La necessità di un tempo inutile: poetiche del teatro a scuola

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Università Ca' Foscari di Venezia
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Tecniche Artistiche e dello Spettacolo
PROF. CARLO PRESOTTO
PSICOLOGIA SPERIMENTALE
ANIMAZIONE – TEATRO RAGAZZI
PRIMO SEMESTRE 2004
DISPENSA 1
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Ragazzi, teatro ............................................................................................................................... 3
CENNI SULLA NASCITA DELL'ANIMAZIONE TEATRALE .................................................. 4
SUPERAMENTO DEL DUALISMO. ............................................................................................. 6
Antefatti, storia e problemi ....................................................................................................... 9
Compagnie ..................................................................................................................................... 12
Teatri Stabili di Innovazione ................................................................................................... 14
Le trasformazioni del “teatro dei ragazzi” ......................................................................... 15
Un modello di valutazione per il teatro ............................................................................... 22
1990 - LA NECESSITA' DI UN TEMPO INUTILE ....................................................................... 24
LETTERA APERTA IN DIFESA DEL TEMPO DELL'INFANZIA ................................................ 25
2000 - La lepre e la tartaruga: una carta di intenti di poetica per un teatro a scuola .. 26
2000 - QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE DELLE PROPOSTE TEATRALI .............. 27
Letteratura e teatro ragazzi. Introduzione ad una ricerca .......................................... 29
Dare parola al senso .................................................................................................................. 34
Il Picchiatore .............................................................................................................................. 35
Il Gran Porco ............................................................................................................................. 36
I DIRITTI DELLO SPETTATORE BAMBINO.......................................................................... 39
I contenuti del progetto di educazione ai linguaggi teatrali ....................................... 41
Insegnante-Animatore .......................................................................................................... 41
Obiettivi, modalità e verifiche degli interventi formativi rivolti al mondo della scuola
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Una mappa dei requisiti necessarie alle attività teatrali in relazione ai
percorsi formativi .................................................................................................................... 43
Oltre il teatro, intelligenza emotiva e competenze relazionali. ....................................... 44
L’intelligenza emotiva ............................................................................................................ 44
Il ruolo classico dell’educazione ........................................................................................ 45
Le regole del teatro .................................................................................................................... 47
Cosa ci siamo portati a casa ............................................................................................... 48
Carlo Presotto.................................................................................................................................. 49
Bibliografia ..................................................................................................................................... 50
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Ragazzi, teatro
ragazzi, teatro Con il termine teatro per i ragazzi o teatro-ragazzi, come sempre più spesso negli
ultimi anni lo si è definito, si indicano in genere quelle opere teatrali realizzate per un pubblico
infantile, molto spesso scolastico.
La fascia dei fruitori si è via via allargata col tempo e oggi il pubblico che assiste a questi spettacoli
viene comunemente diviso in fasce d'età: dalle scuole materne a quelle superiori con repertorio,
metodologie e stilemi diversi tra loro, tanto che è invalsa anche la dizione `teatro per l'infanzia e la
gioventù'. Il t.-r. contemporaneo inizia in Italia come movimento e progetto alla fine degli anni '60,
in stretto rapporto con il cambiamento della società e dei modelli culturali che stava avvenendo in
quegli anni. Si individua nel bambino sia uno spettatore attivo e sensibile che è al di fuori di tutte le
rigide convenzioni del teatro ufficiale, sia un attore che si esprime liberamente facendo uscire da sé
tutte le proprie potenzialità. È il momento dell'animazione teatrale, dove, nella scuola che cambia, il
t.-r. si fonde con il teatro per i ragazzi. In questo senso a Torino nascono le esperienze di Franco
Passatore, Remo Rostagno e Sergio Liberovici. È da questo nuovo modo di concepire la scuola e il
teatro, che ha le sue radici il t.-r. italiano (assai diverso per concezione da quello degli altri stati
europei) che diventa adulto e professionista attraverso l'attività di alcuni operatori, non a caso
spesso provenienti dalla ricerca, che decidono di rivolgersi esclusivamente ai ragazzi. Il teatroragazzi esce quindi dalla scuola e diventa autonomo, pur essendo parte integrante dello sviluppo del
bambino, e in più, attraverso il lavoro di questi professionisti, usa stilemi propri, molto diversi dal
teatro per adulti: non è un teatro rimpicciolito, ma sperimenta sempre nuovi linguaggi al servizio
dell'immaginario bambino. Negli anni '70 nascono decine e decine di compagnie che sia dal punto
di vista delle tecniche e delle poetiche, sia dal punto di vista organizzativo e della produzione,
rinnovano i linguaggi (teatro d'attore, il teatro di figura, la narrazione) e i meccanismi del teatro
italiano. Nascono le associazioni di categoria, i festival di Muggia, Cascina (Vetrina Italia) e Parma
(Vetrina Europa), il premio Stregagatto, i centri nazionali. Oggi il t.-r. italiano conta decine e decine
di operatori e di compagnie che vi si dedicano e si sta consolidando come vero e proprio teatro
popolare, adatto a tutti i pubblici e a tutte le età. Molti e variegati sono i festival di t.-r. che si
svolgono in Italia e che hanno raccolto l'eredità della storica manifestazione di Muggia che per
diversi anni è stata un punto di riferimento per gli operatori. Senza dubbio il più importante è
Vetrina Italia, organizzata a Cascina dal 1986 da uno dei centri nazionali più operativi, Sipario, da
qualche anno diventato Fondazione. Accanto a questa iniziativa, il Teatro delle Briciole di Parma ha
realizzato Vetrina Europa, rara occasione per vedere in Italia le migliori produzioni estere. Il t.-r.
del Sud ha la possibilità di farsi conoscere e apprezzare con Angeli a Sud, Festival che si svolge da
cinque anni prima a Vico Equense, poi a Salerno, organizzato da due compagnie, L'Arcolaio e I
teatrini con il concorso del Teatro pubblico campano. Altri festival in forte ascesa sono: Una città
per gioco, organizzato cinque a Vimercate dalla cooperativa Tangram e I teatri del mondo di Porto
S. Elpidio ideato dalla compagnia Teatri Comunicanti. Infine ci sono vetrine regionali nel Veneto,
in Puglia, in Emilia Romagna e in Lombardia dove Segnali, la manifestazione organizzata dai
Centri di teatro-ragazzi lombardi si sta ora configurando in un vero e proprio festival. Un posto a
parte merita il Festival nazionale del teatro per ragazzi di Padova, organizzato dal 1981 dall'Istituto
italiano di sperimentazione e diffusione del Teatro per Ragazzi che prevede premi assegnati da
giurie formate da ragazzi.
m.b.
Dalla enciclopedia dello spettacolo del ‘900, Baldini e Castoldi, voce a cura di Mario Bianchi
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CENNI SULLA NASCITA DELL'ANIMAZIONE TEATRALE
(in R.Rostagno,B.Pellegrini, Guida all’animazione, Fabbri ed., 1978 Milano)
È alla Francia che bisogna far riferimento per individuare le radici del modo oggi corrente fra noi di
intendere l' animazione; e, attraverso la Francia, alle esperienze tedesche che, a loro volta,
rimandano a quelle sovietiche degli anni '20. (v. a cura di E. Casini Ropa, Professione
rivoluzionaria, Feltrinelli, 1976).
Secondo una distinzione che è stata fatta alla Maison de la Culture di Grenoble (Francia), si intende
per animazione :
1 - tutto ciò che viene realizzato allo scopo di favorire l'incontro, la comprensione, la
comunicazione fra un pubblico e una qualsiasi manifestazione culturale e/o artistica (animazione
classica);
2 - il rapporto che si instaura durante la preparazione di un prodotto culturale fra chi intende
realizzarlo e chi ne sarà il fruitore (animazione di ricerca);
3 - l'azione sollecitatrice che si innesca nel gruppo per promuovere le capacità inventive e creative
del gruppo stesso (animazione creatrice). In Italia è stato recepito e sviluppato specialmente questo
ultimo aspetto
Le prime sperimentazioni su cui esiste documentazione sono:
1967 - Primo «Convegno per un nuovo teatro» ad Ivrea. Il manifesto dei gruppi di ricerca
«riafferma il principio del riconoscimento del diritto che tutto il pubblico e quindi l'intera gamma
della società civile ha di esprimerea utonomamente la propria realtà umana e sociale attraverso il
mezzo del linguaggio teatrale concepito quale momento di presa di coscienza di se e dei propri
problemi».
1968 - Viene presentato a Venezia, nell'ambito del VI Festival Internazionale del Teatro per
Ragazzi, « Un Paese», fotospettacolo a staffetta realizzato da R. Rostagno e S. Liberovici con i
ragazzi di una classe V elementare di Beinasco (Torino). (v. Un paese, La Nuova Italia, 1972)
1969/70 - Su progetto di G.R. Morteo e E. F adini viene impostato, nell'ambito del decentramento
del Teatro Stabile di Torino, un lavoro di animazione con gli adulti dei quartieri periferici e, con i
bambini, un nuovo doposcuola (Scabia, Perissinotto, Barbieri).
S. Destefanis e F. Passatore realizzano, con i bambini dei Parchi Robinson torinesi, «Ippopotami e
coccodrilli» (v. AA.VV., Illavoro teatrale nella scuola, Quademi di Cooperazione educativa, n. 5-6,
La Nuova Italia, 1970).
1970 - Il «Teatro del Sole» di C. Formigoni rielabora e mette in scena «La città degli animali»,
storie inventate dai bambini di una 11 elementare con F. Sanfilippo. (v. Il teatro dei ragazzi, a cura
di G. Bartolucci, Guaraldi, 1972).
La Biennale di Venezia offre «uno spazio attivo per l' azione didattica» durante la 35a Esposizione
d' Arte contemporanea. All'VIII Festival Internazionale del Teatro per Ragazzi di Venezia F.
Passatore e S. Destefanis sono presenti con «Nino e gli altri» e « Un mattino che si chiama teatro»
(v. Quaderni di Cooperazione educativa, citato).
1971 - A Torino inizia stabilmente la programmazione «Il teatro dell'Angolo» G. Moretti). Elabora
e presenta spettacoli anche con materiali provenienti dall'attività di animazione. Le prime
esperienze risalgono al 1967
A Roma, R. Galve fonda il « Gruppo del sole» che dà vita ad un centro espressivo per ragazzi.
G. Scabia compie le « 14 azioni per 14 giorni» con i ragazzi della scuola media di Sissa (Parma) (v.
Biblioteca teatrale, n. 2, Bulzoni, 1971).
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Ancora dello stesso anno sono le realizzazioni di:
«La mia, la tua, la sua, la nostra, la vostra, la loro... vita», azione teatrale dei ragazzi di una 11
media di Torino (L. Perissinotto-A. d' Aloisio); «La scarpastrega» azione drammatica sui problemi
del lavoro minorile in provincia di Padova (M. Gagliardi).
«Sul cartello c'era scritto vietato l'ingresso» azione spettacolo con bambini di una 1V elementare (R.
Rostagno-B. Pellegrini).
(Per tutti si veda «Il teatro dei ragazzi», citato.)
1972 - Milano. Rotonda della Besana. Incontro nazionale sulla drammatizzazione. Il Gruppo Teatro
Gioco Vita svolge attività di animazione con «Le botteghe della fantasia».
Torino: attività di animazione in numerose scuole della città a cura del Teatro Stabile.
1973 - L' attività prosegue in varie forme e non è più possibile darne una completa rassegna.
Accanto all'attività di sperimentazione vengono promossi Convegni, incontri, seminari. L'
animazione entra come materia di insegnamento nell'Università di Bologna.
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SUPERAMENTO DEL DUALISMO.
IL TEATRO DEL SOLE. LTINERARIO DI UN'ESPERIENZA ESEMPLARE
(in Educazione e Teatro, a cura di B.Cuminetti, numero speciale di Comunicazioni sociali, anno VII
2-3 aprile-settembre 1985, vite e pensiero ed. Milano 1985)
Teatro per ragazzi. E' sicuramente questa una definizione che negli ultimi vent'anni s'è caricata di
significati, di valenze spesso contraddittorie e contrastanti, è un'idea intorno a cui s'è molto discusso
e ricercato, è un'esperienza che è andata indubbiamente incrementandosi e sviluppandosi malgrado
le sue incerte e tormentate direzioni e nonostante abbia compreso in se un variegatissimo spettro di
proposte spettacolari ed educative. Ma, non c'è dubbio, dall'inizio degli anni sessanta ad oggi, l'idea
di un teatro professionale specificatamente indirizzato ad un pubblico di ragazzi, ha fatto molta
strada, una strada spesso tortuosa, sinuosa, ma indiscutibilmente riconoscibile e ripercorribile anche
dal critico e dallo studioso che voglia in essa rintracciare il filo significante di Un dibattito sempre
intenso e di un'esperienza spesso drammaticamente controversa.
Un filo significante che si fa ancora più netto ed evidente se oggetto dell'indagine è una compagnia,
un gruppo che la storia di questi ultimi anni ha attraversato con lucidità d'intenti, con continuità
d'esperienza, e con rigore e profondità di ricerca. E l'esperienza del Teatro del Sole, gruppo
milanese con vocazioni internazionali, è da questo punto di vista sicuramente unica. irripetibile.
Sono quattordici anni di spettacoli, performances, laboratori, ricerche che hanno disegnato un
itinerario unanimemente riconosciuto come un generale punto di riferimento di una nuova
concezione del teatro per ragazzi. Una concezione che cominciò ad affermarsi sul finire degli anni
sessanta (e il Teatro del Sole nasce proprio nel 1971) e che mise definitivamente in discussione
alcuni consolidati modi di praticare un teatro indirizzato al pubblico di ragazzi e giovani.
Fino ad allora il mondo dei ragazzi e della scuola era abitualmente considerato
nulla più di una disponibile, garantita e contro11abile area di fruizione. Per
interi decenni il Teatro per ragazzi fu solamente un troppo comodo sbocco per
discutibili operazioni ricreativo-culturali (i classici di serie B o le sbilenche favolette) o per
operazioni a carattere ideologico (quanti spettacoli a tesi!), spessissimo fu anche ultimo approdo per
attori disoccupati e personaggi inquietanti.
In definitiva, e anche nelle rare esperienze serie e qualificate che fino ad allora si erano affacciate
nel settore, sempre ci si trovava di fronte a un teatro elaborato dagli adulti che prescindeva, sia in
sede di gestazione che di proposta, dal vero destinatario di questo tipo di spettacolo, il ragazzo.
11 Teatro del Sole fin dal suo primissimo atto di vita mostra di saper attraversare, assumere, e in
qualche modo risolvere il ribollio di esperienze, di riflessioni e di ricerche riguardanti sia il campo
pedagogico-cducativo che propriamente teatrale; fin dal suo primo spettacolo questo gruppo
dimostra di saper far propri tutti quei fermenti che da lì a poco avrebbero generato quel movimento
che gli stessi protagonisti amano definire del «Nuovo Teatro ragazzi».
In particolare ad essere assunti e superati sono i termini della grande querelle di quegli anni che
opponeva l'antica definizione di teatro per ragazzi alla più nuova di teatro dei ragazzi.
Nel 1971 un gruppo d'attori neodiplomati alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e uno
proveniente dalla Scuola sperimentale dello Stabile di Torino si uniscono intorno a Iva e Carlo
Formigoni provenienti dal Berliner Ensemble di Bertold Brecht. Il 21 ottobre nell'ambito del 9°
Festival internazionale del Teatro per ragazzi promosso dalla Biennale di Venezia, il Teatro del
Sole presenta La città degli animali, uno spettacolo nato dopo un lungo lavoro di ricerca iniziatosi
tra gli attori della Scuola dello Stabile di Torino nel 1968. E' una nascita clamorosa, un debutto nel
segno di una grande novità e all'insegna di un'assoluta originalità di modi e di stile. Scrisse nel '71 a
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proposito dello spettacolo Gian Renzo Morteo, docente di storia del teatro all'Università di Torino e
fra i conduttori delle ricerche e dell'iniziativa.
«All'origine di tutta l'esperienza si trova una riserva critica nei confronti
del consueto teatro per ragazzi elaborato dagli adulti, questi tendono a elaborare un prodotto teatrale
e quindi offrirlo al consumo dei ragazzi. E' questo l'unico rapporto instaurabile con i ragazzi?
Soprattutto, è questo il rapporto migliore? Tali domande acquistano un senso e una precisione
ulteriore se collocate nell'ambito di una concezione generale del teatro che, rifiutando l'idea del
prodotto preconfezionato, miri invece a recuperare quella di azione drammatica, intesa come
espressione attiva di un gruppo realizzata mediante tecniche e strumenti espressivi specifici.
I tentativi compiuti all'estero, e in specie in Francia, di dar vita a spettacoli costruiti su storie
inventate dai ragazzi stessi, fornirono Io spunto per mettere in moto l'esperienza torinese dalla quale
appunto La città degli animali è nata. Furono invitate le scuole elementari a sollecitare gli alunni a
inventare delle storie. Una classe in particolare si appassionò a questo lavoro; sotto la direzione del
loro maestro, i ragazzi improvvisarono al magnetofono, discussero, corressero, aggiunsero sino a
pervenire all'elaborazione di un vero e proprio canovaccio. Un canovaccio che raccontava le
peripezie di un bambino che, rapito da un mostro quando era ancora in fasce, cresce privo di
genitori prima in casa del mostro e poi di un mago. Grandicello il bambino riesce a fuggire e a
tornare dai propri genitori; nel frattempo tutti gli abitanti della città, in punizione del male fatto al
bambino, per incantesimo vengono tutti trasformati in animali.
Non si può dire che questo canovaccio rispettasse un preciso sviluppo logico e consequenziale nel
presentare i fatti, ossia quella concatenazione che di
solito è connaturata nella struttura mentale dell'adulto. Quindi la prima domanda che ci si pose fu : è
questo un difetto o una caratteristica? Dobbiamo intervenire o rispettare l'invenzione dei ragazzi?
Prevalse la tesi di non intervento, in quanto non era da escludersi che l'apparente illogicità
nascondesse una logica più profonda, cioè il modo del bambino di vedere le cose. L'esame
psicoanalitico del testo permise di avvalorare la scelta fatta. Nel canovaccio infatti vennero ravvisati
alcuni dei più tipici temi del subconscio infantile e in particolare la testimonianza del rapporto
complesso instaurato dal fanciullo coi genitori, nonché la rivelazione delle sue paure, dei suoi
desideri e delle sue recriminazioni verso 1'ambiente in cui vive.
Uno spettacolo di bambini tuttavia si esaurisce in se, ossia non è ripetibile senza il rischio che ne
risulti falsato il senso e lo spirito e che i ragazzi vengano esposti alla pericolosa tentazione
dell'esibizionismo. Si poneva di conseguenza un dilemma : interrompere le rappresentazioni oppure
affidarne l'interpretazione ad attori adulti. Fu scelta la seconda soluzione.
Evidentemente in questo caso la parola interpretazione ha un senso molto diverso da quello
consueto. Un saggio di bravura professionale su un testo che, significa solo per quello che non dice,
per i richiami che suggerisce, per il contesto dal quale è nato, sarebbe un'operazione del tutto
insensata. Gli attori in un caso del genere devono reinventare dall'interno. Essi infatti sono partiti
dallo spettacolo fatto dai bambini, ma non si sono limitati a copiarlo (l'adulto che imita il bambino è
sempre ridicolo e falso); lo hanno rifatto coi loro mezzi e facendo ricorso a una costante coscienza
critica ».
Come spiega l'articolo di Gian Renzo Morteo, La città degli animali oltre che portare alla ribalta un
nuovo gruppO teatrale, segnò una data fondamentale nella storia dello spettacolo per l'infanzia e per
i ragazzi del nostro paese.
Per la prima volta il bambino diventava a tutti gli efIetti il protagonista di uno spettacolo
propostogli da attori adulti, l'evento teatrale finalmente non era più solo il luogo deputato alla
trasmissione di messaggi ma diventava strumento vivo di comunicazione e di conoscenza fra
diverse generazioni. Con La città degli animali per la prima volta ci si trovava di fronte a uno
spettacolo che rispettava la tipica concatenazione dei nessi all'interno dell'invenzione proposta
originariamente dai bambini, rifiutando ogni ristrutturazione narrativa o drammatica operata
secondo altre logiche; uno spettacolo che tendendo a evidenziare, in virtù d'una coscienza critica, il
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riposto dell'invenzione infantile si basava sul modello di spettacolo dei bambini per poi rielaborarlo
tecnicamente.
In questa nascita, in questo primissimo atto creativo, è già contenuta quella che continuerà poi ad
essere fino a oggi la vocazione e la fisionomia del Teatro
del Sole: la sua capacità di coinvolgimento, un coinvolgimento totale del pubblico a cui si rivolge
sia esso composto da bambini che da adolescenti, l'attenzione alla realtà quotidiana dei ragazzi,
l'attingere direttamente a quella inesauribile sorgente che è la fantasia infantile.
In La città degli animali sono già contenute tutte le caratteristiche principali, la cifra stilistica e
metodologica che presiederà poi l'intero loro percorso.
Non è un caso che nel ripresentare oggi questo stesso spettacolo gli stessi attori del Teatro del Sole
dichiarino: « Abbiamo deciso di riprendere nella sua forma originale La città degli animali; è una
scelta che riteniamo particolarmente significativa in questo momento che vede riacutizzarsi il
dibattito sulle caratteristiche, le origini e i bisogni del Teatro Ragazzi. La città degli animali ha
significato una scelta complessiva di metodi e linguaggi che in questo decennio sono stati
sviluppati, approfonditi, organizzati metodologicamente e professionalmente, ma che mantengono
la loro validità proprio da quell'inizio ".
Certo, una scelta complessiva di metodi e di linguaggi, scrivono gli attori del Teatro del Sole, ma se
all'osservatore è concesso sottolineare e delineare la caratteristica più esplosiva di La città degli
animali, la sua cifra più evidente e innovativa, non avremmo nessun dubbio nell'affermare che
proprio grazie a questo spettacolo fu finalmente a tutti evidente l'importanza del coinvolgimento
attivo ed emotivo dei ragazzi che, in quello spettacolo, diventavano parte integrante del gioco
teatrale. Per la prima volta apparve finalmente chiara la possibilità di una rappresentazione fino in
fondo teatrale, vissuta e agita, però, in relazione totale a chi vi assisteva, o meglio, in quel caso, vi
partecipava. Ed è in questo senso che sicuramente si può parlare nel caso del Teatro del Sole di un
effettivo superamento della sterile opposizione tra animazione e rappresentazione, un dualismo che
per anni ha monopolizzato il dibattito sui modi e sui linguaggi del Teatro Ragazzi in Italia. Due
partiti si fronteggiavano, l'uno caratterizzato dalla negazione del prodotto teatrale finito, dal rifiuto
di un rapporto testo/pubblico che ignorava e prescindeva dalla particolarità del pubblico dei ragazzi,
che sottolineava l'assoluto privilegio del mondo del bambino, l'altro che invece difendeva
l'autonomia creativa ed espressiva dell'adulto, e sottolineava l'importanza dello spettacolo in se
stesso e della professionalità.
Un contenzioso che s'è voluto ricordare per evidenziare ancor di più la portata innovativa del
linguaggio teatrale che il Teatro del Sole propose con La città
degii animali: il loro modo, estremamente professionale e quasi sofisticato, d'entrare e uscire dalla
quarta parete, il loro desiderio e la loro programmatica volontà di continuamente giocare con le
reazioni di chi alla rappresentazione assisteva, furono certamente gli elementi di novità che più
impressionarono in quell'occasione. Era la proposta di un teatro inteso come strumento di
espressione, di provocazione e di stimolo e insieme strumento di ricezione, di comprensione dello
stesso pubblico e della sua realtà, insomma un evento di comunicazione interagito sia dall'attore che
dallo spettatore.
E questo modo d'intendere lo spettacolo per ragazzi e, più in generale, il
teatro, non fu certo occasionale o risultato di una fortuita scelta, ma sin dall'inizio fu complessiva
ipotesi di lavoro che chiedeva di essere perseguita e verificata in un lungo e paziente itinerario di
ricerca.
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Antefatti, storia e problemi
In Animazione e città
Di GianRenzo Morteo e Loredana Perissinotto
Musolini Editore 1980 Torino
L’animazione in Italia è nata per l'esattezza col nome di animazione teatrale, circa 10 anni fa.
Definire con precisione la data è praticamente impossibile, in quanto si tratta di un fenomeno dai
confini estremamente sfumati e, pertanto, diversamente databile a seconda dell'idea e della lettura
scelte. E' indubbio, però, che le origini concrete del movimento, che appunto ha preso il nome di
animazione, sono da ricercare a Torino nel clima che precedette, accompagnò e seguì gli
avvenimenti del'68.
A dieci anni di distanza è quindi possibile, e pensiamo anche doveroso, tentare un bilancio. Anzi,
qualcosa di più di un bilancio, se Conosciamo che in tale settore di attività le componenti teoriche,
sociali, metodologiche si siano intrecciate e spesso tradotte in spontaneismo e approssimazione più
o meno legittimamente definibile "sperimentale" In tale condizione fare un bilancio significa anche
tentare di definire, fare ordine e programmare.
Per questo insieme di motivi non crediamo che chiarezza si possa ottenere rimeditando soltanto
sull'ultimo decennio, ma occorra risalire a tutti quei filoni storici (nel caso specifico pedagogici e
teatrali che in varia misura e forma hanno creato il substrato, gli l antefatti, il terreno su cui,
coscientemente o no, l'animazione si è radicata umori, stimoli, esigenze.
Non ci spinge un amore erudito per la storia antica, ma la convinzione della organicità di ogni
fenomeno storico che, spesso, proprio nelle sue matrici più lontane e talora oscure, trova i propri
moventi, pulsioni e premesse.
La storia dell'educazione, come si sa, non è la storia di un fenomeno di massa, ne è da leggersi
slegata dalle condizioni economiche e dai sistemi di produzione di un popolo. Il rapporto si
impronta sulla concezione politico filosofica, economica, si sviluppa e si modifica con essa anche se
la scuola è per lungo tempo riservata ad una stretta elite e per tutti gli altri, più marcatamente,
l’ideale pedagogico, cui adattarsi, resta ispirato al dover essere della propria condizione sociale.
Occasioni di apprendimento e di formazione erano, certo, costituite dalla celebrazione di riti e feste
religiose e domestiche in cui si danzava, mimava, cantava, si raccontavano storie e si andava a
teatro, come nella Grecia del V secolo, teatro che come nota il Nilsson (“la scuola nell’età
ellenistica” La Nuova Italia, Firenze, 1973 pagina 10-13} “non senza ragione è stato definito la
scuola di questa epoca".
Scuola, teatro, gioco, mimo, canto, danza, festa, rito, sono termini ricorrenti nella storia
dell'educazione e a seconda dell'ideologia (confessionale, libertaria, aristocratica, totalitaria, ecc.)
sono selezionati, corteggiati diffidati repressi o rivalutati.
L'esempio celebre lo ritroviamo in Platone, che diffida dalle innovazioni ludiche, che censura le
favole raccontate da madri e nutrici, che mette al bando Omero ed Esiodo (modelli educativi)
perché “il mondo dell'immaginazione… era pericolosissimo fin dalla prima infanzia per la sua
capacità di suggestionare e porre le premesse di una mentalità non razionale ma passionale.”
(A.Santoni Rugiu Storia sociale dell’educazione Principato, Milano 1979, p.81)
Il filosofo greco aveva pure piena consapevolezza delle possibilità alternative incluse nel teatro e le
rifiutava in quanto il suo obiettivo, in quell'epoca storica, era il superamento dei contrasti in atto e il
rafforzamento delle istituzioni, per cui caldeggiava un teatro che fosse la conferma del sistema di
pensiero e di vita incarnato dallo Stato dal lui auspicato.
Nel modello pedagogico didattico dell'utopia Platoniana vi è il primo annuncio della teoria che si
profila nell'epoca ellenistica, prenderà forma nella tarda educazione romana e attraverso il
medioevo ecclesiastico, l'umanesimo e la pedagogia gesuiti tra, per verrà quasi intatta e tempi
moderni: la teoria della disciplina formale. Ossia ciò che forma deve essere legati meno possibile
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alla vita è l'esperienza reale, all'anima “appetitoso” istintiva tipica di chi lavora, ma deve liberarsi
nell’astrazione razionale.
sacro e profano nel medioevo.
Non è nostra intenzione ripercorrere le tappe della storia dell'educazione occidentale, ma c'è
interesse evidenziare in breve, a partire da questa frattura tra esperienza reale e cultura, tra
apprendimento e formazione, tra vita individuale e sociale, quegli esempi di “ricucitura” del
razionale col fantastico e, sia pure, di uso strumentale del gioco, del teatro, del racconto, ecc.
Il panorama della storia dell'educazione e per lungo tempo avaro di esempi sul tema che c'interessa,
mentre batte il tamburo sul trivio (grammatica, retorica, dialettica) e quadrivio (aritmetica,
geometria, astronomia, musica) per gli eletti e registra tentativi di alfabetizzazione di formazione
professionale per gli altri.
Dopo la caduta dell'impero romano per tutto il medioevo e oltre, la Chiesa cristiana che accoglie
l'eredità del mondo classico diventa punto di riferimento per popolazioni sbandati almeno fino alla
strutturazione della città, trova nelle Laudi, nei misteri e nelle passioni eseguite sui sagrati, nelle
prediche drammatizzate, degli affreschi fumetto dei luoghi di culto, il modo di avvicinare,
informare convertire il popolo di Dio; ma mal sopporta quanto attraverso il teatro musica la pittura
la scrittura non viene suo tramite legittimato dall'occasione sacra.
Un discorso parte è costituito dalla contaminazione della commedia antica operata dei chierici legati
alla Chiesa, da educatori di università, da studenti, insomma da intellettuali, nel desiderio di
restaurare nelle forme. L'antichità è sentita come presenza reale e l'azione teatrale puoi costituire
l'essenza di un ordine umano antico ricompone indole situazione che permettono di rappresentar
nella vita. Esercizio astratto, gioco di teatro erudito che gli chierici rappresentavano dell'ambiente
rispetto delle loro scuole; un'attività creatrice in linea con quella attitudine comune tutto il
medioevo che un'invidia chiama interpretazione simbolica del mondo.
Il teatro profano cade quindi letargo e si prepara germogli futuri, che costituiranno la base del teatro
moderno. Ricompare a palazzo sotto forma di giochi, tornei e pastorali che sono per le società
cittadine del tarda medioevo in una certa misura malgrado l'innocenza delle loro intenzioni, degli
canti misteri perché la grazia il peccato sembrano assente da queste fantasie di digli che di un
paradiso ritrovato. Ma nella città questi giochi l'apporto soprattutto sotto la maschera dei sogni di
digli co una visione tra tante dello ordine e ricompare poi anche nei carnevali delle feste civili, nelle
fiere nelle osterie, nei mercati nei cambi di posta sotto forma di fu un ambo le, mimi, giocolieri,
cantastorie, fenomeni naturali, far assetto) e recupero dell'antica che l'Anna), o che essa maschere,
le false e le sorti esser offrono in tutto allo opra lo spettacolo fantastico di uomo umano di Sumàn e
l'atto dall'intervento brutale delle istanze più sommarie della natura (una natura che la società
trasporne socializzare dalla): la fame, il bisogno sessuale, il desiderio di denaro, la noia, lira sono i
motori delle azioni delle ore emozioni. L'estetica delle false nella sua lettera di età elementare
deliberata, talvolta cinica, ricorda luogo irriducibile forza della schiavitù della carne. In questo
senso le false parlano lo stesso linguaggio dei misteri che mostrano l'uomo alle prese con la fatalità
della carne. Incarnare la volontà sistematica e, senza dubbio, incosciente di ricondurre l'uomo ai
suoi bisogni e i suoi desideri.
Questo uomo di cui rende di ricucire lire di viso tacere terra, tra carne Spirito, diventa il perno della
visione del mondo in epoca successiva. E la storia della pedagogia ricomincia registrare fatti che
c'interessano. Danza, canto, musica e scene teatrali non sono di spugna che, a differenza di altri
contemporanei, dal di Torino e il 3 (1377 1446) perché la sua scuola giocoso doveva mortificare
corpo e Spirito in una atmosfera serena è impegnata.
Lo mondo usa secondo Alberti (1400 1472) deve scoprire le arti che sugli lui è completare la sua
formazione con quelle attività in cui l'anima e le membra insieme concorrono all'opera al lavoro
come quella dei pittori scultori musicisti eccetera.
Teatro danza musica resta rientrano nel pacchetto pedagogico dei gesuiti non come strumento
occasionale di educazione ma come parte integrante dell'attività di approfondimento formazione di
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giovani. Espressività gusto estetico immaginazione dell'allievo vengono curate che permettono in
grado di comunicare, di stabilire rapporti più dirette persuasi vicoli altri, ciò che svilupparne le
capacità retorica.
Attività teatrali come rappresentazione di danni morali non farsi innocenti anche degli oratori
fondati da San Filippo ne di (1515 1595) per i figli del pomo Lino va a dire formazione morale
religiosa più che Istruzione attraverso giochi svaghi più sani di quelle offerte dalla società esterna.
Un'opposizione alla revival gesuiti co con la negazione della musica del teatro dello spettacolo in
genere considerati passatempi pericolosi perché differenza gioventù dallo studio del lavoro la
ritroviamo nel vescovo fa sua fede nonna avente di (1651 1715) e peraltro passato la storia con insù
o " l'educazione delle fanciulle " e per il richiamo all'aspetto formativo della vita sociale di fronte
quella scolastica. L'elenco degli autori e dei detrattori potrebbe essere divertente e che sarebbe di
che continuare ma c'è breve sottolineare questo punto con una visione pedagogica nuova, e il
relativo apparato didattico, si vengano costruendo per piccoli e, a volte, molto distanziati nel tempo,
contributi del pensiero dell'esperienza di vari autori.
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Compagnie
Sole, teatro del , gruppo storico del teatro-ragazzi non solo italiano: si può dire che il teatro-ragazzi
in Italia abbia avuto origine dagli spettacoli di questa compagnia.
Il T. del S. ha deciso fin dalla sua prima produzione, La città degli animali (1971, nata da un corso
della scuola del Teatro Stabile di Torino in collaborazione con un gruppo di attori del Piccolo
Teatro di Milano, di scegliere i ragazzi come spettatori privilegiati. Seguono poi, tra gli altri, Vieni
nel mio sogno (1974), Felice e Carlina (1975), Giochiamo che io ero (1976), Dudù dadà il disperato
vincerà (1977), spettacoli tutti giocati nel segno didattico brechtiano della semplicità inventiva che
Carlo e Iva Formigoni infondono al gruppo. All'uscita di Formigoni, la compagnia si indirizza, dopo
una serie di progetti legati all'uso dello spazio ( Ey de net , 1982; Horton , 1984; Dilemma lirico ,
1985), verso un teatro antropologico che guarda alle culture orientali ( Riksciò, frammenti d'Oriente
, 1988; Aso una storia africana , 1992). Dal 1995 la direzione è di Renata Coluccini.
Angolo, Teatro dell' , compagnia storica del teatro-ragazzi.
Nato a Torino alla fine degli anni '60, è uno dei centri nazionali riconosciuti dal Dipartimento dello
Spettacolo. Con Pigiami (1982) e Robinson e Crusoe (1985), interpretati da Nino D'Introna e
Giacomo Ravicchio, ha creato nel teatro-ragazzi italiano una tipologia di spettacolo d'attore tra
gioco dialettico e poesia dell'infanzia che ha fatto scuola. Da ricordare tra le altre produzioni Terra
promessa (1989) in collaborazione con il canadese Le Deux Mondes, e Il paese dei ciechi (1992).
Briciole, Teatro delle , uno dei gruppi e dei centri di teatro-ragazzi più importanti non solo in
Italia.
Nato nel 1976 a Reggio Emilia e trasferitosi a Parma nel 1981 nello spazio polifunzionale del
Teatro al Parco, produce i suoi spettacoli e organizza rassegne di grande interesse. Il T. delle B. è
riuscito a fondere nei suoi spettacoli con notevole suggestione il teatro di figura con quello di attore,
che negli ultimi tempi ha decisamente preso il sopravvento. Collabora stabilmente con Tonino
Guerra ( Il grande racconto , 1990; La casa dei giardini interni , 1995). Molti gli spettacoli
memorabili: Nemo (1979), Genesi (1980), Il richiamo della foresta (1982), Miracoli (1982), Lo
stralisco (1991), Con la bambola in tasca (1994). Le regie di Marina Allegri, Maurizio Bercini,
Letizia Quintavalla, Bruno Stori hanno creato per varie generazioni di ragazzi, non solo italiani, una
sorta di alfabeto emozionale di grande impatto visivo.
Giocovita, Teatro , compagnia storica e centro di teatro-ragazzi riconosciuto dal Dipartimento
dello spettacolo, diretto da Fabrizio Montecchi.
Nata nel 1971 a Piacenza, si è specializzata sin dalla fine degli anni '70 nel teatro d'ombre,
divenendo ben presto la realtà più importante in Italia. Con la compagnia, tra gli altri, hanno
collaborato molti registi (Conte, Marcucci, Dall'Aglio) e scenografi e pittori (Baj, Calì, Luzzati).
Molti gli spettacoli da ricordare: Odissea (1983), Pescetopococcodrillo (1985), Il corpo sottile
(1988), L'uccello di fuoco (1994).
Buratto, Teatro del , una delle compagnie e dei centri più rappresentativi del teatro-ragazzi
italiano.
Fondato a Milano da Velia e Tinin Mantegazza nel 1975, agisce nella sala del Teatro Verdi dove
rappresenta i suoi spettacoli e le stagioni di teatro di ricerca, sempre di grande interesse.
Specializzatosi ben presto in un teatro di figura inteso come rappresentazione totale dove parola,
musica e immagine tendono a formare un vero e proprio teatro popolare d'arte ( L'histoire d'un
soldat , 1975; Quell'Astolfo da Ferrara , 1981). Dopo l'uscita di Tinin e Velia Mantegazza (1986), il
B. ha da una parte approfondito il discorso del teatro su nero ( Pane blu , Fly Butterfly ), dall'altra
ha creato spettacoli che hanno cercato di reinventare lo spazio scenico, per un diverso rapporto con i
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bambini, collaborando anche con artisti di varie discipline come Munari, Manuli, Cerami (
Cappuccetto bianco , Sotto la tavola? , Una piazza, due piazze, un castello ).
Piccionaia I Carrara, La. Compagnia storica, nasce nel 1975 intorno al nucleo storico della
Famiglia Carrara, collocandosi tra le cooperative teatrali con una attività di teatro popolare a tutto
campo che comprende anche i percorsi di Teatro-Scuola (Quarta Parete 1976, Antiche Farse 1978).
Nel 1982 Armando Carrara costituisce una seconda formazione artistica che si dedica
prioritariamente al teatro-ragazzi (Carillon 1982, Autoritratto Molle con pancetta fritta 1985,
Omaggio a Magritte 1989). Nel 1986 La Piccionaia diventa Centro Teatro Ragazzi ed inizia a
partire da Vicenza la gestione di sale teatrali. Successivamente emergono i percorsi artistici di Carlo
Presotto, legato all’interazione tra video e narrazione (Storia di una Gabbianella 1997, Le stagioni
di Giacomo 1999), e di Ketty Grunchi dedicato alla prima infanzia (Mignolina 2001, Kiriku 2003).
Si sgenala il progetto speciale dei primi anni Ottanta ‘La necessità di un tempo inutile’ che
raccoglie artisti ed esperienze che valorizzano l’importanza del gioco e della scoperta non solo
nell’età infantile.
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Teatri Stabili di Innovazione
Secondo quanto stabilito dal Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 4 novembre
1999, n. 470 Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle
attività teatrali, in corrispondenza agli stanziamenti del FUS, Fondo Unico per lo spettacolo l'attività
teatrale stabile è svolta dai Teatri Stabili ad Iniziativa Pubblica, ad Iniziativa Privata e dai Teatri
Stabili di Innovazione nella ricerca e sperimentazione teatrale e di Innovazione nel teatro per
l'infanzia e la gioventù .
L'attività teatrale stabile è connotata dal prevalente rapporto con il territorio entro il quale è ubicato
e opera il soggetto che la svolge, dalla continuità del nucleo artistico - tecnico - organizzativo,
nonché dalla progettualità con particolari finalità artistiche, culturali e sociali:
-sostegno e diffusione, con particolare riferimento all'ambito cittadino o regionale, dei valori del
teatro nazionale d'arte e di tradizione, con adozione di progetti artistici di produzione, ricerca,
perfezionamento professionale, promozione, ospitalità
-rinnovo del linguaggio teatrale e sostegno alla drammaturgia contemporanea
-sviluppo del metodo di ricerca in collaborazione con le Università
-diffusione della cultura teatrale presso il pubblico di ogni fascia di età e ceto sociale
-valorizzazione di nuovi talenti
-disponibilità di una o più sale teatrali direttamente gestite e idonee …..(art 12)
L'attività dei Teatri di Innovazione -Settore infanzia e gioventù deve essere caratterizzata da una
particolare attenzione all' evoluzione del linguaggio artistico e pedagogico, allo sviluppo e
diffusione della cultura teatrale presso il pubblico in età prescolare e scolare, e da iniziative di
studio e laboratorio, anche in collaborazione con strutture scolastiche mirate a finalità educative e
alla formazione teatrale di insegnanti. (art 15)
Per la compilazione di questa sezione, sono stati presi in considerazione gli Organismi finanziati nel
2003 dal Dipartimento dello Spettacolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali come Teatri
Stabili di Innovazione - Settore infanzia e gioventù.
Abruzzo Campania
Emilia Romagna -
Lazio Lombardia Marche Piemonte Puglia Sardegna Toscana -
Umbria Veneto -
Ass. L'Uovo Centro Teatro Stabile Giovani d'Abruzzo, L'Aquila
Soc.Coop.Le Nuvole a r.l. Napoli
Accademia Perduta-Romagna Teatri, Ravenna
La Baracca, Bologna
Teatro delle Briciole, Parma
Teatro Evento, Vignola (MO)
Teatro Giocovita, Piacenza
Teatro delle Marionette degli Accettella, Roma
Elsinor, Milano
Teatro del Buratto, Milano
Teatro del Canguro Soc Coop Onlus, Ancona
Teatro dell'Angolo, Torino
Teatro Kismet Opera, Bari
Ass. Compagnia Teatro La Botte e il Cilindro, Sassari
Fondazione Sipario Toscana, Cascina (PI)
Teatro Stabile di Grosseto
Ass.Pupi e Fresedde Teatro di Rifredi Firenze
Fontemaggiore, Perugia
Fondazione A.I.D.A. Centro teatro ragazzi, Verona
La Piccionaia -I Carrara , Creazzo (VI)
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Innovazione educativa 6/1998
Le trasformazioni del “teatro dei ragazzi”
di Gerardo Guccini Ricercatore CIMES Bologna
Ricerca teatrale e teatro ragazzi
Osservati dal punto di vista dei teatranti il teatro di ricerca e quello fatto con o per i ragazzi costituiscono due
diverse applicazioni d’uno stesso ambito di produzione, circuitazione e concertazione culturale.
Sono infatti le stesse persone e gli stessi organismi - Centri o associazioni - che si occupano in genere sia
delle attività laboratoriali nelle scuole e delle produzioni spettacolari per i ragazzi, che dello sviluppo di quei
singoli percorsi artistici che, nell’insieme, fondano il mondo della ricerca teatrale.
E quest’intreccio - e quasi unificazione - di funzioni si verifica in così tanti casi da sembrare una specie di
norma non scritta o “legge naturale” del settore.
A dispetto delle norme legislative, che distinguono le attività della ricerca “pura” da quelle connesse alla
scuola e al mondo dei ragazzi, si è affermato nei fatti un settore largamente unitario, caratterizzato da
trasversalità operative e da una cultura composita che si sostanzia in opere e poetiche sotto la spinta di
esigenze pratiche e artigiane.
In molti casi, chi fa ricerca riconosce nel lavoro teatrale fatto a contatto dei ragazzi una fase del proprio
percorso o una parte delle proprie attività correnti o entrambe le cose. D’altra parte, chi fa teatro con i ragazzi
sa perfettamente che il suo agire consiste in una continua ricerca di mezzi che consentano di stabilire
relazioni autentiche e creative e che, proprio per questo, una volta trovate si propagano nel mondo del teatro
trovando feconde applicazioni un po’ ovunque.
Dove finisce l’attività per i ragazzi e incomincia la ricerca? E, se la nozione di “confine” non è pertinente a
questo intricato rapporto (come ci suggeriscono la poetica dell’infante della Societas Raffello Sanzio e il
recente incorporamento alla compagnia di Ravenna Teatro di giovani attori provenienti dai laboratori
scolastici), quali altri criteri di individuazione e analisi possiamo adottare? Non è un problema retorico.
L’adozione d’un modo di vedere pertinente a tale argomento è ora necessaria e, direi, irrinunciabile: se non
traduciamo in linguaggio la problematica dei rapporti fra la ricerca e il teatro ragazzi, corriamo infatti il
rischio di relegare in una dimensione esclusivamente personale la nozione della loro unitarietà, convalidando
di riflesso la diffusa percezione secondo cui la ricerca appartiene alle urgenze dell’arte, e il teatro coi ragazzi
alle necessità del sociale.
Non sempre è così e, soprattutto, non lo è mai nei casi significativi.
La società e il teatro si sovrappongono in costellazioni di eventi e modi comportamentali, dove è
obiettivamente impossibile distinguere quanto pertiene all’una o all’altro.
Fra le dinamiche del sociale figurano infatti sia l’impulso a “rappresentare se stessi nella vita quotidiana”
(Erving Goffman) sia il movimento - di senso opposto al primo - che innesta alla vita di tutti i giorni il lavoro
attorale su se stessi.
Di qui, ad esempio, la recente nozione di “attore sociale” (Cristina Valenti), che registra il nuovo ordine di
soggetti suscitato dal radicarsi del teatro nei “luoghi del disagio”(carceri, centri d’igiene mentale, comunità
di recupero).
E, d’altra parte, come è possibile escludere proprio il sociale dalle componenti intrinseche di un’arte, quale è
il teatro, che scopre la propria identità nell’atto di rifondare e controllare i modi comportamentali ed
espressivi dell’umano? Prima di esaminare i procedimenti e i valori comuni al teatro ragazzi e a quello di
ricerca, debbo però precisare che con “ricerca” non intendo né una prassi determinata né quella generale
tendenza che, succeduta alle avanguardie degli anni ‘60, portò l’attenzione sui princìpi permanenti del fare
teatro. La “ricerca” cui si fa qui rifermento indica, nell’artista, la disponibilità ad affrontare creativamente il
processo compositivo, vedendo in esso non già un mezzo di attuazione - e cioè la mera applicazioni di prassi
indotte da tradizioni, scuole o Maestri - ma una realtà culturale e di vita modificabile, pulsante,
dialetticamente intrecciata ai propri esiti, e perciò investita della stessa tensione espressiva che si è soliti
attribuire all’opera. In questo senso, “ricerca” è quella dell’attore che, partito dall’assimilazione di un
modello, perviene alla definizione d’una diversa realtà artistica.
Ricerca è quella dell’artista che non riconoscendosi in nulla di ciò che lo precende trova in se stesso la
sostanza antropomorfa, sensuale e, per così dire, caratteriale della propria arte (Carmelo Bene) o, di questa, il
nudo paradigma (Grotowski). Ricerca è quella dell’interprete di forme codificate, che, nell’eseguirle,
sperimenta il paziente controllo dell’energia, oppure procede al rinnovo dei modi tecnici. Ricerca, insomma,
è sinonimo di vita e nuovo nel teatro.
Alla luce di questa accezione, il teatro ragazzi non si configura in quanto realtà differenziata da confrontare
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ai modi d’un parallelo teatro di ricerca, ma come un contesto in cui rintracciare l’apparire e il trasformarsi (in
senso istituzionale, organizzativo, procedurale) di pratiche informate a tale nozione.
Il caso italiano
In Italia, le attività teatrali svolte dalle scuole o nelle scuole sono realtà articolate e diffuse che, però, non
corrispondono ad una regolamentazione istituzionale.
Il che implica che il teatro non risulta dal sistema scolastico.
Mentre nel caso della Francia o del Regno Unito è possibile spiegare la dinamica dei rapporti fra teatro e
scuola partendo dalla descrizione del ruolo istituzionale che il primo occupa all’interno della seconda, in
quello dell’Italia, non si può che ricorrere alla varietà dei singoli casi registrandone caratteri, tendenze,
possibilità, ascendenze e derivazioni. E cioè, in una sola espressione, accertandone la dimensione storica, che
risulta spesso illuminante proprio perchè il teatro che si fa nella scuola italiana non è un luogo istituzionale
ma l’esito degli incontri, vari e mutevoli, fra due realtà frastagliate e solcate da tensioni: la scuola e il teatro.
Lo svolgimento dei loro intrecci relazionali individua tre fasi storiche: la prima riguarda la fondazione d’un
campo operativo (l’animazione) trasversale e comune tanto al nuovo teatro che alla scuola; la seconda è
occupata dal consolidamento, anche in senso istituzionale, delle innovazioni culturali degli anni ‘60; la terza
riguarda la “ripresa” dei modi culturali degli anni ‘60 e ‘70 - caratterizzati dalla compenetrazione fra azione
pedagogica e ricerca teatrale - all’interno d’un sistema, ancor più che mutato, in fase di mutamento.
L’attuale istituzione scolastica, infatti, anzichè esercitare (com’è tipico dei soggetti forti) un’azione di attrito
nei riguardi dei fattori propulsivi e di trasformazione, richiede essa stessa di venire abitata da una cultura
dinamica, dialettica, refrattaria all’uniformità delle norme e capace di aderire alle esigenze delle situazioni
particolari e dei singoli individui.
E in ciò trova un alleato e un modello proprio nel teatro e, più precisamente, nel teatro di ricerca, che è per
sua natura una pratica anti-istituzionale (poiché orientata a divenire piuttosto che ad essere) ma disposta a
coabitare con l’istituzione.
1968-1977 Utopie e ricerca
Il ‘68, anno di incrinature e svolte epocali, rinnovò i rapporti fra cultura e società e quindi anche quelli fra
teatro e scuola. La contestazione, nata all’interno delle università con l’intento di sostituire al vecchio
sistema di apprendimento nozionistico e autoritario - un sapere che conosce per trasformare, divenne in
breve globale, ma l’originario carattere di ribellione anti-accademica continuò ad agire sul piano della
mentalità diffondendo a livello di massa quelli che erano stati i valori delle avanguardie storiche: rifiuto delle
gerarchie (estetiche e sociali) e delle tradizioni, ideologizzazione del nuovo e svalutazione delle forme
compiute rispetto ai motivi processuali, che, ben più delle prime, consentono di lavorare sull’umana verità
dell’individuo mantenendone sostanzialmente intatte integrità e identità. Le straordinarie capacità ricettive di
questa sensibilità naturalmente bisognosa di modelli da contrapporre alla tradizione, alla norma, al passato fecero sì che esperienze esistenziali e artistiche fino ad allora condotte in ambiti ristretti e con assoluto
dispregio del successo e del mercato si videro investite d’una popolarità vastissima. Si pensi al Living o alla
generazione di epigoni prodotta dal teatro di Grotowski.
Anche l’animazione teatrale venne veicolata da questa stessa modalità di diffusione ben aldilà delle sue zone
di maggiore radicamento amministrativo, che coincidono con la Torino del sindaco Novelli (1975-1985). A
differenza della teatralità socialmente esplosiva del Living e di quella laboratoriale e centripeta di Grotowski
- interessato a mutare l’individuo - l’animazione non fu un modello di Autore. Non ebbe un unico padre né
caratteri unitari. Ma proprio la sua relativa impersonalità - accreditata dalla varietà delle esperienzeguida contribuì alla diffusione del fenomeno, nel quale si vide un superamento delle concomitanti crisi della scuola
e del teatro.
Animazione e scuola
Alle spalle dell’animazione v’erano: sul versante scolastico, la pratica della drammatizzazione, le esperienze
di singoli insegnanti come Bruno Ciari e Mario Lodi - e di gruppi strutturati - come il Movimento di
Cooperazione Educativa -; su quello teatrale, la messa in discussione del teatro da parte dei suoi esponenti
più innovativi, che riuniti a Ivrea, nello storico convegno del 1967, misero a punto un documento aperto alle
parallele istanze di integrazione dell’istituzione scolastica. In questo testo si diceva infatti che il nuovo teatro
avrebbe dovuto rimediare “allo scollamento con la realtà del paese e della popolazione”, “ispirarsi al
quotidiano per ricavare modalità di espressione”, eliminare “qualsiasi diaframma fra palcoscenico e platea” e
approntare uno spazio laboratoriale “dove tutto deve essere ricomposto attraverso uno sperimentazione che
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riguardi: il gesto, l’oggetto, la struttura drammaturgica, il suono, lo spazio”.1 Le esperienze che, per prime,
incominciarono a mettere in contatto le parallele tendenze della scuola e del teatro a rinnovarsi svuotandosi
dei propri contenuti istituzionali si svolsero a partire dal ‘68.
In quell’anno, Franco Passatore esce dall’ambito teatrale per calarsi con un suo gruppo nella realtà scolastica
dei ragazzi; il maestro elementare Remo Rostagno e la sua classe svolgono un processo di scrittura
drammatica creativa sul loro paese; e un altro maestro, Franco Sanfilippo, conduce con i bambini una
esperienza di fabulazione teatrale collettiva che sfocia in un elaborato, La città degli animali, la cui
realizzazione, per iniziativa del Teatro Stabile di Torino, viene affidata al Teatro del Sole di Carlo
Formigoni. Poi, nel biennio 19691970, si svolge a Torino l’Esperienza di Decentramento alla quale, fra gli
altri, partecipano Barbieri, Perissinotto e Scabia, che la descriverà in un libro che fece epoca: Il teatro nello
spazio degli scontri (Roma, Bulzoni, 1973).
In questa fase il termine “animazione” non compare ancora. Il numero speciale di “Sipario” del 1970,
interamente dedicato al movimento, parla di “teatro dei ragazzi”, mettendo l’accento sulla preposizione “dei”
per segnalare la contrapposizione con il “teatro per i ragazzi”, visto come prolungamento dell’attività
didattica tradizionale e prodotto della vecchia cultura. E, per l’appunto, Il teatro dei ragazzi si intitola la
pubblicazione in cui Giuseppe Bartolucci, nel 1972, raccoglie i profili e gli scritti dei principali protagonisti
di questa pratica creativa: Giuliano Scabia, Franco Passatore, Silvio Destefanis, Mafra Gagliardi, Loredana
Peressinotto, Alfredo d’Aloiso, Remo Rostagno e Franco Sanfilippo. Bartolucci - che nel ‘67 era stato fra i
firmatari del documento di Ivrea e l’anno seguente aveva pubblicato uno dei primi studi sulle poetiche del
‘nuovo teatro’ La scrittura scenica - riconosce e svolge criticamente le analogie culturali e pragmatiche che
accomunavano i fenomeni del rinnovamento teatrale e il concomitante ‘teatro dei ragazzi’, individuando sia
negli uni che nell’altro atteggiamenti e valori non solo affini, ma identici e tali, insomma, da motivare una
possibile unità di ambito e categoria.
In uno stesso anno, il 1972, il “teatro dei ragazzi” si vide documentato dallo studio di Bartolucci e acquisì
stabilmente una nuova denominazione che ne reimpostò gli obiettivi. Il termine animazione deriva dal
francese ‘animation’.
Parola che, nel divenire italiana, perse certi significati e altri ne accentuò finendo per definire un concetto
completamente diverso da quello originale. Secondo quanto enunciato nel 1967 da Georges Béjean,
animatore capo della Maison de la Culture di Grenoble, vi erano in Francia tre diversi modi di attuare i
compiti informativi e formativi dell’animazione.
Ad ognuno dei tre modi corrispondeva una precisa denominazione.
L’animazione classica discuteva e illustrava realtà artistiche di già formalizzate ed esistenti: spettacoli,
progetti culturali ecc.
L’animazione di ricerca formava il pubblico, coltivandone i gusti e le esigenze.
L’animazione creatrice sollecitava le risorse di ognuno.
In Italia, delle tre forme di animazione ipotizzate in Francia, si accettò solo la terza: l’animazione creatrice.
La scelta indicava un’evidente sfiducia nei riguardi dei teatri che si esprimevano con opere formalizzate,
fossero essi istituzionali o d’avanguardia, e partecipava alla reimpostazione in senso ideologico del concetto.
Mentre per i francesi l’animazione, come osservò Gian Lorenzo Morteo, era “un modo nuovo (in grado di
divenire anche creativo) di stabilire un rapporto con il teatro”, in Italia, l’animazione divenne “un modo di
mettere in causa il teatro. Di rifiutarlo (così come esiste) ed, eventualmente, di riproporlo ex novo”.2 La
parola ‘animazione non accompagnò il prodursi del fenomeno, e il suo conio coincise con la crisi della fase
culturalmente propulsiva delle realtà designate. Il “folgorante successo della parola animazione” (G. L.
Morteo) coincise con l’irrigidimento in senso ideologico delle problematiche aperte dal confronto fra scuola
e teatro sotto il segno d’una comune ricerca di forme, linguaggi, contesti applicativi e modalità d’interazione.
Non solo: l’animazione, escludendo - a tutto favore di una concezione estremizzata della creatività - il
prodursi di sapienze tecniche e formali, si mise nella condizione di non poter reagire al ritrarsi del clima
politico e culturale che l’aveva generata.
Eppure, la diffusione dell’animazione portò alla fondazione di categorie e di aree operative, dove il teatro
ragazzi e la ricerca si intrecciano e coesistono ai limiti dell’indistinguibilità. E ciò a causa di due fattori: in
primo luogo, il laboratorio - inteso come momento antitetico alle necessità puramente funzionali della
produzione diviene il contesto operativo ideale per entrambe le tradizioni; inoltre, le scuole, gli enti locali e
lo stato alimentano un mercato variegato e composito, che i teatranti tendono a praticare trasversalmente,
vuoi per elezione, vuoi per necessità.
In Italia, la storia dei rapporti fra la scuola e il teatro si svolge su due livelli, che presentano ritmi di sviluppo
diversi quando non addirittura contrapposti. In quello dell’elaborazione teoretica e della produzione di
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pensiero, la rifondazione ideologica del concetto di animazione adagiò il dibattito nello schema d’una
contrapposizione senza sbocchi fra ragioni ideali e prese di posizione critiche e predisposte anch’esse alla
ripetetività.
Diversamente, al livello dello sviluppo strutturale e del vivere civile, lo stesso fenomeno segnalò col suo
diffondersi la disponibilità del sociale a modificarsi a misura delle esigenze e della sensibilità, che
l’animazione stessa indicava con la sua accezione più esclusiva ed agguerrita.
1977- 1985 Sviluppo e afasia
L’animazione ha contribuito alla creazione di un ambito teatrale trasversale alla scuola e alla ricerca,
suscitando nuove formazioni e mutando le compagnie già precedentemente dedite al pubblico dei ragazzi da
organismi specializzati in teatri eclettici. Il numero delle iniziative, delle nuove formazioni e dei luoghi
teatrali che queste gestiscono cresce ad un ritmo così sostenuto da originare una nuova categoria. Nel 1977
nasce infatti ufficialmente il nuovo Teatro Ragazzi. Molti dei gruppi afferenti provengono dall’animazione e,
anche nel momento in cui tornano a produrre spettacoli, continuano a svolgere attività assieme ai ragazzi e
iniziative interne alla scuola o rivolte al territorio.
L’animazione, che nella sua fase ideologizzata e di tendenza aveva occupato posizioni critiche ed antagoniste
rispetto al precedente teatro per ragazzi e alla nozione di ‘spettacolo’ in quanto organismo formalizzato e
autosufficiente, finì dunque per riformulare queste stesse pratiche e funzioni.
Dall’animazione, il Teatro Ragazzi eredita l’attenzione prioritaria rivolta al momento creativo, l’uso libero e
fantastico degli oggetti e dei corpi degli attori, l’uso di materiali poveri e quotidiani e di un linguaggio
sintetico ed essenziale.
Inoltre eredita la convinzione che i percorsi fantastici propri dei bambini non possano e non debbano essere
ingabbiati entro gli schemi logico - funzionali dell’adulto.
Per comprendere le modalità di questo decorso storico, che nel giro di pochi anni trasforma le utopie attraenti
e suscitatrici dell’animazione di tendenza in un ambito esteso e radicato nel territorio, occorre tenere presente
che le iniziative culturali non si sarebbero potute coagulare in un ambito trasversale al teatro e alla scuola se
l’istituzione scolastica non avesse favorito la moltiplicazione e la circuitazione di esperienze.
Mi riferisco alla legge 477 del 1973, coi relativi decreti delegati 416 e 419, e alla legge 517 del 1977. Grazie
alla prima “la scuola si è aperta alla società [...] ha sostituito, all’individualistico e autoritario rapporto
docente-discente inteso come puro atto spirituale, una più avanzata e moderna concezione, non più
scuolacentrica, ma proiettata all’esterno, al cosiddetto extra-scuola da cui attingere la linfa vitale per dare
sostanza e concretezza all’esangue processo educativo”3. Con la seconda, poi, “collegialità,
programmazione, mastery learning, interdisciplinarità, team - teaching, unità didattica e percorsi curricolari
sono entrati a far parte della [...] tematica scolastica (specialmente al livello della scuola dell’obbligo),
accompagnati da un’apertura verso il territorio, la realtà socio-economica attraverso gli organi collegiali”.4
Le tessere della scacchiera su cui si giocano i rapporti fra teatro e scuola, si vengono così a completare
definendo un contesto operativo e istituzionale che rimarrà pressocché immutato fino ai giorni nostri.
Riepiloghiamo
1) Nel ‘68, il teatro dei ragazzi di Scabia, Passatore, Rostagno esprime una teatralità fondata sull’attivazione
di relazioni interpersonali e creative. Modalità che sintetizza due spinte dell’epoca: la tensione ad agire sul
sociale e l’aspirazione a realizzare un teatro liberato dai vincoli degli apparati e delle forme.
2) Ideologizzate e trasformate in tendenza con il nome di animazione, le possibilità operative del teatro dei
ragazzi si diffondono a macchia d’olio modificando gli orizzonti d’attesa degli insegnati nei confronti delle
proposte esterne (il cosiddetto extra-scuola) e creando un inedito settore di applicazioni professionali.
3) Nel corso degli anni ‘70 i teatranti rinnovano il Teatro Ragazzi e la scuola riconosce la necessità di aprirsi
al territorio e di integrare la programmazione didattica con una progettazione eclettica e condotta con
soggetti esterni.
Si tratta di mutamenti che tracciano le linee di sviluppo degli eventi successivi: tanto più la scuola si aprirà
costituendosi luogo del teatro, quanto più l’ambito cresciuto a effetto di questa apertura si rafforzerà e
articolerà in formazioni e percorsi, che praticano trasversalmente l’azione pedagogica, la ricerca artistica,
l’intervento sociale e la formalizzazione scenica.
Al radicarsi dei rapporti fra scuola e teatro corrisponde però la crisi della cultura spontaneistica e creativa che
era stata all’origine del mutamento e che, in prospettiva, non riesce a scalfire i modelli estetici e operativi
incarnati dal “teatro ufficiale”.
Nella scuola degli anni ‘80, il teatro fatto, agito, rappresentato è quello che scaturisce all’interno delle classi
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dai rapporti fra insegnanti e allievi, mentre il teatro studiato e commentato come oggetto di cultura è quello
delle compagnie professionali, che rappresentano testi d’autore. Fra l’uno e l’altro non sussisteva un rapporto
diretto, ma una modalità relazionale.
L’elevato rango culturale riconosciuto alle rappresentazioni della drammaturgia letteraria faceva infatti sì che
queste si presentassero al mondo scolastico come un modello da imitare, riprendendone sia le ambizioni
interpretative che le scansioni processuali: riduzione del testo, distribuzione delle parti, realizzazione delle
scene, composizione delle musiche, piano registico eccetera.
Si tratta di abitudini ancora vivissime.
Qui, però, è importante osservare che negli anni Ottanta la frequentazione critica degli spettacoli teatrali e
l’allestimento dei testi letterari non costituivano soltanto una possibilità, ma erano l’espressione più evidente
e rappresentativa del rapporto fra la scuola e i teatranti di professione.
1995 e oltre Tra istituzionalizzazione e tradizione del moderno
Negli anni ‘90 il quadro cambia completamente. Ora il profilo professionale degli operatori teatrali che
agiscono nelle scuole non è più in discussione e si configura come una realtà varia ma propositiva e
dialettica, tale, insomma, da consentire il prodursi d’una teatralità a tutto tondo. Vi sono attori di mestiere
che riportano nell’ambito scolastico gli esiti della autopedagogia attorale propria della ricerca; artisti che,
nati a contatto del lavoro teatrale con i ragazzi, hanno acquisito capacità drammaturgiche o registiche
largamente riconosciute; operatori che ricavano da esperienze e conoscenze teatrali di varia natura una
creatività organica alle possibilità della scuola.
Nell’insieme, la loro presenza è, se non istituzionalizzata, strutturale: presenta, infatti, caratteristiche
ricorrenti e ben rilevate; coinvolge gli insegnanti e gli allievi secondo modalità di relazione diversificate, ma
riconoscibili; trasmette alla scuola i valori e i retaggi della cultura teatrale al punto che la scuola stessa può
pensarsi “come laboratorio capace di raccogliere sia l’eredità dell’animazione, sia le esperienze
dell’avanguardia teatrale del Novecento”.5 Le ragioni del cambiamento sono molteplici: una però spicca fra
le altre. Si tratta dell’aumento quantitativo della pratica teatrale delle scuole. È un fenomeno riscontrabile,
oggetto di studi e ricognizioni statistiche e che, tuttavia, non fa che spostare la ricerca delle cause.
Perchè, infatti, singole scuole e provveditorati, provincie e comuni e anche lo stesso Ministero hanno preso a
privilegiare, ognuno per proprio conto, con iniziative o progetti a ciò mirati, come il progetto ministeriale
“Giovani 2000”, la pratica del teatro e della creatività collettiva? Le motivazioni del Protocollo d’intesa del
1995 (col quale si è inteso riconoscere la “valenza educativa dell’approccio al teatro”; “assicurare [...] un
livello di qualificazione europero”; “approfondire la tradizione e sviluppare i nuovi valori creativi del teatro
italiano”), spiegano l’adesione dei firmatari ad una situazione di fatto, non il sistema di isolate spinte e
autonome determinazioni che l’ha prodotta.
È probabile che gli insegnanti e i responsabili degli istituti scolastici si siano rivolti con movimento a sciame
verso il teatro - e ciò senza che il teatro stesso si ponesse quale modello ‘forte’ - perché la pratica teatrale
risultava vitale e necessaria al loro ambito disciplinare. E cioè: alla didattica scolastica.
Il teatro, secondo questa ipotesi, è dunque parte integrante delle strategie di sviluppo e mutamento con cui le
scuole hanno reagito ai ritardi della riforma, facendo leva, a misura della proprie facoltà d’intervento, sul
settore dell’extrascuola.
Per la nuova didattica, che identifica l’atto di apprendere con un processo che modifica il modo di pensare,
agire, sentire e ha per finalità “apprendere ad apprendere”, il teatro è una specie di doppio materiale: una
pratica che oggettiva gli snodi e i valori della formazione rendendoli concretamente percepibili in veste di
rapporti interpersonali, obiettivi da realizzare, azioni, lavoro. Il teatro ‘rappresenta’ quanto la didattica vuole:
legittima le differenze, apprende ad apprendere; è esso stesso relazioni in atto, unione di corpo e mente,
creatività continuata e necessità di esistere.
Probabilmente, il principale requisito culturale dei teatranti che operano nella scuola è la capacità di liberare
il teatro dalle convenzioni, dalle incrostazioni, dalla sovrastrutture lasciando che quanto è in esso essenziale
agisca in questo contesto “puro” - e cioè non predeterminato teatralmente - fino a ritrovare le vie d’una
creatività necessaria.
Per capire le possibilità e l’identità della situazione attuale, occorre allargare il novero dei dati acquisiti e
porsi il problema di conoscere la quantità.
È quanto l’IRRSAE dell’Emilia Romagna e il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di
Bologna hanno fatto nel corso dell’anno scolastico 1997-1998 e nell’ambito del Progetto Europeo Comenius
TEATRE, svolgendo una ricerca avente per oggetto l’attività teatrale in tutte le scuole medie e medie
superiori della regione. Le fasi e i risultati di questo lavoro tuttora in fase di realizzazione sono stati descritti
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in un articolo apparso su questa rivista, A. Bonora, G. Guccini, F. Fortini, L’Europa per il teatro a scuola.
Azioni di monitoraggio, in “Innovazione educativa”, A. XVIII (1998), n. 5; qui, mi limiterò a riportare le
tipologie ricavate dai dati raccolti. Tipologie che descrivono una realtà promettente e fluida, in cui al
riconoscimento debole e tardivo delle funzioni educative del teatro corrispondono, di fatto, collaborazioni
elettive, pratiche di confine, parabole che solcano con un tracciato nitido e indifferente alle diversità di
contesto il mondo della scuola e il teatro di ricerca tout court.
Il teatro nelle scuole medie inferiori non è destinato necessariamente alla rappresentazione, viene svolto da
classi intere nell’orario di lezione, persegue obiettivi didattici oltre che educativi. In questi casi, il compito
dell’esperto consiste nell’educare all’esperienza del teatro, svolgendo laboratori talora autonomi, talaltra
inquadrati in originali progetti formulati con la collaborazione dell’insegnate, talaltra ancora propedeutici
allo spettacolo che, però, nell’ambito della scuola media inferiore, non si basa quasi mai su opere della
letteratura drammatica e risulta dal montaggio di testi reperiti o composti dagli alunni. Il fatto che l’attività
teatrale venga svolta da ogni singola classe stimola gli istituti a organizzare momenti di raccordo che
possono essere di carattere puramente spettacolare (rassegne interne) oppure progettuale e, in tal caso,
determinano l’attività delle classi predisponendone l’integrazione reciproca. Il teatro è vissuto, più che come
un’arte o un nodo di abilità specifiche, come un modo di affrontare le dimensioni individuali e relazionali del
proprio vissuto proiettandole verso la conoscenza di specifiche realtà culturali e sociali oppure di tecniche,
che non sono necessariamente ‘teatrali’ e vengono in genere veicolate da percorsi pluridisciplinari
coivolgenti la musica, il disegno, vari lavori artigianali. Eppure, nonostante le finalità didattiche vengano di
fatto rafforzate dalla collocazione temporale delle attività teatrali, la scuola media inferiore offre all’azione
dei teatranti di professione - che afferiscono in genere alle strutture del Teatro Ragazzi - un contesto fluido
che consente programmi di ampio respiro e una forte integrazione fra la cultura del teatro e quella degli
insegnanti. In un certo senso: la marginalità che la scuola media inferiore attribuisce allo spettacolo da un
lato fa sì che l’attività teatrale possa facilmente sfumare nell’acquisizione di tecniche ‘altre’ o nella ricerca
didattica (su feste antiche, mestieri, tradizioni locali, fatti storici ecc.), dall’altro, però, stimola i teatranti a
risalire all’elemento essenziale della loro pratica, che è arte delle relazioni.
Talvolta l’esperto svolge programmi pluriennali che, senza ricorrere alla rappresentazione spettacolare,
stimolano la partecipazione e la creatività degli alunni portandoli a compiere un lavoro su se stessi che è
condizione e materia di qualsiasi teatralità possibile. Riprendo l’esempio della scuola di Medicina: primo
anno lavoro sulla persona; secondo anno uso della voce; terzo anno realizzazione di una partitura fisica e sua
presentazione alle altre terze della scuola.
All’interno di queste attività laboratoriali, si sono inoltre svolte delle attività didattiche - ad esempio sul mito
di Icaro.
A Medicina, l’attività dell’esperto è stata finanziata dapprima dal Comune e poi per metà dal Comune e per
metà dai genitori che sono rimasti colpiti dall’iniziativa: “Ascoltiamo dai nostri figli cose che non
conosciamo”.
Ma per meglio valutare l’importanza dei professionisti in questo quadro generale, dove la progettazione
ricade in genere sulle capacità inventive dei singoli insegnanti, occorrerebbe allargare le considerazioni ai
corsi di aggiornamento, che vengono individuati dagli insegnanti come il momento più idoneo a rafforzare la
loro preparazione teatrale.
L’esperienza delle superiori
Passiamo ora alla situazione del teatro nella scuola media superiore.
Qui l’esperienza teatrale viene condotta da gruppi di alunni che appartengono a diverse classi e scelgono
liberamente se farla o meno. Le attività si svolgono al di fuori delle ore di lezione e sono finalizzate allo
spettacolo, che, a differenza di quanto avviene nella scuola media inferiore, è il perno attorno al quale ruota
la teatralità scolastica. La presenza di esperti e professionisti è assai frequente.
Talvolta la regia dello spettacolo viene realizzata dall’insegnate dopo che l’esperto ha condotto laboratori di
preparazione di base.
Talaltra, l’esperto viene assunto dall’istituzione scolastica allo scopo esclusivo di realizzare una
rappresentazione spettacolare.
Esistono però anche casi di lavoro di équipe, in cui gli insegnati e gli esperti conducono congiuntamente
attività laboratoriali generalmente suddivise in tre fasi: 1) training e attività propedeutiche; 2) scelta del
lavoro da rappresentare (scelta che può riguardare una tematica e non necessariamente un testo); 3)
performance finale.
Un caso atipico, e proprio per questo stimolante, è quello del Conservatorio di Parma in cui tutte le possibili
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espressioni del teatro sono praticate all’interno delle normali ore curriculari.
In sintesi. Possiamo dire che i professionisti del teatro, nella scuola, svolgono due compiti distinti.
L’uno si modella in funzione dello spettacolo. L’altro, più propriamente dialettico e “di relazione”, è parte
integrante di un lavoro di équipe che comprende insegnanti e studenti. Abbiamo allora progetti articolati e
sostanzialmente unitari.
Ma al di là delle scansioni tipologiche, le prestazioni dei teatranti di professione - quando sono veramente
tali e non si limitano, come spesso accade, ad esercitare un mestiere prodotto dalle esigenze scolastiche sfociano in situazioni di teatralità necessaria, preziose per chi le compie come per chi le conduce.
(1) AA. VV., Elementi di discussione: Convegno per un nuovo teatro, in Teatro 2, autunno-inverno 1967-’68, Fratelli Cafieri Editori.
(2) Gian Lorenzo Morteo, Intervento realizzato nel corso della tavola rotonda organizzato dalla “Compagnia dei burattini” di Torino,
ora “Teatro dell’Angolo”, maggio 1972. Pubblicato in Scuolaviva, anno VIII, n. 9, settembre 1972, pp. 22-24.
(3) Giovanni Lombardi, Presentazione, in Quaderni di teatro, Anno X (1987), n. 37, p. 11.
(4) Ibidem, pp. 11-12.
(5) Mafra Gagliardi, Esperienze teatrali nella scuola italiana, in AA. VV., L’ora di teatro. Orientamenti europei ed esperienze
italiane nelle istituzioni educative, a cura di Claudio Bernardi e Benvenuto Cuminetti, Milano, EuresisEdizioni, 1998, p. 102.
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Un modello di valutazione per il teatro
di Anna Bonora, Franco Fortini, Gerardo Guccini, Paolo Senni
La difficoltà di valutare
Assoluta impportanza è stata riconosciuta, nel seminario sul teatro a scuola tenutosi a La Roche nell’autunno
1998, al modello modello di formazione proposto dallo staff di ricerca, in quanto il problema della
valutazione di un’attività formativa per l’attività teatrale rimane una questione molto importante e, al tempo
stesso, aperta perchè tocca aspetti che non sono riconducibili a contenuti prettamente cognitivi e perchè non
esiste una tradizione in proposito.
Anche nella scuola, quando l’insegnante fa teatro con i ragazzi, nel momento in cui deve valutare processi
d’apprendimento e acquisizioni cognitive si trova in difficoltà e, in genere, come strumento di valutazione
assume lo spettacolo con il pubblico e come indicatore la constatazione della buona riuscita della prova. La
difficoltà di rendere ragione di processi apprenditivi e, in questo caso anche formativi, così complessi quali si
ottengono con l’utilizzo di codici propri della comunicazione teatrale deriva sia dal fatto che essi
presuppongono conoscenze di analisi pragmatiche del discorso, di linguistica testuale, di ermeneutica, delle
varie semeiotiche, sia dal fatto che essi si basano sul rapporto con gli altri che, a sua volta, implica
partecipazione, capacità di decentamento del pensiero e di comunicazione emotiva. La zona delle pertinenze
così vasta, un universo praticamente senza confini, fa immediatamente capire sia che non si può ridurre il
teatro a scuola alla dimensione di una disciplina dal ruolo ancillare rispetto ad altre discipline cui si aggrega,
sia che la valutazione dell’attività di apprendimento e di formazione dovrebbe rispecchiare la complessità dei
processi cui si riferisce.
Pare pertanto opportuno raccogliere alcune brevi riflessioni sull’argomento, al momento sul versante della
valutazione di attività di formazione per insegnanti, date le caratteristiche del progetto, nell’intento di fornire
testimonianza di una modalità ancora delineata in modo sperimentale e di sollecitare sull’argomento altre
riflessioni.
Un esempio di valutazione formativa da sperimentare
A La Roche si è voluto sperimentare un modello di valutazione di riflessione formativa “calda”, che
presentasse caratteri di dinamicità e riflessione di gruppo e che dal gioco di specchi delle riflessioni di
ognuno e di tutti trovasse, infine, sponde di coerenza ed esiti di decisionalità concreta. Si è sperimentato un
modello che ha legato la valutazione dell’evento di formazione espresso nelle forme del linguaggio teatrale
in quanto tale, alla valutazione della sua efficacia formativa.
Si è pertanto deciso l’allontanamento da una modalità di approccio, in precedenza praticata, caratterizzata dal
ricorso a griglie stilate unicamente sugli aspetti più vistosi del lavoro di formazione, riguardanti: la
comprensibilità dei contenuti, la loro praticabilità e la qualità delle condizioni organizzative.
Infatti ci si era già accorti che quando, a ridosso dei momenti di atelier di operatività concreta, si ritagliavano
spazi di valutazione spontanea ed immediata, le indicazioni sul vissuto e l’appreso risultavano produttive ed
efficaci anche per future progettualità.
Proprio la coscienza dell’importanza di far emergere le emozioni e le percezioni soggettive dell’esperienza
ha fatto dilatare i tempi dedicati all’atto della valutazione delle performances: ben cinque ore, un intero
pomeriggio.
Si è trattato di una dilatazione temporale all’atto della riflessione valutativa per offrire sì spazi di tempo e
considerazione alle riflessioni personali ad alta voce di ogni partecipante, ma anche per rimarcare al gruppo
l’importanza del processo valutativo come atto sostanziale.
Come in una qualsiasi seduta di lavoro di gruppo erano stati condivisi dei criteri di analisi e degli spunti di
osservazione. L’intenzione era di servirsi dei seguenti indicatori, anche se in modo non rigido ed esclusivo: •
comprensibilità di contenuti e stimoli • coerenza di proposizione degli stessi • ritmo degli interventi
informativi • qualità degli spazi formativi di tipo tecnico • qualità degli spazi di elaborazione e creatività
personale e di gruppo • qualità degli spazi d’ascolto e di riflessione • emozionalità esperita • eventuali disagi
• obiettivi • grado di spendibilità dell’esperienza • ipotesi di riproposizione didattica.
Le caratteristiche del modello “caldo” di valutazione di riflessione formativa sono state: • il fatto che
avvenisse subito dopo l’evento • il fatto che i “valutatori” avessero ancora ben presenti o provassero ancora
le emozioni trasmesse • il fatto che non ci fossero limiti di tempo alla possibilità per tutti di esprimersi • il
fatto che fossero stati condivisi degli indicatori, anche se non rigidi • il fatto che la riflessione avvenisse con
le modalità del lavoro di gruppo non strutturato gerarchicamente • il fatto che fosse inserito in un trend di
lavoro che prevedeva una immediata programmazione o riprogrammazione dell’itinerario • il fatto che
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presupponesse l’utilizzo di una struttura spaziale favorevole alla relazione di gruppo con l’utilizzo del
cerchio e il ricorso a modalità comunicative con carattere di immediatezza e spontaneità.
Il livello di gradimento mostrato dagli insegnanti a La Roche per tale modalità di lavoro valutativo è stato
molto alto e ha permesso al gruppo tecnico di confermare le ipotesi di lavoro rivelatesi giuste e modificare
quelle incoerenti. Per esempio le riflessioni hanno fornito le seguenti conferme: • l’importanza di far vivere
all’insegnante il percorso con altri colleghi prima di realizzarlo con i ragazzi, • il percorso di formazione
deve unire ampi spazi di pratica a momenti di riflessione teorica, • l’importanza di vivere spazi di
valutazione “calda”, che confermerebbero la possibilità di far individuare ai partecipanti gli obiettivi
seminariali così da uscire da schemi personali parziali o errati, far riflettere sulle diverse modalità di lavoro,
su come la condivisione di medesimi obiettivi leghino approcci diversi e su ciò che può servire agli alunni.
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1990 - LA NECESSITA' DI UN TEMPO INUTILE
Il concetto di infanzia come tempo della vita differente da quello adulto è relativamente recente.
Ma in poco più di un secolo di vita ha già subito profonde trasformazioni, nella continua evoluzione di
strutture sociali e forme di relazione.
Il testo di questa lettera nasce dalla nostra condizione di adulti, che si occupano professionalmente
dell'infanzia di oggi e del suo mondo immaginario per costruire storie ed eventi teatrali.
Nasce dalla percezione, a tratti drammatica, di un atteggiamento del mondo adulto nei confronti di quello
infantile. Un atteggiamento che tende progressivamente a rimuovere ciò che l'infanzia rappresenta di inutile,
di gratuito, per inserire i bambini sempre più organicamente in un ciclo di consumo.
La rivoluzione mediale, che ha portato in questa seconda metà del secolo una serie di sconvolgimenti
culturali e sociali impensabili e tuttora in atto, ha cominciato a produrre generazioni che a fianco dei genitori
hanno avuto come educatore la televisione, per un numero di ore che supera di gran lunga quelle dedicate
alla scuola.
La struttura sociale italiana si è trasformata balzando nel giro di una generazione dalla condizione agricola o
artigianale del paese, con un sistema forte di legami ed aggregazioni sedimentate nel corso dei secoli, ad una
condizione molto più dinamica di scambio di idee e movimento di persone, sacrificando al mutato sistema di
sussistenza intere lingue e culture.
Ognuno di noi è in grado di articolare giudizi ed azioni concrete nei confronti di questi problemi, che
costituiscono il terreno su cui si gioca il tema delle identità culturali di fronte alle pressioni che cominciano a
giungere dall'est e dal sud del mondo.
Ma il rischio è quello di dimenticare, di fronte a cose apparentemente più urgenti, quello che in realtà è il
vero serbatoio da cui nasceranno gli elementi per affrontare i problemi del futuro, il mondo dell'infanzia.
I numerosi segnali che ci giungono da questo mondo ci confermano che si tratta di un terreno cruciale su cui
si giocherà la grossa scommessa di una società multietnica, in grado di utilizzare gli strumenti di
comunicazione per elaborare nuovo sapere e per affrontare battaglie per noi ancora al di là dell'orizzonte.
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LETTERA APERTA IN DIFESA DEL TEMPO DELL'INFANZIA
All'ombra del grande albero che stende i rami sulla sorgente dei sogni il Tempo si è fermato a riposare.
Appoggiato alla falce, con cui miete i giorni per trasformarli in ricordi, guarda un bambino che gioca con un
pezzo di legno nella fontana.
Questo pezzo di legno è una nave, e poi il pesce che sale dal fondo del mare e la inghiotte, e il relitto al quale
si aggrappano i naufraghi stanchi, ed infine soltanto un pezzo di legno.
Fino a che gioca, il vecchio sta lì, e lo guarda, poi riprende con nuova energia il suo lento lavoro.
Come potrebbe continuare senza queste soste?
Una notte un bambino sogna una foglia: in alto sul ramo più in alto, si è staccata, e come l'ala di una farfalla
si è posata dolcemente, con un breve volo, sullo specchio dell'acqua.
Il bambino si sveglia e va alla finestra a guardare come se
tra i palazzi di città e le antenne sui tetti un albero potesse trovar posto.
Ma ad un tratto la luce si spegne in tutto il quartiere, insegne e lampioni si spengono lasciandolo solo davanti
alle stelle.
Sono mille le storie che le stelle raccontano a chi si ferma ad ascoltare.
Mentre alza una mano a indicare una stella, una piccola stella proprio sopra di lui, questa si stacca, e cade
giusta dentro la manica.
Lui torna in camera, la prende e la mette sul comodino, e poi torna a dormire, rassicurato dalla piccola luce
di mille colori che riempie la stanza.
Come consumando le foreste ci condanniamo al suicidio, così consumando il tempo dedicato
all'infanzia, ci condanniamo alla follia.
Passare del tempo con i bambini raccontando, giocando, inventando qualcosa per loro, è necessario anche
a noi.
Insieme a tutti gli artisti, i tecnici e gli organizzatori della Piccionaia: Marco Baliani, Cesar Brie, Giovanni
Caviezel, Dino Coltro, Nicoletta Costa, Cristina Crippa, Benvenuto Cuminetti, Elio De Capitani, Mafra
Gagliardi, Mario Lodi, Bruno Munari, Mandiaye Ndiaye, Angelo Petrosino, Ottavia Piccolo, Roberto
Piumini, Beatrice Solinas Donghi, Giacomo Verde.
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2000 - La lepre e la tartaruga: una carta di intenti di poetica per un teatro a scuola
Un abitante del mondo della luna che scoprisse la nostra cultura sarebbe decisamente sorpreso dai nostri
sforzi per “ammazzare il tempo”, per il nostro accanimento a cercare di accorciare e riempire sempre di più il
tempo della nostra vita.
La velocità, l’efficacia, il non sprecare tempo, il non perdere tempo, sembra che siano mossi da un desiderio
di farla finita il prima possibile.
Si continua a vivere sbilanciati in avanti, nel progetto o nel desiderio, e si cerca a tutti i costi di oltrepassare il
presente, ostacolo tra noi ed il nostro obiettivo,.
Una continua rincorsa di Achille piè veloce verso la tartaruga che non riuscirà a raggiungere, dato che,
quando sarà arrivato al punto A in cui si trovava la tartaruga l’animale si sarà intanto spostato al punto B, e
quando Achille raggiungerà il punto B la tartaruga sarà in C e così via all’infinito dato che infiniti sono i
punti della retta.
Non così i momenti della nostra vita, come ci racconta un antico racconto Sufi
Il soldato che vede nella folla lo sguardo inquietante di una figura oscura che lo segue è come la persona che
intravede se stesso in agguato nei silenzi, nei momenti deserti dell’esistenza.
L’unica soluzione è allora il cavallo più veloce del regno, e la fuga sfrenata verso la città più lontana,
nell’illusione di allontanarsi dal proprio destino.
Ma la figura sarà lì ad attendere il soldato, e gli dirà: “Ti guardavo con occhi stupiti, dato che ti trovavi così
distante dal nostro appuntamento di oggi qui a Samarcanda.»
Qui e ora, il segreto del teatro il «momento presente» di cui parla Peter Brook, rappresentano le coordinate di
una poetica che si interroga sulla propria necessità.
1. Dal “Palcoscenico frontale” allo "Spazio Teatrale" determinato secondo le esigenze del racconto,
che può prevedere che il pubblico sia condotto attraverso un percorso, separato in gruppi di spettatori
con punti di vista diversi, convocato ad una condizione in cui assiste non solo all’azione scenica, ma
anche agli effetti di questa azione sui volti degli altri spettatori, etc.
2. Dall’idea di "Personaggio" al concetto di "Ruolo" o di "Funzione". In una dimensione corale della
rappresentazione il personaggio risultare dai movimenti e dalle parole di più attori, passare da uno
all’altro. Oppure uno stesso attore diventa “uomo dai mille volti” attraversando diversi personaggi.
3. Dalle scenografie statiche a micro o macro oggetti di scena dinamici, autocostruiti, manipolando
diverse tipologie di materiali (recupero, naturali, sintetici, ecc...)
4. Dai dialoghi “realistico televisivi” ad un uso personale, creativo, della comunicazione linguistica,
utilizzando strumenti che vanno dal monologo interiore, al flusso di coscienza, alla forma diario, al
gioco tra lingua madre e gerghi di gruppo, alla narrazione, alla citazione, alla costruzione di “tappeti
sonori”.
5. Dai costumi “finti” ai segnali di costume con valore simbolico. Tutto ciò che viene utilizzato sulla
scena deve essere “necessario”, tutto ciò che non lo è toglie efficacia alla rappresentazione.
6. Come la musica il cui ruolo deve essere attivo e non descrittivo, in altre parole un altro attore della
rappresentazione.
7. Il lavoro in gruppo di un processo artistico teatrale diventa una rete, una trama su cui "tessere" e
"coordinare" i contributi dei singoli. All’interno di un contesto comune forte ma flessibile.
Attenzione a non dimenticare durante l’ansia della realizzazione il motivo per cui si sta lavorando
insieme.
Anche se si utilizza un testo preesistente e’ importante ascoltare il "farsi" dello spettacolo, le sue risonanze
con la condizione del gruppo che lo sta affrontando, per liberare lo spettacolo
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2000 - QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE DELLE PROPOSTE TEATRALI
DELLA RASSEGNA DI TEATRO RAGAZZI
SCUOLA
CLASSE
TITOLO DELLO SPETTACOLO VISTO
DATA
EVENTUALE LAVORO DI PREPARAZIONE PRIMA DELLA VISIONE DELLO
SPETTACOLO
 PRESENTAZIONE DEL TITOLO E DELLA SCHEDA DELLO SPETTACOLO ALLA
CLASSE
 LIBERE ASSOCIAZIONI DI IDEE SUL TEMA DELLO SPETTACOLO
 INCONTRO CON GLI ATTORI
 PRESENTAZIONE DELLA TRAMA
 LETTURA DEL TESTO (O DEL LIBRO DA CUI E’ TRATTO LO SPETTACOLO)
 VISIONE DI VIDEOCASSETTE SUL TEMA DELLO SPETTACOLO
 APPROFONDIMENTI IN AMBITO CURRICOLARE RELATIVI AL TEMA DELLO
SPETTACOLO
 ALTRO (SPECIFICARE)
EVENTUALE LAVORO DI ELABORAZIONE SUCCESSIVO ALLA VISIONE DELLO
SPETTACOLO
 DISCUSSIONE
 INCONTRO CON GLI ATTORI A TEATRO A SCUOLA
 ATTIVITA’ GRAFICO/PITTORICA/MANIPOLATIVA
 ATTIVITA’ FISICA
 ATTIVITA’ MUSICALE
 ATTIVITA’ LINGUISTICA
 ATTIVITA’ TEATRALE
 PRODUZIONE DI TESTI
 SVILUPPO DEL TEMA NELL’AMBITO DELLA ATTIVITA’ CURRICOLARE
 ALTRO (SPECIFICARE
VALUTAZIONE DEI RAGAZZI
CI HA FATTO SOGNARE
 PER NULLA  POCO  ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO
CI HA FATTO PENSARE
 PER NULLA  POCO  ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO
CI SIAMO PORTATI A CASA QUALCOSA
 PER NULLA  POCO  ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO
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VALUTAZIONE DEGLI INSEGNANTI
HA STIMOLATO L’ELABORAZIONE FANTASTICA
 PER NULLA  POCO  ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO
HA OFFERTO SPUNTI PER LA RIFLESSIONE
 PER NULLA  POCO  ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO
SI E’ IMPRESSO NELLA MEMORIA O NEL COMPORTAMENTO DEI RAGAZZI
 PER NULLA  POCO  ABBASTANZA MOLTO MOLTISSIMO
Il questionario vuole essere un ulteriore strumento di lavoro nella relazione tra mondo del
teatro e mondo della scuola.
Si tratta di una occasione di riflessione comune sulle proposte teatrali che corre su due
binari distinti.
 Da un lato la rilevazione di come nella nostra realtà uno spettacolo si inserisce nella vita
scolastica di ragazzi ed insegnanti, attraverso la “fotografia” delle attività che lo precedono e lo
seguono.
 Dall’altro lato una indagine sulle tracce e sugli stimoli che le diverse proposte teatrali lasciano
alle comunità di spettatori con cui entrano in contatto, attraverso una valutazione distinta
secondo il punto di vista dei ragazzi e quello degli insegnanti.
I risultati del questionario verranno poi raccolti ed elaborati, per servire come traccia per la
programmazione della futura stagione.
Verranno poi presentati al pubblico, creando una ulteriore occasione di approfondimento e di
confronto tra mondo della creazione artistica e mondo dell’educazione, che si trovano a condividere
questo fragile ma quanto mai vitale territorio di confine.
L’invio del questionario diventa l’occasione per ringraziare nuovamente tutti coloro che con un
impegno personale che non deve mai essere dato per scontato hanno contribuito in questi anni alla
crescita di queste attività, la cui importanza è testimoniata da tanti “piccoli miracoli” che ci
accompagnano nella vita di tutti i giorni.
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Letteratura e teatro ragazzi. Introduzione ad una ricerca
(il Pepeverde, N.11/12 2002)
“L’unico autore buono da mettere in scena è quello morto”. Parafrasando il gergo dei film western
questa era fino a qualche anno fa l’idea corrente di molto teatro artigianale. Perchè autori e
capocomici hanno sempre vissuto un complesso rapporto di conflitto e dipendenza reciproca,
dovuto all’inevitabile tradimento implicito nella traduzione sulla scena di un testo scritto.
Estremamente interessante in questi anni di discussione sulla proprietà intellettuale nell’era di
internet è rileggersi le Memoires di Carlo Goldoni,1 che rivendica per sè e per la figura del “poeta di
compagnia” una dignità che significa anche poter decidere quale versione del proprio lavoro
consegnare alle stampe. Una volta stampato il testo si chiude in una forma definitiva, una volta per
tutte rispetto alle continue metamorfosi che avvengono giorno per giorno sulla scena. E di chi è un
testo teatrale, dell’autore della tessitura o di chi le dà vita sul palcoscenico? Si tratta di un falso
problema. È ormai di dominio comune l’idea che un discorso sul teatro non può esaurirsi alla lettura
dei testi teatrali, che spesso anzi si allontanano sostanzialmente da ciò di cui rappresentano una
risonanza, come succede tra una conchiglia ed il suo fossile. Se il testo appartiene all’autore, la sua
messa in scena diventa un lavoro collettivo, e l’opera che ne risulta è una tessitura di linguaggi,
sensibilità, relazioni di cui anche lo spettatore è una parte integrante. Condanna e salvezza del teatro
oggi è proprio la sua caratteristica di essere scritto sull’acqua, nonostante di esso possano parlarci
testi, video, immagini, foto, racconti, siti internet e chissà cosa altro.
Bisogna approfondire la natura ambigua del testo teatrale per inoltrarsi in una ricognizione sulle
relazioni tra teatro e letteratura per i ragazzi, per capire quanto si tratti di un fenomeno dalla difficile
definizione per la continua riconfigurazione dei suoi confini. In questo primo intervento cercheremo
quindi di lavorare sui termini, proponendo alcuni strumenti di lavoro per l’indagine e cercando di
metterli a punto attraverso una indagine sul campo.
In primo luogo una breve ricapitolazione della storia del teatro ragazzi, che nel corso degli ultimi
trenta anni ha caratterizzato in modo originale l’esperienza italiana rispetto a quella di altri paesi del
mondo in cui pure si è sviluppato. (principalmente l’est europeo, l’Europa, il Canada francofono).
Alla fine degli anni sessanta dalla Francia giunge in Italia l’esperienza dell’animazione teatrale, che
da Torino e dalla Biennale di Venezia comincia ad irradiarsi in un terreno di coltura smosso dalle
istanze di trasformazione delle istituzioni.
Nel 1969 al convegno per un nuovo teatro di Ivrea si parla di portare il teatro fuori dai teatri, dove
maggiore è la repressione delle istituzioni, come nelle carceri, nei manicomi e nelle scuole. Nomi
come Giuliano Scabia2, Franco Passatore3, Remo Rostagno4, Loredana Perissinotto, Mafra
Gagliardi, Carlo Formigoni si segnalano per una serie di sperimentazioni che corrono sulle pagine
di testi letti e discussi collettivamente ed oggi introvabili.
Da questi primi anni ruggenti il movimento comincia ad interrogarsi sulla dimensione del rapporto
teatrale: teatro “per”, “con” o “dei” ragazzi? Entro la seconda metà degli anni settanta nascono la
maggior parte delle compagnie storiche del teatro ragazzi italiano, che sceglie di rinunciare ad ogni
preposizione. A Torino il Teatro dell’Angolo, a Milano il Teatro del Sole e il Buratto, a Reggio
Emilia le Briciole cominciano a aprire teatri-laboratorio dedicati ai ragazzi.
1
Per comoditá cito dalla traduzione italiana di Piero Bianconi, Carlo Goldoni. Memorie, 2 voll., Milano, 1961, ed.
B.U.R, parte II, cap.XVII, p.306.
2
Scabia, Giuliano - Fabiani, Luciano. Forse un drago nascerà, Milano, Emme, 1975.
Scabia, Giuliano. Marco Cavallo : una esperienza di animazione in un ospedale psichiatrico, Torino, Einaudi, 1976.
Scabia, Giuliano - Università di Bologna. Gruppo di drammaturgia 2. Il gorilla quadrumàno, Milano, Feltrinelli, 1974.
3
Passatore, Franco - Gruppo Teatro-Gioco-Vita. Io ero l'albero (tu il cavallo), Rimini, Guaraldi, 1972.
Passatore, Franco - Cirillo, Vittoria. animazione dopo : le esperienze di animazione dal teatro alla scuola, dalla scuola al
sociale, Firenze, Guaraldi, 1977.
4
Rostagno, Remo - Liberovici, Sergio. Un paese : esperienze di drammaturgia infantile, Firenze, La nuova Italia, 1972.
29
30
Gli anni ottanta rappresentano il consolidamento di questo mondo eterogeneo, che da movimento si
trasforma in un “settore”, cominciando a dotarsi di strutture, strumenti e metodi comuni di lavoro.
E’ il decennio della nascita dei centri teatro ragazzi, che rappresentano dopo i teatri stabili pubblici
del dopoguerra ed insieme agli stabili privati la novità strutturale del sistema teatrale italiano.
I Centri teatro ragazzi rappresentano l’idea di un rapporto continuativo con il mondo dell’infanzia,
prima di tutto la scuola, nel quale il teatro apre le porte al suo pubblico in tutte le fasi della
costruzione dello spettacolo, permettendo di accedere attraverso corsi di aggiornamento e laboratori
alle tecniche di scrittura teatrale, alla realizzazione di oggetti, figure e scene, alle discipline di
lavoro dell’attore. Ci si interroga sullo spettatore bambino e si comincia a raccogliere dati ed
informazioni sul suo panorama immaginario, sui suoi sogni e sui suoi desideri.5
Un importantissimo fenomeno che comincia a prendere forma alla fine degli anni ottanta è quello
del teatro di narrazione, che proprio dal terreno di coltura del teatro ragazzi comincia a prendere le
mosse, per poi svilupparsi nel decennio successivo attraverso figure come Marco Baliani 6 e Marco
Paolini7.
La terza fase di vita vede negli anni novanta il tentativo, che ad oggi sembrerebbe definitivamente
naufragato, di costruire una relazione strutturale tra mondo del teatro e mondo della scuola,
attraverso un grande sforzo di artisti, teorici e organizzatori. Dall’idea che l’arte si possa insegnare
si propone l’idea che essa nelle sue forme sia una esperienza vitale, necessaria, e che in quanto tale
ne vada garantita la fruizione fino dai primi anni di età. Un esito importante di questo sforzo è stato
l’imprevista diffusione del teatro dei ragazzi in ambito scolastico, che ha visto un proliferare di
iniziative la cui distribuzione geografica sembra riequilibrare lo sbilanciamento del teatro ragazzi
verso le regioni del centro-nord.8
Mentre Centri e compagnie sono ormai una realtà consistente e consolidata, che con una grande
capillarità copre con una rete fittissima molte aree della penisola, portando il teatro anche in piccoli
centri dove altrimenti vi sarebbero rare occasioni di spettacolo dal vivo.
Si tratta forse, ad oggi di una forma di maturo teatro popolare, caratterizzato da un buon livello di
qualità generale, che come ogni teatro popolare si lega strettamente nelle sue scelte artistiche ai
gusti (reali o presunti) del pubblico, che indaga attraverso strumenti sempre più articolati. 9
Questa idea di teatro popolare ci fa chiudere il cerchio e tornare al rapporto con la letteratura.
Perchè dopo la fiaba il libro per ragazzi è uno dei principali motivi ispiratori degli spettacoli per i
ragazzi. E per trovare una analogia dobbiamo andare a riguardare il teatro popolare della seconda
metà dell’Ottocento, ed il suo rapporto con la letteratura d’appendice dell’epoca di cui spessissimo
portava le trame sulla scena.
Che rapporto ci può essere tra Carolina Invernizio di Sepolta Viva e il Luis Sepulveda de La Storia
di una Gabbianella?
Entrambi permettono di stabilire con lo spettatore un panorama immaginario comune già prima che
si apra il sipario. Indicare un testo letterario come motivo ispiratore lega i destini dello spettacolo a
quelli del libro, seguendone la ascesa o la discesa nei gusti del pubblico. E’ anche una strategia
commerciale, per la possibilità di sfruttare in maniera indotta la promozione diretta o indiretta del
libro. Ma soprattutto denotano una appartenenza comune, elemento discutibile ma significativo
della capacità di convocazione di un evento performativo in genere: “è dei nostri”.
La riflessione sulla necessità di creare un orizzonte immaginario comune tra artisti adulti, spettatori
bambini e spettatori adulti (insegnanti e genitori) ha trovato prima di tutto nella fiaba un fertilissimo
Convegno L’immaginario bambino
Baliani raccontatore di storie mutanti replicanti
7
Marco Paolini e Gabriele Vacis, Il racconto del Vajont, Garzanti, Milano 1997.
8
Prissinotto, Teatri a scuola
9
L’Osservatorio dell’immaginario è una rete promossa dalla compagnia Stilema di Torino, che ha realizzato finora due
ricerche su scala nazionale:
5
6
30
31
territorio da esplorare. Autori come Propp10, Bettelheim11 Rodari12 e Calvino fanno parte del
bagaglio di conoscenze fondamentale di chi fa teatro ragazzi. La fiaba viene riletta, presa in giro, ne
vengono amplificati i significati nascosti, anche se gli artisti hanno imparato a proprie spese che
mettere in scena una fiaba significa anche scherzare con il fuoco, e che la platea può rifiutare in
blocco lo spettacolo se la drammaturgia non si svolge rigorosa secondo una serie di passaggi
obbligati.
Il rapporto con la letteratura per i ragazzi è sempre stato, attraverso la messa in scena dei classici, un
terreno di lavoro del teatro, fino da prima del teatro ragazzi, quando i testi erano divisi per
compagnie maschili e femminili. Già numerose erano le riduzioni per la scena di racconti edificanti,
o di celebri libri di avventura.
Poi la stagione del Corriere dei Piccoli, del Pioniere e del Vittorioso cominciò, sull’esempio di
Tofano e del suo Signor Bonaventura a creare la possibilità di mettere in scena brevi testi divertenti
in rima, sulla base delle story-board disegnate, che fornivano già indicazioni per la
rappresentazione, le scenografie e i costumi.
Da questa esperienza di lavoro, anche se lo studio è tutto da approfondire, nasce la produzione per il
teatro di Gianni Rodari, che vede una importante diffusione proprio a cavallo della stagione del
primo teatro ragazzi.
Come mai dopo Rodari sembra non ci siano più autori di teatro per ragazzi in Italia?
Il paradosso è che gli autori ci sono, sempre di più e sempre più bravi ma il teatro è cambiato, per
cui non li si vede.
Le modalità di costruzione degli spettacoli non prevedono più la messa in scena di un testo, ma un
complesso processo di lavoro che, sulla scorta delle esperienze della animazione teatrale, prevede
fasi successive in cui la dimensione testuale si sviluppa insieme alle altre che compongono lo
spettacolo.
Anche perchè dagli anni settanta alla metà degli anni ottanta, fino al ritorno della narrazione, la
comunicazione verbale viene fortemente messa in discussione, a favore di quella gestuale, musicale
e visiva, in tutte le esperienze innovative della scena nel mondo.
Si guarda più a compagnie come il Living Theatre, il Bread and Puppet, a Jerzy Grotowsky,
all’arcipelago dei gruppi che si raccoglie intorno all’esperienza dell’antropologia teatrale di
Eugenio Barba13.
Finchè intorno alla metà degli anni ottanta il libro ricompare, accompagnando un ritorno alla parola
che culminerà nel teatro di narrazione.
Ed intanto la letteratura per ragazzi comincia a vivere in Italia un particolare fenomeno di crescita.
Le biblioteche sul territorio diventano centri di animazione culturale che incrociano spesso il lavoro
dei teatranti, con spettacoli, laboratori, ospitando eventi e corsi di aggiornamento. Spesso gli attori
vengono chiamati a leggere ad alta voce. E cominciano i primi incontri, gli scambi, le relazioni, tra
due mondi che hanno molto in comune, tra persone di una stessa generazione con simili motivazioni
artistiche nei confronti del mondo dell’infanzia.
Si sviluppano le letture animate, che presto si strutturano, crescono fino a consolidarsi in spettacoli.
Alcune compagnie commissionano testi a noti scrittori, altre elaborano le drammaturgie insieme
agli autori, coinvolgendoli nei loro gruppi di lavoro creativo.
Arriviamo ad oggi, un momento in cui si sente la necessità di quantificare ciò che sta succedendo,
delinearne con maggior precisione i contorni, cercare di capire quali possono essere gli sviluppi.
10
Propp, Vladimir Jakovlevic. Morfologia della fiaba, Roma : Newton Compton, 1977
Bettelheim, Bruno. Il mondo incantato, Milano, Feltrinelli, 1978.
12
Rodari, Gianni. Grammatica della fantasia, Torino : Einaudi, 1973.
13
Cruciani, Fabrizio. Teatro nel Novecento : registi pedagoghi e comunità teatrali nel XX secolo, Firenze, Sansoni,
1985.
11
31
32
Proviamo quindi in chiusura ad indicare una serie di dati sulla produzione teatrale della stagione
2000/200114.
Su 194 compagnie in attività su tutto il territorio italiano 74 presentano spettacoli che fanno
riferimento in vario modo a opere letterarie.
Si tratta di 107 spettacoli, che ruotano intorno a 71 libri di 63 autori. Diverse compagnie presentano
in repertorio più produzioni ispirate alla letteratura Ma i dati più interessanti riguardano gli autori ed
i titoli più praticati:
Compagnie
teatro dell'archivolto
aida
assemblea teatro
drammatico vegetale
il ballatoio
la piccionaia
pandemonium
teatro dell'angolo
teatri comunicanti
teatro all'improvviso
teatro anteo terrammare
cargo
gianni e cosetta colla
il palchetto stage
il triangolo scaleno
nuova teatro eliseo
4
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
2
2
2
2
2
Autori
Collodi
Cervantes
Dahl
Verne
de Saint Exupery
Ruiz Mignone
Lodi
Calvino
Roncaglia
De Amicis
Rodari
Barrie
Pennac
Stevenson
Giono
Sepulveda
Wilde
Piumini
Titoli di libri
10
7
6
5
4
3
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Pinocchio
Don Chisciotte
Il piccolo principe
20.000 leghe sotto i mari
Cipì
Cuore
Il giro del mondo in 80 giorni
Il principe felice
la magica medicina
L'isola del tesoro
L'uomo che piantava alberi
Matilde
Peter Pan
La Storia di una Gabbianella
10
7
4
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Fabbri L., Palombi B., Il teatro per i ragazzi – Catalogo delle produzioni 2000/2001, Roma, 2001, ETI Documenti di
teatro
14
32
33
Titoli di libri
Pinocchio
Don Chisciotte
Il piccolo principe
20.000 leghe sotto i mari
Cipì
Cuore
Il giro del mondo in 80 giorni
10
7
4
3
2
2
2
Il principe felice
la magica medicina
L'isola del tesoro
L'uomo che piantava alberi
Matilde
Peter Pan
La Storia di una Gabbianella
2
2
2
2
2
2
2
Dopo la conferma del Pinocchio di Collodi ancora oggi come principale riferimento letterario, ci
sorprende il secondo posto del Don Chisciotte di Cervantes. Per leggere questo dato dobbiamo
pensare al ruolo, a volte strumentale, di attivazione dell’immaginario che viene dato alla lettura ed
al teatro in ambito educativo. Don Chisciotte incarna in queste riduzioni l’idea di un eroe
malinconico ma positivo, la cui facoltà di trasformare la realtà viene interpretata come ricchezza e
non come limite. Abbiamo poi al terzo posto il capolavoro di Saint Exupery, che ispira viaggi
fantastici tutti caratterizzati dall’impossibilità di una messa in scena completa, dato che si tratta del
testo più blindato della letteratura contemporanea, forse solo come Harry Potter. Per poterlo mettere
in scena integralmente si favoleggia di limiti strettissimi alla scelta degli attori (il principe deve
essere un ragazzo) dei costumi, delle scene e della traduzione imposti dai detentori dei diritti.
Al terzo posto degli autori è invece Roal Dahl, a proposito del quale esiste anche un raro
esperimento di guida alla messa in scena de il GGG pubblicata da Salani.
Con più di una messa in scena pochi i contemporanei italiani, Ruiz Mignone, Roncaglia, Piumini,
mentre sembra che il panorama immaginario degli adulti artisti e delle loro letture infantili agisca in
maniera consistente sulle scelte: Verne, De Amicis, Calvino, Stevenson e Wilde.
In conclusione riteniamo che l’estensione della ricerca quantitativa sulle stagioni precedenti,
accompagnata da una scansione qualitativa delle diverse tipologie di elaborazione dell’opera
letteraria possa fornirci interessanti spunti di lavoro, sia come autori di libri per ragazzi che come
drammaturghi e registi. In fondo si tratta di arrivare a guardarci “nel bianco degli occhi” tornando a
parafrasare i film western dell’inizio dell’articolo, per stimolarci a vicenda nella continua
elaborazione di una geografia dell’immaginario ispirata all’infanzia.
33
34
Dare parola al senso
(IL PEPEVERDE 15 2003)
Dare senso alle parole
Prima di affrontare la questione del linguaggio in ambito teatrale è necessario dichiarare che il
teatro è scritto sull’acqua, e qualunque modalità di progettarne la realizzazione o di restituirne la
memoria fa i conti con l’impossibilità di coglierne il mistero del “momento presente”.
Il nostro viaggio inizia quindi con lo squillo di un primo campanellino d’allarme: il testo di uno
spettacolo è sempre riduttivo rispetto a ciò che accade sulla scena, e parlare del teatro come se fosse
semplicemente letteratura drammatica è come guidare un’automobile con un solo cilindro
funzionante. Bisogna però ricordare che nella nostra cultura il testo è stato per diversi secoli lo
strumento principale per progettare e tramandare il teatro, provocando una catena di equivoci e
fraintendimenti a volte portatori di vere e proprie innovazioni. Un testo della letteratura drammatica
si può anche leggere ad alta voce, persino su di un palcoscenico, ma genera teatro solo quando
diventa tessitura di azioni, quando viene trasformato in drammaturgia. Il lavoro di registi,
drammaturghi, attori è quello di “dare senso” alle parole scritte dall’autore. E qui giochiamo
volutamente con l’ambiguità della parola italiana “senso”, significato/sensorialità, perchè ci porta al
cuore della questione. Il passaggio da letteratura drammatica a teatro avviene quando la parola si fa
corpo e viene ad incontrarci in uno spazio tempo regolato da un preciso rituale. L’operazione di
trasformare un testo letterario in una drammaturgia può portarci molto lontano, fino ad una partitura
di stimoli sensoriali tra i quali possono trovare posto, a fianco degli altri suoni, anche parole dette o
visualizzate in una lingua comprensibile agli spettatori.
Un nuovo teatro un nuovo linguaggio
Il teatro ragazzi italiano nasce da un superamento del teatro “per” i ragazzi, utilizzato spesso con
finalità formative e morali in ambiti pedagogici evoluti.
Questo superamento si concretizza subito in una precisa scelta linguistica.
Con il significativo influsso delle esperienze politiche di scrittura teatrale, a partire dall’agit-prop e
da Bertolt Brecht, il teatro sceglie di utilizzare la lingua parlata dai bambini. Il modo migliore di
procedere è quello di scrivere con loro lo spettacolo durante il lavoro di messa in scena,
trascrivendo le improvvisazioni, fissando provvisoriamente sequenze di azioni.
Una metodologia che subito si richiama esplicitamente al teatro popolare, dalla Commedia dell’Arte
con i suoi canovacci, al cantastorie, al giornale di strada.
Vediamo a fianco due esempi di testo teatrale di rappresentazioni svolte da ragazzi, che gravitano
intorno allo stesso tema, quello del incontro/scontro tra adulti e bambini.
Il birichino
Teodoro – Ascolta, Mario mio, i consigli di chi ti vuol bene... Non passa giorno senza che non senta
una lagnanza di persone che tu insulti o maltratti.
Mario - Già, io sono sempre il cattivo: le cattiverie degli altri non si guardano neppure. [...]
Teodoro – Ieri, andando a passeggio, ho incontrato il tuo maestro. Egli si è lamentato meco della tua
irrequietezza, della tua troppa vivacità.
Mario – (prendendo la cartella e avviandosi verso l’uscio di fondo) Buon giorno (giunto sull’uscio,
si ferma e chiede) Quando mi compri, babbo, il velocipede?
Teodoro - Recati a scuola: del velocipede si parlerà a tempo e a luogo. Del resto non ammetto
scadenze fisse. Quando crederò giunto il momento opportuno, lo comprerò. L’ultimo a saperlo sarai
tu.
(da Il Birichino, commediola per soli ragazzi. di Andrea de Ritis, Genova, Vallardi 1925)
34
35
Il Picchiatore
Bambino – Una cosa triste è essere picchiati
(due bambini sono inginocchiati, sei alle loro spalle in piedi. In un angolo un bambino che indossa
un grande pupazzo costruito con fustini di detersivo, giornali e sacchi della spazzatura, impersona la
violenza. I bambini hanno soprannominato questo pupazzo “Picchiatore”)
Bambino 1- Tu non fai più parte della mia banda
Picchiatore (muovendosi e colpendo con le braccia e le mani i bambini inginocchiati) Aaaah! Giù
botte. Giù botte...
Bambino 2 - Guarda che guaio hai compiuto
Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte...
Bambino 3 – Ti sei sporcato i pantaloni nuovi
Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte...
Bambino 4 - Sei un bambino cattivo
Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte...
Bambino 6 – se dici le bugie vedi cosa succede
Picchiatore - Aaaah! Giù botte. Giù botte...
Coro dei bambini dalle quinte – Botte, botte, botte....
Stop – buio – tutti seduti
(da Un’esperienza in prima elementare, Piossasco 1974/75, insegnante Marina Rosania, in
Animazione e città, Torino, Musolini, 1980 pg. 80)
Due punti di vista
I due testi parlano due lingue profondamente diverse, evidenziando la diversità dei due mondi che
rappresentano.
La prima differenza è quella del punto di vista con cui entrambi gli scrittori, adulti, raffigurano
l’infanzia. A Mario, il birichino piccolo adulto, si contrappone la furia scatenata ed eccessiva del
Picchiatore. Entrambe sono raffigurazioni della realtà, la prima dal punto di vista adulto, la seconda
da quello bambino. Alla base di ogni azione drammatica c’è un conflitto, e l’efficacia del testo sta
di solito nel tenere in sospeso lo spettatore, nel fargli prendere le parti ora di uno ora dell’altro.
In queste due operazioni lo scopo educativo del testo porta a dichiarare fin dal linguaggio usato chi
comanda il gioco, chi sta dietro le quinte, nel primo caso un adulto, nel secondo un gruppo di
bambini.
Tra il dire e il fare...
Ma, attenzione, secondo campanello d’allarme! Ciò che sta scritto sulla pagina può avere sul
palcoscenico significati diametralmente opposti. Provate a rileggere il primo testo immaginandovi
l’interpretazione magistrale di Paolo Poli, provate ad immaginare il secondo ambientato in una
favela sudamericana. Ma non è tutto, provate adesso ad invertire i fattori, ed osservate il prodotto.
La parole usate possono diventare anche del tutto ininfluenti alla costruzione di senso, rispetto ad un
linguaggio fatto di corpi in movimento, sonorità vocali, sensazioni tattili, olfattive e gustative, che
costituiscono la sensorialità dell’evento spettacolare.
Che strade ha quindi intrapreso il teatro ragazzi in Italia per sottrarsi a questa impossibilità del dire
svelataci dai grandi maestri del teatro dell’assurdo?
Figura, narrazione, danza
Provando un inventario parziale, possiamo allineare, a fianco del lavoro “tradizionale” di scrittura
di un testo drammatico e di messa in scena interpretativa che ha continuato a costituire un terreno
fertile di lavoro per molte compagnie, tre percorsi di costruzione di nuovi linguaggi scenici: il teatro
di figura, il teatro di narrazione ed il teatro danza.
35
36
Tre percorsi che si sono spesso intrecciati a partire dagli anni ottanta, creando ibridi, false piste e
generose esplosioni di senso. In particolare il teatro di narrazione ha avuto un ruolo importante nella
costruzione di un nuovo linguaggio scenico, che sedimenta sulla arcaicità dei modi fiabeschi parole
ed elementi della vita quotidiana degli spettatori.
Il Gran Porco
NARRATORE: - E insomma, avete capito chi era arrivato? Era il Gran Porco, una specie di porco
fantasma, o forse un porco mago e stregone, gigante e fatato, che compariva e scompariva nel Gran
Maialificio, e faceva dispetti tremendi al Signor Lardero, che non lo acchiappava mai. Il Gran Porco
era un vero nemico del Signor Lardero, e anche quella volta si arrabbiò moltissimo, e cominciò a
dire una sfilza di bruttissime minacce. Poi, quando era a metà della sfilza, si ricordò dei due
bambini che lo stavano a sentire a bocca aperta, ed allora gli disse:
GRAN PORCO: - Ma voi invece chi siete? Cosa ci fanno due 'csè bî anzléini come voi dentro al
porcile? Non lo sapevo ancora che al S'gnàur Lardero allevasse anche i cinni coi maiali: cosa vuol
fare, i vùstel quei piccolini?
CELESTINA: - Ah, Signor Gran Porco Fantasma, ci aiuti lei, ci aiuti a uscire di qui! Se non ci aiuta
il mio amico Ciccio finirà nella caldaia, e verrà cotto, macinato, condito, insaccato, e trasformato in
un salsicciotto speciale per Natale! Ci aiuti lei!
GRAN PORCO: - Allàura! Prim ed'tot: grunf, chèlma! Fagna un quèl, procediamo con ordine. 'Dess
te mi dici com at'ciàmi grunf!. e com'è che siete finiti que dentar.
CELESTINA: - Mi chiamo Celestina, e lui è Ciccio.
GRAN PORCO: - Benèssum! Allàura, grunf!. Celestèina, conta ben sò tot la storia!
(da Maestra Minestra, Tognolini B., testo drammatico dep. 1988)
Oltre il realismo televisivo
La necessità per il singolo narratore di marcare i personaggi diversi portando senza incertezze gli
spettatori da uno all’altro, la attenzione alle forme popolari dell’oralità e del folclore, la vicinanza al
grande modello di narrazione costituito dal Mistero Buffo di Dario Fo, sono alcuni tra i motivi che
riportano sulla scena i dialetti, ridando loro vita come lingue teatrali.
La ricerca di una lingua viva, materica, veicolo di emozione e di sensazione, si sviluppa in
contrapposizione alla lingua omologante che cola fuori dalla televisione parlata.
Discutendo con i bambini l’idea di realismo, il modo migliore per rendere una determinata
situazione, nella gran parte dei casi affiora in termini quasi dogmatici lo stereotipo del realismo
televisivo da soap opera. E di fronte alla forte differenza tra i comportamenti rappresentati dal video
e comportamenti reali il pubblico, bambino e adulto, come reagisce? Un pensiero un po’ idealista ci
farebbe immaginare che come nella favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” i bambini reagiscano
con candida irrisione denunciando la nudità di una fiction in cui i personaggi non si comportano
come nella vita reale. Ed invece succede il contrario. La vita reale, i gesti, il linguaggio, viene
adeguato ad un modello, o meglio ad uno stereotipo, con tutte le conseguenze che chiunque può
osservare.
Teatro di figura, narrazione e danza permettono di uscire dalla trappola del linguaggio che mima la
realtà attraverso un linguaggio fortemente convenzionale, che induce straniamento e non
immedesimazione. Invece di fingere di imitare la realtà si tratta di linguaggi che fin dalle prime
battute dichiarano il gioco, e chiedono agli spettatori di incontrarsi in un “campo neutro”.
Gli attori si rivolgono direttamente agli spettatori attraverso un mascheramento che può essere un
oggetto o un modo di muoversi, ma che è prima di tutto e soprattutto linguistico.
Lo straniamento
Lo sforzo di creare un distacco fra il pubblico e gli avvenimenti rappresentati si può già riscontrare,
a uno stadio primitivo, nelle recite teatrali e pittoriche delle vecchie fiere popolari.
36
37
Il modo di parlare dei clown da circo e il modo di dipingere usato nei baracconi da fiera esercitano
una azione di straniamento. [...] Anche l’antica arte cinese conosce l’effetto di straniamento e lo
utilizza in maniera raffinatissima. [...] In primo luogo l’attore cinese non recita come se esistesse
una quarta parete, oltre alle tre che lo circondano. Egli anzi sottolinea la sua consapevolezza di
essere visto, e con ciò elimina una delle illusioni tipiche della scena europea. [...] allo stesso modo
degli acrobati, gli attori scelgono apertamente quelle posizioni che li rendono meglio visibili al
pubblico.Un’altra regola è questa: l’artista si guarda, [...] l’attore si rivolge ogni tanto allo spettatore
come per dire: non è così? [...]Grazie a quest’arte, le cose della vita quotidiana si elevano al di sopra
del piano dell’ovvietà.
B.Brecht, scritti teatrali, 2001 Torino, Einaudi, p.72
La Mamma di cappuccetto rosso
CAPPUCCETTO ROSSO, DOVE TI SEI CACCIATA? ECCOLA LA’, SEMPRE A
GINGILLARSI. VIENI QUA, DEVI AIUTARMI A STENDERE LA BIANCHERIA. TENDI LA
CORDA, VAI A PRENDERE L’ACQUA E LE MOLLETTE. Così dicendo si avvicina alla tinozza
e butta dentro la biancheria: L’ACQUA, PORTAMI L’ACQUA SE NO NON POSSSO
SCIACQUARE; MI SONO ALZATA ALLE CINQUE PER LAVARE, IO.
La bambina affannata si adopera per essere efficente, corre col secchio pieno d’acqua, lo rovescia
nella tinozza, sotto lo sguardo severo della mamma, ma fa schizzare l’acqua tutta intorno lasciando
la tinozza mezza vuota: LO VEDI CHE L’HAI BUTTATA TUTTA DI FUORI? La bambina non sa
che fare, guarda la madre angosciata: CHE ASPETTI? VA A PRENDERNE DELL’ALTRA.
DEVO PROPRIO DIRTI TUTTO!
(da Cappuccetto Rosso, adattamento di Carlo Formigoni per lo spettacolo del Teatro Kismet Opera,
Roma, Altamarea,1997, pg. 22 –23)
Introduzione alla fiaba “Il Principe Granchio”
NARRATORE – C’era una volta la laguna.
La laguna non è un luogo, è un tempo, uno spazio che muta ogni sei ore.
Non è acqua e non è terra ma è il tempo che trascorre tra acqua e terra.
Un tempo che sale e che scende a coprire e scoprire profili, miraggi di terre: barene…
È terra che va al mare e mare che va alla terra.
La laguna è un incontro
( l’immagine della mappa all’orizzonte scorre lentamente: ci solleviamo con lei fino a sorvolare i
riflessi del sole sull’acqua )
Questo è il luogo dove si semina il mare.
Si allevano pesci come mandrie acquatiche.
Cefali, passere, orate, anguillini.
Qui il mare è fertile come terra, e la terra mobile, instabile come mare.
La laguna è un confine che sconfina.
Non è né terra né mare.
E’ un riflesso di acciaio all’orizzonte.
(da Il Principe Granchio, di Silvia Roncaglia, Titino Carrara e Carlo Presotto, Genova, Edicolors,
2000)
Dare Parola al senso
Ed eccoci a chiudere provvisoriamente un cerchio nella nostra rapida riflessione sulle mutazioni del
linguaggio nel teatro ragazzi. A più di cento anni dall’unità politica d’Italia, ad una trentina
compiuta dell’unità linguistica nel segno dell’oriundo Mike Buongiorno, il teatro ragazzi si trova a
fare i conti con un pubblico sempre più allenato alla lettura multisensoriale e sempre meno paziente
nei confronti della parola “angelicata”, isolata cioè nella sua dimensione concettuale. Forse è un
problema di allenamento, per cui il problema non sono, in sè le 11.000 ore di televisione che un
37
38
ragazzo colleziona durante l’obbligo scolastico, ma la capacità di utilizzare un linguaggio per
comunicare, non solo per scambiare informazioni.
Il teatro si basa sulla comunicazione, ed ha scoperto da tempo che se la montagna non va a
Maometto, Maometto andrà alla montagna.
Per questo ricordiamo in chiusura uno tra i testi più significativi nella storia del teatro ragazzi,
“Robinson & Crosue” del teatro dell’Angolo di Torino, nato nel 1985 e ancora in distribuzione. La
forza di quello spettacolo sta nel fatto che i due personaggi incontrandosi su di un isola dopo una
catastrofe parlano due lingue diverse, senza capirsi. Eppure riescono a stabilire una relazione, a
comunicare tra loro, come in fondo succede a bambini e adulti quando condividono il misterioso
spazio-tempo sospeso che è l’evento teatrale.
Questo sforzo, di dare quotidianamente parola ai cinque sensi, al cuore ed ai sogni, è la scommessa
impossibile che ogni giorno gioca chi si occupa di teatro.
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I DIRITTI DELLO SPETTATORE BAMBINO
(Segnali di Fumo 1996)
Di solito la mia prima reazione, di fronte alle ricette, le regolette, i precetti, è quella di perplessità.
La complessità delle cose è spesso tale che enunciando una regola non si fa che indicarne la
trasgressione. Tanto più quando si parla di un composto instabile come il teatro.
Un problema ben presente ai maestri, tale da far porre ad Eugenio Barba in capo al suo "Aldilà delle
isole galleggianti" la bella frase di Niels Bohr, il fisico padre del principio di complementarità:
"Qualunque frase io dica, non deve essere intesa come un'affermazione, ma come una domanda".
Ci sono però dei momenti in cui può essere utile giocare con le parole per stabilire nuovi livelli di
comunicazione.
In occasione di un incontro a Vicenza tra operatori teatrali ed organizzatori, sul tema della
distribuzione teatrale, mi chiedevo quale potesse essere il modo di sottolineare un vecchio problema
dei teatranti: l'ambiente in cui si realizza lo spettacolo è parte integrante del rapporto comunicativo
tra attori e spettatori.
Mi rivolgevo ad assessori, responsabili di circuito, organizzatori, ben sapendo che molti di loro, a
forza di fare i conti con i bilanci, di aggirarsi nei meandri del "giro", di condurre a fatica i docenti,
si trovano a vivere come "rivendicazione di una controparte" la difesa della "qualità" dell'evento.
Ricorda un po' il problema di dover spiegare ai pescatori che se continuano ad usare le reti
"spadare" i primi a risentirne saranno proprio loro, a causa del drammatico impoverimento delle
risorse marine. "Gli ambientalisti difendono i delfini. Ma a noi, chi ci pensa a noi?" risponde il
pescatore nell'intervista. "Le compagnie difendono i loro spettacoli. Ma a noi, chi ci pensa a noi?"
rispondono il bibliotecario e l'organizzatore.
Mi sono molto divertito a leggere "I diritti imprescrittibili del lettore" citati da Daniel Pennac in
"Come un romanzo", Feltrinelli 1993. Ve li cito di corsa, rimandandovi al libro:
I. Il diritto di non leggere
II. Il diritto di saltare le pagine
III. Il diritto di non finire un libro
IV. Il diritto di rileggere
V. Il diritto di leggere qualunque cosa
VI. Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa)
VII. Il diritto di leggere ovunque
VIII. Il diritto di spizzicare
IX. Il diritto di leggere a voce alta
X. Il diritto di tacere
Pensando a questo elenco ho voluto proporre quasi un gioco di società simile al famoso "Se doveste
naufragare sull'isola deserta, con solo tre libri, cosa portereste con voi?".
Il gioco delle preferenze, di ciò che si considera "imprescrittibile" (non soggetto a prescrizione, di
illimitata validità) ci conduce a discutere di principi senza la necessità di dover negare quelli altrui
per affermare i nostri.
Non si tratta "del" Decalogo, ma di "un" decalogo, in cui diventano divertenti alcuni giochi:
riconoscersi.
A. invertire l'ordine dei diritti
B. sostituire ad un diritto che non ci sembra così "imprescrittibile" un altro diritto
C. provare a declinare nella realtà un diritto definendone i "parametri"
D. etc.
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Vi presento i dieci diritti così come sono stati presentati all'incontro, con alcune articolazioni che,
più che spiegare, indicano una possibile provocazione:
1)
Diritto alla partecipazione degli adulti. (E' meglio che gli insegnanti non escano a leggere la
"Gazzetta dello sport" durante lo spettacolo?)
2) Diritto di stare in un teatro adatto. (Un bambino è più "corto" di un adulto. A volte deve
alzarsi in piedi sulla sedia per vedere cosa succede sul palco. E i teatri all'italiana con diversi
ordini di palchi? E i cinema costretti a teatri?)
3) Diritto di essere in un numero adatto di spettatori. (Relativamente allo spettacolo, all'età, al
teatro, etc.)
4) Diritto di non aspettare troppo tempo l'inizio dello spettacolo. (Tutto ciò che succede da
quando si parte dalla scuola a quando si ritorna ha una sua importanza)
5) Diritto di essere informato delle regole del gioco teatrale. (Come tutti i giochi, se si sanno le
regole ci si diverte di più)
6) Diritto di essere informato sullo spettacolo e
diritto di essere cosciente del percorso che conduce allo spettacolo. (Ciò non vuol dire
necessariamente sapere chi è l'assassino)
7) Diritto di replica, dal vivo o per lettera, telefono, fax, ciberspazio in genere.
8) Diritto di vedere più di uno spettacolo all'anno.
9) Diritto di elaborare successivamente l'esperienza dello spettacolo, ma
diritto di non fare il "riassunto".
10) Diritto di vivere la "differenza" del teatro dagli altri canali di comunicazione: la sua
preziosità, la sua multiformità, il mistero del "momento presente".
Sento ogni giorno di più la necessità di essere esigente con me stesso, di infrangere il circolo
vizioso di un teatro "pre-visto" in cui gli insegnanti acquirenti dello spettacolo (adulti!) cercano ciò
che in qualche modo conoscono, gli organizzatori (adulti!) si limitano a chiedere alle compagnie di
rispondere a questa domanda, e i gruppi (di adulti!) spesso si appiattiscono su questa domanda,
dopo le tante bastonate sui denti degli anni passati.
Perchè noi adulti dobbiamo fare pesare il nostro bisogno di conferme sui ragazzi?
Da questo gioco dei diritti dello spettatore bambino nasce una proposta, quella di riaprire i canali di
ascolto nei confronti del soggetto centrale del teatro ragazzi, il suo protagonista, il bambino.
Riallacciare un rapporto con il suo immaginario e con la sua quotidianità, con i suoi sogni ma anche
con le sue sensazioni, i suoi gusti, le sue percezioni.
Molto teatro ragazzi ha avuto molto da "dire" ai bambini.
Ma tra il dire e il fare... c'è di mezzo il mare.
Daniel Pennac conclude il suo libro con queste parole: "L'uomo costruisce case perchè è vivo, ma
scrive libri perchè si sa mortale. Cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre
ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità. I rari adulti che mi
hanno dato da leggere hanno sempre ceduto il passo ai libri, e si sono ben guardati dal chiedermi
che cosa avessi capito. A loro, naturalmente, parlavo delle mie letture. Vivi o morti che siano, a loro
dedico queste pagine."
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I contenuti del progetto di educazione ai linguaggi teatrali
Si tratta di individuare a tutti i livelli di che cosa si vuole parlare con il teatro, ed a chi.
Una scelta per niente indolore, dato che dietro il singolare della parola teatro si nasconde un amplissimo
ventaglio di gesti, eventi, rituali, significati diversi.
Proponendo ai ragazzi una “Educazione Teatrale”, si pongono due obiettivi:
 Fornire informazioni chiare che permettano di cogliere la multiformità dei teatri per creare degli
spettatori curiosi e tolleranti nei confronti del gran teatro del mondo
 Testimoniare la ricerca di “un” teatro che rappresenti la nostra 15visione etica, estetica ed utopica della
realtà, per contribuire alla formazione di individui dotati di un’identità, di una coscienza, di un futuro
Il teatro sorge quando l’individuo può togliersi e mettersi la maschera davanti a spettatori che conoscono
il suo “gioco” 16e non temono più l’uomo con la maschera come se fosse il Dio stesso, ma ne
riconoscono il carattere simbolico
Una ricerca di senso che porta alla riflessione sulla forma scenica ma non si esaurisce ad essa, articolando la
complessità di un percorso
 che parte dalla lettura di una realtà
 ed attraverso la sua interpretazione
 arriva alla sua rappresentazione.
Tutto questo si svolgerà tenendo conto dell'importanza della scuola come mediatrice primaria del rapporto
dei ragazzi con il mondo dei “codici” coinvolgendo gli insegnanti interessati a condividere questo
percorso.
Insegnante-Animatore
“Animatore deve essere l’insegnante. Perché nessuno più di lui conosce i ragazzi, perché nessuno più
di lui può programmare il proprio intervento rispettando i tempi di maturazione dei ragazzi. Ciò non
significa escludere la possibilità e anche l’opportunità che ci si possa avvalere per il periodo di
indispensabile aggiornamento della figura di animatori o di gruppi teatrali esterni. A condizione che
lavorino per il superamento della loro presenza.” (R.Rostagno B.Pellegrini Guida all’animazione,
Fabbri 1978)
Particolarmente vivace fu alla fine degli anni settanta la discussione sul tema della figura professionale che
avrebbe dovuto occuparsi della “animazione” alle attività espressive nella scuola. La figura dell’animatore
professionale non ebbe uno sviluppo, nonostante fosse adottata anche in termini consistenti da diversi
progetti territoriali, primo fra tutti quello piemontese, anche su vasta scala.
Mi sembra che la riflessione di Rostagno e Pellegrini sia ancora oggi valida, se applicata al tema
dell’educazione ai linguaggi teatrali.
Ma quali motivi spingono un insegnante ad interessarsi al teatro?
L’esperienza condotta finora ci indica quattro percorsi, che a volte si intersecano o si sommano, ma che
conducono tutti all’inserimento della attività teatrale nella propria scuola:
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Noi concepiamo il teatro - soprattutto nel suo aspetto carnale e palpabile - come un luogo di provocazione, una sfida
che l'attore lancia a se stesso e anche, indirettamente, agli altri.
Nel nostro modo di affrontare i compiti creativi, anche se il tema è un gioco, dobbiamo essere in uno stato d'animo di
disponibilità - si potrebbe persino dire di "solennità".
(Jerzy Grotowski, Per un teatro povero.)
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Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura presuppone in ogni modo convivenza umana e gli
animali non hanno accettato che gli uomini insegnassero loro a giocare, gli animali giocano proprio come gli uomini…
le grandi attività originali della società sono tutte intessute di gioco… il linguaggio, il mito, l’artigianato, l’arte, la
poesia, la scienza sono radicate in base ad azione giocosa
(J.Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino)
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Il Teatro appartiene alla sfera del rito, del gioco e della festa, ma anche dell’artigianalità e della comunicazione in
ogni senso, coinvolge tutto quel campo che potremmo chiamare antropologico, è strumento di ricerca verso l’interno
dell’io e verso il mondo. Questo teatro non mira soltanto al prodotto come fase assoluta, ma pone attenzione al
processo, come fase continua di apprendimento attraverso il fare e l’immaginare (G.Scabia)
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



Il Teatro come comunicazione – la condizione in cui si sceglie di utilizzare il teatro per comunicare
“agli altri” (ragazzi, genitori, realtà di quartiere) i risultati di un percorso di ricerca e di “studio”
Il Teatro come socializzazione – la dimensione in cui il teatro serve da un lato ad una ricerca della
propria identità, dall’altro del proprio ruolo nel gruppo, rafforzando i legami già esistenti e gestendo i
problemi relazionali in atto, tra ragazzi o con l’insegnante.
Il teatro come festa – un momento rituale, uno spazio tempo “differente” dalla attività scolastica
quotidiana. In cui si possono fare “altre cose”, divertirsi. Un momento di sfogo, ma anche di
celebrazione del proprio essere comunità.
Ed il teatro come didattica – Il teatro come strumento per motivare i ragazzi ad un percorso di
avvicinamento diverso alle materie curricolari. La realizzazione dello spettacolo diventa quindi un modo
divertente per apprendere.
Obiettivi, modalità e verifiche degli interventi formativi rivolti al mondo della scuola
A questo punto diventa importante provare ad articolare un atteggiamento che il mondo del teatro
deve assumere nei confronti del mondo della scuola per indirizzare proposte formative.
Riteniamo innanzitutto importante sottolineare che non è possibile stabilire un unico
“programma” di attività, o un metodo unificante le attività teatrali.
Fare questo significherebbe togliere al teatro la sua molteplicità di forme, che come abbiamo visto è uno
degli elementi alla base della sua importanza formativa.
E’ invece indispensabile stabilire una serie di requisiti che una attività teatrale (Spettacolo,
laboratorio, animazione) svolta nella scuola con o senza la partecipazione di esperti esterni deve possedere
per vedere riconosciuta una propria valenza formativa.
Il modello che proponiamo non è quindi quello anglosassone della rappresentanza di istituto
(Squadra di football, di canottaggio, gruppo corale, gruppo teatrale), ma quello che proviene dalla storia
italiana e francese dell’Animazione Teatrale, che prevede il coinvolgimento di tutti i ragazzi ad un livello di
informazione, e la disponibilità dell’opzione teatro tra le attività espressive presenti nel curriculum
(Educazione all’immagine, musicale, motoria) con in più una importante valenza interdisciplinare.
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Una mappa dei requisiti necessarie alle attività teatrali in relazione ai percorsi formativi
1) La quantità non vale la qualità
Il numero dei ragazzi coinvolti nelle attività deve essere proporzionato al numero ed alle competenze
comunicative dei conduttori. Sia nel caso di un laboratorio che della visione di uno spettacolo. Il
lavoro principale dell’attore e del conduttore è quello di ascoltare le singole persone che ha davanti.
2) Si fa teatro nella scuola per far crescere le persone di domani, non i futuri spettatori, e tanto meno i futuri
attori.
Il teatro non è il fine, ma il mezzo. Per cosa? Per cercare se stessi risponderebbe Peter Brook. Se no si
corre il rischio di imboccare un vicolo cieco
3) Vedere teatro e provare a fare teatro sono le due braccia di un’altalena, l’una rilancia l’altra
A volte si crea il paradosso di ragazzi impegnatissimi nelle attività di laboratorio che non vanno mai a
vedere il teatro fatto da altri. Si bastano. Sia l’atteggiamento di sufficienza, che quello di soggezione nei
confronti del teatro visto sono sintomi di un disagio dovuto alla non chiarezza delle proprie motivazioni
4) Ogni età ha un suo teatro, ma può affacciarsi a curiosare anche da altre parti.
Uno dei risultati dell’attività di questi anni è stata la scoperta che mescolare le carte a volte ha effetti
inaspettatati. Mettere a confronto visioni del mondo ed esigenze diverse spesso ci fa vedere le cose da
altri punti di vista. Ci sono spettacoli “per adulti” che possono dare molto ad un bambino di 6 anni, ma
anche spettacoli “per bambini” che toccano profondamente l’immaginario di un giovane. Di sicuro, se
motivato, un pubblico di ragazzi riesce a partecipare in modo estremamente più intenso di un pubblico
di adulti.
5) Il teatro è faticoso. Ma non ha senso faticare senza avere uno scopo, compreso e condiviso da tutti
Sia realizzare un piccolo spettacolo che assistere ad una rappresentazione richiedono il rispetto di una
serie di regole, e soprattutto un uso della concentrazione che non ha paragone con altre forme di
spettacolo "quotidiano" quale la TV. Ma queste regole hanno un senso, ed anche i ragazzi più piccoli
sono in grado di comprenderlo, se sappiamo trovare le parole per dirlo. Esercitarsi al rispetto delle
regole è una attività in via di estinzione?
6) Raggiungere il proprio obiettivo è la cosa più importante. Fare uno spettacolo bello lo è di meno.
All’interno di un percorso formativo è fondamentale stabilire degli obiettivi (di tipo didattico,
relazionale, espressivo o comunicativo). La validità del lavoro svolto sta quindi nel raggiungimento
degli obiettivi. Questo punto, che sembra così trasparente, in realtà è spesso la fonte di equivoci
quando, dietro l’obiettivo formativo dichiarato, in realtà per poca chiarezza si muovono altre
motivazioni: gratificare i genitori, far fare bella figura alla scuola, poter sfogare velleità “artistiche”
dell’insegnante e non dei ragazzi, etc. professionista è colui che ha il coraggio di professare le proprie
motivazioni, e l’insegnante DEVE essere un professionista dell’educazione.
7) Ma non bisogna confondere uno spettacolo bello con uno brutto, o dire che tanto è lo stesso. Quando una
persona arriva sul palcoscenico è un attore, ragazzo o adulto, e deve confrontarsi con l’efficacia
comunicativa del proprio lavoro.
A volte, nei confronti delle espressioni artistiche, scattano dei meccanismi di “compatimento” che
tendono a stabilire differenti metri di valutazione nei confronti di artisti “particolari” (dai quadri
dipinti con i piedi dai mutilati di guerra, ai film con attori disabili, agli spettacoli realizzati dai
bambini) Come ben sa il mondo della pubblicità, l’uso strumentale dell’infanzia fa scattare nel
pubblico una serie di meccanismi che abbassano il livello critico dello spettatore. E’ invece necessario
che un giovane attore si confronti senza falsità con l’efficacia estetica e comunicativa del proprio
lavoro, per non correre inutili rischi. D’altro canto è importante che il giovane spettatore sia in grado
di esprimere e motivare il proprio gradimento nei confronti di uno spettacolo, paragonandolo ad altri
spettacoli teatrali e non al cinema ed alla televisione.
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8) Il teatro nella scuola lo si fa insieme, adulti e ragazzi. Ma anche gli adulti devono impegnarsi a dare il
loro meglio. E soprattutto ad ascoltare.
Certo, i ragazzi in palcoscenico “funzionano comunque”. Questo non deve diventare un alibi per gli
adulti. Il teatro è un lavoro di gruppo, e l’impegno dei ragazzi riflette quello dei loro conduttori. Uno
dei compiti più difficili del regista teatrale è quello dell’ascolto, l’unica dimensione che permette di
svolgere la propria funzione maieutica, aiutando l’attore a trovare la “sua” strada. Ma anche quando si
va insieme a vedere uno spettacolo l’insegnante deve partecipare con i suoi strumenti, essere cospettatore insieme ad i suoi allievi. Che rispetto del teatro possono avere quei ragazzi i cui insegnanti
escono durante lo spettacolo per il cambio dell’ora?
9) Il teatro non è agonismo. Il confronto è fondamentale, ma nel rispetto delle differenze. Sulla scena
l’unico avversario da superare siamo noi stessi, le nostre paure, i nostri limiti
L’attività espressiva si nutre del confronto. Imparare ad osservare il lavoro degli altri, a
comprenderlo, ed a trarne indicazioni sul proprio è una pratica alla base di tutte le pedagogie teatrali.
Ma nel momento in cui un artista si espone al pubblico con una propria visione del mondo, è come se
esponesse qualcosa di estremamente fragile e delicato, verso cui ha mille timori e mille insicurezze.
Spesso queste insicurezze vengono trasformate, inconsciamente, in un atteggiamento di autosufficenza
che rendere impossibile gustare altre poetiche. La chiarezza delle proprie motivazioni, la solidità delle
proprie radici, permette invece di arricchirsi nel dialogo con altri. Questa è una grande occasione di
formazione della persona che offre il teatro, nell’integrazione tra il “fare” ed il “vedere”.
10) L’attore non è un particolare tipo di persona, ma ogni persona è un particolare tipo di attore
Il rispetto dell’ultimo requisito indica la fondamentale differenza tra un idea di teatro centrata sul
prodotto ed una orientata al processo di costruzione.
Nel primo caso ci sono ragazzi più o meno “bravi attori”. Che per motivi caratteriali o ambientali
hanno già maturato una particolare competenza comunicativa che li mette in grado di muoversi
efficacemente all’interno del codice teatrale proposto dal conduttore.
Nel secondo caso invece ci sono ragazzi con una maggiore o minore competenza relazionale si
pongono davanti a degli obiettivi comunicativi, li condividono, riescono o meno a raggiungerli,
elaborano il risultato del loro lavoro.
E’ forse inutile segnalare come il primo caso indichi una attività teatrale che esula dai compiti di
formazione della scuola di base, e che viene fornita dopo la scuola superiore dalle istituzioni pubbliche
e private di formazione degli attori. (Accademia Nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico, Civica
Scuola d’arte drammatica del Comune di Milano, Scuole di formazione dei Teatri Stabili)
Sarà il secondo caso a rientrare invece nei criteri di una attività di Educazione ai Linguaggi Teatrali,
nelle direzioni indicate dai Protocolli di intesa e dalle direttive Ministeriali in merito..
Oltre il teatro, intelligenza emotiva e competenze relazionali.
Riteniamo a questo punto importante concludere questo percorso segnalando quello che a nostro
avviso è un equivoco su cui si basa in qualche modo il successo dell’attività teatrale nella scuola italiana.
Non è casuale che il rinnovato interesse verso il teatro nasca nell’ambito dei progetti di educazione
alla salute, ed in particolare nei progetti di prevenzione del disagio giovanile e dei comportamenti
socialmente devianti come la tossicodipendenza.
Ci sembra che stia sotto gli occhi di tutti la necessità di dotare nuovamente la scuola di strumenti
precisi per affrontare il problema delle competenze emotive e relazionali dei ragazzi.
L’intelligenza emotiva
Nella sua definizione dell’intelligenza emotiva, Salovey18 identifica cinque ambiti principali:
1
Conoscenza delle proprie emozioni. L’autoconsapevolezza – in altre parole la capacità di
riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta – è la chiave di volta dell’intelligenza
emotiva.
2
Controllo delle emozioni. La capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati
si fonda sulla autoconsapevolezza.
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Riportato da Goleman D., Intelligenza Emotiva, Milano,1997 pgg.64-65
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Motivazione di se stessi. La capacità di dominare le emozioni per raggiungere un obiettivo è una
dote essenziale per concentrare l’attenzione, per trovare motivazione e controllo di se, come pure ai
fini della creatività
Riconoscimento delle emozioni altrui. L’empatia, un’altra capacità fondata sul riconoscimento
delle proprie emozioni, è fondamentale nelle relazioni con gli altri.
Gestione delle relazioni. L’arte delle relazioni consiste in larga misura nella capacità di dominare le
emozioni altrui
Naturalmente le persone hanno capacità diverse in ognuno di questi cinque ambiti. Le eventuali carenze nelle
capacità emozionali possono essere corrette: ciascuno di questi ambiti rappresenta, in larga misura, un
insieme di abitudini e di risposte passabili di miglioramento, purchè si lavori a tal fine nel modo giusto.
Sembra un paradosso, ma se leggiamo i progetti di educazione ai linguaggi teatrali nella scuola italiana,
possiamo fare un confronto diretto con i programmi di “Alfabetizzazione emozionale” attualmente in fase di
studio e sperimentazione negli Stati Uniti.19
Chia sia forse questo ciò che la scuola richiede al teatro?
Un aiuto a strutturare in metodo quella competenza che drammaticamente sta scomparendo dal bagaglio dei
ragazzi della società contemporanea: la capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri, di
esprimerle con le parole, in qualche modo di gestirle?
Il ruolo classico dell’educazione
“Poiché a moltissimi giovani il contesto familiare non offre più un punto d’appoggio sicuro nella vita,
le scuole restano il solo istituto al quale la comunità può rivolgersi per correggere le carenze di
sviluppo emozionale e sociale dei ragazzi. Questo non significa che esse da sole possano sostituire
istituzioni sociali troppo spesso prossime al collasso. Ma poiché quasi tutti i bambini vanno a scuola,
almeno all’inizio, la scuola è un luogo che permette di raggiungere ognuno di essi e di fornirgli lezioni
19
Citiamo a titolo puramente esemplificativo il programma del W.T.Consortium on the Shool-Based Promotion of
Social Competence
“Drug and Alcohol Prevention Curricula”
I componenti fondamentali di programmi efficaci comprendono:
ABILITA’ EMOZIONALI
 Identificare e nominare i sentimenti
 Esprimere i sentimenti
 Valutare l’intenstà dei sentimenti
 Controllare i sentimenti
 Rimandare la gratificazione
 Controllare gli impulsi
 Ridurre lo stress
 Conoscere la differenza tra sentimenti ed azioni
ABILITA’ COGNITIVE
 Colloquiare con sé stessi: condurre un “dialogo interno” come modo per affrontare un argomento oppure per
mettere in discussione o rafforzare il proprio comportamento
 Leggere e interpretare i segnali sociali: per esempio, riconoscere le influenze sociali sul comportamento e collocare
se stessi nella prospettiva più ampia della comunità
 Adoperare metodi graduali di risoluzione dei problemi e di assunzione delle decisioni: per esempio, controllare gli
impulsi, fissare gli obiettivi, identificare azioni alternative, prevedere in anticipo le conseguenze
 Comprendere la prospettiva altrui
 Comprendere le norme comportamentali (qual è e quale non è un comportamento accettabile)
 Avere un atteggiamento positivo verso la vita
 Essere autoconsapevoli: per esempio sviluppare aspettative realistiche su se stessi.
ABILITA’ COMPORTAMENTALI
 Non verbali. Comunicare attraverso gli occhi, l’espressività del viso, il tono di voce, i gesti e così via.
 Verbali: porre richieste chiare, reagire alle critiche con efficacia, resistere alle influenze negative, ascoltare gli altri,
aiutarli, partecipare alle attività positive dei gruppi di coetanei.
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fondamentali per la vita, che altrimenti non potrebbero mai ricevere. L’Alfabetizzazione emozionale
comporta che il ruolo sociale delle scuole si estenda e vada a compensare le mancanze familiari nella
socializzazione dei ragazzi. Questo compito scoraggiante richiede due mutamenti importanti: gli
insegnanti devono oltrepassare i limiti della propria missione tradizionale e la comunità deve essere
più coinvolta nella vita della scuola. Che ci sia o meno un corso dedicato all’alfabetizzazione
emozionale può essere molto meno importante del modo in cui queste lezioni vengono insegnate.
Oltre alla formazione dei docenti, l’alfabetizzazione emozionale amplia la nostra visione del compito
delle scuole, conferendo a esse più esplicitamente un ruolo sociale nell’impartire ai ragazzi lezioni
essenziali per la vita. E’ questo un ritorno al ruolo classico dell’educazione.”
Daniel Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli 1997
Ecco che allora il teatro ritrova una sua funzione umanistica e classica di luogo della sperimentazione, della
disciplina delle emozioni, della ricerca della propria unica ed insostituibile identità all’interno della
comunità in cui viviamo.
Per concludere questo percorso citiamo allora l’inizio della prefazione del testo di Storia Del Teatro di
Glynne Wickham, (Il Mulino 1985).
Parlare del teatro come se fosse semplicemente letteratura drammatica ha senso come cercare di
guidare un’automobile con un solo cilindro funzionante. Il teatro – e i teatri in cui si rappresenta –
comprende attori e attrici, pittori e pitture, architetti e operai, costumisti e macchinisti, si estende ad
abbracciare anche compositori e musicisti, coreografi e ballerini, acrobati e atleti, poeti e giornalisti e
l’elemento più importante di tutti, il pubblico. In breve, è un’esperienza di gruppo fondata sull’interazione.
[…]
Come si può dunque spiegare questo speciale e stretto rapporto all’interno del gruppo? Ciò di cui
raramente ci si rende conto è che ogni individuo del pubblico (inclusi noi stessi) passa gran parte del giorno
recitando un ruolo scelto (spesso imposto), dando una “rappresentazione” giornaliera.
Nel fare tutto questo raramente ci consideriamo attori; pure, di tanto in tanto – quando, tornati a casa,
facciamo il bagno o ci versiamo da bere – ci accorgiamo di un cambiamento di personalità. Cessiamo di
essere attori e diventiamo noi stessi.
Questo fenomeno è uno dei fattori più vitali per spiegare la specifica esperienza di gruppo dell’arte
drammatica perché, attraverso l’azione mimetica, lega ciascuno di noi a quei rari individui eccezionali che
etichettiamo come attori.
Eppure essi, come noi, sono esseri umani; ma il ruolo che hanno scelto nella vita è l’esatto opposto
dell’intero processo.
La differenza fondamentale sta nel fatto che il ruolo che noi recitiamo quotidianamente è soggettivo
e la rappresentazione teatrale pubblica di un attore professionista è oggettiva.
Questo legame tra le nostre motivazioni e le nostre tecniche e quelle dell’attore, che ci portiamo dalla
culla alla tomba, arriva a spiegare il perenne fascino del teatro in tutto il mondo, e la sua capacità di adattarsi
e trasformarsi tanto che anche quando esso sembra malato e morente proprio allora sta invece subendo un
processo di rinnovamento in qualche inedita, provocatoria e più appropriata forma.
©1997 Carlo Presotto
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Le regole del teatro
- Costruire con i bambini delle regole da osservare durante l’esperienza, dalla partenza da scuola al
ritorno. Le regole devono essere poche, la loro motivazione viene discussa fino in fondo, poi vengono
approvate con una adesione di ognuno dei partecipanti.
- Per quanto riguarda lo spazio teatrale ricordiamo l’importanza del rispetto degli altri spettatori e degli
attori che stanno svolgendo un lavoro per il quale si sono preparati a lungo. Si possono manifestare le
proprie emozioni (ridere, applaudire), ma sempre con l’attenzione a non impedire agli altri di partecipare
all’evento.
L’evento teatrale è oggi (ma non è sempre stato così in tutte le epoche) diviso in tre momenti:
la preparazione, che serve a costruire un luogo ed un tempo “speciali” rispetto alla vita di tutti i giorni. La
preparazione degli attori è più lunga, e comprende il loro studio, le prove dello spettacolo, ed il
riscaldamento che svolgono prima di ogni rappresentazione. La preparazione degli spettatori comincia da
quando si decide di andare a partecipare ad uno spettacolo e comprende la raccolta di un bagaglio di
“attese” (quasi tutti immagineranno che in questo spettacolo una attrice si presenti con una borsa ed un
ombrello, ad esempio) lo scambio di queste attese con altre persone che parteciperanno all’evento, il
viaggio per recarsi a teatro, il prendere posto tutti rivolti in una stessa direzione, l’abbassare il tono di voce,
l’andare in bagno etc.
la rappresentazione, durante la quale delle persone (gli attori) si muovono e parlano ed altre persone (gli
spettatori) guardano ed ascoltano. Durante la rappresentazione si crea come una tela di ragno costruita
dagli sguardi e dalla partecipazione di ognuno degli spettatori. E’ fragilissima e basta poco a spezzarla. C’è
chi dice che quello è il teatro. Per questo di solito non si commenta ciò che sta accadendo, non ci si alza dal
posto, e quando si vuole scaricare la propria energia si battono le mani tutti insieme. Usiamo nel nostro
teatro abbassare le luci sul pubblico ed accenderle sugli attori per evidenziare i loro movimenti e la loro
presenza. Come quando si spengono le luci per far entrare la torta di compleanno con le candeline. Durante
tutto lo spettacolo gli attori guardano ed ascoltano gli spettatori, prendendo da loro il coraggio e la forza
per raccontare la storia. Per questo si spengono assolutamente i telefonini, le suonerie degli orologi, e non
si usano puntatori al laser. Questi sono tre motivi per cui un attore può distrarsi e quindi essere costretto ad
interrompere lo spettacolo e lasciare la storia a metà.
il seguito, durante il quale si torna alla vita di tutti i giorni portando con sé qualcosa dello spettacolo. Al
termine dell’evento la luce si riaccende sul pubblico e gli attori vengono a ringraziare gli spettatori con un
inchino per la loro attenzione. Se gli spettatori sono contenti di ciò che hanno visto battono le mani agli
attori. Più forte le battono più vogliono far sapere loro che sono contenti. In altri paesi si battono i piedi, si
gettano cappelli o cuscini o fiori, o si fischia. Da noi l’applauso è segnale di approvazione ed il fischio è un
grave segno di disapprovazione. Per gli attori questo è ancora un momento importante dello spettacolo. Poi,
se è possibile, ci si può incontrare con la classe o in numero maggiore, con gli attori che hanno presentato
lo spettacolo. In questa occasione li si può conoscere come persone, dato che hanno finito di muoversi e
parlare come i personaggi che interpretavano durante lo spettacolo. Ed al termine si torna a scuola. Ma lo
spettacolo non è ancora finito, perchè possiamo confrontare con i compagni e gli insegnanti ciò che lo
spettacolo ha lasciato impresso nei nostri ricordi e nelle nostre emozioni.
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Cosa ci siamo portati a casa
Uno spettacolo provoca degli echi che diventano tanto più chiari e riconoscibili secondo alcuni fattori: la
maggiore o minore abitudine ad assistere al teatro: uno spettatore “abituale” ed uno “occasionale” possono
dare maggior rilievo ad aspetti diversi dell’evento.
L’esperienza ci indica di come sia importante tenere sempre presente, ed al caso testimoniare, la differenza
tra teatro, cinema e televisione, che in alcuni casi si sovrappongono nella percezione infantile: in tutti questi
casi vediamo “adulti che fanno finta”.
Il teatro è un contesto che richiede la collaborazione dello spettatore alla chiusura del senso, che coinvolge
le sue sensazioni, le sue emozioni, la sua memoria corporea.
Per questo una fase di rielaborazione parte da un percorso analogico, che attraverso proposte di associazioni
di idee stabilisca punti di incrocio tra l’esperienza degli spettatori e l’evento vissuto.
Proponiamo alcune formulazioni per stimolare una discussione:
C’è qualche momento che mi ha spaventato?
Come quando...
c’è un momento in cui mi sono messo a ridere?
Come quella volta che...
chi mi ricorda Bert?
Cosa farei se io fossi Mary?
E se vivessi nella famiglia Banks cosa direi ai miei genitori?
Quale mio desiderio potrebbe realizzare Mary?
A questo punto può seguire una fase di lavoro, che con gli strumenti più adatti, metta il gruppo in grado di
fissare l’esperienza vissuta insieme sotto forma di un mosaico di diverse impressioni.
Si può trattare di una serie di disegni raccolti in un album, oppure di un grande quadro collettivo realizzato
stendendo a terra una serie di fogli di carta da pacco uniti insieme con il nastro adesivo.
Si può decidere di utilizzare la scrittura, raccogliendo un quaderno di pensieri, oppure proponendo ad
ognuno dei ragazzi di scrivere il proprio punto di vista, oppure raccogliendo un repertorio di frasi e parole
particolari riportate a casa dallo spettacolo.
Si possono recuperare modi di muoversi e di parlare dei personaggi in un laboratorio teatrale che permetta
ai ragazzi di scegliere “chi” vorrebbe essere nella storia
Si possono inventare giochi che rievochino momenti della storia.
Il diritto di non fare il riassunto
Noterete che tra le attività proposte manca un classico strumento di lavoro, che prevede la rielaborazione e
la verbalizzazione dell’evento sotto forma scritta.
Ogni insegnante conosce al meglio i suoi strumenti e soprattutto i ragazzi con cui lavora, per cui neppure in
questo caso ci permettiamo di indicare formule valide per tutti.
Una cosa però è certa, che per scrivere una recensione di uno spettacolo, per ricostruirne la successione
cronologica, bisogna compiere una operazione molto complessa.
La percezione dell’evento teatrale stabilisce una gerarchia secondo l’intensità con cui una determinata
“azione” ha colpito il nostro immaginario. Di uno spettacolo possiamo ricordare anche solo una frase, con
vividezza eccezionale, e cancellare quasi istantaneamente dalla memoria dettagli e sfondi, come facciamo di
fronte ad un opera d’arte visiva.
L’analisi dell’opera va quindi proposta ai ragazzi insieme con gli strumenti per attuarla, per non rischiare
di trasmettere la sensazione che lo spettacolo “non ci abbia detto molto”.
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Carlo Presotto
Nasce a Venezia il 14 luglio 1961. Dopo gli studi e la prima formazione a Milano, dal 1982 collabora
stabilmente con Il Teatro Stabile di Innovazione La Piccionaia I Carrara di cui è direttore artistico. E'
docente di Psicologia Sperimentale, Animazione e Teatro Ragazzi presso l'università Ca Foscari di Venezia.
Assistente alla regia di Antony Rooley in The Marriage Of Pantalone da Monteverdi e Vecchi (Londra,
Queen Elizabeth Hall 1986) e Le Veglie di Siena di Orazio Vecchi (Evento speciale per la corte reale danese
Copenhagen 1988). Coordinatore del Centro di Formazione Teatrale realizzato con il contributo della
regione Veneto, nel 1989 realizza con Renata Molinari il progetto formativo Teatro All'Antica Italiana, e nel
1990-91 La necessità di un tempo inutile.
Referente per diverse edizioni del progetto ETI il tempo dello spettatore, nel 1997 realizza il progetto di
lettura dello stato del teatro ragazzi Italiano promosso dall'ETI "frequentare il futuro".
Partecipa come attore al progetto internazionale I Porti del Mediterraneo (1996) ed allo spettacolo Come
gocce di una fiumana (Premio IDI 1995) diretti da Marco Baliani, a Riccardo III diretto da Mauro Maggioni
(2000), ed all'evento Le piazze, la città, i bambini per Bologna 2000 città europea della cultura. Partecipa al
laboratorio di drammaturgia MULTISCENA nell'ambito del progetto Vetrine Italia. Esperto consulente
nell'ambito del progetto di Educazione ai linguaggi teatrali del Ministero della Pubblica Istruzione,
consulente scientifico del secondo corso provinciale di formazione per docenti referenti per le attività teatrali
promosso dal Provveditorato agli studi di Vicenza. Nel 1999 coordina il corso "Armamentario del teatro
ragazzi" con la partecipazione di Laura Curino per l'allestimento di "Storie" alle gallerie di palazzo Leoni
Montanari a Vicenza
Nel 2003 dirige con Titino Carrara I quattro libri di Andrea spettacolo scritto con lo storico dell’Architettura
Howard Burns ed ambientato nella Basilica Palladiana, ha curato i video fondali de La ballata del mare
salato diretto da Damiano Michieletto,
Cura la regia teatrale degli showcases di videoteatro per Ibm Italia a Smau 2003 e Smau 2004.
Cura la tavola rotonda Trama ed ordito: conversazioni sugli strumenti del drammaturgo Goldoni in
occasione della presentazione de Il curioso accidente di C.Goldoni dai copioni Baseggio, e nel 2004 il
convegno LA SCENA, IL CARNEVALE nell'ambito del progetto Interreg Arlecchino e i pusti dell'Isontino.
Partecipa con una dimostrazione di lavoro al corso sul teatro di animazione presso il DAMS di Bologna. Fa
parte del direttivo italiano Assitej (Association internationale du théâtre pour l’enfance et la jeunesse). Ha
vinto con il Gioco del Palazzo insieme a Ketty Grunchi il premio ETI Stregagatto 2004 per il miglior
progetto di ricerca teatrale dedicato ai ragazzi.
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