AMSICORA, CHI ERA COSTUI? UN ASCARO O UN EROE SARDO di Francesco Casula Amsicora secondo la versione di Tito Livio Parafrasando il Manzoni (1) dovremmo chiederci – più che per Carneade – “ Amsicora, chi era costui? “ La sua figura è stata costruita in buona sostanza sulla base dell’opera storica di Tito Livio “Ab urbe condita“ che tratta dalle Origini al 9 a.c. in 142 libri che per la gran parte sono andati persi. Nel I secolo d.c. furono riassunti .Oggi possediamo i libri: I-X ( fino al 293 a.c.) XXI-XXV ( dal 218 al 167 ) oltre a frammenti, sommari e compilazioni varie. Livio scrive 200 anni dopo i fatti che riguardarono Amsicora essendo nato il 59 a.c. e morto il 17 d.c. Occorre ricordare che la storiografia repubblicana è dovuta di norma a uomini politici, spesso protagonisti della storia che raccontano. Livio rappresenta un’eccezione, perchè non ricoprì mai cariche politiche. Il suo lavoro riflette comunque le tendenze conservatrici dell’oligarchia senatoriale, pur essendo lui esponente di una borghesia municipale. Per cui accetta il patrimonio leggendario delle origini romane, idealizzando le virtù patrie secondo un’ottica etico-politica tradizionalista.Il suo attaccamento alle tradizioni di Roma è infatti totale come è intransigente la sua fedeltà agli ideali della Repubblica oligarchica di cui – a suo parere – i patrizi sono i depositari della santità e della legalità La Storia è da lui intesa come diletto e ammaestramento che lo portano ad alterare le vicende storiche: di qui il prevalere degli interessi letterari e morali su quelli storici, soprattutto nella narrazione del periodo più arcaico Livio è infatti persuaso che quella di Roma fosse una storia provvidenziale,una specie di storia sacra, quella del popolo eletto dagli dei. Deriva da questa convinzione la più attenta cura a far risaltare tutti gli atti e tutte le circostanze in cui la virtus romana ha rifulso.Tutto ciò è chiaramente adombrato anche nel Proemio, dove si insiste sul carattere tutto speciale del dominio romano provvidenziale e benefico anche per i popoli soggetti:” Se a qualche popolo è opportuno permettere che circondi le proprie origini col fascino della sacralità e le attribuisca agli dei, è anche da rilevare che la maggior gloria del popolo romano in guerra è che sebbene esso vanti particolarmente Marte come primogenitore suo e del suo fondatore <Romolo>,le nazioni della terra sopportino questo vanto con la medesima buona disposizione con cui si assogettano al suo dominio. Di qui l’impegno politico che porta Livio ad esaltare i grandi valori etici, religiosi e patriottici dell’antica Roma sulla base del “ Tu regere imperio populos , Romane, memento” ( Ricordati, Romano, che tu devi dominare gli altri popoli) e del “ Parcere subiectis et debellare superbos” ( Occorre perdonare chi si sottomette ma distruggere chi resiste. Per cui, nonostante l’entusiastico giudizio di Tacito ( 2 ) “Livius primus praeclarus in fidei”(Livio,primo fra tutti gli storici,è il più degno di fede) confermato indirettamente dal dettodantesco:”Livio che non erra”, occorre tener conto che” la critica moderna ha demolito questa fama immeritata…. e chi volesse farsi un’idea precisa delle campagne militari romane attraverso Livio, finirebbe per non capire nulla”:si esprime testualmente in questo modo il grande latinista Ettore Paratore ( 3 ). Ma ecco la pagina – tratta dal Libro XXIII,40 delle sue Storie – che parla di Amsicora. Riporto – per ovvi motivi – solo la traduzione in italiano. “ Ormai i Sardi erano stanchi della lunga dominazione romana, oppressi da gravi tributi e da una sproporzionata prelevazione di grano, e chiedevano soltanto un capo su cui fare affidamento. Questo appello fu portato a Cartagine dai Sardi più eminenti: più di tutti solleci1 tava l’intervento Amsicora, primo fra tutti i Sardi per autorità e ricchezze. A Roma frattanto, il Senato decretava l’aaruolamento di una legione da inviare in Sardegna al comando di Tito Manlio Torquato, che già aveva sconfitto i Sardi < nel 235>: il console, condotte le navi da guerra a Cagliari e armati anche i marinai, ricevette l’esercito < che presidiava l’Isola> e radunò così 22.000 fanti e 1.200 cavalieri. Quindi marciò contro i nemici e pose il campo non lontano da quello di Amsicora. Questi si trovava presso i Sardi Pelliti per arruolarvi dei giovani, mentre suo figlio Iosto comandava l’accampamento: imbaldanzito dalla giovane età, costui attacco sconsideratamente battaglia e venne sbaragliato e volto in fuga: 30.000 Sardi rimasero sul campo e circa 1.300 caddero prigionieri: il resto dell’esercito dapprima fuggì, vagando per i boschi e le campagne, poi, essendosi diffusa la notizia della fuga del capo, si concentrò nella città di Cornus, capoluogo della regione. Quella battaglie sarebbe stata decisiva < per i Romani> se non fosse giunta la flotta<cartaginese> di Asdrubale: Manlio accorse a Cagliari, dando ad Amnsicora la possibilità di unirsi ai Punici.Asdrubale fece sbarcare le truppe e, al comando di Amsicora, l’esercito partì per devastare il territorio degli alleati di Roma. Sarebbe giunto fino Cagliari se Manlio non avesse contrastato con l’esercito il suo sfrenato saccheggio. dapprima i due schieramenti si tennero a distanza, quindi iniziarono le scaramucce e i piccoli scontri, infine si giunse alla vera battaglia, che durò quattro ore. Poichè i Sardi erano avvezzi ad essere facilmente battuti, furono i Punici che lottarono a lungo con esito incerto, ma quando la strage e la fuga dei Sardi fu completa,anch’essi vennero sbaragliati: furono circondati dall’ala dell’esercito romano che aveva messo in fuiga i Sardi e allora la carneficina fu peggiore della battaglia. I nemici ebbero 22.000 morti, persero 27 insegne e circa 3.700 prigionieri fra Sardi e Punici: nel combattimento si comportò splendidamente il comandante Asdrubale, fatto prigioniero coi cartaginesi Annone e Magone. Nè i capi dei Sardi resero meno degna con la loro morte quella battaglia: Iosto infatti cadde sul campo e Amsicora, che fugguva con pochi cavalieri quando seppe della strage e della morte di suo figlio, durante la notte ,perchè nessuno potesse impedirglielo, si diede la morte”. E’ questo il testo base sul quale storici antichie e moderni hanno costruito la figura di Amsicora.Da questo in sintesi emerge che : Amsicora era, allora, ( tum ) “ auctoritate at opibus longe primus “ ( XXIII,32 ): di gran lunga primo fra tutti i Sardi per autorità e ricchezze. Il giudizio liviano porterà storici antichi e moderni a considerare Amsicora come il maggior rappresentante di quel ceto di latifondisti e proprietari terrieri dell’Oristanese e di Cornus, la capitale, “ caput eius regionis “.Piero Meloni (4) nella sua < Storia della Sardegna romana> lo definisce “ Tra i più grandi latifondisti sardo-punici del basso Tirso”. Mi chiedo: perchè sardo-punico? La risposta che ci viene data è questa: la scelta filocartaginese era evidente sin dai primi anni della dominazione romana e soprattutto con la guerra del 215 quando assistiamo appunto – sempre secondo il Meloni – alla piena identificazione con i ruoli e i destini dell’aristocrazia punica da parte dell’aristocrazia locale. Dunque Amsicora apparterrebbe all’aristocrazia punicizzata e sarebbe “ punicizzato “ non solo per interessi ma per cultura e sentimenti.Tanto che molti Sardi delle pianure e delle coste, legati al carro degli interessi cartaginesi si difenderanno dagli attacchi degli indigeni dell’interno al fine di assicurarsi un pacifico sviluppo con numerose posizioni fortificate, già nella prima metà del secolo V: a Ozieri come a Pozzomaggiore, a Bultei come a Bolotana, ad Abbasanta,a Tadasuni e addirittura nelle campagne di Gavoi, Aritzo, Lanusei,Perdasdefogu:così almeno secondo Ferruccio Barrecca ( 5) che a questo proposito parla di rinvenimenti di monete singole o in gruzzolo. Ciò detto, rimando per adesso l’interpretazione di “auctoritate“ e analizzo le aporie e contraddizioni – a mio parere – contenute nella pagina liviana: 2 1) Iosto, figlio di Amsicora, mentre il padre si trovava presso i Sardi Pelliti, preso dalla baldanza giovanile avrebbe attaccato sconsideratamente i Romani e sarebbe stato sconfitto e ucciso,volto in fuga l’esercito dei Sardi con 30.000 morti e 1.300 prigionieri. Dopo tale colossale disfatta inflitta ai Sardi il console Tito Manlio Torquato invece di inseguire il resto dell’esercito e occupare Cornus – aveva ben quattro legioni! – volge le spalle al nemico e si trincera a Cagliari. A questo proposito c’è da chiedersi – come si domanda il Carta Raspi ( 6) in < Storia della Sardegna>: “Perchè Manlio non attacca i Cartaginesi che sbarcavano non lontano dagli accampamenti romani con circa 10.000 fanti e alcune centinaia di cavalieri mentre il console romano aveva il doppio di effettivi 22'000 fanti e 1.200 cavalieri?” 2) Nella seconda battaglia, svoltasi pare, nei pressi di Assemini, dopo la morte di Iosto, i Sardi e i Cartaginesi ebbero 12.000 morti, persero 27 insegne e circa 3.700 prigionieri. Sempre, naturalmente secondo Livio o meglio – in questo caso – secondo Valerio Anziate, ( 6) da cui pare, abbia attinto i dati. E Amsicora, quando seppe della morte del figlio si sarebbe ucciso.( Duodecim milia hostium caesa Sardorum simul Poenorum, ferme tria milia et septingenti capti et signa militaria septe et viginti.... et Hamsicora cum paucibus equitibus fugiens, et super adflictas res necem quoque filii audivit, nocte, ne cuius interventus coepta impediret, mortem sibi conscivit” ( Ab Urbe condita,XXIII,40,9). Dopo tale vittoria Manlio Torquato – che a parere di Teodor Mommsen ( 7) in < Storia di Roma antica>: “ distrusse interamente l’esercito sbarcato dei Cartaginesi e conservò di nuovo ai Romani l’incontrastato possesso dell’Isola – trionfante, parte per Roma a portarvi il lieto annuncio della Sardegna “ vinta e domata persempre”. Dopo poco più di 30 anni – è lo stesso Livio a dircelo – questa Sardegna vinta e domata per sempre insorge di nuovo: “ In Sardinia magnum tumultum esse cognitum est....Ilienses adiunctis Balanorum auxiliis pacatam provinciam invaserant...” Evidentemente era stata “conquistata ma non convinta nè domata” – intendendo per Sardegna,la regione della montagna, “perché questa fu la ribelle…con i fierissimi Iliesi e Balari” almeno secondo Salvatore Merche,(8) storico sardo dell’inizio del ‘900. Nel 181 a.c la ribellione sarà duramente repressa dal pretore Marco Pinario Rusca Nuovi movimenti di rivolta ci saranno nel 178, con massicci interventi militari romani. Il pretore Tito Ebuzio invierà al Senato romano il figlio comunicando che in Sardegna vi erano grandi rivolte.Gli Iliesi con l’aiuto dei Balari avevano attaccato la Provincia - la zona controllata da Roma – e i Romani non potevano opporre resistenza perchè le truppe erano colpite da una grave epidemia, forse la malaria. Nel 177 e 176 nuove e potenti sommosse contringeranno il Senato romano ad arruolare sotto il comando del console Tiberio Sempronio Gracco – lo stesso console della conquista romana del 238-237 - due legioni di 5.200 fanti ciascuna, più di 300 cavalieri, 10 quinquiremi cui si associeranno altri 12.000 fanti e 600 cavalieri fra alleati e latini. Commenta Salvatore Merche nell’opera citata (9) : “ La grandezza di questa spedizione militare e lo sgomento prodotto nell’urbe dal solo accenno a una sollevazione dei popoli della montagna, dimostra quanto questi fossero terribili e temuti, anche dalla potenza romana, quando si sollevavano in armi .Evidentemente poi, perdurava in Roma la terribile impressione e i ricordi delle guerre precedenti con i Pelliti di Amsicora e di Iosto, nelle quli i Romani avevano dovuto constatare d’aver combattuto con un popolo d’eroi, disposti a farsi ammazzare ma non a cedere”. Alla fine dei due anni di guerra – ne furono uccisi 12 nel 177 e 15 nel 176 - nel tempio della Dea Mater Matuta a Roma fu posta dai vincitori questa lapide celebrativa, riportata da Livio." ”otto il comando e gli auspici del console Tiberio Sempronio Gracco la legione e l’esercito del popolo romano sottomisero la Sardegna. In questa Provincia furono uccisi o catturati più di 80.000 nemici. Condotte le cose nel modo più felice per lo Stato romano, liberati gli amici, restaurate le rendite, egli riportò indietro l’esercito sano 3 e salvo e ricco di bottino, per la seconda volta entrò a Roma trionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha dedicato questa tavola a Giove”. Gli schiavi condotti a Roma furono così numerosi che “ turbarono “ il mercato degli stessi nell’intero mediterraneo, facendo crollare il prezzo tanto da far dire a Livio “ Sardi venales “: da vendere a basso prezzo. Ma le rivolte non sono finite neppure dopo il genocidio del 176 da parte di Sempronio Gracco. Altre ne scoppiano nel 163 e 162. Non possediamo – perchè andate perse le Deche di Tito Livio successive al 167 – sappiamo però da altre fonti che le rivolte continueranno: sempre causate dalla fiscalità esosa dei pretori romani e sempre represse brutalmente nel sangue.Così ci saranno ulteriori guerre nel 126 e 122:tanto che l’8 Dicembre di quest’anno viene celebrato a Roma il trionfo “ ex Sardinia “ di Lucio Aurelio; nel 115-111, con il trionfo il 15 Luglio di quest’anno di Marco Cecilio Metello ben annotato nei Fasti Trionfali, e infine nel 104 con la vittoria di Tito Albucio, l’ultima ribellione organizzata che le fonti ci tramandano, ma non sicuramente l’ultima resistenza che i Sardi opposero ai Romani, Lo stesso Livio – che scriveva alla fine del I secolo a.c. affermerà – soprattutto a proposito degli Iliesi - che si tratta di “ gente ne nunc quidem omni parte pacata “. Il che trova conferma in un passo di Diodoro Siculo( 10), da riportarsi a questo stesso periodo, secondo il quale gli abitanti delle zone montuose sarde, ai suoi tempi:” Ancora hanno mantenuto la libertà”. Altro che Sardegna pacificata o Sardi “ avvezzi ad essere battuti facilmente” ( facile vinci ) come sostiene Livio e di cui ora parlerò. 3) I Sardi dunque – secondo Livio – erano avvezzi ad essere facilmente battuti. Ma come fa a sostenere ciò. A parte quanto succederà dopo il 215 – e che ho testè documentato – non conosce forse lo storico romano quanto è successo prima, dal 238 almeno? Fin dal 236 infatti, due anni dopo la conquista da parte romana del centro sardo-punico della Sardegna, i Romani – come annota brevemente Giovanni Zonara(11), risalendo a Dione Cassio( 12) – condussero operazioni contro i Sardi che rifiutavano di sottomettersi. Nel 235, sobillati – a parere di Zonara – dai Cartaginesi che “ agivano segretamente “ ,i Sardi si ribellano e vengono repressi nel sangue da Manlio Torquato – lo stesso console che sarà scelto per combattere Amsicora - che celebrerà il trionfo sui Sardi, il 10 Marzo del 234 come attesteranno i Fasti trionfali capitolini. Nel 233 ulteriori rivolte saranno represse dal Console Carvilio Massimo, che celebrerà il trionfo il Primo Aprile del 233. Nel 232 sarà il console Manio Pomponio a sconfiggere i Sardi e a meritarsi il trionfo celebrandolo il 15 Marzo. Nel 231 vengono addirittura inviati due eserciti consolari, data la grave situazione di pericolo ,uno contro i Corsi, comandato da Papirio Masone e uno, guidato da Marco Pomponio Matone, contro i Sardi.I consoli non otterranno il trionfo, a conferma che i risultati per i Romani furono fallimentari. E a poco varrà a Papirio masone celebrare di sua iniziativa il trionfo negatogli dal senato, sul monte Albano anzichè sul Campidoglio e con una corona di mirto anzichè di alloro. In questa circostanza il console Matone – la testimonianza è sempre di Zonara– chiederà segugi addestrati nella caccia e adatti nella ricerca dell’uomo per scovare i sardi barbaricini che, nascosti in zone scoscese e difficilmente accessibili infliggevano dure perdite ai Romani. Nel 226 e 225 si verificherà una recrudescenza dei moti, ma ormai – come sottolinea Meloni nell’opera già citata – “ Roma è intenzionata fortemente al dominio del Mediterraneo e dunque al possesso della Sardegna che continua ad essere di decisiva importanza” e l’Isola unita con la Corsica – come la Sicilia – dopo il 227 ha avuto la forma giuridica di Provincia con l’invio di due pretori per governarla. 4 4) Livio parla di “ Sociorum populi romani “ ( alleati di Roma )e in un’altro passo di “ Comunità sarde, amiche di Roma che contribuirono <benigne> con tributi e con la decima, visto che non si poteva pagare il soldo ai militari nè distribuire viveri”. Ma a chi allude? Ma non è lui stesso, in altri passi delle sue “ Storie “ a sostenere che le popolazioni vennero multate per aver partecipato al conflitto? Obbligate a pagare gravi tributi in denaro e frumento? E non in base alle possibilità contributive ma semplicemente per aver partecipato alla rivolta a fianco di Iosto e Amsicora? La verità è che in Sardegna non esistevano popolazioni amiche dei Romani: del resto è lo stesso Cicerone (13) a confermarlo nell’Orazione“ Pro Scauro “ in cui afferma che non vi era fino a quel tempo <215> in Sardegna neppureuna città amica dei Romani:” ...quae est enim praeter Sardiniam provinciam, quae nullam habeat amicam populo romano ac liberam civitatem? 5) Livio parla di Iosto ucciso in battaglia, Silio Italico (14) scrive che fu ucciso dal poeta latino Ennio(15). Questi nella sua opera “ Annales “ non fa cenno di questo episodio. Tenuto conto di tutte queste contraddizioni – probabilmente spiegabili con il fatto che Livio scrive di questi avvenimenti più di 200 anni dopo sulla base magari dei resoconti degli stessi consoli interessati a inghirlandarsi con trionfi e vittorie o di storici non proprio veritieri come Valerio Anziate(16) – occorre affermare comunque che anche per lo storico latino Amsicora era un Sardo. Solo il Pais (17), fra gli storici afferma che era cartaginese.Non si spiegherebbe infatti il nome, che di fenicio non ha neppure l’ombra, come del resto quello del figlio Iosto. Entrambi i nomi infatti sono di origine anatolica e quello di Amsicora ( Hamsagoras ) forse teoforo o dovuto a pregi fisici e spirituali. Secondo Barrecca (18) – nell’opera già citata -“ nel suo nome non vi è alcun carattere semitico. vi è anzi un’analogia indiscutibile con l’idronomo libico, Hamsagora, ma potrebbe anche trattarsi di un fenomeno dovuto al sostrato linguistico protosardo,per nulla rivelatore di un’ascendenza africana del personaggio. Si dirà comunque che era un sardo-cartaginese per i suoi interessi di grande latifondista, integrato nell’aristocrazia punicizzata. Insomma una sorta di ascaro. Ma come spiegare in questo caso la sua “ auctoritate “ , il suo prestigio che si estendeva oltre il suo territorio di Cornus e dell’Oristanese, presso altre genti e città e persino presso le popolazioni nuragiche? E a questa “ auctoritate “ che carica corrispondeva? Dobbiamo accettare l’ipotesi di Carta- Raspi (19) – nell’opera citata – secondo cui era “ Giudice di Cornus avendo il comando militare e politico civile”? Secondo lo storico sardo infatti la più alta magistratura della citta di Cornus era quella dei Giudici, corrispondente all’arconte greco o al console romano o al sufeto delle città fenicie. I “ principes “ liviani – tradotti genericamente come < più eminenti> costituirebbero il Senato e Amsicora proprio quell’anno – indicato dal “ tum “( allora ) di Livio, nel 215, sarebbe stato eletto giudice, esplicando la duplice funzione di comandante militare e politico che nel mondo antico troviamo per un breve periodo presso il popolo ebraico: dalla morte di Giosuè nel secolo XIII agli inizi della monarchia nel secolo XI con il re Saul,(20) Senza quest’autorità ma soprattutto senza un prestigio anche presso i Sardi Pelliti come avrebbe potuto recarsi presso di loro per chiedere e sollecitare il loro aiuto nella guerra contro Roma? ( “ Hamsicora tum forte profectus erat in Pellitos Sardos ad iuventutem armandam; quas copias augeret....Ab Urbe condita,XXIII,40 ). Ma soprattutto: come sarebbe potuto riuscire a far intervenire nella guerra le tribù della montagna dell’interno? Non si tratta forse degli stessi sardi che intorno alla metà del VI secolo avevano lanciato una grande offensiva contro i Cartaginesi fino a distruggere la fortezza di Monte Sirai? Non erano gli stessi indigeni dell’interno che nel decennio 545-535 si erano scontrati con Malco, il generale e re guerriero cartaginese, sconfiggendolo sonoramente e più volte tanto da far dire a Iustino (21) – ci ricorda Lilliu ( 22) che i Cartaginesi: “ Amissa maiore exercitu parte, 5 gravi proelio victi sunt: iterum infelicius victi sunt” ( Persa la gran parte dell’esercito, vengono sconfitti sonoramente e più volte). E non sarà quello stesso fronte nazionale sardo , sconfitto nel 509 da Asdrubale e Amilcare, dopo circa 25 anni di operazioni militari, a entrare in perenne conflitto con i Cartaginesi, in quanto si vedeva progressivamente defraudato di lembi di territorio fertile da parte dei ricchi mercanti e latifondisti insediatisi lungo le coste? Proprio in quell’anno, nel 509, i Cartaginesi imposero ai popoli del Mediterraneo – fra cui i Romani – il divieto di commerciare in Sardegna senza il loro permesso, almeno nella parte da essi controllata. Una parte ampia della Sardegna che andava dall’altopiano di Campeda ( Padria-Bonorva), dalla dorsale del Goceano ( Bolotana- Macomer)e dal Medio Tirso ( Sedilo-Neoneli-Fordongianus) fino alle pendici del Sarcidano ( Asuni-NureciGenoni-Isili) e del basso Flumendosa ( Goni-Ballao-Villaputzu) “ Una simile clausola – scrive Barrecca ( 23) nell’opera citata – presupponeva da parte di Cartagine un effettivo dominio sulla Sardegna e specialmente su tutte le coste, così da essere in grado di impedire a chiunque di mettere piede e commerciale ad insaputa dei propri rappresentanti locali .E’ a tal fine che si dotano di un possente sistema fortificato posto lungo i confini e all’interno di quei territori” , come abbiamo visto. C’è da chiedersi a questo punto perchè Cartagine non porti a compimento la conquista della Barbagia. ” Probabilmente – scrive ancora Barrecca ( 24) –“Perchè non aveva alcuna intenzione a proseguire in quei territori, impervi e per lei praticamente privi di importanza economica, una guerra inevitabilmente lunga e quindi costosissima, per le ingenti forze mercenarie che avrebbe dovuto impegnarvi. Meglio era lasciare quei territori ai protosardi e accontentarsi di sorvegliare le loro mosse per mezzo di guarnigioni arroccate su posizioni strategiche, opportunamente scaglionate ai margini delle terre conquistate. Questo rientrava nella mentalità cartaginese, sempre decisamente contraria alle imprese militari che non fossero motivate da gravi necessità di difesa o da importanti interessi economici". Al contrario di Roma che invece doveva comunque conquistare per “ regere imperio populos, debellando superbos”. Così Cartagine dopo la guerra dei Magonidi per tutto il secolo V e parte del IV non ebbe più motivi di condurre in Sardegna operazioni militari. Evidentemente- cito ancora Barrecca (25) “- la vittoria sui Barbaricini era stata completa, anche se – ovviamente – non è da escludere che sino avvenuti ripetuti scontri fra Cartagine e i Sardi Pelliti, specialmente occasionati da quelle razzie e bardane che, ancora in età romana i Sardi rimasti indipendenti sulle montagne del Gennargentu organizzano a danno dei territori agricoli di confine: ma dovettero trattarsi di episodi militari di modesta portata, più che altro di operazioni di polizia, che non lasciano traccia nè nel racconto degli storici nè nella documentazione archeologica”. La situazione subì un profondo mutamento nel 368 a.c. quando secondo le antiche testimonianze delle fonti letterarie antiche si verificò una grande insurrezione delle popolazioni protosarde .A parte la data d’inizio delle ostilità, non sappiamo niente nè sull’andamento nè sulla conclusione: che comunque dovette essere prima del 348, anno in cui Cartagine stipula con Roma un nuovo Trattato, nel quale la Sardegna appare quanto e più di prima territorio sotto l’assoluto e incontrastato dominio di Cartagine, ove i Romani non possono nemmeno mettere piede, per alcun motivo, e dal quale debbono partire, entro cinque giorni, qualora siano costretti da forza maggiore ad approdarvi. E come in seguito al trattato del 509 anche ora vi fu la creazione di un possente sistema fortificato – ben documentato dalle esplorazioni archeologiche, precisa Barrecca (26) – con cui si restaurano ,secondo la nuova tecnica ellenizzante dei blocchi squadrati, le mura a Tharros, Sulcis, Bithia, Nora, Karalis e si costruiscono fortezze interne come quelle di Santa Vittoria di Neoneli, in posizione più avanzata rispetto alla linea di demarcazione del secolo 6 V. Miglioramento dunque del vecchio sistema fortificato e contestualmente spostamento in avanti di alcune guarnigioni, reso possibile dalle conquiste di nuove terre. I protosardi, dietro la spinta del pericolo cartaginese si organizzano. A parere di Lilliu (27) passerebbero da forme organizzative “ cantonali “ a una struttura “ nazionale “ : la loro resistenza comunque fu stroncata e così vengono sospinti dalle pianure e dalle colline nelle zone montagnose dell’interno, solitarie, sterili e disperate. “ L’abbandono forzato di terre che la letteratura storica greco-romana ci presenta piena di monumenti di ogni genere e fonte di benessere materiale e civile provocò una cesura culturale – ci ricorda Lilliu (28) – una crisi di civiltà fra le popolazioni nuragiche.E la marcia patetica “ dalle belle pianure iolaee” ( Diodoro Siculo,IV,29,3; V,15) verso le caverne e i boschi paurosi del centro montano non fu soltanto una ritirata di uomini, donne e fanciulli perseguiti come vinti dal vincitore straniero e sospinti verso un carcere, quasi verso un enorme campo di concentramento naturale, ma fu anche e soprattutto la capitolazione di una intera civiltà protesa in uno sforzo decisivo e vicino al suo pieno traguardo storico. Con la sconfitta – prosegue Lilliu (29) – fu pure incrinata la compattezza etnico-sociale dei Sardi della civiltà nuragica e ne risultò la prima grande divisione politica.Da una parte l’Isola montana dei Sardi,- ancora liberi seppur costretti in una sorta di riserva dai conquistatori – continuò ad esprimere una cultura genuina e autentica di pastori, per quanto impoverita e decadente; dall’altra i Sardi più deboli ,arresisi agli invasori, diventati collaborazionisti ,per calcolo o per paura, degradati al livello di servi della gleba, confusero il loro sangue e la loro civiltà mescolandosi ai mercenari libici, schiavi gli uni e gli altri,del comune padrone cartaginese.I primitivi pastori ingrassavano greggi per arricchire il mercato internazionale dell’invasore e aumentarne l’insaziabile brama di potere”. Se le cose stanno così, come la bella prosa storica di Lilliu descrive, perchè i Sardi della montagna, internati dai Cartaginesi avrebbero dovuto seguire e aiutare un sardocartaginese ,ovvero un collaborazionista e un ascaro? Per evitare un imperialismo, sicuramente più brutale più, oppressivo e più devastante come quello romano? Perchè Amsicora e gli altri “ principes “ di Cornus e delle altre città sardo-puniche arrivano a una trattattiva e a un compromesso con i capi barbaricini in base al quale s’impegnano a garantire ai Sardi Pelliti e alla Barbagia autonomia e autogoverno, facendone una sorta di enclave dentro l’impero cartaginese? Può darsi: i Cartaginesi e non sicuramente i Romani interessati solo a dominare e sottomettere i popoli - avrebbero potuto permettere ai Barbaricini un’Autonomia, se così fosse dovremmo considerare Amsicora il primo grande sardo Autonomista della storia. Ma perchè escludere anche un’altra ipotesi, ovvero che Amsicora fosse finalmente - dopo invasioni e dominazioni e conseguenti divisioni dei Sardi, il leader in grado di unire e riunificare tutti i Sardi a fronte del pericolo mortale – per la popolazione e la civiltà sarda – dei Romani? Lui, non solo sardo verace – come abbiamo già visto - ma addirittura barbaricino come ci testimonia Silio Italico (30) secondo cui Amsicora si gloriava di essere iliense, discendente dei coloni venuti da Troia e quindi un montanaro del più nobile sangue e assai coraggioso e fiero? Versione questa di Silio Italico, fatta propria da uno storico sardo del 1600, Giovanni Proto Arca di Bitti (31)che chiama Amsicora “ dux barbaricinorum”?( ...” Erat dux Barbaricinorum Hampsagoras et eius filius Oscus ex Barbaricinis ambo, quibus se iunxerant Balari, ceu Iberi, quos diximus fuisse Hispanos; qui fortiter ad proelium instructi lacessebant Torquatum, vel potius illudebant de suo se Troiano genere gloriando....”) Del resto, Amsicora, fin dal tempo di Cicerone non è stato sempre raffigurato con tanto di barba ,pugnale e mastruca, tipico dei Sardi Pelliti? Ed è un caso che nell’immaginario collettivo soprattutto degli artisti e dei poeti Sardi venga considerato come un eroe sardo che difende la Sardegna contro il romano invasore, vero e proprio lupo e cane famelico ( lupu e catteddu famidu), bardaneris, distruttori, seminatori di guerra, rovine flagelli e morti. Mi riferisco in modo particolare al suggestivo poema epico di Salvatore Loy- Deidda (32) desulese, pastorello nei monti del Gennargentu 7 fino a 18 anni, ordinato sacerdote nel 1947 e colto dalla morte, giovanissimo, a soli 30 anni.Nel Poema, vero e proprio poema epico nazionale sardo, intitolato e dedicato ad Amsicora, Loy- Deidda lo idealizza e ne fa un eroe nazionale che chiama a raccolta tutti i Sardi, delle pianure e delle montagne, per opporsi, in un ultimo e disperato tentativo, al brutale e definitivo dominio romano ,rivendicando l’indipendenza e l’orgoglio nazionale, come canta in questa bella ottava (33) il poeta desulese: A Titu nara: < Roma a sos Romanos, A sos Tyros sa Tyra Karchedones, Sa Sardigna a sos Sardos! Turpes manos non turbent sas anzenas possessiones Su Logudoro cun sos Campidanos Non connoschent nè Titos nè Magones Sa Sardigna est una: suos fizos Sunt sos Sardos, pro vois in fastizzos> Così fa dire Loy-Deidda ad Amsicora che si rivolge agli ambasciatori romani Laos e Furu, rifiutando le loro proposte. Solo fantasie e sogni? Può darsi. Ma forse che l’Amsicora liviano non è ugualmente costruito e disegnato sulle fantasie dello storico latino tutto proteso a magnificare la stirpe romana, piegando a tale filosofia dati, date e avvenimenti come ormai ci risulta con certezza? Riferimenti bibliografici 1) Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi,inizio capitolo VIII 2) Tacito,Annales,IV,34 3) Ettore Paratore ,Storia della Letteratura latina , Sansoni editore ,seconda edizione,pag.455 4) Piero Meloni ,La Sardegna romana ,Chiarelli editore,pag.55 5) Ferruccio Barrecca, La Sardegna fenicia e punica,Chiarelli editore, pag.86 6) Raimondo Carta-Raspi,Storia della Sardegna, ed. Mursia, pag. 7) Theodor Mommsen, Storia di Roma antica, vol.I, tomo I, pag.143 8) Salvatore Merche, Barbaricini e la Barbagia nella storia della Sardegna pag.26 segg. 9) Salvatore Merche,op. cit. pag 28 10) Diodoro Siculo ( 90 a.c.- 20 d.c.) Vive ai tempi di Cesare e nei primi anni di Augusto. Storico greco scrive in 40 libri la “Biblioteca storica” 8 11) Giovanni Zonara (1080-1118) storico e scrittore ecclesiastico bizantino, autore di un’opera “Epitome storica” che tratta dalle Origini alla morte di Alessio Commeno 12) Dione Cassio, 13) Cicerone (106-43 a.c.) Parla della Sardegna – sempre in termini dispregiativi – in più opere, fra l’altro nell’orazione “ Pro Scauro”. Diventerà per altri scrittori e storici che parleranno successivamente della Sardegna, la principale fonte. 14) Silio Italico, ( 25-101 d.c.) Poeta latinoLa sua opera principale è il poema epico “Punica” in 17 libri e 12.200 versi.Tratta della 2° Guerra Punica: dall’assedio di Sagunto fino a Zama.Fu lui che attribuì al poeta Ennio la morte in duello di Iosto,il figlio di Amsicora. 15) Ennio ( 239-169 a.c.) ,poeta latino,autore degli “ Annales”,poema epico in 18 libri e in 30.0 00 versi, per la gran parte andati persi in cui celebra la Storia di Roma dalle Origini ai suoi giorni, ispirati ad entusiastica ammirazione per l’espansionismo romano,tanto da essere ammiratissimo da Cicerone. 16) Valerio Anziate,storiografo romano vissuto nell’Età di Silla ( !° secolo a.c.) Scrisse 75 libri di “Annales”, quasi completamente perduti. Godeva già presso gli storici antichi e ancor più ne gode oggi presso gli storici moderni – fama di grande falsario o comunque di faciloneria, mancanza di scrupoli ed esagerazioni. 17) Ettore Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano,Roma1923 18) Barrecca ,op. cit. pag.103 19) Carta-Raspi , op. cit. pag 209 20) Bibbia ( Libro dei Giudici, ! 1° e 2° libro di Samuele,1° e 2° libro dei Re) 21) Giustino,epitomatore delle Filippiche di Pompeo Trogo, vissuto fra la fine del secolo II e l’inizio del secolo III. Non era romano ma visse a Roma dove compì la sua opera. Dai 44 libri della Storia di Pompeo Trpgo estrasse e sintetizzo tutto ciò che secondo le sue dichiarazioni nella prefazione dell’epitome gli parve degno di essere noto. 9 22) Giovanni Lilliu, La Civiltà dei Sardi, Nuova ERI ed. pag.84 23) Barrecca ,op. cit. pag 68 24) Barrecca, op. cit. pag. 69 25) Barrecca, op. cit. pag. 70 26) Barrecca, op. cit. pag.72 27) Lilliu, op. cit. pag.418 28) Lilliu, op. cit. pag.419 ( Testo inedito e di prossima pubblicazione da una Casa Editrice Sarda) 10