Jazz 1 INTRODUZIONE Jazz Genere musicale nato negli Stati Uniti alla fine dell'Ottocento. Nonostante il genere si sia frammentato già in origine in numerosi stili diversi, è possibile individuare alcuni elementi comuni alle varie forme. Elemento fondamentale del jazz è l'improvvisazione. Di norma, questa ricalca il preesistente giro armonico di un brano tradizionale o di una composizione originale. I musicisti imitano con i loro strumenti lo stile vocale dei cantanti, inserendo ad esempio nella melodia, con l'uso di glissando e slide, sfumature di altezza (come le cosiddette "blue notes", le note abbassate di un quarto di tono rispetto al bemolle nella scala del blues). Il ritmo è caratterizzato dall'uso costante del sincopato (con accenti in posizioni impreviste) e dallo swing: effetto prodotto dal jazzista nel corso dell'esecuzione, in cui la melodia viene percepita leggermente ritardata rispetto all'attesa scansione della misura (da cui la sensazione di spinta strisciante). Le partiture scritte, non sempre esistenti, fungono più che altro da guida e forniscono la struttura in cui inserire l'improvvisazione. La strumentazione tipica del jazz ha come nucleo una sezione ritmica costituita da pianoforte, contrabbasso, batteria e a volte chitarra; su questa base ritmica si appoggia una grande varietà di strumenti melodici: da quelli più jazzisticamente consolidati, come il sassofono e la tromba, a quelli solo sporadicamente presenti, come il violino o il flauto. Tuttavia, nessun mezzo sonoro è escluso a priori nel jazz, che nella sua storia ha visto utilizzare strumenti come la fisarmonica o le launeddas sarde – per non parlare dell'infinita varietà delle percussioni – e formazioni che vanno dal solista senza accompagnamento alla grande orchestra e alla banda di ottoni. Principio base del jazz è quello per cui alla progressione di accordi di una canzone si può adattare un numero infinito di melodie. Il musicista improvvisa nuove melodie che rispondono a quel giro armonico, il quale viene riproposto a ogni intervento di un nuovo solista. I modelli formali più frequenti sono quelli del song e del blues. Il primo ha la forma AABA, e consiste abitualmente in trentadue battute in suddivise in quattro sezioni da otto battute; la seconda forma (AAB) è in dodici battute. A differenza del song, il blues ha un giro armonico abbastanza standardizzato, organizzato attorno a tre accordi (tonica, sottodominante, dominante). 2 STORIA Ripercorrere la storia del jazz significa seguire le molteplici tracce e riannodare gli innumerevoli fili di una delle espressioni musicali più ricche e complesse della storia dell'uomo. 2.1 Origini Il jazz affonda le sue radici nel patrimonio tradizionale della musica afroamericana: essa amalgama in realtà tratti residui della musica dell'Africa occidentale, forme di musica folk sviluppatesi nel Nuovo Mondo, musica europea popolare e classico-leggera del Sette-Ottocento, e forme musicali leggere posteriori, influenzate dalla musica nera o prodotte da autori neri. Il contributo fornito dalla musica colta europea è individuabile in specifici stili e forme (inni, marce, valzer, quadriglie e altra musica di danza, musica teatrale leggera e lirica) che soprattutto alle origini sono stati assorbiti, rielaborati e utilizzati dal jazz. Tra gli elementi di musica popolare nera che hanno influito sul jazz vi sono la musica per banjo dei minstrel show, i modelli ritmici sincopati derivati dalla musica latinoamericana, lo stile pianistico dei musicisti da taverna del Midwest, e le marce e gli inni suonati dalle bande di ottoni nere alla fine dell'Ottocento. Verso la fine del secolo nacque un genere che ebbe una forte influenza, il ragtime. Dopo il 1910 il compositore e direttore d'orchestra William Christopher Handy pubblicò i suoi blues: molto amati dagli esecutori, questi trovarono la loro più grande interprete in Bessie Smith. In origine, il jazz era suonato da piccole bande di giro o da pianisti. Il repertorio, oltre al ragtime e alle marce, comprendeva inni, spiritual e blues. Le bande suonavano una musica, non di rado modificata da sincopi e accelerazioni, in occasioni di picnic, matrimoni, parate e funerali. Anche se il blues e il ragtime ebbero un'origine indipendente dal jazz e continuarono a evolversi parallelamente a esso, ne influenzarono lo stile e le forme e costituirono importanti veicoli per l'improvvisazione jazzistica. 2.2 Il jazz di New Orleans Le prime manifestazioni documentate del jazz risalgono all'inizio del Novecento: l'epicentro del genere fu New Orleans, in Louisiana. Nel jazz di New Orleans, la cornetta o la tromba presentavano la melodia, il clarinetto sosteneva il controcanto e il trombone eseguiva il fraseggio ritmico e le note fondamentali degli accordi. A questo trio di base, la tuba o il contrabbasso fornivano la linea del basso e la batteria l'accompagnamento ritmico. I primi dischi di jazz risalgono al 1917 e si devono a un'orchestra bianca di New Orleans, The Original Dixieland Jazz Band, che ebbe un successo immediato non solo negli Stati Uniti ma anche all'estero; tale fu la sua popolarità che il termine "dixieland" finì per indicare lo stile di New Orleans suonato dai bianchi. Nacquero allora numerosi altri gruppi tra cui, nel 1922, i New Orleans Rhythm Kings formato da musicisti bianchi, e nel 1923 la Creole Jazz Band diretta da King Oliver. Altri importanti esponenti di questo stile furono i trombettisti Bunk Johnson e Freddie Keppard, il sassofono soprano Sidney Bechet, il batterista Warren "Baby" Dodds, e il pianista e compositore Jelly Roll Morton. Il maggior musicista formatosi a New Orleans fu tuttavia la seconda tromba di King Oliver: Louis Armstrong. 2.3 L'impatto di Armstrong Straordinario improvvisatore, "Satchmo" Armstrong modificò la scena del jazz portando in primo piano la figura del solista. Con le sue orchestre, gli Hot Five e gli Hot Seven, dimostrò che l'improvvisazione nel jazz poteva andare ben al di là della semplice funzione di contorno delle formule di accompagnamento e arrivare a creare nuove melodie basate sulla successione armonica del motivo iniziale. Armstrong divenne inoltre un modello per tutti i cantanti jazz, non solo per il modo in cui alterava parole e melodie, ma anche per il suo peculiare scat, tecnica vocale che consiste nell'utilizzare la voce come uno strumento intonando sillabe prive di senso. 2.4 Chicago e New York Gli anni Venti furono per il jazz un decennio di sperimentazione e scoperte. Molti musicisti di New Orleans, tra cui lo stesso Armstrong, si trasferirono a Chicago dove diedero vita a uno stile connotato da ritmi più tesi e trame più fitte oltre che da una maggiore attenzione alla figura del solista. Tra i nomi maggiori di questo si ricordano il trombonista Jack Teagarden, il banjoista Eddie Condon, il batterista Gene Krupa e il clarinettista Benny Goodman. Attivo a Chicago era anche Bix Beiderbecke, il cui approccio lirico alla cornetta rappresentava un'alternativa allo stile di Armstrong. Molti musicisti di Chicago si insediarono in seguito a New York, altro centro nevralgico del jazz degli anni Venti. 2.5 Il pianoforte jazz Un ulteriore veicolo per gli sviluppi del jazz in questo decennio fu il pianoforte. Il quartiere newyorkese di Harlem divenne il centro di uno stile solistico molto tecnico e trascinante, noto come stride piano. Ne fu pioniere James P. Johnson, al quale si deve il merito di aver lanciato Fats Waller che in poco tempo divenne il più noto pianista stride. Un secondo stile pianistico, il boogie-woogie, si sviluppò in questo periodo per poi raggiungere la massima popolarità negli anni Trenta e Quaranta. Il pianista più innovativo degli anni Venti, paragonabile ad Armstrong e presente in alcune delle migliori incisioni di quest'ultimo, fu Earl "Fatha" Hines, dotato di una fervida e imprevedibile fantasia esecutiva. Il suo stile influì su molti pianisti della generazione successiva: in particolare Teddy Wilson, che negli anni Trenta avrebbe suonato con Benny Goodman, e Art Tatum, che sfruttò il suo talento sbalorditivo soprattutto come solista. 2.6 L'epoca delle grandi orchestre Sempre negli anni Venti, molti musicisti cominciarono a suonare insieme e, prendendo a modello le orchestre da ballo, diedero vita alle “big band”, formazioni che divennero popolarissime negli anni Trenta e all'inizio dei Quaranta (la cosiddetta "era dello swing"). Rispetto allo stile di New Orleans, vi furono diverse innovazioni: nuovi ritmi più fluidi e uso di brevi frasi melodiche, i riff, secondo un modello di chiamata e risposta in cui erano impegnate le varie sezioni strumentali. Lo sviluppo della big band nel jazz fu dovuto soprattutto a Duke Ellington e Fletcher Henderson. Henderson e il suo arrangiatore, Don Redman, contribuirono a introdurre la partitura scritta, ma si sforzarono anche di ricreare la qualità di improvvisazione caratteristica della musica degli organici più piccoli. In questo furono aiutati da solisti dotatissimi come, ad esempio, Coleman Hawkins, grande talento del sax tenore. Negli anni Venti, Ellington fu a capo di un'orchestra in uno storico locale di Harlem, il Cotton Club, la cui atmosfera è stata magistralmente ricostruita nell'omonimo film di Francis Ford Coppola (1984; con Cab Calloway nella parte di se stesso). Duke Ellington, pur continuando a dirigere la sua orchestra fino alla morte (1974), compose coloriti pezzi sperimentali di durata variabile: dai tre minuti di Koko (1940) all'ora di Black, Brown, and Beige (1943), oltre a celebri canzoni come Solitude e Sophisticated Lady. Più complessa e raffinata rispetto a quella di Henderson, la musica di Ellington riusciva a fare dell'orchestra un insieme compatto, con assolo scritti nell'assoluto rispetto delle specifiche qualità di strumenti ed esecutori. Altre orchestre nella tradizione di Ellington e Henderson furono quelle di Jimmie Lunceford, Chick Webb e Cab Calloway, che la storia del jazz ricorda per la celeberrima Minnie The Moocher. Un diverso stile di jazz orchestrale si sviluppò a Kansas City alla metà degli anni Trenta. Il maggiore rappresentante dello stile di Kansas City fu William "Count" Basie con la sua band. Qui l'improvvisazione aveva il ruolo principale e i passaggi scritti, o semplicemente memorizzati, erano relativamente brevi e semplici. I fiati intrecciavano riff collettivi fortemente ritmici, e nelle pause si inserivano lunghi assolo. In particolare, il sassofono tenore di Basie, Lester Young, suonava con una libertà ritmica assolutamente unica. Il tono delicato di Young e le sue lunghe e fluide frasi melodiche punteggiate da occasionali sonorità d'avanguardia aprirono la strada ad approcci totalmente nuovi. Altri strumentisti che con il loro suono determinarono l'evoluzione del jazz degli anni Trenta furono il trombettista Roy Eldridge, il chitarrista Charlie Christian, il batterista Kenny Clarke e il vibrafonista Lionel Hampton. Il canto, in questo decennio, si fece più flessibile e stilizzato: grandi interpreti del periodo furono Ella Fitzgerald e Billie Holiday. 2.7 Il rapporto con la musica classica e leggera Grazie all'opera di pionieri come Armstrong, Ellington, Henderson e altri ancora, il jazz era entrato a far parte delle forme di musica più diffuse nell'America degli anni Venti e Trenta. Alcuni musicisti, come il direttore d'orchestra Paul Whiteman, fusero il jazz con la tradizione della musica classica e della musica leggera. L'orchestra di Whiteman fu anche la prima a eseguire i brani di George Gershwin. Più vicine alla tradizione dell'improvvisazione virtuosistica furono invece le orchestre di Benny Goodman, Gene Krupa e Harry James. Fin dai tempi del ragtime, i compositori di jazz avevano sempre provato grande ammirazione per la musica classica. Ma è con l'era dello swing, grazie anche all'eccezionale fiorire di talenti, che si assiste alla diffusione della tendenza di "jazzare" i classici: nacquero così capolavori come Bach Goes to Town (Benny Goodman) ed Ebony Rhapsody (Ellington e altri). D'altra parte, anche i compositori di musica classica pagarono il loro tributo al jazz, anche in questo caso, con risultati spesso di altissimo livello, come Contrasts scritto da Béla Bartók nel 1938 per il clarinetto di Benny Goodman o Ebony Concerto di Igor Stravinskij (1945), commissionato dall'orchestra diretta da Woody Herman. Oltre a Gershwin, altri compositori come Aaron Copland , Darius Milhaud e Dmitrij Šostakovič accolsero nelle loro opere lo spirito del jazz. 2.8 Gli anni Quaranta e i decenni del dopoguerra Il musicista che negli anni Quaranta dominò e influenzò il panorama jazzistico fu Charlie Parker, capofila di un nuovo stile denominato bebop, rebop o bop. Come Lester Young, Charlie Christian e altri solisti di rilievo, anche Parker aveva suonato in orchestra. Durante il secondo conflitto mondiale, tuttavia, l'economia dello stato di guerra aveva determinato un mutamento dei gusti e un drastico ridimensionamento delle big band. Molte grandi orchestre si sciolsero, seguendo un declino direttamente proporzionale all'ascesa del bebop: il mondo del jazz subì una rivoluzione radicale. Con l'avvento del bebop, del "vecchio" jazz rimase solo il principio dell'improvvisazione su un giro di accordi. Tutto il resto mutò. I tempi si fecero più veloci, le frasi più lunghe e più elaborate; la gamma emotiva si arricchì di tonalità molto più aspre. I musicisti iniziarono ad acquisire una maggiore coscienza della loro professione artistica e a opporsi all'idea che la loro musica non fosse altro che un prodotto commerciale di intrattenimento leggero. Su tutti spiccava il genio di Parker, in grado con il suo sassofono di eseguire ogni brano, in qualsiasi tempo e tonalità. Egli si circondò di un gruppo di talenti eccezionali, come il trombettista Dizzy Gillespie, noto per la sua formidabile velocità e per l'audace senso armonico, il pianista Earl "Bud" Powell e il batterista Max Roach. Grande rinomanza ebbero anche il pianista e compositore Thelonious Monk, il trombettista Fats Navarro e la cantante Sarah Vaughan. Verso la fine degli anni Quaranta si assistette a un'esplosione di sperimentazioni. Rifiorirono, ammodernate, le grandi orchestre, come quelle di Gillespie e Stan Kenton, accanto a piccoli gruppi formati da musicisti innovativi come il pianista Lennie Tristano. Il clima straordinario diede frutti eccezionali; di assoluto rilievo, a questo riguardo, furono le incisioni realizzate nel 1949-50 da un'insolita formazione, il nonetto diretto da Miles Davis, un giovane trombettista allievo di Charlie Parker. Davis, che di lì a poco si sarebbe rivelato uno dei più grandi talenti del jazz, colpì subito pubblico e critica con la sua naturale capacità di coniugare un tono molto morbido a un'estrema complessità: nacque così il "cool" jazz. Rifinito da esecutori come i tenorsassofonisti Zoot Sims e Stan Getz e dal sax baritono Gerry Mulligan (in coppia con il trombettista "maledetto" Chet Baker), il “cool” jazz fiorì sulla costa occidentale degli Stati Uniti per un intero decennio. Nello stesso periodo si affermò anche il quartetto del pianista Dave Brubeck, raffinato miscelatore di musica classica e jazz. Altri autori, in particolar modo sulla costa est, svilupparono ulteriormente la tradizione del più acceso e trascinante bebop: l'hard bop. Tra i maggiori esponenti dell'hard bop vi sono il trombettista Clifford Brown, il batterista Art Blakey e, soprattutto, il sax tenore Sonny Rollins. Dallo stile di Parker derivò anche il soul jazz del pianista Horace Silver, del sax alto Cannonball Adderley e di suo fratello, il cornettista Nat. 2.9 Dalla fine degli anni Cinquanta agli anni Settanta Diversi nuovi approcci caratterizzarono questa fase del jazz. Gli anni attorno al 1960 sono, con gli anni Venti e Quaranta, tra i periodi più fertili della storia del jazz. 2.10 Il jazz modale A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta l’acquisizione di strutture armoniche estranee fino a quel momento al jazz determinò nella musica afroamericana lo sviluppo della cosiddetta svolta modale. Dal punto di vista armonico vennero accostati a strutture tipiche del blues modi come il dorico, il frigio, il lidio, il misolidio, l’eolio e lo ionio, di derivazione classica. Le scale che venivano individuate dalle successioni modali servivano come riferimenti melodici negli assolo che erano sostenuti da armonie appartenenti al modo stesso. Milestone e So What di Miles Davis sono alcuni tra i primi esempi di jazz che si riferisce a sistemi armonici modali. Successivamente anche John Coltrane abbracciò questo tipo di organizzazione, dando vita a importanti capolavori come My Favourite Things e Naima. Nel 1959 i due presero parte all'incisione di Kind of Blue, un disco che rappresenta ancora una vera e propria pietra miliare nel jazz, avendo segnato l’affermazione della modalità all’interno di questo genere musicale. Anche il pianista Bill Evans, McCoy Tyner e George Russell ebbero un ruolo fondamentale nell’acquisizione di nuovi percorsi armonici e scalari. L’adozione di scale appartenenti a ricchissime tradizioni modali extraeuropee come quella dei raga indiani, del maqam arabo o delle tradizioni nere africane, ampliò il quadro armonico a partire dagli anni Sessanta. 2.11 La third stream e l'avanguardia Un ulteriore prodotto della sperimentazione degli anni Cinquanta e Sessanta fu il tentativo, compiuto dal Modern Jazz Quartet di John Lewis, di fondere jazz e musica classica in una "terza corrente" che univa musicisti provenienti da Stati Uniti ed Europa con un repertorio attinto alle tecniche di entrambi i generi. In questi anni fu attivo il compositore, bassista e direttore Charlie Mingus, mentre critiche molto contrastanti accolsero il sax alto Ornette Coleman, le cui improvvisazioni, in alcuni momenti addirittura atonali, ignoravano completamente le progressioni armoniche pur conservando lo swing ininterrotto tipico del jazz. Se il suono e la tecnica cruda di Coleman scandalizzarono alcuni puristi, non pochi furono coloro che riconobbero negli assolo del sassofonista un'originale e sincera ricerca combinata con un raro senso della forma. Coleman influenzò un'intera avanguardia jazzistica fiorita negli anni Sessanta e Settanta: il free jazz. Questa corrente è stilisticamente basata su una grande libertà improvvisativa rispetto alla struttura delle sequenze armoniche e su una decisa propensione per la centralità dei valori timbrici. Contenutisticamente, il free jazz si pone come una corrente di rottura con la tradizione jazzistica e di protesta che presuppone il recupero delle origini afroamericane della musica. Tra i principali protagonisti di questo stile si ricordano l'Art Ensemble of Chicago, il clarinettista Jimmy Giuffre, il pianista Cecil Taylor, John Coltrane, Sun Ra, e, più tardi, Archie Shepp, Don Cherry e alcuni aspetti della musica di Chick Corea e Gato Barbieri. 2.12 Sviluppi del mainstream Nel frattempo il mainstream, la "corrente principale" del jazz, quella che riproponeva e sviluppava i modelli musicali più consolidati, pur accogliendo molte idee melodiche di Coltrane e alcuni pezzi modali, continuava a costruire le sue improvvisazioni sui giri di accordi delle canzoni. All'inizio degli anni Sessanta si aggiunsero al repertorio le canzoni brasiliane, specialmente quelle della bossa nova. A questo repertorio sono indissolubilmente legati i nomi di Stan Getz, del flautista Herbie Mann, oltre a quelli di Tom Jobim e João Gilberto. Molti gruppi affiancarono alla batteria percussioni di origine caraibica. Il trio fondato dal pianista Bill Evans affrontava i song classici con grande profondità privilegiando la costante interazione dei musicisti tra loro; l'approccio interattivo fu spinto ancora più in là dalla sezione ritmica del quintetto di Davis a partire dal 1963. 2.13 La fusion Alla fine degli anni Sessanta, il jazz conobbe un periodo di profonda crisi. Il pubblico dei più giovani preferiva la musica soul e rock, mentre i vecchi appassionati si sentivano respinti dall'astrattezza e dall'asprezza di molto jazz contemporaneo. I musicisti capirono che per riconquistare l'attenzione del pubblico dovevano prendere ispirazione dalla musica leggera. Alcune nuove idee furono così mutuate dal rock, altre dai ritmi di danza e dalle progressioni armoniche di musicisti soul come James Brown. Alcune formazioni aggiunsero anche elementi provenienti da altre culture musicali. Gli esempi iniziali di questa nuova "fusion" incontrarono un successo alterno, finché, nel 1969, Miles Davis incise Bitches Brew, un capolavoro che combinava in modo perfetto ritmi soul e strumenti amplificati elettronicamente con un jazz rigoroso e fortemente dissonante. Non sorprende che elementi dei gruppi di Davis abbiano in seguito dato vita ai dischi fusion più significativi e di maggior successo degli anni Settanta: Herbie Hancock, il sassofonista Wayne Shorter e il tastierista Joe Zawinul (fondatori dei Weather Report), il chitarrista John McLaughlin e il pianista Chick Corea. I musicisti rock, a loro volta, cominciarono ad adottare fraseggi e assolo jazzistici sui ritmi della loro musica. Oltre ai Weather Report, tra i gruppi più celebri si ricordano i Manhattan Transfer e i Blood Sweat and Tears. In questo stesso periodo un altro ex collaboratore di Davis, il pianista Keith Jarrett, raggiunse il successo commerciale pur rifiutando gli strumenti elettronici e gli stili popolari. Le sue esecuzioni di standard famosi e di pezzi originali, in trio (con Gary Peacock al basso e Jack De Johnette alla batteria) o da solo (The Köln Concert, 1975), lo segnalano come uno dei più interessanti pianisti contemporanei insieme a Chick Corea. 2.14 Gli anni Ottanta e Novanta Alla metà degli anni Ottanta, si è assistito a un rinnovato interesse per il jazz. Tra i protagonisti di questa nuova fioritura vi sono i due fratelli Marsalis: il trombettista Wynton, acclamato anche per le sue esecuzioni di musica classica, e Branford, sassofonista più aperto a suggestioni rock. Anche se il jazz rimane un prodotto essenzialmente statunitense, il suo pubblico internazionale ha fatto sì che si formassero musicisti e scuole molto interessanti anche al di fuori degli Stati Uniti: in questo senso particolarmente significative sono state le esperienze del pianista francese Michel Petrucciani e quella della scuola scandinava, dalla quale sono usciti raffinati musicisti come il sassofonista norvegese Jan Garbarek o il chitarrista David Torn. In questi anni, lo sviluppo del jazz in Europa fu possibile grazie anche a manifestazioni come il Festival jazz di Montreux, in Svizzera, e soprattutto Umbria Jazz, una delle più importanti manifestazioni a livello mondiale. Il jazz degli ultimi quindici anni presenta un panorama frastagliato molto difficile da categorizzare. Alcuni musicisti, come il chitarrista Pat Metheny, perseguono un'elegante commistione tra linguaggio jazzistico e musica di consumo; altri, come il sax tenore Michael Brecker, riprendono l'esperienza del jazz elettronico degli anni Settanta e Ottanta; altri ancora, come Garbarek, hanno sviluppato uno stile molto lirico che fonde jazz, tradizioni nordiche e atmosfere new age; infine i pianisti Hilton Ruiz e Chico Valdes attingono dal patrimonio delle ritmiche afrolatine. La difficoltà principale di questo genere musicale a cavallo tra il secondo e il terzo millennio è quella di ritrovare, nel solco della tradizione improvvisativa, un'identità resa sempre più problematica dal mutare delle condizioni storiche e sociali della cultura che l'ha generata. Da idioma specifico dei neri afroamericani, specchio di una cultura connotata dall'alterità (se non dall'estraneità) rispetto a un ordine sociale consolidato, il jazz ha subito trasformazioni che ne hanno mutato profondamente l'aspetto: innanzitutto ha conosciuto l'alfabetizzazione, con l'introduzione di partiture scritte, e una crescente elaborazione teorica; e ancora l'europeizzazione e l'apporto della tradizione "bianca"; infine, il contatto con la musica colta e le pressioni del mercato discografico. Oggi il jazz è un linguaggio internazionale, aperto a molte influenze e carico di potenzialità, ma anche esposto ai rischi soffocanti di una tradizione divenuta storia. Una serie di musicisti è ancora in piena attività e si muove lungo coordinate consolidate e tuttora vitali: è il caso di Keith Jarrett, del sassofonista Steve Lacy e del pianista Cecil Taylor, che integra lucidamente l'energia delle radici africane, la tradizione europea e la musica colta contemporanea. Per gli altri, si pone il problema di ripensare la tradizione, attingendo dalla consapevolezza del passato le ragioni di una musica del presente. La musica del pianista Cedar Walton è un punto di riferimento di una tendenza, il "modern mainstream", volta a rielaborare materiali e idiomi del patrimonio storico al servizio di un nuovo progetto espressivo. Correlato a questa tendenza è il fenomeno della scolarizzazione della musica jazz, il cui linguaggio viene progressivamente razionalizzato, esposto in metodi e trattazioni sistematiche, e reso oggetto di insegnamento. 3 IL JAZZ IN ITALIA Il jazz italiano presenta oggi una notevole fioritura, apprezzabile soprattutto se si considerano le disagevoli condizioni di mercato e la lentezza con cui questa musica si è diffusa nel nostro paese. Dopo gli esordi pionieristici, legati al nome del fisarmonicista Gorni Kramer, attivo tra le due guerre, l'Italia ha conosciuto una regolare e diffusa vita musicale jazzistica solo a partire dagli anni Cinquanta. Una caratteristica peculiare del jazz italiano risiede nel fatto che il suo sviluppo si è svolto su un duplice binario che ha visto coinvolti, sin dagli inizi, artisti e teorici. In questo senso, un apporto fondamentale è venuto da Massimo Mila, Giancarlo Testoni (cofondatore nel 1945 di "Musica Jazz", la più importante rivista italiana) e, soprattutto, dalla passione di Arrigo Polillo (1919-1984), autore di un testo importante come Jazz (1975). Tra il dopoguerra e gli anni Settanta è maturata una generazione di musicisti che si è affermata sulla scena internazionale. Il pianista Giorgio Gaslini, tra i primi seguaci del bebop in Italia, è stato un attivo sperimentatore di tecniche e linguaggi diversi, inclusa l'improvvisazione free. Franco D'Andrea ed Enrico Pieranunzi si sono attestati sulla linea di un hard bop eclettico di altissimo livello, in equilibrio tra tradizione pianistica e ricerca. Il chitarrista Franco Cerri ha sviluppato un raffinato approccio cameristico ed è riuscito sempre a mantenere una certa distanza rispetto ai modelli prestabiliti. Ma i musicisti che hanno contribuito allo sviluppo del jazz italiano sono moltissimi e provenienti da esperienze molto diverse: da Enrico Rava (tromba) a Gianluigi Trovesi (sax); da Giancarlo Schiaffini (trombone) a Enrico Intra (pianoforte); da Gilberto Cuppini (batteria) a Eraldo Volonté (sax tenore); da Sante Palumbo (pianoforte) a Gaetano Liguori (pianoforte), a Bruno Tommaso (contrabbasso); da Gianni Coscia (fisarmonica) ad Armando Trovajoli (pianoforte). Tra i più giovani, vi è il trombettista Paolo Fresu, dotato di una sonorità morbida e caldissima, e il pianista Stefano Battaglia, emancipatosi dall'influenza di Keith Jarrett per aprirsi a un linguaggio aperto a suggestioni new age, arricchito da una grande padronanza delle tecniche della musica classica contemporanea. Oltre a Umbria Jazz, che offre la possibiltà di vedere suonare dal vivo le più grandi stelle, un'istituzione stabile in Italia è costituita dai seminari di Siena Jazz, punti di incontro per docenti e allievi di ogni livello, dai principianti a coloro che perseguono una specializzazione professionale.