diritto di veduta,
la sua sicurezza (minacciata da terzi malintenzionati che potevano più facilmente entrare nel suo
appartamento) e la salubrità dei luoghi in quanto la copertura era diventata un ricettacolo di
fogliame e di escrementi di uccelli. Ciò premesso chiedeva che fosse accertato che il manufatto
contestato violava il suo diritto di comproprietà sul muro perimetrale e il suo diritto di veduta con
riferimento all'affaccio dal balcone ed a quello della vicina finestra nonché comprometteva la
sicurezza di cose e persone all'interno del suo appartamento e pregiudicava la salubrità
dell'ambiente. Chiedeva che, di conseguenza, parte convenuta fosse condannata alla rimozione
della copertura, alla riduzione in pristino dei luoghi ed al risarcimento dei danni da liquidare in via
equitativa. Spese rifuse.
Si costituivano i convenuti esponendo quanto segue. Che il manufatto era stato realizzato per
esigenze di privacy e che non violava le disposizione di cui all'art. 1102 c.c., applicabili nel caso in
esame. Che l'attore aveva collocato sul muro perimetrale esterno del fabbricato due voluminose
unità esterne per il condizionamento dell'aria ed una caldaia esterna per il riscaldamento che
pregiudicavano il decoro dell'edificio. Ciò premesso chiedevano che le avverse domande fossero
rigettate e che, in via riconvenzionale, l'attore fosse condannato alla rimozione delle opere
realizzate illegittimamente. Con vittoria di spese. Con la memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c. l'attore
eccepiva l'inammissibilità dell'avversa riconvenzionale in quanto non connessa con il titolo
dedotto in citazione e ne chiedeva, comunque, il rigetto. Espletata ctu e subentrato l'odierno
giudicante, venivano precisate le conclusioni come in atti e, all'udienza del 19/9/2012, la causa
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veniva trattenuta in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. In ordine alle domande avanzate da
parte attrice si appalesa in primo luogo necessario valutare l'applicabilità delle norme in tema di
distanze e vedute nei rapporti fra condomini.
Secondo il prevalente orientamento della S.C., in linea generale, le norme sulle distanze (artt. 873
e ss c.c.) e vedute (artt. 900 e ss. c.c.) sono applicabili anche nei rapporti fra condomini in un
edificio condominiale quando siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative
alle cose comuni (art. 1102 c.c.). Laddove vi sia contrasto (cioè laddove, in fatto, sia consentito un
uso più intenso della cosa comune in ragione dei luoghi e della conformazione dell'edificio)
prevalgono invece le norme speciali sulle cose comuni con conseguente inapplicabilità di quelle
sulle distanze o sulle vedute (Cass. 8978/03, Cass. 22092/11) così come rigidamente disciplinate in
particolare dagli artt. 873 e 907 c.c. Invero la peculiarità del condominio degli edifici, caratterizzato
dalla coesistenza di una comunione forzosa con proprietà esclusive, determina, dovendosi i
rapporti fra condomini ispirare a ragioni di solidarietà, la necessità di ricercare un costante
equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i condomini al fine di verificare che l'uso del bene
comune da parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli altri. Onde, se la controversia involva
anche rapporti di natura condominiale, trova applicazione esclusiva la normativa in tema di
condominio degli edifici rispetto a quella che, nell'ambito dei rapporti di vicinato, stabilisce le
limitazioni legali fra proprietà confinanti che sono imposte con carattere di reciprocità
indipendentemente dalla verifica di un pregiudizio derivante dalla loro inosservanza (così Cass.
7044/04).
Non nel senso che l'eventuale lesione del "diritto" a far osservare le distanze (cioè di dover subire
conseguenze pregiudizievoli dalla creazione di intercapedini) o le vedute (cioè di dover subire una
diminuzione del diritto di affaccio), che integrano limitazione legali al diritto di proprietà, non
possa trovare sanzione ma nel senso che la tutela di tali diritti, invece di trovare rigida
predeterminazione nella legge non valutabile in concreto, debba essere contemperata con i diritti
degli altri partecipanti si che, ad esempio, il diritto di veduta può ugualmente ritenersi tutelato
anche se la nuova costruzione sia posta a meno del limite legale predeterminato di tre metri a
fronte di una particolare situazione dei luoghi o di un contrapposto interesse ritenuto prevalente.
La norma di cui all'art. 1102 c.c. fissa, pertanto, in via esclusiva le condizioni di liceità della
condotta del partecipante alla comunione ed il limite dell'estensione del diritto di ciascun
comunista deve essere rinvenuto non nel sacrificare ma nel consentire il pari uso della cosa da
parte degli altri partecipanti senza alterazioni della cosa stessa. Di conseguenza, laddove il giudice
abbia verificato che l'uso del ben comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 c.c.,
deve ritenersi legittima l'opera seppur realizzata senza il rispetto delle distanze o delle vedute
come rigidamente previsto dalla normativa in tema di rapporti di vicinato non sembrando
ragionevole che siano imposti al singolo condomino, che si serva anche delle parti comuni per
migliorare il godimento del bene di proprietà individuale, limiti ulteriori oltre a quelli stabiliti dalla
specifica disciplina dettata in tema di condominio e comunione. Orbene nel caso in esame,
considerato che l'opera contestata (irrilevante in questa sede se sia stata o meno assentita dalla
p.a., v. Cass. 3031/09) insiste anche su parti comuni che ben possono essere oggetto di un uso più
intenso ed integra una "sopraelevazione" potenzialmente idonea a recare limitazioni al diritto di
affaccio degli altri partecipanti risultando inoltre ancorata sul muro perimetrale e che quindi si
applica la normativa di cui all'art. 1102 c.c., si deve verificare se sia idonea a ledere il pari uso del
condomino, proprietario dell'appartamento sovrastante che esercitava il diritto di veduta e che si
è doluto altresì di conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza e per la salubrità del suo
appartamento (tali sono le uniche contestazioni sollevate).
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Dall'espletata ctu e dalle fotografie acquisite agli atti è innanzitutto emerso che l'opera realizzata,
che non viola alcuna norma del regolamento del condominio, ha le caratteristiche della
costruzione di cui all'art. 873 c.c. essendo risultata stabilmente ancorata al suolo e realizzata con
materiali non facilmente amovibili quali, in particolare, il legno sottostante il materiale plastico
(che appare all'esterno) che funge da copertura al manufatto. Detto manufatto viola altresì la
normativa sulle distanze (art. 873 c.c.) e sulle vedute (art. 907 c.c.), come prevista in via generale
per tutti i rapporti di vicinato, essendo stato collocato a meno di tre metri dall'appartamento degli
attori. Ma, come sopra evidenziato, tali violazioni rimangono irrilevanti laddove parte convenuta
abbia rispettato i limiti posti dall'art. 1102 c.c.
Ritiene invero questo giudicante che l'opera realizzata da parte convenuta, contrariamente a
quanto affermato da parte attrice, non violi alcuna delle prescrizioni come espressamente
eccepite (parte attrice non contesta, invece, la violazione della statica e del decoro dell'edificio)
che regolano, in ambito condominiale, ai sensi della citata norma l'uso delle cose comuni e che,
quindi, sia irrilevante l'accertata violazione dei limiti imposti dalle suddette norme.
Invero il manufatto non appare avere pregiudicato la sicurezza dell'attore. Se, infatti, potrebbe in
astratto risultare più facile salire dal terrazzo dei convenuti per mezzo della contestata opera sino
all'appartamento degli attori (le cui finestre risultano, peraltro, tutte munite di inferriate) pur
tuttavia, per estranei che volessero illecitamente introdursi nell'immobile dei predetti, rimarrebbe
dapprima la necessità di superare il non contestato vuoto di molti metri esistente fra la terrazza ed
il piano stradale ovvero di forzare la porta sita in cima alla rampa di accesso al terrazzo (v.
fotografie in atti) senza voler considerare altresì che la struttura contestata potrebbe essere
utilizzata a tale illecito scopo solo parzialmente e non agevolmente atteso che solo le travi,
peraltro distanziate fra loro, ma non la copertura in pvc sarebbero in astratto idonee a sorreggere
il peso di un uomo (circostanza che in ogni caso non risulta positivamente dimostrata) e che in
particolare la finestra reca una sottostante preesistente tettoia che ben potrebbe essere parimenti
utilizzata per agevolare la temuta arrampicata di estranei malintenzionati (v. fotografie allegate
alla ctu).
Parimenti l'opera contestata non risulta avere leso la salubrità dei luoghi atteso che quanto
rappresentato da parte attrice (che la copertura avrebbe potuto diventare ricettacolo di foglie e di
escrementi di animali) non costituisce conseguenza della costruzione ma di fattori esterni le cui
conseguenze ben possono ugualmente essere rimosse tenendo pulita la copertura in pvc come del
resto, in precedenza, doveva essere tenuto pulito il terrazzo sottostante poi coperto. La lesione del
diritto di veduta avuto riguardo alle distanze minime come previste dall'art. 907 cc, lesione
valutabile in concreto alla luce della prevalenza dell'art. 1102 c.c., non appare inoltre di gravità
tale da dover soccombere, ove comparata riguardo all'interesse fatto valere da parte convenuta
con la realizzazione della struttura; interesse volto alla tutela della sua privacy. Invero a fronte di
una copertura, che peraltro involge solo parte del terrazzo, necessaria a tutelare un rilevante
interesse che giustifica un uso più intenso dei beni comuni e cioè a proteggere coloro che fanno
parte o frequentano la terrazza dei convenuti dalle intemperie e dallo sguardo dei vicini, numerosi
attesa l'allocazione della predetta terrazza alla base dell'edificio, la lesione della veduta appare
assai modesta e non meritevole di tutela prevalente se si considera che l'opera contestata, la
quale non è contigua ma rimane comunque alla distanza di un metro e mezzo dalla soglia del
parapetto del balcone sovrastante l'appartamento dell'attore, non diminuisce aria e luce e limita
solo la veduta in appiombo sostituendo quale "panorama", al pavimento della terrazza, la
copertura, seppur più ravvicinata, in pvc del manufatto.
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Non risulta, inoltre, che la maggior distanza da terra fosse sfruttata ulteriormente dall'attore (ad
esempio per stendere i panni). Si ritiene in definitiva che l'uso più intenso della cosa comune
realizzato da parte convenuta non superi, in concreto, i limiti posti dall’art. 1102 c.c.
Le domande avanzate dall'attore (di riduzione in pristino e di risarcimento dei danni) devono,
pertanto, essere rigettate.
Anche la domanda riconvenzionale avanzata dai convenuti, ammissibile per la comunanza della
situazione dalla quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti da individuare nei
reciproci rapporti di vicinato, deve essere inquadrata nell'ambito della disposizione di cui all'art.
1102 c.c. (Cass. 24006/04 e Cass. 8852/04).
Come considerato da una condivisibile giurisprudenza, va infatti ritenuto che l'installazione di un
condizionatore o di una caldaia sul muro perimetrale ben possa avvenire per iniziativa non solo
assembleare (con imputazione dell'opera all'intera collettività, anche con riferimento alla
ripartizione di costi) ma anche di gruppi di condomini ovvero di un solo condomino, in questo caso
con imputazione dell'opera e dei relativi costi ai soli condomini "promotori" e nel rispetto dei limiti
di cui all'art. 1102 c.c. quanto all'utilizzo di parti comuni per la realizzazione dei manufatti.
La decisione della presente controversia dovrà dunque essere condotta alla stregua di quanto
previsto dalla citata norma.
Ciò detto, si osserva quanto segue. È vero che il muro perimetrale, che appartiene a tutti i
condomini per l'intera estensione dalle fondamenta alla copertura, anche in corrispondenza dei
piani delle porzioni di proprietà esclusiva, adempie a talune funzioni principali indispensabili per
l'esistenza stessa dell'edificio, quali quelle di sorreggere il fabbricato, di proteggere le unità
abitative dagli agenti atmosferici, di consentire l'apertura delle porte e delle finestre. Ma il muro
perimetrale esplica altre importanti funzioni accessorie, inerenti al suo ruolo quale parte
essenziale della struttura del fabbricato: vale a dire, consentire l'appoggio di targhe, tubazioni,
travi, ecc. L'utilizzazione da parte del singolo condomino del muro perimetrale dell'edificio per le
sue particolari esigenze è legittima, sempre che non ne immuti la destinazione e non impedisce
l'altrui pari uso, nonché, ad un tempo, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza
dell'edificio e non ne alteri il decoro architettonico.
Per decoro architettonico dell'edificio, la cui violazione è specificamente contestata da parte
convenuta, deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture architettoniche,
che connotano il fabbricato e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia. L'alterazione
di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere, che immutino l'originario aspetto
soltanto di singoli elementi o punti dell'edificio, tutte le volte che l'immutazione sia suscettibile di
riflettersi sull'insieme dell'aspetto del fabbricato. Pertanto, l'utilizzazione del muro perimetrale da
parte del singolo condomino mediante l'apposizione di condizionatori o caldaie, non alterando in
sé la naturale e precipua destinazione del muro, costituisce normale esercizio del diritto di usare la
cosa comune, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1102 c.c., sempre, però, che non impedisca
l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro, nonché, ad
un tempo, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell'edificio e non ne alteri il decoro
architettonico.
Ciò posto, deve dunque verificarsi se, alla stregua dei dati di fatto processualmente acquisiti,
l'esecuzione dell'opera per cui è causa venga a configgere con i criteri d'uso della cosa comune ex
art. 1102 c.c. Al riguardo occorre premettere che, in base ai principi generali, la decisione non può
avere un contenuto astratto ma deve essere assunta sulla base delle prospettazioni concrete
avanzate dalle parti. Non può quindi affermarsi il diritto in astratto dell'attore ad installare una
caldaia o un condizionatore ma solo il diritto ad installare "quella" determinata caldaia o
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condizionatore la cui legittimità deve, infatti, essere valutare in concreto in base a tutti i parametri
di legge. Così, nel caso in esame, la valutazione di questo giudicante non può che avere
esclusivamente ad oggetto i manufatti come apposti dall'attore. Sulla base delle fotografie allegate
all'accertamento peritale, è emerso che i manufatti consistono in due motori di condizionatori
posizionati sotto il balcone dell'appartamento sovrastante ed in una caldaia parimenti installata
sul muro perimetrale sovrastante il balcone dell'attore. Ebbene la documentazione fotografica ha
consentito di acclarare la modesta dimensione degli apparecchi ed il loro posizionamento, in
particolare dei condizionatori, in zona di minore visibilità in quanto laterale e al di sotto del
soprastante balcone si che le opere contestate risultano obbiettivamente inidonee ad alterare il
decoro dell'edificio (peraltro di non particolare pregio architettonico) considerato altresì che
anche taluni dei piani superiori risultano essere oggetto di medesime apposizioni e, in ogni caso,
che non appare essere, tale eventuale incidenza sul decoro, prevalente rispetto alle esigenze
dell'attore di beneficiare di apparecchiature di comune uso che possano rendere la vita più
comoda e confortevole. Peraltro, in particolare la caldaia, deve essere posta, per ragioni di
sicurezza, all'esterno delle abitazioni e non sono emerse soluzioni alternative anche alla luce della
configurazione del fabbricato che non sembra recare un netta differenza fra lato servizi e lato
suscettibile di maggiore tutela estetica.
La reciproca soccombenza legittima la compensazione delle spese di lite fra le parti. Spese di ctu
da attribuire nella misura del 50% a carico di ciascuna delle parti.
P.Q.M.
definitivamente decidendo, ogni ulteriore eccezione disattesa, rigetta sia le domande avanzate
dall'attore che la riconvenzionale avanzata da parte convenuta. Spese di lite compensate. Spese di
ctu da attribuire nella misura del 50% a carico di ciascuna delle parti.
Così deciso in Roma il 24 dicembre 2012.
Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2013.
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