L`implicazione del sistema visivo nella dislessia

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L'implicazione del sistema visivo nella dislessia
Silvio Maffioletti - Optometrista
Stefano Panzeri - Optometrista
Relazione presentata al XXVI Congresso Albo degli Optometristi, Roma, aprile 2000
Abstract
Il tema affrontato è l’implicazione del sistema visivo nei disturbi specifici
dell'apprendimento, che interessano circa l'8% della popolazione scolastica italiana.
Il sistema visivo non vi appare implicato direttamente se ci si riferisce a un modello
classico di visione che considera essenzialmente la condizione rifrattiva e l’efficienza
binoculare. E' invece evidentemente implicato quando si attribuisce alla funzione
visiva un significato più ampio, che comprende aspetti percettivi e cognitivi.
La conoscenza dei disturbi specifici dell'apprendimento, tra i quali ha un'evidenza
particolare la dislessia, è parte delle competenze professionali dell'optometrista. La
lettura si svolge infatti attraverso precise modalità visive e cognitive e lo specialista
della visione, attraverso un'analisi visiva specifica e accurata, è in grado di
riconoscerle e verificarle.
Difficoltà di apprendimento: la situazione nella scuola italiana
Uno studente italiano su cinque incontra, nel corso della sua carriera scolastica, uno o più momenti
di particolare difficoltà che cerca di superare ricorrendo all'aiuto di un esperto. Si tratta di una stima
che può sembrare eccessiva, ma corrisponde alla percentuale di studenti italiani che incorrono in
disavventure scolastiche, bocciature, ritiri dalla scuola1.
In Italia gli studenti, dalla scuola elementare alla maturità, sono poco più di nove milioni; quindi la
difficoltà scolastica riguarda quasi due milioni di loro, anche se con tipologie e livelli di gravità
diversi. Nel linguaggio comune i loro problemi sono raggruppati in un termine generico che non ha,
in ambito scientifico, alcun significato preciso: difficoltà di apprendimento. Gli operatori del settore
utilizzano invece termini più calibrati (disgrafia, disortografia, dislessia, discalculia, disturbo da
deficit di attenzione) che individuano disturbi specifici dell'apprendimento, ovvero problemi definiti
e settoriali.
Il termine "difficoltà di apprendimento" si riferisce genericamente a qualsiasi impedimento o
disagio incontrati dallo studente durante la sua carriera scolastica e rimanda a una problematica più
ampia, meno definita, non necessariamente grave. Il "disturbo specifico dell'apprendimento"
individua invece precise problematiche all'interno del processo di apprendimento e ha alle spalle
una vasta ricerca scientifica del settore, da cui conseguono modalità diagnostiche e trattamenti
riabilitativi convenzionalmente precisati.
La tabella 1 presenta l’incidenza percentuale delle generiche difficoltà di apprendimento nella
scuola italiana. Evidenzia anzitutto come il disagio scolastico interessi, globalmente, più i maschi
che le femmine; anche i dati forniti annualmente dall'Istat lo confermano: nell'anno scolastico 199899 registrano una percentuale di ripetenti maschi dell'8,4% nella scuola media contro il 5,5% di
femmine, mentre all'esame di maturità la percentuale degli studenti respinti è stata del 7,9%, oltre il
doppio del 3,6% rilevato tra le studentesse2.
La tabella 1 evidenzia altresì come i disturbi specifici dell'apprendimento, nel loro complesso, siano
significativamente diffusi, interessando l'8% della popolazione scolastica italiana.
I disturbi specifici dell'apprendimento
Il "Diagnostic Statistic Manual", testo di riferimento degli psichiatri statunitensi, così definisce i
disturbi specifici dell'apprendimento (DAS):
"Si definiscono DAS quei disturbi nei quali le modalità normali d’acquisizione delle capacità in
questione sono alterate già nelle fasi iniziali dello sviluppo. Essi non sono semplicemente una
conseguenza di una mancanza di opportunità per potere apprendere e non sono neppure dovuti a
una malattia acquisita. Piuttosto si ritiene che DAS derivino da anomalie nell’elaborazione
cognitiva legate in larga misura a qualche tipo di disfunzione biologica" 3.
I principali disturbi specifici dell'apprendimento sono4:
Dislessia, disturbo della lettura;
Disgrafia, disturbo della scrittura;
Disortografia, disturbo di apprendimento dell'ortografia;
Discalculia, disturbo di apprendimento della matematica;
Disturbi relativi a memoria, concentrazione, scelta e utilizzo di strategie cognitive.
La dislessia
E' la dislessia il disturbo specifico dell'apprendimento più diffuso nella scuola italiana, eppure la
sua conoscenza è ancora limitata e parziale.
Tra i professionisti dell'area psico-pedagogica c'e discordanza: alcuni ritengono che sia legata
esclusivamente a disturbi del linguaggio, altri la sottovalutano perché è un disturbo a eziologia
sconosciuta, altri ancora la collegano a improbabili problemi psicologici o relazionali del bambino5.
I professionisti del settore sanitario conoscono poco la dislessia e generalmente ne ignorano le
severe implicazioni relazionali e scolastiche.
Anche gli insegnanti italiani conoscono poco la dislessia. Alla scuola elementare il bambino
dislessico potrebbe essere riconosciuto se l'insegnante cogliesse correttamente il problema al suo
manifestarsi e indirizzasse la famiglia dallo specialista; accade però ancora troppo raramente. Alla
scuola media la dislessia è sconosciuta o misconosciuta e, tranne lodevoli eccezioni, la bocciatura è
l'unico approccio terapeutico specifico adottato. Alla scuola superiore il percorso dei dislessici è
accidentato e difficile: pur impegnandosi molto, la lentezza e l'imprecisione nella lettura risultano
particolarmente penalizzanti e selettive6.
Oggi la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo dei bambini dislessici si pongono come
urgenza primaria agli operatori scolastici e ai professionisti del settore socio-sanitario. Accanto a
ciò l'Italia deve colmare il ritardo normativo e organizzativo che sconta rispetto a molte nazioni
europee e nordamericane. In quelle realtà i dislessici vengono sostenuti con competenza e continuità
da personale scolastico specificamente preparato7. L'esperienza statunitense è emblematica:
"In Italia i dislessici sono candidati all'insuccesso scolastico in misura molto superiore alla media
dei coetanei già fin dalle prime fasi di scolarizzazione. Fino a oggi è altissima la mortalità
scolastica al termine della scolarità obbligatoria o all'inizio della scuola media superiore. Negli
USA, dove esiste una consolidata organizzazione per il supporto didattico ai dislessici, i dati
mostrano una situazione molto diversa. Il tempo di completamento degli studi è anche lì superiore
di un anno rispetto alla media, ma lungo l'intero arco di studi comprendente l'università. Inoltre la
percentuale di abbandono scolastico è addirittura dimezzata rispetto a quella dei non dislessici.
Ciò significa che, quando da parte della scuola sono previsti aiuti per superare le difficoltà
strumentali, i dislessici mostrano più stabilità e maggiore impegno rispetto a coloro che non hanno
difficoltà" 8.
Ipotesi circa l'eziologia della dislessia
La dislessia non ha ancora trovato una spiegazione eziologica esaustiva. L'ipotesi del deficit
fonologico e l'ipotesi del deficit visivo sono i due modelli più accreditati in ambito scientifico; una
teoria più recente, che integra le precedenti, individua un deficit del processamento temporale con
compromissione dell'attenzione selettiva spaziale nei soggetti dislessici.
L'ipotesi del deficit fonologico è sostenuta da autori che enfatizzano l'importanza dei fattori
linguistici (in particolare dell'elaborazione fonologica), ritenendoli determinanti nell'eziologia della
dislessia.
L'ipotesi del deficit visivo è sostenuta da autori che riferiscono la difficoltà della lettura a uno
sviluppo carente dei processi di analisi e sintesi visiva quali, ad esempio, la capacità di scomporre
una configurazione visiva nelle sue parti e di stabilire relazioni tra una parte e il tutto.
La teoria che individua un deficit del processamento temporale fa riferimento alla compromissione
dell'attenzione selettiva spaziale riscontrabile nei soggetti dislessici. Studi recenti hanno evidenziato
che il sistema magnocellulare (M) , il quale elabora informazioni circa il movimento degli oggetti e
fornisce il maggior input all'attenzione selettiva spaziale, può essere implicato nel disturbo specifico
di lettura:
"Diversi studi hanno dimostrato che il processo attentivo visuo-spaziale dipende dalle afferenze
provenienti dal sistema magnocellulare. Un deficit del sistema magnocellulare, fornendo
un'alterata e/o rallentata informazione circa la posizione delle lettere, potrebbe ostacolare
l'attenzione visiva nel corso della lettura impedendo il processo di focalizzazione delle lettere o
parole rilevanti (che devono essere codificate nel corso della lettura) e insieme impedendo la
soppressione delle lettere e parole irrilevanti e distraenti che costituiscono il testo da leggere" 9.
Il sistema magnocellulare
I neuroni del sistema magnocellulare forniscono a tutti i livelli risposte rapide ma transienti,
temporanee. Il compito del sistema M, che inizia dalle grandi cellule gangliari retiniche e termina a
livello delle aree associative corticali, è quello di valutare la posizione spaziale degli stimoli visivi e
rilevare il loro movimento10.
Il sistema M inizia dalle cellule gangliari della retina, che nei primati sono suddivise in cellule M (o
Pα) e in cellule P (o Pβ)11. Le cellule M sono caratterizzate da grandi corpi cellulari e alberi
dendritici estesi, mentre le cellule P hanno corpi cellulari più piccoli e alberi dendritici di
dimensioni ridotte.
Le cellule M hanno campi recettivi più grandi e rispondono bene a stimoli rappresentati da oggetti
di grosse dimensioni; si ritiene che la loro funzione sia quella di analizzare le caratteristiche globali
degli stimoli luminosi e del loro movimento. Le cellule P hanno invece dimensioni più ridotte, sono
più numerose, i loro campi recettivi sono piccoli e danno risposte selettive per le singole lunghezze
d’onda; sono quindi importanti per la visione dei colori e per l’analisi dei più piccoli dettagli delle
immagini visive.
Il sistema magnocellulare inizia dalle cellule gangliari M e continua attraverso i loro assoni nei
nervi ottici, che si uniscono alla base del cervello formando il chiasma ottico. Qui gli assoni che
provengono dalla metà nasale della retina si incrociano attraverso il chiasma, mentre gli assoni
provenienti dalla metà temporale della retina proseguono senza decussare12.
Le fibre raggiungono i corpi genicolati laterali, composti da 6 strati, dove si differenziano in zone
adiacenti. Le fibre provenienti dalle cellule gangliari più grandi, ovvero le cellule M, confluiscono
nella zona magnocellulare ventrale che comprende gli strati 1 e 2 e contiene neuroni più grandi. Le
fibre provenienti dai neuroni retinici più piccoli, ovvero le cellule P, finiscono nella zona
parvocellulare che ha neuroni più piccoli e comprende i 4 strati dorsali, cioè gli strati dal numero 3
al numero 6.
Gli strati 2 (magnocellulare), 3 e 5 (parvocellulari) ricevono fibre retiniche dall’occhio omolaterale
(retina temporale), mentre gli strati 1 (magnocellulare), 4 e 6 (parvocellulari) ricevono fibre
retiniche dall’occhio controlaterale (retina nasale)13. Dato che ogni singolo strato riceve
informazioni da un solo occhio, tutte le cellule dei corpi genicolati laterali sono di tipo monoculare.
Il sistema magnocellulare prosegue dai corpi genicolati laterali attraverso le radiazioni ottiche, che
terminano nella corteccia visiva primaria denominata area striata 17 di Brodmann o area visiva 1
(V1). La via del sistema M continua connettendosi con le strisce spesse dell'area peristriata 18 di
Brodmann (V2), quindi prosegue nell'area parastriata 19 di Brodmann (V3); giunge poi nell'area
mediotemporale (MT), che giace nel labbro posteriore del solco temporale posteriore, e proietta
infine all'area mediotemporale superiore (MST) e ad altre aree della corteccia parietale posteriore
(CPP) deputate all'analisi dei rapporti visuo-spaziali fra gli oggetti14.
I neuroni del sistema magnocellulare forniscono risposte rapide ma di tipo transitorio. Sono
abbastanza insensibili ai colori e incapaci di analizzare gli oggetti statici; il loro compito è duplice:
analizzare movimento e relazioni spaziali fra gli oggetti e contribuire alla visione stereoscopica. Il
sistema M fornisce quindi indicazioni che riguardano "dove" si trova un oggetto, è invece
irrilevante nella valutazione di "cosa" esso sia15.
Gli occhi e la lettura
Gli occhi, nel corso della lettura, si muovono a scatti. Si spostano da sinistra a destra con rapidi
movimenti saccadici alternati a pause di fissazione, cioè momenti nei quali rimangono fermi16.
Durante i movimenti saccadici, data la velocità con cui vengono compiuti (10-20 msec) non è
possibile trarre alcuna informazione dal testo; durante le pause di fissazione invece il lettore
acquisisce i dati grafici e li elabora. Le pause di fissazione possono avere durata variabile, in un
lettore esperto si attestano attorno a 200-250 msec con fluttuazioni legate al livello di competenza
del soggetto e alla difficoltà dei testo17.
I movimenti saccadici utilizzati nel corso della lettura sono di tre tipi: progressivi, regressivi e di
ritorno.
I movimenti progressivi vanno da sinistra a destra e sono estremamente veloci: in 20 millisecondi
gli occhi compiono un movimento di 3 gradi, con una conseguente velocità angolare media di circa
150 gradi al secondo.
I movimenti regressivi (o regressioni) vanno nella direzione opposta; sono più rari (circa il 20% dei
movimenti lungo la riga), meno ampi, aumentano in relazione alle difficoltà di elaborazione del
testo: sono infatti più numerosi nei lettori inesperti oppure nel corso della lettura di materiale
complesso o di difficile interpretazione.
I movimenti di ritorno sono quelli che gli occhi compiono al termine della riga per passare a quella
successiva; hanno durata di circa 65 msec, con variazioni legate alla larghezza del testo esaminato.
Nel corso della lettura i messaggi raccolti dai bulbi oculari giungono, attraverso il nervo ottico, alla
corteccia visiva primaria; ciascun punto dello spazio visto dall'occhio ha un corrispondente punto
nella mappa della corteccia visiva primaria (V1). L'informazione viene poi trasmessa a circa trenta
diverse aree visive dell'encefalo, altamente specializzate nel ricavare distinti attributi
dall'informazione visiva18.
L'analisi visiva di ogni persona impegnata a lungo in attività di lettura e scrittura deve tenere conto
delle specifiche modalità dell'atto visivo e verificare con attenzione la fluidità e la precisione dei
movimenti oculari, indispensabili per una lettura rapida ed efficace. La significativa percentuale di
studenti dislessici che evidenziano movimenti irregolari degli occhi nel corso della lettura, come
evidenziato dalle ricerche di Pavlidis e confermato da numerose ricerche successive19, è un
importante dato di riferimento.
La valutazione della lettura
Il progredire dell'età e l'aumento della competenza inducono significative modificazioni delle
modalità di lettura. Sono indicati nella tabella 2 i risultati di una ricerca condotta su 12.143 giovani
lettori accuratamente diversificati per fattori educativi, geografici e sociologici20.
I dati evidenziano come, con il progredire dell'età del lettore, alcuni indici cambino
considerevolmente mentre altri rimangano quasi immutati.
I bambini che stanno imparando a leggere compiono tre fissazioni al secondo, mentre gli studenti
universitari ne utilizzano circa quattro; il tempo impiegato per fissare un certo punto del testo scritto
passa così da 0,33 a 0,24 sec, una differenza minima se si considera l'abisso esistente, nella capacità
e nella consuetudine alla lettura, tra uno studente universitario e un bambino di 6 anni.
Ben diversa è invece la differenza nel numero delle fissazioni: ai lettori più giovani un brano di 100
parole richiede 183 fissazioni; tale valore decresce progressivamente finchè, a livello universitario,
le fissazioni necessarie per un brano di 100 parole divengono soltanto 75. La migliore efficacia
nella lettura appare quindi correlata alla maggior quantità di informazioni raccolte ed elaborate ogni
fissazione, più che alla loro frequenza nell'unità di tempo.
Altrettanto significativa è la continua diminuzione del numero dei movimenti saccadici regressivi,
quelli cioè compiuti all'indietro, con il crescere dell'età e della competenza; i lettori esperti e
qualificati, così come compiono meno fissazioni, effettuano anche meno regressioni. La percentuale
dei movimenti regressivi in rapporto al numero di fissazioni rimane invece costante, confermandosi
attorno al 20% in tutti i soggetti esaminati.
Dal dato relativo al numero delle fissazioni si ricava il numero di parole che viene percepito ogni
fissazione. Il bambino di prima elementare ha bisogno di 183 fissazioni per leggere 100 parole, cioè
ne coglie 0,55 ogni fissazione (100/183); lo studente uiniversitario ne coglie invece 1,33 ogni
fissazione (100/75); conseguentemente lo studente universitario legge in media quasi 300 parole al
minuto, contro le 80 parole al minuto di un bambino al primo anno di scuola.
La qualità della lettura viene espressa dalla sua velocità, che evidenzia efficacia e competenza. E'
anche funzione dell'accuratezza (assenza di errori, inversioni, omissioni e altre imprecisioni) e della
comprensione, ovvero della capacità di estrarre un significato adeguato dal testo letto.
La velocità di lettura viene misurata in parole al minuto; nella tabella 3 sono riportati i relativi
valori di riferimento21. Vari test permettono di valutare la velocità di lettura; il più diffuso è il test
MT, messo a punto nel 1981 dal gruppo MT dell'Università di Padova (un gruppo di lavoro
composto da ricercatori, psicologi, pedagogisti e insegnanti che da oltre 20 anni dedica le sue
energie alla costruzione di strumenti per la promozione dell'apprendimento). Attraverso il test MT
vengono verificati tre parametri: velocità e accuratezza della lettura, comprensione del testo22.
L'optometrista e la dislessia
L'optometrista è spesso il primo riferimento dei genitori di bambini dislessici. Le difficoltà di
lettura, in una fase iniziale, vengono infatti attribuite a condizioni rifrattive inadeguate e la famiglia
porta il bambino dallo specialista della visione per un consulto. E' la prima di una serie di visite e
accertamenti che porteranno il bambino e i suoi genitori al cospetto di professionisti diversi:
"Si tratta spesso di consultazioni che fanno seguito a lunghe attese che espongono il bambino a
ripetute frustazioni e i genitori a una crescente preoccupazione. E' quindi necessario un approccio
rigoroso basato sia sulla propria specifica competenza, sia sulla conoscenza delle diverse tipologie
del disturbo di lettura. Riteniamo infatti che solo un'efficace collaborazione tra specialisti di aree
diverse possa evitare a questi bambini inutili trattamenti e quindi frustazioni supplementari e false
illusioni" 23.
La conoscenza dei deficit specifici di apprendimento, e in particolare della dislessia evolutiva, è
parte delle competenze professionali dell'optometrista.
Il sistema visivo non appare direttamente implicato nel processo di apprendimento se ci si riferisce
a un approccio optometrico tradizionale, che prende in considerazione soltanto la condizione
rifrattiva e l’efficienza binoculare del soggetto esaminato. L'implicazione del sistema visivo appare
invece evidente se l'optometrista, attraverso un approccio evolutivo-comportamentale, attribuisce
alla funzione visiva un significato più ampio, comprendente anche aspetti percettivi e cognitivi.
Conseguentemente il professionista della visione non limita più il proprio esame alla verifica della
condizione rifrattiva e della funzione binoculare, ma va oltre: esamina la flessibilità del sistema
accomodazione-convergenza, si occupa del miglioramento dell'ambiente scolastico e
dell'adeguamento del locale domestico nel quale il bambino studia, cura l'atteggiamento posturale e
la sua riprogrammazione, verifica l'adeguatezza del sistema visivo alle richieste scolastiche, si
occupa del suo miglioramento attraverso specifici percorsi di riabilitazione o di incremento
dell'efficienza. Infine, dato che la lettura si svolge attraverso modalità visive e cognitive specifiche,
attraverso l'analisi visiva l'optometrista cerca di riconoscerle e quantificarle.
Un'accurata analisi visiva peraltro non esaurisce il compito dell'optometrista che esamina un
bambino con difficoltà di lettura; egli lo deve inviare al neuropsichiatra infantile o allo psicologo
affinchè il bambino sia rapidamente diagnosticato. Ciò deve avvenire senza indugi perchè quanto
più l'intervento sarà precoce tanto più il bambino in questione potrà essere sostenuto, uscendo così
dalla condizione di indefinita incapacità che lo accompagna e lo danneggia, mettendo in difficoltà
anche la famiglia e gli insegnanti.
L'obiettivo del trattamento riabilitativo è sostenere il bambino dislessico permettendogli, nel
proseguo della vita, di esprimere compiutamente le sue potenzialità nonostante la dislessia:
"Uno slogan oggi molto diffuso e sensato riguardante il soggetto dislessico è il seguente: quando
interveniamo, l'obiettivo non è quello di eliminare il disturbo ma fare sì che esso non impedisca al
ragazzo di arrivare alla laurea. E' ovvio che, affinchè ciò possa avvenire, il disturbo deve essere
attenuato riducendo o eliminando tutte le conseguenze negative che induce nel ragazzo"24.
L'optometrista, anche dopo avere inviato il bambino allo specialista, rimarrà una significativa
presenza di riferimento se saprà costruire fruttuosi rapporti interdisciplinari con le figure
professionali che si occuperanno del bambino nella successiva fase del trattamento.
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