1 Università Ca' Foscari di Venezia Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Tecniche Artistiche e dello Spettacolo PROF. CARLO PRESOTTO PSICOLOGIA SPERIMENTALE ANIMAZIONE – TEATRO RAGAZZI PRIMO SEMESTRE 2004 DISPENSA 1 1 2 Ragazzi, teatro ............................................................................................................................... 3 CENNI SULLA NASCITA DELL'ANIMAZIONE TEATRALE .................................................. 4 SUPERAMENTO DEL DUALISMO. ............................................................................................. 6 Antefatti, storia e problemi ....................................................................................................... 9 Compagnie ..................................................................................................................................... 12 Teatri Stabili di Innovazione ................................................................................................... 14 Le trasformazioni del “teatro dei ragazzi” ......................................................................... 15 Un modello di valutazione per il teatro ............................................................................... 22 1990 - LA NECESSITA' DI UN TEMPO INUTILE ....................................................................... 24 LETTERA APERTA IN DIFESA DEL TEMPO DELL'INFANZIA ................................................ 25 2000 - La lepre e la tartaruga: una carta di intenti di poetica per un teatro a scuola .. 26 2000 - QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE DELLE PROPOSTE TEATRALI .............. 27 Letteratura e teatro ragazzi. Introduzione ad una ricerca .......................................... 29 Dare parola al senso .................................................................................................................. 34 Il Picchiatore .............................................................................................................................. 35 Il Gran Porco ............................................................................................................................. 36 I DIRITTI DELLO SPETTATORE BAMBINO.......................................................................... 39 I contenuti del progetto di educazione ai linguaggi teatrali ....................................... 41 Insegnante-Animatore .......................................................................................................... 41 Obiettivi, modalità e verifiche degli interventi formativi rivolti al mondo della scuola ........................................................................................................................................................ 42 Una mappa dei requisiti necessarie alle attività teatrali in relazione ai percorsi formativi .................................................................................................................... 43 Oltre il teatro, intelligenza emotiva e competenze relazionali. ....................................... 44 L’intelligenza emotiva ............................................................................................................ 44 Il ruolo classico dell’educazione ........................................................................................ 45 Le regole del teatro .................................................................................................................... 47 Cosa ci siamo portati a casa ............................................................................................... 48 Carlo Presotto.................................................................................................................................. 49 Bibliografia ..................................................................................................................................... 50 2 3 Ragazzi, teatro ragazzi, teatro Con il termine teatro per i ragazzi o teatro-ragazzi, come sempre più spesso negli ultimi anni lo si è definito, si indicano in genere quelle opere teatrali realizzate per un pubblico infantile, molto spesso scolastico. La fascia dei fruitori si è via via allargata col tempo e oggi il pubblico che assiste a questi spettacoli viene comunemente diviso in fasce d'età: dalle scuole materne a quelle superiori con repertorio, metodologie e stilemi diversi tra loro, tanto che è invalsa anche la dizione `teatro per l'infanzia e la gioventù'. Il t.-r. contemporaneo inizia in Italia come movimento e progetto alla fine degli anni '60, in stretto rapporto con il cambiamento della società e dei modelli culturali che stava avvenendo in quegli anni. Si individua nel bambino sia uno spettatore attivo e sensibile che è al di fuori di tutte le rigide convenzioni del teatro ufficiale, sia un attore che si esprime liberamente facendo uscire da sé tutte le proprie potenzialità. È il momento dell'animazione teatrale, dove, nella scuola che cambia, il t.-r. si fonde con il teatro per i ragazzi. In questo senso a Torino nascono le esperienze di Franco Passatore, Remo Rostagno e Sergio Liberovici. È da questo nuovo modo di concepire la scuola e il teatro, che ha le sue radici il t.-r. italiano (assai diverso per concezione da quello degli altri stati europei) che diventa adulto e professionista attraverso l'attività di alcuni operatori, non a caso spesso provenienti dalla ricerca, che decidono di rivolgersi esclusivamente ai ragazzi. Il teatroragazzi esce quindi dalla scuola e diventa autonomo, pur essendo parte integrante dello sviluppo del bambino, e in più, attraverso il lavoro di questi professionisti, usa stilemi propri, molto diversi dal teatro per adulti: non è un teatro rimpicciolito, ma sperimenta sempre nuovi linguaggi al servizio dell'immaginario bambino. Negli anni '70 nascono decine e decine di compagnie che sia dal punto di vista delle tecniche e delle poetiche, sia dal punto di vista organizzativo e della produzione, rinnovano i linguaggi (teatro d'attore, il teatro di figura, la narrazione) e i meccanismi del teatro italiano. Nascono le associazioni di categoria, i festival di Muggia, Cascina (Vetrina Italia) e Parma (Vetrina Europa), il premio Stregagatto, i centri nazionali. Oggi il t.-r. italiano conta decine e decine di operatori e di compagnie che vi si dedicano e si sta consolidando come vero e proprio teatro popolare, adatto a tutti i pubblici e a tutte le età. Molti e variegati sono i festival di t.-r. che si svolgono in Italia e che hanno raccolto l'eredità della storica manifestazione di Muggia che per diversi anni è stata un punto di riferimento per gli operatori. Senza dubbio il più importante è Vetrina Italia, organizzata a Cascina dal 1986 da uno dei centri nazionali più operativi, Sipario, da qualche anno diventato Fondazione. Accanto a questa iniziativa, il Teatro delle Briciole di Parma ha realizzato Vetrina Europa, rara occasione per vedere in Italia le migliori produzioni estere. Il t.-r. del Sud ha la possibilità di farsi conoscere e apprezzare con Angeli a Sud, Festival che si svolge da cinque anni prima a Vico Equense, poi a Salerno, organizzato da due compagnie, L'Arcolaio e I teatrini con il concorso del Teatro pubblico campano. Altri festival in forte ascesa sono: Una città per gioco, organizzato cinque a Vimercate dalla cooperativa Tangram e I teatri del mondo di Porto S. Elpidio ideato dalla compagnia Teatri Comunicanti. Infine ci sono vetrine regionali nel Veneto, in Puglia, in Emilia Romagna e in Lombardia dove Segnali, la manifestazione organizzata dai Centri di teatro-ragazzi lombardi si sta ora configurando in un vero e proprio festival. Un posto a parte merita il Festival nazionale del teatro per ragazzi di Padova, organizzato dal 1981 dall'Istituto italiano di sperimentazione e diffusione del Teatro per Ragazzi che prevede premi assegnati da giurie formate da ragazzi. m.b. Dalla enciclopedia dello spettacolo del ‘900, Baldini e Castoldi, voce a cura di Mario Bianchi 3 4 CENNI SULLA NASCITA DELL'ANIMAZIONE TEATRALE (in R.Rostagno,B.Pellegrini, Guida all’animazione, Fabbri ed., 1978 Milano) È alla Francia che bisogna far riferimento per individuare le radici del modo oggi corrente fra noi di intendere l' animazione; e, attraverso la Francia, alle esperienze tedesche che, a loro volta, rimandano a quelle sovietiche degli anni '20. (v. a cura di E. Casini Ropa, Professione rivoluzionaria, Feltrinelli, 1976). Secondo una distinzione che è stata fatta alla Maison de la Culture di Grenoble (Francia), si intende per animazione : 1 - tutto ciò che viene realizzato allo scopo di favorire l'incontro, la comprensione, la comunicazione fra un pubblico e una qualsiasi manifestazione culturale e/o artistica (animazione classica); 2 - il rapporto che si instaura durante la preparazione di un prodotto culturale fra chi intende realizzarlo e chi ne sarà il fruitore (animazione di ricerca); 3 - l'azione sollecitatrice che si innesca nel gruppo per promuovere le capacità inventive e creative del gruppo stesso (animazione creatrice). In Italia è stato recepito e sviluppato specialmente questo ultimo aspetto Le prime sperimentazioni su cui esiste documentazione sono: 1967 - Primo «Convegno per un nuovo teatro» ad Ivrea. Il manifesto dei gruppi di ricerca «riafferma il principio del riconoscimento del diritto che tutto il pubblico e quindi l'intera gamma della società civile ha di esprimerea utonomamente la propria realtà umana e sociale attraverso il mezzo del linguaggio teatrale concepito quale momento di presa di coscienza di se e dei propri problemi». 1968 - Viene presentato a Venezia, nell'ambito del VI Festival Internazionale del Teatro per Ragazzi, « Un Paese», fotospettacolo a staffetta realizzato da R. Rostagno e S. Liberovici con i ragazzi di una classe V elementare di Beinasco (Torino). (v. Un paese, La Nuova Italia, 1972) 1969/70 - Su progetto di G.R. Morteo e E. F adini viene impostato, nell'ambito del decentramento del Teatro Stabile di Torino, un lavoro di animazione con gli adulti dei quartieri periferici e, con i bambini, un nuovo doposcuola (Scabia, Perissinotto, Barbieri). S. Destefanis e F. Passatore realizzano, con i bambini dei Parchi Robinson torinesi, «Ippopotami e coccodrilli» (v. AA.VV., Illavoro teatrale nella scuola, Quademi di Cooperazione educativa, n. 5-6, La Nuova Italia, 1970). 1970 - Il «Teatro del Sole» di C. Formigoni rielabora e mette in scena «La città degli animali», storie inventate dai bambini di una 11 elementare con F. Sanfilippo. (v. Il teatro dei ragazzi, a cura di G. Bartolucci, Guaraldi, 1972). La Biennale di Venezia offre «uno spazio attivo per l' azione didattica» durante la 35a Esposizione d' Arte contemporanea. All'VIII Festival Internazionale del Teatro per Ragazzi di Venezia F. Passatore e S. Destefanis sono presenti con «Nino e gli altri» e « Un mattino che si chiama teatro» (v. Quaderni di Cooperazione educativa, citato). 1971 - A Torino inizia stabilmente la programmazione «Il teatro dell'Angolo» G. Moretti). Elabora e presenta spettacoli anche con materiali provenienti dall'attività di animazione. Le prime esperienze risalgono al 1967 A Roma, R. Galve fonda il « Gruppo del sole» che dà vita ad un centro espressivo per ragazzi. G. Scabia compie le « 14 azioni per 14 giorni» con i ragazzi della scuola media di Sissa (Parma) (v. Biblioteca teatrale, n. 2, Bulzoni, 1971). 4 5 Ancora dello stesso anno sono le realizzazioni di: «La mia, la tua, la sua, la nostra, la vostra, la loro... vita», azione teatrale dei ragazzi di una 11 media di Torino (L. Perissinotto-A. d' Aloisio); «La scarpastrega» azione drammatica sui problemi del lavoro minorile in provincia di Padova (M. Gagliardi). «Sul cartello c'era scritto vietato l'ingresso» azione spettacolo con bambini di una 1V elementare (R. Rostagno-B. Pellegrini). (Per tutti si veda «Il teatro dei ragazzi», citato.) 1972 - Milano. Rotonda della Besana. Incontro nazionale sulla drammatizzazione. Il Gruppo Teatro Gioco Vita svolge attività di animazione con «Le botteghe della fantasia». Torino: attività di animazione in numerose scuole della città a cura del Teatro Stabile. 1973 - L' attività prosegue in varie forme e non è più possibile darne una completa rassegna. Accanto all'attività di sperimentazione vengono promossi Convegni, incontri, seminari. L' animazione entra come materia di insegnamento nell'Università di Bologna. 5 6 SUPERAMENTO DEL DUALISMO. IL TEATRO DEL SOLE. LTINERARIO DI UN'ESPERIENZA ESEMPLARE (in Educazione e Teatro, a cura di B.Cuminetti, numero speciale di Comunicazioni sociali, anno VII 2-3 aprile-settembre 1985, vite e pensiero ed. Milano 1985) Teatro per ragazzi. E' sicuramente questa una definizione che negli ultimi vent'anni s'è caricata di significati, di valenze spesso contraddittorie e contrastanti, è un'idea intorno a cui s'è molto discusso e ricercato, è un'esperienza che è andata indubbiamente incrementandosi e sviluppandosi malgrado le sue incerte e tormentate direzioni e nonostante abbia compreso in se un variegatissimo spettro di proposte spettacolari ed educative. Ma, non c'è dubbio, dall'inizio degli anni sessanta ad oggi, l'idea di un teatro professionale specificatamente indirizzato ad un pubblico di ragazzi, ha fatto molta strada, una strada spesso tortuosa, sinuosa, ma indiscutibilmente riconoscibile e ripercorribile anche dal critico e dallo studioso che voglia in essa rintracciare il filo significante di Un dibattito sempre intenso e di un'esperienza spesso drammaticamente controversa. Un filo significante che si fa ancora più netto ed evidente se oggetto dell'indagine è una compagnia, un gruppo che la storia di questi ultimi anni ha attraversato con lucidità d'intenti, con continuità d'esperienza, e con rigore e profondità di ricerca. E l'esperienza del Teatro del Sole, gruppo milanese con vocazioni internazionali, è da questo punto di vista sicuramente unica. irripetibile. Sono quattordici anni di spettacoli, performances, laboratori, ricerche che hanno disegnato un itinerario unanimemente riconosciuto come un generale punto di riferimento di una nuova concezione del teatro per ragazzi. Una concezione che cominciò ad affermarsi sul finire degli anni sessanta (e il Teatro del Sole nasce proprio nel 1971) e che mise definitivamente in discussione alcuni consolidati modi di praticare un teatro indirizzato al pubblico di ragazzi e giovani. Fino ad allora il mondo dei ragazzi e della scuola era abitualmente considerato nulla più di una disponibile, garantita e contro11abile area di fruizione. Per interi decenni il Teatro per ragazzi fu solamente un troppo comodo sbocco per discutibili operazioni ricreativo-culturali (i classici di serie B o le sbilenche favolette) o per operazioni a carattere ideologico (quanti spettacoli a tesi!), spessissimo fu anche ultimo approdo per attori disoccupati e personaggi inquietanti. In definitiva, e anche nelle rare esperienze serie e qualificate che fino ad allora si erano affacciate nel settore, sempre ci si trovava di fronte a un teatro elaborato dagli adulti che prescindeva, sia in sede di gestazione che di proposta, dal vero destinatario di questo tipo di spettacolo, il ragazzo. 11 Teatro del Sole fin dal suo primissimo atto di vita mostra di saper attraversare, assumere, e in qualche modo risolvere il ribollio di esperienze, di riflessioni e di ricerche riguardanti sia il campo pedagogico-cducativo che propriamente teatrale; fin dal suo primo spettacolo questo gruppo dimostra di saper far propri tutti quei fermenti che da lì a poco avrebbero generato quel movimento che gli stessi protagonisti amano definire del «Nuovo Teatro ragazzi». In particolare ad essere assunti e superati sono i termini della grande querelle di quegli anni che opponeva l'antica definizione di teatro per ragazzi alla più nuova di teatro dei ragazzi. Nel 1971 un gruppo d'attori neodiplomati alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e uno proveniente dalla Scuola sperimentale dello Stabile di Torino si uniscono intorno a Iva e Carlo Formigoni provenienti dal Berliner Ensemble di Bertold Brecht. Il 21 ottobre nell'ambito del 9° Festival internazionale del Teatro per ragazzi promosso dalla Biennale di Venezia, il Teatro del Sole presenta La città degli animali, uno spettacolo nato dopo un lungo lavoro di ricerca iniziatosi tra gli attori della Scuola dello Stabile di Torino nel 1968. E' una nascita clamorosa, un debutto nel segno di una grande novità e all'insegna di un'assoluta originalità di modi e di stile. Scrisse nel '71 a 6 7 proposito dello spettacolo Gian Renzo Morteo, docente di storia del teatro all'Università di Torino e fra i conduttori delle ricerche e dell'iniziativa. «All'origine di tutta l'esperienza si trova una riserva critica nei confronti del consueto teatro per ragazzi elaborato dagli adulti, questi tendono a elaborare un prodotto teatrale e quindi offrirlo al consumo dei ragazzi. E' questo l'unico rapporto instaurabile con i ragazzi? Soprattutto, è questo il rapporto migliore? Tali domande acquistano un senso e una precisione ulteriore se collocate nell'ambito di una concezione generale del teatro che, rifiutando l'idea del prodotto preconfezionato, miri invece a recuperare quella di azione drammatica, intesa come espressione attiva di un gruppo realizzata mediante tecniche e strumenti espressivi specifici. I tentativi compiuti all'estero, e in specie in Francia, di dar vita a spettacoli costruiti su storie inventate dai ragazzi stessi, fornirono Io spunto per mettere in moto l'esperienza torinese dalla quale appunto La città degli animali è nata. Furono invitate le scuole elementari a sollecitare gli alunni a inventare delle storie. Una classe in particolare si appassionò a questo lavoro; sotto la direzione del loro maestro, i ragazzi improvvisarono al magnetofono, discussero, corressero, aggiunsero sino a pervenire all'elaborazione di un vero e proprio canovaccio. Un canovaccio che raccontava le peripezie di un bambino che, rapito da un mostro quando era ancora in fasce, cresce privo di genitori prima in casa del mostro e poi di un mago. Grandicello il bambino riesce a fuggire e a tornare dai propri genitori; nel frattempo tutti gli abitanti della città, in punizione del male fatto al bambino, per incantesimo vengono tutti trasformati in animali. Non si può dire che questo canovaccio rispettasse un preciso sviluppo logico e consequenziale nel presentare i fatti, ossia quella concatenazione che di solito è connaturata nella struttura mentale dell'adulto. Quindi la prima domanda che ci si pose fu : è questo un difetto o una caratteristica? Dobbiamo intervenire o rispettare l'invenzione dei ragazzi? Prevalse la tesi di non intervento, in quanto non era da escludersi che l'apparente illogicità nascondesse una logica più profonda, cioè il modo del bambino di vedere le cose. L'esame psicoanalitico del testo permise di avvalorare la scelta fatta. Nel canovaccio infatti vennero ravvisati alcuni dei più tipici temi del subconscio infantile e in particolare la testimonianza del rapporto complesso instaurato dal fanciullo coi genitori, nonché la rivelazione delle sue paure, dei suoi desideri e delle sue recriminazioni verso 1'ambiente in cui vive. Uno spettacolo di bambini tuttavia si esaurisce in se, ossia non è ripetibile senza il rischio che ne risulti falsato il senso e lo spirito e che i ragazzi vengano esposti alla pericolosa tentazione dell'esibizionismo. Si poneva di conseguenza un dilemma : interrompere le rappresentazioni oppure affidarne l'interpretazione ad attori adulti. Fu scelta la seconda soluzione. Evidentemente in questo caso la parola interpretazione ha un senso molto diverso da quello consueto. Un saggio di bravura professionale su un testo che, significa solo per quello che non dice, per i richiami che suggerisce, per il contesto dal quale è nato, sarebbe un'operazione del tutto insensata. Gli attori in un caso del genere devono reinventare dall'interno. Essi infatti sono partiti dallo spettacolo fatto dai bambini, ma non si sono limitati a copiarlo (l'adulto che imita il bambino è sempre ridicolo e falso); lo hanno rifatto coi loro mezzi e facendo ricorso a una costante coscienza critica ». Come spiega l'articolo di Gian Renzo Morteo, La città degli animali oltre che portare alla ribalta un nuovo gruppO teatrale, segnò una data fondamentale nella storia dello spettacolo per l'infanzia e per i ragazzi del nostro paese. Per la prima volta il bambino diventava a tutti gli efIetti il protagonista di uno spettacolo propostogli da attori adulti, l'evento teatrale finalmente non era più solo il luogo deputato alla trasmissione di messaggi ma diventava strumento vivo di comunicazione e di conoscenza fra diverse generazioni. Con La città degli animali per la prima volta ci si trovava di fronte a uno spettacolo che rispettava la tipica concatenazione dei nessi all'interno dell'invenzione proposta originariamente dai bambini, rifiutando ogni ristrutturazione narrativa o drammatica operata secondo altre logiche; uno spettacolo che tendendo a evidenziare, in virtù d'una coscienza critica, il 7 8 riposto dell'invenzione infantile si basava sul modello di spettacolo dei bambini per poi rielaborarlo tecnicamente. In questa nascita, in questo primissimo atto creativo, è già contenuta quella che continuerà poi ad essere fino a oggi la vocazione e la fisionomia del Teatro del Sole: la sua capacità di coinvolgimento, un coinvolgimento totale del pubblico a cui si rivolge sia esso composto da bambini che da adolescenti, l'attenzione alla realtà quotidiana dei ragazzi, l'attingere direttamente a quella inesauribile sorgente che è la fantasia infantile. In La città degli animali sono già contenute tutte le caratteristiche principali, la cifra stilistica e metodologica che presiederà poi l'intero loro percorso. Non è un caso che nel ripresentare oggi questo stesso spettacolo gli stessi attori del Teatro del Sole dichiarino: « Abbiamo deciso di riprendere nella sua forma originale La città degli animali; è una scelta che riteniamo particolarmente significativa in questo momento che vede riacutizzarsi il dibattito sulle caratteristiche, le origini e i bisogni del Teatro Ragazzi. La città degli animali ha significato una scelta complessiva di metodi e linguaggi che in questo decennio sono stati sviluppati, approfonditi, organizzati metodologicamente e professionalmente, ma che mantengono la loro validità proprio da quell'inizio ". Certo, una scelta complessiva di metodi e di linguaggi, scrivono gli attori del Teatro del Sole, ma se all'osservatore è concesso sottolineare e delineare la caratteristica più esplosiva di La città degli animali, la sua cifra più evidente e innovativa, non avremmo nessun dubbio nell'affermare che proprio grazie a questo spettacolo fu finalmente a tutti evidente l'importanza del coinvolgimento attivo ed emotivo dei ragazzi che, in quello spettacolo, diventavano parte integrante del gioco teatrale. Per la prima volta apparve finalmente chiara la possibilità di una rappresentazione fino in fondo teatrale, vissuta e agita, però, in relazione totale a chi vi assisteva, o meglio, in quel caso, vi partecipava. Ed è in questo senso che sicuramente si può parlare nel caso del Teatro del Sole di un effettivo superamento della sterile opposizione tra animazione e rappresentazione, un dualismo che per anni ha monopolizzato il dibattito sui modi e sui linguaggi del Teatro Ragazzi in Italia. Due partiti si fronteggiavano, l'uno caratterizzato dalla negazione del prodotto teatrale finito, dal rifiuto di un rapporto testo/pubblico che ignorava e prescindeva dalla particolarità del pubblico dei ragazzi, che sottolineava l'assoluto privilegio del mondo del bambino, l'altro che invece difendeva l'autonomia creativa ed espressiva dell'adulto, e sottolineava l'importanza dello spettacolo in se stesso e della professionalità. Un contenzioso che s'è voluto ricordare per evidenziare ancor di più la portata innovativa del linguaggio teatrale che il Teatro del Sole propose con La città degii animali: il loro modo, estremamente professionale e quasi sofisticato, d'entrare e uscire dalla quarta parete, il loro desiderio e la loro programmatica volontà di continuamente giocare con le reazioni di chi alla rappresentazione assisteva, furono certamente gli elementi di novità che più impressionarono in quell'occasione. Era la proposta di un teatro inteso come strumento di espressione, di provocazione e di stimolo e insieme strumento di ricezione, di comprensione dello stesso pubblico e della sua realtà, insomma un evento di comunicazione interagito sia dall'attore che dallo spettatore. E questo modo d'intendere lo spettacolo per ragazzi e, più in generale, il teatro, non fu certo occasionale o risultato di una fortuita scelta, ma sin dall'inizio fu complessiva ipotesi di lavoro che chiedeva di essere perseguita e verificata in un lungo e paziente itinerario di ricerca. 8 9 Antefatti, storia e problemi In Animazione e città Di GianRenzo Morteo e Loredana Perissinotto Musolini Editore 1980 Torino L’animazione in Italia è nata per l'esattezza col nome di animazione teatrale, circa 10 anni fa. Definire con precisione la data è praticamente impossibile, in quanto si tratta di un fenomeno dai confini estremamente sfumati e, pertanto, diversamente databile a seconda dell'idea e della lettura scelte. E' indubbio, però, che le origini concrete del movimento, che appunto ha preso il nome di animazione, sono da ricercare a Torino nel clima che precedette, accompagnò e seguì gli avvenimenti del'68. A dieci anni di distanza è quindi possibile, e pensiamo anche doveroso, tentare un bilancio. Anzi, qualcosa di più di un bilancio, se Conosciamo che in tale settore di attività le componenti teoriche, sociali, metodologiche si siano intrecciate e spesso tradotte in spontaneismo e approssimazione più o meno legittimamente definibile "sperimentale" In tale condizione fare un bilancio significa anche tentare di definire, fare ordine e programmare. Per questo insieme di motivi non crediamo che chiarezza si possa ottenere rimeditando soltanto sull'ultimo decennio, ma occorra risalire a tutti quei filoni storici (nel caso specifico pedagogici e teatrali che in varia misura e forma hanno creato il substrato, gli l antefatti, il terreno su cui, coscientemente o no, l'animazione si è radicata umori, stimoli, esigenze. Non ci spinge un amore erudito per la storia antica, ma la convinzione della organicità di ogni fenomeno storico che, spesso, proprio nelle sue matrici più lontane e talora oscure, trova i propri moventi, pulsioni e premesse. La storia dell'educazione, come si sa, non è la storia di un fenomeno di massa, ne è da leggersi slegata dalle condizioni economiche e dai sistemi di produzione di un popolo. Il rapporto si impronta sulla concezione politico filosofica, economica, si sviluppa e si modifica con essa anche se la scuola è per lungo tempo riservata ad una stretta elite e per tutti gli altri, più marcatamente, l’ideale pedagogico, cui adattarsi, resta ispirato al dover essere della propria condizione sociale. Occasioni di apprendimento e di formazione erano, certo, costituite dalla celebrazione di riti e feste religiose e domestiche in cui si danzava, mimava, cantava, si raccontavano storie e si andava a teatro, come nella Grecia del V secolo, teatro che come nota il Nilsson (“la scuola nell’età ellenistica” La Nuova Italia, Firenze, 1973 pagina 10-13} “non senza ragione è stato definito la scuola di questa epoca". Scuola, teatro, gioco, mimo, canto, danza, festa, rito, sono termini ricorrenti nella storia dell'educazione e a seconda dell'ideologia (confessionale, libertaria, aristocratica, totalitaria, ecc.) sono selezionati, corteggiati diffidati repressi o rivalutati. L'esempio celebre lo ritroviamo in Platone, che diffida dalle innovazioni ludiche, che censura le favole raccontate da madri e nutrici, che mette al bando Omero ed Esiodo (modelli educativi) perché “il mondo dell'immaginazione… era pericolosissimo fin dalla prima infanzia per la sua capacità di suggestionare e porre le premesse di una mentalità non razionale ma passionale.” (A.Santoni Rugiu Storia sociale dell’educazione Principato, Milano 1979, p.81) Il filosofo greco aveva pure piena consapevolezza delle possibilità alternative incluse nel teatro e le rifiutava in quanto il suo obiettivo, in quell'epoca storica, era il superamento dei contrasti in atto e il rafforzamento delle istituzioni, per cui caldeggiava un teatro che fosse la conferma del sistema di pensiero e di vita incarnato dallo Stato dal lui auspicato. Nel modello pedagogico didattico dell'utopia Platoniana vi è il primo annuncio della teoria che si profila nell'epoca ellenistica, prenderà forma nella tarda educazione romana e attraverso il medioevo ecclesiastico, l'umanesimo e la pedagogia gesuiti tra, per verrà quasi intatta e tempi moderni: la teoria della disciplina formale. Ossia ciò che forma deve essere legati meno possibile 9 10 alla vita è l'esperienza reale, all'anima “appetitoso” istintiva tipica di chi lavora, ma deve liberarsi nell’astrazione razionale. sacro e profano nel medioevo. Non è nostra intenzione ripercorrere le tappe della storia dell'educazione occidentale, ma c'è interesse evidenziare in breve, a partire da questa frattura tra esperienza reale e cultura, tra apprendimento e formazione, tra vita individuale e sociale, quegli esempi di “ricucitura” del razionale col fantastico e, sia pure, di uso strumentale del gioco, del teatro, del racconto, ecc. Il panorama della storia dell'educazione e per lungo tempo avaro di esempi sul tema che c'interessa, mentre batte il tamburo sul trivio (grammatica, retorica, dialettica) e quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica) per gli eletti e registra tentativi di alfabetizzazione di formazione professionale per gli altri. Dopo la caduta dell'impero romano per tutto il medioevo e oltre, la Chiesa cristiana che accoglie l'eredità del mondo classico diventa punto di riferimento per popolazioni sbandati almeno fino alla strutturazione della città, trova nelle Laudi, nei misteri e nelle passioni eseguite sui sagrati, nelle prediche drammatizzate, degli affreschi fumetto dei luoghi di culto, il modo di avvicinare, informare convertire il popolo di Dio; ma mal sopporta quanto attraverso il teatro musica la pittura la scrittura non viene suo tramite legittimato dall'occasione sacra. Un discorso parte è costituito dalla contaminazione della commedia antica operata dei chierici legati alla Chiesa, da educatori di università, da studenti, insomma da intellettuali, nel desiderio di restaurare nelle forme. L'antichità è sentita come presenza reale e l'azione teatrale puoi costituire l'essenza di un ordine umano antico ricompone indole situazione che permettono di rappresentar nella vita. Esercizio astratto, gioco di teatro erudito che gli chierici rappresentavano dell'ambiente rispetto delle loro scuole; un'attività creatrice in linea con quella attitudine comune tutto il medioevo che un'invidia chiama interpretazione simbolica del mondo. Il teatro profano cade quindi letargo e si prepara germogli futuri, che costituiranno la base del teatro moderno. Ricompare a palazzo sotto forma di giochi, tornei e pastorali che sono per le società cittadine del tarda medioevo in una certa misura malgrado l'innocenza delle loro intenzioni, degli canti misteri perché la grazia il peccato sembrano assente da queste fantasie di digli che di un paradiso ritrovato. Ma nella città questi giochi l'apporto soprattutto sotto la maschera dei sogni di digli co una visione tra tante dello ordine e ricompare poi anche nei carnevali delle feste civili, nelle fiere nelle osterie, nei mercati nei cambi di posta sotto forma di fu un ambo le, mimi, giocolieri, cantastorie, fenomeni naturali, far assetto) e recupero dell'antica che l'Anna), o che essa maschere, le false e le sorti esser offrono in tutto allo opra lo spettacolo fantastico di uomo umano di Sumàn e l'atto dall'intervento brutale delle istanze più sommarie della natura (una natura che la società trasporne socializzare dalla): la fame, il bisogno sessuale, il desiderio di denaro, la noia, lira sono i motori delle azioni delle ore emozioni. L'estetica delle false nella sua lettera di età elementare deliberata, talvolta cinica, ricorda luogo irriducibile forza della schiavitù della carne. In questo senso le false parlano lo stesso linguaggio dei misteri che mostrano l'uomo alle prese con la fatalità della carne. Incarnare la volontà sistematica e, senza dubbio, incosciente di ricondurre l'uomo ai suoi bisogni e i suoi desideri. Questo uomo di cui rende di ricucire lire di viso tacere terra, tra carne Spirito, diventa il perno della visione del mondo in epoca successiva. E la storia della pedagogia ricomincia registrare fatti che c'interessano. Danza, canto, musica e scene teatrali non sono di spugna che, a differenza di altri contemporanei, dal di Torino e il 3 (1377 1446) perché la sua scuola giocoso doveva mortificare corpo e Spirito in una atmosfera serena è impegnata. Lo mondo usa secondo Alberti (1400 1472) deve scoprire le arti che sugli lui è completare la sua formazione con quelle attività in cui l'anima e le membra insieme concorrono all'opera al lavoro come quella dei pittori scultori musicisti eccetera. Teatro danza musica resta rientrano nel pacchetto pedagogico dei gesuiti non come strumento occasionale di educazione ma come parte integrante dell'attività di approfondimento formazione di 10 11 giovani. Espressività gusto estetico immaginazione dell'allievo vengono curate che permettono in grado di comunicare, di stabilire rapporti più dirette persuasi vicoli altri, ciò che svilupparne le capacità retorica. Attività teatrali come rappresentazione di danni morali non farsi innocenti anche degli oratori fondati da San Filippo ne di (1515 1595) per i figli del pomo Lino va a dire formazione morale religiosa più che Istruzione attraverso giochi svaghi più sani di quelle offerte dalla società esterna. Un'opposizione alla revival gesuiti co con la negazione della musica del teatro dello spettacolo in genere considerati passatempi pericolosi perché differenza gioventù dallo studio del lavoro la ritroviamo nel vescovo fa sua fede nonna avente di (1651 1715) e peraltro passato la storia con insù o " l'educazione delle fanciulle " e per il richiamo all'aspetto formativo della vita sociale di fronte quella scolastica. L'elenco degli autori e dei detrattori potrebbe essere divertente e che sarebbe di che continuare ma c'è breve sottolineare questo punto con una visione pedagogica nuova, e il relativo apparato didattico, si vengano costruendo per piccoli e, a volte, molto distanziati nel tempo, contributi del pensiero dell'esperienza di vari autori. 11 12 Compagnie Sole, teatro del , gruppo storico del teatro-ragazzi non solo italiano: si può dire che il teatro-ragazzi in Italia abbia avuto origine dagli spettacoli di questa compagnia. Il T. del S. ha deciso fin dalla sua prima produzione, La città degli animali (1971, nata da un corso della scuola del Teatro Stabile di Torino in collaborazione con un gruppo di attori del Piccolo Teatro di Milano, di scegliere i ragazzi come spettatori privilegiati. Seguono poi, tra gli altri, Vieni nel mio sogno (1974), Felice e Carlina (1975), Giochiamo che io ero (1976), Dudù dadà il disperato vincerà (1977), spettacoli tutti giocati nel segno didattico brechtiano della semplicità inventiva che Carlo e Iva Formigoni infondono al gruppo. All'uscita di Formigoni, la compagnia si indirizza, dopo una serie di progetti legati all'uso dello spazio ( Ey de net , 1982; Horton , 1984; Dilemma lirico , 1985), verso un teatro antropologico che guarda alle culture orientali ( Riksciò, frammenti d'Oriente , 1988; Aso una storia africana , 1992). Dal 1995 la direzione è di Renata Coluccini. Angolo, Teatro dell' , compagnia storica del teatro-ragazzi. Nato a Torino alla fine degli anni '60, è uno dei centri nazionali riconosciuti dal Dipartimento dello Spettacolo. Con Pigiami (1982) e Robinson e Crusoe (1985), interpretati da Nino D'Introna e Giacomo Ravicchio, ha creato nel teatro-ragazzi italiano una tipologia di spettacolo d'attore tra gioco dialettico e poesia dell'infanzia che ha fatto scuola. Da ricordare tra le altre produzioni Terra promessa (1989) in collaborazione con il canadese Le Deux Mondes, e Il paese dei ciechi (1992). Briciole, Teatro delle , uno dei gruppi e dei centri di teatro-ragazzi più importanti non solo in Italia. Nato nel 1976 a Reggio Emilia e trasferitosi a Parma nel 1981 nello spazio polifunzionale del Teatro al Parco, produce i suoi spettacoli e organizza rassegne di grande interesse. Il T. delle B. è riuscito a fondere nei suoi spettacoli con notevole suggestione il teatro di figura con quello di attore, che negli ultimi tempi ha decisamente preso il sopravvento. Collabora stabilmente con Tonino Guerra ( Il grande racconto , 1990; La casa dei giardini interni , 1995). Molti gli spettacoli memorabili: Nemo (1979), Genesi (1980), Il richiamo della foresta (1982), Miracoli (1982), Lo stralisco (1991), Con la bambola in tasca (1994). Le regie di Marina Allegri, Maurizio Bercini, Letizia Quintavalla, Bruno Stori hanno creato per varie generazioni di ragazzi, non solo italiani, una sorta di alfabeto emozionale di grande impatto visivo. Giocovita, Teatro , compagnia storica e centro di teatro-ragazzi riconosciuto dal Dipartimento dello spettacolo, diretto da Fabrizio Montecchi. Nata nel 1971 a Piacenza, si è specializzata sin dalla fine degli anni '70 nel teatro d'ombre, divenendo ben presto la realtà più importante in Italia. Con la compagnia, tra gli altri, hanno collaborato molti registi (Conte, Marcucci, Dall'Aglio) e scenografi e pittori (Baj, Calì, Luzzati). Molti gli spettacoli da ricordare: Odissea (1983), Pescetopococcodrillo (1985), Il corpo sottile (1988), L'uccello di fuoco (1994). Buratto, Teatro del , una delle compagnie e dei centri più rappresentativi del teatro-ragazzi italiano. Fondato a Milano da Velia e Tinin Mantegazza nel 1975, agisce nella sala del Teatro Verdi dove rappresenta i suoi spettacoli e le stagioni di teatro di ricerca, sempre di grande interesse. Specializzatosi ben presto in un teatro di figura inteso come rappresentazione totale dove parola, musica e immagine tendono a formare un vero e proprio teatro popolare d'arte ( L'histoire d'un soldat , 1975; Quell'Astolfo da Ferrara , 1981). Dopo l'uscita di Tinin e Velia Mantegazza (1986), il B. ha da una parte approfondito il discorso del teatro su nero ( Pane blu , Fly Butterfly ), dall'altra ha creato spettacoli che hanno cercato di reinventare lo spazio scenico, per un diverso rapporto con i 12 13 bambini, collaborando anche con artisti di varie discipline come Munari, Manuli, Cerami ( Cappuccetto bianco , Sotto la tavola? , Una piazza, due piazze, un castello ). Piccionaia I Carrara, La. Compagnia storica, nasce nel 1975 intorno al nucleo storico della Famiglia Carrara, collocandosi tra le cooperative teatrali con una attività di teatro popolare a tutto campo che comprende anche i percorsi di Teatro-Scuola (Quarta Parete 1976, Antiche Farse 1978). Nel 1982 Armando Carrara costituisce una seconda formazione artistica che si dedica prioritariamente al teatro-ragazzi (Carillon 1982, Autoritratto Molle con pancetta fritta 1985, Omaggio a Magritte 1989). Nel 1986 La Piccionaia diventa Centro Teatro Ragazzi ed inizia a partire da Vicenza la gestione di sale teatrali. Successivamente emergono i percorsi artistici di Carlo Presotto, legato all’interazione tra video e narrazione (Storia di una Gabbianella 1997, Le stagioni di Giacomo 1999), e di Ketty Grunchi dedicato alla prima infanzia (Mignolina 2001, Kiriku 2003). Si sgenala il progetto speciale dei primi anni Ottanta ‘La necessità di un tempo inutile’ che raccoglie artisti ed esperienze che valorizzano l’importanza del gioco e della scoperta non solo nell’età infantile. 13 14 Teatri Stabili di Innovazione Secondo quanto stabilito dal Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 4 novembre 1999, n. 470 Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività teatrali, in corrispondenza agli stanziamenti del FUS, Fondo Unico per lo spettacolo l'attività teatrale stabile è svolta dai Teatri Stabili ad Iniziativa Pubblica, ad Iniziativa Privata e dai Teatri Stabili di Innovazione nella ricerca e sperimentazione teatrale e di Innovazione nel teatro per l'infanzia e la gioventù . L'attività teatrale stabile è connotata dal prevalente rapporto con il territorio entro il quale è ubicato e opera il soggetto che la svolge, dalla continuità del nucleo artistico - tecnico - organizzativo, nonché dalla progettualità con particolari finalità artistiche, culturali e sociali: -sostegno e diffusione, con particolare riferimento all'ambito cittadino o regionale, dei valori del teatro nazionale d'arte e di tradizione, con adozione di progetti artistici di produzione, ricerca, perfezionamento professionale, promozione, ospitalità -rinnovo del linguaggio teatrale e sostegno alla drammaturgia contemporanea -sviluppo del metodo di ricerca in collaborazione con le Università -diffusione della cultura teatrale presso il pubblico di ogni fascia di età e ceto sociale -valorizzazione di nuovi talenti -disponibilità di una o più sale teatrali direttamente gestite e idonee …..(art 12) L'attività dei Teatri di Innovazione -Settore infanzia e gioventù deve essere caratterizzata da una particolare attenzione all' evoluzione del linguaggio artistico e pedagogico, allo sviluppo e diffusione della cultura teatrale presso il pubblico in età prescolare e scolare, e da iniziative di studio e laboratorio, anche in collaborazione con strutture scolastiche mirate a finalità educative e alla formazione teatrale di insegnanti. (art 15) Per la compilazione di questa sezione, sono stati presi in considerazione gli Organismi finanziati nel 2003 dal Dipartimento dello Spettacolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali come Teatri Stabili di Innovazione - Settore infanzia e gioventù. Abruzzo Campania Emilia Romagna - Lazio Lombardia Marche Piemonte Puglia Sardegna Toscana - Umbria Veneto - Ass. L'Uovo Centro Teatro Stabile Giovani d'Abruzzo, L'Aquila Soc.Coop.Le Nuvole a r.l. Napoli Accademia Perduta-Romagna Teatri, Ravenna La Baracca, Bologna Teatro delle Briciole, Parma Teatro Evento, Vignola (MO) Teatro Giocovita, Piacenza Teatro delle Marionette degli Accettella, Roma Elsinor, Milano Teatro del Buratto, Milano Teatro del Canguro Soc Coop Onlus, Ancona Teatro dell'Angolo, Torino Teatro Kismet Opera, Bari Ass. Compagnia Teatro La Botte e il Cilindro, Sassari Fondazione Sipario Toscana, Cascina (PI) Teatro Stabile di Grosseto Ass.Pupi e Fresedde Teatro di Rifredi Firenze Fontemaggiore, Perugia Fondazione A.I.D.A. Centro teatro ragazzi, Verona La Piccionaia -I Carrara , Creazzo (VI) 14 15 Innovazione educativa 6/1998 Le trasformazioni del “teatro dei ragazzi” di Gerardo Guccini Ricercatore CIMES Bologna Ricerca teatrale e teatro ragazzi Osservati dal punto di vista dei teatranti il teatro di ricerca e quello fatto con o per i ragazzi costituiscono due diverse applicazioni d’uno stesso ambito di produzione, circuitazione e concertazione culturale. Sono infatti le stesse persone e gli stessi organismi - Centri o associazioni - che si occupano in genere sia delle attività laboratoriali nelle scuole e delle produzioni spettacolari per i ragazzi, che dello sviluppo di quei singoli percorsi artistici che, nell’insieme, fondano il mondo della ricerca teatrale. E quest’intreccio - e quasi unificazione - di funzioni si verifica in così tanti casi da sembrare una specie di norma non scritta o “legge naturale” del settore. A dispetto delle norme legislative, che distinguono le attività della ricerca “pura” da quelle connesse alla scuola e al mondo dei ragazzi, si è affermato nei fatti un settore largamente unitario, caratterizzato da trasversalità operative e da una cultura composita che si sostanzia in opere e poetiche sotto la spinta di esigenze pratiche e artigiane. In molti casi, chi fa ricerca riconosce nel lavoro teatrale fatto a contatto dei ragazzi una fase del proprio percorso o una parte delle proprie attività correnti o entrambe le cose. D’altra parte, chi fa teatro con i ragazzi sa perfettamente che il suo agire consiste in una continua ricerca di mezzi che consentano di stabilire relazioni autentiche e creative e che, proprio per questo, una volta trovate si propagano nel mondo del teatro trovando feconde applicazioni un po’ ovunque. Dove finisce l’attività per i ragazzi e incomincia la ricerca? E, se la nozione di “confine” non è pertinente a questo intricato rapporto (come ci suggeriscono la poetica dell’infante della Societas Raffello Sanzio e il recente incorporamento alla compagnia di Ravenna Teatro di giovani attori provenienti dai laboratori scolastici), quali altri criteri di individuazione e analisi possiamo adottare? Non è un problema retorico. L’adozione d’un modo di vedere pertinente a tale argomento è ora necessaria e, direi, irrinunciabile: se non traduciamo in linguaggio la problematica dei rapporti fra la ricerca e il teatro ragazzi, corriamo infatti il rischio di relegare in una dimensione esclusivamente personale la nozione della loro unitarietà, convalidando di riflesso la diffusa percezione secondo cui la ricerca appartiene alle urgenze dell’arte, e il teatro coi ragazzi alle necessità del sociale. Non sempre è così e, soprattutto, non lo è mai nei casi significativi. La società e il teatro si sovrappongono in costellazioni di eventi e modi comportamentali, dove è obiettivamente impossibile distinguere quanto pertiene all’una o all’altro. Fra le dinamiche del sociale figurano infatti sia l’impulso a “rappresentare se stessi nella vita quotidiana” (Erving Goffman) sia il movimento - di senso opposto al primo - che innesta alla vita di tutti i giorni il lavoro attorale su se stessi. Di qui, ad esempio, la recente nozione di “attore sociale” (Cristina Valenti), che registra il nuovo ordine di soggetti suscitato dal radicarsi del teatro nei “luoghi del disagio”(carceri, centri d’igiene mentale, comunità di recupero). E, d’altra parte, come è possibile escludere proprio il sociale dalle componenti intrinseche di un’arte, quale è il teatro, che scopre la propria identità nell’atto di rifondare e controllare i modi comportamentali ed espressivi dell’umano? Prima di esaminare i procedimenti e i valori comuni al teatro ragazzi e a quello di ricerca, debbo però precisare che con “ricerca” non intendo né una prassi determinata né quella generale tendenza che, succeduta alle avanguardie degli anni ‘60, portò l’attenzione sui princìpi permanenti del fare teatro. La “ricerca” cui si fa qui rifermento indica, nell’artista, la disponibilità ad affrontare creativamente il processo compositivo, vedendo in esso non già un mezzo di attuazione - e cioè la mera applicazioni di prassi indotte da tradizioni, scuole o Maestri - ma una realtà culturale e di vita modificabile, pulsante, dialetticamente intrecciata ai propri esiti, e perciò investita della stessa tensione espressiva che si è soliti attribuire all’opera. In questo senso, “ricerca” è quella dell’attore che, partito dall’assimilazione di un modello, perviene alla definizione d’una diversa realtà artistica. Ricerca è quella dell’artista che non riconoscendosi in nulla di ciò che lo precende trova in se stesso la sostanza antropomorfa, sensuale e, per così dire, caratteriale della propria arte (Carmelo Bene) o, di questa, il nudo paradigma (Grotowski). Ricerca è quella dell’interprete di forme codificate, che, nell’eseguirle, sperimenta il paziente controllo dell’energia, oppure procede al rinnovo dei modi tecnici. Ricerca, insomma, è sinonimo di vita e nuovo nel teatro. Alla luce di questa accezione, il teatro ragazzi non si configura in quanto realtà differenziata da confrontare 15 16 ai modi d’un parallelo teatro di ricerca, ma come un contesto in cui rintracciare l’apparire e il trasformarsi (in senso istituzionale, organizzativo, procedurale) di pratiche informate a tale nozione. Il caso italiano In Italia, le attività teatrali svolte dalle scuole o nelle scuole sono realtà articolate e diffuse che, però, non corrispondono ad una regolamentazione istituzionale. Il che implica che il teatro non risulta dal sistema scolastico. Mentre nel caso della Francia o del Regno Unito è possibile spiegare la dinamica dei rapporti fra teatro e scuola partendo dalla descrizione del ruolo istituzionale che il primo occupa all’interno della seconda, in quello dell’Italia, non si può che ricorrere alla varietà dei singoli casi registrandone caratteri, tendenze, possibilità, ascendenze e derivazioni. E cioè, in una sola espressione, accertandone la dimensione storica, che risulta spesso illuminante proprio perchè il teatro che si fa nella scuola italiana non è un luogo istituzionale ma l’esito degli incontri, vari e mutevoli, fra due realtà frastagliate e solcate da tensioni: la scuola e il teatro. Lo svolgimento dei loro intrecci relazionali individua tre fasi storiche: la prima riguarda la fondazione d’un campo operativo (l’animazione) trasversale e comune tanto al nuovo teatro che alla scuola; la seconda è occupata dal consolidamento, anche in senso istituzionale, delle innovazioni culturali degli anni ‘60; la terza riguarda la “ripresa” dei modi culturali degli anni ‘60 e ‘70 - caratterizzati dalla compenetrazione fra azione pedagogica e ricerca teatrale - all’interno d’un sistema, ancor più che mutato, in fase di mutamento. L’attuale istituzione scolastica, infatti, anzichè esercitare (com’è tipico dei soggetti forti) un’azione di attrito nei riguardi dei fattori propulsivi e di trasformazione, richiede essa stessa di venire abitata da una cultura dinamica, dialettica, refrattaria all’uniformità delle norme e capace di aderire alle esigenze delle situazioni particolari e dei singoli individui. E in ciò trova un alleato e un modello proprio nel teatro e, più precisamente, nel teatro di ricerca, che è per sua natura una pratica anti-istituzionale (poiché orientata a divenire piuttosto che ad essere) ma disposta a coabitare con l’istituzione. 1968-1977 Utopie e ricerca Il ‘68, anno di incrinature e svolte epocali, rinnovò i rapporti fra cultura e società e quindi anche quelli fra teatro e scuola. La contestazione, nata all’interno delle università con l’intento di sostituire al vecchio sistema di apprendimento nozionistico e autoritario - un sapere che conosce per trasformare, divenne in breve globale, ma l’originario carattere di ribellione anti-accademica continuò ad agire sul piano della mentalità diffondendo a livello di massa quelli che erano stati i valori delle avanguardie storiche: rifiuto delle gerarchie (estetiche e sociali) e delle tradizioni, ideologizzazione del nuovo e svalutazione delle forme compiute rispetto ai motivi processuali, che, ben più delle prime, consentono di lavorare sull’umana verità dell’individuo mantenendone sostanzialmente intatte integrità e identità. Le straordinarie capacità ricettive di questa sensibilità naturalmente bisognosa di modelli da contrapporre alla tradizione, alla norma, al passato fecero sì che esperienze esistenziali e artistiche fino ad allora condotte in ambiti ristretti e con assoluto dispregio del successo e del mercato si videro investite d’una popolarità vastissima. Si pensi al Living o alla generazione di epigoni prodotta dal teatro di Grotowski. Anche l’animazione teatrale venne veicolata da questa stessa modalità di diffusione ben aldilà delle sue zone di maggiore radicamento amministrativo, che coincidono con la Torino del sindaco Novelli (1975-1985). A differenza della teatralità socialmente esplosiva del Living e di quella laboratoriale e centripeta di Grotowski - interessato a mutare l’individuo - l’animazione non fu un modello di Autore. Non ebbe un unico padre né caratteri unitari. Ma proprio la sua relativa impersonalità - accreditata dalla varietà delle esperienzeguida contribuì alla diffusione del fenomeno, nel quale si vide un superamento delle concomitanti crisi della scuola e del teatro. Animazione e scuola Alle spalle dell’animazione v’erano: sul versante scolastico, la pratica della drammatizzazione, le esperienze di singoli insegnanti come Bruno Ciari e Mario Lodi - e di gruppi strutturati - come il Movimento di Cooperazione Educativa -; su quello teatrale, la messa in discussione del teatro da parte dei suoi esponenti più innovativi, che riuniti a Ivrea, nello storico convegno del 1967, misero a punto un documento aperto alle parallele istanze di integrazione dell’istituzione scolastica. In questo testo si diceva infatti che il nuovo teatro avrebbe dovuto rimediare “allo scollamento con la realtà del paese e della popolazione”, “ispirarsi al quotidiano per ricavare modalità di espressione”, eliminare “qualsiasi diaframma fra palcoscenico e platea” e approntare uno spazio laboratoriale “dove tutto deve essere ricomposto attraverso uno sperimentazione che 16 17 riguardi: il gesto, l’oggetto, la struttura drammaturgica, il suono, lo spazio”.1 Le esperienze che, per prime, incominciarono a mettere in contatto le parallele tendenze della scuola e del teatro a rinnovarsi svuotandosi dei propri contenuti istituzionali si svolsero a partire dal ‘68. In quell’anno, Franco Passatore esce dall’ambito teatrale per calarsi con un suo gruppo nella realtà scolastica dei ragazzi; il maestro elementare Remo Rostagno e la sua classe svolgono un processo di scrittura drammatica creativa sul loro paese; e un altro maestro, Franco Sanfilippo, conduce con i bambini una esperienza di fabulazione teatrale collettiva che sfocia in un elaborato, La città degli animali, la cui realizzazione, per iniziativa del Teatro Stabile di Torino, viene affidata al Teatro del Sole di Carlo Formigoni. Poi, nel biennio 19691970, si svolge a Torino l’Esperienza di Decentramento alla quale, fra gli altri, partecipano Barbieri, Perissinotto e Scabia, che la descriverà in un libro che fece epoca: Il teatro nello spazio degli scontri (Roma, Bulzoni, 1973). In questa fase il termine “animazione” non compare ancora. Il numero speciale di “Sipario” del 1970, interamente dedicato al movimento, parla di “teatro dei ragazzi”, mettendo l’accento sulla preposizione “dei” per segnalare la contrapposizione con il “teatro per i ragazzi”, visto come prolungamento dell’attività didattica tradizionale e prodotto della vecchia cultura. E, per l’appunto, Il teatro dei ragazzi si intitola la pubblicazione in cui Giuseppe Bartolucci, nel 1972, raccoglie i profili e gli scritti dei principali protagonisti di questa pratica creativa: Giuliano Scabia, Franco Passatore, Silvio Destefanis, Mafra Gagliardi, Loredana Peressinotto, Alfredo d’Aloiso, Remo Rostagno e Franco Sanfilippo. Bartolucci - che nel ‘67 era stato fra i firmatari del documento di Ivrea e l’anno seguente aveva pubblicato uno dei primi studi sulle poetiche del ‘nuovo teatro’ La scrittura scenica - riconosce e svolge criticamente le analogie culturali e pragmatiche che accomunavano i fenomeni del rinnovamento teatrale e il concomitante ‘teatro dei ragazzi’, individuando sia negli uni che nell’altro atteggiamenti e valori non solo affini, ma identici e tali, insomma, da motivare una possibile unità di ambito e categoria. In uno stesso anno, il 1972, il “teatro dei ragazzi” si vide documentato dallo studio di Bartolucci e acquisì stabilmente una nuova denominazione che ne reimpostò gli obiettivi. Il termine animazione deriva dal francese ‘animation’. Parola che, nel divenire italiana, perse certi significati e altri ne accentuò finendo per definire un concetto completamente diverso da quello originale. Secondo quanto enunciato nel 1967 da Georges Béjean, animatore capo della Maison de la Culture di Grenoble, vi erano in Francia tre diversi modi di attuare i compiti informativi e formativi dell’animazione. Ad ognuno dei tre modi corrispondeva una precisa denominazione. L’animazione classica discuteva e illustrava realtà artistiche di già formalizzate ed esistenti: spettacoli, progetti culturali ecc. L’animazione di ricerca formava il pubblico, coltivandone i gusti e le esigenze. L’animazione creatrice sollecitava le risorse di ognuno. In Italia, delle tre forme di animazione ipotizzate in Francia, si accettò solo la terza: l’animazione creatrice. La scelta indicava un’evidente sfiducia nei riguardi dei teatri che si esprimevano con opere formalizzate, fossero essi istituzionali o d’avanguardia, e partecipava alla reimpostazione in senso ideologico del concetto. Mentre per i francesi l’animazione, come osservò Gian Lorenzo Morteo, era “un modo nuovo (in grado di divenire anche creativo) di stabilire un rapporto con il teatro”, in Italia, l’animazione divenne “un modo di mettere in causa il teatro. Di rifiutarlo (così come esiste) ed, eventualmente, di riproporlo ex novo”.2 La parola ‘animazione non accompagnò il prodursi del fenomeno, e il suo conio coincise con la crisi della fase culturalmente propulsiva delle realtà designate. Il “folgorante successo della parola animazione” (G. L. Morteo) coincise con l’irrigidimento in senso ideologico delle problematiche aperte dal confronto fra scuola e teatro sotto il segno d’una comune ricerca di forme, linguaggi, contesti applicativi e modalità d’interazione. Non solo: l’animazione, escludendo - a tutto favore di una concezione estremizzata della creatività - il prodursi di sapienze tecniche e formali, si mise nella condizione di non poter reagire al ritrarsi del clima politico e culturale che l’aveva generata. Eppure, la diffusione dell’animazione portò alla fondazione di categorie e di aree operative, dove il teatro ragazzi e la ricerca si intrecciano e coesistono ai limiti dell’indistinguibilità. E ciò a causa di due fattori: in primo luogo, il laboratorio - inteso come momento antitetico alle necessità puramente funzionali della produzione diviene il contesto operativo ideale per entrambe le tradizioni; inoltre, le scuole, gli enti locali e lo stato alimentano un mercato variegato e composito, che i teatranti tendono a praticare trasversalmente, vuoi per elezione, vuoi per necessità. In Italia, la storia dei rapporti fra la scuola e il teatro si svolge su due livelli, che presentano ritmi di sviluppo diversi quando non addirittura contrapposti. In quello dell’elaborazione teoretica e della produzione di 17 18 pensiero, la rifondazione ideologica del concetto di animazione adagiò il dibattito nello schema d’una contrapposizione senza sbocchi fra ragioni ideali e prese di posizione critiche e predisposte anch’esse alla ripetetività. Diversamente, al livello dello sviluppo strutturale e del vivere civile, lo stesso fenomeno segnalò col suo diffondersi la disponibilità del sociale a modificarsi a misura delle esigenze e della sensibilità, che l’animazione stessa indicava con la sua accezione più esclusiva ed agguerrita. 1977- 1985 Sviluppo e afasia L’animazione ha contribuito alla creazione di un ambito teatrale trasversale alla scuola e alla ricerca, suscitando nuove formazioni e mutando le compagnie già precedentemente dedite al pubblico dei ragazzi da organismi specializzati in teatri eclettici. Il numero delle iniziative, delle nuove formazioni e dei luoghi teatrali che queste gestiscono cresce ad un ritmo così sostenuto da originare una nuova categoria. Nel 1977 nasce infatti ufficialmente il nuovo Teatro Ragazzi. Molti dei gruppi afferenti provengono dall’animazione e, anche nel momento in cui tornano a produrre spettacoli, continuano a svolgere attività assieme ai ragazzi e iniziative interne alla scuola o rivolte al territorio. L’animazione, che nella sua fase ideologizzata e di tendenza aveva occupato posizioni critiche ed antagoniste rispetto al precedente teatro per ragazzi e alla nozione di ‘spettacolo’ in quanto organismo formalizzato e autosufficiente, finì dunque per riformulare queste stesse pratiche e funzioni. Dall’animazione, il Teatro Ragazzi eredita l’attenzione prioritaria rivolta al momento creativo, l’uso libero e fantastico degli oggetti e dei corpi degli attori, l’uso di materiali poveri e quotidiani e di un linguaggio sintetico ed essenziale. Inoltre eredita la convinzione che i percorsi fantastici propri dei bambini non possano e non debbano essere ingabbiati entro gli schemi logico - funzionali dell’adulto. Per comprendere le modalità di questo decorso storico, che nel giro di pochi anni trasforma le utopie attraenti e suscitatrici dell’animazione di tendenza in un ambito esteso e radicato nel territorio, occorre tenere presente che le iniziative culturali non si sarebbero potute coagulare in un ambito trasversale al teatro e alla scuola se l’istituzione scolastica non avesse favorito la moltiplicazione e la circuitazione di esperienze. Mi riferisco alla legge 477 del 1973, coi relativi decreti delegati 416 e 419, e alla legge 517 del 1977. Grazie alla prima “la scuola si è aperta alla società [...] ha sostituito, all’individualistico e autoritario rapporto docente-discente inteso come puro atto spirituale, una più avanzata e moderna concezione, non più scuolacentrica, ma proiettata all’esterno, al cosiddetto extra-scuola da cui attingere la linfa vitale per dare sostanza e concretezza all’esangue processo educativo”3. Con la seconda, poi, “collegialità, programmazione, mastery learning, interdisciplinarità, team - teaching, unità didattica e percorsi curricolari sono entrati a far parte della [...] tematica scolastica (specialmente al livello della scuola dell’obbligo), accompagnati da un’apertura verso il territorio, la realtà socio-economica attraverso gli organi collegiali”.4 Le tessere della scacchiera su cui si giocano i rapporti fra teatro e scuola, si vengono così a completare definendo un contesto operativo e istituzionale che rimarrà pressocché immutato fino ai giorni nostri. Riepiloghiamo 1) Nel ‘68, il teatro dei ragazzi di Scabia, Passatore, Rostagno esprime una teatralità fondata sull’attivazione di relazioni interpersonali e creative. Modalità che sintetizza due spinte dell’epoca: la tensione ad agire sul sociale e l’aspirazione a realizzare un teatro liberato dai vincoli degli apparati e delle forme. 2) Ideologizzate e trasformate in tendenza con il nome di animazione, le possibilità operative del teatro dei ragazzi si diffondono a macchia d’olio modificando gli orizzonti d’attesa degli insegnati nei confronti delle proposte esterne (il cosiddetto extra-scuola) e creando un inedito settore di applicazioni professionali. 3) Nel corso degli anni ‘70 i teatranti rinnovano il Teatro Ragazzi e la scuola riconosce la necessità di aprirsi al territorio e di integrare la programmazione didattica con una progettazione eclettica e condotta con soggetti esterni. Si tratta di mutamenti che tracciano le linee di sviluppo degli eventi successivi: tanto più la scuola si aprirà costituendosi luogo del teatro, quanto più l’ambito cresciuto a effetto di questa apertura si rafforzerà e articolerà in formazioni e percorsi, che praticano trasversalmente l’azione pedagogica, la ricerca artistica, l’intervento sociale e la formalizzazione scenica. Al radicarsi dei rapporti fra scuola e teatro corrisponde però la crisi della cultura spontaneistica e creativa che era stata all’origine del mutamento e che, in prospettiva, non riesce a scalfire i modelli estetici e operativi incarnati dal “teatro ufficiale”. Nella scuola degli anni ‘80, il teatro fatto, agito, rappresentato è quello che scaturisce all’interno delle classi 18 19 dai rapporti fra insegnanti e allievi, mentre il teatro studiato e commentato come oggetto di cultura è quello delle compagnie professionali, che rappresentano testi d’autore. Fra l’uno e l’altro non sussisteva un rapporto diretto, ma una modalità relazionale. L’elevato rango culturale riconosciuto alle rappresentazioni della drammaturgia letteraria faceva infatti sì che queste si presentassero al mondo scolastico come un modello da imitare, riprendendone sia le ambizioni interpretative che le scansioni processuali: riduzione del testo, distribuzione delle parti, realizzazione delle scene, composizione delle musiche, piano registico eccetera. Si tratta di abitudini ancora vivissime. Qui, però, è importante osservare che negli anni Ottanta la frequentazione critica degli spettacoli teatrali e l’allestimento dei testi letterari non costituivano soltanto una possibilità, ma erano l’espressione più evidente e rappresentativa del rapporto fra la scuola e i teatranti di professione. 1995 e oltre Tra istituzionalizzazione e tradizione del moderno Negli anni ‘90 il quadro cambia completamente. Ora il profilo professionale degli operatori teatrali che agiscono nelle scuole non è più in discussione e si configura come una realtà varia ma propositiva e dialettica, tale, insomma, da consentire il prodursi d’una teatralità a tutto tondo. Vi sono attori di mestiere che riportano nell’ambito scolastico gli esiti della autopedagogia attorale propria della ricerca; artisti che, nati a contatto del lavoro teatrale con i ragazzi, hanno acquisito capacità drammaturgiche o registiche largamente riconosciute; operatori che ricavano da esperienze e conoscenze teatrali di varia natura una creatività organica alle possibilità della scuola. Nell’insieme, la loro presenza è, se non istituzionalizzata, strutturale: presenta, infatti, caratteristiche ricorrenti e ben rilevate; coinvolge gli insegnanti e gli allievi secondo modalità di relazione diversificate, ma riconoscibili; trasmette alla scuola i valori e i retaggi della cultura teatrale al punto che la scuola stessa può pensarsi “come laboratorio capace di raccogliere sia l’eredità dell’animazione, sia le esperienze dell’avanguardia teatrale del Novecento”.5 Le ragioni del cambiamento sono molteplici: una però spicca fra le altre. Si tratta dell’aumento quantitativo della pratica teatrale delle scuole. È un fenomeno riscontrabile, oggetto di studi e ricognizioni statistiche e che, tuttavia, non fa che spostare la ricerca delle cause. Perchè, infatti, singole scuole e provveditorati, provincie e comuni e anche lo stesso Ministero hanno preso a privilegiare, ognuno per proprio conto, con iniziative o progetti a ciò mirati, come il progetto ministeriale “Giovani 2000”, la pratica del teatro e della creatività collettiva? Le motivazioni del Protocollo d’intesa del 1995 (col quale si è inteso riconoscere la “valenza educativa dell’approccio al teatro”; “assicurare [...] un livello di qualificazione europero”; “approfondire la tradizione e sviluppare i nuovi valori creativi del teatro italiano”), spiegano l’adesione dei firmatari ad una situazione di fatto, non il sistema di isolate spinte e autonome determinazioni che l’ha prodotta. È probabile che gli insegnanti e i responsabili degli istituti scolastici si siano rivolti con movimento a sciame verso il teatro - e ciò senza che il teatro stesso si ponesse quale modello ‘forte’ - perché la pratica teatrale risultava vitale e necessaria al loro ambito disciplinare. E cioè: alla didattica scolastica. Il teatro, secondo questa ipotesi, è dunque parte integrante delle strategie di sviluppo e mutamento con cui le scuole hanno reagito ai ritardi della riforma, facendo leva, a misura della proprie facoltà d’intervento, sul settore dell’extrascuola. Per la nuova didattica, che identifica l’atto di apprendere con un processo che modifica il modo di pensare, agire, sentire e ha per finalità “apprendere ad apprendere”, il teatro è una specie di doppio materiale: una pratica che oggettiva gli snodi e i valori della formazione rendendoli concretamente percepibili in veste di rapporti interpersonali, obiettivi da realizzare, azioni, lavoro. Il teatro ‘rappresenta’ quanto la didattica vuole: legittima le differenze, apprende ad apprendere; è esso stesso relazioni in atto, unione di corpo e mente, creatività continuata e necessità di esistere. Probabilmente, il principale requisito culturale dei teatranti che operano nella scuola è la capacità di liberare il teatro dalle convenzioni, dalle incrostazioni, dalla sovrastrutture lasciando che quanto è in esso essenziale agisca in questo contesto “puro” - e cioè non predeterminato teatralmente - fino a ritrovare le vie d’una creatività necessaria. Per capire le possibilità e l’identità della situazione attuale, occorre allargare il novero dei dati acquisiti e porsi il problema di conoscere la quantità. È quanto l’IRRSAE dell’Emilia Romagna e il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna hanno fatto nel corso dell’anno scolastico 1997-1998 e nell’ambito del Progetto Europeo Comenius TEATRE, svolgendo una ricerca avente per oggetto l’attività teatrale in tutte le scuole medie e medie superiori della regione. Le fasi e i risultati di questo lavoro tuttora in fase di realizzazione sono stati descritti 19 20 in un articolo apparso su questa rivista, A. Bonora, G. Guccini, F. Fortini, L’Europa per il teatro a scuola. Azioni di monitoraggio, in “Innovazione educativa”, A. XVIII (1998), n. 5; qui, mi limiterò a riportare le tipologie ricavate dai dati raccolti. Tipologie che descrivono una realtà promettente e fluida, in cui al riconoscimento debole e tardivo delle funzioni educative del teatro corrispondono, di fatto, collaborazioni elettive, pratiche di confine, parabole che solcano con un tracciato nitido e indifferente alle diversità di contesto il mondo della scuola e il teatro di ricerca tout court. Il teatro nelle scuole medie inferiori non è destinato necessariamente alla rappresentazione, viene svolto da classi intere nell’orario di lezione, persegue obiettivi didattici oltre che educativi. In questi casi, il compito dell’esperto consiste nell’educare all’esperienza del teatro, svolgendo laboratori talora autonomi, talaltra inquadrati in originali progetti formulati con la collaborazione dell’insegnate, talaltra ancora propedeutici allo spettacolo che, però, nell’ambito della scuola media inferiore, non si basa quasi mai su opere della letteratura drammatica e risulta dal montaggio di testi reperiti o composti dagli alunni. Il fatto che l’attività teatrale venga svolta da ogni singola classe stimola gli istituti a organizzare momenti di raccordo che possono essere di carattere puramente spettacolare (rassegne interne) oppure progettuale e, in tal caso, determinano l’attività delle classi predisponendone l’integrazione reciproca. Il teatro è vissuto, più che come un’arte o un nodo di abilità specifiche, come un modo di affrontare le dimensioni individuali e relazionali del proprio vissuto proiettandole verso la conoscenza di specifiche realtà culturali e sociali oppure di tecniche, che non sono necessariamente ‘teatrali’ e vengono in genere veicolate da percorsi pluridisciplinari coivolgenti la musica, il disegno, vari lavori artigianali. Eppure, nonostante le finalità didattiche vengano di fatto rafforzate dalla collocazione temporale delle attività teatrali, la scuola media inferiore offre all’azione dei teatranti di professione - che afferiscono in genere alle strutture del Teatro Ragazzi - un contesto fluido che consente programmi di ampio respiro e una forte integrazione fra la cultura del teatro e quella degli insegnanti. In un certo senso: la marginalità che la scuola media inferiore attribuisce allo spettacolo da un lato fa sì che l’attività teatrale possa facilmente sfumare nell’acquisizione di tecniche ‘altre’ o nella ricerca didattica (su feste antiche, mestieri, tradizioni locali, fatti storici ecc.), dall’altro, però, stimola i teatranti a risalire all’elemento essenziale della loro pratica, che è arte delle relazioni. Talvolta l’esperto svolge programmi pluriennali che, senza ricorrere alla rappresentazione spettacolare, stimolano la partecipazione e la creatività degli alunni portandoli a compiere un lavoro su se stessi che è condizione e materia di qualsiasi teatralità possibile. Riprendo l’esempio della scuola di Medicina: primo anno lavoro sulla persona; secondo anno uso della voce; terzo anno realizzazione di una partitura fisica e sua presentazione alle altre terze della scuola. All’interno di queste attività laboratoriali, si sono inoltre svolte delle attività didattiche - ad esempio sul mito di Icaro. A Medicina, l’attività dell’esperto è stata finanziata dapprima dal Comune e poi per metà dal Comune e per metà dai genitori che sono rimasti colpiti dall’iniziativa: “Ascoltiamo dai nostri figli cose che non conosciamo”. Ma per meglio valutare l’importanza dei professionisti in questo quadro generale, dove la progettazione ricade in genere sulle capacità inventive dei singoli insegnanti, occorrerebbe allargare le considerazioni ai corsi di aggiornamento, che vengono individuati dagli insegnanti come il momento più idoneo a rafforzare la loro preparazione teatrale. L’esperienza delle superiori Passiamo ora alla situazione del teatro nella scuola media superiore. Qui l’esperienza teatrale viene condotta da gruppi di alunni che appartengono a diverse classi e scelgono liberamente se farla o meno. Le attività si svolgono al di fuori delle ore di lezione e sono finalizzate allo spettacolo, che, a differenza di quanto avviene nella scuola media inferiore, è il perno attorno al quale ruota la teatralità scolastica. La presenza di esperti e professionisti è assai frequente. Talvolta la regia dello spettacolo viene realizzata dall’insegnate dopo che l’esperto ha condotto laboratori di preparazione di base. Talaltra, l’esperto viene assunto dall’istituzione scolastica allo scopo esclusivo di realizzare una rappresentazione spettacolare. Esistono però anche casi di lavoro di équipe, in cui gli insegnati e gli esperti conducono congiuntamente attività laboratoriali generalmente suddivise in tre fasi: 1) training e attività propedeutiche; 2) scelta del lavoro da rappresentare (scelta che può riguardare una tematica e non necessariamente un testo); 3) performance finale. Un caso atipico, e proprio per questo stimolante, è quello del Conservatorio di Parma in cui tutte le possibili 20 21 espressioni del teatro sono praticate all’interno delle normali ore curriculari. In sintesi. Possiamo dire che i professionisti del teatro, nella scuola, svolgono due compiti distinti. L’uno si modella in funzione dello spettacolo. L’altro, più propriamente dialettico e “di relazione”, è parte integrante di un lavoro di équipe che comprende insegnanti e studenti. Abbiamo allora progetti articolati e sostanzialmente unitari. Ma al di là delle scansioni tipologiche, le prestazioni dei teatranti di professione - quando sono veramente tali e non si limitano, come spesso accade, ad esercitare un mestiere prodotto dalle esigenze scolastiche sfociano in situazioni di teatralità necessaria, preziose per chi le compie come per chi le conduce. (1) AA. VV., Elementi di discussione: Convegno per un nuovo teatro, in Teatro 2, autunno-inverno 1967-’68, Fratelli Cafieri Editori. (2) Gian Lorenzo Morteo, Intervento realizzato nel corso della tavola rotonda organizzato dalla “Compagnia dei burattini” di Torino, ora “Teatro dell’Angolo”, maggio 1972. Pubblicato in Scuolaviva, anno VIII, n. 9, settembre 1972, pp. 22-24. (3) Giovanni Lombardi, Presentazione, in Quaderni di teatro, Anno X (1987), n. 37, p. 11. (4) Ibidem, pp. 11-12. (5) Mafra Gagliardi, Esperienze teatrali nella scuola italiana, in AA. VV., L’ora di teatro. Orientamenti europei ed esperienze italiane nelle istituzioni educative, a cura di Claudio Bernardi e Benvenuto Cuminetti, Milano, EuresisEdizioni, 1998, p. 102. 21 22 Un modello di valutazione per il teatro di Anna Bonora, Franco Fortini, Gerardo Guccini, Paolo Senni La difficoltà di valutare Assoluta impportanza è stata riconosciuta, nel seminario sul teatro a scuola tenutosi a La Roche nell’autunno 1998, al modello modello di formazione proposto dallo staff di ricerca, in quanto il problema della valutazione di un’attività formativa per l’attività teatrale rimane una questione molto importante e, al tempo stesso, aperta perchè tocca aspetti che non sono riconducibili a contenuti prettamente cognitivi e perchè non esiste una tradizione in proposito. Anche nella scuola, quando l’insegnante fa teatro con i ragazzi, nel momento in cui deve valutare processi d’apprendimento e acquisizioni cognitive si trova in difficoltà e, in genere, come strumento di valutazione assume lo spettacolo con il pubblico e come indicatore la constatazione della buona riuscita della prova. La difficoltà di rendere ragione di processi apprenditivi e, in questo caso anche formativi, così complessi quali si ottengono con l’utilizzo di codici propri della comunicazione teatrale deriva sia dal fatto che essi presuppongono conoscenze di analisi pragmatiche del discorso, di linguistica testuale, di ermeneutica, delle varie semeiotiche, sia dal fatto che essi si basano sul rapporto con gli altri che, a sua volta, implica partecipazione, capacità di decentamento del pensiero e di comunicazione emotiva. La zona delle pertinenze così vasta, un universo praticamente senza confini, fa immediatamente capire sia che non si può ridurre il teatro a scuola alla dimensione di una disciplina dal ruolo ancillare rispetto ad altre discipline cui si aggrega, sia che la valutazione dell’attività di apprendimento e di formazione dovrebbe rispecchiare la complessità dei processi cui si riferisce. Pare pertanto opportuno raccogliere alcune brevi riflessioni sull’argomento, al momento sul versante della valutazione di attività di formazione per insegnanti, date le caratteristiche del progetto, nell’intento di fornire testimonianza di una modalità ancora delineata in modo sperimentale e di sollecitare sull’argomento altre riflessioni. Un esempio di valutazione formativa da sperimentare A La Roche si è voluto sperimentare un modello di valutazione di riflessione formativa “calda”, che presentasse caratteri di dinamicità e riflessione di gruppo e che dal gioco di specchi delle riflessioni di ognuno e di tutti trovasse, infine, sponde di coerenza ed esiti di decisionalità concreta. Si è sperimentato un modello che ha legato la valutazione dell’evento di formazione espresso nelle forme del linguaggio teatrale in quanto tale, alla valutazione della sua efficacia formativa. Si è pertanto deciso l’allontanamento da una modalità di approccio, in precedenza praticata, caratterizzata dal ricorso a griglie stilate unicamente sugli aspetti più vistosi del lavoro di formazione, riguardanti: la comprensibilità dei contenuti, la loro praticabilità e la qualità delle condizioni organizzative. Infatti ci si era già accorti che quando, a ridosso dei momenti di atelier di operatività concreta, si ritagliavano spazi di valutazione spontanea ed immediata, le indicazioni sul vissuto e l’appreso risultavano produttive ed efficaci anche per future progettualità. Proprio la coscienza dell’importanza di far emergere le emozioni e le percezioni soggettive dell’esperienza ha fatto dilatare i tempi dedicati all’atto della valutazione delle performances: ben cinque ore, un intero pomeriggio. Si è trattato di una dilatazione temporale all’atto della riflessione valutativa per offrire sì spazi di tempo e considerazione alle riflessioni personali ad alta voce di ogni partecipante, ma anche per rimarcare al gruppo l’importanza del processo valutativo come atto sostanziale. Come in una qualsiasi seduta di lavoro di gruppo erano stati condivisi dei criteri di analisi e degli spunti di osservazione. L’intenzione era di servirsi dei seguenti indicatori, anche se in modo non rigido ed esclusivo: • comprensibilità di contenuti e stimoli • coerenza di proposizione degli stessi • ritmo degli interventi informativi • qualità degli spazi formativi di tipo tecnico • qualità degli spazi di elaborazione e creatività personale e di gruppo • qualità degli spazi d’ascolto e di riflessione • emozionalità esperita • eventuali disagi • obiettivi • grado di spendibilità dell’esperienza • ipotesi di riproposizione didattica. Le caratteristiche del modello “caldo” di valutazione di riflessione formativa sono state: • il fatto che avvenisse subito dopo l’evento • il fatto che i “valutatori” avessero ancora ben presenti o provassero ancora le emozioni trasmesse • il fatto che non ci fossero limiti di tempo alla possibilità per tutti di esprimersi • il fatto che fossero stati condivisi degli indicatori, anche se non rigidi • il fatto che la riflessione avvenisse con le modalità del lavoro di gruppo non strutturato gerarchicamente • il fatto che fosse inserito in un trend di lavoro che prevedeva una immediata programmazione o riprogrammazione dell’itinerario • il fatto che 22 23 presupponesse l’utilizzo di una struttura spaziale favorevole alla relazione di gruppo con l’utilizzo del cerchio e il ricorso a modalità comunicative con carattere di immediatezza e spontaneità. Il livello di gradimento mostrato dagli insegnanti a La Roche per tale modalità di lavoro valutativo è stato molto alto e ha permesso al gruppo tecnico di confermare le ipotesi di lavoro rivelatesi giuste e modificare quelle incoerenti. Per esempio le riflessioni hanno fornito le seguenti conferme: • l’importanza di far vivere all’insegnante il percorso con altri colleghi prima di realizzarlo con i ragazzi, • il percorso di formazione deve unire ampi spazi di pratica a momenti di riflessione teorica, • l’importanza di vivere spazi di valutazione “calda”, che confermerebbero la possibilità di far individuare ai partecipanti gli obiettivi seminariali così da uscire da schemi personali parziali o errati, far riflettere sulle diverse modalità di lavoro, su come la condivisione di medesimi obiettivi leghino approcci diversi e su ciò che può servire agli alunni. 23 24 1990 - LA NECESSITA' DI UN TEMPO INUTILE Il concetto di infanzia come tempo della vita differente da quello adulto è relativamente recente. Ma in poco più di un secolo di vita ha già subito profonde trasformazioni, nella continua evoluzione di strutture sociali e forme di relazione. Il testo di questa lettera nasce dalla nostra condizione di adulti, che si occupano professionalmente dell'infanzia di oggi e del suo mondo immaginario per costruire storie ed eventi teatrali. Nasce dalla percezione, a tratti drammatica, di un atteggiamento del mondo adulto nei confronti di quello infantile. Un atteggiamento che tende progressivamente a rimuovere ciò che l'infanzia rappresenta di inutile, di gratuito, per inserire i bambini sempre più organicamente in un ciclo di consumo. La rivoluzione mediale, che ha portato in questa seconda metà del secolo una serie di sconvolgimenti culturali e sociali impensabili e tuttora in atto, ha cominciato a produrre generazioni che a fianco dei genitori hanno avuto come educatore la televisione, per un numero di ore che supera di gran lunga quelle dedicate alla scuola. La struttura sociale italiana si è trasformata balzando nel giro di una generazione dalla condizione agricola o artigianale del paese, con un sistema forte di legami ed aggregazioni sedimentate nel corso dei secoli, ad una condizione molto più dinamica di scambio di idee e movimento di persone, sacrificando al mutato sistema di sussistenza intere lingue e culture. Ognuno di noi è in grado di articolare giudizi ed azioni concrete nei confronti di questi problemi, che costituiscono il terreno su cui si gioca il tema delle identità culturali di fronte alle pressioni che cominciano a giungere dall'est e dal sud del mondo. Ma il rischio è quello di dimenticare, di fronte a cose apparentemente più urgenti, quello che in realtà è il vero serbatoio da cui nasceranno gli elementi per affrontare i problemi del futuro, il mondo dell'infanzia. I numerosi segnali che ci giungono da questo mondo ci confermano che si tratta di un terreno cruciale su cui si giocherà la grossa scommessa di una società multietnica, in grado di utilizzare gli strumenti di comunicazione per elaborare nuovo sapere e per affrontare battaglie per noi ancora al di là dell'orizzonte. 24 25 LETTERA APERTA IN DIFESA DEL TEMPO DELL'INFANZIA All'ombra del grande albero che stende i rami sulla sorgente dei sogni il Tempo si è fermato a riposare. Appoggiato alla falce, con cui miete i giorni per trasformarli in ricordi, guarda un bambino che gioca con un pezzo di legno nella fontana. Questo pezzo di legno è una nave, e poi il pesce che sale dal fondo del mare e la inghiotte, e il relitto al quale si aggrappano i naufraghi stanchi, ed infine soltanto un pezzo di legno. Fino a che gioca, il vecchio sta lì, e lo guarda, poi riprende con nuova energia il suo lento lavoro. Come potrebbe continuare senza queste soste? Una notte un bambino sogna una foglia: in alto sul ramo più in alto, si è staccata, e come l'ala di una farfalla si è posata dolcemente, con un breve volo, sullo specchio dell'acqua. Il bambino si sveglia e va alla finestra a guardare come se tra i palazzi di città e le antenne sui tetti un albero potesse trovar posto. Ma ad un tratto la luce si spegne in tutto il quartiere, insegne e lampioni si spengono lasciandolo solo davanti alle stelle. Sono mille le storie che le stelle raccontano a chi si ferma ad ascoltare. Mentre alza una mano a indicare una stella, una piccola stella proprio sopra di lui, questa si stacca, e cade giusta dentro la manica. Lui torna in camera, la prende e la mette sul comodino, e poi torna a dormire, rassicurato dalla piccola luce di mille colori che riempie la stanza. Come consumando le foreste ci condanniamo al suicidio, così consumando il tempo dedicato all'infanzia, ci condanniamo alla follia. Passare del tempo con i bambini raccontando, giocando, inventando qualcosa per loro, è necessario anche a noi. Insieme a tutti gli artisti, i tecnici e gli organizzatori della Piccionaia: Marco Baliani, Cesar Brie, Giovanni Caviezel, Dino Coltro, Nicoletta Costa, Cristina Crippa, Benvenuto Cuminetti, Elio De Capitani, Mafra Gagliardi, Mario Lodi, Bruno Munari, Mandiaye Ndiaye, Angelo Petrosino, Ottavia Piccolo, Roberto Piumini, Beatrice Solinas Donghi, Giacomo Verde. 25 26 2000 - La lepre e la tartaruga: una carta di intenti di poetica per un teatro a scuola Un abitante del mondo della luna che scoprisse la nostra cultura sarebbe decisamente sorpreso dai nostri sforzi per “ammazzare il tempo”, per il nostro accanimento a cercare di accorciare e riempire sempre di più il tempo della nostra vita. La velocità, l’efficacia, il non sprecare tempo, il non perdere tempo, sembra che siano mossi da un desiderio di farla finita il prima possibile. Si continua a vivere sbilanciati in avanti, nel progetto o nel desiderio, e si cerca a tutti i costi di oltrepassare il presente, ostacolo tra noi ed il nostro obiettivo,. Una continua rincorsa di Achille piè veloce verso la tartaruga che non riuscirà a raggiungere, dato che, quando sarà arrivato al punto A in cui si trovava la tartaruga l’animale si sarà intanto spostato al punto B, e quando Achille raggiungerà il punto B la tartaruga sarà in C e così via all’infinito dato che infiniti sono i punti della retta. Non così i momenti della nostra vita, come ci racconta un antico racconto Sufi Il soldato che vede nella folla lo sguardo inquietante di una figura oscura che lo segue è come la persona che intravede se stesso in agguato nei silenzi, nei momenti deserti dell’esistenza. L’unica soluzione è allora il cavallo più veloce del regno, e la fuga sfrenata verso la città più lontana, nell’illusione di allontanarsi dal proprio destino. Ma la figura sarà lì ad attendere il soldato, e gli dirà: “Ti guardavo con occhi stupiti, dato che ti trovavi così distante dal nostro appuntamento di oggi qui a Samarcanda.» Qui e ora, il segreto del teatro il «momento presente» di cui parla Peter Brook, rappresentano le coordinate di una poetica che si interroga sulla propria necessità. 1. Dal “Palcoscenico frontale” allo "Spazio Teatrale" determinato secondo le esigenze del racconto, che può prevedere che il pubblico sia condotto attraverso un percorso, separato in gruppi di spettatori con punti di vista diversi, convocato ad una condizione in cui assiste non solo all’azione scenica, ma anche agli effetti di questa azione sui volti degli altri spettatori, etc. 2. Dall’idea di "Personaggio" al concetto di "Ruolo" o di "Funzione". In una dimensione corale della rappresentazione il personaggio risultare dai movimenti e dalle parole di più attori, passare da uno all’altro. Oppure uno stesso attore diventa “uomo dai mille volti” attraversando diversi personaggi. 3. Dalle scenografie statiche a micro o macro oggetti di scena dinamici, autocostruiti, manipolando diverse tipologie di materiali (recupero, naturali, sintetici, ecc...) 4. Dai dialoghi “realistico televisivi” ad un uso personale, creativo, della comunicazione linguistica, utilizzando strumenti che vanno dal monologo interiore, al flusso di coscienza, alla forma diario, al gioco tra lingua madre e gerghi di gruppo, alla narrazione, alla citazione, alla costruzione di “tappeti sonori”. 5. Dai costumi “finti” ai segnali di costume con valore simbolico. Tutto ciò che viene utilizzato sulla scena deve essere “necessario”, tutto ciò che non lo è toglie efficacia alla rappresentazione. 6. Come la musica il cui ruolo deve essere attivo e non descrittivo, in altre parole un altro attore della rappresentazione. 7. Il lavoro in gruppo di un processo artistico teatrale diventa una rete, una trama su cui "tessere" e "coordinare" i contributi dei singoli. All’interno di un contesto comune forte ma flessibile. Attenzione a non dimenticare durante l’ansia della realizzazione il motivo per cui si sta lavorando insieme. Anche se si utilizza un testo preesistente e’ importante ascoltare il "farsi" dello spettacolo, le sue risonanze con la condizione del gruppo che lo sta affrontando, per liberare lo spettacolo 26 27 2000 - QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE DELLE PROPOSTE TEATRALI DELLA RASSEGNA DI TEATRO RAGAZZI SCUOLA CLASSE TITOLO DELLO SPETTACOLO VISTO DATA EVENTUALE LAVORO DI PREPARAZIONE PRIMA DELLA VISIONE DELLO SPETTACOLO PRESENTAZIONE DEL TITOLO E DELLA SCHEDA DELLO SPETTACOLO ALLA CLASSE LIBERE ASSOCIAZIONI DI IDEE SUL TEMA DELLO SPETTACOLO INCONTRO CON GLI ATTORI PRESENTAZIONE DELLA TRAMA LETTURA DEL TESTO (O DEL LIBRO DA CUI E’ TRATTO LO SPETTACOLO) VISIONE DI VIDEOCASSETTE SUL TEMA DELLO SPETTACOLO APPROFONDIMENTI IN AMBITO CURRICOLARE RELATIVI AL TEMA DELLO SPETTACOLO ALTRO (SPECIFICARE) EVENTUALE LAVORO DI ELABORAZIONE SUCCESSIVO ALLA VISIONE DELLO SPETTACOLO DISCUSSIONE INCONTRO CON GLI ATTORI A TEATRO A SCUOLA ATTIVITA’ GRAFICO/PITTORICA/MANIPOLATIVA ATTIVITA’ FISICA ATTIVITA’ MUSICALE ATTIVITA’ LINGUISTICA ATTIVITA’ TEATRALE PRODUZIONE DI TESTI SVILUPPO DEL TEMA NELL’AMBITO DELLA ATTIVITA’ CURRICOLARE ALTRO (SPECIFICARE VALUTAZIONE DEI RAGAZZI CI HA FATTO SOGNARE PER NULLA POCO ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO CI HA FATTO PENSARE PER NULLA POCO ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO CI SIAMO PORTATI A CASA QUALCOSA PER NULLA POCO ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO 27 28 VALUTAZIONE DEGLI INSEGNANTI HA STIMOLATO L’ELABORAZIONE FANTASTICA PER NULLA POCO ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO HA OFFERTO SPUNTI PER LA RIFLESSIONE PER NULLA POCO ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO SI E’ IMPRESSO NELLA MEMORIA O NEL COMPORTAMENTO DEI RAGAZZI PER NULLA POCO ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO Il questionario vuole essere un ulteriore strumento di lavoro nella relazione tra mondo del teatro e mondo della scuola. Si tratta di una occasione di riflessione comune sulle proposte teatrali che corre su due binari distinti. Da un lato la rilevazione di come nella nostra realtà uno spettacolo si inserisce nella vita scolastica di ragazzi ed insegnanti, attraverso la “fotografia” delle attività che lo precedono e lo seguono. Dall’altro lato una indagine sulle tracce e sugli stimoli che le diverse proposte teatrali lasciano alle comunità di spettatori con cui entrano in contatto, attraverso una valutazione distinta secondo il punto di vista dei ragazzi e quello degli insegnanti. I risultati del questionario verranno poi raccolti ed elaborati, per servire come traccia per la programmazione della futura stagione. Verranno poi presentati al pubblico, creando una ulteriore occasione di approfondimento e di confronto tra mondo della creazione artistica e mondo dell’educazione, che si trovano a condividere questo fragile ma quanto mai vitale territorio di confine. L’invio del questionario diventa l’occasione per ringraziare nuovamente tutti coloro che con un impegno personale che non deve mai essere dato per scontato hanno contribuito in questi anni alla crescita di queste attività, la cui importanza è testimoniata da tanti “piccoli miracoli” che ci accompagnano nella vita di tutti i giorni. 28 29 Letteratura e teatro ragazzi. Introduzione ad una ricerca (il Pepeverde, N.11/12 2002) “L’unico autore buono da mettere in scena è quello morto”. Parafrasando il gergo dei film western questa era fino a qualche anno fa l’idea corrente di molto teatro artigianale. Perchè autori e capocomici hanno sempre vissuto un complesso rapporto di conflitto e dipendenza reciproca, dovuto all’inevitabile tradimento implicito nella traduzione sulla scena di un testo scritto. Estremamente interessante in questi anni di discussione sulla proprietà intellettuale nell’era di internet è rileggersi le Memoires di Carlo Goldoni,1 che rivendica per sè e per la figura del “poeta di compagnia” una dignità che significa anche poter decidere quale versione del proprio lavoro consegnare alle stampe. Una volta stampato il testo si chiude in una forma definitiva, una volta per tutte rispetto alle continue metamorfosi che avvengono giorno per giorno sulla scena. E di chi è un testo teatrale, dell’autore della tessitura o di chi le dà vita sul palcoscenico? Si tratta di un falso problema. È ormai di dominio comune l’idea che un discorso sul teatro non può esaurirsi alla lettura dei testi teatrali, che spesso anzi si allontanano sostanzialmente da ciò di cui rappresentano una risonanza, come succede tra una conchiglia ed il suo fossile. Se il testo appartiene all’autore, la sua messa in scena diventa un lavoro collettivo, e l’opera che ne risulta è una tessitura di linguaggi, sensibilità, relazioni di cui anche lo spettatore è una parte integrante. Condanna e salvezza del teatro oggi è proprio la sua caratteristica di essere scritto sull’acqua, nonostante di esso possano parlarci testi, video, immagini, foto, racconti, siti internet e chissà cosa altro. Bisogna approfondire la natura ambigua del testo teatrale per inoltrarsi in una ricognizione sulle relazioni tra teatro e letteratura per i ragazzi, per capire quanto si tratti di un fenomeno dalla difficile definizione per la continua riconfigurazione dei suoi confini. In questo primo intervento cercheremo quindi di lavorare sui termini, proponendo alcuni strumenti di lavoro per l’indagine e cercando di metterli a punto attraverso una indagine sul campo. In primo luogo una breve ricapitolazione della storia del teatro ragazzi, che nel corso degli ultimi trenta anni ha caratterizzato in modo originale l’esperienza italiana rispetto a quella di altri paesi del mondo in cui pure si è sviluppato. (principalmente l’est europeo, l’Europa, il Canada francofono). Alla fine degli anni sessanta dalla Francia giunge in Italia l’esperienza dell’animazione teatrale, che da Torino e dalla Biennale di Venezia comincia ad irradiarsi in un terreno di coltura smosso dalle istanze di trasformazione delle istituzioni. Nel 1969 al convegno per un nuovo teatro di Ivrea si parla di portare il teatro fuori dai teatri, dove maggiore è la repressione delle istituzioni, come nelle carceri, nei manicomi e nelle scuole. Nomi come Giuliano Scabia2, Franco Passatore3, Remo Rostagno4, Loredana Perissinotto, Mafra Gagliardi, Carlo Formigoni si segnalano per una serie di sperimentazioni che corrono sulle pagine di testi letti e discussi collettivamente ed oggi introvabili. Da questi primi anni ruggenti il movimento comincia ad interrogarsi sulla dimensione del rapporto teatrale: teatro “per”, “con” o “dei” ragazzi? Entro la seconda metà degli anni settanta nascono la maggior parte delle compagnie storiche del teatro ragazzi italiano, che sceglie di rinunciare ad ogni preposizione. A Torino il Teatro dell’Angolo, a Milano il Teatro del Sole e il Buratto, a Reggio Emilia le Briciole cominciano a aprire teatri-laboratorio dedicati ai ragazzi. 1 Per comoditá cito dalla traduzione italiana di Piero Bianconi, Carlo Goldoni. Memorie, 2 voll., Milano, 1961, ed. B.U.R, parte II, cap.XVII, p.306. 2 Scabia, Giuliano - Fabiani, Luciano. Forse un drago nascerà, Milano, Emme, 1975. Scabia, Giuliano. Marco Cavallo : una esperienza di animazione in un ospedale psichiatrico, Torino, Einaudi, 1976. Scabia, Giuliano - Università di Bologna. Gruppo di drammaturgia 2. Il gorilla quadrumàno, Milano, Feltrinelli, 1974. 3 Passatore, Franco - Gruppo Teatro-Gioco-Vita. Io ero l'albero (tu il cavallo), Rimini, Guaraldi, 1972. Passatore, Franco - Cirillo, Vittoria. animazione dopo : le esperienze di animazione dal teatro alla scuola, dalla scuola al sociale, Firenze, Guaraldi, 1977. 4 Rostagno, Remo - Liberovici, Sergio. Un paese : esperienze di drammaturgia infantile, Firenze, La nuova Italia, 1972. 29 30 Gli anni ottanta rappresentano il consolidamento di questo mondo eterogeneo, che da movimento si trasforma in un “settore”, cominciando a dotarsi di strutture, strumenti e metodi comuni di lavoro. E’ il decennio della nascita dei centri teatro ragazzi, che rappresentano dopo i teatri stabili pubblici del dopoguerra ed insieme agli stabili privati la novità strutturale del sistema teatrale italiano. I Centri teatro ragazzi rappresentano l’idea di un rapporto continuativo con il mondo dell’infanzia, prima di tutto la scuola, nel quale il teatro apre le porte al suo pubblico in tutte le fasi della costruzione dello spettacolo, permettendo di accedere attraverso corsi di aggiornamento e laboratori alle tecniche di scrittura teatrale, alla realizzazione di oggetti, figure e scene, alle discipline di lavoro dell’attore. Ci si interroga sullo spettatore bambino e si comincia a raccogliere dati ed informazioni sul suo panorama immaginario, sui suoi sogni e sui suoi desideri.5 Un importantissimo fenomeno che comincia a prendere forma alla fine degli anni ottanta è quello del teatro di narrazione, che proprio dal terreno di coltura del teatro ragazzi comincia a prendere le mosse, per poi svilupparsi nel decennio successivo attraverso figure come Marco Baliani 6 e Marco Paolini7. La terza fase di vita vede negli anni novanta il tentativo, che ad oggi sembrerebbe definitivamente naufragato, di costruire una relazione strutturale tra mondo del teatro e mondo della scuola, attraverso un grande sforzo di artisti, teorici e organizzatori. Dall’idea che l’arte si possa insegnare si propone l’idea che essa nelle sue forme sia una esperienza vitale, necessaria, e che in quanto tale ne vada garantita la fruizione fino dai primi anni di età. Un esito importante di questo sforzo è stato l’imprevista diffusione del teatro dei ragazzi in ambito scolastico, che ha visto un proliferare di iniziative la cui distribuzione geografica sembra riequilibrare lo sbilanciamento del teatro ragazzi verso le regioni del centro-nord.8 Mentre Centri e compagnie sono ormai una realtà consistente e consolidata, che con una grande capillarità copre con una rete fittissima molte aree della penisola, portando il teatro anche in piccoli centri dove altrimenti vi sarebbero rare occasioni di spettacolo dal vivo. Si tratta forse, ad oggi di una forma di maturo teatro popolare, caratterizzato da un buon livello di qualità generale, che come ogni teatro popolare si lega strettamente nelle sue scelte artistiche ai gusti (reali o presunti) del pubblico, che indaga attraverso strumenti sempre più articolati. 9 Questa idea di teatro popolare ci fa chiudere il cerchio e tornare al rapporto con la letteratura. Perchè dopo la fiaba il libro per ragazzi è uno dei principali motivi ispiratori degli spettacoli per i ragazzi. E per trovare una analogia dobbiamo andare a riguardare il teatro popolare della seconda metà dell’Ottocento, ed il suo rapporto con la letteratura d’appendice dell’epoca di cui spessissimo portava le trame sulla scena. Che rapporto ci può essere tra Carolina Invernizio di Sepolta Viva e il Luis Sepulveda de La Storia di una Gabbianella? Entrambi permettono di stabilire con lo spettatore un panorama immaginario comune già prima che si apra il sipario. Indicare un testo letterario come motivo ispiratore lega i destini dello spettacolo a quelli del libro, seguendone la ascesa o la discesa nei gusti del pubblico. E’ anche una strategia commerciale, per la possibilità di sfruttare in maniera indotta la promozione diretta o indiretta del libro. Ma soprattutto denotano una appartenenza comune, elemento discutibile ma significativo della capacità di convocazione di un evento performativo in genere: “è dei nostri”. La riflessione sulla necessità di creare un orizzonte immaginario comune tra artisti adulti, spettatori bambini e spettatori adulti (insegnanti e genitori) ha trovato prima di tutto nella fiaba un fertilissimo Convegno L’immaginario bambino Baliani raccontatore di storie mutanti replicanti 7 Marco Paolini e Gabriele Vacis, Il racconto del Vajont, Garzanti, Milano 1997. 8 Prissinotto, Teatri a scuola 9 L’Osservatorio dell’immaginario è una rete promossa dalla compagnia Stilema di Torino, che ha realizzato finora due ricerche su scala nazionale: 5 6 30 31 territorio da esplorare. Autori come Propp10, Bettelheim11 Rodari12 e Calvino fanno parte del bagaglio di conoscenze fondamentale di chi fa teatro ragazzi. La fiaba viene riletta, presa in giro, ne vengono amplificati i significati nascosti, anche se gli artisti hanno imparato a proprie spese che mettere in scena una fiaba significa anche scherzare con il fuoco, e che la platea può rifiutare in blocco lo spettacolo se la drammaturgia non si svolge rigorosa secondo una serie di passaggi obbligati. Il rapporto con la letteratura per i ragazzi è sempre stato, attraverso la messa in scena dei classici, un terreno di lavoro del teatro, fino da prima del teatro ragazzi, quando i testi erano divisi per compagnie maschili e femminili. Già numerose erano le riduzioni per la scena di racconti edificanti, o di celebri libri di avventura. Poi la stagione del Corriere dei Piccoli, del Pioniere e del Vittorioso cominciò, sull’esempio di Tofano e del suo Signor Bonaventura a creare la possibilità di mettere in scena brevi testi divertenti in rima, sulla base delle story-board disegnate, che fornivano già indicazioni per la rappresentazione, le scenografie e i costumi. Da questa esperienza di lavoro, anche se lo studio è tutto da approfondire, nasce la produzione per il teatro di Gianni Rodari, che vede una importante diffusione proprio a cavallo della stagione del primo teatro ragazzi. Come mai dopo Rodari sembra non ci siano più autori di teatro per ragazzi in Italia? Il paradosso è che gli autori ci sono, sempre di più e sempre più bravi ma il teatro è cambiato, per cui non li si vede. Le modalità di costruzione degli spettacoli non prevedono più la messa in scena di un testo, ma un complesso processo di lavoro che, sulla scorta delle esperienze della animazione teatrale, prevede fasi successive in cui la dimensione testuale si sviluppa insieme alle altre che compongono lo spettacolo. Anche perchè dagli anni settanta alla metà degli anni ottanta, fino al ritorno della narrazione, la comunicazione verbale viene fortemente messa in discussione, a favore di quella gestuale, musicale e visiva, in tutte le esperienze innovative della scena nel mondo. Si guarda più a compagnie come il Living Theatre, il Bread and Puppet, a Jerzy Grotowsky, all’arcipelago dei gruppi che si raccoglie intorno all’esperienza dell’antropologia teatrale di Eugenio Barba13. Finchè intorno alla metà degli anni ottanta il libro ricompare, accompagnando un ritorno alla parola che culminerà nel teatro di narrazione. Ed intanto la letteratura per ragazzi comincia a vivere in Italia un particolare fenomeno di crescita. Le biblioteche sul territorio diventano centri di animazione culturale che incrociano spesso il lavoro dei teatranti, con spettacoli, laboratori, ospitando eventi e corsi di aggiornamento. Spesso gli attori vengono chiamati a leggere ad alta voce. E cominciano i primi incontri, gli scambi, le relazioni, tra due mondi che hanno molto in comune, tra persone di una stessa generazione con simili motivazioni artistiche nei confronti del mondo dell’infanzia. Si sviluppano le letture animate, che presto si strutturano, crescono fino a consolidarsi in spettacoli. Alcune compagnie commissionano testi a noti scrittori, altre elaborano le drammaturgie insieme agli autori, coinvolgendoli nei loro gruppi di lavoro creativo. Arriviamo ad oggi, un momento in cui si sente la necessità di quantificare ciò che sta succedendo, delinearne con maggior precisione i contorni, cercare di capire quali possono essere gli sviluppi. 10 Propp, Vladimir Jakovlevic. Morfologia della fiaba, Roma : Newton Compton, 1977 Bettelheim, Bruno. Il mondo incantato, Milano, Feltrinelli, 1978. 12 Rodari, Gianni. Grammatica della fantasia, Torino : Einaudi, 1973. 13 Cruciani, Fabrizio. Teatro nel Novecento : registi pedagoghi e comunità teatrali nel XX secolo, Firenze, Sansoni, 1985. 11 31 32 Proviamo quindi in chiusura ad indicare una serie di dati sulla produzione teatrale della stagione 2000/200114. Su 194 compagnie in attività su tutto il territorio italiano 74 presentano spettacoli che fanno riferimento in vario modo a opere letterarie. Si tratta di 107 spettacoli, che ruotano intorno a 71 libri di 63 autori. Diverse compagnie presentano in repertorio più produzioni ispirate alla letteratura Ma i dati più interessanti riguardano gli autori ed i titoli più praticati: Compagnie teatro dell'archivolto aida assemblea teatro drammatico vegetale il ballatoio la piccionaia pandemonium teatro dell'angolo teatri comunicanti teatro all'improvviso teatro anteo terrammare cargo gianni e cosetta colla il palchetto stage il triangolo scaleno nuova teatro eliseo 4 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 2 2 2 2 2 Autori Collodi Cervantes Dahl Verne de Saint Exupery Ruiz Mignone Lodi Calvino Roncaglia De Amicis Rodari Barrie Pennac Stevenson Giono Sepulveda Wilde Piumini Titoli di libri 10 7 6 5 4 3 3 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Pinocchio Don Chisciotte Il piccolo principe 20.000 leghe sotto i mari Cipì Cuore Il giro del mondo in 80 giorni Il principe felice la magica medicina L'isola del tesoro L'uomo che piantava alberi Matilde Peter Pan La Storia di una Gabbianella 10 7 4 3 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Fabbri L., Palombi B., Il teatro per i ragazzi – Catalogo delle produzioni 2000/2001, Roma, 2001, ETI Documenti di teatro 14 32 33 Titoli di libri Pinocchio Don Chisciotte Il piccolo principe 20.000 leghe sotto i mari Cipì Cuore Il giro del mondo in 80 giorni 10 7 4 3 2 2 2 Il principe felice la magica medicina L'isola del tesoro L'uomo che piantava alberi Matilde Peter Pan La Storia di una Gabbianella 2 2 2 2 2 2 2 Dopo la conferma del Pinocchio di Collodi ancora oggi come principale riferimento letterario, ci sorprende il secondo posto del Don Chisciotte di Cervantes. Per leggere questo dato dobbiamo pensare al ruolo, a volte strumentale, di attivazione dell’immaginario che viene dato alla lettura ed al teatro in ambito educativo. Don Chisciotte incarna in queste riduzioni l’idea di un eroe malinconico ma positivo, la cui facoltà di trasformare la realtà viene interpretata come ricchezza e non come limite. Abbiamo poi al terzo posto il capolavoro di Saint Exupery, che ispira viaggi fantastici tutti caratterizzati dall’impossibilità di una messa in scena completa, dato che si tratta del testo più blindato della letteratura contemporanea, forse solo come Harry Potter. Per poterlo mettere in scena integralmente si favoleggia di limiti strettissimi alla scelta degli attori (il principe deve essere un ragazzo) dei costumi, delle scene e della traduzione imposti dai detentori dei diritti. Al terzo posto degli autori è invece Roal Dahl, a proposito del quale esiste anche un raro esperimento di guida alla messa in scena de il GGG pubblicata da Salani. Con più di una messa in scena pochi i contemporanei italiani, Ruiz Mignone, Roncaglia, Piumini, mentre sembra che il panorama immaginario degli adulti artisti e delle loro letture infantili agisca in maniera consistente sulle scelte: Verne, De Amicis, Calvino, Stevenson e Wilde. In conclusione riteniamo che l’estensione della ricerca quantitativa sulle stagioni precedenti, accompagnata da una scansione qualitativa delle diverse tipologie di elaborazione dell’opera letteraria possa fornirci interessanti spunti di lavoro, sia come autori di libri per ragazzi che come drammaturghi e registi. In fondo si tratta di arrivare a guardarci “nel bianco degli occhi” tornando a parafrasare i film western dell’inizio dell’articolo, per stimolarci a vicenda nella continua elaborazione di una geografia dell’immaginario ispirata all’infanzia. 33 34 Dare parola al senso (IL PEPEVERDE 15 2003) Dare senso alle parole Prima di affrontare la questione del linguaggio in ambito teatrale è necessario dichiarare che il teatro è scritto sull’acqua, e qualunque modalità di progettarne la realizzazione o di restituirne la memoria fa i conti con l’impossibilità di coglierne il mistero del “momento presente”. Il nostro viaggio inizia quindi con lo squillo di un primo campanellino d’allarme: il testo di uno spettacolo è sempre riduttivo rispetto a ciò che accade sulla scena, e parlare del teatro come se fosse semplicemente letteratura drammatica è come guidare un’automobile con un solo cilindro funzionante. Bisogna però ricordare che nella nostra cultura il testo è stato per diversi secoli lo strumento principale per progettare e tramandare il teatro, provocando una catena di equivoci e fraintendimenti a volte portatori di vere e proprie innovazioni. Un testo della letteratura drammatica si può anche leggere ad alta voce, persino su di un palcoscenico, ma genera teatro solo quando diventa tessitura di azioni, quando viene trasformato in drammaturgia. Il lavoro di registi, drammaturghi, attori è quello di “dare senso” alle parole scritte dall’autore. E qui giochiamo volutamente con l’ambiguità della parola italiana “senso”, significato/sensorialità, perchè ci porta al cuore della questione. Il passaggio da letteratura drammatica a teatro avviene quando la parola si fa corpo e viene ad incontrarci in uno spazio tempo regolato da un preciso rituale. L’operazione di trasformare un testo letterario in una drammaturgia può portarci molto lontano, fino ad una partitura di stimoli sensoriali tra i quali possono trovare posto, a fianco degli altri suoni, anche parole dette o visualizzate in una lingua comprensibile agli spettatori. Un nuovo teatro un nuovo linguaggio Il teatro ragazzi italiano nasce da un superamento del teatro “per” i ragazzi, utilizzato spesso con finalità formative e morali in ambiti pedagogici evoluti. Questo superamento si concretizza subito in una precisa scelta linguistica. Con il significativo influsso delle esperienze politiche di scrittura teatrale, a partire dall’agit-prop e da Bertolt Brecht, il teatro sceglie di utilizzare la lingua parlata dai bambini. Il modo migliore di procedere è quello di scrivere con loro lo spettacolo durante il lavoro di messa in scena, trascrivendo le improvvisazioni, fissando provvisoriamente sequenze di azioni. Una metodologia che subito si richiama esplicitamente al teatro popolare, dalla Commedia dell’Arte con i suoi canovacci, al cantastorie, al giornale di strada. Vediamo a fianco due esempi di testo teatrale di rappresentazioni svolte da ragazzi, che gravitano intorno allo stesso tema, quello del incontro/scontro tra adulti e bambini. Il birichino Teodoro – Ascolta, Mario mio, i consigli di chi ti vuol bene... Non passa giorno senza che non senta una lagnanza di persone che tu insulti o maltratti. Mario - Già, io sono sempre il cattivo: le cattiverie degli altri non si guardano neppure. [...] Teodoro – Ieri, andando a passeggio, ho incontrato il tuo maestro. Egli si è lamentato meco della tua irrequietezza, della tua troppa vivacità. Mario – (prendendo la cartella e avviandosi verso l’uscio di fondo) Buon giorno (giunto sull’uscio, si ferma e chiede) Quando mi compri, babbo, il velocipede? Teodoro - Recati a scuola: del velocipede si parlerà a tempo e a luogo. Del resto non ammetto scadenze fisse. Quando crederò giunto il momento opportuno, lo comprerò. L’ultimo a saperlo sarai tu. (da Il Birichino, commediola per soli ragazzi. di Andrea de Ritis, Genova, Vallardi 1925) 34 35 Il Picchiatore Bambino – Una cosa triste è essere picchiati (due bambini sono inginocchiati, sei alle loro spalle in piedi. In un angolo un bambino che indossa un grande pupazzo costruito con fustini di detersivo, giornali e sacchi della spazzatura, impersona la violenza. I bambini hanno soprannominato questo pupazzo “Picchiatore”) Bambino 1- Tu non fai più parte della mia banda Picchiatore (muovendosi e colpendo con le braccia e le mani i bambini inginocchiati) Aaaah! Giù botte. Giù botte... Bambino 2 - Guarda che guaio hai compiuto Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte... Bambino 3 – Ti sei sporcato i pantaloni nuovi Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte... Bambino 4 - Sei un bambino cattivo Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte... Bambino 6 – se dici le bugie vedi cosa succede Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte... Coro dei bambini dalle quinte – Botte, botte, botte.... Stop – buio – tutti seduti (da Un’esperienza in prima elementare, Piossasco 1974/75, insegnante Marina Rosania, in Animazione e città, Torino, Musolini, 1980 pg. 80) Due punti di vista I due testi parlano due lingue profondamente diverse, evidenziando la diversità dei due mondi che rappresentano. La prima differenza è quella del punto di vista con cui entrambi gli scrittori, adulti, raffigurano l’infanzia. A Mario, il birichino piccolo adulto, si contrappone la furia scatenata ed eccessiva del Picchiatore. Entrambe sono raffigurazioni della realtà, la prima dal punto di vista adulto, la seconda da quello bambino. Alla base di ogni azione drammatica c’è un conflitto, e l’efficacia del testo sta di solito nel tenere in sospeso lo spettatore, nel fargli prendere le parti ora di uno ora dell’altro. In queste due operazioni lo scopo educativo del testo porta a dichiarare fin dal linguaggio usato chi comanda il gioco, chi sta dietro le quinte, nel primo caso un adulto, nel secondo un gruppo di bambini. Tra il dire e il fare... Ma, attenzione, secondo campanello d’allarme! Ciò che sta scritto sulla pagina può avere sul palcoscenico significati diametralmente opposti. Provate a rileggere il primo testo immaginandovi l’interpretazione magistrale di Paolo Poli, provate ad immaginare il secondo ambientato in una favela sudamericana. Ma non è tutto, provate adesso ad invertire i fattori, ed osservate il prodotto. La parole usate possono diventare anche del tutto ininfluenti alla costruzione di senso, rispetto ad un linguaggio fatto di corpi in movimento, sonorità vocali, sensazioni tattili, olfattive e gustative, che costituiscono la sensorialità dell’evento spettacolare. Che strade ha quindi intrapreso il teatro ragazzi in Italia per sottrarsi a questa impossibilità del dire svelataci dai grandi maestri del teatro dell’assurdo? Figura, narrazione, danza Provando un inventario parziale, possiamo allineare, a fianco del lavoro “tradizionale” di scrittura di un testo drammatico e di messa in scena interpretativa che ha continuato a costituire un terreno fertile di lavoro per molte compagnie, tre percorsi di costruzione di nuovi linguaggi scenici: il teatro di figura, il teatro di narrazione ed il teatro danza. 35 36 Tre percorsi che si sono spesso intrecciati a partire dagli anni ottanta, creando ibridi, false piste e generose esplosioni di senso. In particolare il teatro di narrazione ha avuto un ruolo importante nella costruzione di un nuovo linguaggio scenico, che sedimenta sulla arcaicità dei modi fiabeschi parole ed elementi della vita quotidiana degli spettatori. Il Gran Porco NARRATORE: - E insomma, avete capito chi era arrivato? Era il Gran Porco, una specie di porco fantasma, o forse un porco mago e stregone, gigante e fatato, che compariva e scompariva nel Gran Maialificio, e faceva dispetti tremendi al Signor Lardero, che non lo acchiappava mai. Il Gran Porco era un vero nemico del Signor Lardero, e anche quella volta si arrabbiò moltissimo, e cominciò a dire una sfilza di bruttissime minacce. Poi, quando era a metà della sfilza, si ricordò dei due bambini che lo stavano a sentire a bocca aperta, ed allora gli disse: GRAN PORCO: - Ma voi invece chi siete? Cosa ci fanno due 'csè bî anzléini come voi dentro al porcile? Non lo sapevo ancora che al S'gnàur Lardero allevasse anche i cinni coi maiali: cosa vuol fare, i vùstel quei piccolini? CELESTINA: - Ah, Signor Gran Porco Fantasma, ci aiuti lei, ci aiuti a uscire di qui! Se non ci aiuta il mio amico Ciccio finirà nella caldaia, e verrà cotto, macinato, condito, insaccato, e trasformato in un salsicciotto speciale per Natale! Ci aiuti lei! GRAN PORCO: - Allàura! Prim ed'tot: grunf, chèlma! Fagna un quèl, procediamo con ordine. 'Dess te mi dici com at'ciàmi grunf!. e com'è che siete finiti que dentar. CELESTINA: - Mi chiamo Celestina, e lui è Ciccio. GRAN PORCO: - Benèssum! Allàura, grunf!. Celestèina, conta ben sò tot la storia! (da Maestra Minestra, Tognolini B., testo drammatico dep. 1988) Oltre il realismo televisivo La necessità per il singolo narratore di marcare i personaggi diversi portando senza incertezze gli spettatori da uno all’altro, la attenzione alle forme popolari dell’oralità e del folclore, la vicinanza al grande modello di narrazione costituito dal Mistero Buffo di Dario Fo, sono alcuni tra i motivi che riportano sulla scena i dialetti, ridando loro vita come lingue teatrali. La ricerca di una lingua viva, materica, veicolo di emozione e di sensazione, si sviluppa in contrapposizione alla lingua omologante che cola fuori dalla televisione parlata. Discutendo con i bambini l’idea di realismo, il modo migliore per rendere una determinata situazione, nella gran parte dei casi affiora in termini quasi dogmatici lo stereotipo del realismo televisivo da soap opera. E di fronte alla forte differenza tra i comportamenti rappresentati dal video e comportamenti reali il pubblico, bambino e adulto, come reagisce? Un pensiero un po’ idealista ci farebbe immaginare che come nella favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” i bambini reagiscano con candida irrisione denunciando la nudità di una fiction in cui i personaggi non si comportano come nella vita reale. Ed invece succede il contrario. La vita reale, i gesti, il linguaggio, viene adeguato ad un modello, o meglio ad uno stereotipo, con tutte le conseguenze che chiunque può osservare. Teatro di figura, narrazione e danza permettono di uscire dalla trappola del linguaggio che mima la realtà attraverso un linguaggio fortemente convenzionale, che induce straniamento e non immedesimazione. Invece di fingere di imitare la realtà si tratta di linguaggi che fin dalle prime battute dichiarano il gioco, e chiedono agli spettatori di incontrarsi in un “campo neutro”. Gli attori si rivolgono direttamente agli spettatori attraverso un mascheramento che può essere un oggetto o un modo di muoversi, ma che è prima di tutto e soprattutto linguistico. Lo straniamento Lo sforzo di creare un distacco fra il pubblico e gli avvenimenti rappresentati si può già riscontrare, a uno stadio primitivo, nelle recite teatrali e pittoriche delle vecchie fiere popolari. 36 37 Il modo di parlare dei clown da circo e il modo di dipingere usato nei baracconi da fiera esercitano una azione di straniamento. [...] Anche l’antica arte cinese conosce l’effetto di straniamento e lo utilizza in maniera raffinatissima. [...] In primo luogo l’attore cinese non recita come se esistesse una quarta parete, oltre alle tre che lo circondano. Egli anzi sottolinea la sua consapevolezza di essere visto, e con ciò elimina una delle illusioni tipiche della scena europea. [...] allo stesso modo degli acrobati, gli attori scelgono apertamente quelle posizioni che li rendono meglio visibili al pubblico.Un’altra regola è questa: l’artista si guarda, [...] l’attore si rivolge ogni tanto allo spettatore come per dire: non è così? [...]Grazie a quest’arte, le cose della vita quotidiana si elevano al di sopra del piano dell’ovvietà. B.Brecht, scritti teatrali, 2001 Torino, Einaudi, p.72 La Mamma di cappuccetto rosso CAPPUCCETTO ROSSO, DOVE TI SEI CACCIATA? ECCOLA LA’, SEMPRE A GINGILLARSI. VIENI QUA, DEVI AIUTARMI A STENDERE LA BIANCHERIA. TENDI LA CORDA, VAI A PRENDERE L’ACQUA E LE MOLLETTE. Così dicendo si avvicina alla tinozza e butta dentro la biancheria: L’ACQUA, PORTAMI L’ACQUA SE NO NON POSSSO SCIACQUARE; MI SONO ALZATA ALLE CINQUE PER LAVARE, IO. La bambina affannata si adopera per essere efficente, corre col secchio pieno d’acqua, lo rovescia nella tinozza, sotto lo sguardo severo della mamma, ma fa schizzare l’acqua tutta intorno lasciando la tinozza mezza vuota: LO VEDI CHE L’HAI BUTTATA TUTTA DI FUORI? La bambina non sa che fare, guarda la madre angosciata: CHE ASPETTI? VA A PRENDERNE DELL’ALTRA. DEVO PROPRIO DIRTI TUTTO! (da Cappuccetto Rosso, adattamento di Carlo Formigoni per lo spettacolo del Teatro Kismet Opera, Roma, Altamarea,1997, pg. 22 –23) Introduzione alla fiaba “Il Principe Granchio” NARRATORE – C’era una volta la laguna. La laguna non è un luogo, è un tempo, uno spazio che muta ogni sei ore. Non è acqua e non è terra ma è il tempo che trascorre tra acqua e terra. Un tempo che sale e che scende a coprire e scoprire profili, miraggi di terre: barene… È terra che va al mare e mare che va alla terra. La laguna è un incontro ( l’immagine della mappa all’orizzonte scorre lentamente: ci solleviamo con lei fino a sorvolare i riflessi del sole sull’acqua ) Questo è il luogo dove si semina il mare. Si allevano pesci come mandrie acquatiche. Cefali, passere, orate, anguillini. Qui il mare è fertile come terra, e la terra mobile, instabile come mare. La laguna è un confine che sconfina. Non è né terra né mare. E’ un riflesso di acciaio all’orizzonte. (da Il Principe Granchio, di Silvia Roncaglia, Titino Carrara e Carlo Presotto, Genova, Edicolors, 2000) Dare Parola al senso Ed eccoci a chiudere provvisoriamente un cerchio nella nostra rapida riflessione sulle mutazioni del linguaggio nel teatro ragazzi. A più di cento anni dall’unità politica d’Italia, ad una trentina compiuta dell’unità linguistica nel segno dell’oriundo Mike Buongiorno, il teatro ragazzi si trova a fare i conti con un pubblico sempre più allenato alla lettura multisensoriale e sempre meno paziente nei confronti della parola “angelicata”, isolata cioè nella sua dimensione concettuale. Forse è un problema di allenamento, per cui il problema non sono, in sè le 11.000 ore di televisione che un 37 38 ragazzo colleziona durante l’obbligo scolastico, ma la capacità di utilizzare un linguaggio per comunicare, non solo per scambiare informazioni. Il teatro si basa sulla comunicazione, ed ha scoperto da tempo che se la montagna non va a Maometto, Maometto andrà alla montagna. Per questo ricordiamo in chiusura uno tra i testi più significativi nella storia del teatro ragazzi, “Robinson & Crosue” del teatro dell’Angolo di Torino, nato nel 1985 e ancora in distribuzione. La forza di quello spettacolo sta nel fatto che i due personaggi incontrandosi su di un isola dopo una catastrofe parlano due lingue diverse, senza capirsi. Eppure riescono a stabilire una relazione, a comunicare tra loro, come in fondo succede a bambini e adulti quando condividono il misterioso spazio-tempo sospeso che è l’evento teatrale. Questo sforzo, di dare quotidianamente parola ai cinque sensi, al cuore ed ai sogni, è la scommessa impossibile che ogni giorno gioca chi si occupa di teatro. 38 39 I DIRITTI DELLO SPETTATORE BAMBINO (Segnali di Fumo 1996) Di solito la mia prima reazione, di fronte alle ricette, le regolette, i precetti, è quella di perplessità. La complessità delle cose è spesso tale che enunciando una regola non si fa che indicarne la trasgressione. Tanto più quando si parla di un composto instabile come il teatro. Un problema ben presente ai maestri, tale da far porre ad Eugenio Barba in capo al suo "Aldilà delle isole galleggianti" la bella frase di Niels Bohr, il fisico padre del principio di complementarità: "Qualunque frase io dica, non deve essere intesa come un'affermazione, ma come una domanda". Ci sono però dei momenti in cui può essere utile giocare con le parole per stabilire nuovi livelli di comunicazione. In occasione di un incontro a Vicenza tra operatori teatrali ed organizzatori, sul tema della distribuzione teatrale, mi chiedevo quale potesse essere il modo di sottolineare un vecchio problema dei teatranti: l'ambiente in cui si realizza lo spettacolo è parte integrante del rapporto comunicativo tra attori e spettatori. Mi rivolgevo ad assessori, responsabili di circuito, organizzatori, ben sapendo che molti di loro, a forza di fare i conti con i bilanci, di aggirarsi nei meandri del "giro", di condurre a fatica i docenti, si trovano a vivere come "rivendicazione di una controparte" la difesa della "qualità" dell'evento. Ricorda un po' il problema di dover spiegare ai pescatori che se continuano ad usare le reti "spadare" i primi a risentirne saranno proprio loro, a causa del drammatico impoverimento delle risorse marine. "Gli ambientalisti difendono i delfini. Ma a noi, chi ci pensa a noi?" risponde il pescatore nell'intervista. "Le compagnie difendono i loro spettacoli. Ma a noi, chi ci pensa a noi?" rispondono il bibliotecario e l'organizzatore. Mi sono molto divertito a leggere "I diritti imprescrittibili del lettore" citati da Daniel Pennac in "Come un romanzo", Feltrinelli 1993. Ve li cito di corsa, rimandandovi al libro: I. Il diritto di non leggere II. Il diritto di saltare le pagine III. Il diritto di non finire un libro IV. Il diritto di rileggere V. Il diritto di leggere qualunque cosa VI. Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa) VII. Il diritto di leggere ovunque VIII. Il diritto di spizzicare IX. Il diritto di leggere a voce alta X. Il diritto di tacere Pensando a questo elenco ho voluto proporre quasi un gioco di società simile al famoso "Se doveste naufragare sull'isola deserta, con solo tre libri, cosa portereste con voi?". Il gioco delle preferenze, di ciò che si considera "imprescrittibile" (non soggetto a prescrizione, di illimitata validità) ci conduce a discutere di principi senza la necessità di dover negare quelli altrui per affermare i nostri. Non si tratta "del" Decalogo, ma di "un" decalogo, in cui diventano divertenti alcuni giochi: riconoscersi. A. invertire l'ordine dei diritti B. sostituire ad un diritto che non ci sembra così "imprescrittibile" un altro diritto C. provare a declinare nella realtà un diritto definendone i "parametri" D. etc. 39 40 Vi presento i dieci diritti così come sono stati presentati all'incontro, con alcune articolazioni che, più che spiegare, indicano una possibile provocazione: 1) Diritto alla partecipazione degli adulti. (E' meglio che gli insegnanti non escano a leggere la "Gazzetta dello sport" durante lo spettacolo?) 2) Diritto di stare in un teatro adatto. (Un bambino è più "corto" di un adulto. A volte deve alzarsi in piedi sulla sedia per vedere cosa succede sul palco. E i teatri all'italiana con diversi ordini di palchi? E i cinema costretti a teatri?) 3) Diritto di essere in un numero adatto di spettatori. (Relativamente allo spettacolo, all'età, al teatro, etc.) 4) Diritto di non aspettare troppo tempo l'inizio dello spettacolo. (Tutto ciò che succede da quando si parte dalla scuola a quando si ritorna ha una sua importanza) 5) Diritto di essere informato delle regole del gioco teatrale. (Come tutti i giochi, se si sanno le regole ci si diverte di più) 6) Diritto di essere informato sullo spettacolo e diritto di essere cosciente del percorso che conduce allo spettacolo. (Ciò non vuol dire necessariamente sapere chi è l'assassino) 7) Diritto di replica, dal vivo o per lettera, telefono, fax, ciberspazio in genere. 8) Diritto di vedere più di uno spettacolo all'anno. 9) Diritto di elaborare successivamente l'esperienza dello spettacolo, ma diritto di non fare il "riassunto". 10) Diritto di vivere la "differenza" del teatro dagli altri canali di comunicazione: la sua preziosità, la sua multiformità, il mistero del "momento presente". Sento ogni giorno di più la necessità di essere esigente con me stesso, di infrangere il circolo vizioso di un teatro "pre-visto" in cui gli insegnanti acquirenti dello spettacolo (adulti!) cercano ciò che in qualche modo conoscono, gli organizzatori (adulti!) si limitano a chiedere alle compagnie di rispondere a questa domanda, e i gruppi (di adulti!) spesso si appiattiscono su questa domanda, dopo le tante bastonate sui denti degli anni passati. Perchè noi adulti dobbiamo fare pesare il nostro bisogno di conferme sui ragazzi? Da questo gioco dei diritti dello spettatore bambino nasce una proposta, quella di riaprire i canali di ascolto nei confronti del soggetto centrale del teatro ragazzi, il suo protagonista, il bambino. Riallacciare un rapporto con il suo immaginario e con la sua quotidianità, con i suoi sogni ma anche con le sue sensazioni, i suoi gusti, le sue percezioni. Molto teatro ragazzi ha avuto molto da "dire" ai bambini. Ma tra il dire e il fare... c'è di mezzo il mare. Daniel Pennac conclude il suo libro con queste parole: "L'uomo costruisce case perchè è vivo, ma scrive libri perchè si sa mortale. Cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità. I rari adulti che mi hanno dato da leggere hanno sempre ceduto il passo ai libri, e si sono ben guardati dal chiedermi che cosa avessi capito. A loro, naturalmente, parlavo delle mie letture. Vivi o morti che siano, a loro dedico queste pagine." 40 41 I contenuti del progetto di educazione ai linguaggi teatrali Si tratta di individuare a tutti i livelli di che cosa si vuole parlare con il teatro, ed a chi. Una scelta per niente indolore, dato che dietro il singolare della parola teatro si nasconde un amplissimo ventaglio di gesti, eventi, rituali, significati diversi. Proponendo ai ragazzi una “Educazione Teatrale”, si pongono due obiettivi: Fornire informazioni chiare che permettano di cogliere la multiformità dei teatri per creare degli spettatori curiosi e tolleranti nei confronti del gran teatro del mondo Testimoniare la ricerca di “un” teatro che rappresenti la nostra 15visione etica, estetica ed utopica della realtà, per contribuire alla formazione di individui dotati di un’identità, di una coscienza, di un futuro Il teatro sorge quando l’individuo può togliersi e mettersi la maschera davanti a spettatori che conoscono il suo “gioco” 16e non temono più l’uomo con la maschera come se fosse il Dio stesso, ma ne riconoscono il carattere simbolico Una ricerca di senso che porta alla riflessione sulla forma scenica ma non si esaurisce ad essa, articolando la complessità di un percorso che parte dalla lettura di una realtà ed attraverso la sua interpretazione arriva alla sua rappresentazione. Tutto questo si svolgerà tenendo conto dell'importanza della scuola come mediatrice primaria del rapporto dei ragazzi con il mondo dei “codici” coinvolgendo gli insegnanti interessati a condividere questo percorso. Insegnante-Animatore “Animatore deve essere l’insegnante. Perché nessuno più di lui conosce i ragazzi, perché nessuno più di lui può programmare il proprio intervento rispettando i tempi di maturazione dei ragazzi. Ciò non significa escludere la possibilità e anche l’opportunità che ci si possa avvalere per il periodo di indispensabile aggiornamento della figura di animatori o di gruppi teatrali esterni. A condizione che lavorino per il superamento della loro presenza.” (R.Rostagno B.Pellegrini Guida all’animazione, Fabbri 1978) Particolarmente vivace fu alla fine degli anni settanta la discussione sul tema della figura professionale che avrebbe dovuto occuparsi della “animazione” alle attività espressive nella scuola. La figura dell’animatore professionale non ebbe uno sviluppo, nonostante fosse adottata anche in termini consistenti da diversi progetti territoriali, primo fra tutti quello piemontese, anche su vasta scala. Mi sembra che la riflessione di Rostagno e Pellegrini sia ancora oggi valida, se applicata al tema dell’educazione ai linguaggi teatrali. Ma quali motivi spingono un insegnante ad interessarsi al teatro? L’esperienza condotta finora ci indica quattro percorsi, che a volte si intersecano o si sommano, ma che conducono tutti all’inserimento della attività teatrale nella propria scuola: 15 Noi concepiamo il teatro - soprattutto nel suo aspetto carnale e palpabile - come un luogo di provocazione, una sfida che l'attore lancia a se stesso e anche, indirettamente, agli altri. Nel nostro modo di affrontare i compiti creativi, anche se il tema è un gioco, dobbiamo essere in uno stato d'animo di disponibilità - si potrebbe persino dire di "solennità". (Jerzy Grotowski, Per un teatro povero.) 16 Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura presuppone in ogni modo convivenza umana e gli animali non hanno accettato che gli uomini insegnassero loro a giocare, gli animali giocano proprio come gli uomini… le grandi attività originali della società sono tutte intessute di gioco… il linguaggio, il mito, l’artigianato, l’arte, la poesia, la scienza sono radicate in base ad azione giocosa (J.Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino) 17 Il Teatro appartiene alla sfera del rito, del gioco e della festa, ma anche dell’artigianalità e della comunicazione in ogni senso, coinvolge tutto quel campo che potremmo chiamare antropologico, è strumento di ricerca verso l’interno dell’io e verso il mondo. Questo teatro non mira soltanto al prodotto come fase assoluta, ma pone attenzione al processo, come fase continua di apprendimento attraverso il fare e l’immaginare (G.Scabia) 41 42 Il Teatro come comunicazione – la condizione in cui si sceglie di utilizzare il teatro per comunicare “agli altri” (ragazzi, genitori, realtà di quartiere) i risultati di un percorso di ricerca e di “studio” Il Teatro come socializzazione – la dimensione in cui il teatro serve da un lato ad una ricerca della propria identità, dall’altro del proprio ruolo nel gruppo, rafforzando i legami già esistenti e gestendo i problemi relazionali in atto, tra ragazzi o con l’insegnante. Il teatro come festa – un momento rituale, uno spazio tempo “differente” dalla attività scolastica quotidiana. In cui si possono fare “altre cose”, divertirsi. Un momento di sfogo, ma anche di celebrazione del proprio essere comunità. Ed il teatro come didattica – Il teatro come strumento per motivare i ragazzi ad un percorso di avvicinamento diverso alle materie curricolari. La realizzazione dello spettacolo diventa quindi un modo divertente per apprendere. Obiettivi, modalità e verifiche degli interventi formativi rivolti al mondo della scuola A questo punto diventa importante provare ad articolare un atteggiamento che il mondo del teatro deve assumere nei confronti del mondo della scuola per indirizzare proposte formative. Riteniamo innanzitutto importante sottolineare che non è possibile stabilire un unico “programma” di attività, o un metodo unificante le attività teatrali. Fare questo significherebbe togliere al teatro la sua molteplicità di forme, che come abbiamo visto è uno degli elementi alla base della sua importanza formativa. E’ invece indispensabile stabilire una serie di requisiti che una attività teatrale (Spettacolo, laboratorio, animazione) svolta nella scuola con o senza la partecipazione di esperti esterni deve possedere per vedere riconosciuta una propria valenza formativa. Il modello che proponiamo non è quindi quello anglosassone della rappresentanza di istituto (Squadra di football, di canottaggio, gruppo corale, gruppo teatrale), ma quello che proviene dalla storia italiana e francese dell’Animazione Teatrale, che prevede il coinvolgimento di tutti i ragazzi ad un livello di informazione, e la disponibilità dell’opzione teatro tra le attività espressive presenti nel curriculum (Educazione all’immagine, musicale, motoria) con in più una importante valenza interdisciplinare. 42 43 Una mappa dei requisiti necessarie alle attività teatrali in relazione ai percorsi formativi 1) La quantità non vale la qualità Il numero dei ragazzi coinvolti nelle attività deve essere proporzionato al numero ed alle competenze comunicative dei conduttori. Sia nel caso di un laboratorio che della visione di uno spettacolo. Il lavoro principale dell’attore e del conduttore è quello di ascoltare le singole persone che ha davanti. 2) Si fa teatro nella scuola per far crescere le persone di domani, non i futuri spettatori, e tanto meno i futuri attori. Il teatro non è il fine, ma il mezzo. Per cosa? Per cercare se stessi risponderebbe Peter Brook. Se no si corre il rischio di imboccare un vicolo cieco 3) Vedere teatro e provare a fare teatro sono le due braccia di un’altalena, l’una rilancia l’altra A volte si crea il paradosso di ragazzi impegnatissimi nelle attività di laboratorio che non vanno mai a vedere il teatro fatto da altri. Si bastano. Sia l’atteggiamento di sufficienza, che quello di soggezione nei confronti del teatro visto sono sintomi di un disagio dovuto alla non chiarezza delle proprie motivazioni 4) Ogni età ha un suo teatro, ma può affacciarsi a curiosare anche da altre parti. Uno dei risultati dell’attività di questi anni è stata la scoperta che mescolare le carte a volte ha effetti inaspettatati. Mettere a confronto visioni del mondo ed esigenze diverse spesso ci fa vedere le cose da altri punti di vista. Ci sono spettacoli “per adulti” che possono dare molto ad un bambino di 6 anni, ma anche spettacoli “per bambini” che toccano profondamente l’immaginario di un giovane. Di sicuro, se motivato, un pubblico di ragazzi riesce a partecipare in modo estremamente più intenso di un pubblico di adulti. 5) Il teatro è faticoso. Ma non ha senso faticare senza avere uno scopo, compreso e condiviso da tutti Sia realizzare un piccolo spettacolo che assistere ad una rappresentazione richiedono il rispetto di una serie di regole, e soprattutto un uso della concentrazione che non ha paragone con altre forme di spettacolo "quotidiano" quale la TV. Ma queste regole hanno un senso, ed anche i ragazzi più piccoli sono in grado di comprenderlo, se sappiamo trovare le parole per dirlo. Esercitarsi al rispetto delle regole è una attività in via di estinzione? 6) Raggiungere il proprio obiettivo è la cosa più importante. Fare uno spettacolo bello lo è di meno. All’interno di un percorso formativo è fondamentale stabilire degli obiettivi (di tipo didattico, relazionale, espressivo o comunicativo). La validità del lavoro svolto sta quindi nel raggiungimento degli obiettivi. Questo punto, che sembra così trasparente, in realtà è spesso la fonte di equivoci quando, dietro l’obiettivo formativo dichiarato, in realtà per poca chiarezza si muovono altre motivazioni: gratificare i genitori, far fare bella figura alla scuola, poter sfogare velleità “artistiche” dell’insegnante e non dei ragazzi, etc. professionista è colui che ha il coraggio di professare le proprie motivazioni, e l’insegnante DEVE essere un professionista dell’educazione. 7) Ma non bisogna confondere uno spettacolo bello con uno brutto, o dire che tanto è lo stesso. Quando una persona arriva sul palcoscenico è un attore, ragazzo o adulto, e deve confrontarsi con l’efficacia comunicativa del proprio lavoro. A volte, nei confronti delle espressioni artistiche, scattano dei meccanismi di “compatimento” che tendono a stabilire differenti metri di valutazione nei confronti di artisti “particolari” (dai quadri dipinti con i piedi dai mutilati di guerra, ai film con attori disabili, agli spettacoli realizzati dai bambini) Come ben sa il mondo della pubblicità, l’uso strumentale dell’infanzia fa scattare nel pubblico una serie di meccanismi che abbassano il livello critico dello spettatore. E’ invece necessario che un giovane attore si confronti senza falsità con l’efficacia estetica e comunicativa del proprio lavoro, per non correre inutili rischi. D’altro canto è importante che il giovane spettatore sia in grado di esprimere e motivare il proprio gradimento nei confronti di uno spettacolo, paragonandolo ad altri spettacoli teatrali e non al cinema ed alla televisione. 43 44 8) Il teatro nella scuola lo si fa insieme, adulti e ragazzi. Ma anche gli adulti devono impegnarsi a dare il loro meglio. E soprattutto ad ascoltare. Certo, i ragazzi in palcoscenico “funzionano comunque”. Questo non deve diventare un alibi per gli adulti. Il teatro è un lavoro di gruppo, e l’impegno dei ragazzi riflette quello dei loro conduttori. Uno dei compiti più difficili del regista teatrale è quello dell’ascolto, l’unica dimensione che permette di svolgere la propria funzione maieutica, aiutando l’attore a trovare la “sua” strada. Ma anche quando si va insieme a vedere uno spettacolo l’insegnante deve partecipare con i suoi strumenti, essere cospettatore insieme ad i suoi allievi. Che rispetto del teatro possono avere quei ragazzi i cui insegnanti escono durante lo spettacolo per il cambio dell’ora? 9) Il teatro non è agonismo. Il confronto è fondamentale, ma nel rispetto delle differenze. Sulla scena l’unico avversario da superare siamo noi stessi, le nostre paure, i nostri limiti L’attività espressiva si nutre del confronto. Imparare ad osservare il lavoro degli altri, a comprenderlo, ed a trarne indicazioni sul proprio è una pratica alla base di tutte le pedagogie teatrali. Ma nel momento in cui un artista si espone al pubblico con una propria visione del mondo, è come se esponesse qualcosa di estremamente fragile e delicato, verso cui ha mille timori e mille insicurezze. Spesso queste insicurezze vengono trasformate, inconsciamente, in un atteggiamento di autosufficenza che rendere impossibile gustare altre poetiche. La chiarezza delle proprie motivazioni, la solidità delle proprie radici, permette invece di arricchirsi nel dialogo con altri. Questa è una grande occasione di formazione della persona che offre il teatro, nell’integrazione tra il “fare” ed il “vedere”. 10) L’attore non è un particolare tipo di persona, ma ogni persona è un particolare tipo di attore Il rispetto dell’ultimo requisito indica la fondamentale differenza tra un idea di teatro centrata sul prodotto ed una orientata al processo di costruzione. Nel primo caso ci sono ragazzi più o meno “bravi attori”. Che per motivi caratteriali o ambientali hanno già maturato una particolare competenza comunicativa che li mette in grado di muoversi efficacemente all’interno del codice teatrale proposto dal conduttore. Nel secondo caso invece ci sono ragazzi con una maggiore o minore competenza relazionale si pongono davanti a degli obiettivi comunicativi, li condividono, riescono o meno a raggiungerli, elaborano il risultato del loro lavoro. E’ forse inutile segnalare come il primo caso indichi una attività teatrale che esula dai compiti di formazione della scuola di base, e che viene fornita dopo la scuola superiore dalle istituzioni pubbliche e private di formazione degli attori. (Accademia Nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico, Civica Scuola d’arte drammatica del Comune di Milano, Scuole di formazione dei Teatri Stabili) Sarà il secondo caso a rientrare invece nei criteri di una attività di Educazione ai Linguaggi Teatrali, nelle direzioni indicate dai Protocolli di intesa e dalle direttive Ministeriali in merito.. Oltre il teatro, intelligenza emotiva e competenze relazionali. Riteniamo a questo punto importante concludere questo percorso segnalando quello che a nostro avviso è un equivoco su cui si basa in qualche modo il successo dell’attività teatrale nella scuola italiana. Non è casuale che il rinnovato interesse verso il teatro nasca nell’ambito dei progetti di educazione alla salute, ed in particolare nei progetti di prevenzione del disagio giovanile e dei comportamenti socialmente devianti come la tossicodipendenza. Ci sembra che stia sotto gli occhi di tutti la necessità di dotare nuovamente la scuola di strumenti precisi per affrontare il problema delle competenze emotive e relazionali dei ragazzi. L’intelligenza emotiva Nella sua definizione dell’intelligenza emotiva, Salovey18 identifica cinque ambiti principali: 1 Conoscenza delle proprie emozioni. L’autoconsapevolezza – in altre parole la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta – è la chiave di volta dell’intelligenza emotiva. 2 Controllo delle emozioni. La capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati si fonda sulla autoconsapevolezza. 18 Riportato da Goleman D., Intelligenza Emotiva, Milano,1997 pgg.64-65 44 45 3 4 5 Motivazione di se stessi. La capacità di dominare le emozioni per raggiungere un obiettivo è una dote essenziale per concentrare l’attenzione, per trovare motivazione e controllo di se, come pure ai fini della creatività Riconoscimento delle emozioni altrui. L’empatia, un’altra capacità fondata sul riconoscimento delle proprie emozioni, è fondamentale nelle relazioni con gli altri. Gestione delle relazioni. L’arte delle relazioni consiste in larga misura nella capacità di dominare le emozioni altrui Naturalmente le persone hanno capacità diverse in ognuno di questi cinque ambiti. Le eventuali carenze nelle capacità emozionali possono essere corrette: ciascuno di questi ambiti rappresenta, in larga misura, un insieme di abitudini e di risposte passabili di miglioramento, purchè si lavori a tal fine nel modo giusto. Sembra un paradosso, ma se leggiamo i progetti di educazione ai linguaggi teatrali nella scuola italiana, possiamo fare un confronto diretto con i programmi di “Alfabetizzazione emozionale” attualmente in fase di studio e sperimentazione negli Stati Uniti.19 Chia sia forse questo ciò che la scuola richiede al teatro? Un aiuto a strutturare in metodo quella competenza che drammaticamente sta scomparendo dal bagaglio dei ragazzi della società contemporanea: la capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri, di esprimerle con le parole, in qualche modo di gestirle? Il ruolo classico dell’educazione “Poiché a moltissimi giovani il contesto familiare non offre più un punto d’appoggio sicuro nella vita, le scuole restano il solo istituto al quale la comunità può rivolgersi per correggere le carenze di sviluppo emozionale e sociale dei ragazzi. Questo non significa che esse da sole possano sostituire istituzioni sociali troppo spesso prossime al collasso. Ma poiché quasi tutti i bambini vanno a scuola, almeno all’inizio, la scuola è un luogo che permette di raggiungere ognuno di essi e di fornirgli lezioni 19 Citiamo a titolo puramente esemplificativo il programma del W.T.Consortium on the Shool-Based Promotion of Social Competence “Drug and Alcohol Prevention Curricula” I componenti fondamentali di programmi efficaci comprendono: ABILITA’ EMOZIONALI Identificare e nominare i sentimenti Esprimere i sentimenti Valutare l’intenstà dei sentimenti Controllare i sentimenti Rimandare la gratificazione Controllare gli impulsi Ridurre lo stress Conoscere la differenza tra sentimenti ed azioni ABILITA’ COGNITIVE Colloquiare con sé stessi: condurre un “dialogo interno” come modo per affrontare un argomento oppure per mettere in discussione o rafforzare il proprio comportamento Leggere e interpretare i segnali sociali: per esempio, riconoscere le influenze sociali sul comportamento e collocare se stessi nella prospettiva più ampia della comunità Adoperare metodi graduali di risoluzione dei problemi e di assunzione delle decisioni: per esempio, controllare gli impulsi, fissare gli obiettivi, identificare azioni alternative, prevedere in anticipo le conseguenze Comprendere la prospettiva altrui Comprendere le norme comportamentali (qual è e quale non è un comportamento accettabile) Avere un atteggiamento positivo verso la vita Essere autoconsapevoli: per esempio sviluppare aspettative realistiche su se stessi. ABILITA’ COMPORTAMENTALI Non verbali. Comunicare attraverso gli occhi, l’espressività del viso, il tono di voce, i gesti e così via. Verbali: porre richieste chiare, reagire alle critiche con efficacia, resistere alle influenze negative, ascoltare gli altri, aiutarli, partecipare alle attività positive dei gruppi di coetanei. 45 46 fondamentali per la vita, che altrimenti non potrebbero mai ricevere. L’Alfabetizzazione emozionale comporta che il ruolo sociale delle scuole si estenda e vada a compensare le mancanze familiari nella socializzazione dei ragazzi. Questo compito scoraggiante richiede due mutamenti importanti: gli insegnanti devono oltrepassare i limiti della propria missione tradizionale e la comunità deve essere più coinvolta nella vita della scuola. Che ci sia o meno un corso dedicato all’alfabetizzazione emozionale può essere molto meno importante del modo in cui queste lezioni vengono insegnate. Oltre alla formazione dei docenti, l’alfabetizzazione emozionale amplia la nostra visione del compito delle scuole, conferendo a esse più esplicitamente un ruolo sociale nell’impartire ai ragazzi lezioni essenziali per la vita. E’ questo un ritorno al ruolo classico dell’educazione.” Daniel Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli 1997 Ecco che allora il teatro ritrova una sua funzione umanistica e classica di luogo della sperimentazione, della disciplina delle emozioni, della ricerca della propria unica ed insostituibile identità all’interno della comunità in cui viviamo. Per concludere questo percorso citiamo allora l’inizio della prefazione del testo di Storia Del Teatro di Glynne Wickham, (Il Mulino 1985). Parlare del teatro come se fosse semplicemente letteratura drammatica ha senso come cercare di guidare un’automobile con un solo cilindro funzionante. Il teatro – e i teatri in cui si rappresenta – comprende attori e attrici, pittori e pitture, architetti e operai, costumisti e macchinisti, si estende ad abbracciare anche compositori e musicisti, coreografi e ballerini, acrobati e atleti, poeti e giornalisti e l’elemento più importante di tutti, il pubblico. In breve, è un’esperienza di gruppo fondata sull’interazione. […] Come si può dunque spiegare questo speciale e stretto rapporto all’interno del gruppo? Ciò di cui raramente ci si rende conto è che ogni individuo del pubblico (inclusi noi stessi) passa gran parte del giorno recitando un ruolo scelto (spesso imposto), dando una “rappresentazione” giornaliera. Nel fare tutto questo raramente ci consideriamo attori; pure, di tanto in tanto – quando, tornati a casa, facciamo il bagno o ci versiamo da bere – ci accorgiamo di un cambiamento di personalità. Cessiamo di essere attori e diventiamo noi stessi. Questo fenomeno è uno dei fattori più vitali per spiegare la specifica esperienza di gruppo dell’arte drammatica perché, attraverso l’azione mimetica, lega ciascuno di noi a quei rari individui eccezionali che etichettiamo come attori. Eppure essi, come noi, sono esseri umani; ma il ruolo che hanno scelto nella vita è l’esatto opposto dell’intero processo. La differenza fondamentale sta nel fatto che il ruolo che noi recitiamo quotidianamente è soggettivo e la rappresentazione teatrale pubblica di un attore professionista è oggettiva. Questo legame tra le nostre motivazioni e le nostre tecniche e quelle dell’attore, che ci portiamo dalla culla alla tomba, arriva a spiegare il perenne fascino del teatro in tutto il mondo, e la sua capacità di adattarsi e trasformarsi tanto che anche quando esso sembra malato e morente proprio allora sta invece subendo un processo di rinnovamento in qualche inedita, provocatoria e più appropriata forma. ©1997 Carlo Presotto 46 47 Le regole del teatro - Costruire con i bambini delle regole da osservare durante l’esperienza, dalla partenza da scuola al ritorno. Le regole devono essere poche, la loro motivazione viene discussa fino in fondo, poi vengono approvate con una adesione di ognuno dei partecipanti. - Per quanto riguarda lo spazio teatrale ricordiamo l’importanza del rispetto degli altri spettatori e degli attori che stanno svolgendo un lavoro per il quale si sono preparati a lungo. Si possono manifestare le proprie emozioni (ridere, applaudire), ma sempre con l’attenzione a non impedire agli altri di partecipare all’evento. L’evento teatrale è oggi (ma non è sempre stato così in tutte le epoche) diviso in tre momenti: la preparazione, che serve a costruire un luogo ed un tempo “speciali” rispetto alla vita di tutti i giorni. La preparazione degli attori è più lunga, e comprende il loro studio, le prove dello spettacolo, ed il riscaldamento che svolgono prima di ogni rappresentazione. La preparazione degli spettatori comincia da quando si decide di andare a partecipare ad uno spettacolo e comprende la raccolta di un bagaglio di “attese” (quasi tutti immagineranno che in questo spettacolo una attrice si presenti con una borsa ed un ombrello, ad esempio) lo scambio di queste attese con altre persone che parteciperanno all’evento, il viaggio per recarsi a teatro, il prendere posto tutti rivolti in una stessa direzione, l’abbassare il tono di voce, l’andare in bagno etc. la rappresentazione, durante la quale delle persone (gli attori) si muovono e parlano ed altre persone (gli spettatori) guardano ed ascoltano. Durante la rappresentazione si crea come una tela di ragno costruita dagli sguardi e dalla partecipazione di ognuno degli spettatori. E’ fragilissima e basta poco a spezzarla. C’è chi dice che quello è il teatro. Per questo di solito non si commenta ciò che sta accadendo, non ci si alza dal posto, e quando si vuole scaricare la propria energia si battono le mani tutti insieme. Usiamo nel nostro teatro abbassare le luci sul pubblico ed accenderle sugli attori per evidenziare i loro movimenti e la loro presenza. Come quando si spengono le luci per far entrare la torta di compleanno con le candeline. Durante tutto lo spettacolo gli attori guardano ed ascoltano gli spettatori, prendendo da loro il coraggio e la forza per raccontare la storia. Per questo si spengono assolutamente i telefonini, le suonerie degli orologi, e non si usano puntatori al laser. Questi sono tre motivi per cui un attore può distrarsi e quindi essere costretto ad interrompere lo spettacolo e lasciare la storia a metà. il seguito, durante il quale si torna alla vita di tutti i giorni portando con sé qualcosa dello spettacolo. Al termine dell’evento la luce si riaccende sul pubblico e gli attori vengono a ringraziare gli spettatori con un inchino per la loro attenzione. Se gli spettatori sono contenti di ciò che hanno visto battono le mani agli attori. Più forte le battono più vogliono far sapere loro che sono contenti. In altri paesi si battono i piedi, si gettano cappelli o cuscini o fiori, o si fischia. Da noi l’applauso è segnale di approvazione ed il fischio è un grave segno di disapprovazione. Per gli attori questo è ancora un momento importante dello spettacolo. Poi, se è possibile, ci si può incontrare con la classe o in numero maggiore, con gli attori che hanno presentato lo spettacolo. In questa occasione li si può conoscere come persone, dato che hanno finito di muoversi e parlare come i personaggi che interpretavano durante lo spettacolo. Ed al termine si torna a scuola. Ma lo spettacolo non è ancora finito, perchè possiamo confrontare con i compagni e gli insegnanti ciò che lo spettacolo ha lasciato impresso nei nostri ricordi e nelle nostre emozioni. 47 48 Cosa ci siamo portati a casa Uno spettacolo provoca degli echi che diventano tanto più chiari e riconoscibili secondo alcuni fattori: la maggiore o minore abitudine ad assistere al teatro: uno spettatore “abituale” ed uno “occasionale” possono dare maggior rilievo ad aspetti diversi dell’evento. L’esperienza ci indica di come sia importante tenere sempre presente, ed al caso testimoniare, la differenza tra teatro, cinema e televisione, che in alcuni casi si sovrappongono nella percezione infantile: in tutti questi casi vediamo “adulti che fanno finta”. Il teatro è un contesto che richiede la collaborazione dello spettatore alla chiusura del senso, che coinvolge le sue sensazioni, le sue emozioni, la sua memoria corporea. Per questo una fase di rielaborazione parte da un percorso analogico, che attraverso proposte di associazioni di idee stabilisca punti di incrocio tra l’esperienza degli spettatori e l’evento vissuto. Proponiamo alcune formulazioni per stimolare una discussione: C’è qualche momento che mi ha spaventato? Come quando... c’è un momento in cui mi sono messo a ridere? Come quella volta che... chi mi ricorda Bert? Cosa farei se io fossi Mary? E se vivessi nella famiglia Banks cosa direi ai miei genitori? Quale mio desiderio potrebbe realizzare Mary? A questo punto può seguire una fase di lavoro, che con gli strumenti più adatti, metta il gruppo in grado di fissare l’esperienza vissuta insieme sotto forma di un mosaico di diverse impressioni. Si può trattare di una serie di disegni raccolti in un album, oppure di un grande quadro collettivo realizzato stendendo a terra una serie di fogli di carta da pacco uniti insieme con il nastro adesivo. Si può decidere di utilizzare la scrittura, raccogliendo un quaderno di pensieri, oppure proponendo ad ognuno dei ragazzi di scrivere il proprio punto di vista, oppure raccogliendo un repertorio di frasi e parole particolari riportate a casa dallo spettacolo. Si possono recuperare modi di muoversi e di parlare dei personaggi in un laboratorio teatrale che permetta ai ragazzi di scegliere “chi” vorrebbe essere nella storia Si possono inventare giochi che rievochino momenti della storia. Il diritto di non fare il riassunto Noterete che tra le attività proposte manca un classico strumento di lavoro, che prevede la rielaborazione e la verbalizzazione dell’evento sotto forma scritta. Ogni insegnante conosce al meglio i suoi strumenti e soprattutto i ragazzi con cui lavora, per cui neppure in questo caso ci permettiamo di indicare formule valide per tutti. Una cosa però è certa, che per scrivere una recensione di uno spettacolo, per ricostruirne la successione cronologica, bisogna compiere una operazione molto complessa. La percezione dell’evento teatrale stabilisce una gerarchia secondo l’intensità con cui una determinata “azione” ha colpito il nostro immaginario. Di uno spettacolo possiamo ricordare anche solo una frase, con vividezza eccezionale, e cancellare quasi istantaneamente dalla memoria dettagli e sfondi, come facciamo di fronte ad un opera d’arte visiva. L’analisi dell’opera va quindi proposta ai ragazzi insieme con gli strumenti per attuarla, per non rischiare di trasmettere la sensazione che lo spettacolo “non ci abbia detto molto”. 48 49 Carlo Presotto Nasce a Venezia il 14 luglio 1961. Dopo gli studi e la prima formazione a Milano, dal 1982 collabora stabilmente con Il Teatro Stabile di Innovazione La Piccionaia I Carrara di cui è direttore artistico. E' docente di Psicologia Sperimentale, Animazione e Teatro Ragazzi presso l'università Ca Foscari di Venezia. Assistente alla regia di Antony Rooley in The Marriage Of Pantalone da Monteverdi e Vecchi (Londra, Queen Elizabeth Hall 1986) e Le Veglie di Siena di Orazio Vecchi (Evento speciale per la corte reale danese Copenhagen 1988). Coordinatore del Centro di Formazione Teatrale realizzato con il contributo della regione Veneto, nel 1989 realizza con Renata Molinari il progetto formativo Teatro All'Antica Italiana, e nel 1990-91 La necessità di un tempo inutile. Referente per diverse edizioni del progetto ETI il tempo dello spettatore, nel 1997 realizza il progetto di lettura dello stato del teatro ragazzi Italiano promosso dall'ETI "frequentare il futuro". Partecipa come attore al progetto internazionale I Porti del Mediterraneo (1996) ed allo spettacolo Come gocce di una fiumana (Premio IDI 1995) diretti da Marco Baliani, a Riccardo III diretto da Mauro Maggioni (2000), ed all'evento Le piazze, la città, i bambini per Bologna 2000 città europea della cultura. Partecipa al laboratorio di drammaturgia MULTISCENA nell'ambito del progetto Vetrine Italia. Esperto consulente nell'ambito del progetto di Educazione ai linguaggi teatrali del Ministero della Pubblica Istruzione, consulente scientifico del secondo corso provinciale di formazione per docenti referenti per le attività teatrali promosso dal Provveditorato agli studi di Vicenza. Nel 1999 coordina il corso "Armamentario del teatro ragazzi" con la partecipazione di Laura Curino per l'allestimento di "Storie" alle gallerie di palazzo Leoni Montanari a Vicenza Nel 2003 dirige con Titino Carrara I quattro libri di Andrea spettacolo scritto con lo storico dell’Architettura Howard Burns ed ambientato nella Basilica Palladiana, ha curato i video fondali de La ballata del mare salato diretto da Damiano Michieletto, Cura la regia teatrale degli showcases di videoteatro per Ibm Italia a Smau 2003 e Smau 2004. Cura la tavola rotonda Trama ed ordito: conversazioni sugli strumenti del drammaturgo Goldoni in occasione della presentazione de Il curioso accidente di C.Goldoni dai copioni Baseggio, e nel 2004 il convegno LA SCENA, IL CARNEVALE nell'ambito del progetto Interreg Arlecchino e i pusti dell'Isontino. Partecipa con una dimostrazione di lavoro al corso sul teatro di animazione presso il DAMS di Bologna. Fa parte del direttivo italiano Assitej (Association internationale du théâtre pour l’enfance et la jeunesse). Ha vinto con il Gioco del Palazzo insieme a Ketty Grunchi il premio ETI Stregagatto 2004 per il miglior progetto di ricerca teatrale dedicato ai ragazzi. 49 50 Bibliografia AA.VV. La storia di Romeo e Giulietta, Settimo TO, Quaderni del Laboratorio Teatro Settimo, 1990 M. Alessandri, Storie per giocare, Perugia, Edizioni Era Nuova, 1996. M. Aliverti, Jacques Copeau. Il teatro del XX secolo, Bari, Universale Laterza, 1997. A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino, Piccola biblioteca Einaudi, 1978. A. Attisani, Teatro come differenza, Edizioni Essegi, 1988. M. Baliani, Pensieri di un raccontatore di storie, Genova, ass.istit.scolastiche, 1991 M. Baliani, Bambini, Mutanti, Replicanti, Firenze, La Casa Usher, 1985. E. Barba, Aldilà delle isole galleggianti, Milano,Ubulibri, 1985 E. Barba, L’arte segreta dell’attore, Lecce, ARGO,1996 P. 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